INDICE
Introduzione (Gad Lerner)
pag.
5
1.
Re Nudo (si) domanda: Giorgio Gaber
pag.
7
Re Nudo (si) domanda: Ombretta Colli
pag. 10
Siamo tutti in libertà obbligatoria
pag. 13
2.
Il soggetto rivoluzionario, il soggetto chi?
3.
4. 5.
(Romano Màdera)
pag. 16
Siamo tutti polli di allevamento (Majid Valcarenghi)
pag. 21
Quando è moda è moda (Giorgio Gaber)
pag. 24
Giorgio Gaber, un filosofo della vita quotidiana
(Majid Valcarenghi)
pag. 26
E pensare che c’era il pensiero
pag. 31
Due uomini in fuga (Majid Valcarenghi)
pag. 32
Dallo spettacolo “E pensare che c’era il pensiero” - Gaber e la Tv - Gaber e il potere - Gaber e i giornalisti
6.
7.
(Giorgio Gaber, Sandro Luporini)
pag. 33
Ciascuno si seppellisce dove lo porta la sua cultura
pag. 36
Rimuovere il silenzio (Lalla Merlo)
pag. 37
Le nostre morti (Antonio Priolo)
pag. 38
Rinasce Re Nudo nuova serie
pag. 40
Con passione e rigore (Giorgio Gaber)
pag. 41
Aforismi (Giorgio Gaber, Sandro Luporini)
pag. 41 3
8.
9.
Il luogo del pensiero qui e ora
pag. 43
Intervista a Giorgio Gaber (a cura di Antonio Priolo)
pag. 45
Il professor G e il suo allievo
(Giorgio Gaber, Sandro Luporini)
pag. 54
Lezione n°1 - L’italiano razza superiore
pag. 54
Lezione n°2 - La cultura deve essere segreta
pag. 57
Lezione n°3 - La schiavitù è un bene prezioso
pag. 59
10. Se ci fosse l’uomo nuovo Colloquio con Giorgio Gaber (a cura di Antonio Priolo) 11. La ricerca di un senso - L’incontro Gaber-Sofri
pag. 61 pag. 61 pag. 68
il nostro occidente
pag. 68
il progresso e le masse
pag. 71
la questione femminile
pag. 73
il grande fratello
pag. 74
la rivoluzione
pag. 76
un fenomeno culturale
pag. 80
12. Generazioni in gioco (Majid Valcarenghi) La razza in estinzione (a cura di Antonio Priolo)
pag. 83 pag. 85
13. Il ricordo di Giorgio Gaber su Re Nudo (Antonio Priolo) pag. 88 “Io non mi sento italiano”
pag. 88
I mostri che ci devastano
pag. 88
Non contate su di noi (Antonio Priolo)
pag. 89
14. Omaggio a Giorgio (Majid Valcarenghi)
pag. 92
Introduzione
Al lettore di oggi potrà sembrare normale che un intellettuale raffinato come Giorgio Gaber potesse intrattenere relazioni di scambio, dibattito, amicizia con un esponente della controcultura italiana degli Anni Settanta come Andrea Valcarenghi (poi divenuto Majid). Basta riascoltare la densità di contenuti delle sue melodie che custodiamo nei più preziosi scaffali della nostra memoria. Dunque è perfino ovvio figurarci un Gaber proteso all'incontro con pensatori di minoranza, lontanissimo dallo star-system. Disinteressato alla televisione, sempre in ricerca… E invece normale non lo era affatto. Perchè all'inizio degli Anni Settanta Giorgio Gaber – più ancora di Dario Fo – era uno dei personaggi più famosi e amati d'Italia, cantante popolarissimo, ricco, invidiato, fotografato, omaggiato. Dappertutto te lo saresti potuto immaginare tranne che nelle sedi polverose del movimento femminista o al fianco di pensatori alternativi dall'aspetto – per limitarci a un eufemismo – decisamente trasandato. Gaber salutava il “dorato mondo dello spettacolo” ma, a differenza di altri, sfuggiva pure i salotti prestigiosi dell'intellighenzia di sinistra. Poteva ben considerarsi un uomo appagato, ma nello stesso tempo era anche un uomo tormentato. Sapeva di avere già ricevuto moltissimo dalla vita, ma se pensava a forme di restituzione certo non le avrebbe mai interpretate come militanza o come beneficenza. Così i dialoghi fra Valcarenghi e Gaber testimoniano un passaggio cruciale: l'avvio di una ricerca intorno e dentro di sé da parte di un uomo così saggio da riconoscere i benefici, ma anche la futilità del proprio successo. L'incontro con Valcarenghi, ma anche con altri pensatori appartati e originali – favorito da un discografico dal nome illustre e dalle aspirazioni simili come Nanni Ricordi – avrebbe dato esiti imprevedibili. Chi lo avrebbe mai detto che nell'appartatezza Giorgio Gaber sarebbe riuscito a conservare un rapporto solidissimo con il suo grande pubblico. Trascinandolo a faticare intorno ai contenuti dei suoi spettacoli, non a caso da quel momento in avanti concepiti per il teatro. Di modo che anche ascoltando il disco, la singola canzone, tu dovessi sempre viverla come parte di un percorso articolato. Ben presto si modificò il rapporto del cantante pop con il suo pubblico, sempre 5
piÚ coinvolto e partecipe. Nel giro di pochi anni l'icona della canzonetta popolare poteva concludere il Festival di Re Nudo del Parco Lambro 1976 rivolgendosi – come dice giustamente Gaber – non alla massa enorme dei centomila lÏ accampati, ma individualmente a ciascuna persona componente quella massa. Che liberazione riconoscere insieme a lui che l'io, l'attenzione alla dimensione intima delle nostre esistenze, non comportava una scelta egoistica. Ma al contrario era l'unico fondamento efficace di uno stare insieme diverso. Gad Lerner
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1. RE NUDO (SI) DOMANDA: GIORGIO GABER
Il primo articolo-intervista con Gaber esce su Re Nudo (prima serie) nel gennaio '76. È l'anno in cui, pochi mesi prima in giugno, è avvenuto il secondo festival di Re Nudo al Parco Lambro. Gaber non aveva ancora partecipato ai festival di Re Nudo, anche se lui e Ombretta Colli erano venuti come partecipanti al festival del Lambro a guardarsi in giro. Il rapporto tra Re Nudo e Gaber è iniziato da pochissimo e solo attraverso l'amicizia personale con l'allora Andrea Valcarenghi. Gaber non aveva ancora partecipato neppure ai concerti a sostegno di Re Nudo, che avevano visto la partecipazione di De Andrè, Guccini, Area, PFM, Canzone del Lazio, Battiato, Claudio Rocchi e vari altri musicisti. In Gaber in quel periodo c'era interesse ma non adesione. A questo primo incontro esplorativo RE NUDO-GABER, partecipa anche Ombretta Colli. Per Re Nudo c'è Marina Valcarenghi, Andrea Valcarenghi, Stefano Segre. Di seguito pubblichiamo anche l'intervista a Ombretta Colli uscita sullo stesso numero di Re Nudo, perché all'epoca Giorgio Gaber e Ombretta Colli avevano lo stesso tipo di approccio con Re Nudo, un approccio di curiosa diffidenza ma entrambi ancora lontani da un processo di adesione-partecipazione che si manifesterà poi con Gaber, in occasione del festival del Parco Lambro di quello stesso anno.
Sbatto sul tavolo di cucina, già apparecchiato, il registratore e lui sussulta. “Non per me il registratore. Per piacere stasera no, facciamo una sera così, normale, l'intervista un'altra volta”. Poi, come per giustificarsi. “Marina, sono stanco morto o, più che stanco, arrabbiato, depresso, stufo marcio, non saprei davvero cosa dire, alla gente di Re Nudo, poi, che mica scherza... È un po' di giorni che mi intervistano le radio alternative, adesso è tutto un formicolio di radio alternative, tante domande...” “Cosa?” “Le solite robe... non ne posso più ” “Va bene va ben e non ti preoccupare, niente intervista, non parliamone più” Parliamo invece di De Andrè. “Bravo, e dire che l'avevo attaccato duramente non mi ricordo più su quale giornale e lui su quale altro mi aveva risposto. Però non aveva ancora scritto il bombarolo.” 7
“E il disco nuovo, femminista, di Ombretta Colli? Ci sei dentro anche tu?” “Si, qualcosa ho fatto anch'io, con lo pseudonimo di Catilina” “Cosa c'è dentro?” “Te lo dirà lei.” Poi arriva lei e io buona buona “Si potrebbe parlare un po' del tuo disco?” “Beh, prima sentitelo”. Ben detto e m'azzitto. Si parla così col suo film, questa sceneggiatura già in tasca in cerca di produttore, “Mica facile eh?” “Mica facile, no. Perché questi produttori sono gente molto strana. Se vai lì coi tuoi fogli in mano, ti dicono bleah, che brutto. Devi fare a finta che la tua idea (del tuo film) venga a loro. Cioè tu ti presenti, parli, parli del più e del meno, poi devi insinuargli il sospetto dell'idea in modo che lui la possa credere sua. Poi aggiungi delle cose, fai in modo che lui ne aggiunga altre (sempre di tue) e alla fine; bravo produttore, sei grande, splendida idea, adesso se sei d'accordo ci faccio la sceneggiatura, che invece ce l'hai già in tasca, e potresti girare anche domani.” Piano piano il Gaber si rilassa, riesce persino a mettere i pezzettini di banana nel riso al curry, in un coraggioso gesto di controcultura alimentare. Mangia ma non perde un colpo, una frase, uno sguardo. Hai l'impressione che Gaber mangi davvero le idee, le parole e le vibrazioni di quelli che gli stanno intorno. Gaber è psicologicamente vorace, Gaber è anche un ruminante perché tutte queste ideefatti-sensazioni della vita sua e altrui finiscono in una specie di sacco mentale dal quale poi fuoriescono canzoni. Che sono bombe. Per forza poi queste canzoni ti strappano le budella, le budella, sono fatte con le tue budella! Poi mentre si snoda in un lungo accovacciamento sul tappeto (non è tanto alto e sulla scena sembra gigantesco). Forse si dilata al calore dello spettacolo, ci confida “Sono stufo marcio, cari miei, e di tante cose, ma soprattutto di quelli che si impadroniscono delle tue idee, delle tue robe, le inghiottono masticandole malamente e te le risputano alla fine orrende e irriconoscibili”. “Ma questo è il rischio di chi esce allo scoperto e gli piace qualche volta di fare l'artista. Consolati perché le tue pensate, bene incartate coi nastri, praticamente non esistono finché sono solo tue.” “Ma ridotte in quello stato... servono ancora? Vorrei spiegarmi meglio. C'è come uno svuotamento progressivo delle parole, di certe parole. Dire di uno che è un democratico, per esempio, che cosa vuol dire ormai? Vuol dire che è un coglione. Ma ti par possibile? C'era una volta un bel mucchio di concetti dietro quella parola. Chi è stato? Ci sono però parole ben più nostre che stanno facendo la stessa fine e insieme si snaturano degli obiettivi, si fanno delle grandi confusioni...” “Per esempio fra coppia e rapporto, fra solitudine e isolamento... ” “E già. Certe volte ti sembra di aver voluto spingere col tuo lavoro verso una direzione e ti accorgi che qualcosa o molto ti ritorna addosso. Allora? Allora adesso per esempio penso all'importanza che ha avere una morale...” “Ah, mi rallegro, questa è ormai una parola-tabù, archeologia, fa sorridere quasi tutti, dagli psichedelici agli stalinisti... ” “Ma come fai a non avere una morale? È maledettamente importante ed è maledettamente importante anche riconoscerla, ridefinirla, esserne consapevoli.” 8
“Io sono d'accordo e, sbaglierò, ma vedrai come te la risputacchieranno indietro questa tua esigenza qui della morale. È un po' quello che io ho sentito al Parco Lambro ultimo. “Troppe volte la morte della coppia tradizionale intesa come fine di qualunque rapporto profondo fra due persone e l'ammucchiarsi di pseudo-rapporti, tanta gente che cercava di rompere l'isolamento nella frenesia nevrotica del Tutti insieme a farsi stordire”. “Insomma mai come quest'anno ho visto tanta gente scappare via in India, scappare via a farsi inchiodare dalla musica, se la “tua strada su cui puoi contare” ti viene risputato dalla maggioranza come “la strada su cui puoi scappare” io non sono mica d'accordo, perché poi, succede che spesso alla fine di quella strada c'è anche l'eroina.” “Sono d'accordo, questo discorso vale per molti casi, anche certi aspetti della violenza, oggi, per esempio, sono tentativi di fuga da sé e dalla realtà.” “Mi sembra che tu abbia esagerato – interviene Andrea guardando me – al festival del Parco Lambro c'era quello che dici, ma in cambio anche tanti momenti di autentica gioia, di reale tensione collettiva, se non altro (e c'era anche dell'altro) per il fatto di essere in tanti a condividere incertezze, scelte, paure...” “Certo che ho esagerato, ma per vedere meglio, per non farla facile. Anche per me ci sono stati momenti molto belli, per esempio quel ragazzo che non sapeva che ero dell'organizzazione e che mi ha invitato nella sua tenda a parlare e il rumore della pioggia e il sentirsi così vicini così simili a una faccia completamente sconosciuta e fumare e tutto il resto diventa allora giusto e bello... eravamo in tanti così. Ma se non vuoi navigare nelle illusioni c'è anche un casino di gente, soprattutto dei più giovani che il '68 manco sanno cos'è, che viene ai festival come va a sentire Gaber, per sballare in santa pace e per trovare parole giustificazioni (a posteriori) di un modo di vivere “pseudo” “a finta” che corrode la tradizione solo sulla crosta, per il resto è tale e quale e non c'è niente di nuovo. E allora è a partire da qui che dobbiamo pensare.” “Sì, ma come – dice Gaber – e la sua voce è secca e tesa, non parla più sorridendo come sa fare solo lui – perché il problema grosso è che questa gente (e anche noi naturalmente molte volte) non si ama, capite? non vuole bene a se stessa. Non si amano quelli “che scappano” – come dici tu – come non si amano quelli solo “bastoni, bandiere, spranghe con scontri e tutto”, che poi questi qui io non li sopporto proprio più. Bisogna amarsi per amare. O no? Perché è poi per amore che si fanno le cose”. “Già – interviene Stefano – solo che per amarsi bisogna conoscersi e per conoscersi, accettare di fare le grandi pulizie dentro di sé, andare fino in fondo alle nostre contraddizioni. .. ” “...di modo che le intuizioni giuste non diventino slogans tipo “morte della famiglia” o “il popolo è forte, vincerà”? dico io. E Stefano: “Sì, ma quando dico fino in fondo, dico anche al limite della “follia” se è necessario. Guarda Cooper. Bisogna se si lo si sente necessario, starsene chiusi in una stanza anche sei mesi, senza che questo lavoro su di sé (anche se è possibile a pochi) debba necessariamente essere preso come un gesto 9
individualistico e piccolo-borghese, quando invece può essere un processo di conoscenza generale in una fase che ti attraversa dentro. “Sì – purché tu riesca poi – dice Gaber – a rovesciare il tuo nuovo te stesso e i tuoi sei mesi sugli altri, cioè se il tuo patrimonio viene diviso, se rimane un momento in un processo dialettico che prevede gli altri, perché tu esisti, ti definisci in rapporto agli altri, mica esistiamo a prescindere. Altrimenti diventa una “follia” che non è più la rottura di un vecchio equilibrio già bell'incrinato, per arrivare a costruirne uno nuovo, diventa una “follia” di autodistruzione, di isolamento e in definitiva di morte. E allora è tutto inutile perché non sei appunto riuscito a riconoscerti e ad amarti, come dicevi, Stefano. Bisogna stare attenti. Mi va benissimo che uno vada in fondo a se stesso, ci va anche per gli altri, ma in mezzo agli altri deve ritornare, solo così non è un gesto individualistico”. “O una sconfitta – dico io – perché Cooper che ha fatto quello che dice Stefano e con le migliori intenzioni, ci lascia un mucchio di tracce-segnali-messaggi, ma lui come persona, con le sue due bottiglie di cognac al giorno, ha scelto di morire, anche se di morire gridando e cercando di coinvolgere gli altri nella testimonianza di una vita impossibile, di una realtà inaccettabile anche come momento dialettico.” “Il problema è lì – accettare l'autoscontro senza precipitare nell'autodistruzione che è poi alla fine il riuscire a far vincere la vita nell'eterno scontro fra la vita e la morte dentro di noi.” Pare che qualcuno vada dicendo che Gaber ha tradito il suo pubblico, quello delle “Torpedo Blu”. Mi sembra che mai tradimento fu più produttivo. Da Re Nudo N° 38/39 gennaio-febbraio 1976
RE NUDO (SI) DOMANDA: OMBRETTA COLLI “Allora Ombretta, sei passata alla canzone politica? E come la metti coi circuiti? “Canzone politica? Non me ne ero accorta ... anche su questa questione delle canzone politica, poi, secondo me, sta iniziando un casino non indifferente. Guarda per esempio quello che ha detto Avanguardia Operaia a Roma: “Ora gli artisti devono passare attraverso di noi”! Oé, gente, ma questo è la stessa cosa che dice qualsiasi ras della musica “La piazza è mia, e dovete passare da me se volete fare qualsiasi cosa”. Mi puzza di essere la stessa cosa. E poi, ritorniamo 10
alle scuderie? “Eh, ma questo qui canta col PDUP, non è mica come quello là che invece fa i concerti per Lotta Continua” ... Mah, sta storia non mi piace per niente. C'è una grande richiesta di fare spettacoli, e prima chi ti fregava erano gli impresari, e vuoi vedere che ora diventano i gruppi? ... Allora mi sembra molto più onesto dire: “Senti, noi abbiamo bisogno di soldi. Per cui, facci uno spettacolo”. Punto e basta”. Di Ombretta Colli è uscito da poco un suo LP, “Una donna, due donne, un certo numero di donne”, “femminista”, come l'ha definito la stampa. “Mah, a me più che femminista mi pare un disco per le donne, per tutte le donne. Io non è che con questo LP avessi dei grandissimi progetti. È importante per me, perché prima di questo facevo solamente canzoni così, da vendere e basta, e quindi per me è un passo avanti. Ma non è una cosa di cui sia particolarmente orgogliosa. Mi è poi anche costato della fatica perché non mi faccio le cose da sola, cioè, posso avere qualche idea per qualche testo, ma poi di metrica non ci capisco niente, e allora mi devo appoggiare ad altri. Anche le donne che volevano farlo con me poi sono sparite, e mi son ritrovata da sola. Mah, sono tutti sempre super-impegnati, non c'è mai tempo ...”. “Ma perché le altre sono sparite? ” “Non so. C'è però anche un fatto per cui forse io le ho in un certo senso allontanate. Mi pare che le donne che oggi fanno canzoni femministe siano un po' troppo ideologiche. Come dire “Donne, tutte insieme, tutte unite, usciamo di casa non solo per fare la spesa”. Slogan capisci? Insomma, voglio dire, sono un po' tanti i problemi, non basta dire: non fateci più stare in casa a lavare i piatti ... la violenza maschile sulle donne non è soltanto questa figura del padrone cattivo uomo, come dire il cattivo è il padrone della fabbrica. È ben più complesso, bisogna scavare di più, o forse partire da livelli più semplici, ma più in tante. E allora, ho un po' di difficoltà per queste cose qui, oltre al fatto che sono costretta a seguire un po' gli altri nei testi. Comunque vorrei proprio scrivermeli io, e forse mettere anche su uno spettacolo, con monologhi e canzoni, una cosa un po' più discorsiva, insomma. È su questa linea che mi voglio muovere. Poi, oé, io ho anche dei tempi lenti, per cui c'arriverò, ma con calma”. “ Le donne come han preso il tuo disco? ” “Direi bene. Sì, bene. Cioè, per le femministe non è abbastanza impegnato. Per le altre, non militanti femministe, andava bene. Comunque mi rivolgevo un po' a tutte le donne. Sì, ci sono quelle più colte, ma la condizione strutturale è molto simile per tutte, quando stringi stringi; nel concreto, i problemi sono veramente identici”. “E con la televisione come la metti?” “Cosa vuoi che ti dica? Io questo lavoro l'ho sempre affrontato in questo modo dall'età di 16 anni: devo vivere, non ho mezzi alcuno e mi metto a cantare. E questo è andato avanti per parecchio tempo. Ora mi provoca delle difficoltà, degli imbarazzi, delle situazioni di disagio. Anche perché prima mi dicevo: devo vivere, sto lavoro qui mi dà da vivere, e mi 11
lascia tempo per continuare a studiare. Adesso invece ho proprio una voglia, che non ho mai avuto prima, di fare delle altre cose. Cioè, mi sembrava un po' da pazzi fare per cinque anni militanza nei gruppi femministi, e poi la sera partire, e andare a fare la serata a Bagnacavallo come una cretina a cantare. E mi son chiesta perché dovevo continuare così. Quando ho iniziato a fare queste canzoni “popolari”, non so, la donna che si lamentava del marito e così via, le donne poi venivano da me, ne parlavano, e spesso, in queste feste popolari, erano anche cose che colpivano, Provocavano discussioni. Questo tre, quattro anni fa. E allora mi son detta: forse vale la pena di dire le cose in modo divertente e forse anche leggero ... E chissà perché leggero è sempre negativo ... ma chi l'ha detto poi che bisogna essere pesanti, seri, sempre? ... non mi convince mica ...”. “Neanche a me ... ” “Ma sì, perché anche il femminismo è una roba da gente specializzata, con dentro tanta cultura, con tanti anni che parlano, che ne discutono. Poi prendi un giornale femminile qualsiasi, una ragazza di 22 anni che scrive con dei problemi per cui ti dici: ma, un momento, perché allora qui c'è qualcosa che non funziona, perché di femminismo se ne è parlato, se ne scrive e dice dappertutto e tutti i giorni, per cui questa scrive che non sa come pettinarsi o qualche altro dei mille problemi che escono fuori da quelle lettere, vuoi dire che il messaggio non arriva proprio a tutte, non tutte hanno la disinvoltura delle femministe di Milano. Insomma, e un po' una condanna all'emancipazione: devi essere sveglia, carina e impegnata (emancipazione generica e democratica) bella ed eccitante (questo nessuno lo mette mai in dubbio) e sapere tutto di Adorno (emancipazione culturale e disinvoltura intellettuale). Come dire che l'emancipazione si trasforma in uno sfibrante lavoro. Tieni presente però che mi secca anche molto che questo discorso possa essere visto dall'altra parte: va be', siccome queste sono cretine, allora facciamo le cose facili. Non c'entra proprio. Il fatto è che bisogna anche semplificarle le cose, e poi io non son d'accordo che bisogna sempre dire il verbo, l'ultima parola valida per i prossimi vent'anni. Io dico delle cose. Poi altre, dopo. Voglio dire che qui si va molto avanti per slogan. “Le donne sono tutte sorelle e si amano”. Ma manco per il cazzo! Non è vero, capisci? Dovremmo cercare di conoscerci molto, e con una conoscenza approfondita, eventualmente poi, forse è possibile volersi bene veramente. Qui sembra che da un momento all'altro dobbiamo amarci tutti e tutte. Insomma, fino a un po' di anni fa ognuna di noi si faceva un vanto di stare solo con gli uomini, di avere solo amici uomini, e le amiche donne niente, figurati, quelle parlano sempre di vestiti ... E invece no, adesso cerchiamo di stare tra noi donne, ma le cose non cambiano da un momento all'altro, così, per incanto. E queste generalizzazioni secondo me non aiutano”. Da Re Nudo N° 38/39 gennaio-febbraio 1976 12