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Alberto Santoni, storico e amico Alberto Santoni, storico e amico di Mariano Gabriele
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di Mariano Gabriele
Ero titolare da qualche anno della cattedra di Storia e Politica Navale nella Facoltà di Scienze Politiche della “Sapienza”, quando trovai ad aspettarmi sulla soglia della mia stanza un giovane che avevo notato frequentemente a lezione: “Io” – mi disse – “sono Santoni”; chissà perché, mi venne in mente che nello stesso modo, dignitoso e modesto – “Je suis Anquetil” - si era presentato Jacques Anquetil ai campioni della strada del suo tempo quando aveva partecipato alla sua prima gara a tappe. Il mio studente aveva da sempre avuto un grande interesse alla storia, particolarmente navale, tanto che sulla sua scelta della Facoltà aveva pesato l’esistenza di quella specifica disciplina. Aveva già letto il leggibile sulla guerra russo-giapponese del 1904-1905 e mi proponeva di preparare la sua tesi di laurea sulla battaglia di Tsushima, di cui conosceva quasi tutto, ma sulla quale intendeva lavorare ancora per più di due anni per essere in grado non solo di ricostruire con precisione i fatti eliminando stereotipi e leggende, ma di dar loro anche un’interpretazione politica e militare utile a definirne origini, significati e conseguenze. Era stato così appassionato e persuasivo che non tentai nemmeno di fargli cambiare idea, sebbene diffidassi molto dei lavori che gli studenti dedicavano a grandi eventi già molto studiati, come Lepanto, Trafalgar e, appunto, Tsushima.
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Questo fu il primo incontro; dopo la laurea, conseguita con valutazione trionfale e complimenti della Commissione, rimase agganciato alla cattedra come assistente, prima volontario, poi di ruolo, e fu il migliore che avessi mai avuto, sia per il rapporto con gli allievi, sia per il lavoro scientifico personale. Portammo gli studenti a Napoli per visitare la portaerei Coral Sea; sul ponte di volo Alberto illustrava le caratteristiche di quella nave che non aveva mai visto, con tale precisione e abbondanza di particolari che l’ufficiale incaricato di guidarci si meravigliò e gli chiese se aveva servito nella Marina degli Stati Uniti. Santoni sorrise e gli spiegò di avere servito nella Marina dei libri: non erano tanto quelli della Facoltà, che avevo orientato soprattutto verso aspetti politico-storici, quanto i suoi personali, molti dei quali trattavano la tecnica delle costruzioni e degli armamenti.
Amava le navi. E voleva vederle, toccarle: i suoi pellegrinaggi attraverso il mondo avevano spesso come meta unità storiche. A Plymouth si commosse davanti alla Victory, l’ultima nave di Nelson; a Greenwich si interessò all’interno e alle snelle fiancate del Cutty Sark, non ancora combusto; a Boston studiò le lastre di metallo che corazzavano il legno della Constitution; sempre negli Stati Uniti seguì stravaganti percorsi costieri aventi per meta località nelle quali venivano conservate unità della seconda guerra mondiale; colse l’occasione dell’XI Congresso internazionale di Storia Militare a Seoul – dove presentò una relazione - per andare a vedere nella baia di Tokyo la corazzata Mikasa, nave ammiraglia di Togo nel 1905. Della Mikasa e di Togo aveva scritto ancora l’anno precedente ne La battaglia di Tsushima (Roma, Ateneo, 1985).
Tra il 1977 e il 1979, anticipata da una serie di saggi che trattavano eventi specifici, pubblicò la “Storia generale della guerra in Asia e nel
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Pacifico (1937-1945), per i tipi della STEM di Modena1 (1), senza dubbio il lavoro più completo sul tema comparso fino allora nel nostro Paese. Un contributo importante alla conoscenza di aspetti non secondari del conflitto fu poi il volume che Alberto Santoni scrisse insieme a Francesco Mattesini, La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), edito in Roma, Ateneo, 1980 e poi ristampato a Parma, Albertelli, 2005, pp. 639. Seguirono un’agile monografia su La seconda battaglia navale della Sirte (Roma, Ateneo, 1982).
Non lavorava di fantasia o di risulta, tanto che ritenne indispensabile, come Luraghi per la guerra civile americana, vedere di persona diversi teatri di guerra per confrontare quella esperienza con le fonti, documentarie e a stampa, allora in massima parte statunitensi. Riordinava e arricchiva intanto – c’è un fondo che porta il suo nome – l’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare. In riconoscimento della sua opera nel 1978 fu nominato tenente di vascello Londra 2008. Alberto in estasi davanti alla macchina ad honorem per meriti cifrante Enigma (Foto Alfonso Carolei) storici. Divenuto titolare della cattedra di storia militare a Pisa, fu incaricato di Storia Navale nell’Accademia di Livorno e nominato consulente per la storia dello S. M. della Marina.
1 L’opera, in tre volumi (I. Il Giappone all’attacco, II. Il riflusso della marea, III. La vittoria alleata) per complessive pp. 1171, ha avuto due ristampe: Pisa, Libreria del Lungarno, 1994 e Roma, Ares, 2009-2011.
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Poco prima del 1980, Santoni scoprì nei fondi dell’Ammiragliato britannico le decrittazioni di quei messaggi navali della Regia Marina che l’apparato informativo inglese aveva fornito alle forze combattenti. Proprio perché in quegli anni non si era ancora spenta l’eco delle accuse e delle polemiche del dopoguerra contro la Marina – Trizzino la tacciava di tradimento e aveva vinto la causa intentatagli per diffamazione - il volume che dava conto dei risultati di quella ricerca ebbe come titolo Il vero traditore: il ruolo documentato di Ultra nella guerra del Mediterraneo (Milano, Mursia, 1981; traduzione tedesca: Ultra stegt im Mittelmeer, Koblenz, Bernard & Graefe, 1985): sia pure con qualche ruvidezza espositiva, aveva il fine dichiarato di contrapporre le nuove conoscenze alle turpi insinuazioni del passato, poiché le informazioni carpite dall’avversario favorivano la comprensione di taluni eventi sfavorevoli della guerra sul mare. Come scrissi nella prefazione, anche se il contributo di Ultra non poteva essere stato “assolutamente determinante” per la guerra navale – nessun fattore lo era stato da solo - bisognava tenerne conto.
Le tesi di Santoni non furono però bene accolte negli ambienti ufficiali, perché sembravano sottovalutare le capacità di protezione e decrittazione dell’Ufficio Cifra della Regia Marina, a quell’epoca non ancora rese del tutto note. Oggetto di “denontia secreta” e inquisito dal Supremo Consiglio dei Dieci, Santoni trovò asilo politico presso il Re di Sardegna, che, una volta tanto lungimirante, invece di rinchiuderlo a Miolans gli com-
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missionò la storia delle operazioni in Sicilia e in Calabria del lugliosettembre 1943. Fu quello l’ultimo atto (1982) da capo Ufficio storico dello SME dell’amico e consocio generale Oreste Bovio, il cui successore, l’indimenticabile Pierluigi Bertinaria cedette infine alla richiesta di Santoni di firmare l’opera col suo nome (1983, nuova edizione 1989, pp. 579): fu così modificata la prassi fino ad allora seguita dall’Ufficio, che voleva anonime le storie ufficiali delle campagne.
Sulle decrittazioni britanniche pubblicò ancora tre volumi: Guerra segreta sugli Oceani. L’Ultra britannico e i corsari tedeschi (Milano, Mursia, 1984), che ne evidenziava il ruolo nella caccia; Il primo Ultra Secret: l’influenza delle decrittazioni britanniche sulle operazioni navali della guerra 1914-1918 (Milano, Mursia, 1985), da cui uscivano ridimensionati famosi ammiragli inglesi; ULTRA, Intelligence e macchine ENIGMA nella guerra civile di Spagna 1936-1939 (Milano, Mursia, 2010), uno studio che poneva molti interrogativi: poiché le notizie decrittate non ebbero alcuna ricaduta in favore dei repubblicani - i governi conservatori di Baldwin e Chamberlain non l’avrebbero mai consentito - a che erano servite? Per esercitare gli addetti alla decrittazione? Per conoscere come Marina e Aeronautica italiane erano organizzate in Ispagna? E poi, questi documenti erano così importanti che si erano aspettati 60 anni prima di renderli consultabili, quando erano bastati poco più di 30 per quelli che riguardavano la guerra?
L’insegnamento, a Pisa e soprattutto a Livorno, richiedeva dei testi aggiornati di storia generale navale per l’istruzione dei discenti, e la stessa domanda veniva dal pubblico esterno dei lettori interessati al mondo marittimo e navale, che non trovava una risposta adeguata sul mercato nazionale. Di qui la serie di opere – cinque – che Santoni scrisse per rispondere a tale esigenza. Al primo volume, Da Lissa alle Falkland (Milano, Mursia, 1987), seguì dopo tre anni Da Lepanto ad Hampton Roads (Milano, Mursia, 1990, ristampa 2000), che ebbero molto successo. L’Ufficio Storico della Marina Militare editò gli altri tre a Roma: Storia e politica navale dell’età contemporanea (1987), Storia e politica navale dell’ultimo cinquantennio (1995), Storia e politica navale dell’età moderna (1998). Non erano semplici manuali, perché in ogni volume era presente lo sforzo di offrire al lettore approfondimenti ed elementi di conoscenza che derivavano da una accurata e completa ricerca bibliografica e documentaria diligentemente riportata in calce ad ogni libro. Nel settore
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queste opere sono insuperate e costituiscono un eccellente modello di integrazione tra storia generale e settoriale poiché l’autore condivideva l’idea che lo specialista debba anzitutto conoscere bene la storia e solo dopo inserirvi il racconto navale: Alberto non avrebbe mai chiamato Royal Navy la flotta di Cromwell.
Per apprezzare la vastità degli interessi scientifici di Santoni non è sufficiente ricordare le sue 14 opere principali – per 16 volumi – su cui ci siamo soffermati. Sarebbe necessario considerare anche i 104 saggi ed articoli suoi, pubblicati su note riviste italiane e straniere, dalla Rivista Marittima a Marine Rundschau, dalla Revue Internationale d’histoire militaire alla Rivista Italiana Difesa, da Nuova Storia Contemporanea ai Cahiers de Montpellier, da Storia Militare al Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, dalla Rivista Storica all’Enciclopedia angloamericana The European Powers in the First World War e alle Memorie Storiche dell’Ufficio Storico dello SME. Sono scritti che trattano di guerre, momenti ed episodi navali tra il XVII e il XX secolo: alcuni approfondiscono eventi o mo30 settembre 2011. Alberto a Verona per il menti particolari che poi ritroconvegno Sism “Le Armi di San Marco” viamo nelle opere maggiori; altri le politiche, le strategie e le tattiche, oltre a temi tecnici concernenti le costruzioni, le armi, le flotte e le navi. Una tale ampiezza di conoscenze si ritrova nei suoi interventi ai
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Congressi e ai Convegni – più di 80 – cui prese parte in patria e all’estero, interventi nei quali cercava, tutte le volte che era possibile, di offrire qualche cosa di nuovo.
“Herbert G. Wells, the English Novelist, playing an indoor War Game” “Herbert G. Wells, the English Novelist, playing an indoor War Game” A pochi intimi Alberto confidava, dietro un romano scudo di auto ironia, di un romanzo che andava componendo e che lo vedeva protagonista di audaci e romantiche avventure in compagnia di Horatio Hornblower e Corto Maltese. Era infatti lui pure, perché tacerlo?, affiliato come noi tutti alla nobile confraternita degli Eterni Adolescenti. Durante le sue visite negli archivi inglesi gli capitò più volte di assistere al celebre Tattoo. Collezionava modelli di navi e frequentava l’Associazione Romana Giochi Operativi (ARGO) fondata dall’ammiraglio Giovanni Saladino, autore di Alfa Tau, un famoso regolamento di wargame aeronavale pubblicato nel 1982 da Mursia. Dal 2000 la sua meta quotidiana divenne la Libreria Militare Ares di Raffaele D’Aniello, la seconda libreria italiana specializzata in storia militare dopo “LA” Libreria Militare di Milano, fondata
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nel 1995 da alcuni allievi di Virgilio Ilari. Più fortunato del nostro presidente, che ogni settimana doveva portarsi in treno a Roma gli acquisti fatti a Milano, ad Alberto bastavano pochi passi, perché la Ares è in via Lorenzo il Magnifico, quasi parallela a via Michele di Lando, la strada di Alberto. E lì si era col tempo formato un gruppo di suoi discepoli ed amici, beneficiari e testimoni della sua cultura e del suo carisma. Per me era quasi un figlio, un amico caro, insieme al quale compiere viaggi di studio, partecipare a convegni e congressi, discutere senza fine sulle nostre reciproche fissazioni riguardo a questo o quell’evento del passato. Solo ora comprendo a pieno che quello fu un tempo felice. Poi, sopraggiunse la malattia, scoperta tardi, implacabile. Non posso non ricordare lo stoicismo con cui affrontò il male e il cammino verso la morte: sapeva da subito che era questione di tempo e me lo spiegò serenamente, come se si trattasse di un’altra persona. Nell’aprile 2013 andammo al giardino zoologico, o come diavolo di chiama adesso: vi si poteva arrivare in automobile e c’erano molte panchine. Mi disse che quella era l’ultima primavera della sua vita, che era stata nel complesso bella e lunga a sufficienza. Poi si interruppe e mi mostrò ridendo i bambini che disputavano alle scimmie la frutta secca comprata dai genitori per gli animali. Mi parlò a lungo della differenza di clima che faceva dire in Italia “A San Benedetto, una rondine sotto il tetto”, mentre in Inghilterra la
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poesia che annunciava lo stesso evento2 si riferiva a molti giorni dopo. E chiacchierammo a lungo sull’influenza dell’elemento climatico sulle marine del Nord e su quelle mediterranee. Si era fatta quasi sera e lo riaccompagnai a casa; mi ripeté che era stato felice dell’esistenza che aveva avuto: a me dispiaceva che ne parlasse al passato, ma a lui no perché aveva già scontato tutto e considerava quel giorno di primavera romana come un dono insperato.
Con Ernesto Pellegrini, un altro mio vecchio assistente, andavamo ogni tanto a colazione con Alberto, al ristorante “La casetta” (quello di via Famiano Nardini), e lui riusciva a farne degli incontri allegri, spigolando ironicamente sulle peripezie della Roma, la squadra di cui era tifoso pur mettendone in burla debolezze e magagne. E sfotteva il gestore, al quale aveva vinto una cena per quattro persone scommettendo con argomenti folli sulla vittoria dell’Italia nel campionato del mondo del 2006. Più amara per me fu la sua ultima uscita pubblica nell’autunno scorso - al Vittoriano per la celebrazione del centenario dell’Ufficio Storico della Marina, cui aveva voluto essere presente benché gli fosse penoso tenersi in piedi – perché mi diede una busta che conteneva una sua fotografia, spiegandomi che sarebbe servita per il “coccodrillo” della Società Italiana di Storia Militare, di cui era vice-presidente. Sapeva che la Società aveva appena raccolto la sua bibliografia completa e che avrebbe dedicato questo quaderno al ricordo di lui.
2 The spring ivy climbed/ on the old wall/ with an impetus of youth./ The ivy twines round/ the rooftree like/ at trunk of a tree/ The ivy covered the bricks/ with little bright/ leaves the ivy attacks/ the tiles with new/ swallow a nest.