Diego Facta e Marilivia Minnici (RD1)

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grazie alle persone che abbiamo incontrato in quest’anno di relazioni e esperienze nomadi, che ci hanno svelato visioni del reale.

di Diego FACTA e Marilivia MINNICI relatore: Stefano MIRTI per il Master Relational Design - Abadir



SPAZI ALTI INDICE 06 Introduzione PARTE PRIMA 10 12 14 16 18 19 26 33 39

cos’è SPAZI ALTI manifesto come lo facciamo categorie d’interesse casi studio cibo arte musica ambiente PARTE SECONDA

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logotipo il sito home about tetti cose che succedono agenda modi di fare contatti conclusioni

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SPAZI ALTI inizia dall’incontro con le ideatrici della startup ORTI ALTI. Una start up che realizza orti sui tetti piani delle città, un modo per riscoprire così i piaceri della terra senza rinunciare alla realtà urbana. La start up viene creata nel 2013 dagli architetti Elena Carmagnani e Emanuela Saporito, dopo la realizzazione del primo progetto pilota nel 2010: Oursecretgarden, un orto nel cuore del quartiere di San Salvario, sul tetto del loro studio. 30 mq di verde condiviso tra 7 famiglie del condominio. Nel 2010 vincono il premio per

l’innovazione

”Amica

dell’Ambiente”

dell’associazione

Legambiente. Da questo prototipo la startup viene implementata e sviluppata per scuole, biblioteche, supermercati e uffici. OrtiAlti è un pacchetto unico che prevede una parte di progettazione e una di educazione base degli abitanti all’agricoltura. In una città come Torino, le possibili superfici di sviluppo, tra gli edifici di fine 800 e 900, sono numerose: garage, bassi fabbricati, spazi non utilizzati interno cortile. Investire nella trasformazione di queste superfici in spazi produttivi, rivitalizza il luogo e aumenta il valore commerciale del fabbricato. OrtiAlti ha anche funzione di isolamento termico con possibilità di elevata riduzione dei costi di riscaldamento e raffrescamento dell’edificio. 7


Il vivere quotidianamente uno spazio come l’orto diventa pretesto per riscoprire i momenti di piacevole condivisione con il vicinato, un modo per riconvertire lo spazio urbano e aumentare la qualità della vita allo stesso tempo. Uno dei primi riconoscimenti per Orti Alti proviene da oltreoceano: nel 2013 la startup è stata selezionata dalla Banca europea per gli investimenti tra gli oltre 300 progetti di innovazione sociale presentati. Nel 2015 vincono il primo premio per We-Expo for Women. Già oggi la startup sta lavorando con il Dipartimento Ambientale per disegnare una mappa di un potenziale “mercato dei tetti”. Questo progetto riesce a unire contemporaneamente le dimensioni economica, sociale e ambientale. Il progetto ha suscitato il nostro interesse in quanto si pone come obiettivo la progettazione di un sistema di relazioni. E SPAZI ALTI vuole promuovere la rete dei tetti individuando uno sviluppo del servizio in una direzione più ampia. Il tetto è il luogo dove osservare tramonti con il vento d’estate, un luogo dove osservare la città da un altro punto di vista e dove osservare il cielo. I tetti sono dei luoghi in sospensione.

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PARTE PRIMA 9


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SPAZI ALTI living the city upside down SPAZI ALTI promuove la rivitalizzazione dei tetti delle città attraverso attività che si svolgono ad un altro livello. Superfici dimenticate e inattive come altra possibilità di creazione di spazi relazionali a favore del vicinato e dei visitatori. SPAZI ALTI propone nuove forme di condivisione degli spazi. Il condominio è il centro della socialità urbana, dove si condivide lo stesso tetto, il luogo social per eccellenza, luogo di vita e di scambio. SPAZI ALTI propone la creazione di uno spazio collettivo all’interno di un luogo privato, dove ospitare e generare proposte culturali e attività, per uso proprio o aperte a un pubblico esterno. Aprire i tetti presenta la possibilità di osservare la città da nuovi punti di vista.

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I tetti sono spazi dimenticati. L’idea è di restituire uno spazio aperto all’interazione sociale all’interno di una dimensione pubblica in esaurimento. Portare una parte della città ad un livello più alto. Recuperare spazi improduttivi attraverso la loro riattivazione in cima alla città. Questi spazi si estendono così ai rapporti con il contesto urbano e ne influenzano la struttura. SPAZI ALTI è un portale online che mette in contatto persone in ricerca di un spazio da usare per un’attività di breve periodo, con persone che dispongono di uno spazio extra, inutilizzato, da offrire. La prerogativa è che questo sia una copertura piana di un edificio. Le superfici includono coperture piane di supermercati, scuole, uffici, garage, bassi fabbricati, singoli privati... Esistono un offerente e un utente generico che necessita dello spazio.

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Cercando persone disponibili a esser coinvolte. Generando online e offline una comunità formata da tutti coloro che prendono parte all’iniziativa. Creando una piattaforma online di riferimento attraverso un lavoro di comunicazione e la creazione di hype e interesse sull’argomento. Attraverso una mappa. Attraverso la gestione di logistica e curatela delle superfici disponibili (a cura di ORTIALTI).

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CIBO La componente ricreativa nell’uso dei tetti piani emerge negli Stati Uniti verso la fine del XIX secolo: gli spazi alti dei condomini, sono stati visti fino ad allora come poco privati in quanto accessibili da chiunque e di scarso valore, riservati all’asciugatura della biancheria; anche i balconi venivano visti con accezione negativa in quanto troppo esposti alla componente pubblica e caratteristici delle case dei lavoratori immigrati. La svolta ci fu con l’inaugurazione di un teatro all’aperto sul tetto del Casino Theatre a New York da parte di Rudolph Aronson che, fresco di un viaggio in Europa, volle ricreare l’atmosfera degli urban gardens nei quali d’estate venivano ospitate performance musicali e teatrali, cosa che nel suo fabbricato era impossibile vista la mancanza di aria condizionata; questo unito all’elevato valore e quindi costo degli spazi in Manhattan, lo spinse a replicare l’idea europea sul tetto del suo teatro appena costruito a Broadway (5), potendo così offrire spettacoli anche durante l’estate. Questo fece fiorire una gran quantità di teatri soprattutto nel distretto teatrale di Broadway introducendo la moda dei roof gardens, che presto divennero simbolo del bon vivant metropolitano: il Madison Square Garden (4) costruito nel 1890 ad esempio, nel disegno originale, prevedeva un ricco giardino italiano sul tetto. Col tempo e l’avvento di nuove tecnologie, quali il cinema, molti 19


dei palchi vennero smantellati sia all’esterno che all’interno dei teatri e riconvertiti in alcuni casi per le proiezioni su schermo. Il fascino della socializzazione nelle parti alte delle città venne portata avanti dagli hotel e dai ristoranti, così come da alcuni privati. Le nuove tecnologie fecero anche crescere il valore degli immobili ai paini alti dei palazzi: l’ascensore risparmiava le estenuanti scalate verso gli attici, nel frattempo erano divenuti comuni anche alcuni accorgimenti per limitare l’accessibilità a questi spazi come scale e porte private. Con i ruggenti anni 20 (3) si arriva al culmine della teatrlità nell’allestimento dei tetti, siepi, fontane coreografiche e pergolati floreali accompagnavano gli ospiti nelle degustazioni dei cocktails e nelle feste, erano un must nella costruzione dei nuovi hotel. La crisi generale che colpì l’economia a livello globale negli anni ‘30 e la guerra in seguito, fecero calare l’interesse per le potenzialità di questo elemento urbano, che tornò in auge nel dopoguerra con dibattiti ed esempi architettonici che fecero (ri) scoprire modi diversi e innovativi, non strettamente commerciali, per l’utilizzo degli spazi alti urbani Molti sono gli esempi odierni di bar e ristoranti ubicati agli ultimi piani di hotel e grattacieli, più si sale in altezza, più cresce il valore dell’esperienza, contrariamente a quanto succedeva in passato. Spesso questi locali assumono un’importanza tale a livello locale da diventare parte del patrimonio culturale e quindi turistico delle 20


città. Gli esempi che ci sembrano più interessanti però vanno oltre il mero concept di lounge bar e sono quelli in cui si sfruttano le forti potenzialità relazionali della ristorazione insieme a buone pratiche socio economiche o intrattenimento più strutturato, che genera, grazie all’ausilio dei mezzi digitali, una fidelizzazione interessante, facendo del posto un punto di incontro fisso per molte persone all’interno di un quartiere o dell’intera città. Esempio dell’unione di buone pratiche alla questione è un progetto del duo di progettisti Something & Son presentato alla Triennale di Folkestone del 2014: un tradizionale negozio di fish and chips (1) che nel retro ospita un tunnel in polietilene ad alta automazione tecnologica per la produzione dei tuberi e l’allevamento dei pesci che verranno trasformati nel prodotto da consumare. I benefici economici e ambientali sono molteplici e nel caso di gestione condivisa da parte degli abitanti del palazzo/ isolato/ quartiere si arriva a riprogettare anche il tessuto sociale in questione per un consumo consapevole e collaborativo. Nel periodo della triennale venivano date istruzioni per svolgere semplici compiti di manutenzione, alle persone di riferimento che abitavano nella struttura ospitante l’installazione, attraverso facebook. Sempre in Inghilterra ma a Londra troviamo invece Frank’s (2) un bar risorante costruito sopra il tetto di un garage multipiano da Practice Architecture, aperto dal bartender Frank Boxer e dallo chef Michael 21


Davies. L’aspetto interessante in questo caso è rappresentato dallo stakeholder Bold Tendencies, un’organizzazione non-profit che si occupa di commissionare e curare progetti artistici, che è partner fisso del locale e che vi organizza eventi e mostre. Per capire il successo di questa combinazione è sufficiente guardare i canali social di Frank’s che coinvolgono attivamente molte persone che hanno fatto di questo bar una tappa fissa dell’estate londinese o che chiedono quando sarà organizzato il prossimo concerto o evento. Per la prima volta nel 2014 affidano l’allestimento del tetto ad un solo artista, James Bridle che mette in scena per l’occasione la sua opera “Right to flight” che oltre all’installazione artistica in sè, ha visto susseguirsi nell’arco dei tre mesi una serie di eventi ed incontri con giornalisti, urbanisti ed attivisti sul tema dell’opera.

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SITOGRAFIA http://www.theguardian.com/cities/2014/jul/15/the-right-toflight-why-im-flying-a-balloon-over-london-this-summer http://www.dezeen.com/2014/09/09/amusefood-fish-andchip-shop-farm-something-son-folkestone-triennial-2014/ http://www.citylab.com/design/2014/08/the-surprisinglyshort-history-of-the-rooftop-happy-hour/375739/ http://www.hotelnewsnow.com/Article/10991/Rooftop-barswhet-investor-appetite http://www.folkestonetriennial.org.uk/ http://frankscafe.org.uk/information/

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ARTE La pratica di considerare gli spazi alti come luoghi ideali per ospitare e mostrare la ricchezza e la bellezza culturale ed artistica, risale a molto lontano: il Partenone ad esempio venne eretto sull’Acropoli, il tetto della città di Atene. L’arte è però cambiata nel corso della storia, andando oltre la dimensione pubblica: il susseguirsi di supporti, soggetti e formati insieme alla presenza di diversi sistemi di committenza e la diffusione del collezionismo hanno fatto in modo che crescesse la dimensione privata nella fruizione delle opere, meccanismo da secoli alla base, seppure con un bacino d’utenza oggi molto allargato, delle istituzioni museali tradizionali. La Street Art (8) negli ultimi decenni ha però obbligato a rimettere in discussione questo sistema elitario basato su secoli di storia e tradizioni, riportando l’arte, appunto, nelle strade, liberamente fruibile da tutti, in qualsiasi momento. Le superfici sopraelevate hanno giocato un ruolo importante in questa rivoluzione culturale, insieme ai paesaggi sotteranei e ferroviari, le pareti in prossimità dei tetti sono state sempre apprezzate dagli street artist sia per la strategicità che per la visibilità che questa posizione offre. Questa potenzialità strategica è alla base del Water tank project (9) sviluppato a New York, città ricca di serbatoi e cisterne sulle estremità degli edifici (nella sola Manhattan sono state più di 17000 le cisterne tra cui sceglere) che ha coinvolto artisti come 26


Laurie Simmons, John Baldessari, Catherine Opie, Mickalene Thomas, Kenny Scharf, Carrie Mae Weems, Ed Ruscha e Jeff Koons che hanno trasformato i serbatoi in tele per richiamare l’attenzione sulla crisi globale dell’acqua. La visibilità e la libertà di accesso sono forse gli aspetti più interessanti del portare in alto installazioni e opere; per diversi musei questa non è più una novità, molti dispongono oggi di un tetto piano aperto al pubblico che allestiscono periodicamente con mostre, Il Metropolitan Museum e il MoMA sono tra gli esempi più celebri, con apposite commissioni istituzionali che ne curano i programmi. Si muovono in questa direzione alcuni esempi che offrono però un punto di vista innovativo sul concetto di gallerie a cielo aperto: A Budapest l’estate scorsa, Péter Bencze, un venticinquenne studente di business marketing e appassionato di arte contemporanea, ha inaugurato ENA Viewing Space, una galleria definita “Roofless spot dedicated to contemporary art” di sua proprietà che cura attraverso l’agenzia d’arte Everybody needs art, che ha fondato nel 2011. La scelta di aprire la galleria sul tetto di un edificio è strategica, secondo lui, per scardinare la percezione di galleria come luogo per ricchi di mezza età appartenenti a circoli esclusivi, rendendo informale e piacevole la visita e scegliendo di ospitare pezzi dal valore commerciale eterogeneo (i prezzi sono a partire da 300€). Spostandosi nell’emisfero boreale, troviamo a Melbourne Rooftop Art Space (6), una parete dedicata all’arte composta da nove 27


cassette-vetrina, allestibili su richiesta tutto l’anno, sulla sommità di Curtin House, spazio conosciuto soprattutto per le proiezioni cinematografiche che vi vengono periodicamente organizzate. Uno spazio per incoraggiare la scoperta di artisti emergenti con vernissage ed eventi così come per far apprezzare e conoscere quelli già affermati. Un bell’esempio di commistione tra pubblico e privato, tra arte ed architettura, è rappresentato dal tetto piano della Cité Radieuse di Le Corbusier a Marsiglia: originariamente inteso come spazio comune per gli inquilini, destinato ad attività ricreative con solarium, piscina e palestra, era in disuso da anni fino a quando nel 2010 viene messo in vendita ed acquistato dal designer Ora-Ïto che opera una riqualificazione restituendo alla città questo spazio nell’estate del 2013 con il nome di MAMO (7), un luogo per l’arte contemporanea con un caffè e spazio per residenze d’artista. Il designer riconosce di essere riuscito a creare una relazione tra la città e l’edificio, fino ad allora sentito come distante, estraneo (veniva denominato dai locali come la casa dei pazzi.)

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SITOGRAFIA http://nippaysage.ca/en/impluvium.html http://momaps1.org/yap/view/12 http://www.thewatertankproject.org/ http://www.huffingtonpost.com/2014/09/04/the-water-tankproject_n_5754244.html http://www.fatcap.com/graffiti-type/rooftops/pictures. html?page=3 http://www.artribune.com/2015/04/milano-mostra-sculturetony-cragg-tetto-terrazze-duomo-expo-2015/ http://www.dezeen.com/2013/04/09/le-corbusiers-citeradieuse-rooftop-to-open-as-art-space/ h t t p : / / w w w. w a l l p a p e r. c o m / a r t / d a n i e l - b u r e n - t a k e s over-the-rooftop-of-le-corbusiers-cit-radieuse-with-dfini-finiinfini/7625#101442 http://www.metmuseum.org/about-the-museum/press-room/ exhibitions/2014/roof-garden-dan-graham https://www.blogger.com/profile/05633171266564735029 http://budapesttimes.hu/2014/12/13/skys-the-limit-for-rooftopart/ http://www.enaviewingspace.com/ https://www.facebook.com/rooftopartspace 31


http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/04/11/foto/ milano_il_manifesto_pubblicitario_e_una_maxi_tela_da_90_ metri_quadri-111675097/1/#1 http://www.ora-ito.com/mamo-en/ h t t p : / / w w w. w a l l p a p e r. c o m / a r t / d a n i e l - b u r e n - t a k e s over-the-rooftop-of-le-corbusiers-cit-radieuse-with-dfini-finiinfini/7625#101442 http://mamo.fr/historique/

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MUSICA 30 gennaio 1969, i Beatles (10) suonano a sorpresa quello che sarebbe stato il loro ultimo concerto. Scelgono come location il tetto della loro casa discografica, la Apple records. 42 minuti di set per il lancio del film “Let it be”, dal titolo del loro omonimo brano. “There was a plan to play live somewhere. We were wondering where we could go—’Oh, the Palladium or the Sahara.’ But we would have had to take all the stuff, so we decided, ‘Let’s get up on the roof’”. Michal Lindsay-Hogg, regista del film, riesce a riprendere l’evento e le reazioni curiose del pubblico in strada. In maniera imprevista, le persone, attratte dalla musica, salgono sul tetto e sui tetti vicini per assistere al concerto. Fino all’arrivo della polizia, chiamata da alcuni condomini, e interrome la performance. E John Lennon esclama “I’d like to say thank you on behalf of the group and ourselves and I hope we’ve passed the audition.” L’esibizione verrà citata in diverse situazioni. Nella quinta stagione dei Simpson, Homer e la sua improvvisata band eseguono una loro hit sul tetto. Gli U2 (11) nel 1987 ripetono la performance su un tetto di Los Angeles, registrando il videoclip di “Where the streets have no name”. Successivamente anche gli LCD Soundsystem producono un video 33


citazione dei Beatles per il brano “Dance Yoursel Clean” (12). I componenti della band sono i Muppets e il pubblico sorpreso riprende dalla strada l’evento. Il tetto diventa un palcoscenico urbano perfetto. Numerosi sono i casi di festival musicali e concerti che vengono ospitati sui tetti come il The Rooftop Concert Series che nasce nel 2010 da quattro residenti di Provo al fine di far conoscere alle persone cosa può offrire questa città. Il festival dei tetti diventa così il pretesto per far conoscere la città. A New York il progetto Subways Sets (15) porta i musicisti della scena undergrond sui tetti della città in una scena del film “No one knows about persian cats” (14) i due protagonisti Ashkan e Negar, alla ricerca di altri musicisti per la loro band, incontrano un gruppo di ragazzi costretti a suonare di nascosto sul tetto di un palazzo per fare in modo che i vicini non chiamino la polizia. Il film è il racconto di un ragazzo e una ragazza che in seguito ad alcuni problemi con la giustizia iraniana escono di prigione e formano una band rock, proibite dal regime persiano. Il regista Barman Ghobadi che ha girato il film senza autorizzazione, offre così il ritratto di una Teheran nascosta in cui i giovani cercano di resistere al divieto di qualsiasi forma di espressione non in linea con il regime. Negli utlimi anni Redbull costruisce un format in Australia dove chiede a disposizione dei tetti in cambio dell’organizzazione di 34


un party per la realizzazione del progetto RedbullRadioRooftop. Le esclusive Boiler Room (13), hanno trovato in alcune situazioni ospitalità sui tetti di Londra, New York e Melbourne. Boiler Room è una piattaforma musicale che ospita intime sessioni di musica dal vivo, a cui è possibile partecipare solo su invito e ospitate in luoghi per lo più privati. É possibile assistere allo streaming live sul sito Boiler Room e attraverso i canali YouTube e Dailymotion, contando oggi oltre 1,5 milioni di abbonati attivi. Viene così confermato il carattere del tetto piano all’interno di una città come luogo intimo e senza sovrastrutture. Uno spazio non ancora regolamentato, di fascino e suggestione per piccole realtà. Il tetto torna a essere un palcoscenico abusivo, un retroscena in cui la scena non è ancora stata messa in mostra.

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SITOGRAFIA https://www.youtube.com/watch?v=BqPmOhvbi_A https://www.youtube.com/watch?v=Zj9Sv1JpmPs http://www.subwaysets.com/ https://www.youtube.com/watch?v=Dypn6oBAsv8 http://www.rooftopconcertseries.com/ http://www.belgravemusichall.com/roof-terrace/ http://rooftopsessionschicago.com/ https://vimeo.com/46884936 https://www.youtube.com/watch?v=HV-nNEXgsOk https://www.youtube.com/watch?v=g3AMQCf4lj4 http://www.redbull.com/cs/Satellite/en_AU/Red-Bull-RadioRooftops/001242927402051

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AMBIENTE Dai giardini Pensili di Babilonia all’estetica moderna della Nuova Archittetura di Le Corbusier, quello di integrare la natura nell’architettura è sempre stato considerato un valore aggiunto da progettisti e cittadini. L’ispirazione dei moderni green roofs risale invece alle case vernacolari islandesi e scandinave (16) che usavano questa tecnologia sia per isolare termicamente le abitazioni che come conseguenza alla mancanza di risorse naturali per la costruzione. (Magnusson, 1987). I primi esperimenti moderni sono stati portati avanti in Germania nei tardi anni ‘60, con conseguente immissione sul mercato e diffusione più o meno omogenea a livello globale. Alla fine degli anni ottanta un secondo traguardo importante che vede lo sviluppo di tetti verdi estensivi, più economici e semplici da posare. I vantaggi ambientali sono noti, un migliore isolamento termico che permette di risparmiare sul riscaldamento/raffreddamento degli edifici, ricostituzione di superfici verdi, produzione di ossigeno e ritenzione idrica che alleggerisce il carico del sistema di drenaggio e smaltimento delle acque meteoriche. Sono ormai innumerevoli gli esempi di coperture che contribuiscono a preservare l’ambiente, gli esempi più interessanti in questa sede non si fermano al mero intervento architettonico ma agiscono su livelli differenti creando communities e interazioni sociali che vanno oltre il costruito e nuovi modelli di business. 39


Higher Ground Farm (19) è un ottimo esempio di

intervento

multilayer: ubicata sul tetto del Boston Design Center dal 2013, nella zona del distretto portuale della città (Southie), è un’area agricola commerciale in cui si coltivano insalate, erbe aromatiche e pomodori che entrano nella filiera della ristorazione locale o vengono venduti alla comunità grazie ad uno stand allestito all’interno del Design Center stesso. Oltre alla vendita offrono consulenza per la creazione di altre aree agricole lasciando liberi i proprietari di associarle ad Higher Groung Farm oppure no; offrono anche la possibilità di visitare su richiesta i loro spazi e di effettuare una internship, retribuita ad ortaggi. A New York invece opera Bright Farms (20), il concept è sempre quello di rendere la superficie piana inutilizzata del tetto produttiva, in questo caso il focus sono però i supermercati: Il modello di business, sviluppato a partire dal 2011, è semplice: l’azienda firma un accordo con il supermercato o la catena di negozi. L’accordo prevede che BrightFarms possa costruire a sue spese una serra idroponica sul tetto del supermercato, per poi gestirla utilizzando impianti per la raccolta del calore disperso, per esempio, dall’aria condizionata o dai frigoriferi. Il supermercato, oltre a mettere a disposizione il tetto e il calore disperso, si impegna ad acquistare da BrightFarms, ad un prezzo fisso per un periodo di 10 anni, un certo costante quantitativo dei vegetali prodotti nella serra. Per BrightFarms il periodo è quello necessario per rientrare dell’investimento. 40


Scaduto il termine i clienti possono decidere se continuare la collaborazione, con Bright Farms o autonomamente, oppure smantellare l’impianto. La mission è quella di fornire prodotti freschi dal prezzo fisso, possibile grazie alla produzione in loco che taglia le spese di distribuzione e trasporto. Similmente opera, sempre a New York sulle rive dell’East River, Eagle Street Rooftop Farm, che gestisce uno spazio coltivato di circa 600 m2 che, oltre a servire diverse attività di ristorazione della zona, è molto attivo anche nella diffusione di buone pratiche alimentari ed ambientali grazie alla partnership con Growing Chefs, un’organizzazione che promuove programmi educativi sulla produzione ed il consumo di cibo di cui ospita diverse attività. Lo statuto prevede un’apertura fissa settimanale per le visite nel periodo di attività in cui si vendono direttamente al pubblico i prodotti dell’orto. Sul loro sito (http://rooftopfarms.org/) troviamo una call for action per gli chef che fossero interessati a coltivare sul tetto dei prodotti per le loro attività. Interessante è anche il concetto dei brown roofs o biodiversity roofs, che si differenziano dai green roofs in quanto ospitano al loro interno specie autoctone rare (vegetali ed animali) e in via di estinzione; una missione che si discosta dalla produzione agricola verso la salvaguardia della biodiversità. Sempre in linea con la questione ambientale troviamo un progetto che non usa il verde bensì il bianco: The White Roof Project (18), come recita il payoff, “going green by painting white”, organizza 41


sessioni di pittura delle coperture dei tetti piani, solitamente scure per il bitume, con vernice bianca altamente riflettente. Il valore ambientale di questa azione sta nella riduzione del calore assorbito e quindi delle emissioni di CO2 (in una giornata in cui la temperatura è di 32°, su un tetto nero può arrivare a 80° mentre su un tetto dipinto di bianco rimane intorno ai 37° riducendo i costi dovuti al riscaldamento almeno del 40%.Come loro stessi dichiarano sul sito dedicato al progetto (http://www. whiteroofproject.org/about) la loro mission è triplice: educare ed attivare,contribuire alla ricerca e alle policies legate ai tetti e favorire la formazione di communities di volontari in diverse città. L’ultimo esempio che riportiamo coinvolge invece l’allevamento: a Melbourne, con il progetto Rooftop Honey (17), inaugurato nel 2010, si vuole sensibilizzare la popolazione sull’importanza delle api nell’ecosistema locale (per l’impollinazione di piante che contribuiscono a soddisfare parte del fabbisogno alimentare) destinando alcuni tetti ad ospitare colonie d’api recuperate dai dintorni, che sarebbero altrimenti scomparse. Il miele e altri prodotti derivati, vengono poi venduti, anche online. É prevista anche una parte educativa e di mentoring per chi volesse cimentarsi in questa pratica sul proprio tetto.

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SITOGRAFIA http://www.greenroofs.com/ http://www.ltu.edu/water/greenroofs_history.asp http://www.greenrooftechnology.com/history-of-green-roofs http://www.ltu.edu/water/greenroofs_history.asp

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PARTE SECONDA 47


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s v iluppo brand O r tiAlti d i Kalimera s. r. l

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Futura ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ ÀÈÉÌÒÙ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz àèéìòù 1234567890

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IL SITO

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Come strumento di comunicazione per il progetto, abbiamo scelto il web: un sito internet affiancato da alcuni social network. Attualmente in fase di prototipo, il sito potrebbe essere registrato con il dominio www.spazialti.com, al momento disponibile in commercio (come anche .org, .it, .info, .co); l’esperienza dell’utente inizierebbe nella home.

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HOME

La pagina iniziale riporta il logo nell’header e si sviluppa con un menu verticale che elenca tutte le sezioni del sito, che si chiude con le icone dei canali social aperti (facebook, twitter, instagram). Ogni voce, cliccata, porta alle pagine di riferimento, le icone dei social network rimandano invece ai rispettivi siti, esterni, che si aprono separatamente come nuove pagine/schede. Le voci che compongono il menu sono: Cos’è, Tetti, Cose che succedono, Agenda, Modi di fare, Contatti.

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ABOUT

Nell’About viene spiegato il progetto attraverso un blocco testuale, seguito da un video che racconta Ortialti, progetto da cui siamo partiti per lo sviluppo della proposta di Spazialti, che prosegue nello scroll con un altro blocco di testo per contestualizzare il video, che deve essere esplicativo abbastanza da servire come alternativa al video, che non tutti gli utenti guardano. Nel footer di tutte le pagine interne è previsto un menu di rimando a tutte le parti del sito per facilitare la navigazione e delle icone che collegano ai social network.

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TETTI

In questa sezione vengono elencati i tetti che hanno indicato disponibilità e interesse ad essere coinvolti nel network, divisi in base alla superficie in 3 macrogruppi, identificati dalle taglie S (<64 m2), M (64/225 m2) ed L (>225 m2). Cliccando su una taglia, si accede ad un’altra pagina contenente l’elenco dei tetti in formato immagine/ breve descrizione riportante dimensioni zona e note sulle commodities presenti (disponibilità di prese elettriche, illuminazione, copertura..) e una call for action, nel caso si fosse interessati a riservare lo spazio, che collega alla pagina “Contatti”

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COSE CHE SUCCEDONO

La sezione “Cose che succedono” vuole essere una finestra aperta da aggiornare periodicamente con novità e curiosità sul mondo degli spazi alti, divisa in sei categorie: Belvedere, Musica, Cibo, Cinema, Arti Visive ed Ambiente; cliccando su una voce, si atterra sulla pagina corrispondente che presenta un’anteprima degli articoli facenti parte di quella categoria, ognuno rappresentato da un’immagine, cliccando quindi sull’immagine si raggiunge l’ultimo livello di approfondimento con il testo completo dell’articolo. Oltre a testimonianze e casi studio, una volta lanciato il servizio queste sotto-sezioni racconteranno anche gli eventi organizzati da SPAZIALTI. Il materiale raccolto in queste schede verrà utilizzato nel piano editoriale delle piattaforme social.

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AGENDA

L’agenda sarà il punto di riferimento per gli eventi in programma organizzati da SPAZIALTI. Si può immaginare di inserire un calendario creato ad hoc, con suddivisioni in colori secondo le categorie elencate sotto la pagina “Cose che Succedono”. Cliccando sul giorno verranno visualizzati i dettagli dell’evento (luogo ed ora) e ipotetico collegamento ad un evento creato su facebook

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MODI DI FARE

Entrando nella sezione “Modi di Fare” l’utente troverà la possibilità di indagare come mettere a disposizione il proprio tetto e come chiedere la disponibilità di un tetto SPAZIALTI. Cliccando le voci si raggiunge una pagina in cui viene data la possibilità di leggere le regole generali del servizio o contattare direttamente il team organizzativo; nel caso in cui si proponga un tetto, il contatto si evolverà nella stipula di un contratto di comodato d’uso per l’attività organizzata e un sopralluogo da parte di un incaricato del team SPAZIALTI che verificherà l’agibilità dello spazio. Nel caso in cui, invece, si volesse manifestare interesse ad usare uno spazio, verranno inviate informazioni più precise riguardo l’ubicazione e un contratto con le condizoni d’uso da sottoscrivere, oltre a comunicare l’oggetto dell’evento per valutarne la fattibilità.

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CONTATTI

La sezione contatti riporta l’indirizzo mail di riferimento, si può ipotizzare di inserire un form contatti con le voci necessarie preimpostate (chiedo/offro) per facilitare l’iter di richiesta di informazioni e contatto.

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Tutto il lavoro e la ricerca descritti in questo documento hanno confermato l’assunto per il quale gli spazi, nelle diverse configurazioni che possono assumere, contribuiscono a comporre ed alimentare lo scenario relazionale negli spazi urbani (e non). La consequenzialità è variabile: spazi che attivano e favoriscono interazioni, spontanee o frutto di specifiche progettualità; superfici fertili da colonizzare, di cui appropriarsi (o riappropriarsi) e ritualità come elemento costruttivo di nuovi paesaggi. Una formula che, molto curiosamente, è valida anche nella trasposizione digitale: communities che delineano scenari liquidi, e piattaforme che favoriscono l’aggregazione, diversa nei modi e nelle forme, a seconda dell’hub considerato. Non si è inventato nulla, la teoria che propone la riapproprazione degli spazi sottratti al suolo, in altezza, è piuttosto consolidata, molti hanno pensato di usare gli spazi alti come catalizzatori di nuove relazioni, nel tempo però si sono intersecati fattori socioeconomici che hanno portato al disuso spontaneo di questi luoghi, a favore di speculazioni edilizie o semplicemente all’abbandono. Il progetto Ortialti è stato un punto di partenza fondamentale per portare avanti l’idea di questo servizio che si propone come riattivatore di una nuova e ritrovata socialità, che pensiamo possa inserirsi bene nel contesto urbano che abbiamo scelto come riferimento, per molti motivi. Primi tra tutti la ricettività per 79


l’innovazione e l’affezione legata ai luoghi. Questo non esclude la possibilità di esportare il format che è dotato, a prescindere dal posto, di forza e attrattiva. Nuovi punti di vista da offrire, con grandi potenzialità, intrinsecamente poetici ed oggettivamente esclusivi, ma accessibili. Spazi alti, spazi altri.

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