UN’AVVENTURA NEL RINASCIMENTO
GABRIELE LA PORTA
NUOVA
re nudo
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Prima Edizione Febbraio 1981 Seconda Edizione Marzo 2012
PARTE I
Introduzione
Per prima cosa la pietra, le dita si sbucciano mentre si comprimono vicino ai mattoni. Volta la testa a destra e a sinistra osservando i due custodi di pietra come per chiedere aiuto. Impassibili questi continuano a guardare nel vuoto. La forza continua fisicamente a premerlo contro il muro. Spingendo con le mani e con le spalle tenta di staccarsi dalla parete, inutilmente. Soffi liquidi gli scendono dalla pancia verso le gambe, iniettando in ogni spora e fibra stanchezza, simile ad un formicolìo, mentre avverte i piedi nel vuoto, come fosse sospeso. Ondate di luci, via via più grandi, gli passano dal retro della testa verso gli occhi, fasciandolo in un brillantìo di lucciole. Il primo respiro gli si ferma a mezzo, mentre tenta di inghiottire, il secondo si arresta del tutto. La mano guantata risale lungo la spina dorsale e si arresta al petto, dilatando le dita verso i polmon i e continua ad espandersi inerpicandosi con l’indice lungo la gola fino alla bocca, pigiando sulla lingua. Si spaventa. Ancora una volta la forza lo spinge contro il muro, mentre i piedi ruotano leggermente verso l’alto facendo compiere al corpo delle oscillazioni circolari, in cui la testa viene a trovarsi sempre più verso il basso. Il dito che preme la lingua si scioglie permettendo un piccolo grido. Ho paura, pensa. Metà cervello gli manda dritte dietro gli occhi queste sillabe: prima 1’« h », poi la «o», una pausa ed ancora la « p » ed ancora « aura ». L’altra metà incista in sé la « a », la «u», la «r» e la « a ». Così si tranquillizza. Venendo dall’esterno la voce gli si materializza in un orecchio, spandendo il ricordo dentro il cranio. Parlava Zolla, quando era a casa sua, dialogando con il padre. Stesso suono stessa voce, ora presente all’interno, chiaro un ricordo. 5
« Aura - diceva il filosofo - viene da aurum, ovvero oro, è una proprietà stupefacente, sublimazione della quinta essenza solare, quando l’aura prende la trasformazione è in atto.» Ora è calmo, le lettere passano dalla testa più piccola fermandosi in fondo ai piedi, dandogli peso e riportandoli verso il basso. La testa, ritornata in posizione normale, comincia a premere leggermente verso la parete, procurando ancora una volta delle leggere escoriazioni alla fronte. Sorride ancora, non giudicando affatto né la forza né il resto, solo innanzi agli occhi rapida come un lampo la faccia del padre, sorride mentre anche la bocca delle figure si tira all’insù. «Che sarà mai babbo? Questa volta non capiresti nemmeno tu.» Pensieri spontanei, mentre un formicolio inverso risale progressivamente lungo le cosce e il ventre spandendosi in mille puntini dorati, gli uni colpiscono gli altri ed esplodono in tante faville e queste in altre ancora, finché il petto ne è pieno. « Aurum» - ricorda. Scintille gialle continuano a invadergli il collo e come dall’interno verso il palato, fermandosi sotto la lingua, una saliva saporita e tenera gli scende verso lo stomaco, e da qui alla pancia, un sapore caldo e tenero, rapido e continuo, poi risalente dalle vertebre su su fino alla materia grigia del cervello e qui in spire, le une dentro le altre. Un calore continuo gli invade la testa, mentre progressivamente un senso di quiete si espande lungo la persona. Aurum, ripensa ancora; le labbra si stirano nuovamente in un sorriso mentre la testa si poggia sulla spalla. Gli occhi si socchiudono e lentamente un fluido continuo l’invade. « Fra poco mi addormento - riflette - O babbo né tu né Zolla forse avete mai provato niente di questo. » Ultimi pensieri, poi lentamente e completamente le pupille ruotano all’indietro verso l’interno della testa. Mille faville le ricoprono d’oro mentre il sonno giunge silenzioso. La mano destra affonda nel muro, poi il gomito, e da lì la forza 6
fa perno spingendolo ancora una volta in avanti. Il petto pigia anche lui sulla parete, bagnandosi dell’umido dei mattoni, mentre il capo reclinato all’indietro, sorretto in qualche modo dal bagno dorato all’interno, è spinto in avanti. Non rimangono che i piedi e presto spingendo anch’essi sono rapidamente pronti ad entrare. « Non credo, davvero non lo credo. Né tu, né il tuo amico avrete mai vissuto questa ... » - il sogno, fatto di notte e punti luminosi, lo quieta definitivamente. Il corpo orizzontale si bagna progressivamente, perché sia i jeans che la camicia si sono inumiditi con le tenui gocce dei fili d’erba. Lampi dritti e veloci si ficcano dentro l’arcobaleno, e da qui in basso verso terra spandendosi in pioggia trasparente, ma sempre gialla. Poi in fondo il paesaggio comincia a svanire, finché rimane solo l’arcobaleno. Presto si incrina anche lui, la parte iniziale comincia a curvarsi e diviene «a », poi ancora « urum ». La « a » si ricongiunge e l’intera parola gli va a sbattere dritta dietro la fronte scomponendosi in mille fiammelle. Gli occhi si aprono. Michele tira su col naso mentre i denti si scoprono e la mandibola si allarga. Un grande sbadiglio. « Che bel sogno. » Punta le mani in terra: la sinistra, poi la destra, quindi lentamente fa forza sulle braccia e si mette a sedere, imbevuto della luce del sole che progressivamente sale. « Credo che nessuno, neanche tu babbo, potrà mai capirci niente in questo sogno. » Il bambino si alza allora veloce in piedi. « Oddio, ma è tardi. » Un’ansia improvvisa lo raggiunge dritta nel petto. Si era addormentato e probabilmente aveva fantasticato, davanti alla porta ermetica. Gli era accaduto altre volte; mai così. Egualmente sorride perché le faville dorate del sogno continuano a resistere all’interno delle sue cellule e da lì mandano quiete e tenerezza. « Spero che non t’arrabbierai, ma è stato cosi bello. Aspetta che ti racconti. » Si volta cercando di camminare perché la quiete di prima 7
l’invade ancor un po’. Uno sbadiglio. Guarda dritto in avant i verso la fermata dell’autobus sperando ne passi uno subito. È proprio tardi, ma che ore sono? Guarda il suo orologio. Purtroppo è fermo. «Accidenti! Mi dispiace, penso che starete in pensiero tu e la mamma, adesso vengo subito. » Si mette le mani in tasca per cercare le uniche cento lire, trovatele alza la testa per andare. Soltanto due passi e si arresta di colpo. La mandibola gli scende all’ingiù, mentre la parte inferiore della bocca si allarga in un « oh! » di stupore. Il cuore batte forte verso i polmoni e le costole, mandando i suoi tum fragorosi sino alla mente. Una fitta parete di alberi gli si presenta chiara davanti agli occhi, e in cima al piccolo monte c’è una chiesa striata di nero con intervalli regolari. «È bellissima» - pensa. Poi manda la testa a sinistra e a destra, come per svegliarsi. «Ma sto sognando, dove diavolo mi trovo? » Egualmente sorride incredulo. « Sì, va bene, Michele - dice a se stesso - ti è capitato altre volte; chiudi gli occhi, conta fino a tre e riaprili: ti troverai di nuovo a piazza Vittorio. » Si immobilizza completamente e inizia la conta: «Uno, due, tre ... » Chiude gli occhi ancora più forte, poi li riapre di colpo. Gli alberi si sono fatti di un verde ancora più lucente perché il sole è ormai alto e la chiesa risplende lassù in cima simile ad una macchia bianca. « Questa volta è davvero diverso, non capisco proprio niente, più niente. Ma babbo dove sono? » I piedi si muovono quasi da soli conducendolo verso la base di quel piccolo colle, dove evidentemente aveva dormito. «Aurum, riflette, me l’aveva detto Zolla, è un veicolo potente, molto potente ... »
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I
Cavalli, bardature colorate lunghe fino ai garretti. Sulla sella, di lato, uno scudo dipinto con sette palle minute. Poi i cavalieri. Delle corte tuniche arricciate alle maniche, le gambe fasciate da pantaloni di lana. Un colore diverso per ogni coscia. Sul petto gli stessi disegni cromatici. Rubino per la parte di destra del torace, nella sinistra lo stesso motivo in arancione. All’altezza del cuore nuovamente delle piccole sfere costruite a piramide. Gli uomini a cavallo hanno gli occhi fissi sul ragazzo. Michele si passa una mano sugli occhi. Pensieri in antitesi solcano contemporaneamente la testa. Le figure reali innanzi a lui si combinano con immagini costruite dietro gli occhi. Combinazioni policrome tutte rimandanti ad un unico sospiro al centro del petto. Le labbra del ragazzo si tendono a sorriso, le pulsioni del cuore scaricano a ritmo serrato fuori dai denti il movimento incontenibile. Ride senza riuscire a coordinare nessuna forma di pensiero. Il respiro fuoriesce a grandi boccate oppure improvvisamente si arresta, aumentandosi sino a scardinare i movimenti della massa scura. Il bambino si guarda intorno, a destra e a sinistra dei cavalieri. A cercare punti di riferimento noti. Alberi, cose, la chiesa in alto non possono rimandare a nulla di conosciuto. Nulla. La bocca gli si apre, mentre all’interno un pensiero si configura carico di umidità, pronta a rovesciarsi dagli occhi. « Perché mi succede questo? » riflette. Le pupille guardano allora fisse i cavalieri. I vestiti traducono tempi diversi. Subito delle idee irrompono nella mente del fanciullo. Cerca di prenderne qualcuna, e chiarirla in termini logici. La rete intelligente si tende in prove successive. Tra le maglie rimangono solo lettere o parole isolate. Impossibili ad essere ricostruite in una spiegazione. 9
La massa scura pigia disperata alle costole. E finalmente l’acqua trova la via di uscita dalle ciglia, a scorrere veloce lungo le guance. Il cavaliere più giovane ha guardato sino adesso quel ragazzo stranamente vestito. Una maglia invisibile ora chiama la sua attenzione verso destra. Dei rampini si agganciano al suo fianco, obbligandolo a guardare il suo compagno. L’esclamazione gli esce incontrollata dalle labbra: «Maestro! » Perché non ha mai visto il suo maturo amico con una espressione così intensa. Sta guardando il ragazzo. Ma è come se nulla di lui rimanesse in sella, il corpo è lì, e tutto il resto si proietta verso l’adolescente. Il giovane cavaliere è quasi spaventato. La sua invocazione non è stata udita dall’altro. Nulla in lui si muove. Questi è effettivamente impassibile, perché delle figure dentro la testa sono padrone della sua attenzione. Quando ha visto il ragazzo, subito una parete si è squarciata, rivelando immediata il contenuto di un sogno della notte stessa. Uguale il volto, gli abiti, gli atteggiamenti. Il bambino è identico ad un altro, centro delle visioni del dormiveglia di poche ore prima. Alcuni suoi cari amici erano afflitti davanti ad un dipinto, di cui non riusciva ad identificare il soggetto. Tristi come mai. Poi un ragazzo era entrato sorridente, e celeri le labbra dei suoi compagni si erano distese, mostrando un repentino cambiamento d’umore. Si erano poi voltati verso di lui, a porgergli riconoscenza. Non aveva capito la notte precedente e continuava a non comprendere adesso. Solo l’adolescente era lo stesso. Eppure non riusciva a stupirsi. Un sentimento gli scorreva dentro le vene, traducendosi in due parole che non poteva riportare in lettere alla propria intelligenza. Poi finalmente i suoi occhi riescono a prendere direttamente le pupille del fanciullo. Per prima cosa legge allora la frase che gli sta girando all’interno: «È naturale. » Subito dopo dalla destra della testa delle figure di donna si stagliano limpide per essere ravvisate. Ricoperte di veli e avvolte in una danza. Poi giunge Venere, Flora, Clhoris, Zefiro ed infine Mercurio. Appartengono al quadro che sino ad 10
ora non aveva identificato. Il cavaliere adesso sa perfettamente cosa fare. Non curandosi di parlare al giovane a lui vicino, sprona il cavallo verso il bambino. « Vieni.» Gli dice, porgendogli un braccio. Quando è salito dietro di lui, si rivolge all’altro uomo a cavallo. «A villa Medici.» Ordina incitando il proprio animale verso la campagna.
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Indice
Parte I Introduzione Capitolo I
pag. 3
» »
» 13
» 37
» 45
» 49
» 57
5 9
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Parte II
Capitolo I
» 65
Capitolo II
» 79
Capitolo III
» 87
Conclusione
» 97
pag. 63
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