Rete dellla Conoscenza

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Torniamo in edicola su Terra il 22 ottobre con il dossier “Diritto allo studio”

I buoni maestri

Venerdì 8 Ottobre 2010

insieme perchè

© Bovo/LaPresse

Roberto Iovino

studenti per l’altrariforma

Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma

Stefano Vitale Da Milano a Palermo passando per Genova, Trieste, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari e tanti capoluoghi piccoli e grandi. Sono oltre ottanta i cortei che vedranno gli studenti prendere la parola per ribadire ancora una volta la necessità di cambiare registro. Chiediamo una scuola aperta all’innovazione e al futuro, perchè si comprenda pienamente che il sapere non è una voce di spesa da tagliare, ma un volano indispensabile per determinare il progresso culturale, sociale ed economico della nostra società. Chiediamo una scuola aperta alle esigenze di apprendimento di noi giovani, che sappia innovarsi in ciò che si studia e in come lo si studia, perchè la società di oggi corre veloce ma la nostra scuola sembra non accorgersene. Vogliamo una scuola aperta a tutti, perchè la dispersione scolastica italiana è un’emergenza sociale che passa inosservata nonostante i dati ci dicano che sono190.000 i ragazzi tra i 14 ed i 19 anni - su circa 615.000 iniziali - che hanno gettato la spugna, che non figurano nemmeno tra i ripetenti (dati MIUR 2010). Segue a pagina 2

Ottanta cortei in tutta Italia. Scuole e università ferme, penisola bloccata. Comincia un autunno che si preannuncia bollente. E il Ministro dell’istruzione Gelmini trema.

L’AltraRiforma Le ragioni della protesta. Investimenti ridotti al minimo, tasse in aumento, strutture fatiscenti e gli studenti lanciano L’AltraRiforma

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Università La Gelmini va avanti sul DDL, ricercatori e studenti sulle barricate, possibile differimento dell’anno accademico. E’ partito l’autunno caldo

Intervista

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A dialogo con il sociologo Luciano Gallino su precarietà e lavoro. per un nuovo welfare contro la crisi basato su autonomia e libertà.

L’appello

Non basta: tutti a Roma il 16 ottobre

O

ggi non siamo scesi in piazza solo per un’idea alternativa di scuola e università, siamo quì, nelle piazze e nelle strade per una società totalmente diversa, inclusiva e libera dagli sfruttamenti. Oggi abbiamo lanciato un’evasione collettiva. Data l’incapacità evidente del governo di disegnare un futuro per il nostro paese in questa fase di crisi, i conflitti non mancano: dalle persone chelottano per l’acqua pubblica agli operai che si oppongono alla svendita dei diritti, dai ricercatori che rivendicano un ruolo nelle univer-

sità ai precari che rivendicano un nuovo welfare universale. Per questo riteniamo fondamentale che le piazze di oggi, con tutte le scuole che hanno partecipato,con tutte le persone che hanno gridato il loro dissenso, debbano ritrovarsi nella manifestazione disabato 16 Ottobre proclamata dalla Fiom e nell’assemblea che si svolgerà il 17 alla Sapienza percostruire una pagina nuova nella storia del paese, per proporre i saperi come uscita dalla crisi, per riprenderci il nostro presente e costruire il futuro.

Cosa hanno in comune uno studente diciassettenne di un istituto tecnico e un dottorando ventiseienne? Pagano la crisi nello stesso medesimo modo, vivono l’incertezza per il fututo nello stesso medesimo modo, sono condannati alla stessa medesima precarietà esistenziale. Per questo abbiamo dato vita alla Rete della Conoscenza, un’associazione di associazioni che raccoglie più centoventi organizzazioni studentesche locali. Studenti e studentesse delle scuole superiori, delle università, dei conservatori e delle accademie, uniti nella convinzione che l’attacco ai nostri diritti di cittadinanza sia totale, uniti nella convinzione che solo insieme possiamo rispondere all’offensiva dei tanti governi che negli ultimi anni hanno ridotto le nostre esistenze a merce. Abbiamo deciso di presentarci in grande stile, con uno spazio autogestito di cinque pagine che ogni primo e terzo venerdì del mese racconti il dramma delle nuove generazioni in Italia, che racconti la necessità di costruire insieme un’alternativa alla fuga da un paese che non offre altro che precarietà e sfruttamento. Queste pagine saranno uno spazio aperto, un megafono altisonante, getto d’inchiostro senza filtri o censure per scrivere un racconto autentico scevro dalle rappresentazioni mediatiche. Riprendiamo il filo del discorso: lo studente diciassettenne è costretto a lavorare, il weekend consegna pizze a domicilio, nessuna borsa di studio e il papà in cassaintegrazione, la mamma è collaboratrice domestica, sei euro all’ora a nero. Anche il ventiseienne dottorando lavora, ama lo studio e la ricerca ma non è riuscito ad accedere alla borsa, solo uno su due ci riesce. Deve pagarsi l’affitto, le bollette, la benzina nel motore, ogni tanto si permette una birra con la ragazza ma la cosa che non tollera, tra le tante, è dover pagare anche le tasse all’università. Qualcuno potrà pensare: perchè una persona che fa ricerca pubblica per l’università non riceve un rimborso ma anzi è costretto a versare l’intero importo delle tasse? E’ una domanda che ci facciamo da anni. La risposta sembra facile quanto scontata: sono i costi della crisi. Sono i costi di un paese, l’Italia, che a differenza dell’intera Europa sta gradualmente, da circa vent’anni, smantellando tutto il sistema pubblico di istruzione e ricerca. Segue a pagina 5


II

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Scuola&U

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Scuola

Scuola Decine di migliaia di studenti in piazza contro il governo. I cortei sono stati aperti da ragazzi e ragazze vestiti da carcerati, citando Victor Hugo: «Chi apre una scuola, chiude una prigione»

Liberi dalla scuola-prigione è Federico Del Giudice

forse l’assenza di sbarre o di uniformi che distingue una scuola da una prigione? O la logica dei premi e punizioni o l’ora d’aria? Queste non sono le differenze sostanziali, perché l’uniforme la chiamiamo grembiule, i premi e le punizioni sono i voti e l’ora d’aria è la ricreazione. Se pensiamo all’Italia, un paese uscito dalla seconda guerra mondiale con un tasso di analfabetismo altissimo, con un boom economico basato sull’istruzione di massa, con il riscatto dallo sfruttamento di milioni di braccianti e operai capiamo quello che la scuola ha rappresentato per milioni di persone, per generazioni intere di diseredati e le differenze reali tra una scuola ed una galera. La scuola come motore di cambiamento, come spinta verso il riscatto sociale, come disegnatore di sogni vede oggi un colpo al cuore con la diminuzione dell’orario e della didattica laboratoriale, il nozionismo, la canalizzazione precoce. Da quando il liberismo ha imposto il paradigma secondo il quale anche i servizi potevano diventare merce, ogni diritto ha assunto un prezzo, creando uno stato di insicurezza collettiva in cui l’istruzione non ha saputo erigere argini. Pensiamo ad un apprendista quindicenne, come lo vorrebbe il Governo con il Collegato Lavoro, inserito in un luogo di lavoro che gli darà competenze frammentarie, senza dare conoscenze di cittadinanza, quell’ “imparare ad imparare” che tanto servirebbe in una società che vede nella precarietà esistenziale uno stato di perenne ricattabilità. In questo momento tutta la filiera della formazione subisce una

sempre maggiore e paventata specializzazione che altro non è che un trasferimento di nozioni non inserite in un quadro complessivo che garantisca la possibilità di reinventarsi una vita in ogni momento secondo una scelta o una necessità. Con il Trattato di Lisbona l’Europa puntava ad una società della Conoscenza, in cui la formazione fosse continua secondo il principio del lifelong learning. Questa opportunità che per una generazione poteva rappresentare la possibilità di trasformare in

Campagne

un processo continuo il fruitore in produttore di conoscenze si è infranta sulla volontà di strutturare la scuola come elemento di controllo sociale. La formazione permanente non è diventata altro che uno specchietto per le allodole da sbandierare nei momenti di vasta disoccupazione o sotto occupazione, sedimentando quel modo di vedere la formazione come un travaso coatto di nozioni. Nelle scuole e nelle università le sbarre non sono tubi di acciaio: hanno l’aspetto del dirigismo,

dell’autoritarismo e della subordinazione cattedra-banco e docente-discente, hanno la forma del classismo gentiliano. Queste sbarre sono fatte per preparare il futuro lavoratore ricattabile e sfruttabile ma non il futuro cittadino, cioè colui che difende e rivendica diritti. Per questo oggi siamo scesi nelle piazze vestiti da carcerati, perché vogliamo rappresentare un’evasione collettiva dalla galera che ci hanno costruito attorno, un esodo capace di farci sognare altre scuole ed altri mondi.

La scuola come motore di cambiamento, come spinta verso il riscatto sociale, come disegnatore di sogni vede oggi un colpo al cuore

Campagne Le ragioni della protesta: cresce la dispersione scolastica, aumentano i tagli e crollano le aule. L’UdS lancia l’AltraRiforma, perché a cambiare la scuola siano studenti, genitori e insegnanti

Studenti per l’AltraRiforma Vitale dalla prima

Purtroppo la direzione scelta da questo governo è tutt’altra. I tagli pesanti comportano perdite di ore di lezione attuate con la “riforma” degli indirizzi da quest’anno in vigore, classi sovraffollate, inadeguati fondi per risanare l’edilizia scolastica che richiederebbe, invece, un grande investimento in”piccole opere” indispensabile per avere scuole a norma e sicure. Non da ultimo, siamo estremamente contrari al Collegato lavoro in discussione che introdurrebbe la possibilità di assolvere l’ultimo anno di obbligo scolastico in forma di apprendistato, vanificando così il recente innalzamento dell’obbligo, una conquista di civiltà da difendere mirando ad un innalzamento a diciotto anni.

Siamo in piazza per dire tutto questo e lo facciamo con gli studenti universitari (l’associazione Link ha aderito alla data ndr), i coordinamenti dei precari della scuola, i coordinamenti dei genitori in mobilitazione, gli insegnanti e il personale per creare un “fronte comune” in grado di contrapporsi a politiche miopi e disastrose che rendono prigioniero il mondo della conoscenza. Lanciamo oggi nelle piazze le nostre proposte: la campagna “AltraRiforma” da oltre quattro mesi ci vede impegnati nel raccogliere le proposte di chi la scuola la vive ogni giorno. In oltre ottanta pagine proponiamo la nostra idea di scuola, chiedendo una forte innovazione della didattica, organi collegiali plurali e democratici che siano vere palestre di democrazia e

sana amministrazione, proposte sul diritto allo studio che partono dalla richiesta di una legge quadro nazionale in grado di combattere la dispersione scolastica e costruire una scuola che dia a tutti le stesse opportunità La protesta di oggi non sarà un fuoco di paglia. Da domani saremo di nuovo nelle nostre scuole decisi a spezzare queste catene che imprigionano il nostro futuro.

La campagna AltraRiforma da oltre quattro mesi ci vede impegnati nel raccogliere le proposte di chi la scuola la vive


Università

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III

Ddl Gelmini Il caos nella maggioranza fa slittare l’approvazione della riforma alla Camera a dopo la finanziaria. Rettori e Confindustria spingono per l’accelerata, studenti e ricercatori temono il blitz

Gelmini sul filo, facciamola cadere La scheda

Meno diritti e più tasse Il ddl Gelmini, dietro la cortina fumogena del merito e dei codici etici, nasconde un accordo di spartizione tra la lobby dei baroni e Confindustria: alla prima il potere, alla seconda i profitti. Il più tipico dei patti all’italiana, l’istituzionalizzazione della cricca, con il rettore libero di circondarsi di banchieri e politici amici: dal consiglio di amministrazione al comitato d’affari senza passare dal via. Se a ciò aggiungiamo gli aumenti delle tasse agli studenti già proposti da molti atenei per coprire i tagli della legge 133/2008, il quadro della privatizzazione è completato: tasse alte e privati che decidono, esattamente come in una qualsiasi università privata. I punti principali della riforma sono tre. Il ddl svuota di funzioni il Senato Accademico e concentra tutti i poteri nel Consiglio di Amministrazione, in cui entrano esterni – enti locali e privati – e vengono ridotte le rappresentanze studentesche. Aumentano notevolmente i poteri dei rettori, che diventano i sovrani assoluti dell’università. Ecco perché la Conferenza dei Rettori è l’unica parte del mondo universitario che difende la riforma e ne chiede la rapida approvazione. Il ddl affida al governo una delega a riformare l’intero impianto del sistema di diritto allo studio, portandolo nella direzione di una graduale sostituzione della borse di studio con il prestito d’onore, trasformando la nostra in una generazione di debitori. Per distrarre l’attenzione da ciò, viene istituita la farsa del fondo per il merito, senza alcuna risorsa. Il ddl, infine, abolisce la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendola con contratti precari da 3+3 anni, alla fine dei quali si dovrebbe accedere ai concorsi per la docenza. Invece di costruire un serio percorso di accesso a ricerca e didattica per i giovani, con una vera tenure-track basata su fondi certi e sul raggiungimento di obiettivi scientifici, si crea un’altra categoria di precari usa-egetta, che si aggiunge alla miriade di post-doc, borse e assegni già presenti.

Lorenzo Zamponi

U

n governo precario che si aggrappa al ddl Gelmini per restare in piedi. È questo il panorama che abbiamo di fronte oggi, se osserviamo il dibattito sulla riforma dell’università proposta dal governo Berlusconi. La crisi della maggioranza uscita dalle elezioni del 2008 è sotto gli occhi di tutti, e il sistema di poteri forti che ne era alla base inizia a incrinarsi. Il rinvio della discussione del ddl al Camera è un’opportunità non da poco per gli studenti e i ricercatori in mobilitazione. Il dibattito, inizialmente previsto per il 15 ottobre, poi anticipato al 12 e addirittura al 4, è stato successivamente rimandato a giovedì 14. Dato che il giorno dopo inizia la sessione di bilancio, cioè la discussione della legge finanziaria, la riforma dell’università proposta dal governo potrebbe essere messa da parte per diverse settimane. Se si tiene conto del fatto che tutti, ormai, danno per scontato che si vada alle elezioni in primavera, è chiaro che per l’approvazione del ddl resterebbe una ristretta finestra, a cavallo delle vacanze di Natale. Mandare a casa il governo senza che sia approvato il ddl Gelmini: un epilogo inimmaginabile solo un anno fa, quando le decine di migliaia di studenti e studentesse scese in piazza nello sciopero generale studentesco del 17 novembre non scalfirono di un millimetro la cappa di consenso trasversale che accompagnava la riforma. Allora le prime pagine di Corriere e Repubblica strillavano al trionfo del merito, i rettori facevano a gara a recepire in anticipo negli statuti d’ateneo i contenuti del

Mariastella Gelmini mentre prega tutti i santi del calendario

ddl, fioccavano gli appelli bipartisan ad approvare tutto in fretta. Oggi, dopo un anno di controinformazione, dopo che la protesta primaverile dei ricercatori ha finalmente richiamato l’attenzione dei media sull’università, dopo un maggio di occupazioni e un’estate di esami a lume di candela, quella cappa è stata finalmente abbattuta. Il velo della retorica del merito è stato finalmente squarciato, e l’opinione pubblica ha finalmente di fronte a sé la vera sostanza della riforma: la spartizione di pote-

ri e profitti tra la lobby baronale e Confindustria, la sostituzione del diritto allo studio con prestiti d’onore, la precarizzazione definitiva del sistema della ricerca. Oggi gli anni accademici sono bloccati quasi ovunque, e la protesta degli studenti è già scoppiata. Per questo hanno tutti tanta fretta: la CRUI, club privato dei rettori, e Confindustria chiedono che il ddl sia approvato subito, per spartirsi il bottino in fretta; il governo, in crisi di consenso, ha bisogno accontentarli al più pre-

sto, per assicurarsi l’appoggio loro e dei loro giornali in campagna elettorale. Gli stratagemmi possibili sono diversi: si parla di un blitz in commissione per far passare tutti gli emendamenti in un giorno, far votare la Camera prima della finanziaria e poi riportare tutto al Senato, dove il docile fattorino Schifani assicurerà una consegna in tempi record. Ma bloccare il ddl Gelmini, oggi, è un obiettivo a portata di mano, e non dobbiamo lasciarcelo sfuggire.

Movimento Nella non-università, senza fondi né contenuti, sono già migliaia gli studenti mobilitati nelle assemblee. Appuntamento a Roma per il corteo della Fiom il 16 ottobre e per l’assemblea nazionale del 17

Riparte la mobilitazione N Claudio Riccio

on è servito, quest’anno, fermare le lezioni, per organizzare le prime assemblee studentesche. L’anno accademico, in gran parte dei nostri atenei, non è ancora partito, e chissà se mai partirà. Siamo arrivati in facoltà, abbiamo guardato le bacheche, ma degli orari neanche l’ombra. Corridoi deserti, laboratori inutilizzati, aule chiuse. La reazione è stata immediata: già nell’ultima settimana di settembre si sono tenute assemblee di facoltà e di ateneo da centinaia di persone. Roma, Padova, Venezia, Trieste, Torino, Napoli, Salerno: le aule in cui la didattica era stata sospesa sono state riempite dagli studenti. La domanda è la stessa ovunque: che cazzo succede? Succede che non ci so-

no i soldi per far partire l’anno accademico. Succede che la mobilitazione dei ricercatori, che, dopo anni di lavoro didattico gratuito, non dovuto e non riconosciuto, si sono dichiarati indisponibili a farsi carico di corsi ed esami, ha portato alla luce il nervo scoperto dell’università italiana: i continui tagli hanno svuotato gli atenei di contenuti e servizi. Succede che da anni quella in cui viviamo è una non-università, un malato in coma, che è stato artificialmente tenuto in vita finora dal lavoro gratuito di ricercatori e precari, e che ora, semplicemente, sta morendo.Del resto non si capisce come potrebbe sopravvivere un sistema formativo finanziato con poco più del 4% del Pil (penultimo paese Ocse in assoluto, davanti alla sola Slovacchia e dietro a tutti gli altri, compresi Corea

del Sud, Messico, Polonia e Ungheria), l’unico sistema in tutta l’Ocse in cui l’investimento medio per studente, nell’ultimo decennio, è calato invece di aumentare (dati ricavati dal rapporto “Education at a glance 2010”). È evidente che qualcuno, nel governo, ha deciso di staccare la spina. I ricercatori hanno reagito, gli studenti anche, ora non bisogna mollare. Il 4, il 5 e il 6 ottobre si sono tenute assemblee di facoltà e di ateneo, lezioni alternative, cortei interni. Oggi gli studenti e le studentesse delle università sono in piazza in oltre 50 città italiane insieme a quelli delle scuole superiori, perché l’attacco è coordinato e coordinata dev’essere la risposta. Ma non basta. Se uniamo i puntini, dall’accordo capestro di Pomigliano al ddl Gelmini sull’università passando attraverso la privatizza-

zione dell’acqua, il disegno del governo appare in tutta la sua chiarezza. Siamo di fronte a un processo complessivo di subordinazione di lavoro, saperi e beni comuni alle logiche della precarietà, della mercificazione e del profitto. Il movimento studentesco, il movimento della generazione precaria, ha la responsabilità di assumere un ruolo di primo piano all’interno della manifestazione nazionale organizzata dalla FIOM il 16 ottobre a Roma, a difesa del lavoro come bene comune, e di rilanciare: il giorno dopo, domenica 17 ottobre, ospiteremo alla Sapienza una grande assemblea che dalla conoscenza si apra a tutte le mobilitazioni sociali, con l’obiettivo di costruire un grande movimento contro la precarietà, in difesa dei beni comuni, per la ripubblicizzazione dei saperi.


IV

In movimento

Venerdì 8 ottobre 2010

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In piazza oggi VALLE D’AOSTA Aosta - Piazza Chanoux ore 9,00

PIEMONTE Torino – Piazza Arbarello ore 9,00 Tortona (Al) - Piazza Milano ore 8,30

LOMBARDIA Milano - Largo Cairoli ore 9,30 Bergamo – P.le Stazione FS ore 9,30 Brescia - Piazza Garibaldi ore 9,00

Arte & Musica

L’ora dei diritti di Filippo Riniolo Immaginate di trovarvi al Cairo; avete appena finito di attraversare la medina, con le bancarelle, la folla accalcata, e pochi passi più in là di trovarvi innanzi il deserto. L’unica sicurezza che avete è che d’ora in poi non ci saranno più luoghi collettivi ma solo voi e la vostra ombra. Così è il futuro visto dall’Afam. (Alta Formazione Artistica e Musicale). Questa è la sensazione di chi da un’Accademia di Belle Arti, da un Conservatorio, dall’Accademia Nazionale di Danza guarda un’Italia avvizzita nella celebrazione di suoi vecchi fasti e priva di un futuro. La rabbia che nasce in uno studente davanti a questo panorama è una rabbia mista, composta, articolata. Da anni gli studenti dell’Afam, attraverso una fitta rete di solidarietà fra i rappresentanti e le associazioni, hanno maturato delle richieste sulle misure da prendere dentro e fuori delle accademie e dei conservatori per dare senso ad un percorso formativo artistico. Innanzitutto il riconoscimento dei titoli. La richiesta precisa che i diplomi rilasciati dalle accademie valgano quanto una laurea e non meno. Ovviamente questo va in controtendenza con il progetto Gelmini che vorrebbe eliminare il valore dei titoli anche alle università, ma la lotta perché l’arte e la musica, la danza e il teatro abbiano la stessa dignità degli altri ambiti della conoscenza è una battaglia strategica e sarà centrale anche nel prossimo futuro. Un no secco al 3 + 2, ai crediti formativi e quindi in generale al processo di Bologna: con tutta evidenza quel processo è fallito e si deve pensarne uno completamente nuovo. Ovviamente il diritto allo studio è il nostro grande pilastro rivendicativo. Un welfare completamente nuovo e non più familista per l’emancipazione di tutti e di ciascuno. Perché un artista deve spesso “buttarsi” e sperimentare soluzioni anche di vita poco ortodosse. Vogliamo immaginare che un giorno dalla medina tutti escano insieme e si mettano a coltivare e bonificare il deserto. E che il nostro futuro sia un viaggio oltre l’orto, il giardino, la casa dove la solitudine non arriva.

Contro le provocazioni uno sforzo di fantasia

P

adova 30 settembre, Torino 1 ottobre. I primi due cortei studenteschi di quest’autunno. Mobilitazioni diverse, con toni e pratiche certamente diversi, ma unite da un denominatore comune: in entrambi i casi la polizia, a un certo punto, ha caricato. Niente di particolarmente violento, sia chiaro, non è nostra abitudine denunciare massacri quando non ce ne sono. Ma per due volte, nel giro di 24 ore, la polizia ha caricato con scudi e manganelli gli studenti e le studentesse in piazza, per poi ritirarsi subito dopo.L’impressione è che si sia trattato più che altro di un avvertimento. Se aggiungiamo il circo mediatico che si è generato nelle ultime settimane intorno alle vicende di Bonanni, Belpietro e Ichino, e le dichiara-

Si parla di strategia della tensione, noi rispondiamo con fantasia e creatività di Monica Usai

zioni del ministro Maroni, il quadro diventa inquietante. È evidente, insomma, il gioco del governo: creare un clima di tensione crescente e spingere sul pedale della repressione per alzare il livello dello scontro, con l’obiettivo di creare spaccature e poter far appello alla solidarietà nazionale di fronte al rischio della violenza. Non possiamo cadere in questa trappola. Quest’anno sarà delicatissimo su questo fronte, e gli studenti e le studentesse devono avere la maturità e la lucidità di non accettare nessuna provocazione,

ma, anzi, di rilanciare su tutto un altro livello. Non siamo disposti a fare alcun passo indietro sulla radicalità delle nostre lotte, neanche di fronte alle cariche della polizia, ma dobbiamo portare quella radicalità in pratiche di piazza che evitino quella spirale di violenza da cui potremmo uscire solo sconfitti. Serve sangue freddo e serve creatività: mettiamo da parte le tetre liturgie dell’estetica del conflitto, che finiscono per allontanare gran parte degli studenti, per lanciare invece modalità d’azione in grado di scompaginare il copione della repressione e tenere unito il movimento. Scambiamoci idee ed esperienze, dall’occupazione dei nostri spazi in scuole e università ai blitz della “clown army”. Partecipazione, unità, creatività: solo così non ci fermeranno.

VENETO Padova – Piazza delle Erbe ore 9,00

FRIULI - VENEZIA GIULIA Trieste - Piazza Goldoni ore 9,00 Gorizia - Piazzale Stazione FS ore 9,00

EMILIA ROMAGNA Piacenza – Liceo Respighi ore 9,00 Bologna - Piazza XX Settembre ore 9,30 Ravenna - Giardini Speyer ore 9:00 Ferrara - Piazza Trieste Trento ore 9,00 Cesena - Piazza Stazione FS ore 8,30

LIGURIA Genova - Piazza Caricamento ore 9,30 Savona - Piazza Sisto IV ore 9,00

TOSCANA Firenze – Piazza San Marco ore 9,30 Siena – Piazza della Posta ore 9,00 Livorno - Piazza Cavour ore 9,00 Viareggio - Piazza Mazzini ore 9,00

LAZIO Roma - Piazzale Partigiani ore 9.00 Latina - Piazza del Popolo ore 9,00 Viterbo - Piazza del Comune ore 9,00 Sora (FR) - P.za della Stazione ore 9,00 Rieti - Piazza Cavour ore 9,00

ABRUZZO Pescara - Piazza Salotto ore 9,30 Sulmona - P.za XX Settembre ore 11,00

MOLISE Campobasso – P.za S.Francesco ore 9,30 Isernia - Mister Magoo ore 9,00

CAMPANIA Salerno - Piazza Ferrovia ore 9,30 Napoli – Piazza Garibaldi ore 9,30 Avellino - Piazza d’Armi ore 9,30 Caserta - ITIS “Giordani” ore 8,30

PUGLIA Bari – Piazza Umberto ore 9,00 Lecce – Piazzale stazione ore 9,00 Brindisi - Piazza Stazione ore 9,00 Foggia - Piazza Italia ore 9,30 Taranto - Piazza della Vittoria ore 9,00

BASILICATA Matera - Piazza Matteotti ore 9,00 Lagonegro (Pz) - Piazzale Midi ore 8,45

CALABRIA Cosenza – Piazza Loreto ore 9,30 Reggio Calabria – Piazza Nava ore 9,30 Crotone - Piazza Resistenza ore 9,30

SARDEGNA Cagliari – Piazza Garibaldi ore 9,00 Oristano – Piazza Roma ore 9,00 Olbia - assemblee straordinarie dalle 8,30

SICILIA Trapani - piazza Vittorio ore 9,30 Enna - Castello di Lombardia ore 9,00 Messina - Piazza Antonello ore 9,00 Siracusa - Pantheon ore 9,00 Ragusa - Piazza Zama ore 9,00 Palermo - piazza Politeama ore 9,00 Catania - piazza Roma ore 9,00 Castelvetrano - P.za Vittorio ore 9,00 Modica (Rg) - P.le Fabrizio ore 9,00


Intervista

Rete della Conoscenza

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rofessor Gallino, in queste settimane abbiamo fondato la Rete della Conoscenza, un progetto che ha l’ambizione di connettere studenti medi, accademici, dottorandi, studenti universitari. Qual è, secondo lei, il meccanismo che lega i soggetti in formazione al sistema della precarietà? La Precarietà è il frutto delle politiche del lavoro globali degli ultimi trent’anni. La Precarietà nasce del conflitto tra i lavoratori a basso salario e scarsi diritti del sud del mondo e i lavoratori a salari e diritti elevati del nord; conflitto creato appositamente dalle corporation per avvicinare verso il basso il salario e i diritti dei secondi a quello dei primi. È un fenomeno complesso, dettato anche dall’importanza che hanno assunto nel governo dell’impresa le valutazioni finanziarie a confronto di quel che si produce. Negli ultimi anni si è parlato molto di società della conoscenza, ma in questa idea c’è molta più vernice che sostanza. Di fatto la società della conoscenza, per quel poco che esiste, è comunque costituita in gran parte da forme di lavoro precario. La Germania, ad esempio, investe 2-3 volte più di quello che investiamo noi in termini di Pil destinato a ricerca , sviluppo e formazione professionale; inoltre è un paese con salari reali assai più alti dei nostri. Nondimeno esiste anche in quel paese una quota elevata di lavoratori poveri e di lavoratori precari nella quale rientra, come altrove, un numero notevole di lavoratori impiegati nei settori della conoscenza. Esiste allora un lavoro immateriale? Esiste effettivamente questa knowledge economy, come ci raccontano da 20 anni? Forme di lavoro immateriale esistono, ma è altrettanto precario che nell’industria o in altri settori dei servizi, e nella maggioranza dei casi i salari sono più bassi. La precarietà è diffusa soprattutto nel settore dell’informatica e della comunicazione, ma non è vero nemmeno che i knowledge workers siano i più ricercati. Nel nostro Paese i posti di lavoro offerti in maggior misura dalle aziende sono commessi, addetti alla ristorazione, addetti alle pulizie, facchinaggio, sorveglianza; lavori ben lontani da quelli previsti dalla società della conoscenza. La nostra è la prima generazione che si confronta con la precarità esistenziale come dato strutturale del sistema. A cosa è dovuto questo fenomeno? La vostra non è la prima generazione a vivere processi di subordinazione al mercato del lavoro. Ma è sicuramente la prima dopo due o tre generazioni a non poter più contare sul fatto che il lavoro stabile fosse diventato una norma. Fino al 1950 e oltre c’erano in Italia centinaia di migliaia di braccianti i quali lavoravano a chiamata, senza nessuna speranza di assunzione stabile. Ogni giorno si presentavano da un caporale o dal padrone a chiedere la possibilità di essere occupati. Le conquiste degli anni ’60 hanno portato ad una mutazione radicale di questi rapporti tra impresa e lavoratore, per cui si sono ampliati i diritti, i salari sono cresciuti e l’assunzione a tempo indeterminato è diventata la regola. Invece negli ultimi 30 anni c’è stato un radicale salto all’indietro, non casuale, cioè una rivincita dell’impresa, del capitale, della finanza. L’attacco ultimo ai contratti a tempo indetermi-

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Welfare Pomigliano, Melfi, Castellammare ma anche il licenziamento di massa dei precari della scuola. Il sociologo torinese rilancia la necessità di nuove politiche di welfare per rispondere all’attacco generalizzato ai diritti

Sganciare il welfare dall’occupazione produce autonomia e libertà

Iovino dalla prima

nato, condotto da Federmeccanica, rappresenta un po’ l’emblema di questa reazione. Il balzo all’indietro, però, non è soltanto diretto al lavoro, ma anche allo stato sociale. Previdenza, sanità, scuola pubblica sono sempre più povere di risorse, privatizzate, o rese accessibili a seconda del livello di reddito. Questa privatizzazione a oltranza delle pensioni, insieme con l’attacco all’istruzione, al sistema sanitario, rientra nella finanziarizzazione del mondo che è uno degli aspetti più preoccupanti del sistema economico attuale. Pensa che Pomigliano sia il frutto di questa politica? In quale scenario internazionale si inserisce l’attacco generalizzato ai lavoratori sferrato dal mercato neoliberista in crisi? Il piano imposto dalla Fiat a Pomigliano, perché non si tratta né di un accordo né di un contratto, non è altro che questo: si vuole estrarre maggior valore dal tempo di lavoro di ogni singolo operaio sopprimendo qualsiasi interruzione della prestazione oraria per ogni turno. La drastica riduzione delle pause, l’intensificazione del lavoro, fino a calcolare in centesimi di secondo le operazioni da compiere, occupano i tre quarti delle trentasei pagine del piano in questione. Il caso di Pomigliano rappresenta un fatto generalizzato, che è l’attacco ai diritti del lavoro. Ciò viene poi presentato, anche nelle scuole e all’università, come l’essenza della modernizzazione. E’ invece l’essenza di una reazione. In Italia i precari per legge sono oltre 4 milioni: cococo, Lap, interinali, stagisti, ricercatori e docenti a contratto, dottorandi, borsisti, lavoratori socialmente utili, tempi determinati, occasionali, stagionali, lavoratori in affitto (o in somministrazione, come si dice adesso), mezzi disoccupati, cassintegrati. Il tasso di disoccupazione inoltre sta ulteriormente aumentando. I contratti a termine di pochi mesi, talora di settimane o di giorni, così come i contratti a chiamata, sono il modello preferito dalle imprese: per mandare uno a casa non c’è bisogno di andare dal giudice, di rischiare una causa per licenziamento senza giusta causa. L’impresa non ha nulla da fare per tagliare posti di lavoro: basta non rinnovare i contratti in scadenza. Negli ultimi anni ciò è avvenuto su larga scala: tre quarti delle assunzioni avvengono con contratti a termine. Questa tipologia annulla di fatto la stabilità della vita, la possibilità di fare progetti per il futuro, di trovare tempo per spazi di socializzazione di istanze e bisogni. L’attacco al contratto a tempo indeterminato, ai contratti collettivi nazionali, e il parallelo aumento della contrattazione individuale frantuma ulteriormente il mondo dei lavoratori. Nel suo libro “Il lavoro non è una merce” fa un duro attacco alla flessicurezza e ad un modello aziendale che incentiva l’attacco ai salari e ai diritti... Bisogna fare delle distinzioni quando si parla di flessicurezza. La base della flexsecurity è la riduzione della garanzia contro il licenziamento. Si riducono le tutele contro il licenziamento senza giusta causa. Le politiche di

©AlessandroParis/Lapresse

Mariano di Palma

Venerdì 8 ottobre 2010

flessicurezza, da questo punto di vista, hanno aspetti negativi anche in Danimarca, Olanda, nei paesi scandinavi. La flexsecurity rappresenta pur sempre un modo di facilitare i licenziamenti: è questo il principale elemento sul piatto negativo di tale politica del lavoro. Dall’altro lato nei paesi citati, cosa che non succede in Italia, si incentiva nei periodi di disoccupazione la formazione dei lavoratori, e si erogano sussidi al lavoratore molto elevati per lunghi periodi. Questo in Italia non esiste. Va detto che in detti paesi esiste un prelievo fiscale molto più elevato. In Danimarca siamo sopra il 50% e le maggiori entrate vanno in politiche sociali. Infatti, i lavoratori possono contare su indennità di disoccupazione molto elevate in confronto alle nostre. Si può arrivare all’80% del salario e può durare a quel livello per anni. In Italia dura pochi mesi, parte dal’80% ma scende ogni due mesi (a 60, poi 50, poi 40, ecc). Quanto alla formazione del lavoratore disoccupato, da noi in realtà non esiste. Chi parla di flessicurezza, paradossalmente, guarda con favore solo all’aspetto negativo di essa, ignorando il fatto che nei paesi in cui è stata introdotta si investono capitali molto elevati per contrastare la povertà da disoccupazione e la mancanza di una formazione adeguata per trovare un nuovo lavoro. Qual secondo lei può essere il modello di welfare per uscire della crisi sociale ed economica?

Bisogna pensare a forme nuove di welfare. In primo luogo bisognerebbe sganciare il sostegno al reddito dall’occupazione. Non si può più solo contare sulla Cig o su un assegno di disoccupazione. Per questo è necessario pensare a forme di Reddito garantito. In Francia hanno già forme di reddito garantito, chiamato dal 2009 Reddito di solidarietà attiva. Un paese che tra l’altro da tempo non è governato dalla sinistra fa già una cosa del genere; permette cioè a giovani fino a 26 anni di percepire un reddito che consente sia di continuare il proprio percorso formativo, sia di inserirsi nel mondo del lavoro che prevede all’inizio forme contrattuali, come quella del contratto part-time, a basso reddito, senza dover con ciò cadere sotto la soglia di povertà. Da anni rivendichiamo un reddito per i soggetti in formazione. Ritiene che la nostra battaglia valga la pena di essere portata avanti? La battaglia che state portando avanti mi pare vada nella giusta direzione, quella di sganciare le politiche di welfare dall’occupazione al fine di garantire una maggior possibilità di autonomia e di scegliersi un lavoro senza essere costretti dall’indigenza ad accettare un lavoro qualsiasi. La vostra battaglia è una battaglia che dovrebbe condurre anche qualche partito di sinistra. Il vostro movimento mi sembra interessante. Mi auguro possiate crescere sempre di più.

Sono i costi di un paese che solo negli ultimi anni taglia otto miliardi di Euro alle scuole, circa il 30% dell’intero bilancio, condannando presidi e docenti alla finanza creativa, cioè all’aumento delle tasse. Sono i costi di un paese che si può permettere di avere un’economia sommersa di circa centotrenta miliardi di euro e di non riuscire però a coprire un investimento, irrisorio per un bilancio di uno stato, di cento milioni necessari per coprire le borse di studio di chi ha partecipato al bando, è risultato idoneo ma non assegnatario. In questi giorni c’è fermento, scuole e università stanno diventando di nuovo luoghi di discussione, confronto e proposta. Le assemblee si stanno susseguendo a ritmo frenetico, l’agenda delle lotte è già fitta: il 16 saremo in piazza con la Fiom perchè gli attacchi ai diritti dei lavoratori di Pomigliano, Melfi e Castellammare sono attacchi che ci riguardano da vicino. Riguardano il nostro presente e il nostro futuro, è la stessa strategia di attacco ai beni comuni a tutti i livelli: saperi, sanità, acqua, ecc.. Noi risponderemo attaccando, siamo stufi di fare battaglie di retroguardia. Per questo nelle scuole e nelle università è partita una discussione serrata sulla necessità di costruire dal basso l’AltraRiforma, per questo abbiamo lanciato un manifesto contro la crisi con dieci proposte per un nuovo modello di società basata sui saperi liberi come nuovo paradigma di uguaglianza e giustizia sociale. Siamo convinti che la nostra Rete serva a questo, costruire un nuovo spazio di partecipazione, unitario e plurale, che si ponga il problema di una rappresentanza sociale ampia e partecipata che sia capace di lanciare una vera e propria “Vertenza sul Futuro” rivolta non solo all’attuale governo ma alla politica nel suo complesso, da anni impegnata nell’autosussistenza di sé stessa, a difendere rendite di posizione in una democrazia malata e infetta. La nostra vertenza comincia oggi quando lo studente diciassettenne e il dottorando ventiseienne si ritroveranno negli ottanta cortei di oggi, con l’intento di bloccare questo paese lanciando un grido d’allarme: Cambiare Ora! P.S: e da oggi insieme anche a Terra. Quotidiano ecologista che ha deciso di investire non nel racconto della rete della conoscenza, ma nella possibilità che la rete si racconti da sola, offrendoci la possibilità di realizzare il “nostro” giornale, e di arrivare in tutte le edicole

Chi è Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all’istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l’accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. È considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono la teoria dell’azione e teoria dell’attore sociale; le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia; gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione da wikipedia.org


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