Anno 30 - N° 3 - € 0,50
Marzo 2011
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I giovani chiedono più coraggio nelle scelte per il rilancio del Paese
IL PAESE CHE VOGLIAMO: LIBERI… DI FARE IMPRESA
di Marco Colombo Presidente Nazionale Giovani Confartigianato
“Il Paese che vogliamo: Liberi… di fare impresa” è il titolo scelto per l’assemblea nazionale dei Giovani Imprenditori di Confartigianato. Solo in un Paese dove le imprese e le persone sono supportate nel loro sviluppo, si possono creare le condizioni per una reale libertà. A volte sembra che i problemi delle nostre imprese e dei nostri collaboratori nei confronti dei quali ci sentiamo responsabili di garantire, tutti i giorni, uno stipendio non interessino e quindi, ancora una volta, siamo costretti ad arrangiarci da soli. A volte sembra quasi che siamo noi ad essere staccati dalla realtà. Nel paese che vogliamo per le imprese chiediamo con determinazione un progetto fondato su quelle riforme di cui da troppo tempo si parla ma la cui piena attuazione sembra ancora essere lontana. La politica forse non ha ancora compreso che se il nostro Paese ha pagato un prezzo meno pesante di altri questa crisi, è proprio grazie al nostro tessuto imprenditoriale che ha resistito magari ridimensionandosi ma che ancora esiste. Il nostro è un Paese che ha la potenzialità per
tornare ad essere competitivo e agganciare la forte crescita che Paesi europei come la Germania stanno ottenendo. Il nostro futuro dipenderà dalle scelte che il sistema politico deciderà di adottare. L’Italia ha i numeri per evitare il declino a patto che smetta di sprecare risorse e talenti, e affronti le riforme strutturali che riguardano il tema del welfare, dell’occupazione, dell’istruzione, delle infrastrutture e della burocrazia. I dati sull’occupazione ci forniscono l’occasione per una riflessione che tocca tutto il sistema. Ci troviamo di fronte non solo a una drammatica realtà che indica una disoccupazione giovanile quasi al 30% ma che evidenzia anche un impatto pesante sul sistema previdenziale, sulla stabilità sociale, sull’economia, sulle imprese, sul nostro stesso futuro. Il momento economico è difficile per tutti ma sicuramente alcune categorie vivono situazioni più pesanti come il settore manifatturiero e quello delle costruzioni. In altri settori, come nella meccanica e nei servizi, molte aziende possono viaggiare ad una velocità superiore anche se nessuno ha la sensazione di guidare una Ferrari. Per questo dobbiamo creare nuova fiducia negli
investitori stranieri, siamo pur sempre la terza economia europea alla pari del Regno Unito, e la sesta economia mondiale. Siamo il Paese con il primato europeo per numero di giovani imprenditori. L’economia mondiale
hanno risorse da riversare sul mercato. Senza immaginare il confronto mondiale come una guerra commerciale permanente, appare necessario uscire in massa dai nostri territori per acquisire nuove opportunità per i
cresce in particolare nei paesi emergenti come Brasile, India, Indonesia, Africa oltre alla solita Cina, e questa circostanza deve essere vista come un’opportunità. Occorre orientare il nostro Made in Italy verso quelle economie che oggi
nostri prodotti. Per fare questo abbiamo bisogno di un Paese moderno, fatto di infrastrutture, di giustizia rapida, di formazione dei giovani, di un fisco equo sorretto da una seria lotta all’evasione fiscale, di quelle libe-
ralizzazioni che rendono meno ingessato il mercato e consentano alle imprese di crescere e svilupparsi e ad altre di nascere. Tutto questo lo diciamo perché anche da noi, come accade per altri Paesi che crescono ad un ritmo del 3-4% annuo, si possa saltare la soglia deprimente dell’1% annuo. Per questi motivi e per poter investire nelle nostre imprese nel paese che vogliamo le imprese chiedono di agevolare l’accesso al credito, le banche italiane sono tra quelle a livello mondiale che meglio hanno reagito alla recente crisi mondiale, ma sono anche le stesse che non investono nei progetti dei giovani e che preferiscono la garanzia del capitale all’investimento nelle idee. Al sistema bancario, quindi, chiediamo di più. Chiediamo di guardare lontano, di lavorare insieme a noi, di investire insieme a noi per andare verso nuovi mercati dove la scommessa del Made in Italy possa risultare vincente. Nel Paese che vogliamo serve una scuola in grado di dialogare con il mondo delle imprese. I giovani sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto, faticano a trovare lavoro e se lo trovano sono spesso precari. In Italia i
giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non cercano lavoro sono 900.000 e salgono a 2.000.000 se inseriamo anche i disoccupati. Bisogna costruire un legame che porti i giovani a fare un tuffo nella realtà vera, nel mondo del lavoro, un mondo dove gli apprendisti di oggi possano essere i manager di domani. Nei nostri giovani deve tornare la voglia di scommettere su se stessi, di avere fame di lavoro e gusto per il lavoro senza timori e senza riserve mentali. Questa fase della nostra economia deve aiutarci a temere solo “il non lavoro” non ad avere paura di un lavoro diverso, nuovo e antico. Nel Paese che vogliamo per essere liberi di fare impresa serve una politica che torni ad essere responsabile, vicina alla gente, attenta al bene della collettività e non dei pochi. Il bene comune deve essere la vera e unica priorità, affinché si possa dare respiro a quella società fatta di migliaia di famiglie e imprese che con il proprio lavoro hanno mantenuto e mantengono intatto il tessuto sociale italiano, il grande valore che ha contribuito a creare quell’unità d’Italia che nei prossimi giorni ci apprestiamo a festeggiare.