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di Giampaolo Conte “

Il debito d’Oriente

L’imperialismo finanziario europeo e il default ottomano ed egiziano di fine Ottocento

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di Giampaolo Conte

Il default dell’Impero ottomano e dell’Egitto intorno alla metà degli anni ’70 del XIX secolo, mise drammaticamente in luce il fallimento di una politica economica basata sui prestiti esteri1. La mancanza di una comprensione olistica del mondo finanziario occidentale e di una reale strategia alternativa non consentì alla classe dirigente di Costantinopoli e del Cairo di comprendere pienamente i rischi non solo finanziari, ma anche politici, che comportava entrare nel perverso gioco tra creditore e debitore2. Fintantoché i governanti ottomani ed egiziani ebbero la percezione di poter continuare a contrarre prestiti su prestiti, nessuna politica mirata a contenere un eventuale disastro finanziario venne presa in seria considerazione3. Non venne altresì compreso fino in fondo quale peso venisse conferito dalle grandi potenze occidentali alla sfera finanziaria ed agli impegni, morali e materiali, presi dai governi debitori nel restituire quanto prestato con una lauta plusvalenza4 .

1 Per dettagli sul rapporto tra banche, debitori, creditori ed investitori v. Rui Pedro Esteves, «The bondholder, the sovereign, and the banker: sovereign debt and bondholders’ protection before 1914», European Review of Economic History, vol. 17, n. 4, 2013, pp. 389-407. Marc Flandreau, Juan Flores, Bondholders vs. bond-sellers? Investment banks and conditionality lending in the London market for foreign government debt, 1815-1913,

EHES Working Papers in Economic History, n.2, gennaio 2011. 2 Bernard Lewis, La Sublime Porta, Istanbul e la civiltà ottomana, Lindau, Torino, 2007.

Id., I Musulmani alla scoperta dell’Europa, Rizzoli, Milano, 2002. Maxime Rodinson (1915-2004), Islam e Capitalismo, saggio sui rapporti tra economia e religione, Einaudi,

Torino, 1968, Akbarzadeh Shahram, Islam and Globalization: Critical Concepts in Islamic Studies, vol. III, Routledge, London, 2006. Deniz T. Kılınçoğlu, Economics and Capitalism in the Ottoman Empire, Routledge, London/New York, 2015. 3 Eric John Ernest Hobsbawm (1917-2012), Il trionfo della borghesia, Laterza, Roma/Bari, 2003. 4 Scott B. MacDonald, Albert L. Gastmann, A History of Credit and Power in the Western

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Le crisi finanziarie in Egitto e nell’Impero ottomano tra il 1875 ed il 1876 sono frutto di un concatenarsi di questi fattori, nonostante le cause, gli obiettivi e gli scopi di un così pesante indebitamento presentino delle caratteristiche distintive e per certi aspetti assai diverse nell’evoluzione del debito estero.

La storia dell’indebitamento dell’Impero ottomano parte dalla necessità di contribuire alle ingenti spese militari per la difesa dei suoi confini. Con la guerra di Crimea (1853-1856), Costantinopoli fu costretta ad aprirsi al mercato internazionale dei capitali. Nonostante l’emergenza di voci dissidenti tra chi credeva, profeticamente, che l’entrata di capitali stranieri nell’Impero fosse il preludio di una lenta, ma inesorabile, perdita di sovranità politica, la raison d’État impose alla Porta di trovare all’esterno le risorse necessarie per difendersi da un vecchio e potente nemico e per finanziare un sempre più ambizioso programma di riforme5. L’apertura al mercato internazionale dei capitali si rivelò un così facile strumento per sopperire alla mancanza di risorse interne, che Costantinopoli non sembrò più intenzionata a farne a meno. Se nel 1854 la Porta era ancora uno dei pochi grandi paesi ad avere un debito estero irrilevante, nel 1863 dovette fare i conti con una prima crisi finanziaria dovuta ad un eccesso di indebitamento6. A partire dal 1863, anno della creazione della Banca Imperiale Ottomana (BIO) per arrivare al 1875, anno del default, la maggior parte dei debiti contratti servì ad onorare, a tassi d’interesse garantiti, le scadenze dei prestiti precedentemente contratti, mentre la parte rimanente andò ad alimentare per buona parte la spesa improduttiva7. La creazione della

World, Transaction Publishers, New Brunswick, 2001. William H. Wynne, State Insolvency and Foreign Bondholders, vol. II, Yale U. P., Washington 2000. Timur Kuran, The Long

Divergence: How Islamic Law Held Back the Middle East, Princeton U. P., Princeton, 2011. 5 Christopher G. A. Clay, Gold for the sultan: Western bankers and Ottoman finance 18561881, I.B. Tauris, London 2000. Stephen D. Krasner, Sovereignty: Organized hypocrisy,

Princeton U. P., Princeton 1999. André Du Velay, Essai sur l’histoire financière de la Turquie depuis le règne du sultan Mahmoud II jusqu’à nos jours, A. Rousseau, Paris, 1903. Reşat Kasaba, The Ottoman Empire and the World Economy the Nineteenth Century, State

University of New York Press, 1988, pp. 93-98. 6 Olive Anderson, «Great Britain and the Beginnings of the Ottoman Public Debt, 185455», The Historical Journal, vol. 7, No. 1, 1964, pp. 47-63. 7 Douglas Arthur Howard, The History of Turkey, Greenwood Press, Westport, 2001, p. 71.

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BIO8, con funzioni di banca centrale, d’emissione e commerciale, doveva, oltre a rassicurare i mercati, favorire la Porta nelle sue richieste di credito9 . In realtà questo istituto finanziario, banca di Stato ma anche e soprattutto banca privata con capitali francesi e britannici, non mancò di lucrare e speculare sulle richieste di credito avanzate da parte dell’Impero10 .

La percezione che con qualche manovra correttiva, piccole concessioni e la promessa di poche e mirate riforme, Costantinopoli avrebbe potuto continuare a contrarre prestiti a lungo, si rilevò quanto mai sbagliata. Dal canto loro nessuna tra le grandi banche e società finanziarie si preoccupò di ammonire dei rischi insiti non solo i governi locali, ma gli stessi investitori che avevano comprato, o stavano acquistando, titoli della rendita ottomana. Anzi, a partire dagli anni ’70, specialmente a seguito di una profonda crisi deflattiva (1873-1896), un numero consistente di capitali andò alla ricerca di nuovi mercati capaci di garantire un maggior rendimento11 . Nel caso dell’Impero ottomano questo flusso internazionale alimentò la costruzione di un’importante rete ferroviaria, spina dorsale per lo sviluppo di un paese moderno.

8 Edhem Eldem, «Stability against All Odds: The Imperial Ottoman Bank», in J. A. Consiglio, J. C. M. Oliva, G. Tortella (Eds.), Banking and Finance in the Mediterranean. A History Perspective, Ashgate Publishing, Farnham 2012, pp. 95-118. 9 Il diritto di emettere carta moneta convertibile in oro fu momentaneamente sostituito durante la guerra Russo-Turca del 1877-78 quando il governo ottomano sospese questo privilegio di emissione emettendo lui stesso banconote di Stato (state notes) per finanziare il proprio deficit di bilancio, in Ali Coşcun Tunçer, Sovereign Debt and International Financial Control, The Middle East and the Balkans, 1870-1914, Palgrave, Basingstoke 2015, p. 69. Ali Coşcun Tunçer, Şevket Pamuk, «Ottoman Empire: from 1830 to 1914», Bank of

Greece Documents, online, 10 nov. 2016. 10 Diversamente da quanto si possa credere, il default del 1875, che fu appunto dichiarato unilateralmente dalla Sublime Porta, non fu concordato neanche con la BIO, che, de facto, era la banca centrale dell’Impero. Questo può dimostrare come i governanti ottomani non si fidassero completamente della BIO, la quale aveva da perdere molto dalla decisione della Porta, in Edhem Eldem, A History of the Ottoman Bank, Ottoman Bank Historical Research Centre, Istanbul 1999, pp. 131-132. Id., «Ottoman Financial integration with Europe: foreign loans, the Ottoman Bank and the Ottoman Public Debt», European Review, vol. 13, n. 3, 2005, pp. 319-507. 11 Şevket Pamuk, «The Ottoman Empire in the ‘Great Depression’ of 1873-1896», The Journal of Economic History, 44, 1984, pp. 107-118. Sir Alexander Kirkland Cairncross (19111998), Home and Foreign Investment, 1870-1913. Studies in Capital Accumulation, Cambridge U. P., Cambridge, 1953.

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I prestiti servivano, tra l’altro, ad assicurare ai costruttori di linee ferroviarie laute garanzie chilometriche (Lots Turks). Appalti e prestiti costituivano infatti due facce della stessa medaglia12. La negoziazione di un prestito da parte di una banca francese presso la borsa di Parigi, ad esempio, poteva dar diritto alla Francia di reclamare per le proprie imprese buona parte dei lavori pubblici finanziati con suddetto prestito. Molto spesso la Porta era così costretta a concedere garanzie chilometriche pagate profumatamente sui mercati internazionali per appaltare costruzioni ferroviarie ad imprese straniere in zone oggetto dell’interesse imperialista della potenza creditrice (questo è il caso delle ferrovie costruite dai francesi in Siria prima della Grande Guerra)13. Questo esempio serve per mostrare come, sia prima sia dopo il fallimento del 1875, l’indebitamento dell’Impero ottomano non assecondò solamente i progetti ed i capricci della classe dirigente, ma anche le ambizioni delle potenze creditrici capaci di trarre massimo vantaggio da un sistema che faceva ricadere sulla Porta i costi delle proprie ambizioni regionali14 .

Rispetto a quello ottomano, il caso egiziano mostra invece alcune significative differenze15. La realizzazione dell’ambizioso progetto per la costruzione del canale di Suez nel 1856 rappresentò il nuovo corso del commercio internazionale attraverso l’espressione della dirompente forza delle moderne tecnologie occidentali16. La concessione per la costruzione del canale ed il collegamento tra Suez ed Il Cairo venne affidata alla società di Ferdinand de Lesseps, assai fiduciosa che una sottoscrizione pubbli-

12 E. Arcucci, «Debito pubblico ottomano», Giornale degli Economisti, Seconda Serie, vol. 17, luglio 1898, pp. 47-75. 13 William I. Shorrock, French Imperialism in the Middle East. The Failure of Policy in Syria and Lebanon 1900-1914, The University of Wisconsin Press, London, 1976. Jacques Thobie, Intérêts et impérialisme français dans l’Empire Ottoman,1895–1914, Publications de la Sorbonne, Imprimerie Nationale, Paris, 1977. 14 Donald Quataert, Social Disintegration and Popular Resistance in the Ottoman Empire, 1881–1908: Reactions to European Economic Penetration, New York U. P., New York, 1983. 15 Peter Gran, Islamic Roots of Capitalism: Egypt 1760-1840, University of Texas Press,

Austin/London 1979. Afaf Lufti Sayyid-Marsot, Egypt during the Reign of Muhammad

Ali, Cambridge U. P., Cambridge 1984. 16 Barbara Kalkas, «Diverted Institutions: A Reinterpretation of the Process of Industrialization in Nineteenth-Century Egypt», Arab Studies Quarterly, 1, 1979, pp. 28-48.

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ca avrebbe trovato un riscontro positivo tra gli investitori17. Diversamente dalle aspettative, all’atto pratico la raccolta di fondi si rivelò assai insufficiente alle esigenze della società, che aveva bisogno di un capitale iniziale ben più alto di quello fino a quel momento raccolto. A questo punto entrò in scena il viceré d’Egitto, Said Pasha (1854-1863), il quale confermò l’acquisto di 3.640.000 Sterline di azioni, così da salvare la società e l’impresa di Lesseps. In sostanza l’Egitto iniziava ad accumulare un sostanzioso debito fluttuante per sostenere la costruzione di un’opera pubblica da parte di una compagnia privata straniera18. Per far fronte a queste spese, l’Egitto fece ricorso all’emissione di un alto numero di titoli del Tesoro a breve termine da scontare a tassi elevatissimi, che si rivelarono un ottimo affare per gli speculatori. Infatti i principali acquirenti furono le case bancarie straniere che proliferarono in Egitto durante il regno di Said19 .

Gli alti tassi d’interesse offerti sui titoli del Tesoro a breve termine misero subito sotto pressione le finanze egiziane. Per far fronte a queste nuove richieste di credito su vasta scala, fu subito chiaro al viceré la necessità di negoziare un prestito internazionale a lungo termine ed a condizioni più favorevoli. Dopo aver negoziato un prestito di 28 milioni di Franchi nel 1860 grazie all’intermediazione di alcune banche francesi, solo nel 1862 fu lanciata la prima sottoscrizione ufficiale pubblica del valore di 3.292.800 Sterline al più modico tasso d’interesse del 7%20. L’impossibilità dell’Egitto di poter accedere a sottoscrizioni pubbliche era da ricondursi al legame esistente tra Costantinopoli ed Il Cairo, dove quest’ultimo, ancora assoggettato formalmente alla Sublime Porta, doveva rendere conto al Sultano per negoziare qualsiasi prestito estero (questa limitazione fu valida fino al firmano del 187321). A causa di questa limitazione, l’emissione di buoni del Tesoro divenne una pratica costante. Questo strumento aveva

17 George Edgar-Bonnet (1881-1967), Ferdinand de Lesseps: Apres Suez, le pionnier de Panama, Plon, Paris 1959. 18 Frederic Courtland Penfield (1855-1922), «Contemporary Egypt», The North America Review, 161, 1895, pp. 13-24. 19 David S. Landes (1924-2013), Banchieri e Pascià. Finanza Internazionale e Imperialismo economico, Bollati Boringhieri, Torino 1990. 20 William H. Wynne, State Insolvency and Foreign Bondholders, cit., pp. 577-611. 21 Massimo Campanini, Storia dell’Egitto Contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a

Mubarak, Edizioni Lavoro, Tivoli 2005, p. 31

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infatti un’unica limitazione: la fiducia degli investitori22 .

Il successore di Said, Ismail Pasha (1863-1879), invece di seguire una via più attenta non solo alla stabilità di bilancio ma anche di rientro dei prestiti contratti dal suo precessore, incominciò ad attingere a mani basse dal mercato internazionale dei capitali23. Se buona parte della spesa venne indirizzata ad infrastrutture ed ammodernamenti mirati a sviluppare la produzione di cotone in pieno boom, specialmente dopo il blocco delle esportazioni dal sud degli Stati Uniti a causa della guerra civile americana (1861-1865), non mancò il pronunciato spreco di denaro per soddisfare i vizi del viceré, come la costruzione di palazzi e spropositate spese di corte24. I tentativi operati da Ismail per aumentare le entrate attraverso un inasprimento della pressione fiscale per far fronte alle imminenti scadenze si scontrò con un sistema di raccolta assai inefficiente ed antiquato. Il ritorno del cotone americano sul mercato internazionale causò un crollo nelle entrate del Paese, il cui deficit poteva essere colmato “facilmente” attraverso la semplice firma di un contratto di prestito necessario per far fronte alla spesa corrente ed ai vari progetti del viceré incapaci di ridimensionarsi con il calo degli introiti. Fin quando la valuta egiziana fu agganciata all’oro, l’abilità dell’Egitto di ripagare i prestiti esteri dipendeva specialmente dalla capacità governativa di raccogliere le rendite con cui pagare il debito estero25 .

L’incapacità di onorare i propri debiti, aprì la strada al commissariamento europeo delle rispettive finanze pubbliche: a partire dal 1876 in Egitto, e dal 1881 nell’Impero ottomano26. Nonostante in entrambi i casi

22 Afaf Lufti Al-Sayyid Marsot, «The Porte and Ismail Pasha’s Quest for Autonomy», Journal of the American Center in Egypt, 12, 1975, pp. 89-96. 23 Roger Owen, Lord Cromer. Victorian Imperialist, Edwardian Proconsul, Oxford U. P.,

Oxford/New York 2005. Evelyn Baring, Modern Egypt, Cambridge U. P., Cambridge 2010. 24 Sven Beckert, L’Impero del cotone. Una storia globale, Einaudi, Torino, 2016. 25 Gershon Feder and Richard E. Just, «Debt Crisis in an Increasingly Pessimistic International Market: The Case of Egyptian Credit, 1862-1876», The Economic Journal, 94, 1984, pp. 340-356. 26 Donald C. Blaisdell (1899-1988), European financial control in the Ottoman Empire: A

Study of the Establishment, Activities, and Significance of the Administration of the Ottoman Public Debt, Columbia U. P., New York, 1929. Murat Birdal, The Political Economy of Ottoman Public Debt, Insolvency and European Financial Control in the Late Nine-

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i rappresentanti di suddette commissioni internazionali fossero stati eletti da un’assemblea di creditori privati, cioè dei rappresentanti degli investitori, le trattative diplomatiche giocarono un ruolo di primaria importanza nell’organizzazione iniziale del nuovo riordinamento finanziario e nella promozione di determinati interessi politici. Come ricordava l’ex ministro italiano agli Affari Esteri Emilio Visconti Venosta «le rivalità finanziarie implicano necessariamente le rivalità politiche»27 .

Più incline la Francia a far valere politicamente gli interessi finanziari privati nella regione rispetto alla Gran Bretagna28; in entrambi i casi i due paesi assunsero un ruolo guida nel consolidamento del debito pubblico ottomano ed egiziano non mancando di trarre vantaggi politici dalla situazione di forte debolezza finanziaria29. Se da una parte in Egitto si arrivò ad un’occupazione diretta da parte della Gran Bretagna, nel caso ottomano la vastità di interessi vitali di molte potenze europee in loco non permisero ad una singola nazione di prevalere sulle altre per esercitare un diretto controllo politico. Per di più, un consiglio ristretto in mano delle due maggiori potenze creditrici della Sublime Porta (come avrebbe dovuto essere in principio) avrebbe dato a Londra la possibilità di gestire al meglio la stabilità ottomana. Infatti, dopo l’apertura del canale di Suez nel 1869, il Foreign Office aveva tutto l’interesse a mantenere la stabilità politica nei territori dell’Impero ed evitare che una potenza rivale diventasse dominante nella regione30 .

Possiamo dunque affermare che il sopracitato dualismo franco-britannico è stato, sia passivamente che attivamente, causa, soluzione e conse-

teenth Century, I. B. Tauris, London, 2010. Giampaolo Conte, Gaetano Sabatini, «The Ottoman External Debt and Its Features Under European Financial Control, 1881-1914», The

Journal of European Economic History, 3, 2014, pp. 69-96. 27 Documenti Diplomatici Italiani, Seconda Serie: 1870-1896, vol. VI, dal ministro degli

Esteri Visconti Venosta al ministro a Parigi Nigra, L. p., Roma 14 febbraio 1876. 28 Eric Bussière and Youssef Cassis (Eds.), London and Paris as International Financial

Centers in the Twentieth Century, Oxford U. P., New York, 2005. Youssef Cassis, Le Capitali della Finanza, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2008. 29 Herbert Feis (1893-1972), Finanza Internazionale e Stato. Europa banchiere del mondo 1870-1914, Etas Libri, Milano 1977. 30 Barry Eichengreen and Peter H. Lindert, The International Debt Crisis in Historical Perspective, MIT press, Boston 1992, p. 198.

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guenza del processo di indebitamento, fallimento e consolidamento del debito pubblico dei due paesi mediterranei31. Il flusso internazionale di capitali, facilitato da un sistema monetario a cambi fissi che a partire dalla seconda metà del XIX secolo diventò gradualmente nei paesi più avanzati una realtà sempre più dominante rispetto a coloro che aderivano ad un sistema bimetallico32, permise alle potenti banche d’investimento e società finanziarie di raggiungere ampi margini di profitto nel Levante. In entrambi i casi, quando il disastro finanziario sembrava ormai inevitabile, sia il Sultano di Costantinopoli che il viceré del Cairo tentarono di gettare fumo negli occhi degli investitori quel tanto da avere il tempo di promuovere – o promettere di farlo - quelle riforme finanziarie ed amministrative necessarie per elaborare un serio piano di rientro. La mancanza di una responsabilità civile da parte dei governanti orientali e di organi di vigilanza indipendenti avevano permesso a banchieri, affaristi e speculatori di beneficiare di alti guadagni. Quando però il disastro finanziario sembrò ormai imminente, i governanti complici della débâcle non mancarono di arringare la folla contro le scelte vessatorie perpetrate dalle potenze estere nonostante l’esistenza di una propria e diretta responsabilità nell’aver perseguito negli anni scelte finanziarie discutibili. Nel caso egiziano la tutela e le imposizioni furono così stringenti che alcune sollevazioni locali, spesso ad opera di esponenti di classi ben definite timorosi di perdere i propri privilegi, mostrarono come il terreno dell’imposizione coercitiva da parte di una o più forze straniere potesse essere controproducente. Nel caso ottomano, il fallimento del dualismo franco-britannico per il futuro assetto

31 Barry Eichengreen, «Restructuring Sovereign Debt», The Journal of Economic Perspectives, 17, 2003, pp. 75-98. Id. and Ashoka Mody, «Do Collective Action Clauses Raise

Borrowing Costs?», The Economic Journal, 114, 2004, pp. 247-264. Mitu Gulati and David A. Skeel Jr., «Has the Financial World Arrived at a Collective Action Clause Consensus?», Economic and Political Weekly, 38, 2003, pp. 3245-3247. 32 Marcello De Cecco, Moneta e impero: il sistema finanziario internazionale dal 1890 al 1914, Einaudi, Torino 1979. Luca Einaudi, Money and Politics: European Monetary Unification and the International Gold Standard, 1865-1873, Oxford U. P., Oxford 2001. Şevket Pamuk, «From bimetallism to the ‘Limping gold standard’: the Ottoman monetary system in Nineteenth Century», in P. L. Cottrell, I. L. Fraser and M. P. Fraser (Eds.), East

Meets West: Banking, Commerce and Investment in the Ottoman Empire, Ashgate Publishing Company, Burlington, 2008. Marc Flandreau, The Glitter of Gold: France, Bimetallism and the Emergence of the International Gold Standard 1848-1873, Oxford U. P., Oxford, 2004.

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finanziario dell’Impero, permise al Sultano di ottenere un trattamento più morbido conservando il proprio potere politico. L’imposizione coercitiva di una tutela internazionale a danno della sovranità ottomana, fu una delle cause che spinse ad esempio il Sultano Abdul Hamid II a centralizzare fortemente il proprio potere in contrapposizione a spinte esogene ed endogene tendenti allo smembramento dell’Impero33. Tale strategia politica bloccò qualsiasi processo di apertura che potesse portare all’istituzione di una responsabilità civile per il contenimento del potere assolutista del sovrano, presupposto necessario per spingere la società intera a contribuire alla rinascita economica della Porta, come ben avevano compreso alcuni riformatori ottomani al tempo delle Tanzimat34 .

In entrambi i casi la mala gestione amministrativa ed economica e l’incapacità di elaborare un efficace sistema di riscossione delle imposte domestiche condusse i due paesi alla bancarotta a circa sette mesi di distanza l’uno dall’altro. Esistono però alcune differenze. Molto del denaro che l’Egitto ottenne dai mercati internazionali non fu impiegato, come nel caso ottomano, per sostenere le spese dell’esercito e dell’amministrazione di un vasto Impero, bensì per lo stimolo del settore agricolo e specialmente per la produzione di cotone35 .

A differenza dell’Impero ottomano, l’Egitto si mostrò assai più integrato nel sistema del commercio internazionale. La proliferazione di un numero consistente di banche ed istituti finanziari ad Alessandria d’Egitto servì ad oliare un sistema di credito per l’acquisto della preziosa materia prima – il cotone - destinata specialmente alle manifatture nord europee. Diversamente da quanto si potesse pensare ed a fronte della formale sudditanza del Cairo a Costantinopoli, nessuna grande banca di Stato sul model-

33 Jean-François Legrain, L’idée de califat universel et de congrès islamique face à la revendication de souveraineté nationale et aux menaces d’écrasement de l’empire ottoman. À propos du Traité sur le califat de Rachîd Ridâ, Nouvelle édition, Lyon 2006. 34 Stanford J. Shaw, Ezel Kural Shaw, History of the Ottoman Empire and Modern Turkey.

Reform, Revolution, and Republic, vol. 2, The Rise of Modern Turkey 1808-1975, Cambridge U. P., Cambridge 1977. 35 Roger Owen, The Middle East in the World Economy 1800-1914, I.B. Tauris, London 200, p. 122. Si rimanda anche ai testi di Charles Issawi, Egypt: An Economic and Social Analysis, Oxford U. P., London 1947 e Id., An Economic History of the Middle East and North

Africa, Columbia U. P., New York 1982.

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lo della BIO venne istituita in Egitto36. La stessa banca ottomana non riuscì mai ad entrare nel mercato egiziano se non favorendo alcune operazioni di prestito internazionale. Ismail Pasha non mostrò particolare fiducia nello strumento della cartamoneta, gestito dalla BIO a Costantinopoli, che tanti problemi aveva creato alla stabilità finanziaria della Porta. Il tentativo di alcuni banchieri francesi e tedeschi di creare in Egitto un istituto simile con forti legami con il mondo della finanza occidentale fallì miseramente. Per di più l’ostracismo del viceré egiziano verso gli istituti ottomani come la BIO e la Société Générale de L’Empire Ottoman era riconducibile al timore di un indebolimento della sua autorità ed autonomia37 .

In conclusione, sia in Egitto che nell’Impero ottomano l’istituzione di commissioni finanziarie internazionali sancì de facto, attraverso la gestione di alcune tra le più importanti tasse indirette, il commissariamento di una buona parte della sovranità finanziaria dei due paesi mediterranei38 . L’istituzione di queste commissioni, avvenuta rispettivamente tra il 1876 ed il 1881 ed espressione del potere dell’imperialismo politico e finanziario europeo nella regione, aprì la strada ad una nuova fase per la vita politica ed economica dei due paesi orientali fino al termine della Grande

36 Sul ruolo della Banca Imperiale Ottomana v. pure André Autheman, The Imperial Ottoman

Bank, Ottoman Bank Archives and Research Centre, Istanbul 2002. 37 David S. Landes, Banchieri e Pascià. Finanza Internazionale e Imperialismo economico, cit., pp. 127 e 182. 38 Andreas Michael Andreades (1876-1935), Les contrôles financiers internationaux, Hachette, Paris, 1925. Kenneth Dyson, States, Debt, and Power. ‘Saints’ and ‘Sinners’ in European History and Integration, Oxford U. P., Oxford, 2014.

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Ferdinand de Lesseps, Vanity Fair, 27 nov. 1869

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Stemma dell’Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano (Düyun-u Umumiye-i Osmaniye Varidat-ı Muhassasa İdaresi)

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