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Rivista Militare PERIODICO DELL’ESERCITO FONDATO NEL 1856
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Nel prossimo numero • •
Gli atleti militari dell’Esercito
La Battaglia del Solstizio: una vittoria dell’Artiglieria italiana
Q uesto numero è
ricco di novità, che spaziano dalla dottrina logistica nazionale alle tematiche sulla sicurezza e sulla formazione, in ambito Unione Europea e NATO. Ma è anche storia - “come non l’avete mai vista” - e tecnologia al tempo dei Romani. Peculiarità, queste, che si aggiungono ad altri articoli storici e di cultura militare, curiosando “oltre i confini”, nella Cina del XVII secolo. Inoltre è stato dato forte impulso ai contributi di natura giuridica, economica e legale. Senza dimenticare il “Premio FiuggiStoria”, ricevuto per la realizzazione del CalendEsercito dedicato alla Grande Guerra. Buona lettura! Colonnello Domenico Roma
Il 20 aprile 2018 al Circo
Massimo: presentazione
della collana “Techne”,
in occasione del Natale di Roma
Sommario ...................................................................... Cambio al vertice dell’Esercito Il Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina subentra al parigrado Danilo Errico che lascia il servizio attivo dopo oltre 40 anni. Il 27 febbraio u.s., presso la caserma “Rossetti” (Città Militare Cecchignola), alla presenza del Presidente del Consiglio, On. Paolo Gentiloni, del Ministro della Difesa, Sen. Roberta Pinotti e del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, ha avuto luogo la cerimonia di avvicendamento nella carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. L’evento è stato preceduto dall’omaggio alla tomba del Milite Ignoto con la deposizione di una corona d’alloro all’Altare della Patria.
pagina 6
Ordini del Giorno all’Esercito - pagg. 4-5
Riforma della finanza pubblica. Riflessi sulla contabilità militare
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di Cesare Tapinetto
6 pagina 18
Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri di Leonardo di Marco, Arcangelo Moro
18 Non chiamatelo fumetto fiume. La storia come non l’avete mai vista di Federica Dal Forno
pagina 30
30 4° Forum dei Comandanti delle Forze Terrestri Europee di Giovanni Corrado
La guerra del Tenente Arturo Stanghellini. Lettere alla famiglia
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di Niccolò Lucarelli
pagina 40
40 NATO DEEP Tunisia e alta formazione nel peacekeeping di Umberto Montuoro
46 Il Centro di Eccellenza NATO per il combattimento in montagna pagina 46 1
di Boštjan Blaznik
Jean de Bloch: il futuro della guerra di Giuseppe Cacciaguerra
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........................................................... RIVISTA MILITARE
Periodico dell’Esercito fondato nel 1856
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Marzo 2018
Le prime missioni internazionali di peacekeeping. Gli Italiani a Creta
Proprietario
MINISTERO DELLA DIFESA
di Alberto Frattolillo
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Editore Difesa Servizi S.p.A. - C.F.11345641002
L’artiglieria delle Legioni
Direttore responsabile Colonnello Domenico Roma
di Flavio Russo
pagina 72
Capo Sezione Coordinamento attività editoriali e Redattore capo Tenente Colonnello Antonino Longo Coordinamento attività editoriali e Redazione pubblicazioni Filippo Antonicelli, Marcello Ciriminna, Raimondo Fierro, Annarita Laurenzi, Stefano Massaro, Lia Nardella, Pasquale Scafetta, Domenico Spoliti Segreteria e diffusione Giuseppe Ammirati, Claudio Angelini, Sergio Gabriele De Rosa, Sergio Di Leva, Gabriele Giommetti, Silvio Morini, Federica Sanna, Ciro Visconti
86 Premio FiuggiStoria al CalendEsercito. Intervista a Pino Pelloni
Sede Via di S. Marco, 8 - 00186 Roma Tel. 06 6796861
pagina 79 92 Carcere Militare: ammissibilità del lavoro esterno retribuito
Ufficio Amministrazione dello Stato Maggiore dell’Esercito Via Napoli, 42 - 00187 Roma
di Alessandra Maria Di Spirito
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Amministrazione Difesa Servizi S.p.A. Via Flaminia, 335 - 00196 Roma
Stampa Fotolito Moggio S.r.l. Strada Galli, 5 - 00010 Villa Adriana (RM) Tel. 0774.381922 - 0774.382426
L’Aspettativa per Riduzione di Quadri
Distribuzione Agenzia Romana S.r.l. Via di Torre Spaccata 172 - 00169 Roma (RM) Tel. 06.23260188
di Francesco Maioriello
pagina 86
104 I quattro cannoni cinesi conservati nell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio di Carla Sodini
pagina 92
Abbonamenti A decorrere dal primo numero utile successivo alla data del versamento, Italia: - Euro 20,00: 6 numeri di Rivista Militare (nuovi abbonati) - Euro 15,00: 6 numeri di Rivista Militare (condizioni valide per chi ha sottoscritto l’abbonamento prima del 31.01.2017, rinnovandolo a ogni scadenza) Estero: Euro 20,00 (più spese di spedizione) Un fascicolo arretrato Euro 4,00 (più spese di spedizione a carico del richiedente) L’importo deve essere versato sul c/c postale 000029599008 intestato a Difesa Servizi S.p.A. Via Flaminia, 335 - 00196 Roma oppure tramite bonifico intestato a Difesa Servizi S.p.A. - codice IBAN IT 37 X 07601 03200 000029599008 - codice BIC/SWIFT BPPIITRRXXX. In alternativa si può effettuare l’abbonamento on line su www.rodorigoeditore.it Iscrizione al Registro della Stampa del Tribunale Civile di Roma n. 944 del 7 giugno 1949 ISSN 035-6980 Periodicità trimestrale Copyright © 2018 Riproduzione riservata
Norme di collaborazione
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IN COPERTINA L’ATLETA DELL’ESERCITO, MICHELA MOIOLI, PRIMO ORO ASSOLUTO ITALIANO NELLO SNOWBOARD (PYEONGCHANG 2018 - PENTAPHOTO)
INDIRIZZI WEB Internet: www.esercito.difesa.it Intranet: www.sme.esercito.difesa.it INDIRIZZI E-MAIL presentazione di proposte editoriali: statesercito@esercito.difesa.it abbonamenti: rivistamilitare.abbonamenti@esercito.difesa.it comunicazioni varie: rivistamilitare@esercito.difesa.it Finito di stampare il 15 marzo 2018
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STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO ORDINE DEL GIORNO ALL’ESERCITO N. 3/2018 26 FEBBRAIO 2018 - TERMINE MANDATO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO
Ufficiali, Sottufficiali, Graduati, Volontari, Allievi degli Istituti di Formazione, Carabinieri, Personale Civile dell’Esercito Italiano. Nel lasciare dopo tre anni dal mio insediamento la carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, mi inchino deferente alla Bandiera di Guerra dell’Esercito e a tutti i gloriosi vessilli delle Armi e dei Corpi della Forza Armata. Rivolgo un commosso pensiero a tutti i Caduti che si sono immolati nell’adempimento del dovere in ogni epoca e luogo. Il loro esempio, unitamente alla grande dignità dimostrata dai familiari che convivono ogni giorno con il vuoto lasciato dalla loro prematura perdita, costituisce per Noi tutti un fulgido riferimento e uno sprone nel quotidiano svolgimento del Nostro servizio alle Istituzioni e al Paese. Auguro una pronta e completa guarigione a quanti hanno riportato ferite e mutilazioni così come a tutti i malati e convalescenti, affinchè possano ritrovare la salute e rientrare rapidamente nei ranghi delle rispettive unità. Infine, ringrazio i membri degli Organi di Rappresentanza Militare per l’intelligente e leale contributo fornito, i rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, custodi dell’immenso patrimonio di tradizioni dell’Esercito, e il personale dei Corpi Ausiliari della Forza Armata. In più di 44 anni di carriera militare ho vissuto epocali evoluzioni degli scenari geopolitici internazionali e le importanti trasformazioni che queste hanno comportato nell’organizzazione e negli impieghi degli strumenti militari terrestri di tutto il mondo. In particolare appaiono evidenti, dopo tutti questi anni, gli enormi passi avanti fatti dall’Esercito Italiano per passare dalla Forza Armata in cui mi sono arruolato, stanziale, basata sulla coscrizione obbligatoria e orientata alla difesa della soglia di Gorizia, allo strumento professionale, dinamico, snello ed efficiente, costantemente impiegato in numerosi Teatri operativi. Una parabola evolutiva di eccezionale portata che ritengo essere ancora in corso, attraverso uno sviluppo graduale e costante che condurrà verso nuovi ambiziosi traguardi per essere sempre al passo con i tempi e vincere ogni sfida futura. Il triennio appena trascorso, in cui ho avuto il grandissimo privilegio di essere alla guida della Nostra gloriosissima e storica Istituzione, si innesta in questo processo e ha visto, nonostante il perdurare degli stringenti vincoli di bilancio, la realizzazione di numerose iniziative. Prima fra tutte, la riorganizzazione della Forza Armata, in ogni settore e livello, dagli organi centrali a quelli periferici, dai Comandi di Vertice ai singoli Reparti, negli ambiti operativi, logistici, infrastrutturali, territoriali e della formazione. Un’ingente opera di riforma ed efficientamento sempre affiancata ad un ininterrotto e costante impiego dei Nostri uomini e delle Nostre donne dentro e fuori i confini nazionali. Il nostro impegno all’estero testimonia, infatti, il ruolo centrale dell’Italia nel contesto delle Alleanze internazionali di cui facciamo parte, nell’ambito dei dispositivi dell’ONU, della NATO e dell’Unione Europea impiegati in molteplici Teatri d’Operazione - dall’Afghanistan alla Libia, dal Libano al Niger, dai Balcani all’Iraq - dove i nostri militari forniscono quotidianamente una fondamentale azione di supporto a Paesi in condizioni di fragilità istituzionale per costruire stabilità e sicurezza e per dare la speranza di un futuro migliore. Non meno importanti sono poi gli impegni in patria, che vedono schierati circa 7.000 soldati che continuano a operare tanto in soccorso alla popolazione a seguito di disastri e calamità naturali quanto in concorso alle Forze dell’Ordine per garantire la tutela dell’ordine pubblico nelle nostre città. Impegni affrontati, da tutti Voi, con incondizionata determinazione e grandissima professionalità, superando tutti gli ostacoli e ricercando, in ogni circostanza, soluzioni innovative improntate a una sempre maggiore efficienza, consentendoci di riaffermare nel mondo il prestigio dell’Esercito e il valore dei soldati Italiani. Per tutti questi motivi sono profondamente orgoglioso di essere stato il Vostro Comandante e Vi sono grato per quanto avete fatto, operando spesso nell’ombra e in silenzio, animati sempre da un genuino senso del dovere e della responsabilità, dando prova di altissime virtù e contribuendo a rendere la Nostra Istituzione un modello e punto di riferimento per tutta la Nazione. Desidero esprimere la mia infinita riconoscenza a tutte le Nostre famiglie per il fondamentale e costante supporto materiale e morale nell’affrontare le innumerevoli difficoltà, le tensioni, la lontananza e i doveri legati all’assolvimento del nostro servizio. Infine, porgo un caloroso saluto a tutto il personale in quiescenza, nostro predecessore lungo la strada del dovere, al quale, da oggi, mi unisco. Al mio successore auguro di poter vivere le stesse gioie e soddisfazioni che hanno contraddistinto il mio mandato, certo di lasciargli in eredità una Forza Armata leale, pronta e dinamica, dotata di straordinarie capacità, umane e professionali, e che saprà vincere ogni sfida che si profili all’orizzonte. A tutti Voi rivolgo i migliori auspici per un futuro ricco di sempre maggiori soddisfazioni. Buona fortuna! Viva l’Esercito Italiano, viva l’Italia!
IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO Generale di Corpo d’Armata Danilo ERRICO 4
Rivista Militare
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STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO ORDINE DEL GIORNO ALL’ESERCITO N. 4/2018 ASSUNZIONE MANDATO DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO
Ufficiali, Sottufficiali, Graduati, Militari di Truppa, Allievi, Carabinieri e Personale civile! Assumo oggi l’incarico di Capo di Stato Maggiore che il Governo della Repubblica ha inteso affidarmi, orgoglioso per la fiducia accordatami, animato da profondo spirito di servizio e consapevole di ricevere in eredità una Forza Armata solida, sana, efficiente e pronta. Porgo il mio primo, deferente saluto al Presidente della Repubblica, Comandante delle Forze Armate e simbolo dell’unità nazionale, e rendo omaggio alla Bandiera di Guerra dell’Esercito e a tutti i Vessilli delle Armi, dei Corpi e degli Istituti di Formazione che rappresentano le Nostre gloriose tradizioni militari e simboleggiano i valori di libertà e giustizia che appartengono alla Nostra Patria. Esprimo un pensiero commosso ai Caduti, di ogni epoca e luogo, e a quanti, nell’adempimento del supremo dovere, sono stati feriti o hanno riportato gravi invalidità. Alle Loro Famiglie e a quelle di tutto il personale della Forza Armata giunga la mia profonda gratitudine per l’insostituibile sostegno morale e materiale che ogni giorno dimostrano condividendo le scelte, talvolta impegnative e difficili, dei propri congiunti. Rivolgo il mio omaggio ai labari delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma e saluto i membri degli organi di rappresentanza, con i quali sono certo opereremo in piena collaborazione. Al mio predecessore, Generale ERRICO, esprimo un sincero ringraziamento per l’opera svolta, così come ringrazio i Comandanti che ci hanno preceduto alla guida della Forza Armata. Un ringraziamento che estendo a tutti Voi, donne e uomini dell’Esercito, a cui dedicherò ogni minuto del mio mandato per essere al Vostro servizio, idealmente e sul campo, in operazioni e in addestramento, negli Istituti di Formazione o in guarnigione, puntando a consolidare gli ottimi risultati già conseguiti e a ricercare ulteriori miglioramenti con le risorse disponibili per far fronte alle future, molteplici sfide. Esorto i Comandanti di ogni ordine e grado ad agire con coraggio e con autorevolezza e chiedo Loro di promuovere, ancor più, la concretezza, la trasparenza, la partecipazione e l’assunzione delle responsabilità. Ai collaboratori, ai subordinati, ai Sottufficiali, fino al più giovane dei Volontari, chiedo di essere proattivi e fornire utili contributi affinché i Vostri Comandanti possano decidere al meglio. Confido in una comunione di intenti che coinvolga tutto l’Esercito - Fanti, Cavalieri, Artiglieri, Genieri, Trasmettitori, militari dell’Arma dei Trasporti e Materiali, dell’Aviazione, dei Corpi di Commissariato, di Sanità e Veterinaria e degli Ingegneri - e che ogni giorno ci ricordi che Noi siamo e saremo sempre “UNA ACIES”, un’unica e granitica schiera, una grande “Famiglia” che è parte integrante della più vasta Comunità della Difesa. Sono convinto che il coraggio, l’altruismo, lo spirito di abnegazione e l’attaccamento alle Istituzioni sono e saranno sempre il nostro biglietto da visita. Buon lavoro a tutti! Roma, 27 febbraio 2018
IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO Generale di Corpo d’Armata Salvatore FARINA
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Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri di Leonardo di Marco* Arcangelo Moro** «Coming together is a beginning, staying together is progress and working together is success» Henry Ford
Giornata conclusiva del convegno informativo su “La Logistica 3.0 - Diapason LOG 2017” (Firenze, 23 novembre 2017).
Chi deve risolvere il “problema logistico” all’interno della Forza Armata? Secondo quali competenze concettuali, organizzative ed esecutive? Un anno di lavoro per provare a rispondere a queste due apparentemente semplici domande. Un anno iniziato con un seminario dal titolo “La Logistica 2.0 - Who Does What” (6 e 7 dicembre 2016) e terminato con un convegno informativo su “La Logistica 3.0 - Diapason LOG 2017” (22 e 23 novembre 2017). Tra i due eventi, un’esercitazione logistica di pianificazione e di condotta, unica nel suo genere, denominata “Complex Pallets 2017” (giugno-luglio 2017). Un anno intenso in cui tutti coloro che, a vario titolo, devono assicurare il sostegno logistico della Forza Armata (1) hanno avuto l’opportunità di condividere, con un approccio propositivo e innovativo, le proprie esperienze e competenze. Un confronto svoltosi con un dialogo sincero, aperto e costruttivo, su un tema così complesso e strategico quale la logistica che, oggi più che mai, non solo deve garantire la sostenibilità dello strumento militare terrestre in scenari sempre più mutevoli, ma deve essere integrata, dinamica e tecnologica. Alla luce della recente revisione dello strumento militare, delle limitate risorse disponibili (umane, strumentali e finanziarie), del quadro normativo/dottrinale vigente (tenendo conto anche delle linee guida tracciate dal “Libro Bianco per la Sicurezza Internazionale e la Difesa”), dopo aver fatto il punto di situazione sull’attuale strumento logistico ed evidenziato le esistenti criticità, sono state proposte talune possibili linee di indirizzo, per la risoluzione del “problema logistico”, di natura dottrinale/capacitiva/operativa (“La Logistica 2.0 - Who Does What”), poi testate durante l’Esercitazione “Complex Pallets 2017” e infine concretizzate con la stesura del documento “Lo Strumento per il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri”e della PDE-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri”. Tali documenti sono stati presentati durante il citato convegno su “La Logistica 3.0 - Diapason LOG 2017”. Il presente articolo, strutturato secondo l’evoluzione cronologica delle attività, evidenzia per ciascuna di esse gli elementi/esiti ritenuti fondamentali per la revisione dell’impianto complessivo.
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Rivista Militare
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IL SEMINARIO “LA LOGISTICA 2.0 - WHO DOES WHAT” Il 6 e 7 dicembre 2016, a Firenze, presso la “Sala del Cenacolo” della Caserma “Simoni”, sede della Direzione di Amministrazione dell’Esercito, si è tenuto il seminario su “La Logistica 2.0 - Who Does What”, con lo scopo di analizzare l’attuale strumento e dispositivo logistico, individuandone le criticità nonché le possibili, coerenti e realistiche ipotesi di soluzione. In sintesi, definire “chi deve fare cosa” in un quadro di situazione così articolato: • la dottrina in vigore è la Pubblicazione n. 6623 EI-4 A – “La Dottrina Logistica dell’Esercito”, Ed. 2000, che articola l’organizzazione logistica in Fascia Logistica di Aderenza (FLA) e Fascia Logistica di Sostegno (FLS) a seconda delle responsabilità nel sostegno logistico e delle caratteristiche degli organi logistici disponibili, peraltro con una netta separazione tra le due, nonché con una struttura logistica ad hoc, denominata “Grande Base” (G.B.), a sostegno delle forze operative impegnate nella condotta di operazioni al di fuori del territorio nazionale; • il “Concetto Funzionale Supporto Logistico Proiettabile 20142032”, Ed. 2014, è il documento di policy che, in linea con il “Concetto Operativo dell’Esercito”, rinnova l’importanza del ruolo delle funzioni operative ascritte alla “Brigata di Manovra Pluriarma”, centro di gravità della componente operativa di F.A.. A questa brigata, così concepita, è conferita massima autonomia operativa e logistica con l’assegnazione di reggimenti logistici di brigata (riconfigurazione dei Reggimenti di Manovra - REMA e dei Reggimenti Trasporti - RETRA), con maggiore gravitazione delle risorse e capacità di operare in maniera integrata (interforze, interagenzia, multinazionale). Inoltre, due reggimenti logistici sono orientati per il sostegno delle Grandi Unità complesse in open. 1/2018
razioni tramite il potenziamento e la riconfigurazione del 1° Reggimento Trasporti di Bellinzago Novarese in Reggimento Gestione Aree di Transito, capace di enucleare e gestire in operazioni la capacità Reception, Staging and Onward Movement (RSOM) di livello Teatro e la riconfigurazione del 6° Reggimento Trasporti in Reggimento Logistico di Sostegno Generale, per il sostegno diretto, in via prioritaria, al NRDC-ITA in operazioni. Per il sostegno sanitario, si rende necessario assicurare tre strutture sanitarie (Field Hospital) di livello Role 2 e almeno una struttura di livello Role 3, fermo restando la funzione di Role 4 del Policlinico Militare di Roma; • la revisione dello Strumento Militare Terrestre, in attuazione alla Legge delega n. 244/2012 “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”, per la quale nel 2014 sono stati emanati i discendenti D. Lgs. n. 7/2014 (c.d. di struttura) e n. 8/2014 (c.d. personale), che ha visto negli ultimi due anni, principalmente la costituzione del Comando delle Forze Operative Terrestri/Comando Operativo Esercito (COMFOTER/COE) a
Roma, la riconfigurazione del Comando delle Forze Operative Terrestri (COMFOTER) in Comando delle Forze Operative Terrestri di Supporto (COMFOTER SPT) a Verona, la costituzione dei Comandi Multifunzione quali il Comando Forze Operative Nord e Sud (COMFOPNORD, COMFOP-SUD) e il Comando Truppe Alpine (COMTA). Le funzioni precedentemente svolte, fino al 30 settembre 2016, dal COMFOTER sono state in parte attribuite ai Comandi Multifunzione e in parte assunte dal Capo di SME, che le esercita attraverso le varie articolazioni dello Stato Maggiore dell’Esercito, supportate, quale “collegamento tecnico per l’approntamento”, dal COMFOTER/COE; • è stato ratificato dall’Italia lo Study Draft della AJP-4B “Allied Joint Doctrine for Operational – Level Logistics study”, Ed. 2016, NATO Standardization Office (NSO); • è stata pubblicata la bozza preliminare della PID/0-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Interforze”, Ed. 2015, SMD-III Reparto; • si assiste, per il Comparto Difesa, a un trend negativo delle assegnazioni finanziarie su investimento/esercizio per il triennio
Attuale struttura ordinativa dell’Esercito Italiano.
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2016-2018 (Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa), mentre contestualmente crescono gli impegni operativi dell’Esercito, in Patria e all’estero, con il manifestarsi ed evolversi anche di nuove minacce. In un siffatto quadro di riferimento, al fine di poter conseguire gli obiettivi fissati nel seminario, sono stati costituiti tre gruppi di lavoro, ciascuno dei quali si è occupato rispettivamente di: Adeguamento Dottrinale, Fascia Logistica di Aderenza (FLA) e Fascia Logistica di Sostegno (FLS). Le relazioni conclusive sono state presentate nella giornata finale, alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Dai lavori è emersa la necessità di rivedere la dottrina logistica e contestualmente lo strumento logistico, nella considerazione che la netta suddivisione tra FLA e FLS non solo risulta superata dall’attuale modello gestionale del just in time, ma deve essere sempre più rispondente alle caratteristiche di agilità e proiettabilità di una moderna forza expeditionary ed evolvere verso il concetto di sense and respond (vedi p.11). Inoltre, la NATO, pur continuando ad essere la principale organizzazione internazionale di riferimento per lo sviluppo dottrinale, lascia ai singoli Stati membri la possibilità di sviluppare in proprio gli strumenti dottrinali, attagliandoli alla specifica
organizzazione logistica nazionale. Partendo dai principi dottrinali della PDE-4, si è ripartita la funzione operativa “Sostegno Logistico”, in tre macro-aree: “Sostegno dei Materiali e Servizi al Personale”, “Sostegno Sanitario e Veterinario” e “Sostegno allo Schieramento”. Per quanto riguarda, invece, la revisio-
Rappresentazione grafica della sovrapposizione di competenze tra la Fascia Logistica di Aderenza (FLA) e la Fascia Logistica di Sostegno (FLS).
ne dello strumento, si è ravvisata la necessità di tener conto, nella stesura del documento, di alcuni principi/temperamenti. Tra questi, prioritariamente, l’unicità di comando, con la necessità di armonizza-
1° Working Group “Adeguamento Dottrinale” (Firenze, 6 dicembre 2016).
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re le modifiche concettuali e strutturali del comparto logistico con il più ampio processo di revisione ordinativa della Forza Armata, nonché la “chiara definizione delle competenze di tutti gli organi logistici”, eliminando le duplicazioni/sovrapposizioni e colmando anche eventuali gap.
Inoltre, durante i lavori preparatori, è emersa l’esigenza di verificare se, in termini di costo/beneficio, sia sostenibile continuare a far gravitare le risorse sull’industria, ovvero sul potenziamento della Fascia Logistica di Sostegno in termini di strutture, personale specializzato e risorse finanziarie, così come l’opportunità di distribuire ai Poli di mantenimento le competenze del sostegno per l’attività logistica (mantenimento, rifornimenti, approvvigionamento, alienazione e sperimentazione) e l’individuazione di un solo Ente/Comando esecutivo responsabile per materiale/sistema d’arma, con una oculata/attenta gestione delle risorse e un controllo sui livelli di produttività. Rimane, inoltre, ineludibile la standardizzazione dei reggimenti logistici, nati dalla riconfigurazione dei RETRA e dei REMA, con opportune assegnazioni/perequazioni di Rivista Militare
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mezzi e materiali, in funzione delle differenze dovute alle diverse tipologie di brigata e assegnando a ciascuna di esse il proprio reggimento logistico per assicurargli la relativa autonomia. Infine, la revisione logistica necessita dello sviluppo di un efficace sistema di formazione del personale civile e militare, migliorando il livello di qualificazione e specializzazione dello stesso, tenendo conto dei cambiamenti tecnologici e organizzativi del settore. In conclusione, il seminario, come sottolineato dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito nel suo intervento, ha messo in evidenza la centralità della funzione logistica, imprescindibile per la condotta delle operazioni in Patria e all’estero e in caso di pubbliche calamità/utilità, nonché la necessità di definire una dottrina logistica sempre più flessibile, capace di adattarsi ai possibili orientamenti di impiego della Forza Armata. Inoltre, nella considerazione che, l’attività svolta durante il seminario, ha rappresentato un punto di partenza e non già di arrivo, è stato dato mandato al Comandante Logistico dell’Esercito di rivedere, insieme ai responsabili della logistica degli altri Comandi/Reparti della F.A., con un approccio spiccatamente innovativo e propositivo, l’organizzazione logistica dell’Esercito nel suo complesso, da testare con un’esercitazione.
Intervento conclusivo del Comandante Logistico dell’Esercito, alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito (Firenze, 7 dicembre 2016).
menti ritenuti necessari ad assicurare il sostegno logistico alle unità della F.A., in contesti operativi e in guarnigione, garantendo l’efficienza ed economicità dell’organizzazione logistica e, non ultimo, effettuare un’esercitazione con i Quadri, denominata “Complex Pallets 2017”, con uno scenario di riferimento (3) per testare le soluzioni dottrinali/capacitive/operative logistiche individuate. Il 9 maggio 2017, sulla base di quanto elaborato dai due Sottogruppi di Progetto Esecutivo “Dottrina Logistica” e “Strumento Logistico”, sono stati diramati, a tutti i Comandi/Unità che hanno dirette responsabilità sul sostegno logisti-
co della F.A., la PDE-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri (Bozza)” e “Lo Strumento Logistico (Bozza)”, definendo contestualmente il cronoprogramma dell’esercitazione con l’attivazione del “Team di Pianificazione” (a cura del Sottogruppo di Progetto Esecutivo “Sperimentazione”). Con la designazione dei Comandi/Unità esercitati a cura del COMFOTER/COE, avvenuta il 16 maggio 2017, che ha visto tra gli altri la partecipazione del NATO Rapid Deployable Corps - Italy (NRDCITA), della Divisione “Acqui”, della Brigata “Pinerolo” e dei relativi supporti nonché del 9° Reggimento Fanteria, unitamente al Coman-
Cronoprogramma dell’Esercitazione “Complex Pallets 2017”.
L’ESERCITAZIONE “COMPLEX PALLETS 2017” Il 26 gennaio 2017, a seguito delle risultanze del seminario “La Logistica 2.0 - Who Does What” è stato costituito il Gruppo di Progetto Direttivo (2) che, avvalendosi di tre Sottogruppi di Progetto Esecutivo (Dottrina Logistica, Strumento Logistico e Sperimentazione), avvia le predisposizioni necessarie per revisionare la Dottrina Logistica dell’Esercito attualmente in vigore, elaborare uno studio che individui possibili soluzioni nonché adeguan. 1/2018
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Task Organization dell’Esercitazione “Complex Pallets 2017”.
do dei Supporti Logistici e ai Reparti di Sanità per la costituzione di Role 2 Basic/Enhanced e Role 3, si è dato avvio alla fase di pianificazione della Command Post Exercise (CPX) denominata “Complex Pallets 2017”. Si sottolinea, inoltre, che l’esercitazione, a differenza di quanto di solito avviene, non ha avuto lo scopo di valutare/testare le unità esercitate, bensì quello di formulare un apprezzamento circa la validità delle soluzioni dottrinali/ capacitive/operative logistiche individuate nei citati documenti, da parte di ciascun Comando/Unità esercitato. Pertanto, il “Team di Pianificazione” (composto anche dai rappresentanti dei Comandi/Enti esercitati), dopo aver definito l’Exercise Specification (EXSPEC), ha proceduto a redigere, utilizzando i supposti operativi/tattici sviluppati da NRDC-ITA nell’ambito dell’Esercitazione “Summer Tempest” (scenario SOROTAN), l’Exercise Plan (EXPLAN), l’Operation Plan (OPLAN) e infine una serie di Situational Tranining Exercise, denominate “vignette”, su diversi “problemi logistici”. Il 27-28 giugno 2017, presso il Centro Polifunzionale di Sperimentazione (CEPOLISPE) di Monteli10
bretti (Roma), si è chiusa, con la Single Planning Conference, la fase di pianificazione durante la quale sono stati presentati, a tutti i Comandanti/G4/S4 dei Comandi/Unità esercitati, lo scenario, la storyline delle “vignette”, nonché l’organizzazione della Direzione di esercitazione. Dal 19 al 21 luglio 2017, presso la sala operativa “Maresciallo Simone Cola”, si è svolta, infine, la fase di condotta dell’esercitazione, che ha visto 21 Comandi/Unità, chiamati a studiare il ripristino, nell’arco di 48
ore, del proprio combat power logorato a seguito della condotta di un’azione offensiva. Ciascun Comando/Unità ha operato dalla propria sede stanziale (questa procedura ha reso sostanzialmente nullo il costo dell’attività) mediante l’utilizzo di telefoni SOTRIN (SOttosistema di TRasmissioni INtegrate), di un dominio di posta elettronica appositamente predisposto (@cpxlog.esercito.difesa.it) e di un WebBox, accessibile dal sito EINET del Comando Logistico dell’Esercito, ove sono confluiti tutti i documenti di esercitazione. La Direzione di esercitazione, avvalendosi anche del Comando Operativo di Vertice Interforze nelle sue articolazioni del Joint Movement Coordination Centre (JMCC) e Joint Medical Division (JMED) e della NATO Support and Procurement Agency (NSPA), inseriti nella white cell, ha ingaggiato quotidianamente la training audience mediante l’esposizione in videoteleconferenza (VTC) delle citate “vignette” afferenti a “problemi logistici” connessi con le funzioni mantenimento, rifornimento, sostegno sanitario e infrastrutture. L’esercitazione, nel suo insieme, ha: • confermato la piena validità dei concetti dottrinali testati ovvero la completa coerenza della bozza PDE-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri”;
Single Planning Conference presso il Centro Polifunzionale (CEPOLISPE) di Montelibretti.
Rivista Militare
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• messo in luce la necessità di apportare alcuni adeguamenti allo Strumento Logistico proposto. Al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, al quale sono stati presentati gli esiti dell’esercitazione, è stata evidenziata la necessità di raggiungere, “in guarnigione”, una piena capacità di mantenimento dei sistemi d’arma da parte dei plotoni dell’Arma Trasporti e Materiali (TRAMAT) dei reggimenti Combat e Combat Support, traendo le risorse necessarie dal reggimento logistico (compagnia mantenimento) e, nel contempo, specializzarlo sui veicoli tattici, logistici, commerciali, potenziandone la capacità di rifornimento e assegnando la capacità di mantenimento sui mezzi mobili campali e sui materiali di attendamento. In operazioni, invece, il rinforzo del reggimento logistico potrà essere assicurato da uno specifico plotone TRAMAT (elementi del mantenimento) tratto da unità Combat e Combat Support non schierate, dotati della stessa tipologia di piattaforme/sistemi d’arma di quelli proiettati (ad esempio il “Freccia”). Al termine dell’esercitazione, dopo aver effettuato l’attività di After Action Review (AAR), è stata redatta la relazione finale successivamente inviata a tutti i Comandi/Enti interessati.
I NUOVI DOCUMENTI DOTTRINALI Nel periodo 4 settembre - 18 ottobre 2017, a seguito degli esiti finali dell’Esercitazione “Complex Pallets 2017”, i due Sottogruppi di Progetto Esecutivo “Dottrina” e “Strumento Logistico” hanno redatto la bozza definitiva dei documenti PDE-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri” e “Lo Strumento per il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri” con talune aggiunte/varianti che il Gruppo di Progetto Direttivo ha approvato, inviando la bozza definitiva dei due documenti, per l’iter approvativo, rispettivamente allo Stato Maggiore dell’Esercito - III Reparto Pianificazione Generale e al COMFOTER/COE. La PDE-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri” si ispira ai principali documenti di pari livello nazionali (PID/0-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Interforze” e PDE 1 “La Dottrina dell’Esercito Italiano”) e NATO (MC 319 “NATO Principles and Policies for Logistics”, MC 326 “NATO Principles and Policies of Medical Support e alla AJP 4 “Allied Joint Logistic Doctrine”). Introduce il concetto di Sense & Respond Logistics
Fase Condotta dell’Esercitazione “Complex Pallets 2017”, presso la Sala Operativa “Maresciallo Simone Cola” del Comando Logistico dell’Esercito.
n. 1/2018
(S&RL) ovvero la capacità di rispondere rapidamente e adeguatamente alle esigenze logistiche in continua evoluzione (senza accumulare scorte eccessive che incrementino inutilmente il footprint) e supera la distinzione tra FLA e FLS. Il sostegno logistico viene distinto in: • sostegno diretto, per garantire la necessaria aderenza logistica alle unità schierate sul campo di battaglia (4); • sostegno generale, per assicurare l’esecuzione delle attività di manutenzione più complesse (5). Gli elementi del sostegno generale concorrono, ove necessario, al sostegno diretto in Patria e all’estero, attraverso le squadre a contatto; • sostegno nazionale per contribuire dalla madrepatria al supporto delle unità schierate in operazione, integrando le capacità del sostegno generale. Questo si sviluppa attraverso l’Industria della Difesa (nazionale e dei Paesi Alleati). Altro elemento di novità è rappresentato dalla suddivisione dei livelli di responsabilità, e relativa capacità di intervento, in quattro linee di sostegno che non sono da considerarsi distinte e separate, bensì integrate e sovrapposte, in modo da assicurare la massima tempestività di azione e la gestione ottimale delle risorse disponibili ai vari livelli (strategico, operativo e tattico). Queste sono: • 1 a linea di sostegno, che ha il compito di supportare la condotta delle attività tattiche dei gruppi tattici e delle minori unità (elementi CSS dei battaglioni/reggimenti); • 2a linea di sostegno, che ha la responsabilità di supportare la condotta delle operazioni dei complessi tattici di livello Grandi Unità e integrare le capacità delle componenti CSS dei gruppi tattici dipendenti; • 3 a linea di sostegno, che ha il compito di fornire il supporto alle operazioni condotte in uno specifico Teatro Operativo, coordinan11
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do e integrando le attività e le capacità delle unità logistiche che operano rispettivamente in 2a e 1a linea; • 4 a linea di sostegno, che ha il compito di assicurare il sostegno generale di F.A. e nazionale alle operazioni, dalla Madrepatria e con il concorso della Difesa e dell’industria. La funzione operativa del sostegno logistico è stata, inoltre, suddivisa in tre macro aree con l’introduzione del:
per il sostegno veterinario, la medicina preventiva veterinaria e Force Health Protection (FHP), nonché l’assistenza e cura veterinaria in operazioni; • sostegno allo schieramento inteso come l’insieme delle attività di gestione delle infrastrutture necessarie a supportare lo schieramento delle Unità e a garantire la sostenibilità delle operazioni, delle Lines of Communication (LOC) e dei punti di ingresso nell’Area delle Operazioni (porti, ae-
Vip Day dell’Esercitazione “Complex Pallets 2017”, alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, del 20 luglio 2017.
• sostegno dei materiali e del personale, quest’ultimo inteso come l’insieme di attività multidisciplinari per garantire alti livelli di morale e benessere (morale & welfare), nonché il livello di comfort in operazioni; • sostegno sanitario e veterinario nel quale è stato adottato l’approccio modulare nella formazione delle strutture sanitarie campali (Role 2 e Role 3) definendo l’organizzazione del supporto sanitario nell’ambito delle linee del sostegno, adottando la regola del “10/1/2” come timeline clinica di riferimento (entro 10’ il soccorso finalizzato al sostegno delle funzioni vitali, entro un’ora il trattamento da parte di personale sanitario, entro due ore gli interventi medici o chirurgici finalizzati al salvataggio della vita, degli arti e delle funzioni), introducendo, 12
roporti, stazioni ferroviarie). Infine, il documento ha introdotto le cosiddette “attività correlate” ovvero quelle attività multi-disciplinari e multi-livello che, contribuendo alla composizione della Recognized Logistic Picture (RLP) dei Comandanti, facilitano lo schieramento e il sostegno alla forza in operazione, ovvero la gestione delle informazioni logistiche. Dette attività sono la RSOM, la Contractor Support to Operations (CSO), l’Host Nation Support (HNS), il Civil Military Cooperation (CIMIC), il sostegno alle Organizzazioni Governative/ Non Governative (GO/NGO), la Protezione Ambientale (6), e infine la dismissione che comprende l’insieme delle attività di alienazione/ permuta/cessione e/o demolizione/distruzione, condotte allo scopo di recuperare risorse nel pieno rispetto delle norme di tutela am-
bientale e con il supporto di Agenzie della Difesa e della NATO. Il documento “Lo Strumento per il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri” stabilisce che, in operazioni e sostanzialmente anche in guarnigione, il sostegno alle forze di manovra, nella sua massima espressione, sia sviluppato attraverso le quattro linee di sostegno al cui interno operano gli organi esecutivi a crescente livello di specializzazione, dotazioni di attrezzature/mezzi, tempistiche di lavorazione e capacità produttiva (cfr. Il Supporto Logistico alle Grandi Unità complesse dell’Esercito “Rivista Militare”, n. 4/2017). Più precisamente: • per la 1a linea di sostegno opera la compagnia comando e supporto logistico dell’unità che ha in sé gli elementi necessari per l’organizzazione e l’esecuzione del sostegno logistico a contatto del rispettivo reggimento e costituisce, pertanto, la pedina fondamentale per lo sviluppo delle funzioni logistiche dell’unità supportata; • per la 2a linea di sostegno operano i Gruppi di Supporto d’Aderenza -GSA (livello reggimento/battaglione) e i Role 2 (reparti di sanità-REPASAN), che forniscono sostegno diretto alle brigate e alle unità di supporto della divisione e del corpo d’armata. Nello specifico, a livello corpo d’armata, opera il GSA enucleato dal 6° Reggimento Logistico di Supporto Generale (Corps Support GroupCSG), per fornire sostegno diretto alle unità Combat Support del Corpo d’Armata NRDC-ITA; a livello divisione, opera il GSA enucleato dal Battaglione Logistico, di stanza a Bari, del Reggimento Gestione Aree di Transito (Division Support Group-DSG), per fornire sostegno diretto alle unità Combat Support della Divisione; a livello brigata, opera il GSA enucleato dal proprio reggimento logistico (Brigade Support Group-BSG), per conferire alle grandi unità elementari la capacità di gestire il soRivista Militare
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Nuova articolazione del Sostegno Logistico dell’Esercito.
stegno logistico alle forze di manovra. Siffatto modulo capacitivo, opportunamente strutturato per assolvere ai compiti correlati a tutti gli aspetti della logistica al livello tattico, prevede inoltre il Centro Amministrativo di Intendenza (CAI), ove necessario, quale organismo di F.A. o interforze, deputato allo svolgimento delle attività amministrativo-contabili; • per la 3a linea di sostegno opera il Posto Comando Logistico di Teatro, enucleato dal Comando Supporti Logistici, con il compito principale di garantire il collegamento tecnico-funzionale fra la logistica di Teatro (ADERLOGFWD) e quella di Sostegno in Italia (SOSTLOG), ovvero coordinando il sostegno logistico di Teatro. Inoltre, nell’area opera il GSA di Teatro di livello reggimento, enucleato dal Reggimento Gestione Aree di Transito di Bellinzago Novarese, che detiene le capacità per poter schierare e gestire in operazioni i moduli gestione transito e RSOM a elevata prontezza operativa, fino al livello massimo battaglione, corrispondenti alle esigenze di schieramento delle Grandi Unità complesse; • per la 4a linea di sostegno operano gli organi logistici volti ad assicurare il sostegno generale, risalenti al Comando Logistico dell’Esercito e suoi Comandi dipendenti (Comando Trasporti e Materiali, Comando Commissariato, n. 1/2018
Comando Sanità e Veterinaria, Comando Tecnico e Policlinico Militare) sia in Italia, a sostegno degli enti per interventi/lavorazioni/rifornimenti dall’elevata connotazione tecnica e capacitiva, che in Operazioni, a complemento/integrazione delle capacità esprimibili dal sostegno diretto (1a, 2a e 3a linea di sostegno). In tale contesto sono gestite/custodite le scorte strategico-funzionali per l’intero strumento militare ed è presente una capacità sanitaria full spectrum del livello Role 4 (Policlinico Militare). Inoltre, nella 4a linea operano, come sostegno nazionale, anche le componenti della Difesa (Stabilimenti dell’AID), dell’industria nazionale e dei Paesi alleati o Agenzie delle Organizzazioni Internazionali (es. NSPA), secondo le linee di indirizzo dello Stato Maggiore dell’Esercito/Stato Maggiore della Difesa. Sono state, inoltre, definite nel documento le opportune procedure di coordinamento. Le attività di approntamento e di supporto alle Operazioni correnti vedono i Comandi Multifunzione esercitare le funzioni: supported (attribuita al Comando designato quale mounting nel “Piano di impiego dei Comandi e delle unità della F.A.”); supporting (attribuita a tutti i Comandi Multifunzione non designati quale mounting nel “Piano d’impiego dei Comandi e delle unità della F.A.”). Tali funzioni sono fina-
lizzate a garantire che le unità poste alle dipendenze siano operativamente impiegabili per la condotta di esercitazioni/operazioni in Patria o all’estero e, una volta proiettate nei Teatri Operativi, mantengano i necessari livelli di efficienza operativa e logistica. Infine, è stata predisposta una specifica procedura per elaborare il completamento “capacitivo” delle citate unità nel caso in cui il Comando supported non sia in grado di colmare, con tutte le risorse disponibili nel proprio ambito, le eventuali esigenze logistiche delle unità in approntamento/operazioni (ad esempio: personale, mezzi e materiali, risorse finanziarie).
IL CONVEGNO INFORMATIVO “LA LOGISTICA 3.0 - DIAPASON LOG 2017” Terminata la fase di studio e sperimentazione si è palesata l’esigenza di condividere con l’intera Forza Armata le risultanze delle attività svolte. Si è reso necessario mettere “in accordo” i comandanti a tutti i livelli con il nuovo concetto logistico adottato dalla Forza Armata. A tale scopo è stato organizzato a Firenze, nel periodo 22-23 novembre 2017, nella splendida cornice della “Sala del Cenacolo” della Direzione di Amministrazione dell’Esercito, il convegno informativo su “La Logistica 3.0 - Diapason LOG 2017”. Hanno partecipato, per la prima volta, tutti i Comandanti fino a livello reggimento/battaglione autonomo dell’area operativa, logistica e formativa, oltre agli insegnanti di logistica di tutti gli istituti di formazione basica e avanzata. Nel corso dell’evento sono stati presentati i PDE-4 “Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri” (final draft) e “Lo Strumento per il Sostegno Logistico alle Operaziorni Terrestri” oltre alle innumerevoli iniziative/attività logistiche svolte nel corso del 2017. In particolare, la NATO NSPA ha illustrato la vasta gamma di prodotti e servizi, suddivisi in cinque aree di capacità 13
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Saluto del Direttore della Direzione di Amministrazione di Firenze ai partecipanti al convegno.
(Systems Procurement & Life Cycle Management, il Support to Operations & Exercises, il Fuel Management, lo Strategic Transport & Storage, Logistic Services & Project Management) offerti ai principali partner della NATO, tra i quali l’Italia. Il IV Reparto Logistico dello Stato Maggiore dell’Esercito ha illustrato gli obiettivi e le priorità logistiche della F.A. con la relativa programmazione e gestione delle risorse finanziarie, in linea con quanto previsto dalla circolare 4006 “Linee per il supporto logistico E.F. 2017 e orientamento per gli anni 20182019”. È stato evidenziato che dovrà essere garantita in questo triennio una percentuale di efficienza del 90% per le unità schierate nei Teatri Operativi e nelle unità inserite nella Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), dell’80% per la componente operativa inserita nella pianificazione NATO Response Force (NRF)/Joint Rapid Reaction Force (JRRF), mentre alle restanti unità il 40%. Inoltre, per l’anno 2017, a fronte di un’esigenza di 580 milioni di euro ne sono stati assegnati 371,2 milioni con i quali è stato garantito un livello di efficienza complessivo medio dell’80%. Pertanto, per ottimizzare la programmazione del supporto 14
logistico con le risorse finanziarie e materiali disponibili, si ritiene necessario rispettare criteri di coerenza tra obiettivi e priorità assegnati alla F.A. e le risorse disponibili; abbandonare il concetto di spesa storica indirizzandosi a criteri di efficienza programmata (con riferimento ai dati statistici e previsione dei consumi). In sintesi, avere chiara la vision logistica, minimizzando le scorte, azzerando gli sprechi, adoperando correttamente tutti gli strumenti disponibili. È stata poi illustrata, dal Comando Logistico dell’Esercito, la Circolare n. 4007 “Alienazione, Cessione e Prestito di Veicoli, Materiali e Qua-
drupedi dell’Esercito”, Ed. 2017, con la quale sono state definite le relative procedure e modalità esecutive nello specifico settore. In particolare, è stata evidenziata la necessità di ricorrere all’alienazione tramite l’istituto della permuta, con cui il bene dismesso viene ceduto ricavando benefici (beni o servizi). La cessione e alienazione dei materiali di varia natura, veicoli e sistemi d’arma dismessi dalla Forza Armata, a titolo oneroso/gratuito anche con il supporto dell’Agenzia Industria Difesa (AID), ha garantito all’Esercito un introito di € 21.970.745 per l’anno 2016 e di € 9.512.448 per l’anno 2017. È stato,
Intervento del Rappresentante della NATO Support and Procurement Agency (NSPA).
Rivista Militare
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inoltre, presentato il framework infologistico che prevede l’integrazione di sistemi informatici già in uso in F.A., ma attualmente non collegati fra di loro, quali: il Sistema Informativo Gestionale Esercito (SIGE) con i suoi sottosistemi (Parchi, Materiali, Mantenimento, Munizioni, Sanità, Personale, Trattamento economico, Denaro); la Matrice d’interscambio Dati con l’Industria (MIDI) (al momento VBM “Freccia”, VCC “Dardo”, PZH 2000, SAMP-T e Torretta “Hitrole L”); il Product Common Source Database (PCSDB) (7) e il Sistema Automatizzato di Comando e Controllo Advanced (SIACCON ADV). Nella specifica sessione devoluta all’area logistica, tra gli elementi di novità va sottolineato quanto esposto dal Comando Trasporti e Materiali con la nuova ripartizione delle competenze manutentive tra i Poli di Mantenimento, Centro Rifornimenti e Mantenimento (CERIMANT), Sezione Rifornimenti e Mantenimento (SERIMANT), definendo per ciascuna piattaforma e/o sistema d’arma il polo nazionale di riferimento ovvero l’Ente deputato a gestire tutte le attività manutentive peculiari, nonché l’organizzazione nazionale dei rifornimenti quale unica e sola organizzazione per gestire la specifica attività. Per il Comando di Commissariato è stato presentato il nuovo sistema gestionale vestiario-equipaggiamento. Detta piattaforma è operativa dal primo gennaio 2018 e garantirà la “reingegnerizzazione” dell’intera procedura sull’attuale database presente in Banca Dati Centrale (BDC), la realizzazione dei codici di raggruppamento per la bonifica dei NUC (Numeri Unici di Identificazione), la gestione della scheda corredo del singolo amministrato e delle relative taglie/misure, la gestione delle informazioni in carico all’operatore vestiario e infine la ricerca automatica delle disponibilità di magazzino tra i Centri Rifornimenti di Commissariato (CERICO) Sezione Rifornimenti Commissariato (SERICO). Novità n. 1/2018
Intervento del Comandante delle Forze Operative Terrestri e del Comando Operativo Esercito durante la giornata conclusiva del convegno.
assoluta è il servizio “per la cessione a pagamento on-line di materiali, accessori ed equipaggiamento di Commissariato”, in analogia alle più note applicazioni di e-commerce utilizzate sul web. Il software già disponibile in via sperimentale sulla rete EINET, nel sito ufficiale del COMLOG EI/Comando Commissariato, permetterà agli utenti di acquistare, oltre al materiale di commissariato in ciclo logistico, a prezzi particolarmente vantaggiosi, anche tutti gli accessori a corredo dell’uniforme (nastrini, distintivi, ecc.). Il Comando Sanità e Veterinaria ha invece sottolineato il ruolo del Reparto Veterinario, responsabile dell’igiene e sicurezza degli alimenti nella ristorazione collettiva (mense, organismi di protezione sociale) e nella ristorazione dei contingenti militari (8), della cinofilia di proiezione e infine dell’attività di ricerca e studio nei settori di interesse (tra questi lo studio dei cani in grado di scoprire, attraverso l’olfatto, patologie tumorali). Inoltre, tra i suoi peculiari compiti, vi è anche la cura del parco quadrupedi (cavalli e cani), attraverso l’Ospedale Veterinario di Montelibretti, considerato Role 4 veterinario, anche in virtù della capacità degli sgomberi veterinari nei Teatri Operativi VETerinary STRATegical
EVACuation (VETSTRATEVAC). L’occasione è stata utile anche per fare un punto di situazione sull’interforzizzazione della Sanità Militare. In linea con quanto previsto dal “Libro Bianco della Difesa”, è stato previsto un Comando Sanità Interforze che, mantenendo le competenze attribuite al momento all’Ispettorato, sia in grado di costituire il referente unico in materia di sanità a livello Difesa e Vertice gerarchico della Sanità Interforze. Ciò grazie a un’organizzazione territoriale degli enti su tre poli quali il Policlinico Militare di Roma e i neo costituiti Centri Ospedalieri Militari di Milano e Taranto con alle dipendenze, per ciascuno di essi, i Dipartimenti di Medicina Medico Legale (DMML) su base areale (nord, centro e sud). Il Comando Sanità Interforze dovrà, inoltre, coordinare i servizi veterinari delle F.A./CC; definire e coordinare (con lo SMD e gli SM di Forza Armata), i lineamenti di policy sanitaria e d’impiego del personale degli assetti, sviluppando capacità organizzative finalizzate alla costituzione, a livello territoriale, dei Role 2 e alla loro proiezione nei Teatri Operativi. Ha chiuso gli interventi dell’area logistica il Comando Tecnico che non ha mancato di sottolineare il ruolo del Centro Tecnico Logisti15
6_17 MORO.qxp_Layout 1 07/03/18 12:16 Pagina 16
co Interforze NBC (CETLI) e delle sue molteplici attività sperimentali, di ricerca e studio, in collaborazione con l’Università ed Enti di ricerca (9). Inoltre, è stato illustrato il ruolo del Centro Polifunzionale di Sperimentazione (CEPOLISPE) e le sue attività, tra le quali, le prove su complessivi (completamente o parzialmente allestiti) in ambiente simulato su pista e in condizioni predefinite (climatiche, elettromagnetiche), le analisi di laboratorio su materiali, singoli componenti o sottosistemi, le attività di supporto logistico (analisi chimiche su carbolubrificanti-combustibili, olii, grassi; prove climatiche su shelter frigo; estensione vita tecnica di materiali in servizio). Il convegno si è concluso con l’intervento del Comandante Logistico dell’Esercito, che ha ringraziato tutti per la partecipazione interessata e per i qualificati contributi di pensiero. Ha, inoltre, evidenziato come la necessità di dotare l’Esercito di una dottrina al passo con i tempi e di un adeguato strumento logistico è stata considerata prioritaria da tutti. Non sono state individuate ipotesi di soluzione che necessitino di allocazione di ingenti risorse, ma, piuttosto, soluzioni attuabili con immediatezza e con le risorse oggi disponibili. La Forza Armata, grazie all’impegno di tutti, oggi dispone di una dottrina logistica semplice, razionale, in linea con i principi adottati dalla NATO, perfettamente e immediatamente integrabile in un contesto interforze nazionale. L’attuale strumento logistico, con piccoli adattamenti realizzabili nell’immediato, è in grado di sostenere le forze in guarnigione e in operazioni. Tuttavia, la logistica richiede la giusta considerazione e dignità: allo stato attuale, solo il 10% circa dell’intero volume organico della Forza Armata opera in questo settore. Lungi dal voler perseguire il rapporto ottimale (60% / 40% come in molti altri Paesi amici e alleati), sa16
rebbe forse necessario rivedere il rapporto tra forze operative e forze dedicate al loro supporto. L’esperienza insegna che devolvere il supporto logistico nella sua interezza all’industria non sempre garantisce la piena operatività delle unità. Perciò devono essere ricercati sistemi integrati di supporto, con un sempre maggior ricorso ai servizi offerti da Agenzie nazionali e multinazionali, laddove il rapporto costo/efficacia e anche i migliori risultati qualitativi risultino favorevoli per la Forza Armata.
CONCLUSIONI Definito il “who does what”, c’è da chiedersi quale sarà il futuro della logistica della Forza Armata, nel quadro più generale della necessaria logistica interforze. La situazione attuale evidenzia tre elementi concorrenti che devono essere tenuti in debita considerazione, nella loro essenza e nelle loro interazioni specifiche: • riduzione, entro il 2024, dei volumi organici a 90.000 unità (Legge n. 244 del 2012); • costituzione delle brigate pluriarma quale unica pedina operativa della Forza Armata; • introduzione in servizio di nuovi e sofisticati sistemi d’arma a elevatissima tecnologia. In tale quadro di situazione appare opportuno e conveniente proporre un approccio basato su due linee d’azione concorrenti: l’ottimizzazione dei processi di acquisizione e il corretto impiego degli strumenti già in nostro possesso. Guardando al futuro è indispensabile, sin d’ora, ottimizzare i processi di acquisizione di nuove piattaforme e materiali e nel contempo definire i requisiti di quelle future, avendo piena ed esaustiva conoscenza: • delle esigenze operative da soddisfare; • delle tecnologie emergenti; • delle possibilità esistenti e di quelle necessarie in termini di risorse finanziarie, di infrastrutture e di
personale per conservare, manutenzionare, impiegare e alienare quanto si sta acquisendo; • del supporto logistico per mantenere quanto acquisito senza escludere una adozione, completa o parziale, dei concetti tipici dell’“industria 4.0” che evolve verso un modello di automazione caratterizzato da: •• diagnostica che registra anomalie/avarie/performance; •• prognostica che previene anomalie e guasti con applicazione della manutenzione predittiva; •• health management che valuta le condizioni operative e suggerisce le azioni da intraprendere; •• servizi di supporto per gli interventi di ripristino e formativi anche da remoto; •• manifattura additiva per la realizzazione in proprio di componentistica, stampata in 3D, di complessivi e sottocomplessivi. Tutti processi finalizzati a ridurre al minimo i tempi/costi, nonché le risorse necessarie per effettuare gli interventi manutentivi e correttivi. Infine, nel processo di acquisizione è indispensabile tenere nella giusta considerazione la necessità di: • ottimizzare le informazioni logistiche che, soprattutto in una realtà interforze devono essere condivise, standardizzate e digitalizzate e, pertanto, facilmente interscambiabili e disponibili senza limitazioni geografiche e temporali; • implementare le attività di analisi per il Supporto Logistico Integrato in tutte le sue fasi (prefattibilità, fattibilità, progettazione, sviluppo, produzione, qualificazione, impiego e alienazione), nonché la progettazione della manutenibilità e mantenibilità; • ricorrere ad agenzie internazionali come la NSPA per il supporto logistico di specifici prodotti e servizi se non addirittura per l’acquisizione stessa; Rivista Militare
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• implementare il ricorso al concetto di sharing per tutti quei beni e servizi condivisibili nell’ambito dell’Esercito e più in generale delle Forze Armate. Per quanto attiene invece al mantenimento di quanto già in servizio, possiamo dire che i profondi mutamenti degli ultimi due decenni hanno indotto un processo evolutivo caratterizzato da professionalizzazione, nuove e imprevedibili esigenze operative, introduzione di nuovi e sempre più complessi sistemi d’arma. In tale situazione, la risoluzione di variegati problemi operativi è stata preminente rispetto a tutti gli altri. Sono state, pertanto, adottate soluzioni logistiche non strutturali ovvero soluzioni logistiche variegate per piattaforma, per contesto operativo e alle volte diverse per una stessa piattaforma. Tuttavia l’esperienza sin qui acquisita, nonché gli esiti del citato processo che ha interessato la logistica di Forza Armata negli ultimi dodici mesi, ci inducono a guardare con ottimismo all’immediato futuro. Oggi la Dottrina logistica esiste, gli adattamenti da implementare nello strumento logistico, in attesa di maggiori risorse, sono stati individuati e sono tutti di immediata attuazione. La total asset visibility logistica è quasi completata. Il flusso dei rifornimenti è ora trasparente, accessibile e noto a tutti gli attori. Le diverse metodologie di approvvigionamento sono state codificate e rese disponibili agli agenti preposti. Una capillare opera di sensibilizzazione è stata condotta e dovrà continuare nel futuro. Credere nella solidità della logistica di Forza Armata significa conoscere e impiegare coerentemente quanto disponibile e non nascondere il proprio “non sapere” dietro la mancanza di risorse, perché “le risorse non sono né troppe né poche...sono!” (10). *Generale di Corpo d’Armata in ausiliaria
**Tenente Colonnello n. 1/2018
NOTE (1) ll Comando Logistico dell’Esercito e i suoi Comandi dipendenti (Trasporti e Materiali, Commissariato, Sanità e Veterinaria, Tecnico) ma anche lo Stato Maggiore dell’Esercito, il Comando delle Forze Operative Terrestri, il Comando per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell’Esercito, il Comando delle Forze Operative di Supporto, il Comando Forze Operative Sud e il Comando Forze Operative Nord, il Comando Truppe Alpine, il NATO Rapid Deployable Corps e, non ultime, l’Agenzia Industria Difesa (AID) e la NATO Support and Procurement Agency. (2) Il Gruppo di Progetto Direttivo era presieduto dal Comandante Logistico dell’Esercito (con i rappresentanti del COMLOG, dello Stato Maggiore dell’Esercito, del COMFOTER/COE, del COMFORDOT, del COMFOTER di Supporto). (3) Lo scenario prevedeva lo schieramento di un corpo di armata, con una divisione e una brigata italiani e relative componenti Combat Service Support. (4) Gli elementi dell’organizzazione assegnati al sostegno diretto sono direttamente inseriti nei complessi tattici e sono articolati in funzione del livello della forza da supportare (reggimento, brigata, divisione, corpo d’armata). 5) Il Sostegno Generale presiede all’organizzazione nazionale dei trasporti, curando l’approvvigionamento e lo stoccaggio delle scorte dei materiali, nonché la sperimentazione tecnica delle piattaforme di nuova acquisizione e le attività sanitarie di livello specialistico (Comando Logistico dell’Esercito e dei suoi organi esecutivi). (6) Limitazione degli effetti della presenza militare sul territorio evitando, quindi, di arrecare danni all’ambiente − aria, terreno e falde acquifere − come pure al patrimonio artistico nazionale. (7) Effettua il calcolo tecnico-economico dei costi da sostenere per una piattaforma dal suo acquisto alla sua alienazione, simulando il possibile scenario di utilizzo dei sistemi per un determinato arco temporale, rendendo, in tal modo, le decisioni logistiche adeguate alle reali esigenze. (8) L’Autorità sanitaria competente in virtù dell’art. 182 del D. Lgs 66/2010 è
il Comando Sanità e Veterinaria. (9) Tra le altre attività svolte in collaborazione con gli enti di ricerca e le Università si annoverano test e sperimentazione su materiali di nuova introduzione per la difesa da agenti Chimici, Biologici, Radiologici e Nucleari (CBRN), elaborazione di protocolli analitici per l’identificazione dei Biological Warfare Agents (BWA), le attività di supporto logistico su apparati di bonifica di piccola e grande capacità (Sanijet C921), rilevatori, ecc., e infine le attività di monitoraggio ambientale (presenza di amianto, illuminamento, rumore, microclima, campionamento e analisi di metalli e composti organici, campionamento e analisi Legionella, rivelazione di Chemical Warfare Agents-CWA e Toxic Industrial Chemicals-TIC in Teatro Operativo). (10) Intervento del Vice Capo del IV Reparto Logistico dello SME, Gen.B. Barbarotto, in occasione del convegno informativo su “La logistica 3.0 Diapason Log 2017”.
BIBLIOGRAFIA SME - RPGF, Concetto Funzionale Supporto Logistico Proiettabile 20142032, Ed. 2014. NATO Standardization Office, AJP-4 (B) Allied Joint Doctrine for Logistics, (study draft), 1/2016. COMLOG, Compendio delle procedure per le attività logistiche nelle operazioni all’estero, Ed. 2012. SMD - CID - PID/0-4, Il Sostegno Logistico alle Operazioni Interforze (bozza preliminare), Ed. 2015. SME- IV RL- PDE-4, Il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri, Ed. 2017. Sottogruppo di progetto esecutivo (a cura di), Lo Strumento per il Sostegno Logistico alle Operazioni Terrestri (bozza finale), Ed. 2017. Atti del seminario “La Logistica 2.0 Who Does What”, 6-7 dicembre 2016. Relazione finale dell’esercitazione “Complex Pallets 2017”, 28 luglio 2017. Atti del Convegno Informativo su “La Logistica 3.0 Diapason LOG 2017”, 22-23 novembre 2017. Di Blasi G., Il supporto logistico alle Grandi Unità complesse dell’Esercito, in “Rivista Militare” n. 4/2017.
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L’estrema retroguardia del Regio Esercito attraversa il Ponte della Priula.
La storia come non l’avete mai vista di Federica Dal Forno* Italia, ottobre 1917, esattamente cento anni or sono, la linea del fronte durante la Grande Guerra si spostò drammaticamente indietro, sulla linea Grappa-Piave, facendo tremare il popolo della bella penisola. Un complesso montuoso e un fiume divennero da quel momento monumento alla memoria, per l’ardimento e le morti d’ambo le parti che segnarono quei luoghi fino alla fine del conflitto. Per narrare le principali vicende che fecero divenire il Piave una leggenda, un combattente fra i combattenti, un confine, un luogo sacro e persino un’intramontabile canzone, quattro originali autori hanno pensato di dar vita a un racconto per immagini, che non tradisse la storia ma che conquistasse, per bellezza e immediatezza, i lettori di ogni età.
GLI AUTORI
VinGenzo Beccia Illustratore
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Federica Dal Forno Progetto, testi e coordinamento
Danilo Errico Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale di C.A.
Giuseppenicola Tota Il Capo del V Reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito Generale di Divisione
Marco Pascoli Storico (zona Grappa)
Paolo Pozzato Storico (zona Piave)
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COME RACCONTARE I RAGAZZI DEL ’99 AI MILLENNIALS Tutto nasceva, due anni fa, presso lo Stato Maggiore dell’Esercito, con un fumetto tra le mani e la voglia di raccontare la Grande Guerra in modo nuovo e accattivante. Ha visto così la luce un prodotto editoriale inconsueto, costituito da una lunga striscia illustrata di ben sette metri, che narra la storia degli ultimi anni della Grande Guerra e al contempo la geografia del fronte, in un connubio che vede la realtà storica interpretata sapientemente da un fumettista davvero talentuoso, Vingenzo Beccia. Abbiamo pensato ai ragazzi, nel giustificare lo stile grafico prescelto che doveva facilitare la divulgazione dei fatti realmente accaduti, ma in verità, l’idea di una cronaca illustrata del conflitto ha fatto, fin da subito, brillare gli occhi a tutti i professionisti chiamati a contribuire al
progetto, sintomo che un buon racconto per immagini finisce sempre e inevitabilmente per entusiasmare anche gli adulti. Generali, storici, studiosi, tutti appassionati di Grande Guerra, di quella “partecipata” che porta a scartabellare fra documenti, foto e testimonianze consunte per cercare di capire, di quella che conduce a camminare sui campi di una lontana battaglia provando a spiegarne gli esiti, di quella, infine, che induce a sorridere di fronte alle caricature pungenti della Tradotta, ma sempre con una stretta al cuore, pensando ai ragazzi del ’99 a cui erano rivolte . Ci si trovava in ogni caso, ben lontani da quel resoconto arido e stringato che subimmo un tempo fra i banchi di scuola in tediose lezioni mnemoniche e che ciascuno di noi rammentava bene. Era proprio questo il punto, la sfida: cercare di trasmettere ai giovani, e non solo a loro, quella passione che ora muo-
veva ciascuno di noi a ripercorrere i fatti della Grande Guerra a proprio modo, ritrovandovi le vicende dei nonni, ripercorrendone i racconti, cercando, nei frammenti di un vecchio cimelio, la storia di un soldato anonimo, leggendo lettere troppo semplici per giustificare la grande commozione che tutt’ora recano, perlustrando ancora una volta trincee e camminamenti alla ricerca di iscrizioni lasciate dai soldati accampati in quei luoghi, quale testimonianza del loro passaggio. Gli studiosi e gli appassionati, si sa, hanno il vizio di riconoscersi e di finire col ritrovarsi insieme a immaginare progetti un po’ audaci, come quello che vi sto per narrare. Ecco dunque quale fu l’intento da cui nacque l’idea di “Non chiamatelo fiume. Storia illustrata di un monumento d’Italia”, subito ribattezzato, scherzosamente, “Non chiamatelo fumetto” all’interno del team, proprio perché veniva so-
Il ferimento dei fratelli Garrone presso Col della Berretta.
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vente accostato alla forma più classica di graphic novel con la quale condivideva in verità la sola veste grafica. Infatti, non erano previsti personaggi di fantasia, niente era inventato e ogni più piccolo dettaglio veniva attentamente vagliato sotto il profilo storico, nella fase creativa dalla scrivente, nella fase di revisione anche da parte degli storici. Proprio il fumettista era l’unico del gruppo a non essersi mai occupato di Grande Guerra, ma non appena vidi i suoi lavori, venni subito conquistata dal suo segno elegante, dai suoi personaggi che sembravano popolare una dimensione sospesa e parallela, mai privi di realtà eppure intrisi di una sorta di amara poesia, perfetti per ricreare quello “strano mondo” che è la storia, assolutamente vero ma al contempo impalpabile giacché “non è più”, con i suoi protagonisti fatti soltanto di parole e memoria, talvolta persino un po’ fallaci. Così il giovane Vingenzo Beccia è en-
trato a far parte dell’impresa, seguendomi nei musei militari per prepararsi sull’argomento, per toccare con mano le uniformi, contare i bottoni delle giubbe, arrovellandosi sui fregi delle compagnie di turno, cercando di decifrare i volti nel grigiore delle foto d’epoca, sempre troppo sbiadite e sfuggenti per la sua voglia di precisione. Il suo personale dramma d’artista, che tanto spesso intuivo sebbene non avesse mai a lamentarsene, constava soprattutto nell’impossibilità di poter inventare alcunché, tutto era prestabilito: la posizione dei soldati, i loro movimenti, persino le prospettive sulle quali discutevamo lungamente per conciliare le esigenze di rappresentazione al peculiare andamento di monti e colli, che finivano sempre col cozzare con la volontà di riunirli tutti in un’unica panoramica verosimile e corretta. Eppure, lungi dal risultare oltremodo tedioso, giorno dopo giorno, ho potuto constatare come questo lavo-
ro abbia risvegliato in lui un’attenzione particolare per l’argomento, contagiandolo in una lettura della storia sempre più attenta e approfondita. Oggi egli ricopre il ruolo di docente presso le scuole dell’obbligo e possiede gli strumenti per trasmettere ai suoi giovani alunni una visione diversa e molto meno asettica di quel conflitto. Da parte loro, i due storici Marco Pascoli e Paolo Pozzato, grandissimi esperti di Prima Guerra Mondiale, hanno aiutato a ricostruire gli episodi meno conosciuti all’interno delle tre grandi battaglie svoltesi fra Grappa e Piave, descrivendo il territorio per come si presentava allora, evidenziando le difficoltà delle truppe nell’affrontarlo, orientando gli attacchi in relazione al nostro punto di vista, determinando quale tempo atmosferico ci fosse in quel preciso giorno e se le trincee fossero più o meno scavate in quel punto del fronte. La loro è stata una consulenza davvero preziosa.
Il IV Reparto Zappatori del 41° Reggimento Fanteria della Brigata “Modena” appronta le trincee sul Monte Asolone.
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IL GRAPPA E IL PIAVE I veri protagonisti della narrazione sono due e anche piuttosto insoliti, ovvero il Grappa e il Piave. In particolare il Piave è il fulcro del nostro racconto. Come è noto, quando si legge un romanzo, i personaggi principali, dopo aver affrontato prove importanti, escono dalla vicenda quasi sempre diversi da come ne sono entrati a far parte, il loro essere subisce un’evoluzione. Parimenti, anche il Grappa e il Piave, da buoni protagonisti, uscirono trasformati dalla triste traversia del conflitto, non solo perché rive e pendii furono sconvolti da scontri e bombardamenti, ma perché da quel momento divennero luoghi sacri alla Patria, monumenti alla memoria. La sola parola “Piave”, dopo la fine della guerra, avrebbe suscitato negli italiani talmente tanto rispetto e cordoglio da far sì che questo corso d’acqua non potesse più rientrare nella categoria di “fiume”, esondando ancora una volta per importanza e personalità, imponente di significato, rigettando una tanto scabra definizione. Il Piave divenne prima leggenda, combattente fra i combattenti, infine uno straordinario monumento commemorativo che, nella sua essenza liquida, rimane da sempre simbolo arcaico di rinascita, di
Il Piave in piena, 18 giugno 1918.
La fortezza di Cima Grappa.
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un fluire che mai si arresta e che mai si assomiglia. Eppure sulle sue sponde, nelle sue acque mutevoli, nel suo essere concreto eppure inafferrabile, in esso è sedimentata la memoria dei fatti della Grande Guerra, quale testimonianza indelebile. Anche il Grappa avrà un’analoga evoluzione, sebbene fosse già considerato sacro a inizio conflitto, quantomeno nel senso religioso del termine, giacché era stato eletto a luogo di culto mariano dal 1899. A rendere personale testimonianza della Guerra fu persino la statua della sua Madonnina che dalla guerra uscì “ferita a morte”, come affermava una poesia dell’epoca, colpita nel 1918 da una granata che ne frantumò la spalla sinistra, riparata solo a conflitto finito. Da quel momento la Madonnina divenne la Madre dolente di tutti i soldati feriti, i mutilati e i morti della Grande Guerra, mentre la terra su cui ancora oggi poggia divenne sacra anche in senso laico, monumento alla memoria di quei tragici eventi. Dunque, il Grappa e il Piave, diventati improvvisamente il nuovo fronte dopo il ripiegamento di Caporetto, conducono il lettore per mano nella narrazione, portandolo a riscoprire i luoghi e gli avvenimenti che li resero oltremodo significativi per l’Italia. L’opera è composta da due se-
zioni distinte: la prima parte è costituita da una lunghissima panoramica, una striscia di illustrazioni che, senza soluzione di continuità, descrivono l’estensione geografica del fronte GrappaPiave a partire dal ripiegamento di Caporetto; la seconda parte invece consiste in un volumetto storico-esplicativo degli episodi raffigurati all’interno della striscia geografica anzidetta. Dunque, la lunga panoramica, composta dalle molte illustrazioni, si dispiega per ben sette metri, ripercorrendo buona parte della lunga linea del fronte a partire da Col Moschin, passando per Cima Grappa, costeggiando il medio e il basso Piave, per arrivare, infine, alla sua foce e al lembo di mare su cui si affaccia. È come se una telecamera potesse tornare al 1917-1918, sorvolare i campi di battaglia e riportare alcune immagini di quello che accadde. Ecco quindi che, grazie alle brillanti illustrazioni di Vingenzo Beccia, anche un maturando sardo, pur non muovendosi di casa, può facilmente immaginare il monte Valderoa, i fatti ivi accaduti e magari, approfondendo l’argomento, scoprire che, nel dicembre del ’17, alcuni suoi conterranei, nonché coetanei, combatterono nella Brigata “Reggio” proprio su quelle pendici; al contempo, l’adolescente appassionato di auto,
La Madonnina del Grappa.
L’impresa di Costanzo Ciano contro la corazzata Wien.
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La morte di Baracca sul Montello.
che magari sogna di essere un giorno al volante di una fiammante Ferrari, può stupirsi figurandosi di quale perizia e coraggio fosse dotato Baracca nel far volare un fragile aereo di legno e tela sopra il Montello, contro le mitragliatrici avversarie, rendendo ben altra fama al noto cavallino. Non resta che ricordare infine, come in qualsivoglia paese d’Italia, per piccolo e sperduto che sia, ubicato a Nord oppure a Sud, possiamo essere certi di ritrovarvi sempre una via o una piazza intitolate ai luoghi della Grande Guerra. Spesso si fa riferimento alle località del Grappa e del Piave, sovente è facile riconoscere il riman-
do al periodo del conflitto, ma quanti rammentano davvero i fatti che resero tanto cari quei luoghi alla storia? Ecco, questo volume vuole contribuire a rinvigorire questa memoria. Certamente si tratta di un elenco di siti ed eventi nemmeno lontanamente esaustivo (in caso contrario non sarebbero bastati cinquanta metri di illustrazioni), ma è un buon inizio per scoprire parte della storia della Prima Guerra Mondiale legandola alla geografia, invitando il lettore ad approfondire per proprio conto gli argomenti trattati, magari andando a visitare di persona le zone menzionate e rappresentate.
LA STORIA E GLI ESERCITI Finora abbiamo diffusamente descritto la lunga panoramica di immagini che compone la sequenza geografica dei luoghi, ora occorre trattare l’andamento cronologico degli eventi narrati. Nella striscia illustrata il lettore può osservare diversi soldati intenti a combattere. Tuttavia, i numerosi episodi che qui sono rappresentati non possono essere affrontati da sinistra verso destra, ovvero seguendo l’andamento geografico che parte da Col Moschin per proseguire sul Grappa, giungendo al Piave e, infine, al mare. Infatti, i diversi schieramenti non iniziaro-
Gli Arditi alla riconquista del Col Moschin.
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Maria Amalia Von Hauler intossicata dai gas sul Monte Tomba.
no di certo a combattere sulle alture per poi scendere ordinatamente a valle e concludere là i loro scontri. Al contrario, le battaglie infiammarono questi luoghi secondo un ordine ben diverso, ovvero seguendo la logica di attacchi coordinati su diversi settori del fronte. Come conciliare, quindi, la storia con la geografia così ordinatamente descritta dal susseguirsi
delle immagini nella lunga striscia illustrata? A tale scopo è stato realizzato un volume esplicativo, a compendio della sezione grafica, di cui ho già in precedenza fatto cenno. In questo testo vi sono tutti gli episodi, descritti nei dettagli, presentati secondo l’ordine cronologico. Si inizia dal 1917, fornendo un contesto storico in cui inserire i fatti rappresentati, per poi passare
al 1918, chiudendo la sequenza storica con la partenza dei soldati per Vittorio Veneto. Se dunque, guardando la lunga panoramica, è possibile apprezzare immediatamente la geografia dei luoghi, per afferrare l’esatta cronologia degli eventi storici occorre spostarsi avanti e indietro lungo questa immaginaria veduta, seguendo l’ordine riportato nel volume esplicati-
Le truppe di Lord Cavan alle Grave di Papadopoli.
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vo e ritrovando le immagini a cui si fa riferimento aiutati dalla numerazione proposta in entrambe le sezioni. Soffermandoci sui co-protagonisti della narrazione, ovvero i soldati, noteremo che non si tratta di soli italiani. In questo racconto, portavoce di un sentire che vede la commemorazione dei combattenti di ogni fazione nonché il riconoscimento dell’eroismo anche di parte avversa, è possibile ritrovare tutti gli eserciti presenti su quel fronte negli anni 1917-1918. Per ciascuno di questi schieramenti viene menzionata una figura di spicco oppure un personaggio eroico di cui viene narrata la storia. Per questa ragione troveremo l’alleato Lord Cavan a capo dei britannici intenti ad attraversare le Grave di Papadopoli, lo statunitense Hemingway a cavallo della sua bicicletta, a Fossalta di Piave. Riconosceremo i fez bosniaci, gli ampi baschi francesi dei Chasseurs Alpins, osserveremo un Rommel guardingo in attesa di un attacco italiano... Infine, non manca nemmeno la menzione, oltre al Regio Esercito, della Regia Marina, dell’Arma dei Carabinieri Reali, del Corpo Aeronautico dell’Esercito (precursore dell’attuale Aeronautica Militare), nonché della Regia Guardia di Finanza.
DUE EPISODI PER INIZIARE Per invogliare i lettori di “Rivista Militare” a leggere l’intero racconto, anticipiamo qui due episodi del volume, un personaggio molto famoso e un combattente davvero indomito, uno statunitense e l’altro italiano, entrambi protagonisti sul Piave esattamente cento anni or sono, nel 1918. “Quanto più ci si avvicina a dove si combatte e tanto più bella è la gente che si incontra” (1), Fossalta di Piave, 8 luglio 1918. In un giorno di fine giugno 1918, a Fossalta di Piave, arrivò un ragazzo americano non ancora diciannovenne, arruolatosi volontario poco tempo prima per venire a combattere in Europa. Non potendo rientrare fra i combattenti a causa di problemi di vista, fu assegnato come autista all’American Red Cross, la sezione americana della Croce Rossa, di stanza a Schio. Non appena ebbe notizia degli scontri della Battaglia del Solstizio, chiese di essere trasferito sul fronte del Piave, volendo partecipare ai combattimenti come assistente di trincea. Sul suo taccuino, ogni sera, annotava brevemente gli avvenimenti della giornata per non rischiare di dimenticare niente di quella guerra. Il suo nome era Ernest Hemingway.
Hemingway nell’ospedale militare di Milano con l’infermiera inglese Agnes Conway.
L’impresa di Hemingway a Fossalta di Piave.
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Episodio tratto dal volume "Non chiamatelo fiume. Storia illustrata di un monumento d’Italia", pagg. 26-27.
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“E la Vittoria sciolse le ali al vento” (2), Medio Piave, 28 ottobre 1918. Il Piave prese corpo nell’immaginario collettivo a partire dalla Battaglia del Solstizio, al termine della quale nacque dalla penna di E. A. Mario La leggenda del Piave, una melodia estremamente orecchiabile che raccontava di come il fiume, soldato fra i soldati, “mormorasse” e “combattesse” gonfiando le sue acque in piena, difendendo gli italiani dall’offensiva austriaca, distruggendo i ponti e le passerelle degli assalitori, accompagnando infine la Nazione alla vittoria. E in effetti questo avvenne durante l’offensiva del giugno 1918, ma appena qualche mese dopo, nell’ottobre dello stesso anno, quando fu il turno degli italiani di attraversare le sue acque in piena avanzando in direzione di Vittorio Veneto, ecco che “il Piave si mise a fare l’austriaco”, come osservò rammaricato Prezzolini. Infatti, la pioggia incessante
aveva reso gonfie e rapinose le sue acque, ritardando pericolosamente l’attraversamento del Regio Esercito. Il Piave manifestò in quel momento il suo carattere e tutta la sua neutralità, dichiarandosi ostile e contrario a chiunque violasse le sue acque in un senso o nell’altro, contrastando l’impeto della guerra, travolgendo ogni cosa e costringendo all’attesa paziente oppure al periglio e alla morte. È proprio a questo punto che si inserisce l’impresa del Generale Vaccari che parte alla conquista dei territori perduti a Caporetto. *Esperta di Beni Culturali
NOTE (1) Citazione tratta dall’introduzione scritta il 30 giugno 1948 da E. Hemingway al romanzo Addio alle armi. (2) Verso della canzone La leggenda del Piave di Ermete Giovanni Gaeta, in arte E.A. Mario.
Generale Giuseppe Vaccari.
L’attraversamento del ponte di barche da parte del Generale Vaccari e delle sue truppe.
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Episodio tratto dal volume "Non chiamatelo fiume. Storia illustrata di un monumento d’Italia", pag. 31.
Titolo: “Non chiamatelo fiume. Storia illustrata di un monumento d’Italia”. Autori: Federica Dal Forno, Vingenzo Beccia. Consulenza storica: Marco Pascoli, Paolo Pozzato. Formato editoriale: cofanetto contenente una striscia illustrata (cm 20x700) e un volume storicoesplicativo. Casa Editrice: Rodorigo Editore. Anno: 2017. Promosso da: Stato Maggiore dell’Esercito. Con il sostegno di: Deutsche Bank.
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4° Forum dei Comandanti delle Forze Terrestri Europee Un passo concreto per suggellare il concetto di indivisibilità della sicurezza europea di Giovanni Corrado*
Tenutosi a Roma dal 25 al 27 settembre 2017, il simposio ha visto la partecipazione di 34 delegazioni straniere, tra cui figurano, per la prima volta nella storia dell’autorevole assemblea, anche quattro rappresentanze degli eserciti del Maghreb e del Sahel appartenenti all’«Iniziativa 5+5» (1), a conferma della centralità strategica di queste aree ai fini della sicurezza e della prosperità dell’Italia, dell’Europa e degli spazi geografici a esse adiacenti.
Il Forum dei Comandanti delle Forze Terrestri Europee è un consesso di altissimo livello, nel cui ambito i Vertici degli strumenti militari terrestri dei Paesi dell’Europa continentale – a prescindere dalla loro appartenenza o meno a organismi internazionali quali la UE e la NATO – si incontrano per discutere di articolate tematiche di natura geopolitica
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afferenti alla sicurezza regionale ovvero all’attualità militare in generale, in un clima caratterizzato da estrema franchezza, convinto spirito partecipativo e piena considerazione delle istanze e punti di vista espressi dagli intervenuti. La manifestazione è realizzata a rotazione, con cadenza annuale, da un Paese ospitante – la cui candidatura è patrocinata dall’or-
ganizzatore della precedente edizione – il quale si cura di definirne con anticipo il tema e di individuare e promuovere la partecipazione di alcuni vertici militari in qualità di relatori, proponendo agli stessi il possibile argomento della relativa presentazione. Dopo l’evento inaugurale tenutosi in Francia nel 2014 (28-30 aprile), il Forum è stato riproposto in Po-
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Fig. 1
lonia nel 2015 (7-11 settembre) e in Germania nel 2016 (13-15 settembre), mentre nel 2018 si terrà in Austria (fig. 1). L’investitura dell’Italia per la preparazione della quarta edizione è avvenuta a Dresda per iniziativa del Generale di Corpo d’Armata Jörg Vollmer, Ispettore dell’Esercito tedesco,
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anche in considerazione dell’elevato interesse suscitato dall’intervento dell’allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito (2), in un periodo storico di particolare fermento concettuale e operativo per la Comunità Euro-Atlantica, impegnata nel contrasto di molteplici e concomitanti minacce emergenti
in prossimità della sua periferia. In quel contesto, il Generale di Corpo d’Armata Danilo Errico aveva messo in guardia i colleghi europei sui rischi derivanti dall’utilizzo di espressioni quali “fianco sud” o “fianco est” della NATO, il cui effetto primario è quello di allineare i Paesi lungo linee fisiche precosti-
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niera più efficace anche nella parte bassa dello spettro dei conflitti (5).
LO SVILUPPO DEL 4° FORUM
Fig. 2
tuite e di creare sotto-coalizioni virtuali in seno alle strutture sovranazionali, minandone così alla base tanto la coesione quanto, più in generale, il concetto di indivisibilità della sicurezza. In quest’ottica, l’Autorità di Vertice dell’Esercito aveva rivolto un apprezzato invito – basato su dati analitici e valutazioni logico-deduttive – a considerare tutte le sfide del Continente in maniera olistica e complementare, evitando di accendere i riflettori solo su specifiche aree geografiche (con riferimento all’assertiva postura della Federazione Russa nell’Est Europa) e/o minacce a discapito di altre. Tale condizione marginalizzava nelle discussioni in atto, tra le altre cose, gli importanti riflessi sulla solidità economica, energetica, sociale e istituzionale della Comunità Euro-Atlantica che stavano avendo i complessi fenomeni originati dalla fragilità istituzionale dei Paesi appartenenti all’estesa fascia d’instabilità (belt of instability) che va dalla Mauritania alla Somalia, tra cui spiccavano un flusso migratorio di massa in costante crescita e il proliferare di organizzazioni estremiste violente con estese ramificazioni anche in Europa. Di non secondaria importanza per la prosperità europea risultava anche l’impegno politico, economico e militare russo 32
lungo i vettori meridionale, mediorientale ed euroasiatico della politica estera di Mosca (3), il quale, pur creando generalmente meno clamori e turbamenti rispetto alle attività lungo il vettore est europeo (cioè in Ucraina e nelle Repubbliche Baltiche), consentiva al Cremlino di ritagliarsi spazi di cooperazione con i Paesi del Medio Oriente-Nord Africa (MENA) e del SubSahara, ottenendo sia un esorbitante ritorno economico sia un appoggio politico e morale internazionale alle sue policy. In virtù di queste valutazioni, il Gen. C.A. Danilo Errico aveva sottolineato l’importanza di pensare non in termini di “fianchi” ma di un ambiente strategico di sicurezza unificato con punti focali codipendenti (fig. 2), nel cui contesto le minacce che si generano lungo la sponda meridionale del Mar Mediterraneo dovrebbero godere di una considerazione almeno pari a quella riservata all’attivismo della Federazione Russa, minacce per il cui contrasto risultano fondamentali le iniziative di ricostruzione e ripristino delle prerogative istituzionali dei Paesi in condizioni di fragilità, le quali a loro volta implicano lo sviluppo o il potenziamento, in seno agli strumenti militari terrestri, di capacità soft (4) che consentano di operare in ma-
Sulla base del convinto apprezzamento riscosso dalle argomentazioni presentate a Dresda, la Forza Armata ha ritenuto opportuno profondere ulteriori sforzi per favorire il consolidamento di una visione onnicomprensiva e condivisa delle dinamiche in atto nell’Area Euro-Mediterranea e in quelle adiacenti, reputata, questa, un presupposto ineludibile per comprendere appieno tutte le criticità pertinenti alle comunità del territorio in questione e che possono influenzare, anche nell’immediato futuro, lo sviluppo capacitivo degli eserciti dei Paesi interessati. Per conseguire questo obiettivo, in considerazione anche dell’estrema eterogeneità degli aspetti e delle sfaccettature delle minacce da affrontare, si è proceduto a una revisione del tradizionale formato del Forum – ristretto ai soli rappresentanti degli eserciti continentali e focalizzato su tematiche dalla vocazione prettamente “interna” – strutturandolo in due giornate. Nella prima (26 settembre), i Capi delle Forze Terrestri Europee hanno dibattuto sulla rispettiva e personale comprensione delle sfide alla sicurezza del Continente che provengono dall’ambiente strategico di riferimento e sul futuro degli stessi strumenti militari terrestri. Nel fare ciò, è stata data voce a punti di vista insistenti sui diversi quadranti geografici dell’Europa – nord, est e sud – invitando a intervenire i rappresentanti di Finlandia, Ungheria, Francia (6), Spagna e Regno Unito. La stessa sessione ha visto anche le allocuzioni del Gen. C.A. Danilo Errico e dell’allora Comandante delle Forze Operative Terrestri italiane. Nella seconda giornata dei lavori (27 settembre 2017) – iniziata con il saluto del Capo di Stato Maggiore Rivista Militare
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della Difesa, Generale Claudio Graziano, e conclusasi con l’intervento del Ministro della Difesa, Senatrice Roberta Pinotti – si è sottolineato, invece, il modo in cui gli Alti Rappresentanti militari, provenienti dall’area del MENA, dagli Stati Uniti o da organizzazioni quali l’Alleanza Atlantica e la Unione Europea, percepiscono quelle stesse minacce discusse il giorno precedente, creando occasioni di confronto con il Chairman del Comitato Militare dell’Unione Europea, il Deputy Chairman del Comitato Militare della NATO, alcuni rappresentanti dei Paesi africani appartenenti alla «Iniziativa 5+5» (Marocco e Algeria) e il Generale Vice Comandante di US Army Africa. In entrambe le sessioni, per agevolare ulteriormente la franchezza del dialogo e incentivare discussioni che, senza preclusioni particolari, potessero anche fornire spunti di riflessione alternativi rispetto al consolidato pensiero comune sulle tematiche trattate, è stata applicata la cosiddetta Chatham House Rule (7), in modo che le opinioni espresse nello specifico contesto non fossero in alcun modo associate a prese di posizione ufficiali sulle questioni dibattute da parte delle nazioni o degli organismi sovranazionali rappresentati. In generale, l’adesione all’evento è stata elevatissima (superiore all’80%), verosimilmente complice anche il fascino della Città Eterna, l’organizzazione di importanti attività collaterali (8) e l’apprezzata professionalità dimostrata dagli addetti ai lavori dello Stato Maggiore dell’Esercito sin dai contatti preliminari, vedendo in totale la partecipazione di 34 delegazioni straniere, di cui 27 guidate dai Comandanti/Capi titolari degli eserciti invitati e solo 7 delegate a rappresentanti di alto rango.
I TEMI DIBATTUTI Durante lo svolgimento del Forum (9), il focus della discussione è stato: “Gestire minacce alla sicurezza n. 1/2018
e percorsi di trasformazione capacitiva alquanto differenti: uno sforzo da parte dei Capi delle Forze Terrestri Europee verso la creazione di una comprensione condivisa della situazione e della necessaria unità di intenti” (10). In quest’ottica, si è cercato di dare risalto ai mutamenti complessivi che interessano o hanno interessato l’ambiente strategico di riferimento e, soprattutto, ai loro effetti sulla modernizzazione e potenziamento degli strumenti militari terrestri continentali, generando così dibattiti che, per profondità di vedute e magnitudine delle implicazioni, a detta degli stessi partecipanti, hanno avuto rarissimo riscontro in passato. In particolare, la preoccupazione più viva è emersa attorno all’interoperabilità degli eserciti europei, da molti ritenuta un’aspirazione piuttosto che un traguardo vicino al raggiungimento. A questa osservazione, si è aggiunto il rammarico derivante sia dalla constatazione che le rispettive forze navali e aeree non sembrano essere colpite dalla specifica problematica sia dall’evidenza che gli eserciti di Paesi ex satelliti dell’Unione Sovietica hanno dovuto cimentarsi con le criticità connesse al deficit di interoperabilità solo all’atto del loro ingresso nella NATO, in quanto in precedenza potevano contare su dottrina, armamenti e metodologie addestrative sostanzialmente omogenee e comuni. Attualmente, il cammino verso una maggiore interoperabilità delle Forze Terrestri Europee appare rallentato, da un lato, dall’indisponibilità di sistemi conformi agli standard NATO in eccedenza da poter trasferire a quegli Stati che ne necessitano (senza generare corrispondenti carenze in quelli fornitori) e, dall’altro, dall’esiguità numerica di progettualità industriali congiunte che, riducendo i costi non ricorrenti e quelli fissi, renderebbero meno gravoso, da un punto di vista finanziario, l’ammodernamento dei parchi più obsoleti. Inoltre, sempre in materia di interoperabilità, non sembra far compiere passi decisivi nemmeno il
programma annuale di esercitazioni militari internazionali che, a detta di molti, sarebbe auspicabile contrarre dal punto di vista quantitativo e migliorare sotto l’aspetto dei risultati. Infatti, se da un lato tali appuntamenti contribuiscono indubbiamente a far conseguire obiettivi di profilo strategico-politico (coesione interna e deterrenza esterna in primis), da un punto di vista operativo non garantiscono una tempistica sufficiente a consentire l’implementazione dei correttivi alle problematiche riscontrate nel corso dell’attività precedente. La limitata interoperabilità, peraltro, crea condizioni di rischio operativo e strategico, soprattutto in un momento storico in cui, a fronte di un’elevatissima capacità della minaccia di trasformarsi con rapidità nel tempo, nello spazio e nelle modalità operative, coloro che sono chiamati a contrastarla presentano tempistiche di adattamento – per motivazioni di carattere tecnico, tecnologico e addestrativo – che fisiologicamente sono superiori al ritmo di accadimento degli eventi stessi. In merito alle tematiche di natura geopolitica, in ambito europeo è stata pienamente riconosciuta la rilevanza delle dinamiche in atto a sud della linea di costa meridionale del Mar Mediterraneo ai fini della prosperità del Continente. Nello specifico, l’Africa è stata definita come una vera e propria “rete di minacce”, le quali, per l’estrema porosità dei confini dei suoi Stati, frequentemente si espandono a livello regionale e globale. Un fattore che certamente contribuirebbe a lenire diversi elementi di criticità nel quadro di sicurezza sarebbe rappresentato da una rapida normalizzazione della situazione in Libia, considerata il centro di gravità per la stabilità dell’area, una nazione che ancora fatica a individuare una soluzione condivisa al proprio assetto istituzionale, nel cui alveo dovrà necessariamente trovare e giocare il proprio ruolo un esercito ‒ ora totalmente da rifondare ‒ in grado di contribuire effica33
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Fig. 3
cemente al controllo delle frontiere esterne e alla sicurezza interna. Di fondamentale importanza è ritenuto inoltre il supporto continuativo da parte europea e alleata tanto alle iniziative multilaterali regionali – come il G5 Sahel (11) – tese a combattere le minacce transfrontaliere – verso le quali molti dei Paesi interessati si stanno impegnando in maniera considerevole – quanto ai progetti di Defence Capacity Building a favore delle entità statuali del Maghreb e di contrasto all’emarginazione sociale e alla povertà nel Sahel, ponendo al contempo maggiore attenzione al coordinamento degli impegni avviati per evitare stati di fatto paradossali in cui gli effetti benefici di un’opera possano essere vanificati da azioni intraprese da altri attori che, per quanto meritorie, vadano tuttavia in direzione opposta. Di certo, le condizioni di sicurezza nell’Area Euro-Mediterranea conosceranno un beneficio diretto dalla recente creazione, in seno alla NATO, dell’Hub for the South presso il Joint Force Command Naples – il quale, conferendo un approccio regionale alle situazioni di crisi, agirà quale “moltiplicatore di sforzi” – e dal perfezionamento degli output operativi che discenderà dall’implementazione in ambito UE di iniziative quali la Permanent Structured Cooperation (PESCO) (12), la Coordinated Annual Review on Defence (CARD) 34
(13) e l’European Defence Fund (EDF) (14), alle quali si augura possa corrispondere, da parte degli Stati, una parallela e più pronunciata volontà sia di aumentare i fondi destinati alla funzione Difesa sia di mettere a disposizione propri assetti per un loro impiego “sul terreno” nei framework promossi dalla UE.
IL PUNTO DI VISTA DEL GENERALE DI CORPO D’ARMATA DANILO ERRICO L’apertura del Forum ha fornito l’occasione per ripercorrere i principali eventi che hanno contraddistinto l’anno trascorso dall’incontro di Dresda, sottolineandone, da un lato, la vastità degli effetti e, dall’altro la concentrazione temporale, entrambe definite senza precedenti. Tali peculiarità delineano uno scenario in continua evoluzione che, ancor prima di innescare qualsiasi parabola evolutiva degli odierni eserciti, postula la necessità di giungere a una piena comprensione delle dinamiche in atto e dei loro sviluppi futuri: se ciò non fosse, il rischio sarebbe quello di imbarcarsi nell’ennesimo processo di trasformazione capacitiva che, una volta conclusosi, restituirebbe Forze Terrestri comunque inadeguate ad affrontare le mutate sfide poste dall’ambiente delle operazioni.
Diversi segnali indicano che siamo alla vigilia dell’ennesimo “cambio di vocazione” della componente terrestre degli strumenti militari nazionali (fig. 3): si è partiti nel secondo dopoguerra con una caratterizzazione prettamente warfighting per contrastare la minaccia convenzionale sovietica, a cui si è gradualmente affiancato, a partire dagli anni ’70-’80, un crescente impiego per l’homeland security per arginare forme di terrorismo domestico, per passare poi, ai primi anni ’90 e coerentemente con i nuovi compiti assunti dall’Alleanza Atlantica, a conferire loro un’impronta prevalentemente expeditionary per la condotta di operazioni di risposta alle crisi fuori area NATO. Il quadro di sicurezza contemporaneo impone invece Forze Terrestri perfettamente bilanciate nei loro profili d’impiego e nelle capacità esprimibili, un quadro che deve essere compreso pienamente, senza approcci parziali tesi a promuovere istanze di parte che spesso portano a “[ ] rimanere così tanto concentrati sul proprio albero da non accorgersi di essere circondati da una foresta in fiamme” (15). Proprio la definizione degli aspetti di più grande rilievo del contesto di riferimento e dei loro riflessi sullo sviluppo capacitivo ha caratterizzato l’intervento principale del Gen. C.A. Danilo Errico, sottolineando come pensare oggi ad eserciti “a taglia unica” sia alquanto pericoloso, poiché crea degli squilibri negli assetti esprimibili, difficilmente colmabili in breve tempo. (16). Tale consapevolezza deriva non solo dall’osservazione degli impegni operativi attuali ma anche (e soprattutto) dalle dinamiche correnti nell’Area Euro-Mediterranea, una porzione del globo la cui complessità è andata via via crescendo nel tempo a causa dell’interazione non sempre armonica tra sistemi politici, economici, sociali, religiosi e culturali estremamente eterogenei, tanto da assurgere a “[...] concentrato delle più difficili sfide geopolitiche dei giorni nostri e perno attorno a cui ruotaRivista Militare
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no diverse situazioni di crisi” (17). Sfortunatamente, ognuna di esse presenta cause primarie e secondarie proprie, le quali, pertanto, devono essere affrontate con modalità e strumenti differenziati, prerogativa questa che Forze Terrestri “monotaglia” non possono garantire. Infatti, se si considera l’Africa SubSahariana, l’elemento che più di ogni altro influisce negativamente sulla stabilità regionale è la fragilità delle istituzioni statuali (fig. 4). Qui, oltre a indici di sviluppo umano e indicatori macro/micro-economici tra i più bassi al mondo, si riscontra una diffusa inabilità dei governi centrali di garantire un controllo positivo sul proprio territorio, una condizione che favorisce il sorgere di centri di potere alternativi a quelli legittimi dello Stato e che esercitano forme di violenza indiscriminata nei confronti della popolazione. Questa circostanza, unitamente all’espandersi di fonti di insicurezza personale nei settori
Fig. 4
ma ne possiede altri precipui che, pochi anni fa, fecero esplodere un evento altamente dirompente come la “Primavera Araba”. Infatti, a dispetto di indicatori di sviluppo socio-economico di buon livello, si riscontra come le crisi di maggior impatto sulla sicurezza del Continente europeo – Siria, Libia, Iraq e Yemen – stiano avendo il proprio decorso in quest’area. Ciò è certa-
Fig. 5
economico, alimentare, sanitario e ambientale, costituisce un ulteriore incentivo, per una massa umana disperata e in continua crescita, a cercare possibilità di realizzazione individuale in un contesto – come quello europeo – dove già è emersa una forte espansione della linea di faglia tra gli abbienti (haves) e i non abbienti (have nots). Il MENA condivide alcuni fattori di criticità con l’Africa Sub-Sahariana n. 1/2018
mente dovuto al fatto che qui la piena maturazione del concetto di Stato – secondo il noto archetipo occidentale dello “Stato di diritto” – è resa difficoltosa dai persistenti squilibri creati da confliggenti interessi locali e globali che convergono sul Medio Oriente-Nord Africa. Il quadrante geografico che, al contrario, ha visto l’affermazione di un paradigma statuale ormai giunto a completa maturazione nel caratte-
re e nell’identità è l’Europa orientale, dove la Federazione Russa è rinata quale potenza a vocazione mondiale in grado di implementare, in maniera assertiva, strategie di politica estera di ampio respiro e multi-vettoriali, a tal punto da renderla il competitore contro cui tanto la NATO quanto la UE si sono concentrate maggiormente negli ultimi anni. Nonostante ciò, è da apprezzare come in diversi consessi internazionali stia crescendo la considerazione della Russia quale controparte essenziale e imprescindibile per giungere a una situazione di sicurezza generalizzata, un approccio di apertura e collaborazione – sostanziato anche dalla riattivazione, sebbene a livello ambasciatoriale e ministeriale, del NATO-Russia Council (18) – che risulta ancor più decisivo se si considerano le proiezioni strategiche del prossimo ventennio per l’Area Euro-Mediterranea. Se da un lato, infatti, la Federazione Russa proseguirà gli sforzi per riguadagnare e consolidare lo status di superpotenza globale attraverso le proprie iniziative tanto nel campo della Difesa (modernizzazione militare e deterrenza nucleare) quanto nell’impegno sul piano internazionale (fig. 5), nella regione del MENA la possibilità di compiere sostanziali progressi verso una condizione di stabilità generale continuerà a essere minata dalla competizione tra diversi attori, a cui si sommeranno ulteriori effetti, potenzialmente de35
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Fig. 6
stabilizzanti, generati da progetti come il One Belt, One Road (19) della Cina, supportato e agevolato da Mosca sia per il tornaconto economico potenziale sia per far espandere il peso geopolitico cinese in chiave anti-occidentale. Anche l’Africa Sub-Sahariana continuerà a rappresentare un fattore di insicurezza per l’Europa. Entro il 2040, la sua popolazione raddoppierà, giungendo a 820 milioni di abitanti, una crescita che sarà accompagnata dal persistere di una diffusa incertezza economica e ambientale, di un costante aumento delle minacce asimmetriche alla stabilità dei governi centrali e di una regressione delle pratiche democratiche nella gestione della cosa pubblica. Sembra superfluo sottolineare come tali circostanze rappresentino una fonte di energia inesauribile per i flussi migratori verso il Continente europeo. Considerando le indicazioni che provengono dall’ambiente strategico di riferimento, il quadro che si profila all’orizzonte non è, dunque, affatto semplice non solo per i molteplici compiti che gli strumenti militari saranno chiamati a sostenere ma soprattutto per l’estrema eterogeneità delle minacce alla sicurezza che dovranno affrontare. Di conseguenza, le future Forze Terrestri dovranno essere interoperabili e organizzate per dissuadere ogni minaccia esterna dal punto di vista convenzionale, contribuire alle iniziative internazionali di stabilizza36
zione e ricostruzione nelle regioni del MENA e dell’Africa Sub-Sahariana (qualora richiesto dalle controparti interessate) e difendere il territorio nazionale (fig. 6). Alla luce di ciò, è quindi totalmente inappropriato pensare che un Paese possa da solo affrontare l’ampio ventaglio di possibili minacce o, anche, che poche nazioni si possano o si debbano far carico della sicurezza di tutto il Continente. Al contrario, ciò che appare più ragionevole è fare quadrato attorno ai valori fondanti e agli interessi più vitali della Comunità Euro-Atlantica, ricercando forme di collaborazione e integrazione più stretta tra i rispettivi eserciti, le quali, partendo da una visione e comprensione condivisa delle eterogenee sfuma-
ture dei rischi sottesi, conducano alla consapevolezza dell’urgenza di un potere militare terrestre europeo coerente, coesivo e al servizio di tutte le necessità, orientato dunque a preservare l’indivisibilità della sicurezza (fig. 7). Un siffatto punto di arrivo sembra perentorio in un contesto in cui, a differenza di venti anni fa, non c’è più un nemico perfettamente identificato e schierato al di là di un confine demarcato chiaramente e suscettibile di una risposta collettiva della NATO anche in caso di invasione nei confronti di un solo Stato. La natura particolarmente pericolosa delle odierne minacce risiede proprio nella loro elusività e nel fatto che non afferiscono a una singola nazione ma all’intero mondo civilizzato, inteso quale espressione di un sistema di valori che promuove un ordine internazionale equo e pacifico. In proposito, se si guarda ai circa venti attentati di matrice jihadista che, a partire dal 2012, hanno interessato “solo” undici Paesi europei, si vede come essi abbiano causato la morte di diverse centinaia di individui provenienti da oltre cinquanta Stati di cinque Continenti. È chiaro, dunque, come questo sia un pericolo globale che non può essere contrastato efficacemente senza una percezione delle sfide alla sicurezza europea comune e condivisa, sfide che non
Fig. 7
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devono essere viste materializzarsi solo nell’arsenale militare russo ma anche negli effetti dell’instabilità del MENA, nella fragilità degli Stati sub-sahariani, nella pervasiva politica economica cinese, nelle devastanti attività portate avanti da organizzazioni criminali e terroristiche transnazionali o nelle violazioni perpetrate da collettivi di hackers. In sintesi, dal momento che esiste una sostanziale e innegabile continuità logica tra sicurezza interna ed esterna – in quanto la minaccia che i nostri contingenti contrastano nei Teatri Operativi è la stessa che riverbera i propri effetti nelle strade europee – è necessario approcciare con una certa sensibilità, per i loro riflessi domestici, le dinamiche in atto al di là dei confini politici e delle acque territoriali del Vecchio Continente, in quanto solo Stati perfettamente funzionanti dal punto di vista istituzionale, in grado di gestire autonomamente le sfide interne ed esterne alla propria sicurezza, sono la prima e più avanzata linea di difesa dell’Europa (fig. 8). In questo contesto, le Forze Terrestri, da sempre punta di lancia degli strumenti militari nazionali, non
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Fig. 8
possedendo soluzioni strutturate per influenzare, ad esempio, le variabili economiche o politiche di una crisi, per mantenere la loro rilevanza devono sviluppare un maggiore livello di integrazione non solo tra di loro ma anche con quegli organismi in grado di esprimere capacità in settori diversi da quello prettamente militare, quali forze di polizia, organizzazioni non governative, fondazioni economiche, comunità intelligence, agenzie di cooperazione allo sviluppo, ecc..
Questa è un’esigenza inderogabile se si vuole assicurare la realizzazione di un’Europa prospera e in pace, anche nel suo “intorno”.
CONCLUSIONI Alla luce dei risultati conseguiti e dell’ampissima condivisione riscontrata dalle sue conclusioni, il 4° Forum ha indubbiamente rappresentato un’occasione importante per approfondire la reciproca
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NOTE
Fig. 9
conoscenza, rimanere aggiornati sulle varie iniziative dei Paesi Alleati, amici e partner e, non ultimo, consolidare l’apertura verso una maggiore attenzione alle sfide alla sicurezza a cavallo della direttrice strategica meridionale già ottenuta a Dresda. Solo attraverso un dibattito e un confronto aperto e franco è possibile infatti conferire la giusta prospettiva – spaziale e temporale – alle dinamiche geopolitiche in atto nell’Area Euro-Mediterranea e alle loro implicazioni per gli affari militari, una possibilità che sarebbe certamente preclusa se si continuassero ad applicare approcci concettuali non inclusivi e settari. Dal punto di vista della prospettiva spaziale, come peraltro sottolineato da un rappresentante dell’«Iniziativa 5+5», si è rafforzata la consapevolezza che l’Europa e il MENA – e principalmente la sua propaggine africana – siano partecipi dello stesso destino per legami di carattere geografico e storico. Infatti, al giorno d’oggi non esistono più barriere insormontabili che possano separare i due sistemi e lo stesso Mar Mediterraneo (20) in realtà connette ciò che solo in apparenza separa. Di conseguenza, non si può parlare di un’Europa prospera e in pace se 38
la sua periferia in primis non lo è. Considerando invece la prospettiva temporale, si è compreso che i vari Paesi della regione - seppur con modalità e ritmi di progressione diversi - hanno intrapreso un percorso che li porterà a un’accresciuta maturità istituzionale. Questo processo non si potrà concludere nell’immediato: si richiede un periodo di tempo congruo e variabile (da Paese a Paese), pazienza politico-strategica e notevole impegno. Proprio per questo motivo, coloro i quali hanno un interesse diretto alla stabilità dell’Area Euro-Mediterranea (cioè gli Stati dell’Europa continentale) devono continuare a sforzarsi per aiutare gli Stati “infanti” a trovare la propria strada verso la democrazia, supportare quelli “adolescenti” a crescere solidi e forti nelle proprie istituzioni e cooperare con quelli “adulti” in un’ottica di stabilità regionale e globale (fig. 9 ) (21). Nel solco tracciato a Dresda, a Roma sono stati piantati diversi semi di riflessione e di intesa, nella certezza che questi avranno ulteriori opportunità di crescita e sviluppo nel corso del 5° Forum nel 2018, in Austria. *Maggiore
1) Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia (quest’ultima non ha aderito all’evento), a cui si aggiungono quali controparti europee Francia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna. 2) Dal titolo NATO Warsaw Summit. Security and Military Challenges for the Southern Flank. 3) Il vettore euroasiatico include quei Paesi che una volta facevano parte dell’Impero Russo o dell’Unione Sovietica e che oggi insistono lungo i confini meridionali della Federazione Russa; quello mediorientale si spinge lungo l’Africa del Nord e il Vicino/Medio Oriente mentre quello meridionale riguarda tutta l’Africa a sud del Sahara e l’America Centrale e Latina. Il riferimento è Gvosdev Nikolas K. e Marsh Cristopher, Russian Foreign Policy. Interests, Vectors, and Sectors (Thousand Oak, CA: CQ Press, 2014). 4) Per capacità soft si intendono quelle che non afferiscono al combattimento inteso nel senso tradizionale del termine (generalmente definite hard) e che permettono alle componenti terrestri degli strumenti militari di interagire e intervenire in maniera più efficace sulle variabili sociali, politiche, economiche e informative di una crisi. Tra queste si possono annoverare, ad esempio, le capacità di cooperazione civile-militare (CIMIC) e quelle per la condotta di attività operative di assistenza alle forze di sicurezza locali (Security Force Assistance) che, applicate in maniera sinergica, possono contribuire efficacemente agli interventi internazionali di ricostruzione/rigenerazione delle prerogative istituzionali di uno Stato, eliminandone così la condizione di fragilità. 5) La dottrina NATO (AJP-01 Allied Joint Doctrine Edition E Version 1) riconosce che le forze dell’Alleanza sono chiamate a operare in uno “spettro dei conflitti” che va da una condizione di pace stabile a un conflitto ad alta intensità, passando per situazioni di crisi caratterizzate da contesti politici e sociali in cui risulta decisivo ai fini del successo saper impiegare simultaneamente capacità
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letali e non letali e, soprattutto, interagire in maniera proattiva con l’ambiente civile per migliorare la comprensione della situazione e la risposta alle crisi. 6) L’intervento del Generale Jean-Pierre Bosser, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito francese, è stato poi riprogrammato per la giornata del 27 settembre 2017 a causa di intercorsi problemi organizzativi della controparte. 7) Tale regola recita quanto segue: “Se una riunione, o una parte di essa, viene tenuta seguendo la Chatham House Rule, i partecipanti sono liberi di usare le informazioni ricevute ma
so la specifica considerazione. 10) Titolo originale: Managing diverse challenges and transformational paths: an effort by the Commanders of the European Land Forces into creating shared understanding and unity of intent. 11) Framework per la cooperazione nel campo della sicurezza e dello sviluppo nella regione del Sahel attivato nel 2014. Nel suo contesto, i Paesi aderenti (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) hanno generato una Task Force per il controllo delle aree frontaliere in chiave antiterrorismo. http://www.g5sahel.org/index.php/qui-sommes-nous/leg5-sahel.
campo della Difesa. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1508_en.htm. 15) Passaggio ripreso testualmente dall’intervento del Gen. C.A. Danilo Errico. 16) È il caso, ad esempio, del ritardo di cui soffre attualmente l’Esercito Italiano nell’ammodernamento della sua componente pesante, dovuto principalmente a un limitato impiego di quest’ultima nel corso di un ventennio caratterizzato dal massimo impiego operativo expeditionary. 17) Passaggio ripreso testualmente dall’intervento del Gen. C.A. Danilo Errico. 8) È un meccanismo di consultazione e di azione congiunto in cui i membri
non di divulgare l’identità o l’affiliazione né degli intervenuti né di alcun altro partecipante”. La Chatham House (nome corrente del Royal Institute of International Affairs) è un think-tank indipendente, apprezzato in tutto il mondo, che si propone di favorire la comprensione delle principali questioni internazionali e degli affari geopolitici correnti. 8) Visita guidata ed evento di gala presso i Musei Vaticani e mostra statica di mezzi e materiali dell’Esercito all’interno del Raggruppamento Logistico Centrale. 9) Nel rispetto della Chatham House Rule, nel paragrafo non saranno indicate le generalità o la nazionalità dell’Ufficiale Generale che ha espres-
12) Iniziativa prevista dal Trattato di Lisbona del 2010, la PESCO è un framework permanente finalizzato a una maggiore integrazione europea nel campo della Difesa. Per maggiori informazioni, si veda https://eeas.europa.eu/headquarters/headquartersHomepage/34226/permanent-structured-cooperation-pesco-factsheet_en. 13) Provvedimento per la sincronizzazione e il graduale adattamento dei cicli nazionali di pianificazione e dei processi di sviluppo capacitivo dei Paesi dell’Unione Europea. https://www.eda.europa.eu/docs/default-source/eda-factsheets/2017-1005-factsheet_card.pdf. 14) Misura europea per il miglioramento delle capacità e modalità di spesa nel
dell’Alleanza e la Russia si interfacciano da pari su questioni afferenti alla sicurezza e/o di interesse comune. https://www.nato.int/cps/ic/natohq/topics_50091.htm. 19) Iniziativa strategica cinese di sviluppo economico che si concentra sulla connettività e cooperazione tra le varie Regioni eurasiatiche e, in parte, africane. 20) Analoga considerazione è stata fatta anche per i Mari Baltico e Nero. (21) Come indicato in figura 9, la metafora del processo di maturazione istituzionale degli Stati, che si sviluppa analogamente al percorso che porta un infante a diventare adulto, è stata utilizzata nel corso dell’allocuzione del Gen. C.A. Danilo Errico.
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NATO DEEP Tunisia e alta formazione nel peacekeeping Attivato un programma di cooperazione internazionale guidato dall’Italia attraverso il Centro Alti Studi per la Difesa, quale polo culturale a vocazione europea. di Umberto Montuoro* Nel gennaio 2018, a Tunisi, nelle aule dello Staff College, è iniziato il primo corso di peacekeeping destinato alla formazione dei Quadri direttivi, militari e civili, della Difesa tunisina e di altre articolazioni della Pubblica Amministrazione. Il Defence Education Enhancement Program (il c.d. “NATO DEEP Tunisia”) costituisce un esempio su tutti, rappresenta un’iniziativa la cui leadership è attualmente assegnata all’Italia, in particolare al Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), con la
partecipazione attiva della Finlandia (mediante l’apporto del Finnish Defence Forces International Centre di Helsinki), e il supporto dottrinale della Svezia (attraverso il contributo dello Swedish Armed Forces International Centre di Stoccolma). Il Centro di studi svedese non è impegnato solo nella formazione, ma è anche presente nelle aree di crisi con personale altamente specializzato che opera tendenzialmente in piccole aliquote di consiglieri o di osservatori.
Il Ministro della Difesa, Senatrice Roberta Pinotti, incontra il suo omologo tunisino, Farhat Horchani, consolidando l’intensa cooperazione bilaterale nel campo della sicurezza internazionale.
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Emerge una significativa comunanza di prospettive metodologiche tra l’operato svedese e l’impostazione finlandese, originata da un passato storico assai interconnesso in tutta l’area scandinava, ancor oggi fortemente sentito. La composizione equilibrata delle nazionalità di appartenenza del personale militare e civile assegnato ai due Centri, con una consistente presenza numerica di rappresentanti di Norvegia e Danimarca, rivela la comune matrice culturale e le identità di vedute in materia di costruzione e mantenimento della pace. Il taglio scandinavo è di conseguenza ad ampio spettro, fondato su una articolata disamina delle molteplici discipline di interesse, che vanno dalla logistica alla comunicazione istituzionale. L’Italia, dal canto suo, privilegia gli aspetti giuridici illustrando e analizzando le norme, il fondamento legale delle operazioni e della loro condotta e sviluppo. Si mettono in evidenza il “perché”, il “come” e il “quando” si attiva una missione di mantenimento o di ripristino della pace, della sicurezRivista Militare
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za interna e internazionale. Con tale approccio si colma una tangibile lacuna non solo nel “mercato” europeo dell’alta formazione e della ricerca dottrinale e accademica, ma anche in una prospettiva universale, con una particolare attenzione alle attività in continuo divenire delle Nazioni Unite. In questo quadro di cooperazione, gli indirizzi metodologici, gli apporti didattici e i contributi di pensiero espressi da Italia, Finlandia e Svezia si sono fusi agevolmente in un composito iter di alta formazione, messo a disposizione delle autorità di Tunisi. È la prima volta che nella Repubblica Tunisina, nostro importante alleato nella lotta al terrorismo e tassello strategico nel Nord Africa, si affrontano, in modo organico e coordinato all’Alleanza Atlantica e a più Stati europei, procedure e piani di analisi legati a operazioni di mantenimento della pace da realizzare, eventualmente, anche sulla sponda Sud del Mediterraneo. In questa prospettiva di concreta presenza istituzionale e operativa, i temi della sicurezza internazionale sono presenti nelle strategie e nelle iniziative per lo sviluppo sostenibile promosse dalle organizzazioni internazionali e dal nostro
Il cortile d’onore di Palazzo Salviati, sede del Centro Alti Studi per la Difesa.
Paese. L’Italia, in relazione alla sua storia e alla sua straordinaria collocazione geografica nel Mediterraneo, può e deve giocare un ruolo centrale nel sostenere e rilanciare la collaborazione della comunità internazionale e, in particolare, dell’Europa, in merito ai grandi progetti condivisi di respiro regionale e globale. Il Defence Education Enhancement Program è uno di questi: è un pro-
Il confronto diretto rappresenta un potente strumento di aggiornamento e di comprensione delle reciproche esigenze istituzionali.
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getto di alta formazione, sviluppato confrontando e mettendo a frutto le conoscenze e le lezioni apprese.
HIGH EDUCATION IN PEACEKEEPING OPERATIONS AND INTERNATIONAL LAW A fronte dell’attivazione di una missione di peacekeeping, vi è una intensa preparazione professionale, metodologica e culturale del personale militare e civile impiegato. In realtà, si è già in presenza di un risultato tangibile e non solo di una partenza. In concreto, si è consolidato il consenso delle Nazioni partecipanti su atti procedurali importanti quali, ad esempio, obiettivi umanitari e di sicurezza per la popolazione civile, regole di ingaggio e ripartizione di compiti operativi e logistici. Questa prospettiva di preparazione ad ampio spettro costituisce uno strumento efficace al pari delle dotazioni di materiali e risorse inviate nei Teatri operativi. Anzi, la preparazione rappresenta un presupposto indispensabile a tutti i livelli, dal tattico allo strategico, in chiave nazionale e internazionale. Il CASD, in linea con gli intendimenti fissati nel Libro Bianco per 41
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Un’immagine di amicizia, reciproco aiuto e fratellanza nelle tessere di un mosaico romano, Museo del Bardo (Tunisi).
la Sicurezza internazionale e la Difesa, continua a dare impulso alle attività di approfondimento in materia di peacekeeping, avendo come riferimento il modello gestionale della Difesa italiana. In tal senso, l’obiettivo del CASD è divenire polo di riferimento internazionale, a vocazione europea, per l’analisi giuridica e politologica di tali temi. L’elaborazione concettuale di indirizzi dottrinali, formulati dal mondo dell’Università e dal comparto della Difesa e della sicurezza, produrranno un valore aggiunto superiore alla sommatoria dei contributi, poiché consentiranno di formare una visione organica d’insieme e di mettere a punto una strategia per il futuro, non solo nell’immediato, come spesso avvenuto in passato, ma soprattutto nel lungo periodo. L’obiettivo prioritario è sviluppare, promuovere e divulgare le possibili linee di indirizzo e le sinergie istituzionali sostenibili, per il sistema Paese, in un quadro europeo e internazionale di azioni coordinate. Questo approccio metodologico, 42
volto all’alta formazione e alla ricerca, completa e integra quanto già fatto dall’Esercito Italiano con il Centro Studi Post Conflict Operations di Torino, su un piano d’analisi tendenzialmente operativo, e dall’Arma dei Carabinieri con il Centro di Eccellenza per le Stability Police Units (COESPU)
di Vicenza, in merito alle attività poste in essere in Teatro operativo dalle forze di polizia. Quale naturale declinazione delle linee di indirizzo già tracciate dal Libro Bianco, ogni anno accademico, nel mese di maggio, al CASD è organizzato un workshop internazionale sui temi del peacekeeping. Tale evento, dal 2017, è associato al corso di alta formazione, in lingua inglese, destinato a Ufficiali e Funzionari dei Paesi dell’Unione Europea, nell’ambito delle iniziative dello European Security and Defence College (ESDC). L’ultima edizione del convegno, in particolare, è stata articolata adottando i temi dei recenti mutamenti negli equilibri regionali, in particolare la Brexit, e i nuovi indirizzi impressi alla politica estera statunitense, con il dichiarato intento di un ridimensionamento dell’apporto degli Stati Uniti nella NATO. Queste giornate di studio e di incontro internazionali consentono di fornire visibilità ai programmi di cooperazione in materia realizzati dagli Stati membri della UE e specularmente di acquisire importanti valutazioni tecniche e dottrinali da porre alla base di future linee di indirizzo, mettendole a sistema in una prospettiva sempre più europeista.
Palazzi governativi della capitale.
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Aereo da trasporto Lockheed C-130B Hercules.
La prassi internazionale, sviluppatasi in quasi tre decenni di missioni, infatti, testimonia che vi sono molte accezioni e modalità di intervento umanitario. L’Italia ha un proprio modello di riferimento. La sua strategia non si limita solamente ad applicare le norme giuridiche vigenti ma ne espande la portata e l’am-
Elicotteri Bell OH-58D Kiowa.
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piezza della tutela. Contegno adottato coerentemente anche in tutti i fori negoziali ai quali partecipa, dalla Conferenza sul Disarmo delle Nazioni Unite a Ginevra, al Comitato C34 sulle operazioni di pace di New York. Azione condotta non solo presso i tavoli negoziali internazionali ma anche fornendo dimo-
strazione applicativa sul campo, come è avvenuto ad esempio, per la disciplina delle cluster munitions. In tal senso, si pone in evidenza, a mero titolo esemplificativo, l’azione intrapresa nei Teatri operativi, in cui hanno agito i contingenti italiani, per la bonifica di immense aree da ordigni inesplosi e dalle mine. In merito al bando del munizionamento cluster, la delegazione italiana, prima presso la Conferenza sul Disarmo, poi nell’ambito dell’iniziativa di Oslo, ha sostenuto con forza la necessità di un accordo internazionale di natura giuridica a differenza di molti Stati di common law. In particolare, l’Esercito Italiano si è reso immediatamente disponibile al recepimento di queste misure a garanzia delle popolazioni civili interessate. In Libano, infatti, in seno all’operazione UNIFIL, i contingenti italiani, in parallelo con quanto propugnato energicamente in sede negoziale, hanno anticipato la concreta applicazione delle disposizioni già prima della loro entrata in vigore. In questo modo si sono li43
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presupposti, di concreta civiltà giuridica, è stata impostata, da parte italiana, la programmazione dei contenuti didattici in tema di peacekeeping, destinati agli Istituti di formazione della Difesa tunisina.
L’IMPEGNO DELLA NATO, ITALIANO ED EUROPEO IN TERRA D’AFRICA
La dottrina del peacekeeping si sviluppa sullo studio delle lezioni apprese sul campo.
berate vaste aree adiacenti alle zone abitate sulle quali insisteva la minaccia da ordigni inesplosi. Dunque, non solo teoria del dirit-
to o astratta azione diplomatica, ma applicazione sul campo di importanti misure di salvaguardia della vita umana. Su questi
La formazione dei Quadri dirigenti e direttivi della Difesa e della Pubblica Amministrazione tunisina rappresenta, tuttavia, solo un piccolo segmento dell’ampio spettro di cooperazione internazionale necessario per il rafforzamento della stabilità e della sicurezza internazionale del nord Africa, a partire dalla Libia. In questa direzione, appare interessante notare come sia stata l’Alleanza Atlantica, organizzazione regionale di sicurezza, a muovere i primi passi per una presenza costruttiva sul territorio dello Stato richiedente. Questa attività di cooperazione, in sostanza, fornisce alla Tunisia non solo alta formazione sul peacekeeping ma anche, per iniziati-
La salvaguardia delle popolazioni civili non può prescindere dalla sicurezza del territorio.
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L’orizzonte operativo dei peacekeepers è fissato dal mandato sancito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
va italiana, un approccio più ampio sui temi del diritto internazionale e umanitario. Proprio su tale ultima materia si è riscontrata una particolare sensibilità grazie anche a una tradizione di insegnamento italiano presso la Fa-
coltà di Giurisprudenza dell’Università di Tunisi. Sul piano delle operazioni di stabilizzazione, dunque, l’Italia occupa una importante nicchia di eccellenza in materia di “lezioni apprese”, acquisite dai nostri
contingenti land. Il dato maggiormente eloquente è rappresentato dall’impegno concreto “sul terreno” dispiegato in numerosi e differenti Teatri Operativi dall’Afghanistan ad Haiti. Il metodo adottato è in piena sintonia con le attuali linee di indirizzo e dottrinali tracciate dalla NATO. Il comprehensive approach si traduce in un pieno coinvolgimento, dalla fase di programmazione delle missioni alla condotta delle attività, degli organi istituzionali competenti dell’intero sistema Paese. Infine, appare sempre più evidente e non rinviabile la necessità di un impegno coordinato, diretto dall’Unione Europea. Il Vecchio Continente sembra essere l’unico reale interlocutore regionale idoneo a incidere efficacemente e nel lungo periodo su dinamiche politiche, sociali ed economiche di caratura regionale e in una vasta porzione dell’immenso Continente africano. Emerge, in sintesi, un auspicio di breve termine: avanti Vecchia Europa!
Il processo di pace nelle aree di crisi è legato indissolubilmente all’aiuto e all’azione forniti dalla cooperazione internazionale.
*Tenente Colonnello dell’Aeronautica Militare
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Il Centro di Eccellenza NATO per il combattimento in montagna di Boštjan Blaznik*
Le Forze Armate slovene, Slovenian Armed Forces (SAF), hanno una lunga e importante tradizione nelle tecniche di combattimento in montagna. Nel 1996 è stata costituita una Scuola di addestramento in ambiente montano (GORŠ), deputata a sovraintendere e organizzare l’addestramento specifico per quei reparti delle Forze Armate slovene che dovevano acquisire particolari attitudini al combattimento in ambiente montano. Inoltre la GORŠ, attraverso la sottoscrizione di memorandum of understanding tra la Slovenia e i Paesi alleati e partner, ha addestrato personale militare straniero, e anche interi contingenti, prima del loro impiego in particolari contesti di Crisis Response Operation (CRO). Dopo l’invito formale a entrare 46
nell’Alleanza, scaturito dal vertice di Praga del 2002, e il successivo ingresso nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico nel 2004, la Repubblica di Slovenia ha contribuito alla sicurezza collettiva nell’ambito dell'Alleanza. Inoltre, sulla base del principio di pooling and sharing, il Paese ha proposto la candidatura della propria storica Scuola di addestramento in ambiente montano quale Centro di Eccellenza da condividere, in ambito NATO, con il resto dei Paesi membri e partner. In tale prospettiva, il 14 marzo 2014, lo Stato Maggiore della Difesa sloveno, su input del proprio dicastero, ha iniziato a implementare l’infrastruttura esistente e ad attuare le misure necessarie per la costitu-
zione del NATO Mountain Warfare Centre of Excellence – MW COE. Superata con successo la prevista verifica da parte del Supreme Allied Commander for Transformation (SACT), il Centro è stato ufficialmente inaugurato a Poljce (località alpina nei pressi di Blad) dal Presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, il 10 novembre 2015. Ai Paesi che attualmente sostengono il Centro (con personale e risorse finanziarie) – Slovenia, Germania, Italia, Croazia e Austria – si uniranno presto anche Romania, Polonia e Montenegro. Inoltre, si sta lavorando per l’adesione di altri Paesi alleati e partner. La prospettiva nei prossimi due anni è di includere almeno ulteriori due Nazioni. Il Centro rappresenta e promuove Rivista Militare
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gli interessi dei Paesi partecipanti e oltre alla formazione destinata ai singoli (leader/specialisti) o a piccole unità, garantisce lo sviluppo e l’aggiornamento della dottrina in materia, identifica le lezioni apprese, testa e convalida i concetti dottrinali attraverso la sperimentazione, ricerca la standardizzazione delle procedure al fine di favorire l’interoperabilità tra le Forze Armate dei Paesi membri dell’Alleanza. Al pari degli altri Centri di Eccellenza della NATO, il MW COE non è finanziato dall’Alleanza e non fa parte della sua struttura di comando. Dalla sua costituzione ha avviato un’ampia gamma di collaborazioni con diverse istituzioni come la Facoltà di Scienze Sociali, la Facoltà dello Sport, la Facoltà di Scienze Organizzative, l’Associazione dei militari alpini e l’Associazione alpina della Slovenia. Queste Istituzioni, con il loro vasto e variegato contributo di conoscenze, esperienze e capacità, concorrono ad aumentare il valore aggiunto del Centro. n. 1/2018
PERCHÉ IL NATO MW COE? I singoli Paesi dell’Alleanza disponevano già di unità specializzate nel combattimento in montagna, impiegate anche efficacemente nell’ambito dei contingenti nazionali e multinazionali in diverse aree di crisi. Succedeva, però, che le unità di ogni singolo Paese utilizzassero tecniche di combattimento, procedure operative non sempre condivisibili e interoperabili. Da qui la necessità di creare procedure standardizzate e condivise almeno nell’ambito delle forze militari dell’Alleanza, di aggiornare i principi dottrinali e di testarli. Il Centro è stato istituito, tra l’altro, anche per colmare queste lacune e agevolare, di conseguenza, l’interoperabilità tra le forze alleate multinazionali chiamate ad operare in ambienti montani. I criteri obbligatori (di seguito indicati) per ottenere l’accreditamento, che l’Alleanza ha stabilito nel processo di costituzione, descrivono in modo evidente il lavoro del Centro.
Trasformazione: il NATO MW COE funge da operatore della trasformazione della NATO. Agisce nelle aree di sviluppo, promozione e attuazione di nuovi approcci, concetti, strategie e dottrine per migliorare le capacità operative, promuovendo la condivisione nel campo del mountain warfare. Capacità: il Centro assicura le capacità che non sono fornite da altre istituzioni NATO, a sostegno della trasformazione e dell’esecuzione di operazioni joint e combined in aree di operazioni specifiche. Competenza: il Centro fornisce esperti abilitati e credibili (Subject Matter Expert - SME) per l’ambito operativo di riferimento. La loro attività è rivolta alla definizione di un appropriato livello di standardizzazione in grado di facilitare l’interoperabilità delle unità. Lingua di lavoro: in conformità con la direttiva NATO, la lingua di lavoro nel NATO MW COE è l’inglese. Istruzione e formazione: l’istru47
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zione e la formazione sono in linea con la politica NATO e di HQ SACT per la pianificazione e l’attuazione delle attività. Sicurezza e difesa: tali procedure sono conformi agli standard NATO. Il Centro svolge tutte le procedure di sicurezza utilizzando attrezzature adeguate. Accessibilità alla NATO: i servizi del Centro sono disponibili oltre che per i Paesi membri anche per quelli partner. Connettività: il Centro garantisce e mantiene un collegamento permanente con il Comitato direttivo, le agenzie e le nazioni. Capacità operativa: il NATO MW COE supporta la formazione e l’istruzione pre-deployment per l’esecuzione di operazioni ed esercitazioni militari. 48
LA STANDARDIZZAZIONE Nel campo della standardizzazione, il NATO MW COE ha compiuto un passo importante. Ha ufficialmente avanzato un modello di addestramento nell’ambito del mountain warfare (Allied Training Publication - ATrainP). La proposta è stata approvata sia dalla NATO che dai Paesi partner. Il Centro avrà il compito specifico di occuparsi della dottrina in materia e del suo continuo aggiornamento. L’obiettivo è quello di stabilire un modello addestrativo univoco che favorisca l’interoperabilità delle unità dell’Alleanza nell’esecuzione di compiti e operazioni in ambiente montano. L’obiettivo sarà raggiunto nei prossimi due anni, durante i quali saranno organizzati
diversi eventi, in Slovenia e all’estero, che riuniranno esperti di diversi settori. La definizione dello STANAG sarà un ulteriore punto di partenza per lo sviluppo di questo settore, che nel passato era stato un po’ trascurato nell’ambito dell’Alleanza. Lo sviluppo della dottrina si basa sul principio di assolvere i compiti attuali con le capacità di cui dispone l’Alleanza. Nella sua gerarchia di documenti sono comprese le lezioni apprese e le pratiche collaudate che sono a disposizione dei comandanti. A sostegno di questo settore, ci siamo coordinati con le istituzioni che operano nel campo delle lezioni apprese a livello nazionale e internazionale, svolgendo una serie di esperienze pratiche volte Rivista Militare
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a raggiungere l’interoperabilità nelle tre principali capacità operative delle unità militari in montagna: movimento, sopravvivenza e combattimento. Per un ulteriore sviluppo del settore, ogni campo di impiego ha bisogno di un’idea guida principale, un concetto di base dedicato che abbracci le sfide future. In virtù di ciò, il Centro ha iniziato a sviluppare il concetto di combattimento in montagna con cui intende tracciare la direzione per i prossimi decenni. In questo ambito sono sviluppati diversi possibili scenari, tra questi non dimentichiamo i problemi attinenti i cambiamenti climatici e la scarsità delle risorse idriche, dove una diretta correlazione con le aree montane è scientificamente confermata. In aggiunta, il Centro di Eccellenza è già parte attiva nei
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passaggi chiave del processo di pianificazione della difesa della NATO che si basa sugli orientamenti politici per il futuro.
LA COMMUNITY D’INTERESSE PER IL COMBATTIMENTO IN MONTAGNA Il NATO MW COE è il centro di riferimento per i comandi internazionali e nazionali nello sviluppo delle capacità del combattimento in ambiente montano. La collaborazione con questi comandi permette di interpretare al meglio le esigenze effettive in tale settore. Così, il Centro ha stabilito con successo una solida cooperazione con i componenti del NATO Land Command. Il Centro sta inoltre diventando il punto di riferimento per seminari
civili e militari in ambito internazionale. Tra gli eventi più importanti, nel settembre 2016, la partecipazione all’VIII Simposio europeo sugli effetti dell’alta quota e l’esposizione dell’organismo umano all’ambiente a ridotto contenuto di ossigeno. Questa interazione è un esempio di come i risultati della ricerca in campo scientifico possano essere effettivamente integrati nella preparazione delle capacità di combattimento in montagna. Nell’autunno del 2017, il Centro ha anche condotto due seminari internazionali. Il primo, dedicato allo scambio di esperienze tra alpinisti militari, era rivolto ai membri dei Paesi alleati e dei partner con esperienza nel settore del combattimento in montagna in condizioni estreme. Il programma del seminario era
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orientato allo scambio di conoscenze specialistiche necessarie per la corretta esecuzione delle operazioni in terreno montano e con condimeteo particolarmente avverse. Il secondo seminario era più focalizzato sul confronto e lo scambio di conoscenze ed esperienze necessarie per una pianificazione adeguata per l’esecuzione delle operazioni in montagna. L’obiettivo di entrambi i seminari era principalmente quello di contribuire alla nascita di uno standard addestrativo nel settore del combattimento in montagna e di trovare le migliori opportunità per unificare i metodi di apprendimento nel campo della pianificazione e della formazione. I seminari saranno anche la base per una successiva pianificazione di corsi specifici. Nell’ultimo periodo, sta assumendo sempre più importanza l’au50
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CONCLUSIONI
mento e la qualità della cooperazione tra la NATO e l’Unione Europea. Il Centro di Eccellenza ha istituito una cooperazione focalizzata nei contenuti con l’Iniziativa dell’UE nell’ambito dell’addestramento delle capacità di montagna (European Union Mountain Training Initiative – EU MTI), costituendo un esempio di sinergia tra gli interessi e gli obiettivi dell’UE e della NATO. Il NATO n. 1/2018
MW COE ha ottenuto anche lo status di osservatore permanente presso l’Associazione Internazionale delle Scuole militari di montagna (IAMMS). Al fine di standardizzare e indirizzare la possibile collaborazione internazionale in futuro, il Centro mantiene stretti rapporti di collaborazione con i Paesi partner della NATO, sempre sotto l’egida dello Steering Committee.
Il processo di trasformazione che coinvolge la NATO e i suoi Stati membri è in continuo divenire e si concentra principalmente sullo sviluppo di sempre maggiori capacità comuni. L’adeguamento delle capacità militari in un contesto di sicurezza moderno e altamente vulnerabile è importante specialmente dal punto di vista dell’innovazione, dell’interoperabilità internazionale e dell’approccio omnicomprensivo. Le “pesanti” Forze Armate della NATO e dei suoi Stati membri sono state sostituite da una decina di anni da unità leggere e agili che devono essere in grado di adattarsi a nuovi compiti. Il solo adattamento quantitativo delle unità e dei comandi, in risposta alle minacce moderne, non è più sufficiente a svolgere efficacemente le moderne missioni. Il processo di sviluppo di nuove capacità oggi è, molto più che in passato, orientato ai processi della cosiddetta difesa intelligente Smart Defence. Anche l’Esercito sloveno, naturalmente, non vuole e non può evitare i cambiamenti che gli sono dettati dagli obiettivi strategici della Repubblica di Slovenia e dalle esigenze degli altri Stati membri della NATO e dei suoi partner. Assumendo il ruolo di Paese fondatore del NATO MW COE, la Repubblica di Slovenia partecipa attivamente e apertamente al processo di trasformazione della struttura di comando dell’Alleanza. Noi militari alpini abbiamo un detto: “Ad un passo dalla cima della montagna sei ancora più vicino alla valle che alla cima”. Ciò vale anche nell’affrontare le sfide e le opportunità che il nostro lavoro quotidianamente ci pone. *Colonnello, NATO MW COE Director Ulteriori informazioni sulle attività del NATO MW COE sono disponibili sul sito web istituzionale: www.mwcoe.org.
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RIFORMA DELLA FINANZA PUBBLICA
Riflessi sulla contabilità militare di Cesare Tapinetto*
Le Forze Armate, e l’Esercito in particolare, contribuiscono con il riordino del proprio funzionamento contabile a un pieno raggiungimento degli obiettivi di risanamento finanziario del Paese, discendenti dalle attuali riforme di finanza pubblica.
“Qual meraviglia dunque, se producendo gli effetti mirabili de’ quali son ripiene le storie, richiesto tal’uno delle cose necessarie alla guerra, egli rispondesse tre esser quelle: danaro, danaro, danaro”. Raimondo Montecuccoli, Aforismi dell’Arte Bellica
PRINCIPI DI COORDINAMENTO E ARMONIZZAZIONE DEI SISTEMI CONTABILI Le riforme della finanza pubblica, succedutesi a partire dagli anni ’70, non sempre sono riuscite a realizzare quelle modifiche dei processi decisionali che si prefiggevano né hanno provocato un adeguamento dei sistemi contabili tale da consentire di programmare le politiche e l’evoluzione della finanza pubblica in un contesto caratterizzato da una forte coerenza interna e un organico quadro d’insieme. La mancanza di coinvolgimento degli Enti locali nella fase di programmazione economica e finanziaria, unita alla assenza di raccordo, se non antinomia, tra gli obiettivi di bilancio assunti in ambito europeo e quelli delle amministrazioni decentrate, sono alcune delle cause che hanno reso alquanto complessa la gestione della finanza pubblica nel corso degli anni 2000. 52
La crisi economico-finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti e l’Europa a partire dal 2009 ha richiesto, in ambito europeo, un rafforzamento degli strumenti e delle procedure utili a garantire una rigorosa politica di bilancio; ciò al fine di preservare la solidità finanziaria dell’area euro e rilanciare le prospettive di sviluppo in materia di crescita sostenibile, occupazione, competitività e coesione sociale. Il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance, con la conseguente introduzione del Fiscal compact, ha ridefinito norme e prescrizioni che determinano il quadro generale entro cui ciascuno Stato può regolamentare l’equilibrio tra entrate e spese, definendo in tal modo il principio generale secondo il quale tutte le amministrazioni devono assicurare la sostenibilità del proprio debito. L’Italia con la Legge n. 243 del 2012 ha dato piena attuazione al principio dell’equilibrio di bilancio definito in termini strutturali. L’evoluzione del quadro normativo ha così, di fatto, contribuito a rafforzare gli obblighi già assunti con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, impegnando l’Italia a mantenere il proprio bilancio pubblico in una situazione di sostanziale pareggio e a raggiungere e consolidare il proprio livello di debito pubblico entro un valore tale da garantire la stabilità della moneta unica.
“La solidarietà”, del maestro Amerigo Dorel (Caserma “Simoni”, Firenze).
La promulgazione dei Decreti Legislativi n. 90 e 93 del 12 maggio 2016 ha dato corso al completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato e al potenziamento della funzione del Rivista Militare
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Strumenti della programmazione.
bilancio di cassa nel rispetto dei principi e criteri direttivi contenuti nella Legge di contabilità e finanza pubblica. Un ruolo centrale è stato, quindi, riservato all’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche che devono “essere raccordabili con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi”, permettendo così di superare la frammentazione degli schemi e dei principi adottati dai vari soggetti istituzionali che compongono l’amministrazione pubblica.
GLI STRUMENTI DELLA PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA E DI BILANCIO Nell’ultimo decennio si è sempre più intensificata l’azione rivolta a conseguire una maggiore razionan. 1/2018
lizzazione dei documenti di finanza pubblica, sia in termini di contenuto che di presentazione degli stessi. Si è quindi individuato il metodo della programmazione quale strumento necessario per l’impostazione delle previsioni d’entrata e di spesa dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Questa trova completa attuazione attraverso i seguenti documenti programmatici: • il Documento di Economia e Finanza (DEF), da presentare alle Camere entro il 10 aprile di ogni anno, determina i traguardi da conseguire per la riduzione del debito pubblico, focalizzando la propria attenzione sugli obiettivi di politica economica e le previsioni di finanza pubblica per il triennio successivo; indica inoltre le previsioni tendenziali del saldo di cassa del settore statale e le relative indicazioni sulle modalità di copertura finanziaria.
Si prevede altresì l’indicazione dello stato di avanzamento delle riforme avviate, degli squilibri macroeconomici nazionali e dei fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività, le priorità del Paese e le principali riforme da attuare. Il DEF, essendo un testo programmatico, non ha forza di legge ed è per questa ragione che le misure illustrate nel Documento di programmazione finanziaria possono essere ritoccate e modificate, talvolta anche in modo rilevante; • la Nota di aggiornamento al DEF, da presentare alle Camere entro il 27 settembre di ogni anno, consente di aggiornare gli obiettivi programmatici individuati nel DEF, recependo eventuali raccomandazioni approvate dal Consiglio dell’Unione Europea e aggiornando al contempo gli obiettivi di saldo netto da finanziare e il saldo di cassa del settore statale; • la Legge 4 agosto 2016, n.163 ha modificato il tradizionale schema normativo di finanza pubblica basato su due distinti provvedimenti, la Legge di stabilità e la Legge di bilancio, riconducendo il tutto in un’unica Legge di bilancio, ridisegnando, al contempo, la struttura dalla Legge di contabilità e finanza pubblica. Il Disegno di Legge di bilancio, da presentare alle Camere entro il 20 ottobre di ogni anno, oltre a contenere le disposizioni che integrano o modificano la legislazione di entrata e di spesa (funzioni già previste della ex Legge di stabilità) incorpora gli effetti di tali disposizioni rapportandole nelle previsioni triennali di entrata e di spesa del bilancio dello Stato. Le misure quantitative funzionali a realizzare gli obiettivi programmatici di finanza pubblica ed eventuali aggiornamenti sono contenuti nella 1a sezione (normativa); la previsione delle entrate e delle spese del bilancio dello Stato basate sulla legislazione vigen53
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Struttura del bilancio della Difesa, Esercizio Finanziario 2017.
te, integrate con gli effetti della manovra, sono contenute nella 2a sezione (contabile). Si è deciso infine di eliminare la previsione delle clausole di salvaguardia. Nel caso di leggi i cui oneri siano individuati mediante previsioni di spesa, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) dovrà provvedere al monitoraggio di tali oneri, per prevenire il verificarsi di eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa. Se si stanno per verificare scostamenti, sarà il MEF a recuperare le risorse mancanti dagli stanziamenti del ministero competente. Qualora questo non dovesse bastare, sarà necessario emanare un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e inviare alle Ca54
mere per provvedere alla riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa. Viene inoltre previsto che per le misure pluriennali, nel caso in cui si stia per verificare uno scostamento, per gli anni successivi a quello in corso, la compensazione degli effetti che eccedono le previsioni di spesa avverrà all’interno della Legge di bilancio. Il Parlamento esamina e può modificare la manovra incidendo su entrambe le sezioni, attraverso la modifica delle disposizioni di entrata e di spesa presentate dal Governo e/o l’introduzione di nuove misure, e attraverso le variazioni dei programmi di spesa del bilancio dello Stato, che rappresentano l’unità di voto, e degli stanziamenti delle leggi di spesa a essi collegate. L’integrazione tra Legge di stabilità e Legge di bilancio persegue la finalità di incentrare la decisione di bilancio sull’insieme delle entrate e delle spese pubbliche, portando al centro del dibattito parlamentare le priorità dell’intervento pubblico, considerato nella sua interezza: • il Disegno di Legge di assestamento da presentare alle Camere entro il 30 giugno di ogni anno; • eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica da presentare alle Camere entro il mese di gennaio di ogni anno; • specifici strumenti di programmazione delle amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato.
STRUTTURA DEL BILANCIO: MISSIONI, PROGRAMMI, AZIONI Con Decreto Legislativo n. 90 del 12 maggio 2016 si è data piena attuazione ai principi e criteri per una puntuale riforma della struttura del bilancio dello Stato. Si è rafforzata l’impostazione che tende a meglio definire nel bilancio dello Stato la portata delle risorse assegnate alle funzioni e
agli obiettivi che si intende perseguire con la spesa pubblica, non mirando esclusivamente a “chi gestisce le risorse” ma focalizzando l’attenzione “a cosa le stesse sono destinate”. Nel confermare quindi la vigente struttura del bilancio suddiviso in missioni, definite come “le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa”, e i programmi che costituiscono “aggregati di spesa con finalità omogenea diretta al perseguimento dei risultati, definiti in termini di prodotti o di servizi finali, allo scopo di conseguire gli obiettivi stabiliti nell’ambito delle missioni”, sono state introdotte le azioni. Queste costituiscono un basilare “livello di dettaglio dei programmi di spesa” e indicano le risorse finanziarie destinate al raggiungimento di uno specifico obiettivo. In fase di gestione di bilancio, le azioni risultano quindi un’aggregazione trasversale rispetto ai capitoli di bilancio, aggregazione che consente una maggiore flessibilità in termini di gestione di risorse. Nella considerazione che ciascun programma è in carico a un unico Centro di Responsabilità Amministrativa, anche le relative azioni sono gestite da un unico Centro amministrativo. La nuova ripartizione è stata introdotta in via sperimentale nel corso dell’Esercizio Finanziario 2017, rivestendo tale suddivisione carattere meramente conoscitivo, e integra quella prevista per la gestione e rendicontazione. Al termine della sperimentazione, le azioni dovrebbero così costituire l’unità gestionale del bilancio. Vale la pena ricordare che le azioni non incidono sulle attuali unità di voto parlamentare che sono individuate dai programmi.
RAFFORZAMENTO DEL RUOLO DEL BILANCIO DI CASSA Il percorso iniziato nel 2009, mirato a un progressivo potenziamento del ruolo del bilancio di cassa, ha Rivista Militare
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trovato un ulteriore impulso a seguito dei mutamenti legislativi relativi in tema di finanza pubblica che hanno caratterizzato il 2016. Con Decreto Legislativo del 12 maggio 2016, n. 93 si è infatti provveduto a ridurre i tempi tra la fase dell’impegno di spesa e quella del pagamento. Così, a partire dal 2018, i dirigenti continueranno, nell’ambito delle proprie attribuzioni, a impegnare e ordinare le spese nei limiti delle risorse loro assegnate. Tutto ciò nel rispetto delle leggi “con imputazione delle spese agli esercizi in cui le obbligazioni sono esigibili” ed esclusivamente in presenza della prevista copertura finanziaria. Il dirigente nell’ambito delle proprie attribuzioni dovrà, inoltre, predisporre e aggiornare, in corso di gestione, il Piano finanziario pluriennale dei pagamenti, cosiddetto “cronoprogramma dei pagamenti”, strumento necessario per ordinare e pagare le spese, garantendo in tal modo un monitoraggio costante dei flussi di cassa e una responsabilizzazione del Dirigente che gestisce le risorse pubbliche. Contestualmente è stata prevista una fase di sperimentazione, terminata nel mese di ottobre 2017, del nuovo concetto di impegno che si affiancherà a quello attuale. La sperimentazione è avvenuta accedendo agli usuali sistemi gestionali, provvedendo al contempo alla registrazione degli impegni di spesa secondo la funzionalità del Sistema Informativo per la Contabilità Gestionale (SICOGE) che li imputa a bilancio nel momento in cui è realmente effettuato il pagamento. In analogia a quanto accade per le spese, anche per le entrate viene previsto che quest’ultime siano contestuali alla riscossione ad eccezione di quelle previste per i ruoli, sia tributarie che extra-tributarie. Inoltre, a concorrere al potenziamento del bilancio di cassa è stata rivista la normativa che disciplina la conservazione dei residui passivi. In particolare, si sancisce che n. 1/2018
“gli stanziamenti di parte corrente non impegnati alla chiusura dell’esercizio costituiscono economie di bilancio”. A completamento delle innovazioni introdotte sono stati quindi ridefiniti i termini di conservazione in bilancio dei residui, termine ora previsto in due anni, successivi a quello d’assunzione dell’impegno, per quelli riferiti a spese correnti non pagate, mentre è pari a tre anni per quelli destinati ai trasferimenti correnti alle amministrazioni pubbliche. Qualora l’amministrazione non sia in grado di dimostrare, con “adeguata motivazione” all’Ufficio Centrale di Bilancio, il permanere delle ragioni della sussistenza del debito, permettendone in tal modo la conservazione quali residui perenti nel Conto del patrimonio, questi verranno considerati economie di bilancio. Per i residui in conto capitale “le somme stanziate e non impegnate alla chiusura dell’esercizio pos-
sono essere mantenute in bilancio quali non oltre l’esercizio successivo a quello di iscrizione di bilancio”. Il periodo di conservazione è protratto di un ulteriore anno per quelle somme stanziate in bilancio in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell’ultimo quadrimestre dell’esercizio precedente e per le quali l’amministrazione non ha provveduto ad assumere impegni formali. Per residui delle spese in conto capitale, il termine di conservazione in bilancio è pari a tre anni. Oltre tale periodo, i residui si intendono perenti agli effetti amministrativi. Per gli stanziamenti di spesa derivanti da autorizzazioni pluriennali, non permanenti, l’amministrazione ha la facoltà di poter riscrivere tali somme come residui di stanziamento o, in alternativa, nelle competenze degli anni successivi, con il Disegno di Legge di bilancio, in base a quanto previsto nel piano di fi-
Flussi di cassa in regime di contabilità speciale.
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1915, Corpo di Commissariato Militare, Capitano in uniforme ordinaria di panno.
nanziamento dei pagamenti, e previa dichiarazione di cancellazione da presentare in allegato ai decreti di accertamento residui (DAR).
RIFLESSI SULLA CONTABILITÀ MILITARE: PROGRESSIVA ELIMINAZIONE DELLE GESTIONI OPERANTI A VALERE SU CONTABILITÀ SPECIALI Di grande impatto sulla gestione amministrativa e contabile degli Enti militari è la previsione di ricondurre le gestioni operanti su contabilità speciali o conti di tesoreria al regime di contabilità ordinaria. Sin dai tempi della riunifica56
zione d’Italia, le esigenze connesse all’integrazione, all’efficienza e all’operatività dei Comandi periferici del neo-costituito Regio Esercito, ormai dislocato su tutto il territorio nazionale, costrinsero il legislatore a un progressivo decentramento amministrativo. Con la promulgazione della Legge n. 511 in data 17 luglio 1910, denominata Legge “Tedesco”, è stato stabilito che al “fabbisogno delle truppe e dei vari servizi dell’esercito si provvede direttamente con gli stanziamenti annuali di bilancio”. Tutte le spese dovevano essere rendicontate e imputate al previsto capitolo di bilancio e assoggettate al controllo della Corte dei Conti. La Gestione dei fondi e dei materiali per il servizio dell’Esercito presso ciascun Comando fu così affidata ai Consigli di amministrazione e ai consegnatari. Tra le innumerevoli innovazioni apportate dalla Legge “Tedesco” vale la pena ricordare l’apertura delle contabilità speciali tra le Sezioni di tesoreria e le Direzioni di Commissariato, per il cui tramite venivano “domandate” al Ministero della guerra le anticipazioni dei fondi, distinte per capitolo di bilancio e articoli, così da soddisfare le esigenze delle stesse e quelle dei corpi, istituti e stabilimenti compresi nella propria circoscrizione. La contabilità speciale in tale contesto contribuiva a realizzare un “decentramento dinamico della spesa”. La Legge 511, seppur con varie aggiunte e varianti, ha posto le fondamenta per il sistema amministrativo contabile che trova attuazione ancor oggi nel Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare e nelle Istruzioni Tecnico-Applicative al Regolamento per l’Amministrazione e la contabilità degli Organismi della Difesa e che pone le sue basi sulla sequenza assegnazione, accreditamento, anticipazione e pagamento, tenendo in debito conto i principi fondamentali della contabilità pubblica, l’annualità del bilancio, l’inviolabilità del capitolo e la separazione
tra competenza e residui. Fissato il limite annuale di spesa su ciascun capitolo, attraverso le aperture di credito disposte dai Centri di Responsabilità Amministrativa e dalle competenti Direzioni generali, i fondi entrano nella disponibilità delle Direzioni di Amministrazione; tali aperture di credito costituiscono un’uscita definitiva per il bilancio essendo gli stessi scritturati dalla Tesoreria come estinti nel momento in cui vengono versati. Le somme escono così dal circuito del bilancio per rientrarvi alla chiusura annuale delle contabilità. Si ha in tal modo una gestione a se stante dei fondi affluiti dai vari capitoli di bilancio caratterizzata dal fatto che i fondi costituiscono una massa indistinta dalla quale attingere per soddisfare le esigenze più immediate degli organismi militari senza essere obbligati, come l’ordinario funzionario delegato, a contenere i pagamenti entro il limite delle somme accreditate sul pertinente capitolo di bilancio. La flessibilità di cassa, che si viene così a creare a favore delle Direzioni di Amministrazione e degli Enti, non consente di ignorare i vincoli di bilancio, determinati dal limite delle assegnazioni ricevute. Il perno attorno al quale ruotano le contabilità speciali è proprio l’assegnazione che le raccorda al bilancio e permette, se pienamente rispettata, di chiuderle a pareggio senza alcuna difficoltà. La flessibilità di cassa e le compensazioni finali servono quindi a evitare che i fondi restino in parte inutilizzati presso alcuni centri di spesa dirottandoli, ove necessario, per soddisfare le esigenze di altri, riducendo lo spreco di risorse e realizzando un decentramento dinamico della spesa. Rileva, inoltre, anche l’indubbia semplificazione contabile che si viene a realizzare, in quanto gli Enti non devono tenere la gestione di competenza distinta da quella dei residui. Rivista Militare
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L’assegnazione sul capitolo di bilancio ha quindi una duplice valenza: di limite invalicabile di spesa per l’Ente che deve rispettare la specificità del bilancio, imputando ciascuna spesa al capitolo pertinente, e di indisponibilità di fondi assegnati per l’autorità centrale, fino alla chiusura della contabilità speciale a saldo. Con l’individuazione delle contabilità speciali da ricondurre in regime di contabilità ordinaria verranno quindi meno quegli strumenti di gestione che hanno consentito di usufruire di quella flessibilità che ha permesso di sopperire alla mancanza di liquidità in caso di spese impreviste ed emergenziali o nelle fasi iniziali dell’Esercizio Finanziario nelle more dell’approvazione del piano della performance da parte del Ministro della Difesa. Flessibilità che ha permesso una maggiore aderenza alle esigenze delle unità impegnate al di fuori dei confini nazionali e dei Reparti in approntamento.
CONCLUSIONI Le riforme che abbiamo qui descritto oltre a perseguire l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle varie amministrazioni spostano sempre più l’attenzione sull’utilizzo delle risorse assegnate, fornendo un utile strumento per valutare l’efficacia dell’azione di governo. L’articolazione del bilancio in missioni, programmi e azioni diviene quindi elemento fondamentale per la programmazione strategica, la valutazione dell’efficacia della spesa e la conseguente valutazione della performance delle amministrazioni. L’abolizione delle contabilità speciali, l’imputazione delle spese agli esercizi in cui le obbligazioni sono esigibili, la rivisitazione della normativa che disciplina la conservazione dei residui passivi, la necessità di una programmazione sempre più spinta anche in termini di cassa con il “cronoprogramma dei pagamenti”, trova come comune denominatore quel processo di po-
Le mostrine del Corpo di Commissariato dell’Esercito Italiano.
n. 1/2018
tenziamento del ruolo bilancio di cassa iniziato nel 2009. Tale processo consentirà al Parlamento e al Governo un migliore controllo sulla finanza pubblica, favorendone l’attività di monitoraggio e controllo dell’evoluzione dei conti pubblici. L’impegno dell’Esercito, in tal senso, è proattivo ed esemplare per tutto il settore pubblico nazionale. *Colonnello
RIFERIMENTI NORMATIVI E CIRCOLARI Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria, sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 da 25 Stati dell’Unione Europea, ad eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca. Legge 31 dicembre 2009, n. 196. Legge 24 dicembre 2012, n. 243. Legge 4 agosto 2016, n. 163. Legge 21 giugno 2017, n. 96. Decreto Legislativo 12 maggio 2016, n. 90. Decreto Legislativo 12 maggio 2016, n. 93. Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 16 settembre 2016. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 febbraio 2017. Circolare del 7 ottobre 2016, n. 23 del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria della Ragioneria Generale dello Stato. Circolare del 15 dicembre 2016, n. 27 del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria della Ragioneria Generale dello Stato. Circolare del 21 dicembre 2016, n. 30 del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria della Ragioneria Generale dello Stato. Circolare del 24 febbraio 2017, n. 9 del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria della Ragioneria Generale dello Stato. MEF, Note Brevi – Le azioni del Bilancio dello Stato, 2017. 57
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La guerra del Tenente Arturo Stanghellini Lettere alla famiglia di Niccolò Lucarelli* Arturo Stanghellini (Pistoia, 18871948) fu scrittore, docente liceale e direttore di alcuni Istituti di Cultura all’estero, negli anni dal 1932 al 1940. Allievo di Pascoli a Bologna, si laureò in Lettere nel 1910, e sei anni più tardi lasciò temporaneamente l’insegnamento per arruolarsi volontario nella Grande Guerra. Le sue lettere inedite allo zio Alberto Chiappelli (medico e politico pistoiese) costituiscono una genuina testimonianza dell’esperienza al fronte. Appena arruolato, fu destinato alla guarnigione della Territoriale di stanza a Firenze, presso il Forte di Belvedere, dove erano custoditi i soldati austroungarici prigionieri di guerra. Di tale servizio ci ha lasciato testimonianza in una cartolina: “Carissimo zio, dopo 15 giorni di ufficialato posso darle qualche notizia sulla mia nuova vita. Sono all’ex Forte di Belvedere, addetto alla vigilanza dei prigionieri di guerra. Il servizio − meno l’aspra fatica della Costa S. Giorgio da farsi 4 volte al giorno − non è faticoso troppo. [...] Alla mezzanotte, alle due, alle tre, siamo sempre in giro a ispezionare le sentinelle ed a ricontare i prigionieri. Dio ne guardi ne mancassero! Sono entrato un po’ addentro nel meccanismo militare tutto fatto di esattezze e mi trovo abbastanza a mio agio sebbene l’esattezza e tutto quello che è soltanto meccanismo non fanno parte delle mie qualità intellettuali. Se resterò molto quassù non so dire: c’è una 58
Autoritratto di Arturo Stanghellini.
grand’aria di movimento. [...] Viene una ventata quando meno ci si aspetta e via [...]” (1). Indossata la divisa di effettivo, Stanghellini fu assegnato, con il grado di Sottotenente, alla 3 a compagnia del I battaglione del 13° reggimento della Brigata “Pinerolo”, inquadrata nella 14a Divisione che, con la 13a, costituiva il
VII Corpo d’Armata. A sua volta, il VII Corpo era parte, con il VI e l’XI, della 3 a Armata comandata dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta (2). Zona di operazioni, il Carso, con l’obiettivo di Trieste e Gorizia. Quando Stanghellini prese servizio al fronte, la situazione era migliorata. In maggio, la StrafexpediRivista Militare
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tion aveva quasi causato il crollo del fronte trentino, che Cadorna riuscì a evitare grazie a un’efficace seconda linea di difesa; il 4 giugno arrivò la Brigata “Sassari” (151° e 152° reggimento Fanteria) che, assieme alla 5a Armata appositamente costituita avviò la controffensiva. Contenuta l’avanzata nemica e scampato il pericolo di un accerchiamento, lo Stato Maggiore italiano preferì dedicarsi al settore dell’Isonzo, in particolare a Gorizia, riportando in secondo piano il fronte trentino. Nelle operazioni precedenti, il 13° reggimento Fanteria era stato fra i
più colpiti in fatto di perdite umane, e in luglio aveva ricevuto consistenti rincalzi, fra cui, appunto, si trovava Stanghellini. Il Comando Supremo stava preparando la Sesta Battaglia dell’Isonzo, che ebbe luogo dal 4 al 17 agosto; alla 3a Armata fu assegnato il compito di attaccare le posizioni del Sabotino e del Podgora, ma su iniziativa del Duca d’Aosta, l’XI Corpo, comandato dal Generale Cigliana, fu distaccato sul Monte San Michele, che riuscì effettivamente a conquistare. Nell’attesa di prendere parte alla battaglia, Stanghellini scriveva ai
Da destra, Stanghellini con il Generale Sani e il soldato Traversi in trincea a Quota 208, febbraio ’17.
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familiari una cartolina di rassicurazione: “Noi siamo non troppo lontani dalla linea del fuoco, ma per ora truppe di riserva. Ho dormito già varie volte sulla nuda terra ed ho le ossa rotte. Ma la salute regge bene, per ora” (3). Poche righe, costrette nel breve spazio della cartolina militare, sufficienti però a rincuorare i familiari che a Pistoia trepidavano per la sua sorte. Il 15 agosto, la Brigata mosse all’attacco del Pecinka e del Veliki Hribach ottenendo qualche modesto avanzamento territoriale. In particolare, il 13° Fanteria era schierato lungo le falde sud-occidentali del Pecinka. Ai costanti rischi dei combattimenti in trincea, si aggiungono le difficoltà del territorio carsico con le sue aride pietraie, come riporta Giuseppe Abate, Cappellano del reggimento: “Grandi erano le sofferenze, causate dalla sete ardente, persecutrice, crudele! [...] Alcuni per esse morivano, altri aveano quasi perduto la coscienza. [...] Per alleviare l’interno ardore si ricorreva a tutto, a tutto.... Un limone veniva diviso in minutissime parti. [...] L’amico Tenente Stanghellini bevette un sorso d’acqua trovata nella borraccia di un morto” (4). I combattimenti si svolsero furiosi, a causa della fiera resistenza austriaca, attuata con un massiccio utilizzo dell’artiglieria. Oltre agli avanzamenti del 13° Fanteria, la Sesta Battaglia dell’Isonzo si chiuse con la presa di Gorizia e delle alture circostanti, fra cui il Nad Logem, il San Michele e il Carso di Doberdò. La vittoria più importante ottenuta nel 1916 dall’Intesa. Dopo questa durissima prova, la Brigata fu inviata nelle retrovie, a Romans, per un lungo periodo di riposo, dal quale rientrò in vista della Settima Battaglia dell’Isonzo (14-18 settembre); in questa occasione, lo sforzo maggiore fu sostenuto dal 14° reggimento, che riuscì in un’avanzata di qualche centinaio di metri in corrispondenza di quota 265 (Nad Logem). Pochi giorni dopo, Stanghellini diede 59
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Lettera del 5 luglio1916.
conto ai familiari della situazione: “Quassù pioggia e vento per parecchi giorni. Abbiamo dormito nei boschi sulla terra fangosa, coperti da un solo telo da tenda, inutile dirle quanto ho sofferto. Ma la salute è ancora buona” (5). Dal 9 al 12 ottobre si scatenò l’Ottava Battaglia dell’Isonzo: l’attacco italiano venne condotto con efficacia, e nello specifico il I, il II e il III battaglione del 13° piantarono bandiera su un tratto del Veliki Hribach. Non uguale successo 60
ebbe la Nona Battaglia (31 ottobre-4 novembre), conclusasi con il solo consolidamento delle posizioni sul Veliki Hribach. Si chiudevano così, con l’autunno inoltrato, le operazioni militari per il 1916, che avevano provato anche l’animo del giovane Stanghellini: “Carissimi zii, giunga di lontano anche a loro il mio saluto e il mio augurio. [ ] Io tornerò nella prima quindicina di gennaio e sarò molto lieto di rivederli. Dopo sei lunghi mesi sparsi di durissime prove, mi
parrà di sognare!” (6). Il 1916 era stato comunque un anno positivo per le operazioni militari, e l’entusiasmo suscitato dalla campagna di Gorizia era ancora vivo nelle truppe quattro mesi dopo, come testimonia anche Stanghellini: “La mia impressione dopo cinque mesi d’onore si riassume in questo: mi par di sognare! Tutto è vittoria” (7). Le operazioni su larga scala ripresero soltanto il 12 maggio, quando, fino al 5 giugno, ebbe luogo la Decima Battaglia dell’Isonzo; la 3a Armata avrebbe dovuto dirigersi contro i monti Ermada e Stol, capisaldi del sistema difensivo austriaco lungo la direttrice verso Trieste. Sulle prime sembrò volgere a favore italiano, con le bandiere piantate sulle prime pendici dell’Ermada, e una testa di ponte oltre l’Isonzo, all’altezza del saliente di Loga. Nello specifico, il 21 maggio, il VII Corpo d’Armata fu impegnato in durissimi combattimenti nel tentativo di sfondare la linea austriaca sull’altopiano carsico, riuscendo ad attestarsi in località Jamiano, poco oltre Castagnevizza. Il III battaglione si pose a rincalzo della Brigata “Catanzaro”. Ma la violenta controffensiva austriaca, condotta con un massiccio uso di rinforzi fatti affluire dalle seconde linee, minò la resistenza italiana sulle nuove posizioni, e a quasi un mese dall’inizio dell’offensiva, negli ultimi giorni di maggio, il Regio Esercito si trovò costretto a ritirarsi sulle posizioni di partenza, con le sole conquiste della vetta del Kuk e della sella del Vodice, per merito del II Corpo d’Armata comandato dal Generale Pietro Badoglio. In quei giorni, Stanghellini dà sue notizie alla famiglia: “Carissimi zii, la bufera accenna a calmarsi. Sono ancora incolume, miracolosamente” (8). Il giovane Ufficiale si comportò valorosamente, distinguendosi in azioni rischiose che gli valsero la prima Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con la seguente motivazione: “Ufficiale di collegamento Rivista Militare
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col comando di un reggimento, dava costante prova di valore e di sprezzo del pericolo, attraversando continuamente zone intensamente battute dall’artiglieria e dalla fucileria nemica, e riuscendo ad adempiere al suo compito, nonostante gravi difficoltà. Nad Bregom, 23-26 maggio 1917”. A seguito della decorazione, il 7 luglio 1917 è nominato Tenente: “Tengo a questa proposta molto, poiché ho la coscienza d’averla meritata. [...] Oggi è un anno, io salivo per la prima volta nella trincea ove la morte e la vita stanno così crudelmente vicine. Mi sono empito, in un anno, gli occhi d’orrore, l’anima di spavento. Ho detto e ho scritto anche: basta, con il sentimento che nella mia parola cessasse l’orrore del mondo. Ma ho anche avuto la forza di riprendere quella parola. Io resto ora cogli altri [...] sorretto dalla soddisfazione di provare, di possedere la mia sofferenza poiché me la sono volontariamente imposta” (9). Fra il 17 e il 31 agosto si combatté l’Undicesima Battaglia dell’Isonzo, con l’obiettivo di sfondare le linee avversarie nel settore compreso fra Podselo e il Monte Santo, in corrispondenza dell’altopiano della Bainsizza; la 3a Armata doveva attaccare frontalmente le linee nemiche sul Carso e sospingerle indietro, verso Trieste; avviò le operazioni il 19 agosto, dopo un intenso e prolungato bombardamento, cui avevano preso parte dal mare anche batterie della Regia Marina. La resistenza nemica fu però accanita, al punto da non poter mantenere quelle posizioni raggiunte grazie al VII Corpo d’Armata sulle alture di Tivoli e all’XI e al XXV nella zona di Castagnevizza. Ma lo sforzo della 3a Armata fu funzionale all’avanzata della 2 a , e ad operazioni concluse, così scrisse Stanghellini: “Noi già fummo seriamente impegnati nella prima fase del combattimento che la Terza Armata sostenne con eroica tenacia preparando la vittoria napoleonica alla Seconda Armata. n. 1/2018
Passando da attore a spettatore ho assistito a varie fasi della grande vittoria provando una emozione così grande e terribile che non saprei per il momento descrivere” (10). Giorni amari si stavano però per abbattere sull’Italia e sul suo Esercito, con l’approssimarsi dell’offensiva austriaca su Caporetto. L’odissea del reggimento di Stanghellini è documentata ancora una volta dal Cappellano Abate: “Il 27 Ottobre si ebbero notizie certe della sciagurata infiltrazione nemica nelle nostre linee e conseguente nostro ripiegamento. Il reggimento ebbe ordine di occupare le trincee fra Romans, Villesse, S. Pietro dell’Isonzo, per proteggere le truppe della 3a Armata costrette a ripiegare per non essere tagliate fuori dalla travolgente manovra nemica” (11). Lo stesso Stanghellini ne scrisse nel suo romanzo di guerra: “Stamani hanno fatto saltare i ponti sull’Isonzo. Piove ancora e urla il vento per accompagnare il nostro martirio” (12). E nonostante le reazioni del Comando Supremo, i comandanti che si trovavano in linea conoscevano il valore delle truppe al punto da rendere loro onore. Scrive infatti Stanghellini che, al passaggio del 13°, il Generale Sani, Comandante del XIII Corpo d’Armata, tenne la mano alla visiera del berretto d’ordinanza fino al passaggio dell’ultimo uomo (13).
Dall’alto Le decorazioni della Brigata “Pinerolo”. Fotografia del Tenente Stanghellini, Chieri, marzo 1918 (Biblioteca Forteguerriana, Pistoia).
Approntata la linea di difesa sul Piave e riorganizzati i reparti, dal 28 dicembre la Pinerolo poté godere di un periodo di riposo in retrovia nei pressi di Treviso, e nell’aprile seguente, con l’intera 14a Divisione, fu trasferita sull’Altopia61
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no di Asiago, nel settore Costalunga-Val Bella; furono giorni di intensi combattimenti, nel tentativo di rioccupare le posizioni perse nel corso dell’ultima controffensiva austriaca. Dopo una decina di giorni di aspri combattimenti, avanzamenti e retrocessioni, la linea italiana si assestò a nord del Cimitero di Cima Ekar. Dopo un lungo periodo di relativa calma, si giunse alla Battaglia del Solstizio, l’offensiva austriaca che avrebbe dovuto replicare, negli effetti, l’offensiva di Caporetto. Ma questa volta il Servizio Informazioni aveva correttamente funzionato, e la risposta italiana non si fece attendere: “Alle ore 3 e 4 minuti del 15 giugno l’artiglieria nemica iniziò - come si aspettava - il suo violentissimo bombardamento (che dalle 22 del 14 alle 3 del 15 era stato prevenuto da un nostro infernale tiro di contropreparazione) con piccoli, medi e grossi calibri, con bombarde e con granate a gas lacrimogeni” (14). Sulle prime, i reparti della Pinerolo si videro costretti a sgombrare provvisoriamente la prima linea del monte Val Bella e del Costalunga. Il III battaglione del 13°, in riserva di Brigata, si dispose a difesa della terza linea. Poco dopo fu sostituito dal I e dispiegato a Cima Ekar, la cui posizione avanzata fu riconquistata, sullo slancio della controffensiva italiana.
Dopo un breve periodo di riposo nelle retrovie, la “Pinerolo” tornò in linea il 6 luglio. In quei giorni Stanghellini trovò modo di scrivere a casa, e fra quelle righe trapela l’alto morale che pervadeva il suo stato d’animo: “Anche questa prova è stata superata e non solo felicemente per me, ma - quel che più conta - vittoriosamente per le armi nostre. E l’Italia s’è così rialzata nella stima del mondo che il pensiero d’aver esercitato una sia pur modesta parte nella grande battaglia, riempie l’animo d’orgoglio” (15). Quel coraggio che Stanghellini aveva sempre dimostrato gli valse, nell’ottobre del ’18, la seconda Medaglia di Bronzo, per fatti d’arme avvenuti circa quattordici mesi prima, come riporta la data in calce: “Di collegamento fra il Comando di una Brigata e quello di un reggimento, impegnato in un aspro e lungo combattimento, con sereno sprezzo del pericolo recandosi in prima linea sotto bombardamenti di estrema violenza e trattenendosi per molte ore in un osservatorio scoperto, tenne il Comando della Brigata al corrente della situazione. Castagnevizza, 18-25 agosto 1917 ”. Fra il 17 e il 19 ottobre fu lanciato l’attacco alla linea austriaca, così ricordato dal Cappellano Abate: “In quell’attacco vittorioso si coprì di superba gloria la 3 a nostra compagnia, alla quale da tutti si
levarono inni di ammirazione. [...] E noi eravamo orgogliosi di sentire ancora lassù, nel fervore della vittoria, dai Fanti nostri ripetere «Viva la 3a compagnia»” (16). Fra il 24 e il 25, infine, fu sferrato un 1° attacco contro Monte Sisemol, e il primo novembre la linea nemica fu finalmente spezzata; la Brigata “Pinerolo” rioccupò Monte Zebio. Due giorni dopo, alla vigilia dell’armistizio, il 13° Fanteria raggiunse anche Cima Larici, compiendo la sua vittoriosa avanzata. Per queste conquiste le Bandiere del 13° e del 14° Fanteria furono decorate con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Ancora nel suo diario, Stanghellini racconta come fu accolto l’armistizio nel pomeriggio del 4 novembre: “Verso le 15 − se ben ricordo − la radio che seguiva la nostra colonna ha intercettato la notizia dell’armistizio di Villa Giusti. [...] Nessuno sul principio ha parlato, nessuno ha sorriso. Avevamo tutti gli occhi In alto Sasso Commemorativo della Brigata “Pinerolo” sul Nad Logem (Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma). A sinistra Fanti italiani in trincea durante la Grande Guerra.
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Linea austroungarica sulla Bainsizza, 1917.
rivolti al passato, alla lunga via seminata di croci. Nessuno ha saputo sorridere. I fortunati hanno fatto questo regalo ai morti di non sorridere. In Italia cantavano, ballavano, s’ubriacavano. Lassù tra i monti del Trentino nel freddo meriggio di Novembre quelli che dalla pace avevano resa sicura la giovinezza e la vita, non hanno nemmeno sorriso. [...] Un soldato siciliano s’è messo a zufolare lievemente in un’ocarina austriaca una canzonetta del suo paese. Ecco com’è arrivata la pace tra gli uomini della guerra!!” (17). Troppi mesi erano trascorsi fra le trincee, e occorreva tempo per realizzare la portata dell’armistizio. Ma la testimonianza più bella della pace ci pare arrivi da una cartolina che Stanghellini inviò agli zii, subito dopo il Natale del 1918, dal Comando della Brigata: “Carissimi zii, in questo primo Natale di vittoria e di pace, mi ricordo affettuosamente di loro, coi più vivi auguri di ogni bene” (18). L’Unità d’Italia era stata finalmente compiuta, ma ancora dure prove attendevano il Paese. *Saggista n. 1/2018
NOTE (1) Lettera del 7 luglio 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (2) Emanuele Filiberto Vittorio Eugenio Alberto Genova Giuseppe Maria di Savoia-Aosta (1869-1931) figlio del Duca Amedeo di Savoia e cugino del futuro Vittorio Emanuele III. Durante la Grande Guerra, fu Comandante della 3a Armata. Alla sua testa, uscì vincitore dalla battaglia di Gorizia dell’agosto 1916, il primo effettivo successo dello sforzo bellico italiano. La sconfitta di Caporetto lo costrinse a ritirarsi dalle posizioni, nonostante non fosse stato coinvolto nei combattimenti. Ripiegò tuttavia sulla linea del Piave, da dove, conservato il comando dell’Armata, contribuì alla resistenza. (3) Lettera del 9 agosto 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (4) Abate G., Il 13° Fanteria (Brigata Pinerolo) nell’ultima Guerra d’Indipendenza 1915-1918, Nell’Anno della Pace, Stabilimento Arti Grafiche Bertarelli, Milano (s.d., ma 1919), pag. 64. (5) Lettera del 23 settembre 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (6) Cartolina dal Comando di Brigata
del 22 dicembre 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (7) Lettera del 27 dicembre 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (8) Cartolina del 30 maggio 1917. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.2. (9) Lettera del 9 luglio 1917. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.2. (10) Lettera del 5 settembre 1917. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.2. (11) Abate G., op. cit., pag. 140. (12) Stanghellini A., Introduzione alla vita mediocre, Niccolai, Pistoia, 1920 pag. 97. (13) Stanghellini A., op. cit., pag. 106. (14) Abate G., op. cit., pag. 166. (15) Lettera del 9 luglio 1918. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.3. (16) Abate G., op. cit., pag. 173. (17) Stanghellini A., op. cit., pag. 230. 18) Lettera del 22 dicembre 1918. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.3.
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Jean de Bloch: il futuro della guerra di Giuseppe Cacciaguerra*
“Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo” S. Quasimodo
A un secolo dalla Prima Guerra Mondiale, in piena commemorazione (1) dell’evento che, per catastrofica portata, ferì profondamente il Vecchio Continente, pare doveroso tentare una sintesi dell’immenso lavoro svolto da Jean de Bloch, paladino del pacifismo internazionale (2). In tale contesto egli seppe guadagnarsi un posto di rispetto per la concretezza scientifica e originale del suo pensiero. Si tenterà, quindi, di presentare l’autore quale “profeta” delle guerre future le quali, come teorizzato dallo stesso, diventeranno impossibili (3).
Jean de Bloch.
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JEAN DE BLOCH È lo stesso Bloch a ricordare, nel corso di un’intervista (4), i vari epiteti con i quali era solito essere appellato: “utopista, visionario, idealista” e, nel migliore dei casi, era considerato un ricco eccentrico (5). Jean de Bloch nacque il 24 giugno 1836, nella Polonia russa a Radom, da una famiglia ebrea non molto agiata. Malgrado ciò, dopo gli studi universitari, intervallati da periodi di apprendistato presso alcune banche già da giovanissimo, egli seppe consolidare una notevole fortuna economica, attribuibile alle sue capacità organizzative e al duro lavoro sempre svolto grazie a un’energia inesauribile. Tali abilità furono impiegate da Bloch anche in ambito letterario, con un’approfondita analisi del fenomeno “guerra”. Non a caso la sua opera principale è: The Future of War in its technical, economic and political relations (6) pubblicata nel 1898, appena quattro anni prima di morire. Bloch si prefiggeva di dimostrare, con un lavoro scientifico estremamente dettagliato e strutturato dal punto di vista tecnico-economico, come la guerra sarebbe stata resa impossibile dalle potenzialità delle nuove armi e dalle interconnessioni finanziarie tra gli Stati. Le competenze specifiche in materia economica di Bloch erano rilevanti, considerata la sua professione di banchiere e industriale, ma ciò che appariva singolare era che la sua opera principale fosse relativa a un ambito non direttamente collegato alla sua professione, visto che non aveva mai indossato una divisa militare. Bloch lavorerà per quasi un decen-
nio a quest’opera il cui leitmotiv sarà che le guerre moderne, per capacità distruttiva, non sono in grado di garantire alcuna soluzione ai problemi internazionali, rappresentando non solo un inutile bagno di sangue, ma anche una catastrofe economica e sociale. La seconda metà del 1800 fu un periodo caratterizzato da una serie di conflitti armati – la guerra franco-prussiana (1870-1871), la guerra russo-turca (1877-1878) e la guerra anglo-boera (18801881) – e Bloch, acutamente e molto più degli “addetti ai lavori” (cioè i professionisti dell’ars bellica) si rese conto che l’utilizzo delle armi moderne nei conflitti attuali e futuri avrebbe condotto alla bancarotta delle nazioni (7). Al contempo, però, mantenere una pace armata avrebbe significato sfinire economicamente gli Stati e aumentare il solco delle diseguaglianze sociali, fomentando l’instabilità sociale. Secondo questo suo ragionamento, la guerra si sarebbe “fisicamente”, ma non moralmente, autoeliminata dal nostro futuro a causa del suo eccessivo sviluppo scientifico-tecnologico. Rivista Militare
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Mauser-K98-Springfield-1903.
Già nell’apertura della sua opera, Bloch individuava i punti essenziali che sarebbero stati, poi, diffusamente sviluppati nelle pagine a seguire. In primo luogo, la baionetta quale pezzo di anticaglia: nella guerra franco-prussiana solo l’1% circa dei morti in combattimento era da attribuire a quest’arma. La guerra futura sarebbe stata combattuta a distanze impensabili per cui la
In secondo luogo, il fucile di piccolo calibro con caricatore-serbatoio: per Bloch era la più importante invenzione tale da cambiare il volto alla guerra, non solo per la celerità di tiro, ma per la gittata, la capacità di penetrazione del colpo, la sua precisione e un maggiore numero di munizioni in dotazione (9). Per di più, la polvere da sparo infume, a differenza della polvere da sparo nera, non produceva quella cortina
in avanti dell’artiglieria: per Bloch risultava una delle armi più micidiali. Sviluppi straordinari erano stati compiuti in termini di precisione del tiro, gittata, celerità e, soprattutto, di frammentazione delle granate, le cui esplosioni raggiungevano le 1.200 schegge quando caricate con esplosivo peroxilene, con effetti facilmente immaginabili sul campo di battaglia. In quarto luogo, i tiratori scelti: da grande distanza sono in grado di colpire i nemici allo scoperto, rimanendo al sicuro. Il tutto a maggior danno, altresì, della tenuta morale delle unità, le quali, magari in marcia, vedono i commilitoni cadere per fuoco avversario. Già alla luce di queste prime considerazioni, Bloch tratteggiava lo svolgimento di un futuro combattimento che sarebbe iniziato con uno scambio di fucileria tra tiratori scelti, con lo scopo di scoprire le
Prima Guerra Mondiale: mitraglieri britannici.
baionetta, che agli occhi dei militari contemporanei di Bloch godeva ancora di un’aurea virile e nostalgica, sarebbe stata del tutto inutile (8). n. 1/2018
di nebbia che rendeva gli scontri diurni combattimenti quasi “alla cieca”, ove non ci si rendeva conto di tutto ciò che succedeva intorno. In terzo luogo, gli spaventosi passi
opposte posizioni (10). Originariamente la missione di ricognizione, a tutti i livelli, era affidata alle unità di cavalleria che, a parere di Bloch, considerato il facile target 65
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da ingaggiare (per dimensioni di sagoma, soprattutto in altezza, quasi doppia rispetto a un fante appiedato) e l’aumentata gittata dei nuovi fucili, avrebbero rivisto ridimensionati i propri compiti in una guerra moderna. Bloch ritornava più volte sull’impiego della cavalleria a riprova che l’argomento era molto dibattuto in quegli anni. Per sintetizzare il suo pensiero: la ricognizione di tipo strategico, In alto Manifesto di propaganda. In basso Carica di Isbuscenskij.
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ad esempio nelle prime fasi della guerra o nell’attraversamento delle frontiere, era senz’altro compito che la cavalleria poteva assolvere, ma la ricognizione in prossimità del nemico, ormai, era da assegnare alla fanteria. Di conseguenza, la reconnaissance (specialmente nell’individuazione delle opere di fortificazione avversarie), la protezione dei fianchi o delle retrovie di Grandi Unità nella fase di avvicinamento sarebbero rimasti compiti prioritari delle truppe montate, evitando però la fase di scontro con il nemico. Bloch, quindi, giungeva alla conclusione che la cavalleria avrebbe continuato a svolgere ruoli importanti, ma molto diversi dal passato. Tale punto fu profetico: l’impiego di armi a ripetizione, come ampiamente dimostrato nel corso del primo conflitto mondiale, rese del tutto inefficace la cavalleria tradizionale nella fase cruciale dell’attacco. Le cariche a cavallo lanciate a distanza di circa 100 metri dal nemico, sebbene svolte con ottimi animali – meglio selezionati che in passato, quindi più veloci – non sarebbero riuscite a superare la velocità di 500 metri al minuto (11): una combinazione di tempo e spazio troppo lunga sotto il fuoco nemico. Coloro che non si arresero all’inevitabilità della modernizzazione, per scelta, per impossibilità economica o per mancanza di visione
Disegni del dott. Bircher, Ufficiale dell’Esercito svizzero, che condusse dei test nel 1896: effetti dei proiettili calibro 7,5 mm sulle ossa umane.
strategico-militare, pagarono un prezzo altissimo (si pensi alla cavalleria polacca durante la Seconda Guerra Mondiale; essa scrisse certo una pagina di encomiabile valore affrontando le unità corazzate tedesche, ma il tragico e ineluttabile risultato è ben noto a tutti) (12). Nella sua trattazione, Bloch continuava affermando che l’azione successiva sarebbe spettata all’artiglieria, con scontri a distanza (circa 4-5 miglia) e con effetti devastanti rendendo, durante la loro azione, l’avvicinamento appiedato impossibile. Terminato il fuoco dei grossi calibri sarebbe stata la volta della fanteria, equipaggiata con i moderni fucili, la cui letalità non avrebbe consentito di espugnare le opposte posizioni. Inoltre, per Bloch, colui che si difendeva anco-
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Arditi della Brigata “Sassari”.
rato al terreno in trincea – e la guerra successiva sarebbe stata di trincea (13) – era in grado di respingere attacchi molto numerosi (Bloch segnala il rapporto: 100 fanti trincerati sarebbero riusciti a respingere 400 attaccanti, infliggendo perdite per un totale di 336 uomini su un campo di assalto di meno di 300 metri di ampiezza) (14). Su tale argomento, ovvero l’importanza dei trinceramenti, si segnala anche il capolavoro di Clausewitz, Della guerra (anno di pubblicazione, postumo, 1832), che nel libro VII, L’offensiva, cap. X, Attacco contro un campo trincerato, scrisse: “Per lungo tempo è stato di moda parlare in modo sprezzante dei trinceramenti e della loro efficacia [ ], un trinceramento ben organizzato, ben presidiato e ben difeso è da considerarsi, di massima, come un posto inespugnabile” (15). La Prima Guerra Mondiale, guerra di trincea per eccellenza, testimoniò tutta la validità di questa riflessione, approfondita, con altri dettagli tecnici, anche da Bloch. La guerra futura, pertanto, sarebbe stata lunga e le sue battaglie sarebbero durate giorni interi con risultati mai definitivi. A rendere inutile il combattimento, il fatto che i due eserciti contrapposti non sarebbero mai arrivati al contatto fisin. 1/2018
co. Ci sarebbe stata tra di loro almeno una distanza di circa 1.000 metri, giustificata dalla gittata delle nuove armi: una sorta di no man’s land li avrebbe tenuti separati (16). Nessuna battaglia decisiva sarebbe stata possibile e non ci sarebbero stati vincitori. Originale era la tesi, sostenuta a complemento della ridotta importanza della cavalleria per il futuro, per la quale la fanteria avrebbe svolto un ruolo sempre più complesso, a iniziare dalla ricognizione tramite scout. Come visto in prece-
denza, la cavalleria avrebbe abdicato alla ricognizione in prossimità del nemico a favore di truppe appiedate, meno visibili, più silenziose e, quindi, più letali perchè più difficili da ingaggiare. Tali uomini sarebbero dovuti essere non solo “daring”, ma anche “skilful and sagacious soldiers” (17) caratteristiche che Bloch non riteneva riscontrabili in eserciti enormi composti da coscritti-riservisti. Su tale punto non si concorda. La nascita, ad esempio, dei reparti d’assalto italiani, gli Arditi, avvenne nell’estate del 1917, allorquando, seguendo il ragionamento di Bloch, non sarebbe stato possibile reclutare uomini dotati di particolari qualità-caratteristiche per lo svolgimento di compiti difficili (18). Bloch ampliava questa argomentazione e sosteneva che la dimensione demografica avrebbe reso la guerra ulteriormente improbabile. Infatti, una futura guerra sarebbe stata combattuta da milioni di reclute, addestrate in maniera insufficiente, che si sarebbero affrontate in spazi enormi, con evidenti difficoltà di comando e controllo (19). Un altro concetto che Bloch sviluppava era quello del sostegno logistico alle unità combattenti e alla vita dei civili nelle città. Ovvero, egli riteneva che sarebbe stato difficile riuscire a sostenere
Fanti della Brigata “Sassari”.
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Artiglieria pesante.
le truppe al fronte perché, con la debita eccezione di Russia e Austria, gli Stati europei non erano autosufficienti per quanto riguardava alcuni approvvigionamenti acquisiti sul mercato internazionale. Tali scambi commerciali che identificavano una interdipendenza degli Stati, nondimeno, sarebbero stati prontamente eliminati in caso di guerra; la mancanza di un’autonomia alimentare, dunque, avrebbe reso irrealizzabile lo sforzo bellico. Ad aggravare questa situazione, i futuri conflitti avrebbero affamato la popolazione attingendo “braccia” dalla preziosa forza lavoro degli Stati per la fucina della guerra. Bloch, a onor del vero, non considerò il fatto che gli uomini al fronte avrebbero potuto essere rimpiazzati nei lavori quotidiani, nei servizi, in fabbrica o in agricoltura dalle donne. Già la Prima Guerra Mondiale sicuramente agevolerà la presa di coscienza, guadagnata sul campo, del movimento femminile: le donne non sarebbero state più solo l’angelo del focolare domestico, ma esse avrebbero lavorato nell’industria dimostrando di valere quanto l’uomo al fronte. Per quanto difficile fu questa prova è indubbio che rappresentò uno spartiacque nel lungo processo di acquisizione dell’uguaglianza dei diritti civili con gli 68
uomini (20). Per quanto riguarda la Marina militare, Bloch sosteneva, in diretta antitesi con Alfred Thayer Mahan (1840-1914) (21), che possedere una flotta militare, la cui forza potesse essere definita di assoluta superiorità, sarebbe stato un inutile spreco in termini di risorse economiche e umane. Senza forzare eccessivamente questo punto, pare qui già proporsi la contrapposizione tra la visione della forza navale, con Mahan capostipite, e quella
terrestre dell’Heartland sviluppata da Halford John Mackinder (18611947) (22). Per Bloch, infatti, una potente forza navale, fondata su battleship, sarebbe stata di poco aiuto, non essendo in grado di sviluppare la battaglia decisiva (che sarebbe rimasta quella terrestre). Per l’autore, pertanto, sarebbero stati sufficienti gli incrociatori per la difesa delle rotte marittime. Comunque, il cuore del problema sarebbe rimasto quello economico che, con rotte marittime aperte o meno, in caso di guerra non avrebbe risolto la penuria di cibo. La maggior parte delle riflessioni di Bloch era dedicata agli aspetti tecnici della guerra e a quelli economici per sostenerla, ma vi era un tema per il quale egli dimostrava una marcata sensibilità: la cura dei feriti sul campo di battaglia. Bloch si opponeva in maniera netta ad alcuni pensatori da lui definiti ottimisti (23), i quali sostenevano che con le nuove armi a disposizione (soprattutto il minore calibro dei fucili nonché l’incamiciatura dei colpi), le nuove tecniche di combattimento (assalti con personale distanziato e non ammassato su stretti fronti), i kit di automedicazione individuale e più consistenti reparti di sanità, il numero e la gravità delle ferite in-
Munizionamento per carro armato T-55 russo.
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ferte sarebbero stati minori che in passato. Per Bloch, al contrario, sui futuri campi di battaglia ci sarebbe stato un numero impressionante di feriti, causato proprio dai nuovi calibri, il cui soccorso sarebbe stato difficilissimo: le superiori gittate delle artiglierie avrebbero costretto i reparti di sanità a stare lontano dalla linea di fuoco. La cura dei feriti, oltre che atto doveroso di umanità, rappresentava una parte dello sforzo bellico. Pensare di ridurre o di non aumentare a livelli necessari la sanità militare, per assegnare i suoi uomini alla prima linea, agli occhi di Bloch, era un controsenso. Quanto più efficace era l’apparato di recupero e cura dei feriti, tanti più uomini sarebbero stati messi in condizione di combattere nuovamente. Di conseguenza, le autorità militari avrebbero dovuto essere le prime ad affrontare questo problema. Tutta la seconda parte del capolavoro di Bloch è dedicata agli aspetti economici ed è suddivisa per i principali attori individuati in Russia, Gran Bretagna, Germania e Francia (24). Come già anticipato, le vere competenze di Bloch erano quelle economiche ed egli individuava correttamente il fulcro delle future guerre nella loro sostenibilità industriale, agricola e demografica. Il libro di Bloch si conclude con un capitolo, intitolato Militarism and its nemesis, nel quale esprimeva il concetto, già affrontato, della scarsa attrazione che la professione militare aveva tra i giovani, sostenendo che il fascino che essa un tempo emanava era scemato: la carriera militare offriva salari bassi e prospettive di carriera non sempre adeguate. La guerra stava acquisendo un carattere sempre più meccanico e sempre meno cavalleresco; qui l’avversione agli eserciti per Bloch era estremamente marcata, nella considerazione che egli riteneva il mestiere delle armi è “[...] per persone dalla natura così irrequieta e sfrenata da non riuscire a riconciliarsi con una vita laboriosa e regolare, trovando affascinante il pericolo in sé” (25). Tale definizione che appare in chiun. 1/2018
Effetto dei colpi sullo scafo di un carro Jagdpanther.
sura di libro, ingenerosa e nella sua sintesi discutibile, è inserita in un contesto che tende a smantellare la necessità di smisurati eserciti dalle potenzialità distruttive solo percepite – scopo manifesto di Bloch è proprio svelare quanto si presume, ma non si è ancora testato pienamente – per evitare stragi mai viste in precedenza.
CONCLUSIONI Al termine di questo scritto è doveroso omaggiare la memoria di Bloch il quale, ancorchè vissuto in anni difficili, ebbe intuizioni straordinarie, la cui portata si estende con facilità ai giorni nostri. Essa ci aiuta nella comprensione degli avvenimenti di cui siamo spettatori e ci stimola nella riflessione personale, indipendente e non uniformata ai canoni mediatici. L’autore intuì perfettamente che le innovazioni belliche avrebbero continuato a migliorare le armi, sempre più letali e distruttive (26), e che la corsa agli armamenti non avrebbe avuto fine, spinta da una tensione continua verso il nuovo. In tale ottica egli riuscì a prevede-
re come lo sviluppo degli armamenti avrebbe causato perdite elevatissime a livelli tali da rendere la guerra impossibile. Tale previsione si avvererà, parecchi anni dopo la sua morte, nell’era nucleare della Guerra Fredda, con la dottrina MAD (Mutual Assured Destruction): il conflitto tra superpotenze non poteva avvenire se non al prezzo della reciproca distruzione, fatto che garantì, per assurdo, un lungo periodo di pace. Altro punto centrato da Bloch sulle guerre future è rappresentato dalla loro tipologia. Esse sarebbero lunghe e di coalizione (27), ma ciò svela una criticità, combattere una guerra “assieme” è difficile. Questa difficoltà, tra l’altro, non è l’unica, perché le guerre future si vincerebbero grazie alle risorse finanziarie disponibili, prima ancora che agli eserciti schierati (28). Per Bloch la guerra era un suicidio: le perdite umane sarebbero state talmente elevate e lo sforzo bellico smisuratamente costoso da far collassare demograficamente ed economicamente gli Stati. Va rilevato, tuttavia, che Bloch non previde la capacità di resistenza 69
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Foto del 1953 relativa a un test atomico presso il Nevada Test Site. La potenza dell’ordigno era di 23 kilotoni.
del fronte interno degli Stati, perfino dopo anni durissimi di guerra; nel primo conflitto mondiale si assistette a carneficine inimmaginabili, ma i soldati continuarono ad avanzare sul campo di battaglia sostanzialmente sorretti dai rispettivi cittadini in patria. In conclusione, si può argomentare che Bloch sottovalutò la forza fisica e morale umana e, parallelamente, non ipotizzò le mostruosità di cui l’uomo sarebbe stato artefice. Se egli non lo intuì è perché quanto successo travalicò la logica dell’umana comprensione; basti ricordare che anche a una mente sopraffina quale quella della storica e filosofa Hannah Arendt, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, mancarono le parole appropriate per descrivere la disumanità di quanto successo (29). *Colonnello
NOTE (1) L’Italia ha istituito un Comitato per il centenario della Prima Guerra Mondiale e le commemorazioni sono iniziate nell’estate del 2014 al Vittoriano con la
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mostra “Verso La Grande Guerra”, http://www.governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=69666. (2) Nel 1901 Bloch fu candidato per il Premio Nobel della Pace, https://www.nobelprize.org. Tra l’altro, Bloch progettò e finanziò il museo War and Peace Museum a Lucerna (1902) e svolse parte attiva nella promozione della Conferenza dell’Aia del 1899 assieme allo Zar Nicola II. Nessuna opera della vasta bibliografia di Bloch è stata tradotta in italiano. Si intende inserire questo contributo nell’alveo di una riscoperta del pensiero di Bloch, testimoniata dall’attenzione a lui rivolta anche presso autorevoli istituzioni militari quali l’US Army Command and General Staff College, di Fort Leavenworth, http://usacac.army.mil/organizations/cace /csi/pubs. (3) La tipologia di guerra alla quale fa riferimento Bloch è quella delle nazioni avanzate e ricche: tutto il potenziale economico sarà impegnato nella lotta. (4) L’intervista è di Edwin D. Mead ed è riportata all’inizio dell’opera di de Bloch J., The Future of War in its technical, economic and political relations, the International Union Ginn & Company, Boston 1902. (5) Bloch era ben conscio del fatto che la guerra avesse accompagnato l’esperienza umana per secoli, meglio, millenni: nel corso di 3.357 anni, cioè dal
1496 a.C. al 1861 d.C. ci furono ben 3.130 anni di guerra contro 227 di pace in un rapporto di 13:1. Egli non si arrende a questi dati, sostenendo che la nuova economia e le innovazioni tecnologiche militari hanno reso la guerra un ricordo del passato. Parimenti il cliché romantico della guerra, cariche di cavalleria e assalti all’arma bianca, è sorpassato e la professione militare non è tra le più appetibili. (6) De Bloch J., op. cit.. L’opera, di oltre 3.000 pagine, è stata tradotta da R.C. Long e include una conversazione con l’autore a cura di Stead W.T. e una introduzione di Edwin D. Mead. Il lavoro originariamente era stato scritto in lingua russa, articolato su sei volumi e pubblicato nel 1898. L’edizione più nota è quella utilizzata anche per questo studio, ovvero il sesto volume, che fu scritto da Bloch quale sorta di compendio dei primi cinque tomi. (7) Il termine bancarotta è impiegato molto da Bloch, forse in relazione alla sua professione. (8) La “rusticità”, la semplicità d’uso e l’economicità hanno reso la baionetta un’arma con alterne fortune, ma sempre presente nella storia bellica moderna e contemporanea. Un esempio per tutti, nella Seconda guerra del Golfo, in più occasioni, reparti inglesi inastarono la baionetta e caricarono l’avversario. Cfr. Biondani P., La fanteria inglese costretta ad avanzare alla baionetta per aprirsi una via d’uscita. “Corriere della Sera”, 17 maggio 2004. (9) Già nella guerra civile americana, l’introduzione del fucile Henry, con i suoi 15 colpi in serbatoio, rimase impressa a lungo nella memoria dei Sudisti che solevano dire: “That damned Yankee rifle that they load on Sunday and shoot all week”! (Adler D., Guns of the Civil War, Zenith Press, Minneapolis 2011, p. 167). Il calibro ridotto per le armi portatili è un punto sul quale Bloch si dilunga con accurati dettagli tecnici. Per esempio, il calibro di 6,5 mm ha una capacità di penetrazione del 44% superiore al calibro 8 mm, il che implica che uno stesso colpo può trapassare più corpi con un aumento della mortalità a parità di munizioni impiegate; oppure, la riduzione del calibro consente un superiore trasporto di munizioni. Bloch riporta chiaramente che nella
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guerra russo-turca i soldati zaristi avevano una dotazione individuale di 84 pallottole, con la riduzione del calibro a 5 mm la dotazione è aumentata a 270 pallottole, con un ipotetico calibro di 3 mm ben 575 sarebbero state le pallottole che si sarebbero potute avere al seguito. Ancor oggi, però, il calibro di 3 mm non è realizzato e non risulta neppure allo studio, come invece Bloch pensava presto sarebbe successo. (10) Questo tipo di ricognizione, oggigiorno, è definita “recce by force” ed è tipicamente assegnata a unità di cavalleria; per parte italiana, ad esempio, può essere ottimamente svolta con l’impiego di pattuglie operanti anche su blindo armata “Centauro”, la cui formula tattica protezione, mobilità e fuoco la rende molto versatile. (11) Il testo di riferimento francese per l’impiego della cavalleria riporta che “La vîtesse [ ] sera réglée de manière à faire 97 à 107 mètres par minute au pas, et 194 à 214 mètres environ au trot. Quant à la vîtesse du galop, elle sera de 300 mètres par minute”, ovvero: da 97 a 107 metri al minuto per il passo, da 194 a 214 per il trotto e di 300 per il galoppo. Ordonnance provisoire sur l’exercice et les manoeuvres de la cavalerie, par ordre du Ministre de la Guerre. Troisième édition, Chez Magimel, libraire pour l’art militaire, Parigi 1815, pp. 252-253. (12) Quale nota a margine si vuole ricordare che l’ultima carica della cavalleria italiana, tra le ultime al mondo, avvenne il 17 ottobre 1942 a Poloj, in Croazia, e fu compiuta dai Cavalleggeri di Alessandria. Sull’argomento cfr. Arcella R., L’ultima carica: Dolnij Poloj 17 ottobre 1942, Bonanno, AcirealeRoma 2008. Di pochi mesi prima, il 24 agosto 1942, la carica del Savoia Cavalleria a Isbuscenskij, in Russia. (13) Questa considerazione fu indiscutibilmente premonitrice: la guerra futura sarà lunga e di trincea. (14) De Bloch J., op. cit., p. 27. (15) Clausewitz K. von, Della guerra, a cura di Bollati A. e Canevari E., Mondadori, Milano 1991 con l’introduzione del Generale Jean C., p. 717. (16) Bloch parla di una fascia profonda 1.000 passi, tra chi attacca e chi si difende, inconquistabile, de Bloch J., op. cit., p. 30.
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(17) Ivi, p. 24. ”Tali uomini dovranno essere non solo audaci, ma anche esperti ed astuti soldati”. Libera traduzione dell’autore. (18) Sull’argomento cfr. Rochat G., Gli Arditi della Grande Guerra: origini, battaglie e miti, Editrice Goriziana, Gorizia 1990 e Tenente anonimo, Arditi in guerra, 1917-1918, Nordpress, Chiari 2000. (19) Questo punto, estremamente interessante, forse non tenne in debito conto gli straordinari progressi che riuscirono a compiere le varie Accademie e Scuole di Guerra europee a seguito della bufera napoleonica. In particolare i tedeschi modernizzarono gli studi, focalizzando l’attenzione non solo sulle doti di coraggio individuali (un tempo si parlava di “carattere”), ma sull’intelletto. Pertanto, diedero vita allo Stato Maggiore, organismo composto dai migliori Ufficiali, che avrebbe affiancato il comandante elaborando piani e facilitando il momento apice della sua decisione. Sull’argomento si segnalano sia il testo di Goerlitz W., History of the German General Staff 1657-1945, Westview Press, Boulder & London 1985 sia, per il periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale, Wheeler-Bennett J.W., La nemesi del potere, Storia dello Stato Maggiore tedesco dal 1918 al 1945, Feltrinelli, Milano 1959. Bloch riconosce che ci furono passi in avanti nell’educazione degli Ufficiali, ma in caso di conflitto, con enormi masse di riservisti richiamati alle armi, non sarebbe stato possibile prepararli adeguatamente. C’è un aspetto al quale Bloch si dedica in particolare ed è la mortalità degli Ufficiali in combattimento. Nello specifico egli sostiene, facendo l’esempio della guerra del 1870, che i tedeschi soffrirono la perdita di ben due Ufficiali e il ferimento di altri tre per ogni soldato. La causa di ciò va ricondotta al dovere dell’esempio, per cui in testa alle truppe ci sono sempre gli Ufficiali, e ai tiratori scelti, che considerano i comandanti ai vari livelli un high target. Mancando gli Ufficiali sul campo, la truppa sarebbe in balia di se stessa e facilmente diverrebbe preda della paura. (20) Per la condizione femminile italiana durante la Prima Guerra Mondiale, tra i tanti, si segnala Finzi I., La
Grande Guerra delle donne italiane, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2015. (21) Cfr. Mahan A.T. , The influence of Sea power upon history: 1660-1783, Little Brown & Co., Boston 1895. (22) Cfr. Mackinder H.J., The Geographical Pivot of History, in “The Geographical Journal”, Vol. XXIII, n. 4, aprile 1904, pp. 421-444. Di questo articolo esiste una traduzione italiana curata da Borrino F. e Roccati M. in “I castelli di Yale”. Quaderni di filosofia, 1 (1996), pp. 129-162. (23) Tra fine ’800 e inizi ’900 già esisteva ampia letteratura medica e tecnico-balistica sulle potenzialità dei nuovi calibri, con test su cadaveri e animali vivi. A onor del vero, però, sui risultati esistevano contraddittorie valutazioni e ciò va a beneficio della posizione di Bloch che bene intuì la loro letalità. Sul tema: Coupland R.M., Rothschild M.A., Thali M.J., Wound Ballistics: Basics and Applications, Springer, Heidelberg 2011, pp. 89-93. (24) Da p. 163 a p. 293. (25) Si vuole sottolineare come la voce Uncurbed nell’English and Italian Dictionary di Baretti J., Cardinal Printing Office, Firenze 1832, Vol. II, p. 589 riporta: “Licenzioso, immoderato, sfrenato, dissoluto, senza ritegno” Bloch, quindi, esprime un giudizio molto severo. (26) Furono perfettamente previsti il gran uso e letalità dell’artiglieria, delle mitragliatrici così come il nuovo ruolo della cavalleria; non si trovano accenni, però, sull’impiego dei gas o armi chimiche, carri, aeroplano, autocarri, radio. (27) Alla vigilia della Prima e della Seconda Guerra Mondiale si pensava invece questo: “una guerra rapida”. (28) In guerra entrano in gioco tutti i fattori di una società (in questa asserzione si può includere il pensiero di Clausewitz) e non solo gli organigrammi delle Forze Armate con le loro procedure tecnico-tattiche (Jomini). La storia militare, recentissima, ha avvalorato questa teoria: bisogna considerare tutti i fattori in gioco. Oggi, con la system analysis, si tenta di collegarli. (29) Cfr. Arendt H., Le origini del totalitarismo, Bompiani, Milano 1978 e La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1995.
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LE PRIME MISSIONI INTERNAZIONALI DI PEACEKEEPING
Gli Italiani a Creta di Alberto Frattolillo*
Le missioni internazionali di peacekeeping, che hanno visto e vedono tuttora impegnate le nostre Forze Armate nei diversi Teatri Operativi (in Africa, nei Balcani, in Medio Oriente e in Asia) hanno origini risalenti al XIX secolo. È proprio di questo periodo quella svoltasi a Creta, nell’arcipelago greco. Per la sua posizione geografica, di importanza strategica e commerciale, l’isola divenne ben presto “preda” di numerosi popoli nel corso dei secoli. Conquistata nel 67 a.C. dai Romani (Quinto Cecilio Metello il Cretico), governata nel primo Medioevo (IV sec.) dai Bizantini e dagli Arabi (intorno all’anno 824) e contesa durante le Crociate da Genova
e Venezia, l’isola appartenne per più di quattrocento anni alla Serenissima, dal 1211 al 1669, anno in cui cadde in mano ai Turchi (6 settembre 1669). Contro la dominazione ottomana furono frequenti le insurrezioni degli isolani, in prevalenza greci di religione ortodossa e in minoranza turco-musulmani. La religione musulmana fu imposta ufficialmente e il culto cristiano fu tollerato. La guerriglia dei cretesi era indubbiamente favorita dalla geomorfologia dell’isola, montuosa con coste frastagliate, la cui viabilità era assicurata da mulattiere e sentieri, che rendevano i centri abitati difficilmente raggiungibili via terra e più agevolmente via mare. La
guarnigione turca in loco era costituita da circa 12.000 soldati, per la maggior parte concentrati nelle città litoranee, da circa 2.000 basci-buzuk (teste matte), soldati mercenari di diverse nazionalità, e da una gendarmeria eterogenea. Ad essa si contrapponevano le bande armate cristiane che dominavano le zone interne dell’isola. Le sommosse verificatesi nel 1895 e il lungo seguito di massacri tra musulmani e cristiani avevano convinto il Sultano ad accettare l’intervento delle potenze europee, interessate all’organizzazione dei territori e dei popoli che si andavano via via separando da Costantinopoli. Creta era infatti divenuta un punto cruciale di
Ariete torpediniera «Etna».
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quell’ostica “questione d’Oriente” (problema dell’assetto politico della Penisola balcanica già soggetta al dominio ottomano) che, ormai da circa due secoli, tormentava i Balcani, l’Asia Minore, il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, facendo del Mediterraneo orientale un’area critica per la pace, il benessere e il progresso. “Per ragioni tuttora sconosciute rissa scoppiata città fra musulmani cristiani [ ]. Città in armi, atterrita [ ] Pericolo grande: finora dieci vittime [ ] non posso rispondere sicurezza nazionali. Ritengo necessario invio nave da guerra Canea [ ]”. Con questo sintetico telegramma, inviato il 24 maggio 1896 alle ore 06:50 dal console italiano de La Canea (città principale di Creta), Augusto Medana, al Ministro degli Esteri, Onorato Caetani, ebbe inizio l’intervento italiano a Creta. Il governo italiano dispose, quindi,
Il Ministro degli Esteri Onorato Caetani.
l’invio di un incrociatore e, il 25 maggio, l’ariete torpediniera «Etna» salpava da Messina, al comando del Capitano di Vascello Giovanni Giorello. Nel frattempo anche Francia, Gran Bretagna e Russia avevano inviato unità navali. Il 30 giugno l’arrivo a Creta di n. 1/2018
un Governatore cristiano, George Berovich, e l’istituzione di due Commissioni internazionali (per la riorganizzazione della giustizia e della gendarmeria locale), sembravano aver restituito un minimo di serenità alla popolazione. Ma a fine gennaio 1897 una nuova ribellione, causata dall’assassinio di un islamico da parte di un cristiano, si sollevò nella provincia di Candia e si diffuse rapidamente in tutta l’isola. Il 5 febbraio il Console Medana chiedeva a Roma l’invio di altre unità in supporto e due giorni dopo giunsero la corazzata «Ruggero di Lauria» e l’incrociatore «Stromboli». Scontri, depredazioni, massacri, distruzioni, incendi sconvolgevano di nuovo l’intera isola. Altre navi italiane giunsero, quindi, in acque cretesi, tra cui le corazzate «Re Umberto» (comandata dal Capitano di Vascello Edoardo Incoronato) e «Francesco Morosini». Tra il 13 e il 14 febbraio, reparti dell’Esercito greco (4 battaglioni e 2 batterie al comando del Colonnello Vassos) s’imbarcarono al Pireo e riuscirono a sbarcare inosservati sull’isola. Il Governatore turco, nel frattempo, aveva abbandonato l’isola a bordo del postale austro-ungarico diretto a Trieste. L’approdo delle truppe elleniche e l’assenza di un governo locale venivano così a sommarsi ai molteplici motivi di conflitto e di disordine già esistenti. La gestione della crisi e la responsabilità di decidere su un eventuale intervento erano state affidate dalle cancellerie ai Comandanti delle forze navali ivi presenti: l’Ammiraglio Felice Napoleone Canevaro, i Contrammiragli francese Pottier, inglese Harris e russo Andreeff, il Capitano di Vascello austro-ungarico Brosh e quello tedesco Koellner. Il 15 febbraio 1897 fu tenuta una riunione dei Comandanti navali presieduta dal Canevaro, in qualità di più elevato in grado, al termine della quale fu stabilito di porre La Canea sotto la loro protezione e di sbarcarvi unità di marinai (circa 100 per ciascuna potenza).
Il Colonnello Timoleon Vassos.
I provvedimenti del Consiglio degli Ammiragli furono subito portati a conoscenza delle parti in conflitto insieme all’intimazione di cessare immediatamente qualsiasi operazione militare. Il pomeriggio dello stesso giorno furono sbarcati circa 430 marinai: 30 austriaci e 100 per ciascuna altra potenza (mancava la Germania). Il Comando Militare Internazionale de La Canea fu assegnato al Capitano di Vascello Carlo Amoretti e, immediatamente dopo, anche Candia, Rethymno e Sitia furono poste sotto la tutela della flotta internazionale, affidandone la responsabilità a Gran Bretagna, Russia e Francia. Ai reparti a terra furono attribuiti compiti di interposizione tra le diverse fazioni, bande armate e schieramenti militari, mentre le unità navali svolgevano un ruolo per lo più dissuasivo ed deventualmente repressivo. Il 17 febbraio il Ministro degli Affari Esteri del Regno d’Italia, Emilio Visconti-Venosta, e della Marina, Benedetto Brin, fecero pervenire all’Ammiraglio Canevaro un’ordinanza. In tale documento si evidenziava la necessità di ricercare soluzioni condivise, impedire nuovi sbarchi, esigere il sostegno di tutte le potenze nell’occupazione di altre località e intimare al Colonnello Vassos di astenersi da qualsiasi ipotetico atto aggressivo. 73
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L’Ammiraglio Felice Napoleone Canevaro.
Nel mentre il Sultano, con il benestare delle potenze, aveva provveduto alla nomina di un nuovo Governatore, Loannis Photiades Bey. I cristiani si rivelarono particolarmente dinamici nella provincia sud-occidentale di Selinos (dove si segnalavano eccidi musulmani) e a Ierapetra (dove l’«Etna» veniva inviata in sostegno degli ottomani) e erano riusciti ad appropriarsi di un monastero fortificato ad Akrotiri da dove conducevano azioni di fuoco sugli avamposti turchi a protezione del capoluogo. Nel mese di marzo si verificarono tre gravissimi episodi che richiesero l’intervento della forza multinazionale. Il primo fu l’ammutinamento di alcuni gendarmi ottomani de La Canea che, non pagati da più di un anno, si ribellarono al loro Comandante; il secondo fu l’assedio a Kandanos di circa 3.000 musulmani da parte di cristiani e soldati greci che vennero liberati e evacuati e il terzo fu il bombardamento da parte delle artiglierie di nave «Lauria» contro bande di insorti che da giorni minacciavano l’abitato di Ierapetra (1-10 marzo 1897). La crescente ostilità dei cristiani e delle truppe elleniche e la conseguente necessità di impedirne l’alimentazione esterna indussero gli 74
Ammiragli a consigliare di imporre il blocco marittimo dell’isola (5 marzo 1897), del Pireo e di altri porti greci e l’invio a Creta di un battaglione di 600 uomini per ciascuna delle potenze. Per motivi politici il blocco dei porti greci fu escluso e il 17 marzo fu reso noto il blocco marittimo. Dal 21 marzo l’accesso all’isola e alle sue acque territoriali sarebbe stato vietato a tutte le imbarcazioni battenti bandiera greca mentre gli altri, compresi i turchi, avrebbero potuto approdare solo nei porti presidiati dalla forza multinazionale e scaricare la propria merce soltanto se non destinata alle truppe elleniche o in zone interne dell’isola. Malgrado l’embargo, i tentativi di sbarcare clandestinamente continuarono incessantemente. I 600 marinai italiani giunsero a Creta il 25 marzo: tre compagnie furono impiegate a La Canea e due a Candia. Intanto, la situazione non accennava a ristabilirsi e la presenza navale intorno all’isola aumentava. Nonostante ciò l’unica soluzione possibile per fronteggiare gli insorti e le truppe di Vassos e ovviare all’apatia delle autorità turche si reputava essere un potenziamento delle truppe. La reticenza del Governo italiano a inviare a Creta le forze necessarie, soprattutto l’Esercito, per far fronte alle effettive esigenze operative, scaturiva da problematiche di varia natura, in cui rientravano le recenti vicende africane e l’imponente impegno per la salvaguardia dell’ordine pubblico. Alle 13:05 del 17 aprile, giorno del conflitto greco-turco, fu emanato dal Ministero della Guerra l’ordine ai Comandanti dei Corpi d’Armata di Torino e Alessandria di approntare, rispettivamente, il XII battaglione dell’8° Reggimento Bersaglieri e il I battaglione del 36° Fanteria. Per il Corpo d’Armata di Torino, seguiva l’ordine di approntare anche una batteria del reggimento di artiglieria da montagna. Il 21 aprile le unità si imbarcarono a Napoli sui piroscafi «Arno», «Indipendente» e «Liguria», e giunsero a Creta il 24. La flotta italiana continuò a supportare i reparti a terra distaccando Ufficiali di collegamento,
assicurando sostegno di fuoco e logistica (compreso il servizio di amministrazione) anche per l’Esercito, allestendo ad Halepa un modesto ospedale militare con 20 posti letto, successivamente portati a 60, che iniziò a operare il 1° maggio 1897. La guerra in Tessaglia aveva costretto Atene a richiamare da Creta le truppe di Vassos. Nell’isola restavano comunque 11-12.000 soldati ottomani e un Corpo di spedizione internazionale di quasi 7.000 uomini, di cui 1.550 italiani. La missione della forza multinazionale, in prospettiva che Costantinopoli accettasse di far rientrare le sue truppe da Creta, rimase sempre la stessa e cioè vigilare le due opposte fazioni (musulmani e cristiani). Alla proposta di Mosca di nominare Governatore il Principe Giorgio, secondogenito del Re Giorgio I di Grecia,
Il Colonnello Alberto Crispo Cappai.
Germania e Austria, unite alla Turchia da proverbiale amicizia, risposero di estraniarsi dalla questione cretese e di ritirare le loro forze, ciò che avvenne il 13 e il 24 marzo. In conseguenza di ciò, il Consiglio degli Ammiragli provvide, l’8 aprile, a suddividere l’isola in 4 settori e assegnare ciascuno di essi alle potenze rimaste. Alla Francia fu asseRivista Militare
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gnata la parte più orientale dell’isola (Sitia), alla Gran Bretagna quella centro-orientale (Candia), alla Russia la centro-occidentale (Rethymno) e all’Italia l’estremo ponente (La Canea). I compiti assegnati alla nostra missione riguardavano il blocco marittimo tra Capo Krios e Capo Spada, l’ordine pubblico e la riorganizzazione delle provincie di Cidonia, Kissamos, Selino e Sfakìa, alle quali si aggiunse, più tardi, quella di Apokoronas. A Candia, settore britannico affidato al Colonnello Herbert Chermside, la situazione si era aggravata a causa dell’afflusso in città di cospicue masse di contadini musulmani, che fuggivano per sottrarsi alle vessazioni dei cristiani, ai quali le autorità inglesi avevano consentito di organizzare formazioni armate per l’autodifesa. Il 5 settembre una folla di candioti, in prevalenza musulmani, attaccò un piccolo reparto inglese che prendeva parte all’avviamento del nuovo servizio doganale e all’insediamento degli impiegati cristiani. L’efferata riIl Governatore Generale di Creta, Georgios Verovtis, meglio noto come George Berovich Pasha.
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volta di Candia, (800 cristiani massacrati, il Vice Console, un Ufficiale, 4 marinai e 8 soldati inglesi con, inoltre, una quarantina di feriti), comportò l’invio a Creta di ulteriori unità: dall’Italia salparono l’incrociatore corazzato «Lombardia» (320 uomini) e il II battaglione (644 uomini) del 49° Reggimento Fanteria di stanza a Napoli. I disordini, che potevano estendersi all’intera isola, conferivano maggiore autorità e legittimità al timore e alle proposte del Canevaro. Il 13 settembre, dopo che fu ristabilito l’ordine, egli proponeva che le potenze assumessero la responsabilità del governo provvisorio dell’isola, incaricandosi a garantire, dopo il ritiro delle autorità e delle truppe turche, l’alta sovranità del Sultano e i diritti della popolazione musulmana. Il 5 ottobre 1898, un ultimatum di sgombro dell’isola veniva recapitato dagli Ambasciatori delle potenze alla “Sublime Porta” (espressione in voga all’epoca per indicare il Governo ottomano) che si vide costretta ad accettarlo e obbligata a sgomberare l’isola entro il 4 novembre. L’8 ottobre salpavano da Augusta l’ariete corazzato «Affondatore» e il cacciatorpediniere «Castelfidardo» e da Catania un altro battaglione di fanteria, il II battaglione del 93° Reggimento (650 uomini). Il 10 ottobre 1898 il Colonnello Alberto Crispo Cappai, Comandante del 59° Reggimento Fanteria di stanza a Perugia, ricevette l’ordine di raggiungere Creta per assumere il comando delle truppe italiane e il 12 ottobre s’imbarcò a Catania. Sbarcato a Suda (settore occidentale dell’isola) il 14 ottobre, il Colonnello Cappai assumeva il comando dei quattro battaglioni italiani, comando che però presentava non poche difficoltà atteso che i reparti, ad eccezione della compagnia di Kissamos, erano tutti ubicati e operanti nella zona internazionale de La Canea, dove il comando delle truppe era sotto l’autorità di un Ufficiale francese più giovane dell’italiano. Al suo arrivo, il presidio multinazio-
Il Ministro della Marina Benedetto Brin.
nale de La Canea era costituito da 4 battaglioni italiani (meno la compagnia di Kissamos) e da due francesi. L’abbandono dell’isola da parte della guarnigione ottomana, conclusosi il 15 novembre, permise la riduzione delle forze di occupazione. Il 5 dicembre venne rimosso il blocco marittimo. Il Colonnello Cappai aveva disposto l’organizzazione del settore italiano assegnandolo al Comandante del II battaglione del 49° Reggimento Fanteria, il quale doveva dislocarsi a Kolymbari (Cidonia) e occuparsi del presidio delle tre provincie di Kissamos, Cidonia e Apokorona. I Comandanti di compagnia e di distaccamento avevano il compito di: tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica; controllare l’amministrazione civile e il servizio doganale; reprimere il contrabbando; concor75
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Il cacciatorpediniere «Castelfidardo».
rere all’assistenza sanitaria nei confronti della popolazione locale; supportare le municipalità nel ripristino dei servizi essenziali (scuola, viabilità, ecc.). Il Colonnello Cappai si dedicò in modo particolare al servizio informazioni e corrispondenza, organizzandolo su staffette e in maniera tale da ricevere sistematicamente e puntualmente notizie anche dal reparto più distante e, contemporaneamente, iniziò ad operare a Gribiliana una “Commissione militare di polizia”, presieduta dal Comandante del II battaglione del 49° Reggimento, responsabile a giudicare, in base al codice penale dell’Esercito, i reati commessi nel settore italiano da “non-militari”.
Entro la fine del 1898, come stabilito dagli Ammiragli, tutte le armi in possesso dei civili dovevano essere consegnate: l’operazione si concluse con il versamento di quasi 20.000 fucili. Le 4 potenze avevano intanto stabilito di assumere il governo provvisorio dell’isola (che veniva lasciata sotto l’alta sovranità del Sultano) e di nominare Alto Commissario a Creta il Principe Giorgio di Grecia. Il 4 novembre 1898 i pubblici poteri venivano assunti dal Consiglio degli Ammiragli e il 15 novembre le modiche truppe turche ancora presenti lasciavano definitivamente l’isola, imbarcandosi a Suda. Il mattino del 21 dicembre 1898 il Principe Giorgio giungeva a Creta
fra l’accoglienza entusiastica della popolazione cristiana mentre quella musulmana disertò la cerimonia. L’insediamento dell’Alto Commissario e la partenza degli Ammiragli non mutarono le attività delle truppe di occupazione, che continuarono nel loro arduo compito di transizione da un governo militare a un regime civile e autonomo. Tutti gli incarichi amministrativi, economici e politici del Comandante delle truppe, nonché le attribuzioni giudiziarie delle Commissioni militari di polizia e dei Comandanti di distaccamento, sarebbero cessati al momento della nomina, da parte dell’Alto Commissario, dei pubblici ufficiali e dei tribunali competenti. Il 5 febbraio 1899 ebbe luogo in tutta l’isola, sotto la sorveglianza della forza multinazionale, l’elezione di 130 deputati cristiani e 50 musulmani che il 20 febbraio 1899 approvarono la Costituzione. Il 23 marzo il Principe promulgò un’amnistia molto generosa che fu applicata, soprattutto nel nostro settore, in modo restrittivo e, nonostante la severità della Commissione militare di polizia di Kolymbari, l’opera e la presenza degli italiani erano ben accet-
L’Ariete corazzato «Affondatore».
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te dalla popolazione, che sollecitava la costituzione nei villaggi di nuovi distaccamenti di truppe e stazioni di carabinieri. Ai rapporti che il Colonnello Cappai inviava settimanalmente al Ministero della Guerra erano spesso allegati attestati di riconoscenza verso il personale militare italiano da parte di autorità locali, amministrazioni municipali e comuni cittadini. Approvata dalle potenze la Costituzione, elaborata dall’Assemblea cretese, il 5 maggio l’Alto Commissario provvide a nominare il Consiglio che lo
litare sull’isola. Il 49° Reggimento Fanteria (II battaglione) s’imbarcò per l’Italia il 24 giugno mentre il II battaglione del 93° Reggimento Fanteria, unico battaglione italiano rimasto sull’isola, dovette presidiare ben 11 località oltre La Canea. Il 29 giugno 1899 il “Comando Superiore delle truppe italiane in Candia” terminò la sua missione e il giorno dopo il Colonnello Crispo Cappai lasciava Creta. Nell’ultima decade di settembre, il II battaglione del 93° Reggimento fu sostituito dal I battaglione del
una rapida unione dell’isola alla Grecia, si erano costituite diverse bande armate di annessionisti. A fine gennaio 1905, il Tenente Colonnello Benedetti assunse il comando delle truppe internazionali de La Canea, truppe il cui impiego era vincolato alle direttive del Consiglio dei Consoli delle 4 potenze. All’inizio della primavera dello stesso anno Creta era nuovamente in piena rivolta e la gendarmeria locale risultò insufficiente per arginare il fermento degli annessionisti, fermento cui faceva riscontro la propaganda di
5° Reggimento e questo, dopo due anni, da un altro battaglione della stessa Brigata “Aosta”, il III battaglione del 6° Reggimento sostituito a sua volta, nel settembre 1904, dal I battaglione del 6° Reggimento Fanteria. Ad Halepa continuò ad essere attiva l’infermeria militare il cui ambulatorio era aperto anche ai civili. La permanenza a Creta del I battaglione del 6° Reggimento Fanteria, sbarcato nel settembre 1904, coincise con uno dei periodi più delicati della martoriata vicenda cretese. Nell’estate, dopo una primavera densa di proteste finalizzate ad
un importante partito nazionalista capeggiato da Venizelos. Il mattino del 24 marzo un nutrito gruppo di rivoltosi aggredì a Terisso un distaccamento di gendarmi, comandato da un Tenente dei Carabinieri: due di essi furono feriti e il reparto dovette ripiegare. La risposta delle truppe di occupazione a questo episodio fu tardiva e sterile: subordinata alle ingerenze delle potenze, a un tentativo pacificatorio dell’Alto Commissario e, infine, alle istruzioni dei Consoli. Iniziò solo il 31 marzo e si sviluppò con una superflua sortita di un battaglione di formazione. Nel frattempo un go-
I turchi lasciano La Canea.
avrebbe coadiuvato nel governo dell’isola. Eleutherios Venizelos, Presidente di questo Consiglio, presenziò il 14 maggio alla consacrazione del piccolo cimitero cattolico de La Canea in cui erano state riunite le salme dei 17 fra soldati e marinai italiani morti fino ad allora a Creta, nel corso dell’intervento. Visto il clima di sempre maggiore tranquillità che si era instaurato tra la popolazione, la nomina dei prefetti e l’avanzata organizzazione della gendarmeria cretese, le potenze, in accordo con l’Alto Commissario, iniziarono a ridurre la loro presenza min. 1/2018
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L’incrociatore «Giovanni Bausan».
verno rivoluzionario, non riconosciuto, si era costituito e insediato sulle montagne di Terisso esigendo di legiferare per il tramite della sua assemblea, amministrare la giustizia, riscuotere tasse, controllare le dogane ed emettere francobolli. All’inizio di maggio la minacciosa e pressante presenza nelle vicinanze de La Canea di bande armate imponeva di abbandonare gli avamposti costituiti verso l’interno e di limitarsi a presidiare le poche località della costa. Il 13 maggio giunsero dall’Italia la corazzata «Sardegna» e l’incrociatore «Bausan». Il personale a disposizione del Tenente Colonnello Benedetti (poco più di 1.000 uomini) non era però sufficiente a garantire il ripristino dell’ordine nella zona internazionale e nel settore italiano, per cui si dovette ricorrere nuovamente ai bombardamenti navali su Platania, con una cannoniera russa e una torpediniera francese. Agli inizi di novembre ben cinque località ubicate nel settore di nostra competenza venivano riconquistate e presidiate. La definitiva liberazione dell’isola avvenne il 4 novembre successivamente all’accordo tra i Consoli e i capi degli insorti, che acconsentirono a sottomettersi in cambio di alcune concessioni di carattere politico. Dopo circa 15 giorni di calma e pace, gran parte delle nostre truppe lasciavano definitivamente Creta. 78
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
La missione cretese svoltasi nell’arco temporale 1897-1906 ci consente di trarre alcune considerazioni. In primo luogo è da rimarcare che, malgrado le gravi difficoltà in cui l’Italia si dimenava (instabilità dei governi, recessione economica, ecc.), Governo e maggioranza parlamentare non esitarono mai sulla necessità di un immediato intervento di peacekeeping a Creta, sia per collaborare a reprimere i conflitti nell’area mediterranea, sia per stabilizzare quelle preziose posizioni conquistate nel tempo dalle Repubbliche marinare. Di certo non mancarono difficoltà e contrasti di natura politica all’impiego dello strumento militare e al suo adeguamento alle esigenze operative, soprattutto, quando si trattò di inviare oltremare unità dell’Esercito. Altro elemento degno di nota è stato la rapidità con cui fu approntato e immesso in Teatro Operativo il primo contingente dell’Esercito, che avvenne in meno di una giornata e mezza! Altri aspetti evidenziatisi durante la condotta delle operazioni militari sono stati: l’unicità di comando in ambito multinazionale, la prontezza operativa delle forze impiegate e l’approccio umanitario dei nostri soldati nei confronti della popolazione locale.
Aymini C., Candia e la sua prima occupazione internazionale, in “Rivista Militare Italiana”, IV tomo, 1908. Cesari C., Le truppe italiane a Candia (1897-1906), in “Rassegna dell’Esercito Italiano” (fasc. XI-XII, 2° semestre 1925). Fumo E., La Gendarmeria cretese durante l’ultima insurrezione (23 marzo-26 novembre 1905). Gandini T., I Carabinieri reali nel Mediterraneo orientale e particolarmente nelle isole italiane dell’Egeo, tipografia Agostiniana,1934. Alberini P., “La crisi di Creta: Il ruolo della Marina italiana (1896-1898)” in Missioni militari italiane all’estero in tempo di pace (1861-1939) - Atti del Convegno di Studi tenuto a Milano presso la Scuola Militare dell’Esercito nei giorni 25-26 ottobre 2000, Roma. Pino E., “La crisi di Creta: Il Corpo di spedizione italiano (1897-1899)” in Missioni militari italiane all’estero in tempo di pace (1861-1939) - Atti del Convegno di Studi tenuto a Milano presso la Scuola Militare dell’Esercito nei giorni 25-26 ottobre 2000, Roma. Pezzolet V., “La crisi di Creta: l’opera dei Carabinieri Reali (1897-1899)” in Missioni militari italiane all’estero in tempo di pace (1861-1939) - Atti del Convegno di Studi tenuto a Milano presso la Scuola Militare dell’Esercito net giorni 25-26 ottobre 2000, Roma. Macchi G., Partecipazione italiana ad una operazione multinazionale: Creta 18971906, in “Studi Storico Militari 1985”, SME Ufficio Storico, Roma, 1986.
*Tenente Colonnello
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L’artiglieria delle Legioni di Flavio Russo* Baliste e catapulte a flessione, per il lancio rispettivamente di pietre e di dardi, furono inventate su richiesta del tiranno di Siracusa, Dionisio il Vecchio, agli inizi del IV sec. a.C.. Si partì da una sorta di antesignana balestra, denominata gastrafete (fig.1), rapidamente trasformata da arma manesca in arma da posta leggera o pesante (fig. 2). Inizialmente i propulsori erano costituiti da grossi archi, sostituiti una cinquantina di anni dopo, forse presso la corte di Filippo il Macedone, da robuste matasse ritorte di corde nervine. Per i Romani, ingegna era la denominazione specifica delle macchine da lancio, che per l’adozione dei propulsori a torsione, nevrotoni, furono anche definite tormenta. Si trattò di artiglierie a propulsione elastica, che ebbero in dotazione le Legioni sin dal III secolo a.C.. Intervennero, perciò, anche nell’investimento ossidionale di Pompei, voluto da Silla nell’89 a.C., durante il quale le fortificazioni perimetrali della città e i difensori furono battuti dalle baliste lancia-sassi e dalle ca-
Fig. 2 − Potente lancia-sassi a flessione.
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Fig. 1 − Gastrafete manesco del I sec. a.C..
tapulte lancia-dardi − ribattezzate nel frattempo scorpioni dai legionari − per schiantarne le schermature posticce e sopprimerne i difensori al fine di consentire alle ondate di assalto di scavalcarle. Tra i tiri molti risultarono troppo bassi e le palle di pietra, impattando sull’estradosso
delle cortine, vi lasciarono profondi crateri (figg. 3 - 4). Di esse ci sono pervenute le descrizioni tecniche di Bitone, di Filone, di Vitruvio e di Erone, tutte meticolosamente dettagliate sulle dimensioni delle loro numerose componenti. Essendo però le relative misure ottenute assumendo il diametro della matassa come unità di misura, in materia sarebbe sussistita una deleteria incertezza, se non fosse stata fortunosamente fugata proprio dai crateri da impatto di Pompei (fig. 5). Arresasi la città e restaurate con uno strato di intonaco le mura, provvide il Vesuvio a sigillarle 168 anni dopo, fino alla loro riesumazione agli inizi del ’900. Caduto l’intonaco, ricomparvero i crateri impressi dalle palle di balista e qualche cuspide di dardo infissa nei conci tufacei. Applicando la fomula di calibrazione tramandataci da Filone (D=1.1 ∛p con D diametro matassa e p peso palla), dal diametro dei crateri, circa 140 mm, è stato possibile risalire a quello 79
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della matassa, pari a sua volta a 182 mm, e da questa all’esatto dimensionamento della balista. Grazie alla penetrazione di quei crateri è stato possibile anche calcolare la velocità inziale di quei tiri, prossima ai 100 m/s. Discorso sostanzialmente simile per gli scorpioni, nei quali − in base alla formula D=1/9L dove D è il diametro delle matasse e L la lunghezza del dardo da scagliare − se ne potevano determinare le peculiari dimensioni di ciascuna componente. Fatte queste puntualizzazioni iniziali (che confermano a un tempo l’esistenza di tali armi e le loro originali connotazioni e potenzialità balistiche), è interessante ricordarne le caratteristiche strutturali salienti. In linea di massima la balista, come lo scorpione, si componevano di tre parti: il motore o propulsore, il fusto e l’affusto. A differenza di questi ultimi, completamente di legno, il propulsore era rivestito di piastre metalliche, le quali in alcune fortunatissime circostanze, sopravvivendo alla corrosione, ce ne hanno restituito una minuziosa testimonianza (fig. 6). Negli scorpioni, il propulsore constava di un robusto telaio, una sorta di massiccia scatola quadrata di mezzo metro di lato, formata da una coppia di montanti laterali e uno centrale (dove si apriva la fessura per l’uscita del proietto), serrati fra due assi attraversati in appositi fori dai fasci delle matasse di tendini bovini, le cui estremità erano ancorate sopra e sotto le stesse assi, a flangie di bronzo, o modioli (fig. 7). Nelle matasse stavano avvinti i due bracci dell’arma tendenti, come i corni dell’arco, la corda arciera: ruotando i modioli fin quasi allo snervamento della matassa e poi i bracci, tramite un verricello si rendeva l’arma pronta al tiro (fig. 8). Esistevano inoltre macchine, ribattezzate anche queste dai legionari onagri, con un unico braccio al quale era fissata una robusta fionda: fatto ruotare nel piano verticale da una grossa matassa, aprendosi la fionda per effetto centrifugo, sca80
Fig. 3 − Sezione della tratta settentrionale delle mura urbiche di Pompei con i crateri da impatto.
Fig. 4 − Dettaglio di un cratere da impatto balistico dell’89 a.C..
Fig. 5 − Dimensionamento di un cratere da impatto.
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gliava una grossa palla con una traiettoria fortemente parabolica, in grado perciò di scavalcare le cerchie urbiche. Proietti del genere, molto più grandi dei crateri da impatto, sono stati rinvenuti all’interno di Pompei, confermandoci così l’esistenza dell’arma (figg. 9 - 10). Il ricorso al dimensionamento modulare sembra suggerire l’esistenza di un’ampia gamma di baliste e di scorpioni di varia grandezza e, quindi, di diverse potenzialità in relazione alle precipue esigenze belliche. I tecnici romani, a cui difettava la conoscenza della matematica ma non certo lo spirito d’osservazione, si resero presto conto che la suddetta variabilità era puramente teorica, non manifestandosi in pratica un’analoga gamma di prestazioni. Anzi, spesso, dovettero rilevare che macchine più grandi, sebbene scrupolosamente in proporzione, fornivano prestazioni più modeste delle minori. Finirono perciò per adottare soltanto pochi e ben verificati calibri per le matasse, come del resto accade ancora oggi per l’artiglieria da fuoco. Si spiega forse così il perché dell’identità dei modioli ritrovati in regioni fra loro
Fig. 6 − Resti della blindatura del motore di uno scorpione romano del III-II secolo ritrovato a Caminreal, Spagna.
Fig. 7 − Dettaglio dei modioli in bronzo della ricostruzione di uno scorpione romano.
Fig. 8 − Vista della ricostruzione scala 1:1 di uno scorpione romano.
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molto distanti quali il Marocco o la Romania, ma anche di epoche fra loro molto lontane quali il II secolo a.C. e il IV d.C.. I più recenti ritrovamenti di resti di scorpioni fecero sorgere il dubbio che i Romani in età imperiale avessero elaborato un nuovo modello di artiglierie, mutuandolo magari dai più avanzati prototipi greci. In particolare, traspariva un criterio informatore radicalmente diverso circa il movimento dei bracci e, per conseguenza, un’alternativa connotazione strutturale. Dal punto di vista geometrico, i bracci di un propulsore tradizionale con le matasse centrali ruotano con un’escursione massima di 50° passando a una configurazione a “V”. Se invece le matasse sono periferiche, con un interasse appena superiore alla somma della lunghezza dei bracci, questi possono ruotare con un’escursio81
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Fig. 9 − Ricostruzione di un onagro scala 1:1 privo dell’ammortizzatore.
Fig. 10 − Onagro con l’ammortizzatore di fine corsa.
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ne massima di 120° passando da una configurazione a “M” ad una a “V” con vertice verso il tiratore (fig. 11). Ovviamente in questo caso la corda arciera avrebbe impresso una spinta più energica e più lunga al proietto, con un vistoso incremento della gittata. Verosimilmente, i tecnici militari romani, volendo incrementare le prestazioni della loro artiglieria leggera (senza stravolgerne le caratteristiche fondamentali e i relativi criteri informatori), riuscirono, dopo una serie di esperienze, ad adottare, intorno al II sec. d.C., anche sui pezzi minori, la configurazione palintona delle più potenti baliste (fig. 12). Forse si avRivista Militare
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Fig. 11 − Diagramma dei movimenti eutitoni e palintoni di pezzi d’artiglieria elastica.
valsero della consulenza di Erone, forse ne copiarono i prototipi: di certo allungarono le barre di accoppiamento innestandovi i supporti delle matasse un po’ accorciati. La dimensione delle barre fu ricavata sommando alla larghezza del fusto quella dei bracci (che per una migliore taratura divennero spesso interamente di ferro), in modo da garantire la libera rotazione interna per 120°. La stessa dimensione ebbe pure la corda arciera, fatta arretrare tramite il solito verricello munito di arpionismo d’arresto, alquanto più massiccio per le accresciute energie in gioco. Anche il fusto dell’arma dovette allungarsi sensibilmente poiché, incrementandosi l’angolo di rotazione dei bracci, ne conseguiva una corsa retrograda della slitta quasi doppia di quella delle tradizionali catapulte eutitone. Il fusto venne poi completato con un calciolo a mezzaluna che favoriva il sistema di puntamento dell’arma (fig. 13).
Le piccole catapulte divennero così delle piccole baliste, ovvero delle baliste a mano, appunto delle manuballiste, denominazione che in breve diverrà soltanto ballista e quindi balestra: a quel punto il Medioevo era gia iniziato. Un’arma di modeste dimensioni ma di potenza non inferiore ai più antichi scorpioni. Per una plausibile giustificazione di tante trasformazioni e, soprattutto, del discreto peso che quei nuovi scorpioni avevano, fattore estremamente negativo per un’arma manesca, è lecito reputare che le loro prestazioni fossero impressionanti. Credibili pertanto le gittate sbalorditive ricordate dai trattatisti coevi pari a circa 350-400 m; credibile il tiro al di là del Reno per coprire gli attraversamenti delle Legioni; credibili gli sfondamenti di corazze e di elmi da parte a parte. E, infine, credibili i cospicui risparmi sulle fortificazioni che potevano erigersi con un minor numero di torri bastando un
Fig. 12 − Una potente balista palintona scala 1:2 ricostruita in base ai resti ritrovati ad Hatra, Mosul, custodita nell’area archeologica di Saepinum (Campobasso).
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Fig. 13 − Vista laterale della ricostruzione scala 1:1 di una manuballista romana.
minor interasse fra le stesse. Questa, che potrebbe definirsi la terza generazione, subÏ pochi decenni dopo un’altra significativa
modifica, la quarta e ultima delle artiglierie nevrobalistiche romane, per renderle idonee a sopportare le piogge, fino ad allora talmente
deleterie per le loro matasse igroscopiche da privarle del tutto della necessaria tensione. Per quanto possiamo dedurre dalle ripetu-
Fig. 14 − Particolare della Colonna Traiana: una manuballista in allestimento ippotrainato.
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Fig. 15 − Particolare della Colonna Traiana: una manuballista da posta, azionata da due serventi. Sono bene evidenti i cilindri di protezione.
te raffigurazioni sulla Colonna Traiana (le prime e finora uniche immagini intere di artiglierie romane), la modifica fu ottenuta inserendo le matasse in cilindri metallici. Ne scaturì un’arma efficace anche nei teatri nordici, umidi e piovosi, adottata dalle Legioni sul finire del I secolo, in allestimento da posta o campale, su affusto statico o ruotato (figg. 14 - 15). Ovviamente di un’arma così tanto diffusa, poco deperibile e relativamente a buon mercato, non mancano reperti archeologici. Senza contare che la subordinazione a una ristrettissima gamma dimensionale ne favorì la standardizzazione formale, che a sua volta consentì la rapida sostituzione delle componenti avariate o danneggiate con pezzi di rispetto analoghi, già disponibili, sia perché appositamente costruiti in soprannumero sia perché recuperati da altre armi non riparabili. *Ingegnere e Storico
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Premio FiuggiStoria al CalendEsercito Il 23 gennaio 2018 è stato conferito il “Premio FiuggiStoria” allo Stato Maggiore dell’Esercito per l’opera editoriale “CalendEsercito”, per “l’alto valore didattico e rievocativo di una pagina importante della nostra storia nazionale”. Una quadrilogia che, iniziata nel 2015, ha inteso commemorare il secolo di storia trascorso dalla Prima Guerra Mondiale, un conflitto cruento e sanguinoso che fu però anche il traguardo di un lungo e faticoso percorso risorgimentale che unificò l’Italia come Stato e come Nazione. In questo processo, l’Esercito ebbe un ruolo decisivo: proprio nelle trincee del Carso e del Grappa e sulle rive del Piave iniziò a svilupparsi una coscienza comune, in una quotidianità precaria fatta di sangue, paura, sacrifici ma anche di generosità e fratellanza. Quella quotidianità che contribuirà a omologare linguaggio, cibo, comportamenti, in una identità comune, sviluppando il senso di appartenenza a una giovane Nazione. Da questa riflessione nasce il “CalendEsercito 2018”, che racchiude in sé dodici percorsi tematici: Gioventù, Vecchi leoni, Donne, Volontari, Animali, Uniformi, Alimentazione, Sanità, Musica, Immagine, Religione e Patria. Il filo ideale, che lega questi 12 temi selezionati (ciascuno corrispondente a un mese dell’anno), è quello che riannoda la storia del nostro Paese e delle Forze Armate dal periodo preunitario alla Grande Guerra, sottolineandone la continuità di valori e gli ideali nella trasformazione della società italiana. Ogni tema è sapientemente illustrato da immagini d’epoca che, con i loro colori sbiaditi e la narrazione, rievocano fatti e curiosità, a volte poco noti, del periodo considerato. Il premio è stato consegnato dallo storico e giornalista Pino Pelloni, presidente del “Premio FiuggiStoria” e direttore della “Biblioteca della Shoah–Il Novecento e le sue Storie” al Generale di Divisione Giuseppenicola Tota, Capo del V Reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell’Esercito.
Pino Pelloni consegna il “Premio FiuggiStoria” al Generale di Divisione Giuseppenicola Tota.
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I quattro calendari dell’Esercito Italiano dedicati alla Grande Guerra.
Intervista a Pino Pelloni In occasione della sua visita nella nostra sede, abbiamo avuto modo di conoscere meglio lo storico e giornalista Pino Pelloni, presidente del “Premio FiuggiStoria”. Classe 1949, discendente di una famiglia ebrea di antiche origini, ha svolto i suoi studi universitari tra Roma e Pisa. Ha lavorato come giornalista, storico sociale e della comunicazione, critico drammatico, letterario, saggista e autore di teatro. Come giornalista, ha scritto per “Il Messaggero” e “La Nazione”. Ha inoltre collaborato a numerosi programmi di Rai Uno (tra i quali “La storia della Seconda Guerra Mondiale”, prodotta da Rai Trade-Corriere della Sera). Attualmente Pino Pelloni è anche n. 1/2018
Targa del “Premio FiuggiStoria”.
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Un momento dell’intervista presso la sede del nostro periodico.
il direttore della “Biblioteca della Shoah-Il Novecento e le sue Storie” e dell’Agenzia giornalistica “com.unica”. Dopo una piacevole chiacchierata sui suoi trascorsi da Ufficiale di Complemento alla Scuola di Fanteria di Cesano (72° corso AUC) con riferimenti a lucidi e divertenti aneddoti di “vita di caserma” e sulla sua sempre convinta vicinanza Il Sottotenente Pino Pelloni (al centro) nel 1970.
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all’Istituzione militare, ci ha concesso una breve intervista che di seguito vi proponiamo.
A favore dei nostri lettori, potrebbe illustrare le attività e gli ambiti di competenza dell’Associazione “Fondazione Giuseppe Levi Pelloni-Centro Nazionale Ricerche Storiche-Onlus”? La Fondazione Levi Pelloni è giuridicamente un’associazione culturale no-profit, nata con l’intento di divenire, a seguito di lasciti o donazioni, una fondazione di fatto, ovvero una società di beni. La missione è valorizzare la Storia del Novecento, anzi ad esser più precisi, le Storie del Novecento. Promuovere il patrimonio storico, culturale, artistico, ambientale, sociale ed intellettuale del nostro Paese, con particolare riguardo alla ricerca storica in ambito universitario e alla divulgazione didattica delle Storie e dei Protagonisti del Novecento; alla storia e alla cultura dell’Ebraismo; alla diffusione della cultura e alla salvaguardia dei diritti umani.
L’Associazione, che si avvale dell’apporto di Enti Pubblici e Privati, Università, Associazioni e Fondazioni, cura il “Festival Internazionale FiuggiPlateaEuropa”, gestisce l’Istituzione denominata “Biblioteca della Shoah-Il Novecento e le sue Storie”, il “Premio FiuggiStoria”, la rete Casa delle Memorie, il portale divulgativo “Cnrstoria” e l’Agenzia giornalistica “com.unica”. Fanno parte del patrimonio della Fondazione e sono destinati alla “Biblioteca della Shoah-Il Novecento e le sue Storie” i libri del Fondo Gabrielli, del Fondo Lattanzi-Levi Pelloni, di Don Celestino Ludovici e l’Archivio AgnoneDella Valle.
Tra i vari ambiti di interesse, una particolare attenzione è riservata alla storia e cultura dell’Ebraismo. Quanto peso ha tale aspetto tra le finalità istituzionali dell’Associazione? La storia e la cultura dell’Ebraismo sono parte integrante della nostra missione. Lo sono perchè Rivista Militare
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Biblioteca della Camera dei Deputati (Palazzo San Macuto) all’interno della quale si sono svolte le precedenti edizioni del “Premio FiuggiStoria”.
l’intera cultura occidentale, nel bene e nel male, deriva dalla tradizione giudaico-cristiana. L’Ebraismo è la civiltà millenaria che prende le mosse dal cammino umano e spirituale di Abramo. Ha per suo codice di fede, ma anche di storia, la Bibbia ebraica,
cioè l’Antico Testamento. L’Ebraismo concepisce questo libro come dettato da Dio secondo diversi livelli di ispirazione. La Bibbia ha costituito per lunghi secoli il vero e proprio terreno di vita dell’Ebraismo: non solo un libro di riferimento e nemmeno un co
dice di leggi da rispettare, bensì un autentico cosmo entro il quale situare l’esistenza. Della lunga storia della diaspora di questo popolo, viene posta particolare attenzione su due eventi cruciali che sono: la cacciata dalla Spagna del 1492 e la
Intervento di Pino Pelloni durante la cerimonia di premiazione (a sinistra, nella foto, il giornalista Jas Gawronski).
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Premio FiuggiStoria: tra i premiati anche Piero Angela (in primo piano).
Shoah, ovvero lo sterminio nazista. E ci si confronta con questa grande cultura in esilio, attraverso seminari di studio, incontri nelle scuole, edificando una piccola attività editoriale. Perchè, e non va mai dimenticato, l’Ebraismo si è formato, prima e durante questo lunghissimo periodo storico, come una cultura e una fede. Per meglio dire, costituisce una civiltà vera e propria. E mi preme ricordare come nel pensiero dell’Ebraismo sia centrale l’idea della responsabilità individuale: nel rispetto della legge, ma anche nel concetto di una compassione reciproca che è principio sociale. Ogni individuo è coinvolto nel destino altrui e in qualche modo lo determina. E con la nascita dello Stato di Israele, nel 1948, costruito sulle ceneri dell’Ebraismo europeo sterminato dai nazisti, è risorta una sfida vecchia e nuova all’Ebraismo: il confronto per un verso con una normalità nazionale da cui per millenni era stato escluso, e per l’altro con quella cultura della diaspora che la rinascita non ha affatto azzerato, dandole al contrario nuove ener90
gie e occasioni. Oggi un italiano su cinque ha pregiudizi sugli ebrei, sia a destra che a sinistra. A noi piace ricordare come il relativismo sia sinonimo di libertà, tanto che è proprio un proverbio ebraico a suggerirci che se Dio vivesse sulla terra le persone gli tirerebbero sassi alle finestre.
contri alla Fonte Bonifacio VIII con vere e proprie “lezioni di storia”. Da allora è stato un susseguirsi di storici, saggisti, docenti universitari a presentare le proprie opere. E da lì lanciare, proprio nel settembre di quell’anno, la prima edizione del Premio FiuggiStoria, è stato anche per me e Melograni un gioco da ragazzi. Mi preme ricor-
Tra le tante attività, la sua associazione ha istituito il premio “FiuggiStoria”. Come nasce l’idea? Da trent’anni a questa parte, ogni estate, conduco gli appuntamenti culturali alle Terme di Fiuggi. Incontri che hanno dato la possibilità al pubblico termale, e non solo, di confrontarsi con uomini di cultura, scrittori, artisti, personalità del mondo della politica. Nell’estate del 2010 mi sono ritirato nel mio paese natale, Trivigliano, un borgo medievale alle porte di Fiuggi, in compagnia dello storico (e anche mio maestro e mentore) Piero Melograni, intenti al lavoro di un libro. Ed è stato proprio quest’ultimo a suggerirmi di integrare gli in-
Piero Melograni (Roma, 15 novembre 1930 - Roma, 27 settembre 2012).
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dare come Piero Melograni abbia caldeggiato anche l’istituzione del “FiuggiStoria-Lazio Meridionale” (che si celebra l’ultimo sabato di settembre nell’Aula Consiliare del Comune di Fiuggi) dedicato alla pubblicistica storiografica di quel territorio geografico e culturale. Negli anni il “FiuggiStoria” si è tenuto presso la Fonte dedicata a Bonifacio VIII e poi in Campidoglio e a seguire presso la Biblioteca della Camera dei Deputati a Palazzo San Macuto. I vincitori di quella prima edizione, dedicata alla memoria di Victor Zaslavski, furono Anna Foa, Carlo Annese, Roberto Olla e Andrzej Wajda. Negli anni sono stati premiati David Meghnagi, Amedeo La Mattina, Mario Pirani, Luciana Castellina,
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Gigi Di Fiore, Mario Avagliano, Franco Forte, Claudio Fracassi, Alessandra Necci, Aldo Cazzullo, Vittorio Sgarbi, Milena Agus, Claudio Magris, Paolo Mieli, Gabriele Nissim, Rosa Giolitti, Mariuccia Salvati, Emilio Gentile, Gianluca Scroccu, Gianfranco Calligarich, Laura Lombardo Radice e tanti altri ancora. Questa ottava edizione tenutasi presso la Pontificia Università Antonianum (Roma) e dedicata al ricordo di Enzo Bettiza, ha incoronato Piero Angela, Mauro Canali, Corrado Stajano, Adam Smulevich e Silvia Cavicchioli. E il CalendEsercito. Quest’anno, come ha appena ricordato, il “Premio FiuggiStoria” è stato assegnato anche al
CalendEsercito. Quali sono le motivazioni alla base di tale prestigioso riconoscimento? I quattro calendari che lo Stato Maggiore dell’Esercito ha voluto dedicare al centenario della Grande Guerra sono stati giudicati, dalla nostra commisione, un’opera altamente divulgativa con intento didattico-formativo fuori dagli schemi editoriali vigenti. La ricostruzione storica vista dalla “finestra” della Forze Armate, arricchita da una preziosa documentazione iconografica, sta a testimoniare il valore civile e culturale dell’Esercito Italiano. Un segnale forte per avvicinare i cittadini, soprattutto i giovani, alla sua storia. Una storia che viene da lontano.
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Carcere Militare: ammissibilità del lavoro esterno retribuito di Alessandra Maria Di Spirito*
Cosa succede al detenuto ristretto presso il Carcere Militare dopo la condanna? In particolare, cosa accade al detenuto che voglia beneficiare dell’ammissione al lavoro esterno retribuito?
L’ammissione al lavoro esterno retribuito del detenuto costituisce uno dei principali benefici a cui può accedere il personale condannato alla reclusione o che deve scontare la custodia cautelare in carcere. Esso rappresenta un mezzo di reale rieducazione del reo, in quanto gli permette, dopo la condanna o durante l’espiazione della misura cautelare, di entrare nuovamente in contatto con la società (da cui è stato allontanato a causa del reato commesso) prestando la propria attività lavorativa e ottenendone una retribuzione a titolo di corrispettivo. Come si concilia tale istituto con le peculiarità e le specificità dell’Ordinamento militare, qualora il detenuto militare (o ex militare) o appartenente alle Forze di Polizia (o ex appartenente alle stesse) stia scontando la pena o la misura cautelare presso il Carcere Militare? Occorre premettere (approfondendo successivamente tale aspetto) che la legge consente solo all’ex appartenente alle Forze di Polizia di poter continuare a scontare la propria pena presso il Carcere Militare. L’ex appartenente alle Forze Armate, infatti, per legge, deve essere immediatamente tradotto presso un ordinario stabilimento di pena, al momento della perdita del suo status di militare (che viene meno ad 92
La Caserma “Ezio Andolfato”, sede dell’Organizzazione Penitenziaria Militare.
esempio nel caso in cui sia irrogata la pena militare accessoria della degradazione). Il presente articolo è volto ad analizzare per la prima volta questo istituto nell’ambito del contesto militare, soprattutto al fine di stabilire quali soggetti, detenuti presso il Carcere Militare in Santa Maria Capua Vetere (CE), possano accedere a tale beneficio, alla luce della specificità dell’Ordinamento militare. Al fine di pervenire alla soluzione del quesito e comprendere me-
glio l’attuale disciplina dell’istituto, appare opportuno premettere quale fosse l’originaria normativa prima della riforma “Gozzini”, avvenuta nel 1986. La disciplina vigente all’epoca imponeva un obbligo di scorta nei confronti del personale ammesso al lavoro esterno, un generale limite nei confronti della stessa attività lavorativa esterna autorizzabile (che poteva svolgersi solo nell’ambito del settore terziario) e il generale divieto per il detenuto di ricercare autonomamente l’enRivista Militare
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te/il soggetto che avrebbe potuto costituire il suo datore di lavoro. Inoltre, all’epoca, il magistrato di sorveglianza si limitava a un mero controllo di legittimità del provvedimento di ammissione, demandandone dunque la responsabilità al direttore della Casa di reclusione. Tali caratteristiche, e soprattutto quella di investire quest’ultimo della responsabilità sostanziale circa l’ammissibilità del detenuto al lavoro esterno retribuito, resero di fatto questo istituto − così rilevante ai fini del reinserimento sociale del reo − inapplicato. Pertanto il Legislatore volle ovviare ai citati ostacoli, favorendo la maggiore applicabilità possibile del beneficio e prevedendo, nella sua attuale disciplina, il venire meno sia dell’obbligo di scorta (salvo che ciò sia necessario per motivi di sicurezza), sia della limitazione dell’attività lavorativa al solo settore terziario, sia del divieto di autonoma ricerca da parte del detenuto del possibile datore di lavoro. Inoltre, il controllo sul provvedimento di ammissione al lavoro esterno retribuito da parte del magistrato di sorveglianza o dell’au-
possesso di denaro, ha impedito che vi fosse una retribuzione diretta dal datore di lavoro al detenuto. In virtù di tale principio, le somme corrisposte a titolo di remunerazione − le quali, unitamente al denaro posseduto all’atto dell’ingresso in istituto o inviato dai familiari, costituiscono il c.d. peculio − sono tenute in deposito dalla direzione dell’istituto e vengono riconsegnate al soggetto solo al momento della sua dimissione dallo stesso. Al fine di bilanciare le esigenze
torità giudiziaria, qualora il soggetto sia sottoposto alla misura della custodia cautelare, è stato esteso anche al merito, rendendo di fatto co-responsabili dell’ammissibilità al lavoro esterno del detenuto, tanto il direttore dell’istituto, quanto il magistrato stesso. Il Legislatore poi, al fine di permettere la rieducazione del condannato e allo stesso tempo mantenere fermo il principio di divieto di
rieducative del detenuto con quelle di controllo del reo da parte dell’istituto penitenziario, affinché questi non tenti di sottrarsi alla detenzione, il Legislatore ha previsto che la direzione dell’istituto penitenziario debba esercitare il “diretto controllo” sul lavoro esterno del detenuto (qualora l’attività sia svolta presso una ditta privata) e adottare precisi accordi con i responsabili delle imprese pubbliche
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per l’immediata segnalazione, alla direzione stessa, di eventuali comportamenti del detenuto o internato lavoratore che richiedano interventi di controllo (qualora l’attività si svolga presso un’impresa pubblica). Nell’Ordinamento militare non vi è una disciplina specifica in merito al beneficio del lavoro retribuito esterno e alle sue concrete modalità di attuazione. Nel D.lgs. n. 66/2010 (c.d. “Codice dell’Ordinamento Militare” − C.O.M.) si parla solo genericamente di “lavoro del detenuto”, prevedendo che, nel caso in cui non vi sia una disciplina specifica prevista dal C.O.M. o da “altre norme penali militari”, si applichino le disposizioni dell’Ordinamento penitenziario comune, sostituite, se necessario, le autorità competenti con quelle militari. Così in questo caso si applicherebbero per quanto non espressamente stabilito, le norme sull’Ordinamento penitenziario, fra cui la disciplina generale del lavoro esterno retribuito del detenuto “comune”. Bisogna evidenziare che, alla luce del particolare status rivestito dal personale militare, è necessario bilanciare la disciplina contenuta in tali norme con quanto previsto dalle leggi proprie dell’Ordinamento militare. Pertanto è necessario soffermarsi su quali categorie di detenuti nel Carcere 93
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Militare possano concretamente beneficiare dell’ammissione al lavoro esterno retribuito. La norma prevede al riguardo che possa beneficiare di tale istituto “il detenuto” in presenza di determinati requisiti, quali ad esempio l’aver scontato almeno dieci anni di pena, nel caso di condannati all’ergastolo. Al riguardo si sottolinea che nel Carcere Militare il detenuto non è un soggetto “comune” ma può essere solo un appartenente (o ex appartenente) alle Forze Armate o alle Forze di Polizia (sia ad Ordinamento militare, quale ad esempio l’Arma dei Carabinieri, sia ad Ordinamento civile, come la Polizia di Stato). A quest’ultima categoria di personale, sebbene la Polizia di Stato non costituisca più un corpo militare per effetto della Legge n. 121/1981, è consentito richiedere di scontare la pena presso tale struttura. Alla luce delle rispettive differenze ordinamentali, deve essere dunque separatamente esaminata la possibilità per l’appartenente a ciascuna delle quattro categorie citate (ovvero detenuti militari, ex militari, appartenenti alle Forze di Polizia ed ex appartenenti alle stesse), di essere ammesso o meno al lavoro esterno retribuito. In particolare deve essere differenziata la posizione dell’apparte94
nente (e dell’ex appartenente) alle Forze di Polizia, che in virtù della richiesta di scontare la pena detentiva presso il Carcere Militare, accetta di essere sottoposto al “medesimo trattamento previsto per i militari delle Forze Armate”, come previsto dal D.P.R. n. 90/2010 (c.d. “Testo Unico dell’Ordinamento Militare” - T.U.O.M.), da
il rapporto di servizio nei confronti dell’Amministrazione della Difesa), di conseguenza non può essere ammesso al lavoro esterno retribuito, a causa della permanenza del rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione. Infatti secondo il principio generale vigente nell’Ordinamento secondo cui il “pubblico impiegato” è al servizio esclusivo della Nazione, non può ammettersi che il medesimo soggetto sia allo stesso tempo legato da un rapporto (pubblico) di impiego con l’Amministrazione e da un rapporto (privato) di lavoro subordinato con il datore di lavoro. Dunque la disciplina dell’attività extraprofessionale (autorizzata) del militare in servizio si pone quale eccezione alla generale regola dell’incompatibilità tra il pubblico impiego e lo svolgimento di altra attività lavorativa. La seconda categoria da analizzare riguarda il detenuto militare a cui è stata irrogata la pena accessoria della degradazione (che consegue alla condanna del mili-
quella del militare (o ex militare) appartenente alla Forza Armata. Il detenuto militare, appartenente alle Forze Armate e ancora legato dal rapporto di servizio con l’Amministrazione della Difesa, conserva il suo status (questo viene meno solo nel caso in cui sia stata irrogata la pena accessoria della degradazione o un’altra sanzione che elida
tare all’ergastolo, alla pena della reclusione per tempo non inferiore a cinque anni e alla dichiarazione di abitualità, professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere) e che pertanto ha perso lo status di militare. Questi può essere ammesso al lavoro esterno retribuito, in presenza dei necessari requisiti di legge, Rivista Militare
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dalla direzione dell’istituto penitenziario comune presso cui deve essere tradotto in seguito alla perdita dello status di militare. Pertanto, egli, di fatto, potrà beneficiare del lavoro esterno retribuito solo nel momento in cui sarà trasferito presso uno stabilimento di pena ordinario: per il militare la permanenza nel Carcere Militare è giustificata solo dal perdurare del suo status. Deve essere poi esaminata la posizione del detenuto appartenente alle Forze di Polizia che in seguito alla condanna continua a mantenere il suo rapporto di impiego con l’Amministrazione di appartenenza. Anche per questa categoria si applica il principio generale espresso secondo cui il “pubblico impiegato” è al servizio esclusivo della Nazione, con il conseguente divieto di esercitare attività extraprofessionale (se non nei casi stabiliti dalla legge). Anche in questo caso ricorre la medesima ratio, ovvero l’Ordinamento non ammette che lo stesso soggetto sia contestualmente legato da un rapporto pubblicistico di impiego con la Pubblica Amministrazione e da un rapporto privatistico di lavoro di natura subordinata con un privato datore di lavoro. Per tali ragioni, dunque, l’apparten. 1/2018
nente alle Forze di Polizia, detenuto presso il Carcere Militare, che mantiene il rapporto di impiego non può essere ammesso al lavoro esterno retribuito. Va poi considerata la posizione dell’ex appartenente alle Forze di Polizia, detenuto presso il Carcere Militare su sua richiesta, destinatario di pena accessoria che elida il rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione. Questi potrebbe aver perso il suo status di dipendente pubblico, ad esempio in seguito all’applicazione della pena accessoria di cui al-
l’art. 32 quinquies c.p. (ovvero in seguito alla condanna per delitti contro la Pubblica Amministrazione, quali ad esempio il peculato, la corruzione, la concussione) o alla sanzione disciplinare della destituzione. In questo caso l’ex appartenente alle Forze di Polizia può essere ammesso al lavoro esterno retribuito, in presenza dei necessari requisiti di legge, dalla direzione dell’istituto penitenziario militare, in cui può permanere, ai fini dell’espiazione della pena. In tale ipotesi, al fine di mantenere
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fermo il principio di divieto di possesso del denaro da parte del detenuto, il Carcere Militare dovrà comunque assicurare un’opportuna organizzazione di tipo amministrativo-contabile tale da impedire il passaggio diretto della retribuzione dal datore di lavoro al detenuto. In questa ipotesi (posto che nel caso in cui non vi sia una disciplina espressamente prevista dal C.O.M. o da “altre norme penali militari” devono trovare applicazione le disposizioni dell’Ordinamento penitenziario comune, sostituite se necessario le autorità competenti con quelle militari) l’Organizzazione Penitenziaria Militare (O.P.M.) garantisce il “diretto controllo” sul lavoro esterno del detenuto, qualora esso sia svolto presso una ditta privata, nonchè l’adozione di precisi accordi con i responsabili delle imprese pubbliche per l’immediata segnalazione alla direzione stessa del Carcere Militare di eventuali comportamenti del detenuto o internato lavoratore che richiedano interventi di controllo, qualora il lavoro retribuito esterno si svolga presso un’impresa pubblica. Deve essere evidenziato inoltre che il provvedimento di ammissione al lavoro esterno retribuito disposto dall’Amministrazione della Difesa (che contiene anche le prescrizioni che il detenuto è tenuto a rispettare durante il tempo trascorso fuori dall’istituto nonché
orari di uscita e di rientro), diviene comunque esecutivo dopo l’approvazione del magistrato di sorveglianza che, ai fini della concessione di tale autorizzazione, considererà il tipo di reato commesso, la durata della misura privativa della libertà e l’esigenza di prevenire che l’ammesso al lavoro esterno commetta altri reati. Alla luce dell’esame svolto emerge che, mentre il detenuto ristretto presso il Carcere Militare ex appartenente alle Forze di Polizia, anche in seguito alla perdita del suo rapporto con l’Amministrazione, può continuare a scontare la pena presso il Carcere Militare stesso ed ivi essere autorizzato, in
presenza dei necessari requisiti di legge, allo svolgimento del lavoro esterno retribuito, il detenuto militare invece che ha perso il suo status in seguito alla degradazione è immediatamente tradotto presso un ordinario stabilimento di pena e solo lì potrà richiedere ed eventualmente essere ammesso al lavoro esterno retribuito. Invece la permanenza del rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione non consente un’eventuale richiesta di ammissione al lavoro esterno retribuito del detenuto militare o appartenente alle Forze di Polizia, in quanto ciò è incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di natura privatistica con il privato datore di lavoro.
*Tenente del Corpo di Commissariato dell’Esercito - Legal Advisor
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L’Aspettativa per Riduzione di Quadri Alla luce della Legge di revisione dello strumento militare e del “Riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze Armate” di Francesco Maioriello* L’aspettativa per riduzione di Quadri (A.R.Q.) è una posizione di stato giuridico che si concretizza nell’esonero dal servizio per quei Colonnelli o Ufficiali Generali che, al 31 dicembre di ogni anno, vengono considerati in eccedenza rispetto ai volumi organici stabiliti dal Codice dell’Ordinamento Militare (d’ora in avanti, Codice). Con l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 8/2014, applicativo della Legge di revisione dello strumento militare (Legge n. 244/2012), il Legislatore, con la finalità di rimodulare in senso riduttivo i volumi organici delle Forze Armate (da 170.000 unità nel 2016, a 150.000 nel 2024) (1), ha previsto la possibilità di estendere l’A.R.Q. anche al personale con grado non dirigenziale. Di recente, inoltre, il “Riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze Armate” (d’ora in avanti, “Riordino dei ruoli”), ha introdotto taluni elementi di novità, concernenti l’audience potenziale di riferimento dell’istituto in esame. Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di esaminare il quadro normativo in tema di A.R.Q., con la finalità di rendere la relativa disciplina il più possibile comprensibile ai “non addetti ai lavori”.
FUNZIONE DELL’ISTITUTO E MECCANICA DI COLLOCAMENTO IN A.R.Q. L’istituto giuridico dell’A.R.Q., ad oggi, è visto come una misura di esodo per Colonnelli e Ufficiali Generali. Infatti, tale strumento consente, da una parte, ai medesimi 98
alti Ufficiali − che abbiano maturato una congrua anzianità di servizio − di lasciare, a domanda, anzitempo la Forza Armata; dall’altra, all’Amministrazione della Difesa, di porre a riposo i Colonnelli e gli Ufficiali Generali anagraficamente più anziani, individuati quali esuberi rispetto ai contingenti massimali pre-
visti annualmente. Tuttavia, è opportuno evidenziare che la funzione che assolve principalmente – e per la quale storicamente l’A.R.Q. è stata introdotta nell’Ordinamento militare (di cui rappresenta una peculiarità) – è quella di rendere applicabile il vigente sistema d’avanzamento (2). Rivista Militare
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Quest’ultimo, noto come sistema d’avanzamento “normalizzato”, è fondato su un algoritmo (piramide dei ruoli) che prevede, per ogni anno, in ciascun ruolo degli Ufficiali della Forza Armata (5 ruoli normali e 4 speciali) (3), un numero predeterminato di promozioni per l’accesso ai gradi dirigenziali e nell’ambito dei medesimi, indipendentemente dal numero degli Ufficiali che nello stesso anno lasciano il servizio attivo. Alla base dell’efficace funzionamento di tale sistema, sussiste l’esigenza di permettere, ogni anno, a fronte delle promozioni attribuite, la fuoriuscita del personale più anziano (sul piano anagrafico), di modo che il numerico di Ufficiali in servizio nel grado di Colonnello e in quelli successivi rimanga uguale a quanto previsto dal Codice. L’A.R.Q., di conseguenza, adempie alla fondamentale funzione di “valvola di sfogo”, che permette al “sistema dei ruoli” di mantenersi in
equilibrio, da una parte permettendo l’afflusso nei gradi di Colonnello e in quelli successivi di personale giovane, dall’altra, in maniera corrispondente, di porre a riposo il personale anagraficamente più anziano, qualora, a fronte delle nuove immissioni in un determinato grado, a fine anno, si registri personale in esubero. Per comprendere la meccanica che sovrintende al collocamento del personale in A.R.Q., occorre considerare due grandezze: • i volumi organici teorici di rifermento, relativi agli Ufficiali; • le consistenze organiche degli Ufficiali al 31 dicembre di ciascun anno, nonché il sistema dei parametri volti all’individuazione del personale in esubero. Ciascuna delle due grandezze appena riportate – il cui confronto determina il numero degli Ufficiali da collocare in aspettativa – merita talune note esplicative allo sco-
po di rendere comprensibile il sistema applicativo dell’istituto in argomento. Per quanto concerne i volumi organici degli Ufficiali da considerare annualmente, essi sono individuati, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2024, con apposito Decreto Ministeriale annuale. Quest’ultimo è lo strumento normativo, a disposizione del Dicastero che consente, nel periodo appena menzionato, di raggiungere, in maniera graduale, gli obiettivi numerici stabiliti dalla Legge di revisione dello strumento militare (9.000 Ufficiali per l’Esercito Italiano − fig. 1). Venendo all’individuazione delle consistenze organiche degli Ufficiali, da utilizzare ai fini dell’applicazione dell’A.R.Q., esse sono calcolate considerando tutti gli Ufficiali in servizio alla data del 31 dicembre di ogni anno, decurtati di un numero pari alle “posizioni soprannumerarie” (individuate annualmente con determinazione del Capo di Stato Maggiore della Di-
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fesa). Esse si concretizzano in posizioni organiche che vengono scorporate, ai fini del calcolo dell’A.R.Q., nella considerazione che gli Ufficiali che le occupano sono impiegati o al di fuori del Dicastero o per esigenze di altre Amministrazioni o, ancora, in ambiti non strettamente riconducibili, in via diretta, alla funzione “Difesa” (4). Lo scorporo delle “posizioni soprannumerarie” dalle consistenze organiche permette una riduzione del differenziale tra queste ultime e i volumi organici, limitando così il personale da collocare in A.R.Q. annualmente. Al contempo, non vengono considerati, nell’ambito delle consistenze organiche, gli Ufficiali collocati fuori ruolo, per impiego o incarico temporaneo (di durata superiore a sei mesi) presso organismi/enti internazionali o Stati esteri. Individuati i volumi organici di riferimento, nonché le consistenze applicabili, i primi saranno sottratti a queste ultime, per ogni ruolo e grado, in maniera distinta, individuandosi così il numerico dei Colonnelli e degli Ufficiali Generali da collocare in A.R.Q.. In tale operazione, ove per taluni ruoli, rispetto a un determinato grado, le consistenze organiche dovessero risultare inferiori ai volumi organici previsti, è possibile procedere a compensare gli esuberi in altri ruoli, nel numero e rispetto al gra-
do delle vacanze riscontrate. In ultimo, per quanto concerne la meccanica che presiede all’identificazione degli Ufficiali che saranno collocati in tale posizione, occorre evidenziare che essa è volta, primariamente, ad attribuire priorità al personale che spontaneamente opti per il collocamento a riposo anzitempo, così da limitare il più possibile provvedimenti autoritativi. Le domande di collocamento in A.R.Q. possono essere presentate, nei ruoli e rispetto ai gradi che denotano eccedenze, dai Colonnelli e dagli Ufficiali Generali in possesso di un’anzianità contributiva pari o superiore a quarant’anni o, in subordine, che si trovino a non più di cinque anni dai limiti d’età previsti per il grado rivestito. In via sussidiaria, trova applicazione un principio di funzionalità, volto a limitare il più possibile ripercussioni negative sull’organizzazione. Ciò si traduce – ove sussistano ancora eccedenze, una volta computate le domande di A.R.Q. – nel collocamento a riposo, in via autoritativa, degli Ufficiali promossi al grado di Colonnello nella posizione di “a disposizione”, per ruolo, in stretto ordine anagrafico. La ragione della priorità attribuita a tale tipologia di Ufficiali è insita nella loro peculiare posizione di stato giuridico, per la quale essi trovano impiego solo se occorre sopperire
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a specifiche carenze organiche. Appare, quindi, meno “dannoso”, in termini di impatto sull’organizzazione militare, collocare a riposo un Ufficiale in servizio permanente “a disposizione”, rispetto a uno in servizio permanente effettivo. In ultimo, ove sussistano ancora esuberi, trova applicazione il criterio anagrafico, per cui, ove in un determinato ruolo e grado sussistano eccedenze, l’ordine delle fuoriuscite è necessariamente dal più anziano al più giovane (fig. 2).
LE CARATTERISTICHE DELLA POSIZIONE DI A.R.Q. Il Colonnello o l’Ufficiale Generale collocato in A.R.Q., pur appartenendo alla categoria del servizio permanente, è esonerato dal servizio, sino al raggiungimento dei limiti di età previsti per il grado rivestito, rispetto al ruolo d’appartenenza. Al contempo, l’Ufficiale può chiedere di cessare anticipatamente dal servizio permanente, transitando in ausiliaria, ove ne abbia i requisiti, o nella riserva. L’Ufficiale in A.R.Q non è valutato per l’avanzamento, anche in caso di richiamo, ferma restando l’applicazione dell’istituto della promozione, a titolo onorifico, il giorno successivo alla cessazione dal servizio, introdotto dal “Riordino dei Ruoli” nel Codice, all’art. 1084-bis. Pertanto, nel caso in esame, la promozione viene attribuita alla cessazione dalla posizione di aspettativa (5). Il militare in A.R.Q., in quanto in servizio permanente, è amministrato dall’ultimo Ente presso il quale ha prestato servizio (nell’ambito della relativa forza potenziale) e mantiene un rapporto di dipendenza gerarchico-funzionale, ai fini disciplinari, dal Comandante di Corpo del medesimo Ente. Al personale collocato in A.R.Q. compete il trattamento economico fisso e continuativo dei parigrado in servizio, ridotto del 5% (ad esclusione dell’indennità integrativa speciale, che viene percepita nella sua Rivista Militare
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interezza). Nonostante la (pur minima) riduzione del trattamento economico percepito, il montante contributivo, ai fini della maturazione dell’indennità di quiescenza, continua a essere calcolato sul totale degli emolumenti previsti. Nella disciplina dell’istituto in esame è insita la possibilità del richiamo. Ove così non fosse, l’esistenza di tale posizione di stato non avrebbe senso giuridico, poiché si procederebbe direttamente al collocamento in congedo del personale in eccedenza. Come stabilisce l’art. 909 del Codice, infatti, gli Ufficiali in tale posizione di stato “[ ] sono a disposizione del Governo per essere all’occorrenza impiegati per esigenze del Ministero della Difesa o di altri Ministeri [ ]” e, in particolare, “[ ] il Ministro della Difesa, in relazione a motivate esigenze di servizio delle Forze Armate, ha facoltà di richiamare (i medesimi) a domanda [ ]”. Tuttavia, il processo di rimodulazione in senso riduttivo dei volumi organici delle Forze Armate in atto – che rende poco plausibile l’esigenza del richiamo del personale collocato in A.R.Q., poiché in eccedenza – nonché l’esigenza di perseguire economie di spesa hanno condotto l’Amministrazione Difesa a limitare fortemente i richiami in servizio. La Direttiva per la pianificazione dei richiami in servizio degli Ufficiali e del personale non direttivo delle Forze Armate (ed. 2016), dello Stato Maggiore della Difesa, infatti, prevede una policy dei richiami improntata “al rispetto della «eccezionalità» e «assoluta necessità»”. Sul piano normativo, e al di là degli attuali indirizzi di policy, l’Ufficiale collocato in A.R.Q. può essere richiamato in servizio “con assegni” o “senza assegni”. “Nel primo caso è previsto l’assenso del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nel secondo caso il richiamo si attua per motivate esigenze di servizio delle Forze Armate, previa dichiarazione di disponibilità dell’interessato, che mantiene il trattamento economico previsto dall’A.R.Q.”. n. 1/2018
L’A.R.Q. “NON DIRIGENZIALE” Il Decreto legislativo n. 8/2014, in attuazione della delega assegnata dalla Legge di revisione dello strumento militare, ha previsto l’estensione dell’A.R.Q. a tutte le categorie di militari non dirigenti. L’istituto dell’A.R.Q. “non dirigenziale” (così chiameremo la tipologia di A.R.Q. appena citata) prevede analoga disciplina dell’omonimo istituto rivolto ai Colonnelli e agli Ufficiali Generali, per quanto concerne il trattamento economico e l’avanzamento, ma non prevede la possibilità di richiamo. Tuttavia, l’A.R.Q. “non dirigenziale” ha carattere di misura di esodo eventuale, a completamento del complesso sistema di gestione degli esuberi, ideato allo scopo di conseguire, entro l’anno 2024, gli obiettivi di rimodulazione degli organici delle Forze Armate. Occorre di conseguenza svolgere un accenno a tale sistema, la comprensione del quale risulta fondamentale per capire a pieno la possibile incidenza applicativa del menzionato istituto. L’Amministrazione Difesa annualmente fissa, con Decreto Ministeriale, i volumi organici di tutto il personale militare, tenendo conto dell’andamento delle consistenze e dell’evoluzione dei flussi finanziari a disposizione del Dicastero. Sulla base dei volumi organici previsti e del loro confronto con le consistenze organiche, al 31 dicembre di ogni anno, nel periodo 2016-2024, vengono determinate le unità di personale, con grado non dirigenziale, eventualmente in eccedenza, distinte per grado e qualifica. Il sistema per la gestione di tali eccedenze prevede quello che il Codice, innovato dal Decreto legislativo n. 8/2014, chiama “piano di programmazione triennale scorrevole”. In particolare, a decorrere dall’anno 2016 e sino all’anno 2024 (ai sensi dell’art. 2209-quater del Codice), “è adottato ogni anno un piano di programmazione triennale scorrevole per disciplinare le modalità di attuazione: • dei transiti del personale militare
in servizio permanente non dirigente [ ] nei ruoli del personale civile dell’amministrazione della difesa e di altre amministrazioni pubbliche”; • delle riserve di posti nei concorsi indetti da altre Pubbliche Amministrazioni. In estrema sintesi, mediante ciascun piano di programmazione triennale scorrevole, dovrebbe essere allocato, nei tre anni successivi, il numerico di personale in eccedenza (con grado non dirigenziale) dichiarato dal Ministero della Difesa, attraverso il confronto tra l’offerta di professionalità svolta dal Dicastero e i posti resi disponibili dalle altre Pubbliche Amministrazioni. Queste ultime dovrebbero assicurare, comunque, un quantitativo di assunzioni riservate pari ad almeno il 5%. Il transito, eventualmente attivato, è aperto – nei limiti del numero e della tipologia professionale delle eccedenze definite – a chiunque si dichiari disponibile e vanti almeno 10 anni di servizio permanente. Al termine dello svolgimento di ciascun piano di programmazione triennale scorrevole, ove gli obiettivi di “smaltimento” degli esuberi non siano stati conseguiti (mediante la meccanica del transito o delle riserve di posti in sede concorsuale), “il personale militare non dirigente [ ] non altrimenti riassorbibile” è soggetto ad A.R.Q. (ai sensi dell’art. 2209quater del Codice). Viene collocato in A.R.Q. il personale in eccedenza anagraficamente più anziano – indipendentemente dalla Forza Armata o dal ruolo d’appartenenza, nonché dal grado rivestito – che, “al 31 dicembre dell’anno di scadenza di ciascuna programmazione triennale”, si trovi a “non più di tre anni dal compimento dei limiti di età [ ] e qualora abbia maturato i requisiti utili per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato” (art. 2209-septies del Codice). In tale meccanica, tuttavia, viene comunque attribuita priorità al personale che opti volontariamente per il collocamento in A.R.Q., presentando “domanda al 101
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31 dicembre di ciascun anno”, sempre che “al 1° gennaio dell’anno di riferimento sia a non più di sette anni dal raggiungimento del limite di età previsto per il grado e il corpo di appartenenza” (art. 2209septies del Codice). Sulla base del sistema elaborato dal Legislatore e poc’anzi sintetizzato (schematizzato nella fig. 3), occorre evidenziare che l’attivazione dell’A.R.Q. “non dirigenziale” è condizionata, in primo luogo, alla dichiarazione annuale di eventuali esuberi, da parte del Ministero della Difesa. Tale eventualità, ad oggi, non si è verificata e, nella considerazione che il processo di rimodulazione delle consistenze organiche del personale militare lascia all’Amministrazione Difesa un ampio grado di discrezionalità nella gestione della riduzione degli organici, l’ipotesi di dichiarare eccedenze rientra nella sfera del plausibile e non di ciò che è necessitato. In secondo luogo, l’intervento
dell’A.R.Q. “non dirigenziale” è conseguente all’attivazione della meccanica del piano di programmazione triennale scorrevole, in ordine alla cui efficacia non si può che ben sperare, sebbene la complessità che caratterizza il sistema, nonché il numero di Dicasteri ed enti coinvolti, rende piuttosto improbabile il buon esito del processo di transito del personale militare in altre amministrazioni. In ultimo, occorre evidenziare che, al di là dell’attivazione delle misure previste dai piani di programmazione triennale scorrevole, la plausibilità di azionare l’A.R.Q. “non dirigenziale” è funzione dell’entità della dichiarazione delle eccedenze. Si consideri, infatti, che il numero di eventuali esuberi, dichiarati al 31 dicembre dell’anno di riferimento, è naturalmente compensato dalle fuoriuscite di personale, ad anzianità o mediante “scivolo”, che si verificano nel corso dell’anno successivo, tenuto conto che i moduli di
reclutamento ad oggi sono già tarati sul “modello a 150.000”. Pertanto, ove l’eventuale dichiarazione di eccedenza annuale sia opportunamente graduata a una legge di rimodulazione progressiva, il personale in esubero è destinato a essere assorbito dalla quiescenza, nel corso dell’anno successivo alla stessa dichiarazione di eccedenza o, nel peggiore dei casi, nei tre anni del relativo piano di programmazione scorrevole. Le considerazioni appena riportate ci conducono a ritenere l’istituto dell’A.R.Q. “non dirigenziale” misura caratterizzata da residualità applicativa. Un’ultima considerazione, che occorre svolgere in ordine all’ambito applicativo dell’A.R.Q. “non dirigenziale”, è conseguente al riconoscimento della dignità dirigenziale ai gradi di Maggiore e Tenente Colonnello, operata di recente dal “Riordino dei ruoli”. Tale novella legislativa, infatti, non solo statuisce che la
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carriera degli Ufficiali (nella sua interezza) “ha sviluppo dirigenziale”, ai sensi dell’art. 627 del Codice, ma attribuisce ai Maggiori e ai Tenenti Colonnelli il trattamento economico dirigenziale, ai sensi dell’art. 1820 del Codice, estendendo ad essi, peraltro, la potestà di spesa, ove titolari di comando con autonomia amministrativa, ai sensi dell’art. 540 del Codice (fig. 4). Tale innovazione rende necessariamente i Maggiori e i Tenenti Colonnelli immuni dall’ambito applicativo della meccanica del piano di programmazione triennale scorrevole e dell’A.R.Q. “non dirigenziale”. Si consideri, infatti, che l’art. 2209-quater del Codice (rubricato “piano di programmazione triennale scorrevole”) fa riferimento al solo “personale militare in servizio permanente non dirigente”, così come l’art. 2209-septies (in tema di
estensione dell’A.R.Q.) dispone esclusivamente nei riguardi del “personale militare non dirigente”. *Tenente Colonnello
NOTE (1) O altro termine successivo, fissato con Decreto annuale del Presidente del Consiglio dei Ministri. Tale precisazione (sebbene omessa nel prosieguo della presente analisi) va considerata ogniqualvolta ci si riferisce al periodo “finestra” stabilito dal Decreto legislativo. n. 8/2014. (2) In tal senso, la Corte Costituzionale nella Sentenza n. 257/1989 (in http://www.cortecostituzionale.it/action Pronuncia.do). (3) I ruoli nei quali sono iscritti gli Ufficiali in servizio permanente dell’Esercito Italiano sono i seguenti: a) Ruolo
normale delle Armi di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, trasmissioni; b) ruolo normale dell'Arma dei trasporti e dei materiali; c) ruolo normale del Corpo degli ingegneri; d) ruolo normale del Corpo sanitario; e) ruolo normale del Corpo di commissariato; f) ruolo speciale delle Armi di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, trasmissioni; g) ruolo speciale dell'Arma dei trasporti e dei materiali; h) ruolo speciale del Corpo sanitario; i) ruolo speciale del Corpo di commissariato (art. 809 del Codice). (4) Si consideri, al riguardo che, con innovazione introdotta dal “Riordino dei Ruoli”, anche gli Ufficiali impiegati presso le sedi delle rappresentanze diplomatiche italiane all’estero possono essere ricompresi nel novero delle “posizioni sovrannumerarie”. (5) Sempre che, nell’ultimo quinquennio, il militare abbia prestato servizio senza demerito.
Fig. 4
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I quattro cannoni cinesi conservati nell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio di Carla Sodini* Nella sala d’ingresso dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio (Roma) sono esposti quattro cannoni in bronzo del calibro di circa 130 millimetri, elegantemente decorati con perlinati e ghirlande di fiori e foglie di loto nonché ricoperti da una bella patina verde. Distribuiti in due coppie, differiscono fra loro, di poco, per lunghezza e per disposizione degli ornati. Le culatte sono, invece, eguali con semicerchi inferiori decorati da intrecci di fiori e foglie di loto. Sempre sul retro, sono incise, a raggiera, iscrizioni bilingue: a destra in cinese, a sinistra in manciù (lingua madre della dinastia Tsing). Il Generale ingegnere Enrico Clausetti, nel suo articolo Cannoni cinesi del secolo XVII (1), ha pubblica-
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to la traduzione delle iscrizioni, identiche per tutti i quattro cannoni, eccetto che per le specifiche balistiche. L’iscrizione è allineata in file verticali di ideogrammi che si leggono dall’alto in basso e da destra a sinistra. La traduzione (2) è riportata nel box sottostante.
I cannoni, quindi, di origine cinese, erano stati fabbricati presumibilmente sul finire del 1600 e, secondo l’uso del tempo, era loro attribuito l’appellativo generico di “Gran Generale”. Inoltre, come ogni pezzo d’artiglieria, portavano un nome attinente alla loro funzione distruttiva. I quattro fusti, conservati presso
≈ Nel XXVIII anno di regno dell’imperatore Kang-Hsi della dinastia Tsing ≈ Fabbricato ≈ «Milizia Perfetta ed Eterna» Gran Generale può caricarsi ≈ (Con) sei libbre e otto once di polvere ≈ (e) palla di ghisa di 13 libbre ≈ Si alzi la mira di otto “fen” e nove “li” (3) ≈ Sui disegni di Nan Huairen ≈ Ispettori Fu Pao ≈ (e) Sci Sse ≈ Ingegnere Uang Ci Cen ≈ Fonditori Li Uen Te ≈ (e) Ien Sse
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l’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, erano stati costruiti durante il regno dell’imperatore Kangxi, il secondo sovrano della dinastia tartara o manciù dei Qing. Salito al trono a 8 anni, è ricordato come uno dei più grandi sovrani della Cina e il suo regno – durato 61 anni (1661-1722) – fu uno dei più lunghi nella storia dell’impero. Sul piano militare, Kangxi dovette affrontare una lunga serie di rivolte e invasioni. Fra queste si ricorda la ribellione dei “Tre feudatari” (1673) della Cina meridionale alla quale seguì, nel 1675, la rivolta dei Mongoli Burni del Chakhar. Sedate le due sollevazioni in pochi mesi, grazie all’impiego massiccio di forze e alla grande esperienza dei suoi comandanti militari, nel 1684 Kangxi si impossessò di Taiwan fino ad allora dominata dal regno di Tungning, ultimo baluardo di resistenza della dinastia Ming. Dopo un duro conflitto lungo la vallata del fiume Amur (16501660), terminato con la vittoria della Cina, nel 1680 i russi avevano tentato nuovamente d’invadere l’impero attraverso la frontiera settentrionale. La guerra terminò nel 1689 con la firma, da parte dei due sovrani, del trattato di Nercinsk che attribuiva alla Cina il possesso del fiume Amur. Anche nello scontro con i russi, Kangxi alternò alla forza delle armi quella della diplomazia mediante lunghe trattative rese più difficili dall’utilizzo di lingue diverse. L’imperatore prese parte anche alla guerra fra i mongoli Khalkha e quelli Dzungar per l’influenza del buddismo tibetano, appoggiando − anche militarmente − i Khalkha che, dopo l’occupazione del loro territorio, gli
avevano chiesto protezione con atto di sottomissione. Lo scontro terminò nel 1690 con la vittoria imperiale sugli Dzungar nella battaglia di Ulaan Butum in Mongolia. Nel 1696 lo stesso imperatore condusse una nuova campagna militare contro gli Dzungar. La guerra si concluse con la sconfitta dell’impero nomade grazie alle armi da fuoco utilizzate dai mancesi che bloccarono la cavalleria comandata da Galdan Khan che, poco dopo, si suicidò per non cadere nelle mani dei nemici (4). Oltre che per i suoi meriti militari, l’imperatore Kangxi è ricordato anche per il ruolo di protettore delle lettere, delle industrie e della scienza. Si deve a lui il più completo dizionario di caratteri cinesi. Fondò inoltre una preziosa biblioteca; sostituì l’antico sistema astronomico cinese con quello europeo grazie al contributo scientifico di alcuni Padri
della Compagnia di Gesù, autorizzò il culto cristiano con l’editto di tolleranza del 1692 e permise ai gesuiti di insegnare nell’impero (5). Sotto il suo regno anche l’esercito fu interessato da un importante processo di modernizzazione e Kangxi si preoccupò di rifornirlo di cannoni e nuove armi (6).
FERDINAND VERBIEST Anche se costruiti alcuni anni dopo la sua morte (1688), i cannoni del Museo dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, erano stati fabbricati su disegni di “Nan Huairen” (in manciù, Nan Hûwai-jin) cioè del gesuita Ferdinand Verbiest S.J. (Societas Jesu), matematico, astronomo, fonditore di cannoni presso la corte dell’imperatore Kangxi. Nato in Belgio (Pittem) il 29 ottobre
Nella pagina accanto Foto storica dei quattro cannoni conservati presso l’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio. Sullo sfondo, padre Fernando Bortone S.J., autore del libro intitolato I gesuiti alla corte di Pechino. A destra Ferdinand Verbiest (Alfred Hamy, Galerie illustrée de la Compagnie de Jésus, VIII, n. 32, Paris, Chez l’auteur, 1893).
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1623, nel settembre del 1641 entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù a Malines. Dopo un’intensa formazione matematica e umanistica, si recò al Collegio Romano per lo studio della teologia che poi completò a Siviglia. Nel 1656, assieme a Padre Martino Martini e ad altri otto missionari, venne inviato in Cina. Vi giunse nel 1659 dopo un viaggio avventuroso e cominciò a svolgere la sua opera missionaria nella provincia di Shaanxi. Nel 1660, dietro suggerimento di Padre Schall, l’imperatore lo chiamò a Pechino per lavorare, come assistente, presso l’ufficio astronomico imperiale di cui Schall era direttore (7). Più tardi, nel 1668, fu nominato direttore del dicastero di Astronomia assumendo quindi la dignità mandarinale. Nel 1670 Padre Verbiest donò all’imperatore vari congegni tra cui una macchina per il sollevamento dei pesi e un globo celeste, sul quale una lente proiettava il movimento del sole dalla mattina alla sera e indicava la costellazione in cui l’astro era entrato in quel momento (8). Nel 1673 Kangxi gli affidò la costruzione di nuovi strumenti per le osservazioni astronomiche che furono collocati sul terrazzo dell’osservatorio di Pechino. L’anno successivo il gesuita fu nominato presidente effettivo e, quattro anni dopo, responsabile del dicastero dell’Astronomia. Nel 1678 Verbiest concluse il nuovo calendario cinese a cui aveva lavorato anche Padre Schall. Molto ammirato dall’imperatore che volle essere anche suo allievo, Padre Verbiest svolse a corte, per la sua conoscenza di diverse lingue, anche un’importante attività di relazione con gli stranieri, con funzioni simili a quelle di un ministro degli esteri. Quando morì a Pechino, l’8 gennaio 1688, fu lo stesso imperatore a scrivere la sua orazione funebre e la guardia imperiale partecipò alle esequie seguendo, nel corteo, le immagini della Vergine col Bambino. Le circostanze che portarono Verbiest all’attività di costruttore di pezzi d’artiglieria si ricollegano alla 106
rivolta dei “Tre feudatari” (16731681) e alla spedizione militare Sino-Manciù contro le fortezze russe di Albazin sull’Amur negli anni 1685, 1686 (9). Con la rivolta delle province dello Yunnan, del Fujian e del Guangdong metà del territorio cinese fu sconvolto dalla guerra. L’imperatore era consapevole della forza dell’esercito nemico che occupava un territorio montagnoso, scavato dai fiumi e privo di strade, quindi facile da difendere e difficile
do il gesuita a intraprendere un’attività molto intensa ed estranea ai suoi impegni precedenti (12). È difficile sapere quanti cannoni abbia costruito il gesuita durante la sua attività di fonditore perché il loro numero cambia a seconda delle fonti; molte indicano circa 500 (566) pezzi (13). La sua attività iniziò il 10 settembre 1674, quando gli fu ordinato di fondere cannoni di piccolo calibro con fusti di ferro ricoperti di legno
Illustrazione tratta dall’opera di Verbiest sulla fusione dei cannoni dal titolo Shenwei tushuo, conservata in ARSI (Roma), 67 III. L’immagine indica il metodo per esaminare l’“anima” dei cannoni con uno specchio che riflette i raggi solari all’interno dei pezzi.
da attaccare. Comprese quindi che la repressione della ribellione avrebbe richiesto sforzi considerevoli per migliorare e accrescere la potenza dell’artiglieria del proprio esercito che mancava soprattutto di cannoni leggeri più agevoli al trasporto (10). Si rivolse quindi a Verbiest che, inizialmente, sembra avere tentato, senza successo, di evitare questa incombenza, in contrasto con il suo apostolato religioso, implorando l’imperatore di lasciarlo fuori “dalla guerra di questo mondo” (11). Kangxi rimase irremovibile costringen-
dipinto: cannoni che potessero essere facilmente trasportati. Verbiest lavorò alla prima generazione di cannoni dal 1674 al 1676 producendo 132 esemplari. Il gesuita e i suoi aiutanti fusero anche 20 pezzi all’olandese il cui modello era stato importato dalle Province Unite nel 1604. Nel 1680, sedata la ribellione dei “Tre principi”, l’imperatore, ormai determinato a unificare l’intera Cina, cominciò a pensare a rinforzare ulteriormente le sue artiglierie. Ordinò perciò a Verbiest di fondere i vecchi cannoni di bronzo che si trovavano nella Rivista Militare
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provincia di Zhili per trasformarli in nuovi pezzi. Il 5 marzo 1682, il gesuita fu in grado di presentare all’imperatore altri 240 cannoni. Proprio in quell’anno, il governo Qing stava organizzando un’azione militare contro i russi verso la frontiera di nord-est. Nel 1683, dopo avere visitato il parco delle artiglierie, un gruppo di principi facenti parte dell’amministrazione decise di far costruire, sempre sotto la direzione di Verbiest, 53 nuovi cannoni per portare a 80 il numero dei pezzi e distribuirne uno a ciascun settore delle truppe imperiali (14). Nel luglio del 1686, Kangxi ordinò al gesuita un nuovo tipo di cannone. Verbiest eseguì un modello molto simile a un mortaio (chongtian pao) incernierato su una base formata da due semicerchi graduati paralleli in metallo che agevolavano il suo rapido cambiamento di direzione nel tiro tramite una diversa inclinazione del fusto. Verso la fine della sua esistenza, il religioso realizzò 61 pezzi d’artiglieria chiamati wuchengyonggu e otto definiti shengong. Questa attività non im-
pedì al gesuita di progredire nei suoi studi di astrologia e filosofia. A parte una traduzione in manciù dei primi sei libri di Euclide, Verbiest scrisse in cinese circa trenta libri. L’impegno di Verbiest come fonditore non era, come sembrava apparentemente, in contraddizione con la sua opera di evangelizzazione in Cina e aveva illustri predecessori, fra cui Padre Johann Schall von Bell che, dopo aver lavorato alla riforma del calendario dinastico e aver costruito importanti strumenti astronomici, nel 1636 si dedicò alla fusione di 20 cannoni da 40 libbre che, trasportati su cammelli, vennero impiegati contro i manciù. È stato, infatti, sottolineato come i gesuiti, attraverso le loro scuole e i loro insegnamenti orientati alla formazione dei figli dell’Europa cattolica, avessero un ruolo importante nell’insegnamento e nella diffusione dell’architettura militare (15). Inoltre le loro conoscenze nell’ambito della matematica applicata alla disciplina delle fortificazioni non rimasero confinate nell’ambito teorico ma si
estesero, sul piano concreto, a tutti i teatri di guerra barocchi come uno strumento aggiuntivo all’impegno missionario dell’ordine. I gesuiti, arrivati in Cina nel 1582, avevano presto compreso che solo uno stretto legame con la corte avrebbe loro permesso di guadagnare al cattolicesimo le classi più colte e più vicine al sovrano. Anche l’attività di Verbiest come fabbricante di cannoni rientrava nelle conoscenze dei gesuiti delle scienze balistiche e in una strategia missionaria già ben definita che non mancò di suscitare molte critiche soprattutto da parte di religiosi di altri ordini che accusavano i seguaci di Ignazio di Loyola di un’eccessiva immedesimazione negli usi e costumi cinesi (questione dei riti cinesi) con troppa interazione fra cattolicesimo e confucianesimo (16). Di avviso diverso si dimostrò, invece, il Pontefice Innocenzo XI che elogiò pubblicamente Verbiest per avere utilizzato le scienze profane per la salvezza del popolo e i progressi della fede (17). Sappiamo che il gesuita compose un piccolo trattato sull’artiglie-
Cannoni e (nel riquadro) particolare della decorazione.
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Pechino, terrazzo dell’osservatorio astronomico (Stampa tratta da F. Verbiest S.J., Compendium latinum... libri organici, fig. 1, sintesi del Liber organicus astronomiae europeae stampato a Pechino nel 1668).
ria e la balistica intitolato Shenwei Tushuo (Spiegazioni e illustrazioni del cannone denominato meraviglioso e terribile) ora andato perduto. Anche il titolo del lavoro è rimasto sconosciuto per lungo tempo. Di questa opera, secondo Giovanni Stary, restano solo due tavole conservate presso l’ARSI (Archivio romano della Società di Gesù) e pubblicate nel suo saggio (18).
CANNONI CINESI A ROMA E IN ALTRI MUSEI D’EUROPA Nei cinquant’anni di regno dell’imperatore Kangxi furono costruiti 905 cannoni di cui più della metà erano stati progettati e fusi sotto la direzione di Ferdinand Verbiest. La tecnica perfetta, la forma elegante e la loro solidità non furono mai 108
eguagliate dai cannoni realizzati nel corso delle altre dinastie (19). Oltre a quelli conservati nel Museo dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, a Roma altri tre cannoni progettati da Verbiest, di calibro e dimensioni inferiori, sono esposti nella sala della Giustizia del Museo di Castel Sant’Angelo. L’arrivo nella capitale degli uni e degli altri risale agli anni della Rivolta dei Boxer iniziata quando un grande numero di organizzazioni popolari cinesi si ribellò contro l’influenza colonialista straniera e la sistematica violazione delle tradizioni e regole di comportamento cinese. Iniziati nel 1899, i disordini antioccidentali si trasformarono in una guerra vera e propria nel 1900. Nel giugno di quell’anno, dopo una lunga serie di aggressioni, i Boxer assediarono il quartiere delle delegazioni a Pechino. Gli occiden-
tali replicarono con l’invio di un primo contingente di 436 uomini − fra cui russi, inglesi, francesi, statunitensi, tedeschi, giapponesi, austriaci e 41 italiani − con il compito di proteggere le rispettive delegazioni. Altri 2.000 marinai del secondo contingente occidentale arrivarono a Pechino il 10 giugno. Il 20 di quel mese il governo dell’imperatrice vedova Cixi dichiarò guerra alle Otto Potenze occidentali dopo una politica incerta fra tentativi di dialogo e scelte più radicali in favore dei Boxer. Il 14 agosto, dopo 55 giorni di accerchiamento delle delegazioni, gli assediati furono liberati dall’intervento di un nuovo contingente internazionale di 20.000 soldati. L’imperatrice vedova, l’imperatore e i più alti funzionari della corte, nel frattempo fuggiti a Xi’an, chiesero allora di avviare trattative di pace offrendo sostanziali indennizzi alle Rivista Militare
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vittime e altre concessioni. Subito dopo la liberazione delle delegazioni, le forze internazionali, approfittando anche della debolezza politica dell’imperatore, procedettero alla spartizione della capitale e al saccheggio di quanto più prezioso vi trovarono. La devastazione durò per molti mesi. Ciascun contingente cercò di portare via, come trofeo, il maggior numero di oggetti preziosi. Nel settembre del 1901 l’imperatrice fu costretta a firmare il protocollo dei Boxer e a impegnarsi in una pesantissima indennità di guerra. Il quartiere delle delegazioni di Pechino fu ampliato, vietato ai residenti cinesi e posto sotto il controllo permanente delle truppe straniere. Fu in questo contesto che i soldati italiani − seguendo il comportamento di altre truppe occidentali come vedremo fra breve − acquisirono, sottraendoli alle mura di Pechino, 7 o 8 cannoni di bronzo forgiati secondo i disegni di Verbiest. Probabilmente i fusti vennero condotti a Roma per essere successivamente collocati nel Museo dell’Ingegneria Militare all’interno di Castel Sant’Angelo, inaugurato nel 1906 e creato dal Capitano del Genio Mariano Borgatti. I cannoni probabilmente furono trasferiti nel 1911 nelle Casermette di Urbano VIII assieme al resto della colle-
zione che adottò la denominazione di Museo Storico del Genio Militare. In seguito alla decisione, nei primi anni ’30, di destinare a parco pubblico l’area intorno a Castel Sant’Angelo, il Museo e l’Istituto furono trasferiti nella Caserma “Piave”, dando origine all’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio. Fu in seguito a questo trasferimento che i cannoni più piccoli vennero lasciati in Castel Sant’ Angelo mentre i quattro di maggior calibro furono spostati nella nuova sede. Quando nel 1939 l’Istituto fu trasferito nella struttura appositamente costruita sul Lungotevere della Vittoria, i quattro pezzi furono collocati nella sede che occupano attualmente. Oltre a quelli conservati a Roma molti altri cannoni fusi da Ferdinand Verbiest giunsero in Europa negli anni della Rivolta dei Boxer e furono collocati in diversi musei. Secondo Giovanni Stary (20), due di questi, con differenti e bellissime decorazioni, sono conservati presso il Museum für Deutsche Geschichte di Berlino. Un cannone può essere visto al Bayerisches Armeemuseum di Ingolstadt. Un altro nel Museo della Veste Coburg, in Baviera. Altri due pezzi sono esposti a Londra (The Armouries, Tower of London; Chelsea Royal Hospital).
Due, ancora, si trovano a Vienna (Heeresgeschichtliches Museum) e altri due a Budapest. Questi ultimi, conservati presso il Museo di Storia Militare, sono stati descritti da G. Kara in tutti i loro particolari (21). Anche questo autore ricorda il loro arrivo in Europa nel 1900 cioè al tempo della Rivolta dei Boxer (22). Un altro esemplare, non segnalato da Giovanni Stary, è conservato presso l’Historisches Museum di Berna. Portato a Berlino nel 1902 assieme ad altri 11 pezzi da Alfred Graf von Waldersee, comandante in capo dell’alleanza delle Otto Nazioni, fu collocato nel Museo di Storia militare di Berlino. Il museo decise di disfarsi dell’intera collezione nel 1936 per recuperare lo spazio per una mostra dedicata alla Prima Guerra Mondiale. Fu allora che il direttore del Bernisches Historisches Museum, Rudolf Wegeli, decise di acquistarne uno. Solo recentemente, però, dopo un esame attento dei testi cinesi e manciù incisi sulla culatta del cannone di bronzo, è stato possibile attribuirlo all’ultima serie realizzata da Ferdinand Verbiest (23). *Docente di Storia Militare presso l’Università degli Studi di Firenze
NOTE Statua dedicata a Ferdinand Verbiest, a Pittem (Belgio), sua città natale.
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(1) Clausetti E., Cannoni cinesi del secolo XVII, in “Bollettino dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio”, fasc. 16, dicembre 1942-XXI, pp. 3-10. In partic., pp. 7-8. Il Generale Clausetti (nato a Napoli nel 1871 e morto a Roma nel 1944) fu direttore dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio. Autore di libri e di articoli di storia militare, molti dei quali dedicati alla Roma imperiale, alla tecnologia militare romana e medioevale e all’architettura del Rinascimento. (2) Si riporta anche la traduzione dal manciù di Giovanni Stary (The “Manchu Cannons” cast by Ferdinand Verbiest and the Hitherto Unknown Title of his Instructions, in “Ferdinand Verbiest [16231688], Jesuit Missionary, Scientist, Engineer and Diplomat”, edited by John W. Witek, S.J, published by Institut Mo-
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numenta Serica, Sankt Augustin and Ferdinand Verbiest Foundation, Leuven, Steyler Verlag Nettetal, 1994, pp. 215225): “Nel ventottesimo anno di Kangxi della grande dinastia Qing (1689). Il cannone chiamato Condottiere grande e leale in eterno e Artificiere del Potere Imperiale, fu fabbricato. La polvere necessaria è 6 gin 8 yan (3879.304 g). Per il lancio di una palla di ghisa di 13 gin (7758.609 g). Con la mira alzata di 8 fun e 9 li (28,48 mm). Il funzionario incaricato di disegnare la forma fu Nan Hûwai-jin. I funzionari supervisori del lavoro furono Foboo e Sostai. Il capo degli artigiani fu Wang Zhichen. Gli esecutori furono Li Wande e Yan Si”. (3) Il “fen” è una misura di lunghezza che vale un decimo di pollice (il pollice cinese è pari a 32 mm). Il “li” equivale a un decimo del “fen”. (4) Roberts J.A.G., Storia della Cina. La politica, la realtà sociale, la cultura, l’economia dall’antichità ai nostri giorni, Newton e Compton, Roma, 2012, p. 260. Per uno studio più approfondito del periodo, ved. The Cambridge History of China, vol. 9 (“The Ch’ing Dynasty to 1800”, part. II), edited by W.J. Peterson, Cambridge U. P., Cambridge, 2016. (5) Le concessioni imperiali in materia di religione e la particolare benevolenza nei confronti dei gesuiti era strettamente legata al contributo, presso la corte, di alcuni appartenenti all’Ordine, come valenti matematici e astronomi nonché come fonditori di cannoni durante le guerre civili. L’editto faceva riferimento a questi due aspetti. Ved. I Gesuiti in Cina – XVII e XVIII secolo: http://www.tuttocina.it/fdo/gesuiti-incina.htm#.WQmid9Lyjcs.; anche Dunne G. (Generation of Giants: the Story of the Jesuits in China in the Last Decades of the Ming Dynasty, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 1962, p. 317318) scrive: “Tra gli episodi che maggiormente favorirono la riconoscenza di Kangxi verso i gesuiti, e che portarono all’editto di tolleranza del 1692, vi fu la fornitura di tecnologia per la costruzione di cannoni, a opera di Verbiest: 132 cannoni nel 1674 e 300 piccoli cannoni e 8 grandi nel 1680”. (6) Weiqiang Z., Gunpowder Empire: The European Artillery and Operations during Kangxi Reign, in “National Palace Museum Research Quarterly”, vol. 1, 3 sept. 2012, pp. 161-194.
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(7) Ved. Bortone F., I Gesuiti alla corte di Pechino. Due secoli e mezzo di eroismi per la diffusione della fede cattolica in Cina, Desclée & C. – editori pontifici, Roma, 1969, p. 83. (8) Ibid., p. 110. (9) Stary G., op. cit. p. 221. (10) Liguang S., Ferdinand Verbiest and the casting of Cannons in the Qing Dinasty in “Ferdinand Verbiest [1623-1688], Jesuit Missionary, Scientist, Engineer and Diplomat”, Steyler Verlag Nettetal, 1994, p. 229. (11) Ved. Needham J., Science and Civilization in China, vol. 5, pt. 7, “Military Technology: the Gunpower Epic”, Cambridge U. P., Cambridge, 1986, p. 395; Crosby A.W., Throwing Fire. Projectile Technology Through History, Cambridge U. P., Cambridge, 2001, p. 109. Sembra che il gesuita eseguisse l’incarico a malincuore e che per controbilanciare il disappunto desse “un nome di santo ad ogni cannone dopo averli benedetti con l’acqua santa”. Ved. Zoratto B., Giuseppe Castiglione pittore italiano alla corte imperiale cinese, Fasano di Puglia, Schena editore, 1994, p. 20. (12) L’ammirazione dell’imperatore nei confronti del gesuita, soprattutto per la sua attività di fonditore di cannoni, è stata enfatizzata dalla letteratura dell’Ottocento. Si legge, infatti, nella Biografia Universale Antica e Moderna (Ossia storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti, vol. LX, presso Gio. Battista Missaglia, Venezia, 1830, p. 314): “L’imperatore, dopo avere veduto l’effetto di tale nuova artiglieria, si spogliò di una veste foderata di martore di gran prezzo e della sua sottoveste, e le donò a Padre Verbiest in segno della sua soddisfazione; qualche mese dopo, dietro proposizione del tribunale delle grazie, lo fregiò di un titolo d’onore”. Ved. Inoltre Storia del Cristianesimo dell’abate Di Berault-Bercastel, canonico della chiesa di Noyon, n. e., t. XXVI, presso Francesco Alessandri, Firenze, 1823, pp. 162-163. (13) Golvers N., Ferdinand Verbiest, S. J. (1623-1688) and the Chinese Heaven. The Composition of the Astronomical Corpus, its Diffusion and Reception in the European Republic of Letters, Leuven University Press – Ferdinand Verbiest Foundation, Leuven, 2003, pp. 143-144. (14) Liguang S., op. cit. p. 233.
(15) De Lucca D., Jesuits and Fortifications: The Contribution of the Jesuits to Military Architecture in the Baroque Age (History of Warfare, vol. 73.), Brill, Boston, 2012. (16) Esiste un’ampia bibliografia sull’argomento. Si rimanda a Brockey L. M., Journey to East: The Jesuit Mission to China, 1579-1724, Harvard U. P., Harvard, 2007. (17) Waley-Cohen J., China and Western Technology in the Late Eighteenth Century, in “The American Historical Review”, vol. 98, n. 5 (dicembre 1993), p. 1532. Il breve papale apparve lo stesso anno in cui Verbiest fu costretto a difendersi dagli attacchi del Padre domenicano Domingo Navarrete. Ved. Rowbotham A., Missionary and Mandarin, University of California Press, Berkeley, 1942. (18) Stary G., op. cit., 222. Per i documenti di Verbiest conservati presso l’Archivio romano della Società di Gesù, ved. Chan A. S. J., Chinese Books and Documents in the Jesuit Archives in Rome. A descriptive Catalogue, Japonico-Sinica IV (II, 67, III), Routledge, London and New York, 2015. (19) Liguang S., op. cit., p. 242. (20) Stary G., op. cit., pp. 215-220. (21) Kara G., Sur deux canons chinois des Ts’ing, in “Acta Orientalia Academiae Scientiarum Hungaricae”, X (1960), pp. 249-253. (22) Si ha inoltre notizia che tre cannoni, di calibro più piccolo, catturati presso la porta Ha Ta delle mura della città tartara di Pechino fra il 13 e il 14 agosto 1900, furono inviati negli Stati Uniti dal Colonnello Webb C. Hayes del 31° Reggimento fanteria. Anche questi cimeli portano l’iscrizione che li attribuisce alla scuola di Verbiest. Trascinati a Tung Chow per 15-20 miglia, i pezzi furono poi smantellati e collocati su giunche cinesi fino a raggiungere il mare e essere imbarcati su navi americane. Uno di questi tre cannoni è stato messo in vendita a Cincinnati nel 2011 per 149.500 dollari. Un altro cannone simile è stato venduto a Londra nel 2010 per 45.000 sterline. Altri esemplari si trovano al Museo nazionale di Pechino e uno a Tokyo (Collection of Antique Guns). (23) Khayutina M., Eine chinesische Kanone aus der Ära des Kangxi-Kaisers (regierend 1661–1722) al sito Bernischen Historischen Museum, pp. 29-39.
Rivista Militare
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Cinzia Ballesio, Le figlie dei militari − Una scuola nuova per le donne della nuova Italia, Neos Edizioni, Torino, 2017, pp. 224, euro 22,50 Il testo della scrittrice torinese Cinzia Ballesio Le figlie dei militari − Una scuola nuova per le donne della nuova Italia dell’ottobre 2017, riprende, approfondendoli, i temi già anticipati dall’autrice in un articolo pubblicato sul n. 5/2010 della “Rivista Militare”, scritto insieme a Stefania Crepaldi e Paola Manchinu, dal titolo “L’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari Italiani a Torino”. L’autrice racconta in questa sua opera la storia − in parte dimenticata e di certo poco indagata − dell’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari, collegio laico e innovativo nato nel capoluogo piemontese nel 1868 a opera di Maria Luisa del Carretto e chiuso dopo poco più di un secolo. L’autrice, oltre a ripercorrere alcuni tratti salienti della storia del collegio femminile, considerato all’epoca un’eccellenza nel panorama nazionale e sostenuto da personaggi di livello nella vita culturale del periodo, per esempio lo scrittore Massimo d’Azeglio, giusto per citarne uno, si basa su una ricca documentazione archivistica, integrata sapientemente con le testimonianze delle n. 1/2018
ex allieve o dei prossimi congiunti, tutti intervistati personalmente dall’autrice. Considerando l’intento originario della fondazione dell’Istituto, e cioè quello di educare “degne madri” dei futuri italiani, bisognava istituire “una scuola di civile e morale educazione per le venture generazioni”. L’autrice ricostruisce tutta una serie di inedite e accattivanti storie nella storia, aventi per protagoniste le donne, la scuola e la società. Più in dettaglio, si tratteggia con decisa sensibilità storica la vita condotta in Istituto da quasi ottomila allieve di tutte le età e di settecento donne tra personale direttivo, insegnanti e assistenti. La narrazione delle loro vicende permette la comprensione e la ricostruzione della vita del collegio, offrendo nel contempo spunti interessanti per inquadrare la realtà femminile dell’epoca. Un’epoca contraddistinta da gran fermento ideologico e politico, dove le donne iniziano, tra l’altro, a definire la loro identità e a emanciparsi.
Andrea Castiello d’Antonio, Luciana d’Ambrosio Marri, Risorse umane e disumane − Come vivere oggi sul Pianeta R.U., solo in edizione digitale, in formato ePUB e pdf. Giunti O.S. Psychometrics, Firenze 2017, pp. 189, euro 4,99
Il testo in questione non è un manuale, e nemmeno un libro per soli esperti di risorse umane. È un testo innovativo e dal tono vivace per contenuti e per approcci ai vari aspetti della vita organizzativa, che di solito figura popolata da personaggi umani e da altri all’opposto decisamente “disumani”. E da questi, suggeriscono gli autori, sarebbe consigliabile addirittura difendersi. Il testo tratteggia un quadro di questa realtà composita, dove le persone si chiamano “Risorse Umane (R.U.)”, governate spesso da regole non scritte. I due autori del libro, uno psicologo del lavoro specializzato in sviluppo delle Risorse Umane e una sociologa del lavoro e consulente, forti della loro esperienza pluridecennale nel campo del management e delle organizzazioni, trattano temi di forte appeal e attualità. Tra questi, si parla per esempio di digital disruption, digital mindset, self-employability, diversity, well-being, leadership femminile, ma anche di emozioni, innovazione, velocità, generazioni a confronto e resilienza. Il Pianeta R.U. è in buona sostanza abitato da capi e colleghi, con diritti e doveri, compiti e obiettivi, budget e risultati. Ci si imbatte qui, insomma, in novità, criticità, situazioni tipiche, talvolta interessanti, ma in certi casi anche inquietanti, che è meglio saper fronteggiare identificando gli strumenti e i comportamenti necessari. In questo periodo ricco di trasformazioni culturali e socio-economiche, della robotica, di leadership sane e malate, la distinzione tra Risorse Umane e Disumane acquista un gran peso. Nell’era della diffusione dell’innovazione e delle nuove competenze che, nel mondo digitale, della robotica e del cloud computing divengono essenziali, è necessario dotarsi di strumenti per decodificare il Pianeta R.U. e utilizzare chiavi di lettura e strumenti che possano aiutare ciascun abitante a creare una propria felicità organizzativa. Il testo è orientato a suggerire come operare produttivamente insieme agli altri. 111
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Cesare Pettorelli Lalatta, L’occasione perduta. Carzano 1917, Edizioni Mursia, Milano, 2017, pp. 306, euro 20,00 L’autore di questo libro è anche uno dei protagonisti dell’azione descritta in questo saggio pubblicato per la prima volta nel 1966. “Bello come un sogno, Carzano avrebbe potuto e dovuto essere la Caporetto austriaca [ ] con risparmio, per parte dell’Italia, di tanto dolore”. Da un lato c’era un gruppo di “irredentisti” appartenenti all’Esercito austro-ungarico, comandati dal Tenente Ljudevik Pivko, che, nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1917, tramite un collaboratore, fece pervenire agli italiani un plico contenente, oltre alla descrizione della sistemazio-
ne difensiva di un tratto della prima linea austriaca in Valsugana, una proposta di collaborazione dello stesso. Dall’altro c’erano le truppe italiane, alle quali apparteneva il Maggiore Cesare Pettorelli Lalatta (nome di copertura: Capitano Finzi) facente parte dell’Ufficio Informazioni della 1 a Armata. Al primo incontro fra i due, avvenuto la notte del 22 luglio, ne seguirono altri per definire i dettagli dell’azione. Il piano, che aveva come scopo una penetrazione a sorpresa nelle linee austriache e il raggiungimento di Trento con una colonna, fu illustrato, il 4 settembre successivo, al Generale Luigi Cadorna che designò, quale comandante dell’operazione, il Generale Etna. Il comando del nucleo che avrebbe fatto irruzione per primo nella Valsugana venne affidato al Generale Zincone il quale, però, non aveva alcuna esperienza nel comando di truppe in combattimento. Se da un lato l’Italia aveva a disposizione 40.000 uomini ai quali andavano aggiunti un centinaio di elementi in campo nemico disposti alla più completa collaborazione, dall’altro l’Austria contrapponeva uno schieramento di 4.000 uomini. L’operazione, suddivisa in cinque fasi, ebbe luogo nella notte tra il 17 e il 18 settembre. Ma, se la prima fase si svolse regolarmente, con la seconda iniziarono i problemi, a causa di contrattempi e ritardi che si accumulavano e per il fatto che non tutti i militari austro-
ungarici erano stati drogati. Pertanto cominciò a diffondersi l’allarme nelle file austriache che iniziarono a far fuoco contro gli italiani. A complicare il tutto ci furono gli stretti camminamenti che le truppe italiane dovevano percorrere e gli ordini che pervenivano alle varie unità con sfasamenti e ritardi. Il Generale Zincone, resosi conto del fallimento dell’effetto sorpresa, chiese al Comando d’Armata, ottenendolo, il permesso di sospendere l’azione “[...] «Signor maggiore» -mi urlò di dietro un portaordini – «alt, ritirata!». Alt, ritirata? Era pazzo quel soldato! Gli corsi incontro, urlando. Quell’imbecille poteva far nascere il panico. «Il Generale Zincone ordina di sospendere l’azione e ritirarsi» - mi ripetè la staffetta -« devo recare l’ordine scritto anche a quelli di Carzano». Mi volsi verso Pivko che mi aveva seguito. Era impietrito. Il suo lavoro, il mio lavoro; il suo sacrificio, il mio sacrificio; il suo rischio, il mio rischio erano divenute bazzecole; il sogno tutto, di fronte alla rude realtà di un’incomprensibile incapacità di comandanti, svaniva come una nube trasportata dal vento [...]”. Verso le 5.30 i primi austriaci rientrarono a Carzano. Alle 12.00 era tutto finito. A seguito di un’inchiesta, ordinata dal Generale Luigi Cadorna, i Generali Etna e Zincone vennero esonerati dai loro comandi. Gianlorenzo Capano
tutti i mesi in edicola dal 1993 L’immagine d’epoca, sempre puntuale e di elevata qualità, è una delle caratteristiche salienti di questo mensile che si avvale della collaborazione dei più affermati specialisti nei vari settori storico-militari.
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Rivista Militare
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