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I piani di guerra ungheresi dal 1920 al 1940, di Juhász Balázs “

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I piani di guerra ungheresi dal 1920 al 1940

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di Juhász Balázs

Considerato tra gli sconfitti della grande guerra, il nuovo Regno indipendente magiaro fu duramente penalizzato dalla pace del Trianon del 4 giugno 1920. Amputato di due terzi del suo territorio, e con un terzo degli ungheresi rimasti fuori i confini nazionali dovette rinunciare alla propria tradizione guerriera: niente aviazione, carri, armi chimiche e artiglieria pesante, niente più coscrizione, appena un velo di 35.000 volontari. Inoltre il disarmo fu sottoposto al controllo di un Comitato Militare Interalleato (CMIC), attivo sino alla primavera del 1927. La revisione dell’‘iniquo trattato’, con le buone o con le cattive, fu l’obiettivo principale del governo e il rinato stato maggiore, non potendo procedere a misure di riarmo finché perdurava il controllo alleato, cominciò se non altro a studiare la guerra perduta e a pianificare la rivincita. Tra i nodi irrisolti c’era quello dell’alto comando: i militari non erano infatti disposti a riconoscere che spettasse al governo anche in tempo di guerra.1 Si concordava invece che pure il futuro conflitto sarebbe stato una guerra tra coalizioni mondiali e che la suprema decisione strategica consisteva quindi nella scelta di campo.2

i piani revanscisti del marzo-settembre 1920

Durante la gestazione del trattato, il conflitto russo-polacco sembrò offrire l’occasione per limitare il progetto alleato (comunicato il 16 gennaio alla delegazione ungherese) di smembrare l’Ungheria storica fra gli altri stati successori dell’impero. Elaborato in marzo, quando la Polonia,

1 Imre Füzi, «A magyar katonai elmélet és a hadsereg felkészítése 1939. szeptember 1-ig»

In Hadtörténelmi Közlemények, 1985, N. 2, pp. 387, 388.; Hadtörténelmi Levéltár [Archivio di Storia Militare, Budapest, d’ora in poi HL], TGY 2015. 2 Lóránd Dombrády, «Adalékok a magyar uralkodó osztályok katonapolitikájához (1927–1936)» In Hadtörténelmi Közlemények, 1977, N. 1, p. 5.

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spalleggiata dall’Intesa e dagli Stati Uniti aveva rifiutato il negoziato offerto dal governo bolscevico, il piano Ébredés puntava sull’ipotesi di un’avanzata dell’Armata Rossa fino ai Carpazi e di un’insurrezione bolscevica in Cecoslovacchia e tra lo stesso esercito cecoslovacco; lo stato maggiore ungherese riteneva che queste circostanze avrebbero reso indispensabile il ricorso alle forze ungheresi da parte dell’Intesa, tacitando l’opposizione di Jugoslavia e Romania e consentendo la rioccupazione della Slovacchia («Alta Ungheria») e della Rutenia. Era però del tutto irrealistica la stima delle capacità militari ungheresi: sei mesi prima le forze nazionali non sarebbero entrare a Budapest senza le armi dell’Intesa, adesso si parlava di treni blindati, mitragliere antiaeree e artiglieria, e può darsi che ve ne fossero, ma non abbastanza per operazioni su vasta scala. La variante Ébredés ii ricalcolava i rapporti di forze e limitava l’avanzata in Slovacchia alla sola parte orientale, nonché ai sobborghi di Bratislava [Petržalka], con un’appendice [Pirkadás, Alba] circa operazioni militari minori.

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Le speranze ungheresi furono però bruciate dagli eventi. Il 6 maggio Kiev fu conquistata dai polacchi e il 4 giugno lo smembramento dell’Ungheria fu sancito dal trattato di pace. La controffensiva russa riaccese le speranze di Budapest: paralizzati da ondate di scioperi, i governi occidentali rifiutarono ogni aiuto diretto alla Polonia, e ciò consentì al governo ungherese di presentare ufficialmente la sua temeraria proposta. Ma il 27/26 luglio Millerand e Lloyd George la respinsero a seguito del rifiuto cecoslovacco di consentire il transito delle forze ungheresi e della minaccia di contromisure romene3. La morsa bolscevica su Varsavia fu poi infranta il 16 agosto dal «miracolo della Vistola» (Cud nad Wisłą). Caduto il pretesto, in settembre il reparto operazioni dello S. M. ungherese elaborò il nuovo piano Árpád [l’unificatore delle tribù magiare e il conquistatore della Pannonia], in cui si ipotizzava l’esplicita occupazione della Slovacchia, preparata da un’insurrezione fomentata dalla stessa Ungheria e da accordi di non intervento con Romania e Jugoslavia. Il piano fu però archiviato dallo stesso capo di S. M., annotando sul fascicolo che non era possibile ottenere l’avallo jugoslavo4 .

l’azione diplomatica per la revisione consensuale del trattato

Il controllo militare interalleato e la vigilanza della Piccola Intesa congelarono ogni velleità di riconquista armata, anche se lo S. M. continuò ovviamente a studiare tutte le opzioni militari. Nel 1921 il nuovo primo ministro István Bethlen (1874-1946) inaugurò una politica moderata, con lo scopo di giungere ad una revisione consensuale del trattato. Nel 1922 l’Ungheria fu ammessa nella Società delle Nazioni e il 1927 fu l’anno della svolta, con la cessazione del regime di controllo militare, il trattato di amicizia con l’Italia, il discorso di Bethlen a Debrecen, con cui riproponeva di nuovo come scopo del Governo la revisione e l’appoggio del proprietario del Sunday times, Lord Rothermore (1868-1940), che in estate lanciò un appello a favore della causa ungherese5. Il governo Bethlen cadde però nel

3 Ignác Romsics, A trianoni békeszerződés, Budapest, 2007, pp. 149-150. 4 Csak szolgálati használatra! Iratok a Horthy-hadsereg történetéhez. 1919-1938, Redatto da Tibor Hetés-Tamásné Morva, Budapest, 1968, n° 54. 5 «Hungary’s Place in the Sun–Safety for Central Europe». Harold Sidney Harmsworth 1st

Viscount Rothermere, My Campaign For Hungary, Eyre and Spottiswoode, 1939. Nel

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1931 per effetto della crisi innescata dalla Grande Depressione e nel 1932 salì al potere il leader Gyula Gömbös (1886-1936) che ottenne da Mussolini un maggior sostegno al riarmo e alle rivendicazioni territoriali verso Romania e Jugoslavia, frenate invece da Hitler. Volente o nolente, dopo l’Anschluss l’Ungheria si allineò sempre di più alla Germania ottenendo in cambio vaste porzioni della Slovacchia meridionale e della Rutenia subcarpatica. Il premier Pál Teleki (1879-1941), filo-britannico ma antisemita, si oppose al passaggio di forze tedesche per l’attacco alla Polonia, ma in cambio di parte della Transilvania dovette aderire al Tripartito e si suicidò per non avallare l’attacco tedesco alla Jugoslavia.

Parallelamente al revisionismo diplomatico (1933 Patto a Quattro; 1935 Fronte di Stresa; 1938 Conferenza di Monaco; 1938 e 1940 primo e secondo arbitrato di Vienna) tutti i governi ungheresi continuarono però a pianificare azioni di forza unilaterali, nonostante le condizioni disastrose dell’esercito.

la (mancata) collaborazione italiana nella pianificazione bellica

A partire dall’aprile 1928 il sostegno italiano all’ammodernamento delle forze ungheresi si andò sempre più intensificando, anche allo scopo di bilanciare l’influenza francese in Cecoslovacchia e Romania e la dipendenza economica e militare dell’Ungheria dalla Germania. Un gran numero di ufficiali ungheresi furono inviati in Italia per corsi di formazione e aggiornamento istruzione e una delle ragioni del sostegno congiunto italoungherese all’austrofascismo di Dollfuss fu di poter far transitare attraverso l’Austria materiale bellico italiano per l’Ungheria.

Nell’agosto-settembre 1929 i vertici militari ungheresi si recarono in visita in Italia6 e Gömbös (allora sottosegretario alla difesa) propose a Mussolini la creazione di quattro commissioni tecniche: pianificazione operativa, armamenti, industria (materie prime e capacità produttive) e questioni agrarie e finanziarie7. Il duce, che aveva l’interim della guerra,

1930 Lord Rhotermere espresse simpatie per Hitler, nella convinzione chge volesse restaurare la monarchia in Germania. 6 ASDMAE AP (1919-30), 1767, 8188. Gazzera 18 dic. 1929, n° 25199 e allegati. 7 Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Affari Politici 1919-1930,

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limitò tuttavia la cooperazione ai soli armamenti, col pretesto che estenderla alla pianificazione operativa e allo scambio di risorse industriali, alimentari e finanziare avrebbe richiesto una armonizzazione troppo vasta delle rispettive politiche nazionali e il coinvolgimento dei rispettivi ministri degli esteri. Ma la vera ragione era che non si voleva far prendere visione ai militari ungheresi, ritenuti filo-tedeschi, dei piani operativi italiani, i quali presupponevano una Germania ostile.

Di cooperazione strategica italoungherese in funzione anti-jugoslava tornò a parlare il ministro degli esteri ungherese in vista della prima visita ufficiale di Gömbös a Roma in qualità di presidente del consiglio, nel novembre 1932. Ma il premier respinse la proposta, osservando che tanto il governo italiano, quanto lo stato maggiore ungherese erano pessimisti circa una guerra contro la Jugoslavia, ed era ancora troppo presto per sottoporre la questione ai rispettivi stati maggiori8. In realtà la cautela sulla Jugoslavia non era tanto di Mussolini, quanto dei vertici militari italiani, consci come quelli ungheresi che un eventuale conflitto avrebbe inevitabilmente comportato l’intervento francese e della Piccola Intesa e che le forze italiane e ungheresi non erano in grado di sostenere una guerra su due fronti.9 All’ordine del giorno non c’era l’aggres-

1765, 8178. De Astis 8 ottobre 1929, n° 2542/1038/A51. In allegato il rapporto di Oxilia n° 473 dell’8 ottobre 1929.; questo vedi anche in: i Documenti Diplomatici italiani, 7° serie, Vol VIII, Roma, 1972, n° 55. 8 Magyar Nemzeti Levéltár Országos Levéltára [Archivio Nazionale Ungherese, Budapest, d’ora in poi MNL] K 64 1932-23-621 a. e d. 9 Anche le priorità erano diverse: l’Italia vedeva come nemico numero uno la Jugoslavia, mentre nei progetti dello S. M. ungherese questo era la Cecoslovacchia, e la Jugoslavia era solo al terzo posto dopo la Romani.

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sione alla Jugoslavia, ma solo il riarmo ungherese, di cui si cominciavano a vedere i primi effetti grazie agli aiuti militari italiani. Ma nel 1934 l’attentato ustascia di Marsiglia contro re Alessandro I e le tensioni italo-jugoslave riapersero il dossier. Nell’incontro con Mussolini del 6 novembre Gömbös chiese una consultazione tra i rispettivi stati maggiori: il duce acconsentì in linea di massima,10 ma sul momento non se ne fece nulla. Bloccata a livello governativo, la cooperazione strategica italo-ungherese fu però avviata a livello servizi. Fu infatti il capo del S. I. M., generale Mario Roatta (18871968), ad accogliere, il 4 maggio 1935, la proposta del tenente colonnello László Szabó, addetto militare ungherese a Roma dal 1932 al 1943, di stabilire una consultazione permanente, e non solo riguardo alla Jugoslavia, ma anche alla Germania.11

il piano italo-ungherese del 1936 contro la Jugoslavia

Poco dopo, in occasione della sua visita a Roma, lo stesso ministro della difesa ungherese, generale József Somkuthy (1883-1961), sostenne la necessità di predisporre piani operativi congiunti, perché altrimenti un conflitto italo-jugoslavo si sarebbe inevitabilmente internazionalizzato. La tesi di Somkuthy era che la Jugoslavia avrebbe adottato la difesa in profondità riuscendo a sbarrare il passo alle forze italiane e a mantenere la linea di collegamento con la Cecoslovacchia. Questo successo avrebbe consentito l’intervento della Piccola Intesa al fianco della Jugoslavia e l’inevitabile coinvolgimento dell’Ungheria. Invece un attacco simultaneo dall’Italia e dall’Ungheria avrebbe consentito di occupare rapidamente la Slovenia, impedendo l’afflusso di aiuti dalla Cecoslovacchia e dissuadendo così un intervento della Piccola Intesa.

Un piano di guerra basato su questo presupposto fu elaborato da Somkuthy nell’estate 1936. I documenti consentono di ricostruirlo solo a grandi linee, ma in sostanza ipotizzava la ritirata jugoslava sulla linea Zagabria Ovest-Nagykanizsa invece che Maribor–Celje–Zagabria Ovest (Brežice)–Fiume ipotizzata dal generale Alberto Pariani (1876-1955), capo di S. M. dell’esercito e sottosegretario alla guerra. L’intervento delle forze

10 i Documenti Diplomatici italiani, 7° serie, Vol XVI, Roma, 1990, n° 112 11 Hetés–Morva 1968. n° 79.

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12 dicembre 1940: la firma del patto di eterna amicizia tra Ungheria e Jugoslavia

ungheresi, inizialmente non contemplato, era previsto al solo scopo di assecondare l’offensiva italiana in Slovenia. Questa doveva consistere in una manovra attraverso l’Austria su Lubiana e poi attraverso l’Ungheria sulla direttrice Nagykanizsa–Zagabria. Qui dovevano entrare in azione anche gli ustascia croati, col compito di paralizzare le forze jugoslave, per poi congiungersi con le forze italiane e puntare direttamente su Belgrado. Gli ungheresi dovevano invece occuparsi della Cecoslovacchia. Il piano era però irrealistico, perché non teneva conto delle possibili reazioni romene e tedesche, della vulnerabilità ungherese al potere aereo della Piccola Intesa e della mancanza di difese anticarro e di artiglierie in grado di battere le fortificazioni cecoslovacche. Inoltre la guerra d’Etiopia aveva mutato la politica italiana verso la Germania. Questa aveva forti interessi sia in Jugoslavia che in Romania e, non volendo provocarla con un cataclisma geopolitico nell’area danubiana, Mussolini archiviò definitivamente il piano, pur dicendo agli ungheresi che era solo sospeso in attesa di un pretesto, ad esempio un eventuale inasprimento delle sanzioni internazionali.12

12 Ágnes Rózsai, «Adalékok a Gömbös-kormány katonapolitikájához», Hadtörténelmi köz-

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1940-1941:la fatale alleanza e il suicidio di teleki

Lo smembramento della Cecoslovacchia e il patto d’Acciaio (22 maggio 1939) mutarono però la situazione geostrategica. All’inizio del 1940, quando la Germania chiese all’Ungheria di consentire il transito delle truppe per occupare i campi petroliferi romeni, il governo Teleki tentò di resistere invocando l’appoggio italiano in difesa della «libertà ungherese», perduta sia in caso di acquiescenza sia in caso di resistenza. La risposta del duce all’inviato speciale ungherese fu però raggelante; «come poteva essere, dal momento che [lui era] alleato di Hitler e intend[eva] rimanere tale?»13. In quel momento Mussolini pensava infatti di attaccare la Jugoslavia: il secondo piano di guerra fu elaborato tra il 26 e il 31 marzo, e a tal fine il 9 maggio il capo di gabinetto del ministero dell’Aeronautica indirizzò all’addetto militare ungherese una nota circa il rinnovo dell’accordo del 1936 sull’uso degli aeroporti militari ungheresi. L’attacco alla Jugoslavia fu accantonato solo a fine maggio, quando Ciano cominciò a preparare quello contro la Grecia.14

In luglio, a seguito dell’ultimatum sovietico, la Romania acconsentì a cedere la Bessarabia e la Bucovina Settentrionale, e a seguito del secondo arbitrato di Vienna (30 agosto) cedette pure la Transilvania settentrionale. all’Ungheria. Il 27 settembre Germania, Italia e Giappone firmarono il Patto Tripartito, al quale Ungheria e Romania dovettero aderire il 20 e 23 novembre, mentre era in corso l’attacco italiano alla Grecia. Nell’estremo tentativo di assicurarsi un minimo di autonomia, il 12 dicembre Teleki firmò un Trattato di eterna amicizia con la Jugoslavia. Ma la preparazione dell’Operazione Barbarossa fece precipitare la situazione. Il 25 marzo 1941 l’adesione del premier jugoslavo al Tripartito provocò un colpo di stato antinazista e la decisione di Hitler di smembrare la Jugoslavia. Teleki tentò invano di opporsi alla richiesta di transito, ma, impotente, la sera del 3 aprile si suicidò. Probabilmente fu il suo gesto a salvare l’Ungheria dalla dichiarazione di guerra britannica quando l’11 la 3a armata ungherese invase la Voivodina. L’armistizio fu firmato il 17.

lemények, 1969, N. 4, pp. 646-647.; MNL K 100. 1936. 13 Diari di Ciano, 25 marzo 1940. John F. Cadzow, andrew ludanyi, louis J. elteto,

Transylvania: the Roots of Ethnic Conflict, Kent State U. P., 1983. 14 Fortunato Minniti, Fino alla guerra. Strategie e conflitto nella politica di potenza di Mussolini 1923-1940, Napoli, 2000, pp. 212-215.

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i piani italo-ungheresi contro la Jugoslavia del 1940

A livello militare, la pianificazione italo-ungherese contro la Jugoslavia era proseguita. Un documento del 22 luglio riferisce un colloquio tra l’addetto militare ungherese a Roma e tale «N» circa un’offensiva congiunta contro la Jugoslavia, analoga a quella ipotizzata nel 1936, con l’unica differenza che, eliminata ormai la Cecoslovacchia, si prevedeva di impiegare le forze ungheresi contro la Romania. Il concorso magiaro alle operazioni italiane si riduceva perciò a poche unità di frontiera. La direzione dell’attacco italiano era invariata: aggiramento delle montagne slovene attraverso l’Austria, sforzo principale sulla linea Zagabria- Nagykanizsa, con l’aggiunta di un attacco su Belgrado da Budapest e dalla valle della Morava. Al riguardo l’addetto militare chiedeva di effettuare il passaggio della Drava il più a oriente possibile, preferibilmente all’altezza di Osijek. «N» aveva assicurato che l’attacco sarebbe stato sferrato dal confine italo-jugoslavo solo qualora la Germania avesse rifiutato di consentire il transito delle forze italiane attraverso l’Ostmark.

Per ottenere l’appoggio italiano alle rivendicazioni ungheresi durante il secondo arbitrato di Vienna, l’addetto militare assicurava (il 13 agosto a Roatta e il 16 a Ciano) che il governo ungherese era pronto all’intervento. Un suo promemoria del 19 agosto discuteva anzi tre possibili direttrici d’attacco:

da Nagykanizsa si abbreviava di 80 km la marcia su Zagabria, ma era un vantaggio modesto; le altre due direttrici presentavano invece vantaggi maggiori. Attaccando dalla confluenza della Mura nella Drava verso Ptuj–Varaždin era più facile congiungersi con le forze italiane provenienti da Ovest; puntando invece da Pécs sul nodo ferroviario di Vinkovci si paralizzava la maggior parte delle linee settentrionali nemiche. Questa seconda opzione era da preferirsi qualora la Germania avesse consentito il transito delle forze italiane attraverso l’Austria, rendendo possibile un attacco congiunto sulla Voivodina. Altrimenti non restava che cercare di collegarsi il più rapidamente possibile in Slovenia.

Il diniego tedesco a consentire il transito di forze italiane giunse il 22 agosto, indirizzando definitivamente le mire italiane verso la Grecia, ma senza scoraggiare il generale Roatta, ora sottocapo di S. M. dell’esercito, che il 29 annunciava all’addetto militare ungherese l’invio entro un mese di una delegazione italiana incaricata di concordare i dettagli del piano e chiedeva intanto di raccogliere ulteriori informazioni topografiche (a Budapest

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fu creata a tal fine una speciale commissione). Ancora il 16 settembre Roatta specificava che l’Italia avrebbe concentrato 20 divisioni in territorio ungherese, nell’area a N della Drava tra la frontiera austriaca e la parte orientale di Kaposvár. In realtà l’invio della delegazione italiana fu annullato, ma ancora il 25 ottobre, tre giorni prima dell’attacco alla Grecia, Roatta continuava a parlare di Jugoslavia e il 6 dicembre tornava a promettere all’addetto militare l’invio della delegazione.15

Pur in mancanza di documenti, si può supporre che alla fine vi siano stati a Budapest colloqui tecnici italo-ungheresi. Un indizio è una raccolta di itinerari d’attacco alla Jugoslavia conservata nell’archivio dell’ufficio storico italiano16. Pur non essendo datati, gli itinerari sono sicuramente posteriori al 193017 e anteriori all’aggressione. La parte ungherese è quella più elaborata, e gli itinerari coprono proprio l’area indicata da Roatta il 16 settembre per lo spiegamento delle truppe italiane. Gli itinerari in territorio austriaco coprono la Stiria meridionale e i valichi alla frontiera settentrionale dell’attuale Slovenia. Ci sono pure otto itinerari in Macedonia, ovviamente per operazioni provenienti dall’Albania.

Come si deve interpretare l’incoerenza tra la posizione ufficiale del governo Teleki e i piani di aggressione contro la Jugoslavia? Sebbene nel 1936 l’impulso fosse venuto dall’Ungheria, e nel 1940 dall’Italia, è chiaro che lo scopo della disponibilità ungherese era di rompere l’isolamento e rafforzare l’impegno italiano a favore non solo delle rivendicazioni territoriali ma anche della stessa indipendenza ungherese nei confronti della Germania. Del resto neanche da parte italiana c’era una reale intenzione di attaccare la Jugoslavia. La ragione per cui Roatta continuò a parlarne anche quando ne erano venuti meno i presupposti, era probabilmente solo di monitorare gli ungheresi e ottenere quante più informazioni possibili. Il frutto furono appunto gli itinerari di cui abbiamo accennato: inutili per la campagna dell’aprile 1941, restano nondimeno un documento prezioso per la storia sociale ed economica del tratto meridionale della regione Transdanubiana alla fine degli anni ’30.

15 MNL K 100. 1940. 16 Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, E–10. 17 Il ponte di Alibánfa, fotografato per l’Itinerario 11 bis, fu consegnato al traffico il 23 agosto 1930. Hidak Zala megyében, Redatto da Tráger Herbert, Zalaegerszeg, 2004, p. 106.

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