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Death Ray. L’arma segreta del Duce, di Andrea Molinari “

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Death Ray

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L’arma segreta del Duce

di Andrea Molinari

«But if such a ray has not yet been discovered it very likely will be. After the invention of radio we are prepared to believe almost any prophecy in the domain of electricity, and it should surprise nobody to learn that some sort of electronic impulses have been discovered which will destroy life at long range»1 .

la gita di rachele

Siamo nel giugno del 1936 e Donna Rachele (1890-1979) è diretta col suo autista da Roma a Ostia. E’ inquieta: quando è salita in macchina Lui le ha preannunciato, da gattone ‘col sorcio in bocca’, che fra le tre e le tre e mezza ne avrebbe visto delle belle. Il traffico è scarso e tutto sembra procedere regolarmente. Passano le tre, e all’improvviso il motore si arresta, senza apparente motivo; idem le altre rare auto nei pressi. Ogni tentativo di rimettere in moto i propulsori è vano finché, dopo una mezz’ora, tutto torna regolare e il viaggio può riprendere. La sera, a cena, il Duce spiega, sussiegoso e soddisfatto, che si era trattato di un esperimento segretissimo condotto da Guglielmo Marconi (1874-1937) e destinato a dare all’Italia un’arma formidabile2. Un’arma che, come sappiamo, non si concretizzò mai ma che, secondo i tanti che si sono esercitati in fantasiose congetture, non sarebbe stata ultimata solo a causa del conflitto

1 La citazione è ripresa da un articolo anonimo («Evil Inventions») comparso il 17 agosto 1938 sul quotidiano americano the Chronicle telegram (Elyria, Ohio, p. 12). Cfr.

William J. Fanning, Jr., Death rays and the Popular Media, 1876–1939. a Study of

Directed energy Weapons in Fact, Fiction and Film, McFarland & Company, Jefferson, North Carolina, 2015, pp. 86, 87. 2 L’episodio è narrato dalla stessa Rachele Mussolini nella sua autobiografia. Cfr. Rachele Mussolini, Mussolini privato, Rusconi, Milano 1973.

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di coscienza che aveva lacerato l’animo di Marconi tanto da condurlo a un’improvvisa e prematura morte, il 20 luglio 19373 .

Il misterioso congegno che avrebbe fatto fermare il motore dell’automobile su cui stava viaggiando donna Rachele non sarebbe stato altro che una delle tante versioni di quell’arma finale di cui si dibatteva da decenni e che avrebbe posto fine alle guerre, ovvero avrebbe consegnato la supremazia mondiale alla nazione che ne fosse per prima venuta in possesso.

L’ingegnere e storico aeronautico Giuseppe Ciampaglia commenta l’episodio, ricordando altre notizie simili di pecore fulminate a distanza e aeromodelli fatti precipitare e ipotizzando una relazione con la realizzazione, curata personalmente da Marconi, della prima stazione radio del Vaticano, inaugurata alla presenza di Pio XI il 12 febbraio 1931. Subito dopo lo scienziato bolognese si dedicò allo studio e alla sperimentazione di collegamenti radio tramite onde corte e ultracorte, sempre su commessa papale. L’obiettivo era infatti la realizzazione un ponte radio tra la residenza estiva del pontefice di Castelgandolfo e la Città del Vaticano. L’impianto utilizzava una complessa antenna trasmittente che generava uno stretto fascio elettromagnetico. Per evitare interferenze furono affissi nei pressi dell’antenna degli avvisi che invitavano a non stazionare in prossimità, alludendo a possibili pericoli per la salute. Da qui l’origine delle dicerie sulla presunta invenzione da parte di Marconi di un non meglio precisato «raggio», capace non solo di uccidere ma anche di arrestare i motori a scoppio, e il fiorire di episodi che attribuivano al congegno di Marconi decessi improvvisi, incidenti aerei o, come fu il caso di Rachele Mussolini,

3 Si dice che Marconi, divenuto religiosissimo negli ultimi anni della sua vita, avesse rivelato a papa Pio XI il segreto della sua nuova formidabile arma e che il pontefice gli avesse intimato di tenerlo celato per il bene dell’umanità. Marconi, diviso tra scrupoli religiosi e patriottismo fascista, si sarebbe confidato con Mussolini il quale avrebbe cercato di convincere il premio Nobel a proseguire le sue ricerche per il bene dell’Italia, pur comprendendo il suo travaglio e lasciando a lui l’ultima scelta. Il conflitto interiore avrebbe lacerato a tal punto Marconi da contribuire a provocarne la prematura scomparsa. Questa ricostruzione, che parrebbe trovare origine nel supposto soliloquio di Mussolini raccolto da Ivanoe Fossati il 20 marzo 1945 (Ivanoe Fossati, Mussolini sotto le stelle, Latinità, Roma 1952), è stata ripresa da innumerevoli scritti – di carattere ovviamente tutt’altro che scientifico – che affiorano periodicamente sulla stampa e sul web.

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Gli specchi ustori di Archimede. Affresco di Giulio Parigi (1571-1635), Stanzino delle Matematiche, Galleria degli Uffizi, Firenze

inspiegabili panne dei veicoli4 .

Torneremo in seguito su Marconi e le sue ricerche ma, a questo punto, cerchiamo di analizzare più in dettaglio e contestualizzare quella che, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, fu un’autentica ossessione collettiva, coltivata tanto da impostori e inventori improvvisati quanto da autorevoli scienziati e addirittura istituzioni governative: il «raggio della morte»5 .

4 Cfr. Giuseppe Ciampaglia, «Una leggenda metropolitana romana: il ‘Raggio della morte’ di Guglielmo Marconi», Strenna dei romanisti, Edizioni Roma Amor, Roma 2003. V. pure Renzo Baschera, «Un segreto tra Marconi e Mussolini: il ‘raggio della morte’», Historia, N. 172, Aprile 1972, pp. 30-41. Nicoletta Verna, «Storia e gloria del cannone della morte», ricerca e Storia, N. 44, 16 aprile 2003. 5 In realtà, l’espressione «raggio della morte» si riferisce a diverse tipologie di arma che, per usare una definizione odierna, possiamo classificare come DEW (Direct Energy Weapon). La maggior parte erano basate sull’elettromagnetismo, ma non mancavano raggi ultravioletti, raggi X, raggi di calore, fasci di particelle (quali il Teleforce di

Nikola Tesla). Anche gli effetti erano diversificati: si parlava di volta in volta di raggi, onde o fasci in grado di far detonare esplosivi a distanza, di stordire, di uccidere, di incendiare oppure di arrestare o danneggiare motori elettrici o a scoppio. L’espressione

“raggio della morte” non fu la sola usata per definire queste armi ma fu certamente la più comune: per questo ho deciso di impiegarla anch’io in queste pagine.

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la «prossima guerra» e l’arma ideale

Il fallimento della Società delle Nazioni e l’evidente provvisorietà dell’assetto mondiale disegnato dal trattato di Versailles non lasciava adito a dubbi: la Grande Guerra non sarebbe stata l’ultima e un nuovo conflitto mondiale – la «Next War» – incombeva ineluttabile. Il dibattito sulla «prossima guerra» non era ristretto ai circoli politici e militari, ma coinvolgeva la società civile con articoli, analisi, pubbliche conferenze e dibattiti: nessun dubbio, infatti, che la guerra sarebbe stata totale, trascinando con sé l’intera popolazione che, già in quegli anni di pace precaria, si sentiva in prima linea.

Quale che fosse lo scenario (ben pochi dubbi sul fatto che ancora una volta sarebbe stata la Germania il ‘nemico’ per eccellenza), le armi principali con cui si sarebbe combattuta la «Next War» erano quelle emerse come le più innovative e terribili del 1914-18: il potere aereo e gli aggressivi chimici. Combinate assieme, la potenza delle flotte aeree di bombardieri e la terribile letalità dei gas venefici avrebbero costituito un micidiale strumento di distruzione di massa. Sull’onda dell’assioma «The bomber will always get through»6, si riteneva illusorio poter allestire forme efficaci di difesa aerea; piuttosto l’unico modo di evitare Armageddon appariva già allora quel che in età atomica sarebbe stato detto «mutual assured destruction» (dissuasione reciproca assicurata): flotte di bombardieri armati con bombe a gas a disposizione di tutti i possibili contendenti, in modo da ottenere un equilibrio del terrore che impedisse o rendesse più difficile la decisione di scatenare il conflitto. Certo, già in quegli anni non mancò chi teorizzava l’efficacia di un devastante attacco preventivo ma questa è una storia che, come ben noto, avrebbe avuto ampio sviluppo nei decenni futuri… Il punto che qui ci interessa sottolineare è che la «Next War» immaginata negli anni Venti e Trenta era ben più apocalittica dei peggiori incubi edoardiani: va da sé che un conflitto in grado di distruggere il genere umano richiedesse armi e strumenti bellici all’altezza della sfida, risultato di un’incessante ricerca scientifica e tecnologica che già nella guerra precedente aveva dimostrato tutta la sua efficacia.

6 Questo concetto, ai tempi accettato pressoché universalmente, fu espresso nel 1932 nel corso di un’audizione presso il parlamento britannico da Stanley Baldwin (18671947), tre volte primo ministro conservatore tra le due guerre.

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Abbiamo già accennato ad aerei e gas, ma che dire dell’energia elettrica ed elettromagnetica, dei raggi invisibili, della radioattività, dei collegamenti senza fili che univano in modo invisibile continenti separati dagli oceani? Sarebbe finalmente stato possibile creare un’arma basata su questi princìpi? Un’arma che avrebbe rappresentato lo ‘scudo’ tecnologico da opporre alla ‘spada’ costituita dai nuovi strumenti di offesa, primo tra tutti il potere aereo? Era possibile immaginare un congegno che, ad esempio, provocasse l’arresto dei motori dei bombardieri oppure li facesse esplodere in volo, creando una barriera invisibile e invalicabile? L’idea non era nuova ma negli anni tra le due guerre sembrò davvero a portata di mano.

il raggio della morte tra fantasia e realtà

Se, come abbiamo visto, il dibattito sulla «Next War» rappresentò il terreno di coltura ideale per immaginare un’arma innovativa come il raggio della morte, bisogna anche sottolineare che la fortuna di cui godette questo concetto si basava su un doppio fondamento: la fantasia e la realtà.

La prima era rappresentata dalla letteratura di fine Ottocento-inizio Novecento che scaturiva dal mito del progresso scientifico e dalla fiducia incrollabile nella ricerca. L’affermazione della fantascienza come lettura di massa ne costituisce l’esempio più rilevante, in particolare per quei romanzi che disegnavano uno scenario futuribile in cui però si declinavano concetti e ammonimenti rivolti ai contemporanei. Tra i campioni del genere il primato spetta ad H. G. Wells (1866-1946) il quale, nel suo the War of the Worlds del 1898, descrive un raggio di calore («Heat-Ray») quale arma principale dei Tripodi, le macchine da combattimento marziane, le cui caratteristiche sono sorprendentemente simili a quelle dei moderni laser a CO27. Dal letale raggio marziano di Wells, la produzione

7 Sullo sviluppo delle armi laser cfr. Melissa Olson, «History of Laser Weapon Re-

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letteraria prima e cinematografica poi in cui compaiono armi a energia diretta è divenuta sterminata.

Ma, ed è questo un punto di fondamentale importanza, il raggio della morte non può essere ridotto a topos letterario. Piuttosto, è vero l’opposto: a partire dalla fine dell’Ottocento, il raggio della morte fu ritenuto da alcuni scientificamente fondato e tecnicamente attuabile: studiosi di fama come Thomas Alva Edison (1847-1931) e Nikola Tesla (1856-1943) espressero la convinzione che l’elettricità potesse essere sfruttata a scopi bellici, con un fascio concentrato di onde elettromagnetiche diretto contro un bersaglio. Certamente, con l’andar del tempo, i sempre più numerosi fallimenti sperimentali e i progressi della ricerca, provocarono un crescente scetticismo da parte del mondo scientifico, ma voci più possibiliste non vennero mai meno. Teoricamente, infatti, il «raggio della morte» era tutt’altro che impossibile e venne addirittura sperimentato con successo ma si dimostrò di una qualche efficacia solo a una portata di poche decine di centimetri il che, ovviamente, ne escludeva qualunque possibilità di impiego bellico8 .

Ma quello che pareva un limite insuperabile non diminuì la spasmodica attenzione della stampa che riportava con ampio risalto le notizie che riguardavano il raggio della morte, si trattasse dell’ennesimo annuncio della sua realizzazione da parte di un qualche inventore oppure di inspiegabili incidenti che potevano celare la sperimentazione del raggio da parte di potenze straniere.

Infine, un ruolo di primaria importanza (ma – come vedremo – non privo di ambiguità) per conservare al raggio del morte un’aura di credibilità lo giocarono autorità militari e governative che, in diversi Paesi, diedero credito ai vari inventori o addirittura promossero specifici programmi di ricerca.

search», leading edge, Vol 7, Issue 4, 2012, Defense Technical Information Center,

Naval Surface Warfare Center, pp. 26-35. 8 Folgorare una cavia a una distanza di qualche centimetro era un conto, ma ottenere effetti letali su un essere umano a chilometri di distanza (o incendiare un aereo in volo a migliaia di metri di altitudine) era impresa di tutt’altra natura. I problemi fondamentali – che non furono mai risolti all’epoca – erano la progressiva dispersione del

“raggio” nell’attraversamento dell’atmosfera al crescere della distanza e la generazione dell’enorme quantità di energia iniziale necessaria.

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Possiamo quindi stabilire un primo punto fermo: il tema del raggio della morte, almeno così come era vagheggiato negli anni Venti e Trenta, traeva linfa ed era alimentato in modo continuativo più dalle notizie di stampa e dalle ricerche connesse alla «Next War» che dalle sue rappresentazioni letterarie. In altre parole, il raggio della morte appartiene più al regno della realtà che a quello della fantasia: un paradosso, certamente, trattandosi di qualcosa che non è mai esistito, ma un paradosso che ebbe significative ricadute nella realtà, come mostrano le vicende delle sue (tante) presunte invenzioni.

tanti ‘padri’ ma nessuna paternità

Il raggio della morte godette, come ricordato, di una ‘età dell’oro’ tra gli anni Venti e Trenta ma le sue origini furono più lontane nel tempo. Senza stare a scomodare Archimede e i suoi specchi ustori, possiamo risalire agli ultimi anni dell’Ottocento quando le scoperte e le ricerche di Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894), Edison, Tesla e Marconi sull’elettricità e le onde elettromagnetiche avevano dischiuso nuove prospettive di trasmissione dell’energia a distanza, senza collegamenti fisici. Negli ultimi anni del XIX secolo iniziarono a comparire storie di congegni capaci di emettere ‘raggi’ di varia natura che ottenevano effetti sorprendenti, come tramortire o addirittura uccidere gli animali usati come bersagli. Nel 1898, un certo John Hartman, veterano della guerra civile americana, dichiarò di aver messo a punto un dispositivo che, sfruttando il fascio luminoso di un proiettore, era in grado di scagliare scariche elettriche letali. Dandone notizia, il britannico the Northern Daily Mail and South Durham Herald, lo battezzò «raggio della morte», espressione destinata a un’ampia e duratura fortuna (a differenza di Hartman, quasi subito caduto nell’oblio)9 .

Ma il primo nome che ottenne notorietà internazionale grazie a un prodigioso raggio, questa volta capace di provocare la detonazione di esplosivi a distanza, fu un italiano, l’ingegnere toscano Giulio Ulivi (1881-

9 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., pp. 24-25. Ove non altrimenti specificato, tutti i riferimenti a personaggi e invenzioni citati in questo paragrafo seguono lo studio di Fanning che, a sua volta, si basa principalmente su fonti di stampa dell’epoca.

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1948). Personaggio controverso ma non del tutto privo di credibilità, nonostante una reputazione non specchiata seppe conquistare e mantenere per decenni una certa fama di inventore brillante e visionario, titolare di svariati brevetti internazionali10. Nel 1913 Ulivi, da alcuni anni residente in Francia, dichiarò di avere realizzato un congegno a raggi ultravioletti (battezzati «raggi F») che poteva innescare la polvere da sparo a circa 15 km di distanza. Il capo di stato maggiore francese, generale Joseph Joffre (1852-1931), si interessò immediatamente alla scoperta e ottenne da Ulivi una dimostrazione della sua invenzione, tenutasi nella prima settimana di settembre del 1913.

I risultati furono apparentemente positivi ma Ulivi rifiutò di ripetere l’esperimento e i militari francesi decisero di lasciar perdere. Non così Ulivi che si recò immediatamente in Inghilterra cercando di avviare un negoziato che si concluse con un nulla di fatto. A questo punto Ulivi tentò con la sua madrepatria: tornato in Italia, ottenne un certo credito e, nel febbraio del 1914, organizzò una dimostrazione facendo detonare a distanza due cariche esplosive nel fiume Arno. L’esperimento era stato condotto con l’assistenza della R. Marina, in particolare dell’ammiraglio Pietro Fornari, il quale richiese una nuova sperimentazione. Ulivi questa volta accettò, a condizione però che Fornari gli concedesse la mano della figlia Maria Luisa, della quale si era perdutamente innamorato (in suo onore aveva cambiato il nome dei suoi raggi da «F» a «M»). Ma l’ammiraglio non la concesse, la dimostrazione non si tenne e Maria Luisa fuggì con Ulivi. Quanto accaduto minò ovviamente la credibilità dell’inventore toscano: a proposito dei suoi esperimenti si parlò apertamente di frode, ipotizzando che in realtà le detonazioni degli ordigni subacquei fossero state ottenute con dei timer rudimentali e che quella dei raggi F (o M) fosse solo una messinscena.

10 Su Ulivi segnalo in particolare Charles Anderson, Giulio Ulivi: the inventor Who

Might Have ended Wars, autopubblicazione dell’autore, 2013.

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Ma non mancarono voci che si levarono a difesa della validità del lavoro di Ulivi. Lo scoppio della Grande Guerra riaccese, infatti, l’interesse attorno alle sue sperimentazioni di «radiobalistica», un termine coniato dallo stesso Ulivi11. Nel luglio del 1917 venne organizzato un ciclo di prove presso lo stabilimento Somaini di Lomazzo (Como) dove si producevano impianti elettrici. Agli esperimenti assistettero il proprietario dello stabilimento, col. Francesco Somaini, e il direttore tecnico, Adolfo Hilzinger. Stando alle relazioni, qualcosa accadde: tre grossi motori elettrici dello stabilimento riportarono danni, le lampade dell’illuminazione pubblica di Lomazzo si bruciarono… risultati però al di sotto delle attese, tanto che le autorità militari non diedero seguito ad altri esperimenti.

Durante la Grande Guerra continuarono ad apparire storie di raggi prodigiosi in grado di far esplodere dirigibili, abbattere aeroplani, sterminare intere armate: ma le notizie dai fronti di guerra presentavano una realtà ben diversa e il conflitto si concluse senza che nessun “raggio della morte” avesse offerto una benché minima prova di esistenza. Questo però – come abbiamo visto in precedenza – non spense l’interesse verso quest’arma che anzi si apprestò a godere della massima notorietà, grazie soprattutto alle vicende di un (apparentemente) rispettabile inventore inglese: Harry Grindell Matthews (1880-1941)12 .

Matthews si era costruito una solida fama sviluppando nel 1912 un radiotelefono e un sistema di telecomando senza fili che nel 1914 aveva ricevuto un premio di £. 25.000 dal governo britannico. Nel 1915, inoltre, aveva compiuto con successo esperimenti di controllo a distanza via radio, pilotando un modello di barca e facendo esplodere una mina, alla presenza di Lord John Fisher (1841-1920), del Primo Lord dell’Ammiragliato Arthur Balfour (1848-1930) e del cancelliere dello scacchiere Reginald McKenna (1863-1943).

11 Ampi e documentati dettagli sugli esperimenti di Lomazzo e le relazioni tecniche in

Simone Berni, a caccia di libri proibiti. libri censurati, libri perseguitati. la storia scritta da mani invisibili, Edizioni Simple, Macerata 2005, pp. 19-23. 12 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., pp. 59-75. Jonathan Foster, the Death ray: the Secret life of Harry Grindell Matthews, Inventive Publishing, 2009. V. pure Andrea Candela, «The Radium Terror. Science Fiction and Radioactivity before the Bomb», Nuncius, 30 (2015), pp. 320-344.

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La sua credibilità era quindi fuori discussione quando, nel 1923, annunciò che stava lavorando a un dispositivo che permetteva di trasmettere a distanza, senza collegamenti fisici, grandi quantità di energia in grado, ad esempio, di abbattere aerei in volo13 . In quei mesi, tra l’altro, sulla stampa internazionale apparivano con grande risalto notizie di ‘misteriosi’ guasti tecnici che avevano afflitto in diverse occasione aerei francesi mentre sorvolavano la Baviera. Si sospettava che i guasti non fossero causati da semplici noie meccaniche ma che fossero stati indotti artificialmente da un dispositivo sviluppato segretamente dalla Germania, magari con l’assistenza dell’Unione Sovietica con la quale i tedeschi avevano concluso nel 1922 un accordo di cooperazione (trattato di Rapallo). In un clima del genere, l’annuncio di Matthews, ripetuto con maggiori particolari all’inizio del 1924, venne accolto con sollievo: finalmente anche la Gran Bretagna disponeva di un’arma in grado di opporsi ai minacciosi congegni tedeschi. Furono svelati anche alcuni dettagli tecnici: il «raggio della morte» di Matthews sfruttava un «sentiero» reso conduttivo ionizzando l’aria, lungo il quale veniva indirizzato un fascio di energia elettrica che, grazie al «sentiero», non si disperdeva e restava concentrato, risultando efficace anche a grande distanza. L’arma poteva provocare l’arresto dei motori degli aerei e addirittura incendiare le ali: notizie fatte filtrare ad arte specificavano che soli cinque secondi erano sufficienti per fare esplodere un aereo e che l’arma era efficacissima anche contro bersagli terrestri, tanto da relegare le mitragliatrici nei musei. La stampa internazionale diede ovviamente ampia copertura alla notizia.

Il governo britannico impartì disposizioni per approfondire la vicenda ma venne preceduto da una società francese di Lione, i Chantiers du

13 V. Grindell Matthews, «The New Death-dealing: Diabolic Rays», Popular radio, August 1924, pp. 149-155.

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Rhône, che offrì a Matthews un fondo di tre milioni di franchi per sviluppare la sua scoperta. Giunto a Parigi il 20 maggio del 1924 e acclamato come un divo, Matthews decise però ben presto di ritornare in patria: il 23 maggio, infatti, la Camera dei Comuni aveva discusso dell’argomento e aveva esercitato pressioni sull’Air Ministry perché fosse data a Matthews la possibilità di dimostrare la sua invenzione. La dimostrazione avvenne pochi giorni dopo ma si risolse nell’accensione di una lampadina a distanza e nell’arresto di un motore di motocicletta posto a una dozzina di metri: davvero poco per un congegno il cui inventore diceva essere in grado di spazzare dai cieli interi stormi di bombardieri in volo a migliaia di metri di altezza.

I militari britannici richiesero un’altra dimostrazione promettendo, in caso di successo, un premio di mille sterline, ma Matthews rifiutò sdegnosamente e tornò in Francia, dai Chantiers du Rhône, lasciando intendere che stava trattando con potenze straniere la cessione della sua invenzione, per quanto – fosse dipeso da lui – avrebbe volentieri acconsentito a trovare un accordo col governo britannico. Nel frattempo la comunità scientifica iniziò a prendere posizione, esprimendo un crescente scetticismo circa le dichiarazioni dell’inventore inglese. Ma non mancarono sostenitori di peso, come Tesla che confermò che un dispositivo come quello di Matthews era effettivamente realizzabile14. Voci favorevoli furono anche quelle di diffuse riviste di divulgazione scientifica, come Popular Mechanics, Popular Science Monthly e, soprattutto il prestigioso quotidiano New York times che, in un lungo articolo del primo giugno 1924,

14 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., p. 66.

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accreditò almeno in parte le basi scientifiche dell’invenzione di Matthews, confermando la fattibilità del «sentiero» usando raggi ultravioletti15 . Nel luglio e nel dicembre del 1924 Matthews si recò negli Stati Uniti, dove, ancora una volta, rifiutò di svelare i dettagli tecnici del suo raggio. All’inizio del 1925, di nuovo in Gran Bretagna, annunciò di aver concluso un accordo economico con anonimi investitori americani, ma nulla del genere si concretizzò. Nonostante l’enorme pubblicità di cui godette, Matthews non riuscì a convincere nessun governo a sostenerlo: la stampa continuò a ricordarlo come «l’inventore del raggio della morte» ma, di fatto, il suo fu un fiasco completo.

Naturalmente il tema fu sfruttato pure dalla fantascienza. Capostipite del sottogenere è sicuramente l’iperboloide dell’ingegner Garzin (1927) di Aleksej Nikolaevič Tolstoj (1882-1945), tradotto in inglese nel 1936 e adattato al cinema nel 1965, dove la superarma (dagli effetti limitati) viene usata da un aspirante dittatore mondiale. In un’intervista dell’aprile 2014, Charles H. Townes (1915-2015), inventore del laser e premio Nobel per la fisica, dichiarò che l’idea del laser gli era stata suggerita dal romanzo di Tolstoj16 .

15 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., pp. 67-68. 16 Annie Jacobsen, the Pentagon’s Brain: an Uncensored History of DarPa, america’s top-Secret Military research agency, Hachette UK, 2015, pp. 207, 347.

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la disinformazione dei governi e lo sviluppo del radar

Ancora una volta sorprende come, nonostante il clamoroso fallimento di Matthews, il raggio della morte abbia continuato a occupare il centro della scena anche negli anni successivi. Ai consueti annunci da parte di più o meno improvvisati inventori che dichiaravano di aver raggiunto il successo17, si aggiunsero indiscrezioni, perlopiù provenienti da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che lasciavano intendere che anche da parte delle autorità ufficiali si stavano compiendo o promuovendo ricerche in tal senso.

Negli anni Trenta, Nikola Tesla che, col suo incessante lavoro di ricerca sulla trasmissione dell’energia senza collegamenti fisici, era il ‘padre nobile’ del concetto e della sperimentazione sul raggio della morte, si guadagnò la ribalta dichiarando, nel 1931, che stava lavorando a nuove fonti di energia. Nel 1934 annunciò che le sue ricerche lo avevano condotto alla realizzazione di una forma di energia che avrebbe reso le guerre impossibili. Si trattava di un fascio di particelle dall’incommensurabile potere distruttivo, che avrebbe permesso di creare delle barriere difensive a prova di attacco aereo. Nel 1935 l’anziano scienziato di origine serba diffuse un dettagliato resoconto tecnico («The New Art of Projecting Concentrated Non-Dispersive Energy Through Natural Media») e tentò di interessare le principali nazioni alla sua arma, battezzata «Teleforce», ma non ottenne il successo sperato, nonostante una parziale collaborazione stabilita con l’Unione Sovietica18. Determinante fu con ogni probabilità il parere negativo espresso dall’United States

17 Tra cui lo spagnolo Antonio Longoria (1890-1970), naturalizzato americano nel 1919, il quale asserì nel 1936 di aver venduto per 6 milioni di dollari il brevetto di un raggio invisibile per la saldatura di metalli ferrosi e non ferrosi. («Inventor Hides Secret of Death Ray»,

Popular Science, February 1, 1940). 18 Per una visione complessiva cfr. Marc J. Seifer, Wizard. the life and times of Nikola tesla, Biography of a Genius, Citadel Press, Kensington 1998.

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Bureau of Standards che escluse la possibilità di ottenere i risultati vantati da Tesla19. Neppure l’insuccesso di Tesla sopì gli entusiasmi dei tanti che negli anni Trenta tentarono di realizzare un raggio della morte, anche sperimentando strade alternative come i raggi X, gli infrarossi, le onde ultracorte, addirittura il suono. Ma non si riuscì mai a ottenere alcunché che potesse divenire un’arma realmente efficace.

In quegli anni accadde però un fatto nuovo: i governi stavano scendendo direttamente in campo: le nubi di guerra che si addensavano all’orizzonte erano sempre più cupe e minacciose. Non era più tempo di improvvisazioni e dilettanti allo sbaraglio: era necessario adottare delle iniziative da parte delle autorità.

Tra le potenze dell’epoca fu la Gran Bretagna a distinguersi per dinamismo ed efficacia della sua azione. Nel novembre del 1934 fu istituito un comitato per studiare il problema della difesa aerea delle isole britanniche20. Sulla stampa filtravano notizie circa studi e progetti per realizzare una «cortina invisibile» difensiva, di natura apparentemente simile alla barriera che in quegli stessi anni stava proponendo Tesla. Altre indiscrezioni davano ormai per assodato che gli inglesi fossero finalmente riusciti a sviluppare una qualche forma di ‘raggio’ in grado di fermare i motori dei bombardieri attaccanti. Alla fine del 1936 sempre più numerosi erano gli articoli su quotidiani internazionali che scrivevano di «muri invisibili» o di «barriere di raggi della morte» che avrebbero protetto la Gran Bretagna dalle incursioni aeree21. Una conferma ufficiale sembrò arrivare quando il ministro per la coordinazione della difesa, Sir Thomas Inskip (18761947), informò nell’agosto del 1937 la Camera dei Comuni che gli scienziati britannici stavano sviluppando un raggio che entro pochi anni avrebbe garantito una difesa assoluta: «No air fleet could invade the country; no ship could land a man: no army could march»22 .

In realtà, non si trattò che di un’abile opera di disinformazione. Nel gennaio del 1935 il comitato CSSAD interpellò il fisico e meteorologo

19 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., p. 94. 20 Si trattava dello CSSAD (Committee for Scientific Survey of Air Defence), presieduto da Sir Henry Tizard (1885-1959), insigne chimico e rettore dell’Imperial College. 21 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., pp. 106-108. 22 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., p. 108.

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Robert Watson-Watt (1892-1973), direttore della Radio Research Station, per un parere circa la credibilità dell’ennesima notizia di un raggio della morte – questa volta tedesco – basato su onde radio. Watson-Watt escluse categoricamente la fattibilità di un raggio del genere e suggerì invece di concentrarsi sulla «radio detection», ossia sulla possibilità di utilizzare le onde radio per individuare oggetti volanti. Ottenuta l’autorizzazione del comitato, Watson-Watt si mise al lavoro: sei mesi dopo il concetto fu dimostrato con successo ed entro la fine dell’anno furono stanziate le prime somme per la costruzione di una rete di stazioni radar per la difesa aerea. Si trattava ovviamente di un programma segretissimo, ma gli inglesi fecero di più che essere riservati. Nel 1937 Basil Liddell-Hart (18951970) suggerì a Inskip di far trapelare notizie circa l’apprestamento di un sistema di difesa aerea basato su raggi di nuova invenzione23. Sfruttando come un’opportunità la psicosi collettiva del raggio della morte, il successo dell’iniziativa inglese fu pieno.

23 Cfr. Brain Bond, liddell Hart: a Study of His Military thought, Rutgers University Press, New Brunswick, 1977, p. 110 e Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., p. 108.

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Può essere interessante a questo punto ritornare all’Italia, all’episodio narrato da Rachele Mussolini e riportato all’inizio di queste pagine e al supposto coinvolgimento di Marconi. Nel giugno del 1935 lo scienziato bolognese fu costretto a smentire categoricamente dalle pagine del quotidiano New York Herald di essersi mai impegnato in ricerche relative a raggi in grado di fermare i motori a scoppio. Tuttavia, Marconi stesso, alcuni anni prima, aveva confermato il suo interesse per l’utilizzo delle onde radio quale strumento di localizzazione a distanza. Come accadde in Gran Bretagna, anche in Italia vi fu quindi una (potenziale) connessione tra radar e raggio della morte. Ripercorriamo brevemente le tappe. Il 20 giugno 1922, presentando una relazione presso l’American Institute of Electrical Engineers e l’Institute of Radio Engineers, Marconi dichiarò di aver rilevato effetti di riflessione e rivelazione delle onde elettromagnetiche da parte di oggetti metallici e che quindi riteneva possibile realizzare un apparato per localizzare, ad esempio, una nave nascosta dalla nebbia o dal maltempo.

Nel 1933 Marconi eseguì, alla presenza di autorità militari italiane, esperienze sulle fluttuazioni che si verificavano nella ricezione di segnali per effetto del passaggio di automobili nelle vicinanze del fascio di onde ultracorte del già ricordato ponte radio tra Castelgandolfo e Roma. Nel maggio 1935 presentò alle massime autorità (tra cui Mussolini), il suo «radioecometro», ossia un radar campale tattico. Pur trattandosi di dimostrazioni segrete, qualcosa trapelò sulla stampa internazionale, che ovviamente favoleggiò di misteriosi «war rays»24 .

Gli esperimenti di Marconi erano stati seguiti dal giovane ingegnere Ugo Tiberio (1904-1980), che aveva già avviato studi autonomi nel campo della radiolocalizzazione. La sua relazione, completata nel 1935, fu accolta favorevolmente: si decise di procedere con la realizzazione di un dispositivo RDT (Radio Detector Telemetro) e Tiberio fu assegnato al Corpo Armi Navali, divenendo insegnante di radiotecnica presso l’Accademia Navale e godendo del pieno appoggio della Regia Marina. Tuttavia, i vertici navali non tardarono a mutare atteggiamento: quando fu loro proposto di rinunciare alla costruzione di un incrociatore per destinare i fondi al

24 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., pp. 112-113.

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progetto RDT la risposta fu negativa. Tiberio e i suoi (pochi) collaboratori dovettero arrangiarsi con una cifra irrisoria (l’equivalente di E. 13.000 di oggi) e, naturalmente, potevano dedicarsi alla ricerca solo dopo aver espletato appieno il loro servizio come docenti. Il progetto RDT avanzò per i meriti eroici di Tiberio e del suo team in un clima di crescente indifferenza, che divenne totale quando, con la scomparsa di Marconi nel 1937, venne meno il carisma dell’unica personalità che potesse influenzare il corso degli eventi. Il resto è storia nota: dopo il disastro di Capo Matapan del 28-29 marzo 1941, in cui le unità della Royal Navy dotate di radar avevano inflitto in uno scontro notturno una pesantissima sconfitta a quelle italiane che ne erano sprovviste, la Regia Marina si ricordò di Tiberio e cercò di recuperare il tempo perduto: ma all’8 settembre 1943 solo otto unità navali italiane risultavano dotate di radar Gufo, più altre sei con radar tedesco25 .

Cala il sipario

Torniamo ora alla vicenda del raggio della morte. Siamo ormai giunti alla vigilia della Seconda guerra mondiale e, come detto, di concreto c’è stato solo lo sviluppo del radar, favorito direttamente o indirettamente dalle ricerche sul raggio della morte ma ad esso sostanzialmente estraneo. Di un raggio in grado di uccidere a distanza, far fermare i motori o provocare detonazioni non vi è traccia alcuna. Negli Stati Uniti, il National Defense Research Committee creò nel settembre del 1940 una sezione “radio” che tra i suoi compiti ebbe anche quello di analizzare ogni annun-

25 Sullo sviluppo del radar italiano, cfr. Piero Baroni, la guerra dei radar: il suicidio dell’italia 1935/1943, Greco & Greco, 2007. Giacinto Mascia, la guerra senza radar: 19351943, i vertici militari contro i radar italiani, L’Universale, 2015. Paolo Tiberio, «L’invenzione del radar: il contributo di Ugo Tiberio dal 1935 al 1943», conferenza giugno 2009.

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cio e notizia relativa a raggi della morte e vagliarne il fondamento. In alcuni casi si riconobbero delle basi valide, ma comunque non sufficienti per un impiego pratico26 .

Come era accaduto nella Grande Guerra, anche nella Seconda la forza della realtà si impose: nessuno tra i belligeranti disponeva di alcunché che somigliasse al raggio della morte. Per difenderei dai bombardieri ci volevano caccia, artiglieria contraerea e una buona rete di avvistamento e di coordinamento. Tutto il resto erano illusioni o disperati tentativi di escogitare un jolly tecnologico che permettesse di colmare uno stato di evidente inferiorità, come accadde con dei programmi di ricerca tedeschi o giapponesi, peraltro presto abbandonati o perseguiti con bassa priorità.

Il raggio della morte non sparì del tutto, come dimostra qualche tardivo epigono deciso a perseguirne l’invenzione. Tra le vicende di coloro che durante la guerra rivendicarono la realizzazione di prodigiosi raggi, possiamo ricordare Franco Marconi. Militare della Guardia di Finanza, nel 1944 si trovò al centro di una pericolosa contesa tra CLN, autorità di Salò ed SS per costringerlo a rivelare il segreto della sua invenzione. Marconi tacque e finì a Dachau; sopravvissuto alla prigionia, protestò la sua buona fede, rimase in silenzio e lasciò che il tempo facesse il resto27 . Col 1945 l’epopea del raggio della morte di fatto si chiuse. Negli anni Sessanta vennero realizzati i primi laser che, oggi, hanno raggiunto un grado di perfezionamento e una potenza tale da poter essere impiegati come armi, sia pure ancora a livello sperimentale. Ed esiste poi la categoria delle armi non letali, in tumultuoso sviluppo, che offre caratteristiche talvolta assimilabili ad alcune versioni del vecchio raggio della morte: stordimento, temporanea paralisi, assordamento… Per non parlare dei congegni che bloccano l’innesco

26 Cfr. Fanning, Death rays and the Popular Media, cit., p. 118. 27 Su Franco Marconi cfr. Gerardo Severino, Giancarlo Pavat, il raggio della morte. la storia segreta del militare italiano che avrebbe potuto cambiare il corso della ii guerra mondiale, X Publishing, Roma 2015.

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degli IED e causano problemi agli apparati elettronici dei moderni motori.

Ma la lunga parabola del raggio della morte ci lascia insegnamenti preziosi non tanto nel campo della tecnologia (azzardato considerare le attuali armi DEW sue filiazioni dirette) quanto in quello della psicologia sociale: esso, infatti, fu negli anni Venti e Trenta un frutto diretto della paura e divenne tanto più credibile quanto maggiore era il terrore causato dall’idea di una nuova guerra dominata dalla tecnologia. Uno strumento per esorcizzare e, al tempo stesso, una speranza riposta nella capacità dell’uomo di saper evitare in extremis il male assolu- Popular radio, August 1924, pp. 148 to: comprendiamo allora appieno perché l’anziano Tesla rifiutò nel 1934 per la sua arma la definizione di «Death Ray», preferendo quella di «Peace Ray»28 .

28 Così titolava il New York Sun nell’edizione del 10 luglio 1934: «Tesla invents Peace Ray».

Present Future Il futuro presente

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