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di Alberto Monteverde “
Parte V Storia del riSorgimento 471
La Parata Navale di Cagliari La Corazzata Sardegna e la Parata Navale di Cagliari di Alberto Monteverde La Parata Navale di Cagliari
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In un fondamentale saggio del 1988, Paul Kennedy (1945) ha ricostruito la genesi dell’antagonismo navale e coloniale anglo-tedesco del 1860-1914, che rovesciò il precedente equilibrio geopolitico europeo e fu al tempo stesso conseguenza necessaria dell’imperialismo capitalista e detonatore della grande guerra. .
Tra le innumerevoli stazioni di quella inconsapevole Via Crucis, vi fu, nel 1881, l’occupazione francese della Tunisia, che tanto colpì l’immaginazione di Friedrich Nietzsche.
di Alberto Monteverde
di Alberto Monteverde
In un fondamentale saggio del 1988, Paul Kennedy (1945) ha ricostruito la genesi dell’antagonismo navale e coloniale anglo-tedesco del 1860-1914, che rovesciò il precedente equilibrio geopolitico europeo e fu al tempo stesso conseguenza necessaria dell’imperialismo capitalista e detonatore della grande guerra. .
Tra le innumerevoli stazioni di quella inconsapevole Via Crucis, vi fu, nel 1881, l’occupazione francese della Tunisia, che tanto colpì l’immaginazione di Friedrich Nietzsche.
La Spezia, 20 settembre 1890. La cerimonia del varo della Corazzata “Sardegna”. La Spezia, 20 settembre 1890. La cerimonia del varo della Corazzata “Sardegna”. (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Milita (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militare) re)
La Spezia, 20 settembre 1890. La cerimonia del varo della Corazzata “Sardegna”.
In realtà l’occupazione era stata incoraggiata proprio da Bismarck, (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militare) calcolando che l’Italia l’avrebbe considerata da una lesiva dei suoi interessi (per via della forte colonia italiana presente in Tunisia) e dall’altra In realtà l’occupazione era stata incoraggiata proprio da Bismarck, una diretta minaccia militare (per la vicinanza di Biserta alla Sicilia). Lo calcolando che l’Italia l’avrebbe considerata da una lesiva dei suoi interessi (per via della forte colonia italiana presente in Tunisia) e dall’altra una diretta minaccia militare (per la vicinanza di Biserta alla Sicilia). Lo
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scopo del cancelliere era di inasprire i rapporti tra Francia e Italia e far avanzare la difesa degli Imperi Centrale sino alle Alpi Occidentali. Il risultato fu la Triplice alleanza (20 maggio 1882). Umberto I e lo Stato Maggiore dell’Esercito si onorarono di legare le fortune del Paese ai due Imperi, le cui tradizioni militari e conservatrici erano pienamente condivise a corte. Ma anche la Sinistra, salita al potere nel 1876, aveva rotto con la Francia per l’appoggio di Napoleone III a Pio IX ed era affascinata dal Kulturkampf bismarckiano.
La Triplice spostò il fronte marittimo dall’Adriatico al Tirreno e orientò la pianificazione della Regia Marina sulla competizione con la Marine Nationale. Dopo il 1866 la marina era stata condizionata dal “complesso di Lissa”, tanto che in Parlamento era stata perfino messa in discussione l’effettiva necessità di mantenere una marina da guerra nazionale1 . All’indomani della presa di Roma si riaccese tuttavia la questione della flotta, per merito di Benedetto Brin, giovane e preparato generale ispettore del Genio navale, e Simone Pacoret di Saint-Bon, ministro della Marina. Nel 1871 Bron avviò lo studio di una serie d’avveniristici progetti navali, tali da porre la marineria italiana all’avanguardia nel mondo, almeno sul piano tecnico2. Nel 1873 Saint Bon presentò al Parlamento un ambizioso programma di costruzioni che, sebbene approvato, momentaneamente non poté tradursi in atto per le ristrettezze di bilancio.
La via era ormai tracciata. La scelta di calare ad ogni costo una potente flotta nel Mediterraneo, il cui nerbo sarebbero state le corazzate, navi d’assoluta avanguardia per il grande tonnellaggio, la velocità, l’autonomia e potenza di fuoco, contribuì in maniera formidabile ad avviare il capitalismo italiano. La necessità di disporre di apparati motore, cannoni, di piastre corazzate in quantità sufficienti ed in tempi ragionevoli, e nello stesso tempo di sottrarre il Paese alla dipendenza straniera in un campo così delicato e strategico, comportò l’avviamento di un’industria meccanica e siderurgica nazionale all’altezza della situazione.
1 L. Ceva, Dopo Lissa una grande Marina, in “Storia Illustrata” n° 263, 10/1979, Milano, pp. 112 – 114. 2 M. Sacchi, Navi e cannoni. La Marina italiana da Lissa ad oggi, Firenze 2000, pp. 17 – 18.
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Nel corso del biennio 1883 – 1885, lo Stato s’impegnò in una massiccia azione di sostegno della Marina da Guerra. Inoltre, con la Legge Brin del 1885 si stabilì un sistema di premi e compensi per i cantieri che si fossero avvalsi dei prodotti della siderurgia nazionale3 .
La corazzata “Sardegna” alla fine dell’800 nella sua elegante livrea “vittoriana”. La corazzata “Sardegna” alla fine dell’800 nella sua elegante livrea “vittoriana”. (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Milita (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militare) re)
A Pozzuoli sorgeva lo stabilimento della società inglese “Armstrong” per la fabbricazione di materiale d’artiglieria navale, mentre nel 1884, già con un considerevole portafoglio di commesse statali, l’industriale Vincenzo Breda fondava la “Società Alti Forni Fonderie Acciaierie di Terni”. Grazie alla “Terni”, la produzione d’acciaio passò dalle 4000 t. del 1885 alle 158.000 del 18894. Frattanto, sotto la guida di Carlo Marcello e Giovanni Bombrini, le ”Acciaierie Ansaldo” si avviavano a diventare uno dei più importanti complessi navalmeccanici d’Europa. Era qui attiva una gigantesca pressa idraulica, all’epoca la più grande del mondo, capace di sviluppare l’enorme pressione di 15.000 tonnellate5 .
Lo Stato in tal modo favorì il collegamento tra i grandi gruppi finanziari e la grande industria, fornendo così un impulso decisivo alla nascita del capitalismo industriale6 .
3 A. Capone, Destra e Sinistra da Cavour a Crispi, in G. Galasso (diretta da) “Storia d’Italia”, XX, p. 397. 4 Ivi, p. 400. 5 F. Gay, Marina, 1900 – 1905, Roma 1980, p. 23. 6 A. Capone, op. cit., p. 397 - 398.
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Allo scopo di favorire il trasporto delle ingenti quantità di carbone, necessarie per il funzionamento degli altiforni ed il contemporaneo trasferimento degli acciai lavorati, la rete ferroviaria nazionale fu potenziata, come intensificata fu l’attività estrattiva del carbone, specie in Sardegna. La “Società Anonima proprietaria della Miniera di Bacu Abis in Sardegna”, di proprietà dell’imprenditore Anselmo Roux, riusciva infatti a stipulare un vantaggioso contratto di forniture per la Regia Marina che aveva valutato positivamente la lignite di Bacu Abis per via dell’alto potere calorico7. Contemporaneamente, il progressivo sviluppo della nascente industria elettrica nazionale, avviata dalla Società “Edison” nel 1884, assicurò l’energia necessaria alla crescita industriale8. Si può affermare che le corazzate in breve tempo divennero la vera unità di misura delle capacità produttive e industriali delle nazioni.
L’avvento al potere di Francesco Crispi conferì al trattato d’alleanza con Germania ed Austria, un carattere d’ostilità attiva nei confronti della Francia, con la quale i rapporti andavano vieppiù deteriorandosi per via di un’aspra “guerra commerciale”, destinata a produrre effetti profondi e duraturi sulla fragile struttura dell’economia nazionale9. La lotta economica tra Italia e Francia in breve si prolungò in quella per la supremazia nel Mediterraneo, epicentro dell’intera visione che Crispi aveva della politica estera italiana.
Il principale problema militare italiano era rappresentato dalla difesa delle coste, che Crispi sentiva seriamente minacciate dalla flotta francese. Realisticamente, il rischio era che quest’ultima potesse obbligare al combattimento la squadra italiana, magari costringendola ad intervenire in difesa di qualche città marittima come Genova, Livorno o Cagliari. La posta in gioco era la possibile distruzione della Flotta, ancora troppo debole per affrontare con successo la squadra francese. Perduta la capacità di difesa sul mare, le sguarnite coste tirreniche e le grandi isole, specialmente la Sardegna, si sarebbero trovate esposte al pericolo di uno sbarco. L’invasione sarebbe potuta avvenire sulla riviera ligure, sorprendendo da
7 G. Tore, Gli imprenditori minerari dell’Ottocento, in F. Manconi (a cura di), Le miniere e i minatori della Sardegna, Milano 1986, p. 58. 8 V. Castronovo, L’industria italiana dall’ottocento a oggi, Milano 1982. 9 A. Capone, op. cit., p. 485.
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tergo le difese alpine, oppure sul litorale toscano, tagliando letteralmente in due l’Italia, o addirittura sulle coste laziali, puntando direttamente sulla capitale. Il Trattato della Triplice in alcun modo forniva garanzie in tal senso10 . Germania e Austria non avevano né la volontà né la forza per sostenere con efficacia l’Italia sul mare11. Il rinnovo del trattato, concluso dal Ministro degli Esteri Robilant il 20 febbraio 1887, segnò senz’altro uno dei punti più alti della nostra diplomazia, assicurando all’Italia i presupposti per un efficace sistema difensivo, anche in ambito mediterraneo, sebbene in una misura non risolutiva12. Esasperando l’indirizzo antifrancese del trattato, Crispi tentò d’“assicurare il concorso militare degli alleati per la tutela di quelli che considerava i vitali interessi nazionali anche al di fuori delle circostanze previste dalla Triplice”13. Nonostante gli sforzi compiuti in tal senso, Crispi non riuscì ad ottenere concrete assicurazioni circa l’impegno degli alleati sul mare. Bismarck e gli statisti austriaci si limitarono a suggerire, con irritante costanza, il ricorso alla flotta inglese per garantire la sicurezza delle coste italiane. Il suggerimento era evidentemente fuori della realtà se nel 1888, l’ambasciatore britannico a Roma, senza troppe cerimonie dichiarava a Benedetto Brin, Ministro della Marina, che “l’Italia faceva meglio a non contare sull’assistenza dell’Inghilterra per la difesa delle sue coste”14 .
A prescindere dalla propaganda crispina, intesa a giustificare l’elevato livello delle spese navali, la sensazione era che il Paese effettivamente si trovasse in condizioni d’oggettivo pericolo. Un’impressione che oggi è possibile confermare, esaminando le carte del carteggio intercorso tra il Ministero della Marina e l’addetto navale francese a Roma, custodite ne-
10 G. Volpe, L’Italia nella Triplice alleanza (1882 – 1915), Milano 1941, pp. 42 e ss. 11 L. Salvatorelli, La Triplice alleanza. Storia diplomatica 1877 – 1912, Milano 1939, pp. 45 – 72. 12 A. Capone, op. cit., pp. 485 - 486. Furono inoltre aggiunti due ulteriori trattati separati con l’Austria-Ungheria e con la Germania, poi fusi in un unico testo. 13 F. Crispi, Discorso pronunciato da S. E. Francesco Crispi, Presidente del Consiglio dei Ministri la sera del 25 ottobre 1887 coi discorsi dell’On. Berti e del sindaco di Torino Melchiorre Voli, Torino 1887. 14 M. Gabriele, G. Friz, La politica navale italiana dal 1885 al 1915, Roma 1982, p. 7.
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gli archivi della Marina, a Parigi15. L’epistolario mostra come, a partire dal 1886, l’addetto navale francese avesse progressivamente assunto la veste di una vera e propria spia, incaricata di informarsi su tutto quanto riguardasse la Regia Marina. In seguito, l’addetto aveva ricevuto l’incarico di fornire un reportage fotografico ed un resoconto dettagliato sulla situazione della difesa costiera italiana, sugli sbarramenti sottomarini fissi e mobili, sulla dislocazione delle batterie costiere16. Nel marzo 1888, una comunicazione di Parigi classificata come “confidenziale”, arrivò perfino a chiedere un’accurata indagine circa l’esistenza di cavi telegrafici sottomarini tra la Sardegna ed il continente, “in altre parole tutto ciò che potrà facilitare la loro ricerca e la loro eventuale distruzione”17 .
Taranto. Apertura del ponte girevole per consentire l’uscita dal Mar Piccolo della “SarTaranto. Apertura del ponte girevole per consentire l’uscita dal Mar Piccolo della “Sardegna”. (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militadegna”. (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militare) re)
L'armamento della base navale di Biserta, intrapreso dalla Francia allo scopo di assicurarle il controllo commerciale e militare del bacino del Mediterraneo occidentale, non poté che acuire i contrasti con l’Italia, portando ad un intensificarsi della già decisa politica d’armamenti, specie in
15 Services Historiques de la Marine, Château de Vincennes, Pavillon de la Reine, Paris. 16 Cfr. M. Gabriele – G. Friz, op. cit. p. 16. 17 Ibidem.
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ambito navale, come dimostrò il bilancio navale del 1887, che si accrebbe ulteriormente l’anno seguente, toccando il suo apogeo nel 188918 .
Nel 1887 si avviava l’armamento della Piazzaforte della Maddalena, destinata a divenire in pochi anni un formidabile complesso fortificato, rispondente alle più moderne concezioni europee in tema di difesa19. La base sarda, attrezzata in maniera tale da ospitare adeguatamente la Squadra navale, avrebbe efficacemente concorso alla salvaguardia delle coste toscane e laziali. La Maddalena fu successivamente eletta sede del Comando Militare Marittimo, istituito da Umberto I col Regio Decreto n. 179 del 6 agosto 189320 .
Dal punto di vista delle costruzioni navali, nel dicembre 1875 Benedetto Brin era riuscito a far approvare un notevole programma navale per complessivi 265 milioni. Il piano prevedeva la costruzione di ben 72 navi, delle quali 16 da battaglia21 .
Non potendo superare la Nazione cugina per numero di navi, senza esitazioni si puntò sulla qualità e sull’adozione di tecniche e accorgimenti d’avanguardia. Dalle matite del Brin nacquero così una serie di magnifiche navi, sotto molti punti di vista davvero avveniristiche per modernità e concezione.
A partire dal 1880 calarono in mare le formidabili ”Duilio” e “Dandolo”, corazzate a torri ed a ridotto centrale, veloci e dotate della massima potenza di fuoco allora disponibile. Poi fu la volta dell’“Italia” e della “Lepanto”, unità d’elevato dislocamento, assai veloci e ben armate, sebbene pochissimo protette. Quindi della “Ruggero di Lauria”, dell’“Andrea Doria” e della “Francesco Morosini”, navi caratterizzate, come le due precedenti, dall’impiego di lastre d’acciaio composito, capa-
18 Enciclopedia UTET, Torino 1995, XIII vol., ad vocem “Marina”. 19 E. Belli, Evoluzione delle opere di difesa del Nord Sardegna. Tipologie ed armamenti, in “In Labore Ingenium. Architettura Militare”. Genio Militare. Giurisdizione Nord Sardegna La Maddalena, a cura di A. M. Pastò, La Maddalena 2012, pp. 183 - 241. 20 A. Monteverde, E. Belli, Le difese del Golfo di Cagliari in età contemporanea, in Club Modellismo Storico Cagliari, “Torri, Soldati e Corsari. Atti del Convegno Internazionale”, Cagliari 1996, pp. 139 – 140. 21 L. Ceva, op. cit., p. 118.
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ci di una resistenza alla penetrazione maggiore del 15/20%, rispetto alle precedenti piastre di corazza22 .
Nel 1883, su sollecitazione dell’Ammiraglio Ferdinando Acton, Ministro della Marina, Benedetto Brin avviò lo studio di una nuova classe di navi. L’esigenza era quella di rafforzare la Flotta, dotandola di nuove e più moderne navi da battaglia.
L’elaborazione dei piani costruttivi fu compiuta l’anno successivo. Lo stesso Brin, di nuovo ministro della Marina, sottopose all’approvazione del Parlamento il disegno di legge per la costruzione di due nuove unità. Le navi, cui furono assegnati i nomi di “Re Umberto” e “Sicilia” furono ordinate ai cantieri di Castellammare di Stabia e all’Arsenale di Venezia, ed impostate il 10 luglio ed il 3 novembre 1884.
I progetti parvero al Brin particolarmente riusciti. Infatti, mentre era ormai avviata l’impostazione delle due precedenti unità, questi propose al Parlamento la costruzione di una terza nave che, sebbene d’identica concezione, avrebbe potuto disporre di alcune non secondarie migliorie.
Il 24 ottobre 1885 la nuova unità veniva impostata nell’Arsenale della Spezia. Con R. Decreto 21 febbraio 1886 (F. O. Min. Marina 13.3.1886), alla nave fu imposto il nome di “Sardegna”
Sul piano progettuale le “Re Umberto” s’ispiravano a molte soluzioni adottate in precedenza per le unità della classe “Italia”, specie per quel che riguardava il sistema di protezione cellulare, realizzato mediante un complesso sistema di compartimenti stagni laterali trasversali. Tuttavia, la sezione maestra, per quanto simile a quella delle “Italia”, risultava diversa da quella adottata dalle altre unità dell’epoca, essendo di forma “angolata” e di maggiore dimensioni”23 ..
Il principio ispiratore della classe “Re Umberto” fu chiaramente quello di poter disporre di unità caratterizzate da un potente armamento, un’elevata velocità ed una forte autonomia, doti favorite da una leggera protezione e da eccellenti qualità nautiche, caratteristiche tali da farne delle autentiche anticipatrici del moderno incrociatore da battaglia. Del
22 Ibidem. 23 G. Giorgerini, A. Nani, Le navi di linea italiane 1861 – 1961, Roma 1962, p. 138.
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resto, erano questi i requisiti ritenuti necessari per il teatro operativo mediterraneo, dove verosimilmente la Flotta italiana, presto o tardi, avrebbe combattuto, ma che, volendo, le avrebbero consentito di affrontare anche l’oceano aperto24 .
Le tre “Re Umberto” presentavano fra loro alcune differenze sostanziali, sia per quel che atteneva alle dimensioni e al dislocamento, sia dal punto di vista dell’armamento e della sistemazione di alcuni apparati.
Fra le tre navi da battaglia, la “Sardegna” fu sicuramente la più riuscita. Corazzata di 1ª classe, l’unità presentava le seguenti caratteristiche:
Dimensioni e scafo: a pieno carico la nave dislocava 15.674 tonnellate. La lunghezza era di 130 m. fuori tutto, la larghezza massima di 23,45 m.
Sebbene d’aspetto alquanto massiccio, il profilo della nave risultava nel complesso gradevole e abbastanza filante. Con poppa curva e prora arcuata a sperone, l’unità era dotata di due caratteristici fumaioli prodieri appaiati, a proravia dei quali era collocata la plancia di comando. Un altro fumaiolo era collocato a poppa, dove era sistemato un altro ponte di comando con le relative ali di plancia25. Un grande albero militare con due coffe si elevava al centro nave.
Protezione:, la corazza di cintura, realizzata con lastre d’acciaio “Creuzot”, aveva uno spessore di 100 mm. Estendendosi per circa i due terzi della lunghezza della nave, la corazzatura si sollevava dal ponte corazzato inferiore, anch’esso spesso 100 mm., arrivando fino al ponte di coperta. Un doppio fondo, esteso per quasi tutta la lunghezza dello scafo, innalzandosi fino al ponte inferiore corazzato, assicurava un’efficace protezione subacquea, alla quale concorreva la disposizione delle carboniere e, naturalmente, la notevole compartimentazione stagna 26. Corazze dello spessore di 350 mm. assicuravano la protezione delle barbette in cui era-
24 M. A. Bragadin, La lunga avventura delle corazzate, in “Storia Illustrata” n° 217, del 12/1975, Milano, pp. 54 – 55. 25 F. Bargoni, Corazzate italiane classi “Re Umberto” – “Ammiraglio di Saint Bon”, Roma 1978, p. 32 – 33. 26 G. Giorgerini, A. Nani, op. cit., p. 140.
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no installati i complessi binati, mentre corazze di 300 mm. proteggevano gli elevatori delle artiglierie e la torre di comando.
Armamento: l’armamento principale consisteva in quattro cannoni Armstrong da 343 mm. lunghi 30 calibri, disposti su affusti idraulici in due torri binate. I complessi erano montati in barbetta sulle piattaforme girevoli dei due ridotti a sezione poligonale, sistemati in posizione assiale, a prora e a poppa, lungo l’asse longitudinale della nave, a circa 10 m. dal galleggiamento.
Queste le caratteristiche dei pezzi: peso: 69 t. peso delle cariche: 286 kg. peso del proiettile: 567 kg. velocità iniziale del proiettile: 614 m./sec. spessore di corazza perforata (in ferro): 870 mm. cadenza di tiro: 8 colpi in 10 minuti.
Le “Re Umberto” furono le prime navi di linea italiane a adottare la disposizione assiale dell’armamento principale. L’adozione di barbette circolari, ospitanti la camera di caricamento continua collocata lungo il loro arco di circonferenza, rese possibile il caricamento dei pezzi in qualsiasi posizione di brandeggio, con ciò aumentando in maniera significativa la cadenza di tiro. In precedenza, infatti, per armare i pezzi, era necessario brandeggiare i cannoni secondo l’asse della nave 27 .
Il rilevante armamento secondario si componeva di 8 cannoni scudati Armstrong da 152/40, 4 per lato, disposti in batteria. Al di sopra della batteria, protetta da una corazza spessa 100 mm., erano sistemati i pezzi scudati da 120 mm. Disposti sul ponte e sulle sovrastrutture vi erano inoltre 2 cannoni a tiro rapido da 75 mm., 20 cannoncini da 57/43 mm., 10 cannoncini revolver da 37/20 mm., 2 mitragliatrici Maxim e 5 tubi lanciasiluri Whitehead A 110 da 450 mm28 .
27 Ibidem. 28 L’Illustrazione Italiana n° 38, Milano, 21/9/1890.
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Apparato motore: costruito dalla ditta Hawthorn & Guppy di Napoli, si componeva di 18 caldaie cilindriche ad una fronte con ritorno di fiamma, che alimentavano, per la prima volta nella Regia Marina, 4 motrici alternative verticali a triplice espansione. 12 caldaie erano sistemate nel locale prodiero, 6 in quello poppiero. Le motrici, accoppiate due per asse elico ed ubicate tra i due locali caldaie, erano in grado di sviluppare una potenza massima di 22.800 HP, consentendo alla nave di raggiungere la ragguardevole velocità di 19 – 20 nodi29 .
La corazzata “Sardegna” poco prima della guerra di Libia. Evidente sulla prua l’emblema dei Quattro Mori di Sardegna. (Arch. Museo Storico Militare Sardegna) La corazzata “Sardegna” poco prima della guerra di Libia. Evidente sulla prua l’emblema dei Quattro Mori di Sardegna. (Arch. Museo Storico Militare Sardegna)
29 G. Giorgerini, A. Nani, op. cit., p. 141.
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Sulla “Sardegna”, oltre alla normale dotazione di carbone, circa 1.200 tonnellate elevabili a 3.000, si ebbe anche l’impiego sperimentale di combustione mista carbone e nafta. Con tale dotazione di combustibile, navigando a 10 nodi, la nave era in grado di percorrere oltre 6.000 miglia.
Impianto elettrico: la nave era dotata di 5 dinamo Victoria da 300 Ampére con motori Tosi per l’illuminazione e la ventilazione, elettrica in tutti i locali inferiori, ad eccezione delle sale macchine, dove era generata da speciali ventilatori a vapore. Erano inoltre presenti quattro potenti proiettori elettrici installati in batteria. Le dotazioni di bordo comprendevano una moderna apparecchiatura radiotelegrafica, fra le prime ad essere installate nelle unità della Regia Marina, due distillatori Kirkaldi in grado di produrre 32 tonnellate di acqua potabile al giorno, e due evaporatori Weir, che ne producevano 50 per le caldaie. Erano inoltre disponibili un buon numero di imbarcazioni adibite a differenti servizi, tra queste si contavano 2 torpediniere White, 2 lance a vapore e due lance inaffondabili a remi. La sistemazione interna della nave risultava abbastanza razionale. Gli alloggi degli ufficiali, insolitamente spaziosi, erano disposti in batteria e dotati di riscaldamento a vapore e ventilazione artificiale. Nella tuga erano sistemati gli alloggi del Comandante in seconda e dell’ufficiale di rotta, al di sotto quelli dell’Ammiraglio, del Comandante e del Capo di Stato Maggiore. Sul cassero erano sistemate le cucine destinate agli ufficiali, mentre al di sotto del castello di prora erano ubicate le latrine e le cucine dell’equipaggio. Numerosi ventilatori ed estrattori assicuravano la corretta aerazione di tutti i locali30 .
Il costo della “Sardegna” si aggirò attorno ai 30.000.000 Lire, il 25% dei quali spesi per le sole artiglierie. I lavori di allestimento della nave andarono per le lunghe, fu infatti possibile varare lo scafo solo il 20 settembre 1890.
L’11 aprile 1894, al comando del CV Camillo Candiani d’Olivola, che aveva costantemente seguito le fasi costruttive della nave, la “Sardegna” lasciava l’ancoraggio presso la diga di La Spezia, prendendo finalmente il mare per effettuare le prime prove di velocità. A bordo dell’unità era presente una commissione nominata dal Ministero della Marina e il diret-
30 L’Illustrazione Italiana, op. cit.
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tore delle costruzioni assieme ad una commissione prove, inviata dalla ditta costruttrice per verificare il corretto funzionamento degli impianti. Le prove ufficiali definitive ebbero luogo pochi giorni dopo. Nel corso della prima uscita l’unità dette un’ottima prova: “Le macchine, sotto l’abile direzione del Maggiore macchinista Cavalier Farro, svilupparono circa 13.000 cavalli indicati sugli stantuffi, facendo compiere alle eliche 85 giri al minuto ed imprimendo alla bella nave la velocità di miglia 17 e 6 decimi all’ora”31 .
Dal punto di vista estetico l’unità mostrava una superba bellezza. Seguendo una tradizione che risaliva all’epoca d’oro della navigazione a vela, lo scafo era tutto dipinto di nero, una sottile striscia bianca al bagnasciuga separava il colore nero dal rosso della chiglia. Le sovrastrutture erano dipinte di bianco, mentre l’albero, i fumaioli e le maniche a vento erano di colore ocra. Era questa la cosiddetta colorazione “vittoriana”, perché a quei tempi in auge sulle navi di Sua Maestà la Regina Vittoria32 .
Sulla prora, al posto della stella tradizionale, l’Ammiraglio Candiani volle fosse sostituito lo stemma di Sardegna, ciò in onore dell’Isola e della fiera gente sarda, cui il comandante era legato da vincoli d’amicizia ed affetto. “Sarà di guida alla vittoria se la Patria dovrà sorgere in armi, sarà quel glorioso segnacolo in testa alle colonne che in estremo momento decideranno le sorti d’Italia”, aveva scritto Candiani al Sindaco di La Maddalena, in occasione del primo approdo nell’Isola della corazzata, il 18 marzo 189533. Parole dal sapore profetico, che avrebbero trovato puntuale riscontro, non molti anni dopo, sul Carso, sull’Altipiano di Asiago e sul Piave.
L’affetto per l’isola dei nuraghi34, spinse il Candiani ad un’altra innovazione: fece estrarre dall’Archivio di Stato di Torino una copia di tutti
31 Caffaro, Genova, 11 aprile 1894. 32 F. Gay, op. cit., pg. 60. 33 F. Corona, La corazzata Sardegna, Cagliari 1899, pg. 3. 34 L’Isola ove “fui oltre venti volte e ne visitai replicatamente tutti i porti; cacciatore appassionato feci in Sardegna molte stragi!” scriveva Candiani in una lettera indirizzata a Francesco Corona. (Corona, op. cit. p. 4). Fra il 1899 ed il 1900 l’Ammiraglio Candiani ricoprì l’incarico di Comandante Militare Marittimo della Piazzaforte di La Maddalena. Cfr. Enciclopedia Militare, Milano 1927, vol. II, ad vocem “Candiani”.
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gli stemmi delle città sarde, che poi fece riprodurre nelle facciate di prora e di poppa dei due complessi binati (Cagliari e Sassari), e nelle culatte dei cannoni da 152 (Oristano, Iglesias, Bosa, Nuoro, Tempio, Alghero, Ozieri e Castelsardo).
In un primo tempo il motto della corazzata “Sardegna”, fu Pro rege et patria35, poi sostituito dal ciceroniano Pro aris et focis. In ossequio alla Triplice, quale marcia della nave fu scelta la wagneriana Aquila Bicipite (Doppeladler) , e ai due pezzi della torre prodiera furono imposti i nomi dei principi imperiali di Germania, Federico Guglielmo e Guglielmo Eitel, insigniti del titolo di cannonieri onorari della corazzata36 .
Nel corso del tempo la nave non fu sottoposta a sostanziali modifiche. Queste riguardarono soprattutto alcune apparecchiature e talune sistemazioni. Nel 1904 l’albero militare fu notevolmente prolungato, allo scopo di sostenere l’antenna di un apparato radiotelegrafico a onde lunghe. Quello stesso anno fu inoltre abolita la colorazione vittoriana, sostituita dal grigio ferro scuro. Nell’inverno 1907-1908 fu infine sbarcato l’inutile ponte di comando poppiero con le relative ali di plancia37 .
Il 16 febbraio 1895 la corazzata alzava l’insegna del Contrammiraglio Grandville, entrando a far parte della Seconda Divisione. Nel corso di quell’anno la nave svolse un’intensa attività, specie all’estero. In giugno fu inviata nel Mare del Nord per l’inaugurazione del canale di Kiel, raggiungendo quindi Portsmouth, per partecipare a Spithed alla grande rivista della flotta inglese con l’italiana. Dal febbraio al luglio 1896 l’unità innalzò le insegne del viceammiraglio Canevaro, Comandante in capo della Squadra Attiva. In marzo ricevette la visita del Kaiser Guglielmo II, che volle minutamente ispezionarla e conoscerne dettagliatamente le caratteristiche38. Da settembre, e fino al giugno 1898, la nave fu quasi ininterrottamente dislocata nelle acque del Levante, a protezione degli interessi nazionali.
35 Candiani, Ibidem. 36 F. Corona, op. cit. p. 4. 37 F. Bargoni, op. cit., p. 33. 38 F. Corona, op. cit. p. 4.
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Frattanto, lo scenario politico europeo andava lentamente mutando. A partire dal 1890 iniziava un progressivo “riallineamento” delle potenze europee 39. Il licenziamento di Bismarck segnò una battuta d’arresto nel fervore triplicista di Crispi. In realtà le condizioni internazionali che avevano motivato la Triplice stavano sicuramente mutando.
“La Futura monarchia Italiana sarà Potenza marittima o non sarà (Napoleone)” “La Futura monarchia Italiana sarà Potenza marittima o non sarà (Napoleone)” (Arch. Museo Storico Militare della Sardegna) (Arch. Museo Storico Militare della Sardegna)
Nel giugno 1891 il governo fu battuto alla Camera sulla politica finanziaria e le spese militari40. La caduta di Crispi favorì un primo tentativo di riavvicinamento nei confronti della Francia, condotto, invero senza risultati apprezzabili, dal Ministero presieduto dal marchese siciliano Antonio Di Rudinì. Solo dopo Adua e la definitiva scomparsa di Crispi dalla scena politica italiana, fu possibile ristabilire amichevoli rapporti politici e commerciali con la Francia. Da allora la politica estera italiana fu incentrata essenzialmente sull’acquisizione della Tripolitania – Cirenaica41 .
39 A. Capone, op. cit., pp. 503 - 504. 40 Ivi., pp. 490 - 491. 41 F. Gaeta, La crisi di fine secolo e l’età giolittiana, in G. Galasso (diretta da) “Storia d’Italia”, vol. XXI, Torino 1982, pp. 365 - 366.
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I primi sintomi del nuovo corso si ebbero nella primavera del 1897, in occasione dei negoziati con la Francia favoriti dal nuovo ambasciatore Camille Barrère e conclusi col vantaggioso accordo commerciale del 21 novembre 1898. Forte di questo successo, il ministro degli esteri Canevaro tentò di approfittare della crisi anglo-francese di Fashoda, per ottenere il riconoscimento inglese dell’influenza italiana sulla Tripolitania42 , ma fu il suo successore Visconti Venosta, tornato poco dopo al ministero, ad ottenere quello francese, in cambio del consenso alla penetrazione francese nel Marocco43 .
È in tale contesto che si deve inquadrare la missione in definitiva più importante svolta dalla “Sardegna” nel corso della sua lunga carriera: una grande rivista delle flotte italiana e francese, alla presenza dei Reali d’Italia! La pantomima geopolitica si svolse nella rada di Cagliari. L’8 aprile 1899, al comando dell’Ammiraglio Magnaghi, le corazzate “Sardegna”, “Sicilia”, “Andrea Doria” e “Ruggero di Lauria” fecero il loro ingresso nel Golfo degli Angeli. Il 9 arrivò da Tolone l’Escadre de la Méditerranée forte di 22 unità, tra cui le corazzate “Brennus”, “Bouvet”, “Carnot” e l’incrociatore “Pothuau”44 .
Il sindaco Ottone Baccaredda accolse l’evento con ben motivato orgoglio. La manifestazione prevedeva un lungo ed articolato calendario d’impegni, tra i quali la solenne cerimonia di consegna della bandiera di guerra alla corazzata “Sardegna”. L’11, a bordo della “Brennus” si tenne un fastoso pranzo cui furono invitati oltre agli ufficiali italiani, le autorità cittadine ed il console francese. “Leviamo i calici in onore dei camerati e della Marina Italiana!” – fu il toast dell’Ammiraglio Fournier. “Noi oggi possiamo farlo cordialmente, davanti al bello spettacolo dei vascelli italiani e francesi, sventolanti fraternamente le loro bandiere dai tre vividi colori nel magnifico scenario della baia di Cagliari”45. L’antifona era che solo da quel momento si potevano considerare ristabilite le relazioni fra i due paesi.
42 M. Gabriele – G. Friz, op. cit. pg. 50. 43 F. Gaeta, op. cit., pp. 373 – 375. 44 Armée et Marine. Revue hebdomadaire illustrée des Armées de Terre et de Mer, L’Escadre Française à Cagliari, Paris, 7/5/1899, pp. 185-187. 45 Ivi, pp. 184-185.
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Golfo di Cagliari, 29 aprile 1899. La cerimonia della consegna della Bandiera di Guerra alla “Sardegna”. Golfo di Cagliari, 29 aprile 1899. La cerimonia della consegna della Bandiera di Guerra (Arch. Museo Storico Militare della Sardegna) alla “Sardegna”. (Arch. Museo Storico Militare della Sardegna)
Giunti l’indomani con lo yacht reale “Savoia”, il Re e la Regina ricevettero i comandanti francesi nel salone del Palazzo Regio di Cagliari, al suono della Marsigliese e della Marcia Reale. Fournier rivolse al Re il saluto della Francia e quello personale del Presidente della Repubblica. La giornata si chiuse con una serata di gala, offerta dal Sindaco di Cagliari al Politeama Margherita: in cartellone, oltre agli inni nazionali e varie marce, la Carmen di Bizet. La mattina seguente ebbe luogo la rivista navale. Il “Savoia” sfilò tra le unità italiane e francesi che salutarono i Reali con numerose salve di cannone. Umberto e la Regina assistettero alle evoluzioni a bordo della “Brennus”, apprezzando in particolare la “Sardegna” per l’abilità del suo equipaggio.
Il 18 aprile la flotta francese salpava per Tolone. L’evento era stato seguito con viva attenzione dalla stampa internazionale, che non aveva mancato di rilevarne l’importanza. Fra gli inviati speciali, addirittura il corrispondente del Cinematographe Lumière Francesco Felicetti, che,
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dopo aver seguito le fasi salienti della rivista, aveva presentato al pubblico cagliaritano il reportage46, allestendo un cinematografo nella Piazza Vittorio Emanuele47. Sottolineando l’importanza geopolitica dell’evento, il corrispondente dell’autorevole rivista francese Armée et Marine, scrisse: “Gli Italiani non avranno potuto fare a meno di apprezzare l’amicizia della nostra Francia, che sa unire la forza al cuore. Questi giorni di festa, hanno dissipato volontariamente le ombre che si è tentato di calare tra le due nazioni sorelle, la Francia è venuta a tendere all’Italia una mano affettuosa e ad offrirle un’amicizia disinteressata”48 .
Sebbene non incompatibili col dettato della Triplice, le relazioni tra Italia e Francia furono guardate con sospetto dalla Germania. Le giornate cagliaritane avevano contribuito ad assestare un deciso colpo di timone alla politica estera italiana, una correzione di rotta che avrebbe portato lontano.
La mattina del 22 il Re partecipò ad un’altra rivista navale densa di significato: nelle acque di Golfo Aranci, nel nord dell’Isola, le corazzate italiane sfilarono al fianco di quelle inglesi49. Il destino dell’Italia si andava con decisione compiendo. Culmine della presenza dei Reali nell’Isola, fu la cerimonia di consegna della Bandiera di Guerra alla “Sardegna”. Il vessillo, dono delle donne sarde costituite in comitato a Cagliari, Sassari ed altri centri dell’Isola, fu solennemente consegnato al comandante della nave, Gaetano Casanello, nelle acque di Cagliari il 29 aprile. Assieme alla bandiera, di seta cordonata finissima, furono consegnati un artistico stipo ligneo50, destinato a custodire il prezioso drappo, ed una pergamena.
46 Il documentario è oggi negli archivi dell’Association Fréres Lumières di Bois d’Arcy. 47 La Nazione, Firenze, 1/6/1899. 48 Armée et Marine, op. cit. p. 196. 49 L’Unione Sarda, Cagliari 29/4/1899. 50 La bandiera era di dimensioni davvero ragguardevoli. Tessuta a mano dalle suore dell’Istituto dei Sordomuti di Cagliari, misurava metri 8,20 x 5,45. Lo stipo, commissionato ai fratelli Clemente di Sassari era una pregevole opera d’intaglio. Realizzato in legno di noce in stile rinascimentale, il mobile recava scolpite le figure di Eleonora d’Arborea, realizzata in base al trasparente dello Sciuti nella sala del Palazzo Provinciale di Sassari, di Domenico Alberto Azuni e di Pietro Martini. Erano inoltre riprodotti
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Il successo delle giornate cagliaritane fu coronato, nel gennaio 1901, da un accordo italo-francese, concluso con uno scambio di lettere tra Visconti Venosta e l’ambasciatore Barrère. Il compromesso, di fatto, non solo sanciva il reciproco sostegno in Africa, ma metteva a dura prova la Triplice, almeno relativamente allo scacchiere mediterraneo. In aprile la “Sardegna”, col resto della Squadra, restituì la visita a Tolone, con scambio di onorificenze e numerosi brindisi inneggianti all’amicizia italo-francese51 .
“Il pericolo è dal mare”. (Arch. Museo Storico Militare della Sardegna)“Il pericolo è dal mare”. (Arch. Museo Storico Militare della Sardegna)
L’Ottocento si chiudeva con un deciso riavvicinamento dell’Italia alla Francia e all’Inghilterra. Il superamento della rivalità italo-francese ed il parallelo riconoscimento dell’Italia quale potenza mediterranea, avevano sanzionato il definitivo tramonto della politica estera crispina, fatta di opposizioni e vibrate proteste ma che, nei fatti, non mutava le decisioni altrui.
vari emblemi della Marina, gli stemmi di Cagliari e Sassari e l’immagine della Sardegna, realizzata sulla base degli ultimi rilievi della Società Geografica Italiana. I bozzetti di tutte le figure scolpite dai Clemente, erano stati modellati in gesso dallo scultore Sartorio, all’epoca assai attivo nell’Isola. L’opera è oggi custodita presso il museo del Vittoriano in Roma. Cfr. F. Corona, op. cit. pg. 4. 51 F. Gaeta, op. cit., pp. 374 – 376.
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È significativo notare come nel decennio di fine secolo, la politica estera italiana sia stata abilmente condotta da due uomini della Regia Marina, Benedetto Brin e Felice Napoleone Canevaro, che ricoprirono il dicastero degli Esteri in anni cruciali per la storia d’Italia. Ciò conferma in qual conto fosse tenuta la Flotta, e quale prestigio e peso godessero i suoi ufficiali, ai quali evidentemente si riconosceva capacità di giudizio nella condotta più conveniente al Paese nei rapporti internazionali. In quegli anni nuove e più moderne unità scesero in mare. Sebbene ormai superata dalle nuovissime Dreadnought monocalibro, nel 1911 la “Sardegna”, inquadrata nella Divisione Navi Scuola, fece in tempo a partecipare al bombardamento del forte Sultania e allo sbarco di Tripoli. Nel 1914 lo Stato Maggiore della Marina valutò la possibilità di costituire una divisione navale leggera, per sostenere dal mare le operazioni terrestri lungo la costa oltre Tagliamento e Isonzo, come suggerito dall’Ammiraglio Bettolo nel suo Studio di preparazione militare marittima per un conflitto armato contro l’Impero austroungarico52. Il piano prevedeva l’utilizzo di “qualche nave antiquata di maggiore potenza, ad esempio la “Sardegna”, la cui eventuale perdita non intaccasse la potenza della flotta”. Ancora nell’aprile del 1915, l’ipotesi fu tenuta in seria considerazione, sebbene l’Ammiraglio Thaon
52 Cfr. M. Gabriele – G. Friz, op. cit. p. 149-151.
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di Revel, scrivendo al Duca degli Abruzzi, avesse precisato che la Divisione “Sardegna” avrebbe rischiato molto “se non fosse stata garantita da attacchi del grosso avversario rinchiuso in Pola53. Come è noto, furono poi ben altre le strategie offensive adottate dal Comando Supremo.
Nel corso della guerra l’unità fu dislocata a Venezia, quale sede del Comando della Divisione Navale dell’Alto Adriatico, partecipando alla difesa della laguna veneta54. A tale scopo furono imbarcate alcune mitragliere antiaeree, sistemate sul cielo dei complessi binati. Nel novembre 1919 fu inviata a Costantinopoli, dove rimase fino all’aprile 1922. Rimpatriata il 5 di quel mese, passò in disarmo il successivo 23 dicembre e fu radiata e avviata alla demolizione il 4 gennaio 192355 .
Marinai della “Sardegna” si concedono un bagno ristoratore. (Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militare) Marinai della “Sardegna” si concedono un bagno ristoratore.
(Arch. Ufficio Storico Stato Maggiore Marina Militare
53 Ivi, p. 258. 54 G. Giorgerini, A. Nani, op. cit., p. 146. 55 F. Bargoni, op. cit., p. 34 e 147.
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