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Oltre… Anno IX – N. 4 – Ottobre - Dicembre 2015

Periodico di informazione e dialogo parrocchiale e del quartiere

Buon Natale!


L’Editoriale

Parrocchia­ “SS.­Trinità­a­Villa­Chigi” Via Filippo marchetti, 36 00199 Roma Tel. 06.86.00733 Fax 06.86.213956 E-mail: boldrin.lucio@gmail.com Sito: www.sstrinita-villachigi.com Orari­SS.­Messe: Feriali h. 8.00 – 9.00 –18.00 Festivi h. 9.00 – 10.30 – 12.00 – 18.00

­IN­QUESTO­NUMERO: Editoriale Un saluto, un grazie a Cesare Dall’Oglio

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La Poesia - “Dio è nudo”

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Un nuovo Umanesimo in Cristo Gesù 6 Poesia - I versi e la memoria 11 200 anni della Congregazione delle Sacre Stimmate di N.S.G.C. 12 I cresimati dell’11 Ottobre 15 Lettera del Cardinale Vicario 16 Storia del “nostro” mosaico 18 Breve lettura dell’icona 19 Cuba - Verso la fine dell’embargo 22 Un alfabeto povero 24 Esperienza nel Sud-Est asiatico 26 L’amministratore è onesto? 28 Valentino Rossi: dimenticare Valencia 30

NUmERO 4 OTTOBRE - DICEmBRE 2015 Reg. Tribunale di Roma n. 120 / 2008 del 18. 3. 2008

Direttore responsabile: p. Lucio Boldrin Collaboratori: Federica Busato, Bruna Brancato, Angelo Fusco, mario Gravina, Roberta martorelli, Giampaolo Petrucci Impaginazione: Luca Theodoli Stampa: PRImEGRAF Srl, Roma In ogni numero verranno presentate le varie attività che si svolgono in parrocchia La redazione è aperta ad accogliere suggerimenti e argomenti di dibattito all’e-mail: boldrin.lucio@gmail.com

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E Gesù disse ai discepoli “Passiamo all’altra riva”: Shalom, Salam , Pace, Paix…

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di p. Lucio Boldrin

Parlando con i collaboratori di “OLTRE…” ho espresso a loro tutte le difficoltà che stavo trovando nel tentativo di scrivere questo “editoriale natalizio”. Difficoltà che nascono dall’aria pesante che si continua a respirare causata non solo dalla crisi economica, seppur con un leggero miglioramento, ma che ancora grava sull’economia delle famiglie, ma anche dallo stato di paura e incertezza per la propria incolumità dopo i vigliacchi e sanguinosi attentati terroristici del 13 novembre a Parigi. Da quella notte, come un’ombra pesante, aleggia su tutta l’Europa e in anche su Roma. Una paura che spegne il sorriso, ti blocca nelle iniziative e nelle volontà di uscire. Di partecipare ad un concerto, andare al cinema, viaggiare, a cena in un ristorante… una passeggiata al centro. ma lasciarci prendere, mente e cuore alla

paura significa fare il gioco dei terroristi. Si deve, so che non è facile , trovare la forza di reagire e ritornare alla vita normale: uscire dalla­gabbia­della­paura! . Altro sentimento che si respira è il senso di odio e vendetta. Quasi quasi si sente, in molti , il desiderio di entrare in guerra contro l’ISIS. Andare in Siria ed azzerare questo esercito di fanatici che combattono in nome di un dio, che Dio non è. Il­ loro­ nominare­ di­ combattere­in­nome­di­Allah­è­un­bestemmiare­ il­ nome­ di­ Dio!­ E qui­ sorge­ un’altra­ domanda: la­ guerra,­ la­ vendetta­ l’odio possono­risolvere­qualcosa,­o vi­ è­ rischio­ di­ versare­ altro sangue­innocente­creando­altri­ muri­ di­ intolleranza­ e odio?­ In questa non facile situazione mi vengono in aiuto le parole di papa Francesco nell’apertura della 7a


porta santa in Centrafrica, dette ai giovani: “Pensate al banano. Pensate  alla  resistenza  davanti  alle difficoltà. Fuggire, andarsene lontano non è una soluzione. Voi dovete essere coraggiosi”. È il forte invito che Papa Francesco ha rivolto ai giovani, dando inizio alla veglia sulla spianata della cattedrale di Bangui.  Poi ha domandato: “Avete capito cosa significa essere coraggiosi? Coraggiosi nel perdo». E quelle pronunciate l’ultimo giorno di Francesco, in Centrafrica, in una cornice sospesa tra i mezzi corazzati dell’Onu, i caschi blu ovunque, i cecchini sopra i tetti degli edifici in rovina tutt’intorno, «ai responsabili e credenti musulmani» nella moschea di Kaudoukou: «Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci  come  tali,  comportarci  come  tali.  Sappiamo  bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze  che  hanno  scosso  il  vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un

«Il loro nominare di combattere in nome di Allah è un bestemmiare  il nome di Dio!» uomo  o  una  donna  di  pace.  Cristiani, musulmani e membri delle religioni  tradizionali  hanno  vissuto  pacificamente  insieme  per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere  uniti  perché  cessi  ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo  lo  scopo  di  difendere  con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune. Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome  di una  religione  o  di  Dio. Dio è pace, Dio salam A questo parole non mi sento di aggiungere molto di più, se non augurarvi che sia un Natale e un Anno Nuovo di pace e di impegnarci per al pace nel mondo.

Ogni battezzato deve continuamente rompere con quello che c’è ancora in lui dell’uomo vecchio, dell’uomo peccatore, sempre pronto a risvegliarsi al richiamo del demonio – e quanto agisce nel nostro mondo e in questi tempi di conflitti, di odio e di guerra –, per condurlo all’egoismo, a ripiegarsi su sé stesso e alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione, alla vendetta, all’abbandono e allo sfruttamento dei più deboli. Che l’Anno Giubilare della misericordia, appena iniziato ne sia l’occasione. Guardare verso il futuro e decidere risolutamente di compiere una nuova tappa nella storia cristiana. di lanciarci verso nuovi orizzonti, di andare più al largo, in acque profonde. Dobbiamo essere pieni di speranza e di entusiasmo per il futuro. Dobbiamo trovare il coraggio e la fede di passare all’altra riva, quella del perdono , della misericordia e della pace, come ci richiama il vangelo di marco 4, 35 , è a portata di mano, e Gesù attraversa il fiume con noi.

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Un ricordo del padre di P. Paolo dall’Oglio

Un saluto, un grazie a Cesare Dall’Oglio di Domenico Rosati

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on questi pensieri vorrei a ricordare la figura di Cesare Dall’Oglio, (papà di P. Paolo dall’Oglio rapito più di due anni fa in Siria, e del quale ancora non si sa nulla. n.d.r.) venuto a mancare il 6 novembre dopo una lunga invalidità che lo aveva privato del dono della lucidità che ne aveva segnato l’intera esistenza. E accanto alla lucidità, che gli permetteva di leggere i segni dei tempi sia nella società sia nella Chiesa, il rispetto per gli altri nel presentare con chiarezza ed autenticità il proprio punto di vista. Il nome di Cesare Dall’Oglio si incontra subito nella cronache del secondo dopoguerra prima come esponente dei giovani democristiani e poi come componente della

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Direzione, con Segretario Taviani e in compagnia di altri esponenti che giungeranno ai vertici del potere, spesso con tutte le vischiosità della politica. Lui scelse invece di fare politica in altro modo dedicandosi alla organizzazione della Coldiretti, di cui fu per lungo tempo l’insostituibile Segretario Generale. L’organizzazione dei contadini cristiani guidata da Paolo Bonomi attraversò, come è noto, complesse vicissitudini, tra il politico e l’economico. Anche le organizzazioni consorelle - posso dirlo con riferimento alle Acli - si trovarono spesso in dissenso con la “bonomiana”. ma anche in tali situazioni Dall’Oglio era considerato un riferimento sicuro con cui mantenere il collegamento, si trattasse di orga-

nizzare insieme la Festa del Ringraziamento o di andare nelle piazze a sostenere la riforma agraria contro gli attacchi delle destre, quella cattolica inclusa. Consultando Dall’Oglio, ci si imbatteva in un conoscitore inarrivabile degli insegnamenti della chiesa in campo sociale sia nella loro stabilità sia nella loro evoluzione, a partire dalla “mater et magistra” di Giovanni XXIII nella quale, in compagnia di mons. Pietro Pavan, egli vedeva il nucleo di quella che sarebbe stata l’innovazione conciliare. Nel 1975-76 facemmo insieme l’esperienza del Comitato preparatorio del convegno della Cei su “Evangelizzazione e promozione umana” che in un momento diffi-


cile della società italiana tentò di guardare senza diffidenza alla prospettiva dell’unità nella fede nella pluralità delle scelte politiche dei credenti. E posso testimoniare che Cesare non era secondo a nessuno nell’esporre l’esigenza di esplorare tali itinerari superando quella che Giuseppe Lazzati chiamava “l’inutile paura del nuovo”. Nel clima di approssimazione e genericità in cui viviamo, Cesare Dall’Oglio si poneva decisamente in controtendenza. Sempre documentato e sempre aggiornato, sia per l’attualità sia per la dottrina. E ciò indipendentemente dalle occasioni, si trattasse di un convegno di alto livello o del giornalino della parrocchia della Santissima Trinità a Villa Chigi, dove finchè ha potuto, ha partecipato attivamente ad ogni iniziativa. L’altra dimensione di Cesare era quella della vita familiare. Oltre sessant’anni di matrimonio celebrati in affettuosa serenità con una...folla (è il caso di dirlo) di figli e nipoti attorno a lui ed alla signora Donatella. Gli stessi che il 10 novembre, assieme a moltissime altre persone si sono trovate a salutarlo mentre la sua vita “non è tolta ma si trasforma”. Tutti meno uno, Paolo, la cui sorte in Siria resta ancora drammaticamente incerta. A  queste  parole  aggiungo  il mio personale grazie e quello di  tutta  la  comunità  parrocchiale per quanto abbiamo ricevuto  per  la  presenza  di Cesare  nella  nostra  parrocchia. Grazie  a Dio per avercelo donato e per la testimonianza di fede lasciataci assieme a sua moglie  Donatella,  ai  figli.  A loro  va  un  abbraccio  e  un  ricordo nella preghiera perché il Signore  accolga  Cesare  nel Regno  dei  Giusti,  benedica tutta la sua famiglia e con speranza attendiamo di riabbracciare p. Paolo quale testimone di pace, unità e giustizia. (p. Lucio )

La Poesia

Dio è nudo di Marco Gravina

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arissimi della Redazione di “Oltre…” in un primo momento volevo scrivere una mia riflessione per "Oltre..." sul vile attentato di Parigi, ma l'indignazione che avverto è talmente forte che ho preferito affidare alle parole di una poesia ciò che provo in questi momenti. Una poesia che scrissi nel 2012 e inserita in un mio libro dal titolo "A piedi nudi". Non trovo altro modo di testimoniare al popolo francese la mia fraterna vicinanza e la mia solidarietà.

Dio­è­nudo mi domando perché ci siamo costruiti un Dio su misura come se Dio fosse un vestito da indossare o un paio di scarpe da calzare. Ci siamo costruiti un Dio Occidentale e un Dio Orientale un Dio del nord e un Dio del sud. Che stolti che siamo! Dio non indossa abiti, né scarpe. Dio è nudo! E nudi sono i suoi piedi. Perciò le sue orme non sono orme di terrorista né di soldato con gli anfibi. Dio è nudo e non veste panni né di mercenario né di un condottiero. Dio è nudo! Nude sono le sue mani nude come nuda è l’anima di ogni creatura: creatura d’Oriente e creatura d’Occidente creatura del sud e creatura del nord. Che stolti che siamo! Quando ci facciamo la guerra in nome di Dio recitando con devozione preghiere mentre si uccide il proprio fratello. Dio è nudo come nuda è la sua Verità.

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Discorso del Papa all'incontro con i rappresentanti del V Convegno Ecclesiale Nazionale a Firenze

Il nuovo Umanesimo in Cristo Gesù di Papa Francesco

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ari fratelli e sorelle, nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6). «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?»

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(mt 16,15). Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. Dio – che è «l’essere di cui non si può pensare il maggiore», come diceva sant’Anselmo, o il Deus semper maior  di sant’Ignazio di Loyola – diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto. Non voglio qui disegnare in astratto un «nuovo umanesimo», una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni. Quali sono questi sentimenti? Vorrei oggi presentarvene almeno tre. Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé

stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre. Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uo-


mini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda. Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine. Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile. Le beatitudini che leggiamo nel Vangelo iniziano con una benedizione e terminano con una promessa di consolazione. Ci introducono lungo un sentiero di grandezza possibile, quello dello spirito, e quando lo spirito è pronto tutto il resto viene da sé. Certo, se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze perché non ci portano al “successo”. Per essere «beati», per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Sal 34,9)! Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che na-

sce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente. Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per es-

sere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii  gaudium, 49). Però sappiamo che le tentazioni esistono; le tentazioni da affrontare sono tante. Ve ne presento almeno due. Non spaventatevi, questo non sarà un elenco di tentazioni! Come quelle quindici che ho detto alla Curia! La prima di esse è quella pelagiana. Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della segue> Chiesa è inutile cercare

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<segue soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo. La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda  – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma il proposito di san Paolo: «mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). Una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo.Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii

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gaudium, 94). Lo gnosticismo non può trascendere. La differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.

Di sé don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro» La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. mi colpisce come nelle storie di Guareschi la

preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte. ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce  Homo che abbiamo sulle nostre teste. Fermiamoci a contemplare la scena. Torniamo al Gesù che qui è rappresentato come Giudice universale. Che cosa accadrà quando «il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (mt 25,31)? Che cosa ci dice Gesù? Possiamo immaginare questo Gesù che sta sopra le nostre teste dire a ciascuno di noi e alla Chiesa italiana alcune parole. Potrebbe dire: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (mt 25,34-36). mi viene in mente il prete che ha accolto questo giovanissimo prete che ha dato testimonianza. ma potrebbe anche dire: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in


carcere e non mi avete visitato» (mt 25,41-43). Le beatitudini e le parole che abbiamo appena lette sul giudizio universale ci aiutano a vivere la vita cristiana a livello di santità. Sono poche parole, semplici, ma pratiche. Due pilastri: le beatitudini e le parole del giudizio finale. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio! E guardiamo ancora una volta ai tratti del volto di Gesù e ai suoi gesti. Vediamo Gesù che mangia e beve con i peccatori (mc 2,16; mt 11,19); contempliamolo mentre conversa con la samaritana (Gv 4,7-26); spiamolo mentre incontra di notte Nicodemo (Gv 3,1-21); gustiamo con affetto la scena di Lui che si fa ungere i piedi da una prostituta (cfr Lc 7,36-50); sentiamo la sua saliva sulla punta della nostra lingua che così si scioglie (mc 7,33). Ammiriamo la «simpatia di tutto il popolo» che circonda i suoi discepoli, cioè noi, e sperimentiamo la loro «letizia e semplicità di cuore» (At 2,46-47). Ai vescovi chiedo di essere pastori. Niente di più: pastori. Sia questa la vostra gioia: “Sono pastore”. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente. Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo. Come pastori siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi. Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. ma sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, intendo. Ho espresso questa mia preoccupazione pastorale nella esortazione apostolica Evangelii  gaudium (cfr nn. 111-134).

A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione: l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune. L’opzione per i poveri è «forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). Questa opzione «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» (Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale  dell’Episcopato  La  ti no ame ri ca no e dei Caraibi). I poveri conoscono bene i sentimenti di Cristo Gesù perché per esperienza conoscono il Cristo sofferente. «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, 198). Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza. Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E

questo da sempre è una delle vostre virtù, perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti. Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii  gaudium, 227). ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. Noi sappiamo che la migliore risposta alla conflittualità dell’essere umano del celebre homo  homini  lupus    di Thomas Hobbes è l’«Ecce  homo» di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva. La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in segue> ideologia.

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Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà. E senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. È fratello. ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini. E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta. La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose. Faccio appello soprattutto «a voi, giovani, perché siete forti», diceva l’Apostolo Giovanni (1 Gv 1,14). Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovi<segue

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nezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni. Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo. mi piace una Chiesa italiana in-

quieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura. Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii  gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese. Vi affido a maria, che qui a Firenze si venera come “Santissima Annunziata”. Nell’affresco che si trova nella omonima Basilica – dove mi recherò tra poco –, l’angelo tace e maria parla dicendo «Ecce ancilla Domini». In quelle parole ci siamo tutti noi. Sia tutta la Chiesa italiana a pronunciarle con maria. Grazie Papa Francesco


Poesia

a cura di Elena Rosati e Sofia Marich

Associazione Culturale “I versi e la memoria” La punta della penna / che scorre morbida / sul chiaro foglio / cresce pian piano nero su bianco. / Attimi di vita impressi / sono tra gli smorzati versi….. E tu?… Tu dimmi / come è il tuo verso?… Noi / insieme ne facciamo memoria. (*)

Q

uesti bellissimi versi ben spiegano in sintesi il nome della nostra associazione culturale e anche l’intento delle letture che si svolgono ogni mercoledì nei locali della Parrocchia della SS. Trinità a Villa Chigi, dalle ore 18,00 alle 19,00. Siamo un gruppo di persone interessati alla poesia che già da tre anni leggono testi di poeti del passato, del presente e dei presenti agli incontri. Le nostre letture fanno l’esperienza delle parole in versi di poeti di tutto il mondo senza distinzione di razza, religione e di sesso. La parola poetica è universale, è senza confini e, con la sua bellezza evocativa e musicale, crea ponti tra i popoli, e scavalca muri là dove l’insensatezza umana ne erige per dividere gli uomini. E questo lo facciamo nel nostro piccolo avendo la consapevolezza che tutte le cose grandi sono formate dall’insieme delle cose piccole. Sarebbe bello, ed è un nostro sogno e anche una nostra proposta, che in tutte le Comunità parrocchiali sorgessero groppi o associazioni per far nascere i “Circoli della poesia”. Sarebbe una bella maniera per creare spazi di cultura che agevolino la partecipazione di persone che credono e vogliono creare la cultura dal basso. Pertanto a tutti gli amanti dei versi è rivolto l’invito agli incontri dei mercoledì poetici nei quali insieme prospettiamo idee e percorsi di letture in uno spirito allegro e par-

tecipativo. Venite a trovarci, magari anche solo per curiosità e poi chissà, forse, i versi vi faranno capire che c’è un modo di-verso per vivere gioiosamente insieme la cultura di oggi e quella del passato. Ecco perché abbiamo scelto di chiamarci “I Versi e la Memoria”. E come ci dice Franco Loi, noto poeta dialettale recentemente scomparso: a un poeta non viene data nessuna laurea, per essere poeta, molti di loro furono operai, impiegati, insegnanti, giornalisti, scienziati ecc… Per Franco Loi la poesia è “un movimento che attraversa l’uomo”, dove movimento è sinonimo di emozione che deriva da moto. È qualcosa che somiglia all’amore che è esso stesso un movimento non solo dell’anima ma anche del cuore e dei sentimenti; mentre il suo contrario, l’odio, significa staticità e immobilismo. La poesia si manifesta attraverso la parola. Essa riflette lo stupore che il poeta prova davanti alla propria espressione. Non è dunque un prodotto razionale ma un insieme di impulsi che sfuggono alla padronanza del poeta-creatore. E noi pur sapendo che “La poesia non ti porta il pane” diciamo che… ci porta il gusto dalla bellezza della vita. Perché la poesia, come tutte le altre forme dell’arte, è bella, veramente bella! E vogliamo chiudere questa nostra riflessione proprio con i versi di un sonetto di Giosuè Carducci dal titolo “Alla Signorina Maria A.” O piccola Maria, / Di versi a te che importa? / Esce la poesia, / O piccola Maria, Quando malinconia / Batte del cor la porta. / O piccola Maria, / Di versi a te che importa? (*) Versi di Sofia Marich

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La Lettera

200 anni della Congregazione delle Sacre Stimmate di N.S.G.C. di p. generale P. Mautizio Baldessari Lettera del p. generale. P. Maurizio  Baldessari  e  del  suo  consiglio per  l’inizio  del  bicentenario  della nascita della Congregazione stimmatina  ad  opera  del  nostro  fondatore San Gaspare Bertoni BICENTENARIO­­DELLA CONGREGAZIONE­DELLE SACRE­STIMMATE­DI­N.­S. G.­C.­:­1816­-­2016 Ai­confratelli­Stimmatini­ alla­Famiglia­Bertoniana­dei­­­ laici­ agli­amici­collaboratori­

C

arissimi, Il 4­novembre­è­iniziato l’anno di preparazione al Bicentenario­della­nascita­ della­ nostra­ Congregazione. È per tutti noi occasione di ringraziamento a Dio, ricordando - cioè riportando al cuore - il momento in cui S. Gaspare e i suoi primi compagni, obbedendo alla volontà di Dio che si manifesta nei fatti, incominciarono insieme la costruzione di una nuova comunità religiosa.

I­–­GUARDARE­IL­PASSATO: “Benedirò il Signore in ogni tempo” È l’occasione per conoscerci parte viva di una Famiglia viva, che ha prodotto e ancora produce nel mondo frutti di carità. È il momento di ringraziare­ per i confratelli santi che ci hanno preceduto, per le figure di missionari apostolici che con tenacia hanno seminato la Parola in Italia, in Europa, in Brasile, tra gli emigrati degli Stati Uniti d’America; missio-

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Urna con il corpo di San Gaspare Bertoni (Verona)

nari che hanno rinforzato la fede dei piccoli gruppi cristiani in Cina e messo le fondamenta per robuste comunità, accettando privazioni e persecuzioni per il Suo nome; missionari che “sono andati dappertutto” (quocumque euntes) - come ci esorta il Bertoni - in Tailandia, Africa, Filippine, Cile, Paraguay, Georgia, India…. Alla presenza di Dio, è bello ricordare i nostri confratelli fondatori di opere di carità per i più poveri, fondatori di nuove congregazioni di religiose, sconosciuti o famosi, testimoni silenziosi o predicatori di grido, fratelli coadiutori esemplari, vescovi… confratelli che sono saliti sul Calvario della sofferenza e della malattia, per anni, con lo spirito di santo abbandono; professori ed educatori di generazioni di giovani, animatori di Oratori, guide spirituali, letterati, compositori di musica… … Abbiamo veramente tante cose di cui ringraziare! Ora vogliamo risalire alle nostre sorgenti, là dove il nostro piccolo

fiume incominciò a piccole gocce. Nel mese di maggio 1841 don Gaspare scrisse a P. Luigi Bragato, stimmatino mandato alle Corte imperiale di Vienna-Praga, una lettera preziosissima per noi. In essa san Gaspare manifesta lo spirito con cui sta scrivendo le Costituzioni per i suoi figli, cioè per noi (un lavoro che lo impegnerà nella preghiera, nello studio e nel consiglio per circa dieci anni). Scrive parole che esprimono serenità e certezza di fede: il Signore porterà avanti la Sua opera nel migliore dei modi, per la sua gloria. Sorprende la tranquillità, la mancanza di preoccupazione riguardo all’avvenire e allo sviluppo della Congregazione. Ecco il testo: «Pregate assai anche per tutti noi e per quello che sto scrivendo a piccole gocciole, se il Signore lo voglia e ne torni a suo onore. Noi facciamo le parti nostre, secondo la grazia che Dio ci dona; Iddio farà certamente le parti sue, né io voglio sapere quello che voglia fare. mi acqueto credendo fermamente che


Dio può fare ogni cosa che vuole e fa sempre il meglio, anche se molto distante dalle nostre piccole vedute, e talora anche contrario. “Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca  sempre  la  sua  lode”» (Sal 34,2). Certamente egli conservava nel suo cuore tutti gli avvenimenti del passato e li univa come le tessere di un mosaico: le ispirazioni, le esperienze pastorali che il Signore gli aveva chiesto per mezzo delle persone, gli oratori mariani, il circolo dei giovani sacerdoti, l’assistenza spirituale delle compagne di maddalena di Canossa e di Leopoldina Naudet, degli studenti in seminario; soprattutto la fruttuosa missione di S. Fermo maggiore e il dono della casa e della chiesetta delle Stimmate “come luogo opportuno a porre una Congregazione di Preti che vivano sotto le regole di S. Ignazio”. E poi il decreto di “missionario Apostolico” da parte della Santa Sede. Per 25 anni aveva vissuto l’esperienza comunitaria con i suoi compagni, crescendo e camminando insieme, esortandosi reciprocamente a seguire con generosità Cristo casto, povero, obbediente, pregando insieme, preparandosi insieme per l’annuncio penetrante della Parola di Dio in tutta la città di Verona. “… e io non voglio sapere quello che Dio voglia fare”. Dal punto di vista umano, quanto successe a lui e ai suoi confratelli negli anni successivi avrebbe potuto sprofondare chiunque nello sconforto e nello scoraggiamento. Così scrive padre G. Stofella: “Il Ven.  Gaspare  durante  questo  lavoro  di  stesura  delle  Costituzioni dové  mirare  la  sua  comunità struggersi a vista d’occhio e ridursi agli estremi. Dei due chierici uno morì.  Degli  undici  sacerdoti  ne morirono tre; due, i più titolati, ritornarono  a  casa  loro.  Da  un pezzo,  di  chierici  o  preti  nessuno entra, alle Stimate. Defezioni varie di  fratelli  coadiutori:  due  fratelli consanguinei  che  mancano  dopo aver servito il Signore rispettivamente per 13 e per 8 anni; altri en-

trano  ed  escono.  Un  solo  nuovo fratello entra e persevera. Malattie, tribolazioni, tempeste” (Il Ven. Gaspare  Bertoni, p. 248). Insomma, fu un parto difficile e doloroso, il nostro. ma lui ripeteva, e oggi possiamo ripetere anche noi: “Dio può fare ogni cosa… Benedirò il Signore in ogni tempo…”. San Gaspare, in un momento delicato della comunità della Naudet, le aveva scritto un messaggio che vale per noi, anche oggi: «ma un poco su, un poco giù: una dritta, una storta, si va avanti sull’orme di colui che ci precede con la sua croce in spalla, e continuamente grida: Chi vuol venire dietro a me, neghi sé stesso, prenda in collo la sua croce, e mi segua» (Mt 16,24; Lettera 144). II­ –­ VIVERE­ IL­ PRESENTE: “Noi facciamo le parti nostre, con la grazia di Dio”­ Questo anno di preparazione al Bicentenario sarà anche l’occasione per verificare­la nostra fedeltà dinamica, storica, al “progetto” di Dio e per misurare la “temperatura” attuale del nostro zelo missionario. Un anno per mettere nelle mani del Signore anche i nostri peccati, le lentezze, le inadempienze e le paure, le debolezze personali e comunitarie. Provvidenzialmente, la celebra-

Crocifisso al quale san Gaspare era molto devoto.

zione di questo anno, nelle date, coincide in pratica con il Giubileo straordinario della misericordia indetto da Papa Francesco e ciò conferisce un tono particolare alla nostra commemorazione e ci invita a leggere la nostra storia come cammino della misericordia che Dio sta facendo con la nostra Congregazione. Ho letto con commozione l’intenzione che il Papa ha annunciato per la Quaresima dell’Anno Santo: “inviare i Missionari della Misericordia, segno della sollecitudine materna della Chiesa per il popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede… Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo… Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi missionari siano annunciatori della gioia del perdono” (misericordiae Vultus n. 18). È vero che questi missionari saranno scelti e mandati da Papa Francesco, ma come non vedere una stretta analogia con i “Missionari Apostolici, in obsequium episcoporum” che il nostro Fondatore ha posto come fine della Congregazione? San Gaspare ci vedeva come Missionari Apostolici di fatto e nello zelo anche senza il titolo della S. Sede – mandati dai vescovi a riportare ogni singolo battezzato a riscoprire la bellezza del Battesimo che ci porta alla comunione intima di vita con Cristo nella Chiesa, attraverso l’Eucaristia. San Gaspare ci vuole mISSIONARI liberi e senza bisaccia per andare nella diocesi e nel mondo, con la forza della Parola contemplata Carissimi  Confratelli, nel richiamare il dovere dei missionari Apostolici all’evangelizzazione con i vari e propri ministeri della nostra segue> vocazione, permette-

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<segue temi di sottolineare l’importanza del ministero del sacramento­ della­ Riconciliazione, considerato come cammino che porta la persona ad un fermo proposito di conversione per cominciare una vita nuova. La “Confessione” è una potente forma dell’annuncio evangelico, che va al cuore dei singoli. Il Fondatore ha formato una generazione di “novelli confessori” e ne parla spesso nelle Costituzioni (CF 38; 72-75; 162; 293; 277), ponendola tra i ministeri speciali dei “Professi solenni” (CF 183: “Accogliere le confessioni  di  tutti,  specialmente  dei poveri, dei fanciulli e portarli alla dovuta  frequenza  dei  sacramenti”). Se la Chiesa è un “ospedale da campo”, il popolo di Dio possa trovare tra noi infermieri e dottori ben preparati e disponibili a curare le ferite, in ogni momento. Carissimi laici della Famiglia Bertoniana  e  amici  collaboratori. L’annuncio della misericordia del Padre è affidato anche a voi. Nelle vostre famiglie, nei luoghi di lavoro, nei vari impegni che vi sono chiesti dalla comunità cristiana, nel vostro conversare familiare con le persone, al bar… dovunque sentitevi mandati, “in uscita”. Spesso voi potete essere là dove i preti non possono entrare. Spesso avete una parola più semplice e incisiva, perché imparata dalla vita quotidiana. Un cristiano se non è missionario, non è cristiano. L’esperienza che facciamo della tenerezza di Dio, diventi testimonianza concreta nelle opere di misericordia, di giustizia, di liberazione e di guarigione

III­–­PER­COSTRUIRE­IL­FUTURO:­ “Dio farà certamente le parti sue”­ Suona per noi come una spinta di energia quanto il Bertoni ha lasciato nelle Costituzioni: “Colui che ispirò e iniziò il progetto, lui stesso lo porterà a compimento (cfr Fil 1,6), se non dovesse stare in piedi per le nostre forze” (CF 185). È questo il fondamento della nostra speranza. A noi il dovere di puntare con attenzione gli occhi alla mano

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Crocifisso al quale san Gaspare era molto devoto.

del Padrone (cfr Sal 123,2 ) ed essere disponibili a fare tutto quello che Egli ci dirà. I grandi cambiamenti epocali in atto ci trovino in ascolto a quanto lo Spirito dice alle Chiese, per non essere sorpassati dalla storia. “I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente!” (Papa Francesco, Omelia Casa S. marta, 23 ottobre 2015) Sono già state programmate alcune iniziative­ da attuare in questo anno di preparazione al Bicentenario e altre sono in cantiere. Le richiamo brevemente: 1) Prima Settimana Internazionale Stimmatina, aperta ai confratelli di tutto il mondo (Verona, aprile o maggio 2016). 2) Giornata mondiale della Gioventù 2016: preceduta da una Settimana della Gioventù stimmatina organizzata dalla Provincia S. Cuore (Verona, 16 -25 luglio 2016). Nella stessa occasione verrà celebrato il Festival della musica bertoniana. Il tema delle nuove canzoni è “Tempi difficili, ma i più opportuni”; il motto: “Uniti dallo stesso sentimento, motivati dalla fede”. 3) Esperienza Comunitaria Internazionale Stimmatina, riservata ai giovani sacerdoti: 12 giugno 2016 – febbraio 2017 4) Seconda Settimana Internazionale Stimmatina, aperta sempre a tutti i Confratelli (Verona, alla fine ottobre - inizio di novembre 2016)

5) Pellegrinaggio - Incontro dei Laici della Famiglia Bertoniana per alcuni giorni, in data da definire. 6) Libri - pubblicazioni: a) Biografia di divulgazione di S. Gaspare Bertoni (Ed. Velar - LDC) b) Biografia storica di S. Gaspare Bertoni, del professore Ruggero Simonato  c) Una storia da non dimenticare, di Padre Michele  Curto, stimmatino (storia della Congregazione dal 1853 al 1953). Ogni provincia stimmatina è invitata a pensare e realizzare altre iniziative utili per conoscere e far conoscere la nostra storia (ritiri comunitari, convegni, articoli su giornali e riviste, video clip, depliant, ecc. ) e a comunicarle a tutti. Conclusione Il Capitolo Generale ha affermato: “Riteniamo urgente riscoprire la nostra storia, sia per quanto riguarda il nostro Fondatore e i suoi scritti, sia per quanto riguarda la vita della Congregazione. Approfondire e conoscere la nostra storia ci fa vedere il percorso compiuto da coloro che ci hanno preceduto fino ad oggi nelle varie epoche e nazioni, e ci dà indicazioni per essere fedeli nel progettare il nostro presente e il futuro. Figure significative per santità di vita e per zelo, creatività e intelligenza sono un tesoro che non possiamo perdere e che dobbiamo far conoscere con semplicità e fierezza. In questo senso siamo invitati ad avere una maggior cura della nostra memoria storica, non lasciando cadere nell’oblio quanto oggi il Signore ci concede di fare, comunicando notizie a tutti i confratelli e tenendo aggiornate le Cronache di ogni comunità. (Doc. Progr. n.2) I Santi Sposi, il nostro santo Fondatore e tutti i confratelli che ci hanno preceduto ci aiuti - no nel cammino di rinnovamento. E tanti auguri a tutti! Nel Signore, con riconoscenza p. Maurizio Baldessari  e Consiglio Generale


Cresimati 11 OTTOBRE 2015

Alquati Lucrezia, Baldinelli matteo, Bartolucci Lara, Bellomo Caterina , Bernabei Costanza, Biffi Benedetta, Cardinali Luca, Ciucci Francesca, Del Sole matteo, Fronzoni Federica, Gunnella mattia, Iapoce Serena, Losito Lorenzo, mancini Barbara, Niccolai Jacopo, Orsillo Carlotta, Panariello Luigi, Peroni Francesca, Poe michele, Rayandayan Joshua mari, Sarti Gianluca, Shuan Gianluca, Varani matteo. Catechisti: Alessandro De Luca, Alessandro Di Giorgio e Ricciarelli marinella. Vescovo: mons. Guerino Di Tora ( foto Emanuele Perini)

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Lettera del Cardinale Vicario di Roma dopo il V Convegno Ecclesiale di Firenze - 2015

Una Chiesa “libera e aperta” di Card. Agostino Vallini Ai Reverendi Parroci, Vicari parrocchiali, Consacrati, Diaconi e Operatori pastorali della Diocesi di Roma Carissimi, come è a tutti noto, dal 9 al 13 novembre scorso, si è tenuto a Firenze il V Convegno Ecclesiale Nazionale della Chiesa Italiana. Con i Vescovi Ausiliari e una delegazione di sacerdoti e laici della nostra Diocesi ho vissuto quelle giornate in un clima di docile ascolto dello Spirito, di comunione e di fraterno dialogo e riflessione con i delegati di tutte le Chiese particolari italiane sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Il discorso del Santo Padre nel Duomo di Firenze e la Sua omelia durante la Celebrazione Eucaristica hanno suscitato un grande entusiasmo e orientato i lavori. Il senso dell’intervento del Papa potrebbe essere così riassunto: occorre leggere con rinnovata attenzione e slancio missionario i segni dei tempi. Non è più il momento di

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ragionare come in un’epoca di cristianità, in cui l’adesione alla fede poteva darsi per scontata. A differenza di alcuni decenni fa, quando la Chiesa – la Chiesa italiana, e anche la Chiesa di Roma – poteva contare su un diffuso riconoscimento sociale, ora non è più così. Questo però può non essere un danno, ma un guadagno (cfr Fil 3,7)! La Chiesa ha seguito il cammino di spogliamento del Signore (cfr Fil 2,7) ed essendo più povera è pronta a vivere una stagione di nuova fecondità pasquale: «Una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa». Questa consapevolezza incoraggia l’audacia di uscire, di mettersi in cammino, di inaugurare sentieri nuovi, di attivare processi senza avere la presunzione di controllarli nel dettaglio. In questo modo la Chiesa imiterà Gesù che, incontrando lungo le strade della Terra Santa la povera gente, era profondamente commosso (cfr Mc 8,2; Mt 9,36; 14,14; 15,32). Come il

suo Signore e maestro la comunità cristiana presterà maggiore attenzione ai poveri, ai fragili, agli esclusi, ai “periferici” anzi ne assumerà la testimonianza. Papa Francesco ci ha invitato a leggere con occhi nuovi l’Esort. Apost. Evangelii gaudium, incoraggiandoci ad assimilarla interiormente, affinché penetri sempre di più nella vita delle nostre parrocchie e le aiuti a vivere la missionarietà come dimensione essenziale della comunità cristiana, così da rivelare la Chiesa «mamma dal volto lieto e vicina a tutti i suoi figli». Questo «sogno» del Papa per un nuovo umanesimo è stato costantemente ripreso nei lavori del Convegno, di cui intendo in questa lettera – frutto dell’esperienza della nostra delegazione - proporvi alcuni punti, che mi paiono come il “filo rosso” che lega il progetto pastorale diocesano alla riflessione della Chiesa italiana. 1.­RINNOVAMENTO­DEL­LIN­GUAGGIO­ PASTORALE. È stata evidenziata fortemente la necessità di un rinnovamento del linguaggio: nella liturgia, a partire dalle nostre messe domenicali, evitando gli eccessi tanto della trasandatezza quanto del formalismo; nella predicazione (come indicato da E.G.); nell’annuncio, con linguaggi nuovi e più efficaci, più vicini alla vita della gente, capaci di raccogliere anche la sfida delle nuove tecnologie (“pastorale digitale” è stato detto). La Chiesa di Roma da tempo lavora in questa direzione: ma occorre insistere di più, con tenacia e convinzione. 2.­FORMAZIONE.­Nei laboratori del Convegno è emersa la necessità


di curare maggiormente la formazione, a tutti i livelli. Anzitutto la formazione dei sacerdoti, dei diaconi e dei seminaristi (per questi ultimi avvalendosi anche del contributo delle famiglie, perché possano comprendere meglio le attese e i bisogni dei laici); poi la formazione dei consacrati (anche attraverso iniziative tra membri di più istituti); ma soprattutto la formazione dei laici, con “Scuole della Parola” o analoghe iniziative di cammini di fede, estendendosi poi ad altri aspetti, come ad es. alla Dottrina sociale della Chiesa, al fine di favorire una presenza più attiva dei cristiani - particolarmente dei giovani - nella società. Papa Francesco ha scritto: «Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione  portato  avanti da attori qualificati in cui il resto del  popolo  fedele  fosse  solamente recettivo  delle  loro  azioni.  La nuova  evangelizzazione  deve  implicare un nuovo protagonismo di ciascuno  dei  battezzati»  (E.G,  n. 120). Tutti hanno concordato nel dichiarare che l’impegno per una maggior formazione della coscienza cristiana è ormai una priorità ineludibile, da sviluppare non solo attraverso conferenze di specialisti, ma anche con esperienze di vita, valorizzando le risorse interne alle comunità, attivando processi permanenti di auto-formazione, mediante una migliore interazione fra presbiteri e laici. Nella nostra Diocesi i corsi di formazione per catechisti e altri operatori pastorali, avviati da alcuni anni a livello di Prefettura, sono sicuramente di aiuto in questa direzione, ma l’esigenza di avere laici ben preparati per essere una “chiesa in uscita” ci spinge ad un maggiore sforzo, perché questa azione formativa diventi capillare. 3.­ CENTRALITà­ DELLE­ FAMIGLIE. Del Convegno fiorentino mi sta molto a cuore ricordare, in

particolare, la grande attenzione che è stata data alla famiglia, ribadita come centrale per il futuro della Chiesa e per la società. La nostra Diocesi, soprattutto in questi ultimi anni, ha tra i suoi obiettivi prioritari la promozione della pastorale familiare ponendo a tema la trasmissione della fede alle nuove generazioni. Un pionieristico percorso di formazione pre- e postbattesimale ci ha fatto concentrare sul ruolo dei genitori. Importanti poi sono state le conclusioni del Convegno diocesano di quest’anno. Più volte ho avuto modo di esprimere apprezzamento per i passi che stiamo muovendo, ma desidero rinnovare a tutti l’invito a curare di più le famiglie, in modo particolare quelle giovani, avendo cura anche di quelle “ferite” che il recente Sinodo dei Vescovi ha chiesto di accogliere e far sentire parte viva della comunità cristiana. 4.­ OPERE­ DI­ CARITà. Tra le proposte più ricorrenti a Firenze, soprattutto in vista del Giubileo, è stato suggerito di potenziare l’impegno per la testimonianza della misericordia attraverso «la fede che si  rende  operosa  per  mezzo  della carità» (Gal 5,6). In questo campo tante esigenze pastorali dovremmo incoraggiare e potenziare. Ne ricordo alcune: la cura degli adolescenti a rischio, del cosiddetto “popolo  della  notte” dei poveri e dei migranti, impegnando ciascun battezzato e le comunità ad attivare “segni giubilari” permanenti, al livello parrocchiale, di prefettura e diocesano. Questa attenzione operativa va accostata ad una maggiore accoglienza e ad un ascolto più empatico di tutti, nessuno escluso. I due movimenti – accoglienza e annuncio – vanno infatti di pari passo. 5.­ SINODALITà. Infine, è stato sottolineata molto la dimensione della sinodalità, cioè del camminare insieme. Lo stile di fraterna condivisione che ha caratterizzato le giornate fiorentine ha suscitato in molti nostri delegati il grato ricordo del Sinodo Diocesano e la lunga preparazione del Giubileo del

2000. Il passaggio dalla collaborazione dei laici alla loro piena corresponsabilità pastorale – tema affrontato in Diocesi già alcuni anni or sono – sembra non essersi ancora pienamente compiuto, e merita un approfondimento. Si chiede anche una collaborazione più sistematica tra i diversi uffici pastorali diocesani: grazie a Dio, abbiamo fatto un tratto di strada, ma mi pare necessario procedere più speditamente, perché laddove il cammino è stato più intenso i frutti si sono moltiplicati. Carissimi, il Giubileo, che oggi il Santo Padre apre ufficialmente, dopo il grande segno dell’apertura della Porta Santa nella Cattedrale di Bangui, è un’ulteriore tessera del mosaico che la Provvidenza va componendo per accompagnare la Chiesa a essere sempre più sacramento universale di salvezza. Un mosaico che per la nostra Chiesa di Roma ha i tratti del Sinodo e delle tappe segnate dai Convegni diocesani annuali, con i loro orientamenti e con l’impegno silenzioso e generoso delle comunità che progressivamente mostrano il volto di una Chiesa che ha a cuore di far conoscere a tutti Gesù Redentore dell’uomo. È il Signore che guida il suo popolo nel tempo. Sentiamoci parte di questo unico corpo, approfondiamo il senso di appartenenza ecclesiale da cui scaturiscono l’impegno e la corresponsabilità pastorali. Le esperienze di comunione e di collaborazione fra Parrocchie, Aggregazioni laicali e Uffici pastorali del Vicariato e delle Parrocchie all’nterno delle Prefetture, sono essenziali per armonizzare la ricchezza di cui ciascuno, singolo o comunità, è portatore e annunciare la bellezza del Vangelo. Con l’augurio di un Anno Santo ricco di grazie spirituali, vi affido alla materna protezione della Vergine maria, Salus Populi Romani. Di cuore invoco su tutti la benedizione del Signore. Dal Vicariato, 8 dicembre 2015 Agostino Card. Vallini

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Insieme  per dare nuovi colori e luce alla nostra parrocchia

Storia del “nostro” mosaico di Annamaria Rossato L’8 Dicembre, apertura dell’Anno Santo Straordinaro della Misericordia,  la  nostra  parrocchia  è stata  arricchita  dalla  messa  in opera di un nuovo mosaico, raffigurante  la  SS.  Trinità  di  Andrey Rublev, riprodotta da Ida Orlandi con  la  collaborazione  di  altre  signore della nostra parrocchia.

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D

urante uno dei settimanali incontri al “laboratorio di icone” la nostra operosa maestra di pittura Ida­ Orlandi, ci esprime la ferma decisione di realizzare un suo vecchio sogno, un desiderio: fare un mosaico di grandi dimensioni raffigurante l’Icona della SS. Trinità di

Andrej Rublev, per la nostra Parrocchia. Alcune di noi rimangono incredule e attonite, come si fa a realizzare un’opera così importante e complessa nella sua esecuzione? ma Ida, da vera artista che esprime la sua fede nei suoi lavori e sente l’aiuto dello Spirito che non lascia mai solo chi lo invoca con il cuore, sorride e dice: “si può fare… e voi mi aiuterete, insieme a tante persone della parrocchia che condividono questo progetto”. Ne parla anzitutto con il parroco p. Lucio che accoglie l’idea e la esorta a realizzarla. La macchina si mette in cammino, prima tappa la ricerca di veri maestri del mosaico: la visita alla Basilica di S.maria maggiore dove risiede la famosa scuola di mosaico di Padre marko Ivan Rupnik per capire l’effettiva possibilità di esecuzione e dove Ida riceve l’incoraggiamento e la spinta a realizzare il suo sogno. Successivamente l’incontro con un’artista che lavora per il restauro degli antichi mosaici della Basilica di S. Pietro che, in vari incontri ha donato indicazioni e suggerimenti per l’esecuzione del lavoro. Confortati da questi incontri inizia la realizzazione del disegno nelle dimensioni richieste che sono abbastanza vaste. Per questo lavoro viene in aiuto Fabrizio, l’ingegnoso figlio di Ida, che riesce a ingrandire nella misura richiesta l’immagine sacra, ed a sezionarla per creare dei singoli pannelli che, come un puzzle, possano alla fine formare il disegno. Questo per favorire l’esecuzione del lavoro che, date le dimensioni avrebbe avuto bisogno di un laboratorio spazioso ma, nella povertà dei mezzi, l’intera casa di Ida ed Ergilio viene messa a disposizione. Ida continua a dire: “Si può


fare…” perché sa che può contare sull’aiuto e sul sostegno di Ergilio in tutte le necessità. La loro generosità non ha limiti. Importante è stato il recupero e la preparazione del materiale; molto è stato acquistato ma altrettanto è stato recuperato in vari modi, dai campionari donati da commercianti amici, ai residui, alcuni anche preziosi perché provenienti da murano, che appartenevano al padre di Ida. Il padre di Ida era un medico dentista, un valente professionista che aveva la passione per l’arte del mosaico e, nelle ore libere si immergeva in magnifici lavori. Lui è stato un mentore per la figlia che ha voluto raccogliere tutto ciò che il padre le aveva insegnato per tuffarsi, per la prima volta, nell’avventura di un grande mosaico che rappresenti la Trinità a cui lei è particolarmente devota. Tutto è pronto: i pannelli con i disegni, il materiale, che è stato ta-

gliuzzato con pazienza e attenzione in piccole tessere di varie dimensioni e forma, da tante persone . Primo fra tutti Ergilio, poi Wanda, Guido, Barbara, Renato, Domenico e altri. Sono stati aggiunti alcuni sassi e pietre che, alla luce della nostra fede, sono permeate di sacralità e significato perché provengono da luoghi santi. Anche la colla, preparata in casa con il “bimbi” da una ricetta antica, è pronta. Come un vero gruppo di laboratorio, a turno, nel pomeriggio ci trasferiamo a casa di Ida che pazientemente ci insegna la tecnica necessaria per l’applicazione delle tessere. Il lavoro dura molti mesi, ed ha attraversato momenti di grande entusiasmo ad altri di rallentamento. All’inizio il detto “fare e disfare è tutto un lavorare” sembrava fatto per noi, ma poi misteriosamente il disegno appare luminoso e questo ci riempie di euforia e di coraggio.

È un lavoro che avanza molto lentamente, per fare pochi centimetri ci si impiega 3-4 ore e non so quantificare quante ore, giorno e notte, Ida ha passato su questo lavoro. “Ora et labora”. Frattanto pensa anche alla importante fase finale di affissione del mosaico alla parete della Chiesa, e contatta l’arch. milka che mette a disposizione la sua esperienza per la posa in opera fornendo operai qualificati e competenti. Finalmente giunge la fine e il lavoro viene assemblato nel pavimento del salotto di Ida. Tutte insieme, in un nostro momento di condivisione di fronte al significato del mosaico, in silenzio è nata dal cuore di ognuno di noi una preghiera di ringraziamento per questa meravigliosa esperienza che ci ha unito ed ha toccato il nostro spirito , ci ha aiutato a penetrare nel mistero della Trinità che è accoglienza, amore, condivisione, comunione.

Breve lettura dell’icona Di p. Lucio Boldrin

L’

icona della Trinità­di­Rublev esprime tutto il messaggio di San Sergio: in colore e in luce appare a noi la sua preghiera vivente e, prima ancora, la preghiera di Gesù: “...perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te...” (Gv 17,21). Rublev riesce a fare sintesi fra la tradizione della Chiesa ed il dono gratuito ricevuto e messo a servizio del popolo dei credenti, per trasmettere l’esperienza della “luce divina”. Egli prima ha contemplato con gli occhi della Chiesa il mistero che desiderava “scrivere”. L’icona della Trinità fu “scritta” dal santo monaco russo Andrej Rublev, nato intorno al 1365 e morto verso il 1430. Rublev fu testimone di un avvenimento importante per la storia del suo popolo: mosca guidò la liberazione del popolo russo dai Tartari, una liberazione benedetta ed approvata dalla Chiesa, dai metropoliti di tutta la Russia, da San Sergio di Radonez e dai suoi discepoli. Rublev si aggregò alla comunità del monastero di San Sergio (1313-1392), situato nel bosco di segue> Radonez. Egli apprese dalla comunità

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l’amore per la Santa Trinità, per l’igumeno Sergio, suo padre spirituale, nonché la cura per il monastero e la terra patria. In questo monastero Andrej cominciò a sviluppare il suo talento naturale, l’inclinazione per la pittura, assieme al monaco Danijl Cernij, suo primo maestro, con il quale Rublev pregava e contemplava le icone, preparando il suo ministero di iconografo. Andrej accrebbe il talento donatogli da Dio con un lavoro instancabile e con il cammino dell’ascesi spirituale, fino a raggiungere “l’armonia della composizione e del disegno, la purezza e la leggerezza delle tinte, la musicalità delle figure e la loro interiorità profondamente religiosa... Nelle opere del beato Andrej la profondità della rivelazione teologica del tema è rivolta al cuore di chi prega, di chi contempla l’icona” (A. Trubacev). <segue

TRADIZIONE ICONOGRAFICA TRINITARIA L’icona della Trinità di Rublev si inserisce nella grande tradizione iconografica trinitaria. Al tempo di Rublev la Trinità veniva rappresentata sulla traccia del racconto biblico di Genesi 18,1-15, nel quale Abramo ospita i tre angeli pellegrini, apparsi a lui e a Sara per comunicare la promessa divina di una discendenza. Le altre icone bizantine e russe presentavano questo avvenimento con tutti i

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personaggi e dettagli dell’accoglienza e del pasto consumato dagli angeli ospiti. I Padri della Chiesa cominciarono a ravvisare negli angeli le tre Persone della SS. Trinità. Così vennero raffigurate già in S. maria maggiore a Roma (V sec.) e in S. Vitale a Ravenna (VI sec.). A Bisanzio e poi in Russia conservarono questa tradizione. Rublev libera la composizione dai dettagli superflui e concentra l’attenzione di colui che osserva sul profondo tema trinitario dell’icona, dando ad ogni elemento il valore sacramentale del simbolo. Egli sicuramente aveva studiato i temi biblici riguardanti Abramo e le diverse interpretazioni dei Padri, per arrivare ad una interpretazione puramente neotestamentaria della SS. Trinità. L’obbedienza di Abramo, fedele a Dio fino all’accettazione del sacrificio del figlio Isacco, diventa l’obbedienza del Figlio Cristo a Dio Padre, fino alla morte. Il Padre deve consegnare alla morte il Figlio e il Figlio deve vuotare questo calice. L’icona della Trinità di Rublev diventa il modello canonico della rappresentazione della Trinità. Nel 1551 il Concilio dei Cento Capitoli raccomandava agli iconografi di dipingere le icone della Trinità basandosi su questo modello, che definì "l’icona delle icone"Struttura Geometrica Come ogni icona, anche questa è "scritta" su una struttura geometrica precisa, nella quale ogni elemento ha una proporzione stabilita

rispetto agli altri e trova il suo posto secondo il suo significato e il suo valore simbolico. Questa struttura dà un equilibrio ed un’armonia a tutta la raffigurazione. Tutta la composizione dell’icona di Rublev è costruita sulla croce, che costituisce la struttura geometrica principale; l'asse verticale congiunge l’albero, la testa dell’angelo centrale, la coppa ed il rettangolo dei martiri. Gli angeli sono racchiusi dentro un cerchio che indica pienezza e perfezione e sottolinea la circolarità degli sguardi d’Amore delle Tre Persone. La mano dell’angelo centrale è il centro della circonferenza che raccoglie le tre teste. Anche la coppa, con la testa dell’agnello, posta sopra l’altare, è iscritta in un cerchio. La testa dell’angelo centrale forma la punta del triangolo, la cui base si colloca sulla linea inferiore della tavola-altare. Il secondo triangolo è rovesciato: la sua base superiore posa sulle teste degli angeli laterali e contiene nel vertice inferiore la fessura rettangolare dell’altare, luogo delle reliquie dei martiri. La coppa del sacrificio di Cristo è offerta sui corpi offerti dei suoi fratelli. Lo spazio compreso tra i due angeli laterali assume la forma di un calice che sale dal basso: il Padre e lo Spirito Santo sono coloro che contengono il Corpo di Cristo ed il Suo Sangue. I­TRE­ANGELI I tre angeli, perfettamente uguali e tuttavia diversi, rappresentano un solo Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. E’ proprio della Santa Trinità essere una ed indivisibile, nella sua essenza e nelle sue manifestazioni, pur nella diversità delle Persone. Conosciamo il Padre attraverso il Figlio: "Chi vede me vede il Padre" (Gv 14,19). Conosciamo il Figlio attraverso lo Spirito: "Nessuno può dire Gesù Cristo è il Signore, se non per mezzo dello Spirito Santo" (1Cor 12,3). Gli scettri identici indicano appunto ’uguaglianza del potere, di cui ciascun angelo è dotato. La diversità è data dai colori delle vesti,


ma soprattutto dall’atteggiamento personale di ciascuno verso gli altri. Nell’angelo di sinistra è riconosciuta la figura del Padre, nell’angelo centrale quella del Figlio e nell’angelo a destra la figura dello Spirito Santo. IL­PADRE­ L’angelo di sinistra, il Padre, indossa un mantello color lilla sopra una tunica azzurra, simbolo della Sua divinità. Il lilla è un colore sfumato, evanescente, quasi trasparente, segno del mistero e della trascendenza. Il suo mantello è appoggiato sulle due spalle, a differenza del Figlio e dello Spirito, perché Egli non è inviato, ma invia gli altri due. Questo suo invio è indicato anche dal piede sinistro, che sembra iniziare un passo di danza. Tutto converge verso di lui, come verso la sorgente: gli altri due angeli, la roccia, la casa, l’albero. E’ statico, diritto, perché questa persona è origine a se stessa, è il segno della maestà ed il riferimento per gli altri due angeli. Il gesto della mano e lo sguardo sembrano affidare una missione al Figlio che l’accoglie, curvo, in senso di consenso. Le Sue mani non toccano la terraaltare, ma la benedice con le due dita alzate della mano destra; Egli non è nel mondo. Il capo inclinato indica che Egli raccoglie l’offerta amorosa del Figlio. IL­FIGLIO L’angelo centrale, l Figlio, indossa la tunica ocra del colore della terra, simbolo della natura umana assunta nell’Incarnazione; il mantello azzurro è segno della natura divina ed è appoggiato solo su una spalla, perché Egli è inviato dal Padre. La stola gialla indica la missione vittoriosa del Cristo "sacerdote", che ha dato se stesso per la salvezza del mondo ed è risorto. Il Figlio è appena salito al cielo e sta comunicando con il Padre riguardo alla missione che ha compiuto. Il suo corpo ricurvo e lo sguardo d’Amore rivolto verso il Padre indicano l'accettazione e la docilità alla volontà paterna.

La sua mano destra, appoggiata alla terra-altare, è la più vicina alla coppa dell’offerta, perché Egli è quell’offerta simboleggiata dalla testa dell’agnello; la mano riproduce il gesto di benedizione del Padre e l’atto di appoggiarla alla terra-altare indica la sua discesa nel mondo, attraverso l’Incarnazione. Le due dita sono appunto il simbolo della sua duplice natura: Egli è pienamente Dio e pienamente uomo. LO­SPIRITO­SANTO L’angelo di destra, lo Spirito Santo, indossa sopra la tunica azzurra, simbolo della sua divinità, un mantello verde acqua che è il colore della vita, della crescita e fertilità. Nel campo spirituale il verde è simbolo della forza vivificante dello Spirito, che ha resuscitato Cristo ed ha comunicato al mondo la pienezza del significato della Resurrezione. Egli è colui che dà vita. Questo angelo ha l’espressione più riservata delle tre persone. La sua figura è più piegata sulla mensa, in atteggiamento di ascolto, umiltà e docilità. Ci rivela un aspetto nuovo dell’Amore, tipicamente femminile: l'accoglienza e la custodia. La sua mano cadente sulla terra - altare indica la direzione della benedizione: il mondo cui lo Spirito dona Vita. Lo Spirito sta partecipando profondamente al dialogo divino ed è pronto per essere inviato nel mondo a continuare l’opera del Figlio. Il mantello appoggiato solo su una spalla ed il piede, che sta rispondendo alla danza iniziata dal Padre, sono simboli del suo accingersi a partire per la missione affidatagli: "Quando però verrà lo Spirito (dice Gesù), Egli vi guiderà alla verità tutta intera... dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future" (Gv 16,13). ALTRI­ELEMENTI Dietro il Padre si vede la casa di Abramo, divenuta tempio, dimora del Padre e simbolo della Chiesa, sua figlia, perché "corpo" di Cristo, secondo la teologia paolina. La quercia di mambre è simbolo del-

l'albero della vita: quel legno della croce sul quale il Cristo ha offerto la propria vita per la salvezza dell'umanità. La roccia-monte dietro lo Spirito è insieme simbolo di protezione , di luogo "teofanico", cioè luogo dove Dio si manifesta e simbolo dell’ascensione spirituale. Il vitello offerto nel vassoio da Sara è diventato coppa eucaristica. L’oro, simbolo della luce divina Il fondo e le aureole (nimbi) d’oro sono simboli della luce divina La luce nell’icona non è naturale, ma spirituale Proviene dalla grazia ricevuta, per mezzo dello Spirito, prima dall’iconografo, nella contemplazione del mistero da rappresentare, poi da chi contempla l’icona con lo stesso atteggiamento di preghiera. ATTEGGIAMENTO­DI PREGhIERA Come in ogni icona orientale, i punti di vista dell’artista e dello spettatore non coincidono; le linee non convergono verso l’occhio di chi guarda, ma, secondo la prospettiva inversa, l’icona si apre a chi la contempla, invitando ad un movimento di avvicinamento verso il punto di vista dell’autore dell’icona. L’atteggiamento giusto di fronte ad ogni icona è quello della preghiera e della contemplazione, come davanti ad una finestra aperta sul trascendente. L’icona non si può dire mai del tutto compiuta; l’ultimo tocco spetta a chi la guarda, a chi si pone innanzi ad essa con atteggiamento di umile ascolto. L’icona è dialogica per natura, perché ci invita ad entrare in dialogo con il mistero rappresentato. Vorremmo perciò accogliere l’invito a sederci a tavola con i Tre, con essi partecipare alla sacra conversazione, cogliere e fare nostro lo scambio di Amore e comunione tra le Tre Persone. Vorremmo fare nostro il messaggio di questa icona, che è quello del Cristo di Gv 17,2021: "Prego... perché tutti siano una sola cosa. Come tu Padre sei in me e io in te,siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato".

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Impressioni di un viaggio a Cuba dopo l’annuncio della possibilità della fine del blocco commerciale

Verso la fine dell’embargo tra luci ed ombre di Federico e Fabrizio

“C

lima perfetto. Acque incontaminate. Paesaggi  mozzafiato. Architettura  maestosa. Piante e animali esotici” è questo lo slogan che sovente invita i turisti a recarsi nella Repubblica di Cuba, uno splendido arcipelago collocato nel mezzo del mar dei Caraibi, il cubanacán appunto. Quello che però riserva una visita all’isola non è facilmente descrivibile dalle foto nè tanto meno da quanto può produrre la mente fervida di un pubblicitario. mettendo piede sull’isola già si comincia a respirare l’aria di una storia che sembra essersi fermata alla fine degli anni ‘50 quando,

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«Mettendo piede sull’isola già si comincia a respirare l’aria di una storia che sembra essersi fermata alla fine degli anni ‘50 quando Fidel entrò trionfante all’Havana»

quello che verrà chiamato il “Leader maximo”, entrò trionfante all’Havana congelandone di fatto la sua storia. Ma­è­vero?­La­storia­si­è­veramente­ fermata?­ L’embargo­ che­ va­ piano­ piano “distendendosi”­traghetterà Cuba­ e­ i­ Cubani­ tranquillamente­nel­XI­secolo? Queste domande vengono spontanee non appena si cerca di andare oltre quei colori vivaci delle auto che circolano nell’Havana o non appena il soave profumo di un “Esplendido” si dissolve nell’aria. ma le risposte non sono così immediate nè tantomeno scontante. Sebbene gran parte dei turisti pas-


sino le loro ore di relax e svago nelle strutture ricettive e standardizzate dei “Cayos” le piccole isole che compongono l’arcipelago di Cuba è proprio percorrendo il largo e soprattutto in lungo l’isola di Cuba che si riesce a capire che forse Cuba e i Cubani rimarranno fedeli a se stessi embargo o meno. Le evidenti difficoltà del vivere quotidiano che l’occhio di un turista non mancheranno di notare, alla vista di un abitante dell’isola rappresentano l’occasione per dare fondo a tutte le risorse che la fervida mente e fantasia umana riescono a produrre, ecco quindi che una macchina in panne ferma sul lato della strada miracolosamente

riparte grazie all’intervento di un passante che si ferma a prestare aiuto al concittadino malcapitato., utilizzando quanto è disponibile al momento. ma è indubbio che gli effetti dell’eliminazione dell’embargo modificheranno la “morfologia” dell’isola, non è realistico pensare che i cubani continueranno ad usare le loro colorate e “fumanti” Cadillac degli anni ’40 a discapito di una fiammante utilitaria munita di impianto stereo e aria condizionata oppure gli empori di Stato con gli scaffali perennemente vuoti che si riempiranno di tutte quelle utili e indispensabili mercanzie che riempiono un moderno centro

commerciale occidentale. ma i cubani saranno pronti a tutto ciò? Guglielmo, una simpatica guida turistica che col mondo occidentale “vive” a stretto contatto portando tutto l’anno turisti su e giù per l’isola ci dice che Cuba rimarrà uguale a se stessa, sottolineando una certa indolenza del popolo cubano che nonostante abbia superato almeno tre dittature (anche se, oggi, dobbiamo sempre riferirci alla Repubblica Cubana…..) di fatto non ha modificato quel che è il suo modo di vivere e pensare alla “giornata”. L’augurio­che­rivolgiamo­agli amici­ cubani­ è­ che­ il­ fiume della­modernità­non­travolga le­loro­vite­con­l’irruenza­che potrebbe­ avere­ un­ improvviso­ acquazzone­ dopo­ decenni­ di­ siccità,­ ma­ che­ essi possano­ abbeverarsi­ con calma­ a­ quanto­ di­ meglio­ la modernità­possa­metter­loro dinanzi­avendo­la­tranquillità per­ apprezzarne­ vantaggi­ e benefici­ senza­ perdere quanto­ di­ meglio­ esiste­ ne… “L’Autentica­Cuba!!!!.”

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Scuola d’italiano per stranieri della nostra parrocchia

Un alfabeto povero di Maria Pia Parenti

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han viene dal Bangladesh, ha 34 anni e da tre vive in Italia. Assunto come lavapiatti, è oggi aiuto cuoco in un noto ristorante del quartiere Africano di Roma. Da nove mesi è avvenuto il ricongiungimento familiare con la sua giovane moglie, Fareya, che sorride con la bellezza che da sempre contraddistingue le donne che portano in grembo una nuova vita. mi raccontano che vivono in una stanza, all’interno di un appartamento condiviso con altri due connazionali. Per Rinalyne, 38 anni delle Filippine, il ricongiungimento è avvenuto dopo quattro anni. Lei è in Italia da sette mesi e parla con molta difficoltà la lingua italiana. mi dice che il marito lavora come magazziniere in una grande catena di supermercati e hanno due figli, di 13 e 16 anni, che frequentano le scuole medie. Anche Salaha viene dal Bangladesh (quest’anno è una vera ondata di asiatici…), ha 30 anni e ha raggiunto dopo cinque il marito, che lavora come meccanico in una officina specializzata. È arrivata nel nostro paese da otto mesi, insieme alle sue bambine di 10 e 4 anni. La più grande frequenta la scuola italiana e aiuta la mamma facendosi interprete linguistico tra le nostre domande e le sue risposte. Khan, Rinalyne, Salaha sono tre studenti che frequentano la classe di alfabetizzazione della Scuola di italiano per stranieri “Nino­Antola”, presso la Parrocchia SS. Trinità a Villa Chigi di Roma, dove insegno da circa dieci anni, insieme ad altri volontari. La scuola opera fin dagli anni Novanta e si propone quale luogo di accoglienza e di prima formazione per gli stra-

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nieri da poco trasferiti in Italia. I corsi sono gratuiti e prevedono diversi livelli, oltre ad una sezione appositamente dedicata ai ragazzi dagli 11 ai 16 anni. Otto mesi di intenso lavoro, di serrato impegno da parte di insegnanti a fianco degli stranieri provenienti da ogni parte del pianeta: Filippine, Bangladesh,­ Repubblica­ Dominicana,­Cina,­Tunisia,­Marocco,­ Perù,­ Libia,­ Egitto, Moldavia,­ Thailandia,­ Russia,… L’inizio dell’anno scolastico, nel mese di ottobre, è sempre un po’ incerto per la scarsità di presenze, ma in poco tempo arriva a pieno regime con le aule completamente affollate. È il famoso “passa parola” fra gli studenti, che funziona meglio di qualsiasi altra forma di pubblicità. Pertanto, accogliamo in ogni momento immigrati, soprattutto quelli da poco arrivati in Italia. È questo l’aspetto più critico per la didattica, perché costringe gli insegnanti a ritornare sui propri passi, a riprendere lezioni già avviate e a ripensare gli strumenti di apprendimento per rispondere meglio alle istanze dei nuovi arrivati. Questo elemento si fa ancora più critico nella classe di alfabetizzazione, caratterizzata dalla presenza di immigrati con eterogenea for-

“Quando si è messa la propria mano nella mano dei poveri, allora si trova la mano di Dio nella propria” (Abbé Pierre)

mazione culturale. Alcuni parlano molto bene l’italiano, essendo stabili da tempo nel nostro Paese, ma non sanno ancora leggere e scrivere; altri non lo parlano affatto, perché arrivati da pochi mesi, se non addirittura giorni, ma possiedono una elevata scolarizzazione del loro paese d’origine che li favorisce nell’apprendimento della lingua; infine, la parte più disagiata degli studenti che non ha mai ricevuto alcun tipo di formazione neppure nel loro paese natale. È la fascia dei più poveri, culturalmente parlando, che richiedono una maggiore attenzione e impegno da parte del corpo insegnante. A qualcuno di loro è stato necessario dedicare del tempo per aiutarli a esercitare la corretta pressione della penna sul foglio… Nella scuola d’italiano facciamo i conti con la povertà intesa come vuoto culturale, che non si traduce sempre e solo con il disagio economico. Ho impiegato del tempo per comprendere la portata reale del concetto povertà. All’inizio il mio entusiasmo e la voglia di cambiare le cose hanno animato il mio volontariato, ma non ero ancora ‘dentro’ al problema. Gli anni mi hanno aiutato a maturare una visione più realistica della povertà culturale, che si declina in multiformi aspetti, come non essere in grado di leggere il bugiardino di una medicina, non comprendere la diagnosi del medico al pronto soccorso dell’ospedale, la difficoltà nella compilazione di un modulo. La Scuola però vuole essere anche questo: luogo di ascolto e di accoglienza. Occorre fermarsi per ascoltare, ascoltare per comprendere, infine scoprire che di fronte a me ho il Cristo che dice ancora


una volta: “Ogni volta che  avete  fatto  qualcosa a uno solo di questi  miei  fratelli  più piccoli, l’avete fatto a me”. E come ci insegna San Paolo: “…non si tratta invero di disagiare voi per sollevare gli altri, ma perché vi sia eguaglianza; nel momento attuale  la  vostra  abbondanza scende sulla loro  indigenza,  onde vi  sia  eguaglianza” (2Cor. 8, 13). La Scuola di italiano ci conferma la validità del pensiero di San Paolo: aiutare a “sollevare” uno straniero ad integrarsi nell’ambiente culturale, sociale ed economico in cui vive. Per esperienza personale, posso affermare che la scuola di italiano è diventata un luogo privilegiato per piccoli e grandi miracoli. I piccoli li sperimento alla fine di ogni lezione, quando riconosco i progressi dei miei studenti, il loro impegno e la loro assiduità (che per un insegnante è motivo di gratificazione e di motivazione), poi dai loro sorrisi riconoscenti. Per i grandi miracoli, mi piace raccontare questa storia. Quest’anno ha frequentato il mio corso una signora egiziana di 48 anni di nome Riham. Dotata di una brillante intelligenza, si è impegnata al massimo, seguendo le lezioni con assiduità e grande attenzione, ponendoci spesso domande sulle nuove parole ascoltate alla radio o alla televisione. A metà percorso scolastico, Riham non si è più presentata, destando in noi un po’ di preoccupazione e dispiacere. Quando è ritornata, ci ha raccontato che era tornata in Egitto per l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre. Il suo volto era visibilmente provato e tradiva la sofferenza di quei giorni. Al termine della lezione, Riham si avvi-

cina e, con gli occhi lucidi, riprende a parlare della difficile situazione di salute del padre. Prima di congedarsi mi chiede di pregare per lui. Quella sera sentivo che qualcosa di straordinario era avvenuto ed era successo proprio a me, il fatto cioè che una donna musulmana avesse chiesto ad una donna cristiana cattolica di pregare per il suo genitore. Nell’intima e disperata sofferenza si riconosce che esiste un solo Dio che si offre ad ogni essere umano. E la preghiera viene ‘riconosciuta’ come universale, senza l’egida di una religione, ma dialogo fra l’uomo e Dio, quel “Io sono” offerto a tutte le sue creature. Per me è stato un momento di grazia, di ampio respiro, di gioia inesprimibile, un vero e proprio miracolo! ma non finisce qui. L’anno precedente aveva frequentato il corso il marito di Riham, Salem, il quale aveva incoraggiato la moglie perché frequentasse la nostra scuola. Quando è tornato a trovarci insieme alla moglie, ci hanno invitato a casa loro per una cena, alla quale ne sono seguite altre, anche

nel periodo del Ramadan, perché volevano farci assaporare i tradizionali cibi stabiliti in quel periodo. Nel corso di queste cene abbiamo parlato a lungo, aiutandoci anche con l’inglese, e abbiamo vissuto momenti di esaltante amicizia. In una di queste serate si è affrontato il tema religioso e Salem ci ha guardato teneramente offrendo la sua riflessione e cioè che, seppure­ professiamo­ religioni­ diverse,­ uno­ solo­ è Dio. Ci siamo guardati in volto, tacitamente sorridenti, consapevoli che questa era l’unica e autentica possibilità. ma, affermato da un musulmano, fa un certo effetto. La storia di Salem e Riham induce un sano ottimismo riguardo il tema dell’integrazione; ma è una storia che stride fortemente con i recenti attentati di Parigi. I tragici fatti della Capitale francese mi hanno profondamente turbato e disorientato, provocando sentimenti di sgomento, incredulità e rabbia. Lo riconosco, non riesco a trovare parole di pace in questo tempo di guerra. Un tempo che Papa Francesco ha definito “un pezzo di terza guerra mondiale”. Parole da far venire i brividi. ma i fatti di Parigi sono accaduti e dobbiamo tutti fare i conti con questa realtà, primi fra tutti l’Europa e i governi nazionali nell’approntare nuove strategie e responsabilità. Io non posso e non voglio entrare nel merito, ma una cosa ci tengo a dirla e con fermezza: non possiamo abbandonare i poveri. Sono i poveri la primizia evangelica che ci provoca nella sfida quotidiana di un autentico apostolato. E ciò che testimonia che “dove c’è un  vero  cristiano,  là  c’è  Dio,  è  il fatto che il povero non è più abbandonato” (Abbé Pierre).

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EXCHANGE:120 giorni nel Sud-Est asiatico.

Non c'è niente di più vero di un miraggio di Diletta Topazio

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n’alba si svegliava piano piano sul raccordo, come tutti giorni s’alzava incerta per poi lasciare il posto all’azzurro di una soleggiata e normale mattinata estiva, una di quelle che, da studente, confondi tra tutte le altre, ugualmente imbevute della libertà, portabandiera di questa parte dell’anno. Io quell’alba non la dimenticherò mai più, quell’alba ha sconvolto la mia vita, per sempre, quell’alba mi ha preso per mano e mi ha accompagnato a Fiumicino, per poi salutarmi dalla piccola finestrella di un aereo enorme, l’aereo per Singapore. Il mio stato d’animo era un arcobaleno di sentimenti contrastanti, emerso dopo la pioggia degli ultimi abbracci umidi di commozione, un arcobaleno che ti sbrighi a fotografare, perché presto scomparirà, e chissà se lascerà il posto al sole o meno. Il secondo ricordo indelebile è la sensazione addosso appena uscita da quell’aeroporto megagalattico, quando realizzi che oramai sei lì,

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non si tratta più di colorare qualche cartolina di un posto lontano e irreale, ma di caricarsi i 40 kg di valige varie ed entrare in scivolata su quella che è improvvisamente diventata la tua vita per i mesi a venire. Il primo impatto che ho avuto è stato quello di una cultura così diversa, mistica ma ordinata, schiva ma pronta ad aiutarti in caso di difficoltà, il tutto intriso in quell’umidità, tra l’80 e il 90%, che fa da condimento a questo incredibile melting-pot  di cinesi, indiani, europei… La spesa al supermercato frutto più del caso che di una scelta ben precisa, il divieto assoluto di bere o mangiare nei mezzi pubblici, la vendita vietata di gomme da masticare, l’ordine nel fare la coda, nell’aspettare sempre e comunque il verde al semaforo, la dipendenza da smartphone, tutte queste cose piano piano sono entrate nella mia sfera del quotidiano, prendendo il posto delle tradizioni, del chiasso allegro, della continua gara a “fregare” tutti

quanti che contraddistingue il nostro bel paese. Se mi sia piaciuto? È un bel mondo, l’ordine piace a tutti, la funzionalità di ogni servizio è devastante. ma ogni volta che incontravo una famiglia europea, cercavo negli occhi di ogni membro quella forza, quella ferma volontà di lasciare tutto e di fare un passo così grande, forza che io, all’indomani del mio semestre lì, non avrei. I giorni a Singapore cadevano veloci, spinti dai frenetici week end alla scoperta del Sud-Est Asiatico, viaggi in cui, con altri 3 ragazzi della mia università, ci si trapiantava in culture differenti, perdendo ogni sorta di preconcetto, fotografando estasiati allegre famiglie locali, povere, senza nulla, o forse con tutto, il sorriso. Ma­la­cosa­più­bella­non­è­stata ogni­ singola­ meta,­ ma­ il­ vedere­ il­ cambiamento­ in ognuno­di­noi,­l’adattarsi­a­circostanze­così­forti­e­diverse,­ai viaggi­notturni­in­autobus­sovraffollati­ dalla­ popolazione


locale,­al­vivere­giornate­intere senza­rete­al­cellulare,­al­senso di­ libertà­ quando­ si­ vaga­ nel nulla,­ o­ almeno­ quel­ “nulla” secondo­ il­ nostro­ concetto, forse­ un­ concetto­ un­ po’­ presuntuoso­da­sostenere. ma entriamo ora un po’ più nello specifico… MALESIA. Dopo 6 ore di autobus e 2 ore di traghetto siamo sbarcati in un’isola semideserta, con un solo hotel, qualche baracchetta per fare snorkeling (nuotare con la maschera fino a 5 mt di profondità ndr), la giungla e le scimmie accanto ad un’acqua cristallina. Un senso di pace e distacco da tutto e tutti, un week end di tramonti e albe a poche ore dal trambusto dell’avanguardia Singapore. ThAILANDIA. Cinque giorni di full immersion a Bangkok, vibrante capitale sempre sveglia, dalle rovine della città imperiale, agli immensi templi buddisti, immersi in un silenzio mistico, fino al mercato galleggiante in cui, come in una piccola Venezia, si compra la frutta sciabordando da una “gondola” all’altra. La sua vita notturna, animata da numerosissimi spettacoli tenuti da piccole scimmiette ammaestrare, forse la elegge a Ibiza del Sud Est asiatico, al pari solo di Bali. INDONESIA,­ BALI. Un must. Tante le aspettative che vengono riposte su questa verde isoletta, dalla tradizione e cultura così rinomata, seppur agnostica, caratteristica molto rara nelle nostre mete di viaggio. Se dovessi scegliere un’immagine che mi sia rimasta impressa sicuramente opterei per le immense terrazze a risaie, sempre illuminate dal sole, ma farei un gran torto alla carismatica Ubud se non citassi il suo sacro santuario “monkey Forest”, un’area popolata da circa 600 esemplari di macachi e basata sul principio della religione hindu della congiunzione del benessere fisico e psichico con il regno naturale circostante. Passeggiando per questo

luogo irreale si sente una pace insita, uno stato di quiete profonda, così difficile da riprodurre su carta… CAMBOGIA. Alla scoperta di questo Stato meno conosciuto abbiamo deciso di passare la nostra settimana di vacanza a metà semestre, visitando prima la caotica capitale Phnom Penh, tristemente nota per lo sterminio causato dalla dittatura comunista dei Khmer Rouge, capaci di trucidare in circa 2,5 milioni di persone tra lavori forzati, carestie e uccisioni di massa, in soli 4 anni, alla ricerca di un’autarchia irraggiungibile. Una terribile pagina della storia che è stata e tuttora viene tenuta lontana dagli occhi occidentali, inspiegabilmente. Più a nord ci siamo invece persi nelle meraviglie del sito archeologico di Angkor, nei pressi di Siem Reap, 400

km² di templi buddisti e induisti risalenti al periodo compreso tra il IX e il XV secolo, lasciati miracolosamente intatti dal tempo, cullati da una verde vegetazione che rende delle rovine così datate stranamente rigogliose. L’atmosfera magica dell’area patrimonio dell’Unesco sembra quasi negare tutte le atrocità che qualche giorno prima ci avevano segnato, camminando per i Killing Fields, i campi di sterminio dove tutt’ora emergono ossa abbandonate sul selciato. hONG­ KONG. Cina o forse no? La città gode di una semi-indipendenza, utilizza una moneta propria, parla la lingua cantonese, diversa dal classico cinese mandarino. La piazzerei a metà strada tra Singa-

pore, ben più funzionale e fredda, distaccata, e la culla di tradizione Cina. Lo skyline più bello che io abbia mai visto, decine e decine di grattacieli, sedi di banche, tutti costruiti seguendo precise direttive legate alla cultura dello “yin e yang”, e piccoli templi taoisti subito accanto. È senza dubbio la meta culinaria che più mi ha affascinato, offrendoci pasti solo muniti di bacchette, dell’amaro tè caldo come bevanda nonostante i 28 gradi circa, una vastissima gamma di riso e noodles, ben diversi da quelli più occidentalizzati a cui siamo abituati andando ad un normale ristorante cinese. Se ve lo state chiedendo, no, non ho mangiato né cane né gatto, entrambi alimenti vietati ad Hong Kong, ma rane e pinne di squalo sono pietanze comuni. MyANMAR­ o Birmania, secondo il vecchio nome. Un paese ancora semi inesplorato, le cui frontiere sono state aperte ai turisti solo recentemente, una realtà autentica, dalla famosa Pagoda d’Oro della capitale Yangoon alla valle dei templi di Bagan, più a nord. Un viaggio totalmente diverso dai precedenti, il più bello, un dulcis in fundo di albe e tramonti nel silenzio della natura, silenzio che nessuno riesce a disturbare, fenomeno così irreale e suggestivo. A causa della dittatura militare, a cui il premio Nobel per la Pace 1991 Aung San Suu Kyi si è fermamente opposta, ogni visita estera è stata ostacolata fino al passato recente, e probabilmente proprio questo aspetto ha reso tale meta così diversa dalle altre. Quattro mesi sono volati, ogni singolo giorno, viaggio o immagine è rimasto scolpito nel mio cuore, ogni volto, ogni sorriso, ogni riflessione hanno colorato questa esperienza, bellissima ma non tra le più semplici. Fino all’adrenalina del motore dell’aereo che si gonfia, che grida forte la sua potenza, spiccando il volo, verso casa.

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Condominio: come proteggersi da brutte sorprese

L’amministratore è onesto? di Rita Salvi

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l principio secondo cui “è meglio prevenire che curare” non lo si dovrebbe seguire solo in campo medico ma, se applicato con la giusta misura anche ad altri aspetti del vivere quotidiano, potrebbe risultare di sicuro ausilio per evitare situazioni spiacevoli e gravose, capaci di minare la nostra a volte già precaria serenità. Questo preambolo per introdurre l’argomento di cui desidero parlare brevemente e cioè l’attuale deprecabile modus  operandi di molti amministratori di condomìni che, lungi dal perseguire la corretta gestione economico-finanziaria della cosa comune, svolgono invece la propria attività con il precipuo scopo di lucrare e danneggiare ignari condomini che in lui avevano riposto la fiducia. Il­ fenomeno­ purtroppo­ si­ riscontra­in­crescita:­sarà­forse il­ degrado­ dei­ costumi­ o­ la crisi­ economica­ degli­ ultimi anni,­ sta­ di­ fatto­ che,­ se­ una volta­ l’amministratore­ disonesto­ rappresentava­ l’eccezione,­ora­non­dico­sia­la­regola­ma­il­rischio­di­incappare nel­ personaggio­ sbagliato, nella­ fase­ di­ selezione­ e­ nomina­di­colui­che­dovrebbe­essere­un­professionista­serio­e capace,­è­quanto­mai­elevato. Superfluo sottolineare come le grandi città siano il terreno più fertile per la mala gestio di tali individui e questo sia per l’enorme quantità di stabili condominiali che obbligatoriamente necessitano di un amministratore (fino ad otto condòmini se ne può fare a meno!) e sia per il fatto che, anche se revocato da un incarico per cattiva gestione, il soggetto poco raccomandabile può trovarne agevolmente un altro, magari in una zona diversa dove non è conosciuto. È

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innegabile il fatto che quando un posto da amministratore di condominio è vacante, si scatena una sorta di tam tam per cui su quel condominio piovono una serie innumerevole di candidature tra le quali i condomini debbono obbligatoriamente districarsi, il più delle volte senza avere gli elementi sufficienti per effettuare una scelta consapevole, scelta che, nel caso si rivelasse sbagliata, sarebbe sicura fonte di perdite . Al riguardo occorre sottolineare come la recente riforma delle norme che regolano i condomìni, entrata in vigore nel 2013, ha delineato la­figura­del­“nuovo”­amministratore prevedendo dei requisiti a tutela degli amministrati ovvero il possesso almeno di un diploma secondario­di­studio, la­ frequenza­ di­ un­ corso­ di formazione­iniziale­all’attività e,­cosa­molto­importante,­l’accertamento dei­ requisiti­ di onorabilità. Peccato che i primi due siano richiesti solo alle new entry  e non abbiano toccato chi, all’entrata in vigore della riforma, già aveva svolto l’attività di amministrazione per almeno un anno e questo significa un universo di amministratori che tranquillamente, nel terzo millennio, può operare senza alcun titolo di studio! Quanto ai requisiti di onorabilità, sottolineo il fatto che questi attengono alla sfera penale mentre il più delle volte i reati di cui si macchiano gli amministratori disonesti riguardano la sfera civile e più precisamente la formazione di un deficit nel patrimonio condominiale i c.d. “buchi di bilancio”, e parliamo di gestioni che per loro natura non possono che chiudere in pareggio. La triste situazione che si prospetta è quasi sempre la stessa e cioè:

nella migliore delle ipotesi in cui, a seguito del giudizio promosso dal condominio nei suoi riguardi, l’amministratore sia condannato alla rifusione di quanto sottratto indebitamente al patrimonio, dati i tempi lunghi della giustizia, difficilmente il mal tolto potrà essere recuperato; nel frattempo infatti il disonesto si sarà abilmente disfatto di ogni suo avere, risulterà nulla tenente e non esisterà più materia su cui rivalersi. Ne consegue che dovranno essere gli stessi condomini ad autotassarsi per coprire “i buchi” lasciati dal così detto professionista, pena il commissariamento del condominio stesso. Se questa è la situazione che si trova a fronteggiare un numero sempre più crescente di condomìni, sarà bene pensare a qualche accorgimento per limitare al massimo i rischi connessi ad una cattiva gestione, agendo tempestivamente per far si che il “il recinto venga chiuso prima che i buoi siano scappati!”. Ecco qualche suggerimento. Intanto, in­un’ottica­di­prevenzione, deve considerarsi con soddisfazione la nuova previsione introdotta dalla sopra ricordata riforma della materia condominiale, giacché l’articolo­1129­del codice­ civile­ ora­ prevede­ la possibilità (da sfruttare al meglio!) per­l’assemblea­di­subordinare­ la­ nomina­ dell’amministratore­alla­presentazione ai­ condomini­ di una­ polizza individuale­ di­ assicurazione per­la­responsabilità­civile­per gli­ atti­ dal­ medesimo­ compiuti­ nell’esercizio­ del­ mandato. Inoltre, la­legge­stabilisce che­l’amministratore­è­tenuto all’adeguamento­ dei­ massimali­ della­ polizza­ in­ questione­se­nel­periodo­del­suo


incarico­ l’assemblea deliberi­ lavori­ straordinari. Tornando alle accortezze preventive, innanzitutto è necessario assumere un corretto atteggiamento mentale La foto è puramente illustrativa dell’articolo nei confronti della materia condominiale. mi spiego meglio: liberiamo la mente stioni che magari giacciono da dal fatto che la gestione del con- anni, tecnologicamente all’avandominio è cosa a noi estranea e di guardia. In questo caso bisognecui ci possiamo disinteressare, rebbe restringere la cerchia a conella presunzione che tanto qual- loro che posseggono referenze cun altro ci pensa, che gli ammini- positive facendo infine cadere la stratori, più o meno, lucrano sem- scelta sul candidato di cui si hanno pre, che la contabilità non è la notizie certe circa le capacità e sonostra materia, che le assemblee prattutto l’onestà. In tale circorappresentano una seccatura e una stanza il passaparola è fondamenperdita di tempo e così via. Se­pre- tale. Superfluo forse ricordare la stiamo scarsa­attenzione­alle necessità, in questa fase, di effetquestioni­ condominiali­ per- tuare il riscontro di tutti i requisiti mettiamo­a­chi­mal­ci­governa oggi richiesti dalla riforma per podi­ perseverare­ nel­ malaffare ter esercitare l’attività di amminifino­a­quando­questo­assume stratore di condominio. proporzioni­tali­da­emergere Altro momento critico nelle viin­tutta­la­sua­pesante­gravità. cende condominiali è quello delA quel punto lamentarsi non serve l’approvazione da parte dell’aspiù a nulla. Ricordiamoci che lad- semblea dei condomini della dove si gestiscono risorse finanzia- rendicontazione annuale delle rie, lì, più che altrove, si può anni- spese. Critico perché le cifre podare la disonestà! trebbero non corrispondere alla Non è necessario essere degli reale situazione patrimoniale del esperti contabili per prendersi cura condominio e potrebbero celare un dei propri beni, magari frutto dei deficit (“buco”) opportunamente sacrifici dei nostri genitori se non mascherato, di solito, sottacendo dei nostri nonni! L’importante la situazione debitoria nei conè­ evitare trascuratezza­ e­ di- fronti dei fornitori ovvero rappresinteresse. In ogni condominio sentandola in modo falsamente è utile individuare un consigliere sottostimato. La recente normacon specifiche competenze a cui tiva in materia, tenendo nella dopossono essere rappresentati tutti vuta considerazione questo rischio, i dubbi sulla gestione. Sarà suo si è orientata nel senso di prevecompito effettuare le verifiche e dere la predisposizione del cosidtutti i necessari approfondimenti detto “rendiconto di competenza” che ha diritto di svolgere. che riepiloga “ogni dato inerente Un momento importante, in caso alla situazione patrimoniale del di avvicendamento, è la nomina condominio, ai fondi disponibili e del nuovo amministratore. I can- alle eventuali riserve, che devono didati aspiranti sono sempre tanti essere espressi in modo da coned è veramente difficile orientarsi sentire l’immediata verifica”. Tale nella scelta basandosi solo sui cur- verifica, però, per risultare efficace, ricula e le interviste. Tutti appa- dovrà basarsi su documentazione iono estremamente professionali, esterna al condominio, ad esempio disponibili a soddisfare le esigenze sugli estratti conto prodotti diretche gli vengono rappresentate, tamente dai fornitori, sia pure per prontissimi ad impegnarsi su que- il tramite dell’amministratore e

non sulla semplice dichiarazione di quest’ultimo eventualmente interessato a non far apparire la reale consistenza dei debiti o delle giacenze finanziarie. La legge ci tende una mano, afferriamola! Sempre su questo punto, ricordiamo che le norme rappresentano un minimo imprescindibile; ciò non toglie che nella propria autonomia decisionale l’assemblea dei condomini può orientarsi su una rendicontazione più analitica secondo le proprie esigenze e a queste l’operato dell’amministratore deve uniformarsi. mi rendo conto di aver tracciato un quadro piuttosto negativo sull’argomento ma non rimane che affrontarla questa realtà che può evidenziare anche aspetti positivi se analizzata da un altro punto di vista. mi riferisco al miglioramento dei rapporti personali tra condomini che potrebbe derivare dall’impegno profuso dai singoli in favore del bene collettivo. È risaputo che nei condomìni delle metropoli, in particolare, vige una grande indifferenza tra vicini a tal punto che anche il saluto, buona norma di educazione, latita. La litigiosità, il più delle volte su questioni banali, raggiunge livelli esagerati e non lascia spazio alla comprensione, alla tolleranza e alla solidarietà. Il fatto invece di dover affrontare situazioni complicate e financo penose può fungere da collante nei confronti di individui che magari fino a quel momento si ignoravano reciprocamente; la condivisione dei problemi, gli incontri, l’impegno per la ricerca delle soluzioni migliori sono tutti elementi che uniscono. Così il vicino di pianerottolo, rimasto a lungo quasi un estraneo, da tale momento di aggregazione può entrare in una buona sintonia con gli altri condomini ed essere visto con occhi diversi. È proprio il caso di affermare che “non tutto il male vien per nuocere”!

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Il campionato di MotoGP 2015 è stato durissimo,  Rossi l’ha dominato dall’inizio alla fine… vabbé quasi...

Dimenticare Valencia… si riparte per il 2016 di Vincenzo Borgomeo*

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icordate la scena degli studenti in piedi sui banchi di scuola nel film “L’attimo fuggente”? E’ esattamente quello che è successo a Valencia con l’arrivo di Rossi ai box: tifosi, giornalisti, meccanici e manager di altri team sono andati ad accoglierlo al ritorno nei box dopo la sua cavalcata solitaria per l’impossibile rimonta. In queste tre foto che pubblichiamo c’è tutta la sofferenza, il pathos e il racconto di una stagione. Il riconoscimento e l’omaggio del mondo della motoGp al campione. Per la cronaca, mentre Lorenzo e marquez rientravano nei box ignorati (o peggio spesso anche fischiati), l’onore delle armi era

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tutto per Rossi. Insomma, da “tutti in piedi” sul divano (copyright Guido meda) a tutti in piedi sui banchi, come nel film di cui parlavamo prima, per l’omaggio al re della motoGp. Ecco, la lunghissima stagione di motoGp, otto mesi e diciassette gare di battaglie dall’inizio del campionato in Qatar alla fine a Valencia si racchiude tutta in queste tre meravigliose immagini. Il campionato è stato durissimo, Rossi l’ha dominato dall’inizio alla fine (vabbé quasi...) perché è stato sempre al comando in classifica, con una costanza mai vista: è stato l’unico pilota ad andare sempre a punti e questa sua costanza gli ha regalato la leadership nonostante

avesse vinto meno gare di Lorenzo. Un fenomeno vero. Poi, arrivato all’ultima gara in Valencia con appena 7 punti di vantaggio e la penalizzazione di partire ultimo era chiaro che sarebbe finita male: un pilota non può certo vincere un mondiale sperando nell’aiuto “dei nemici”. Ma­ a­ Rossi­ non­ si­ può­ attribuire­ nessuna­ colpa,­ se­ non l’errore­di­Misano­quando­ritardando­follemente­l’entrata ai­box­ha­buttato­al­vento­una vittoria­ certa.­ Se­ lì­ avesse semplicemente­“marcato”­Lorenzo­ e­ fosse­ entrato­ ai­ box per­ il­ cambio­ ­ moto­ 4­ giri prima­ ora­ sarebbe­ il­ campione­del­mondo.­Ma­­le­corse


–­si­sa­–­non­si­commentano con­i­“se”.­ Di certo la gara di Valencia ha portato a vedere una cosa che genere nella storia della motoGp non si era mai vista: un massimo dirigente della più grande casa motociclistica del pianeta che replica alle dichiarazioni di un pilota. Eppure è esattamente quello che è successo: il vicepresidente operativo della Honda, Shuhei Nakamoto, boss assoluto, ha replicato a Valentino Rossi che si era detto “sorpreso” della posizione della scuderia nipponica che avrebbe “appoggiato la strategia dei propri piloti”, marquez e Pedrosa, per lasciar vincere la Yamaha di Jorge Lorenzo. Nakamoto ha affermato che per quanto riguarda le accuse per la gara di Phillip Island “non ci sono prove  che  le  sostengano,  solo  il fatto  che  Marc  ha  tolto  cinque punti  al  rivale  di  Valentino, Jorge“. E anche sull’ultima corsa stagionale, il numero due della Honda ha ricordato che “marc e Dani hanno dato, come sempre il 100 per 100, per ottenere il miglior risultato per la Repsol, la Honda e tutti i nostri soci” Eppure le prove contro il comportamento di marquez sono schiaccianti e Nakamoto lo sa bene: per tutta la gara marc ha preteso dal suo box che gli comunicassero la posizione di Valentino ad ogni passaggio (ma che ci doveva fare con quel dato se lui teoricamente doveva solo fare la sua gara?). E questo lo abbiamo visto tutti. Così come abbiamo visto tutti che marquez non ha mai tentato un attacco: nella sua carriera non si è mai comportato così. Anche quando non aveva speranze cercava sempre il sorpasso, salvo poi dover cedere la posizione. Non solo: quando Pedrosa lo ha scavalcato (e con quella velocità sarebbe andato di certo a prendere Lorenzo), allora marc ha tirato fuori tutta la sua classe e con una manovra dura ha scavalcato di nuovo Pedrosa mettendoselo alle spalle. ma perché allora la Honda ha

preso questa posizione indifendibile? Sono le ipocrisie delle corse: o fai così (neghi l’evidenza) o cacci il tuo pilota. Una cosa è certa però: dopo queste dichiarazioni Nakamoto avrà dato una bella strigliata a marquez. Va bene tutto, va bene la Spagna, le amicizie e quello che vuoi. ma far vincere di proposito una Yamaha... Ora però si guarda avanti. E’ il bello della motoGp dove il famoso “domani è un altro giorno” è una vera e propria filosofia di vita. Subito dopo la gara di Valencia sulla stessa pista si sono svolte due giornate di test importantissimi. La svolta­ è­ infatti­ importante: arrivano­ le­ Michelin­ che, dopo­ tanti­ anni­ di­ Bridgestone,­ dal­ 2016­ saranno­ le nuove­gomme­per­tutti. Le motoGp sono sensibilissime alle regolazioni, agli assetti e al tipo di gomme usate. Quindi è possibile che moto ultra competitive (tipo Honda), vadano in crisi o che - al contrario - altre meno performanti siano avvantaggiate. In ogni caso tutti i team dovranno stravolgere il proprio lavoro e tornare al classico foglio bianco perché nessuno ha dati sul funzionamento

delle michelin. E’ stato proprio Rossi a suo tempo a spingere politicamente l’arrivo della cosiddetta “monogomma” (stesso pneumatico per tutti) perché nessun altro componente tecnico può fare la differenza di prestazione fra una moto e l’altra come un pneumatici. Celebre la sua battuta “non ho mai visto su un circuito uno con una bandiera michelin o Bridgestone, nessuno tifa per le gomme, devono essere per forza tutte uguali”. Rossi ovviamente l’ha spuntata ma la scelta non è stata priva di problemi: oggi le moto nascono insieme alle gomme perché la progettazione della sospensione viene realizzata in funzione della gomma. ma questa sinergia con la “monogomma” non c’è. Come d’altra parte non sempre c’è lo sviluppo nel corso della stagione che i piloti vorrebbero perché manca la concorrenza fra produttori di pneumatico. Ecco perché la prossima stagione sarà tutta da vedere: gli equilibri in pista del 2015 salteranno nel 2016 e le moto che vedremo in pista saranno tutte nuove. Qui, in sintesi, ci si gioca il prossimo mondiale. *giornalista de “ La Repubblica”

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…e Felice Anno Nuovo

2016

ORARIO CELEBRAZIONI NATALIZIE 2015 GIOVEDÌ 24 DICEMBRE SS. Messe

h. 8.00 - h. 9.00 h. 23.30 Ambientazione liturgica h. 24.00 SS. Messa della Natività

VENERDÌ 25 DICEMBRE SANTO NATALE DI GESÙ SS. Messe

h. 9.00 – h. 10.30 – h. 12.00 – h. 18.00

SABATO 26 DICEMBRE SANTO STEFANO (non è giorno di precetto) SS. Messe

h. 9.00 – h. 11.00 – h. 18.00

DOMENICA 27 DICEMBRE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETh MARIA E GIuSEppE SS. Messe h. 9.00 – h. 10.30 – h. 12.00 – h. 18.00

GIOVEDÌ 31 DICEMBRE: SS. Messe

h. 8.00 – h. 9.00 - h. 18.00: TE DEuM

VENERDÌ 1º GENNAIO 2016 SOLENNITà DI MARIA MADRE DI DIO SS. Messe h. 9.00 – h. 10.30 – h. 12.00 – h. 18.00

DOMENICA 3 GENNAIO SECONDA DOMENICA DOpO NATALE SS. Messe h. 9.00 – h. 10.30 – h. 12.00 – h. 18.00

MERCOLEDÌ 6 GENNAIO EpIFANIA DEL SIGNORE SS. Messe

h. 9.00 – h. 10.30 – h. 12.00 – h. 18.00

I

l 2015 se ne sta andando fra lacrime, gioie, paure. Momenti da ricordare altri semplicemente da voler dimenticare. Auguriamo a tutti di portare le cose migliori al nuovo anno e di lasciare in un cassetto quelle che hanno fatto male. Il Dio che ha posto la tenda in mezzo a noi sia presente per tutto il 2016 aiutandovi a crescere nell’amore, nel servizio e nel rispetto reciproco con gioia, serenità e diventando costruttori di pace Auguri a tutti da p. Lucio , p. Raffaele e p. harry. n.b: tutte le attività catechistiche riprenderanno dal 18 gennaio 2016


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