Il Punto Stampa

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Anno 30 - N° 2 - € 0,50

Febbraio 2011

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L’Associazione può essere il catalizzatore di un nuovo sviluppo economico

Emergenza industria: ripartire dal territorio di Riccardo Bonaiti In apertura del 2011 è difficile anche solo dare uno sguardo allo scenario che ci potrebbe accompagnare in questo prossimo futuro, per il semplice motivo che tutta l’attualità che viviamo nel quotidiano è caratterizzata da un desolante e sconcertante immobilismo. Sembra che i problemi veri delle imprese, e dei lavoratori che da esse dipendono, non interessino a nessuno, confermando la peggiore delle ipotesi che avevamo posto in passato, che cioè, pur in una situazione di crisi estrema, le imprese ancora una volta avrebbero dovuto arrangiarsi da sole. Il contro esempio Fiat In passato, in tema di sviluppo industriale, si diceva che “quanto va bene alla Fiat, va bene all’Italia”, ed in questo modo la Famiglia Agnelli continuava ad assicurarsi fatturati (ed utili) in contesti di produttività decrescente e di perdita di competitività. Le vicende di oggi raccontano l’esatto contrario: il contratto aziendale Fiat e il relativo referendum

tra gli operai di Mirafiori, sono la contro prova più evidente della distanza che intercorre tra il mondo dell’impresa ed il Paese. Riforme annunciate e mai attuate, grandi opere mai realizzate, semplificazione normativa al palo, un sistema di rappresentanza politica e degli interessi avvitato su sè stesso. In questo senso il manager Marchionne impersona il totem di ciò che vorrebbe fare ogni imprenditore: sganciarsi dallo Stato (non chiedendo più sussidi, diretti o indiretti) sganciarsi da un sistema della rappresentanza che non evolve e non si rinnova (Confindustria e Cgil) e fare per conto proprio nell’interesse esclusivo dell’azienda per cui lavora. Certo, non convince fino in fondo uno stile che, nell’epilogo, è parso quasi ricattatorio; tuttavia alla prova dei fatti il risultato ottenuto è in linea con quanto viene richiesto dal nuovo concetto di competitività. Quale è quindi la lezione che da tutto ciò possono trarre gli imprenditori delle Pmi? La prima è la fotogra-

fia di uno stato di fatto: nulla di buono può venire dalla sponda pubblica così come è strutturata. E ciò non solo in riferimento a specifiche misure a sostegno dell’impresa, che sappiamo essere imbrigliate da una rigida politica di bilancio, ma purtroppo anche

in riferimento agli altri capitoli fondamentali sui quali occorre da tempo intervenire per poter ricavare risorse in favore del rilancio delle nostre piccole o piccolissime attività; parliamo delle liberalizzazioni, dei servizi, delle privatizzazioni. Insomma, di quelle

politiche che potrebbero essere a costo zero e che, se opportunamente gestite, potrebbero generare introiti sia immediati che soprattutto futuri. E’ chiaro poi che tutte le risorse disponibili possono essere vanificate velocemente se non accuratamente ricollocate in un progetto che deve uscire da una nuova strategia industriale che tenga conto delle nuove variabili che la globalizzazione ha introdotto e che l’attuale crisi ha soltanto messo in evidenza drammatica. La visione di chi governa continua ad essere drammaticamente miope e, a volte, addirittura priva delle competenze necessarie. La seconda, è che sembra valere la legge della giungla: chi ha mezzi e potenziale economico, e quindi di ricatto , può permettersi di alzare i toni della discussione e, grazie a questo, concentrare su di se l’attenzione mediatica e politica. L’ipotetico risvolto di un pullulare di contratti aziendali in sostituzione di quello nazionale sarebbe l’abdicazione macroscopica di un sistema di rap-

presentanza e di tutela non solo dei lavoratori, ma anche dell’impresa, che individualmente non riuscirebbe certo a gestire delle partite così complesse come la trattativa per il contratto di lavoro, se non altro per evidenti motivi di tempi e costi imputabili a quel fine. La terza è una sintesi delle due precedenti: se nulla ci si aspetta dal pubblico e se per di più si rischia una costosissima deriva “anarchica”, allora, forse molto più che in passato, vale la pena di valorizzare iniziative di aggregazione tra imprese a fronte di obiettivi comuni: potrebbe trattarsi di aggregazioni su base territoriale, per comuni interessi commerciali, di rappresentanza, di acquisto, di economia di servizi o di finalità tecnologiche. In altre parole, oggi più che mai, risulta centrale il ruolo di un’Associazione territoriale che, se inserita in un sistema che sposa con tutti i suoi attori un progetto di pianificazione per il suo sviluppo, riesce a compensare quelle inefficienze e quella miopia che si continuano ad at-


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