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La CEE difronte all’offensiva economica sovietica (1955-1965), di Roberto Cantoni “
di Roberto Cantoni1
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Introduzione
Nel corso della seconda metà degli anni ’50 del secolo scorso, la giovane Comunità Economica Europea (CEE) si trovò a dover far fronte a una seria minaccia alla propria economia e alla propria sicurezza. La minaccia era rappresentata tanto dalla strategia di esportazioni petrolifere messa in atto dall’Unione Sovietica e diretta all’Europa occidentale, quanto dalla costruzione di un colossale sistema di oleodotti da parte dell’URSS, che avrebbe permesso un aumento notevole di tali esportazioni. Gli Stati membri della Comunità, come anche alcune grandi compagnie petrolifere occidentali – note generalmente col nome di major – temevano infatti che Mosca potesse usare il petrolio come arma per indebolire l’Occidente militarmente ed economicamente, rendendolo più dipendente dagli approvvigionamenti energetici sovietici. Le inquietudini occidentali erano acutizzate dai risultati spettacolari delle campagne di prospezione petrolifera sovietiche. Tra il 1955 e il 1965, la produzione di petrolio sovietico aumentò infatti notevolmente, passando da 71 a 243 milioni di tonnellate2: quantitativi che, tra l’altro, avrebbero permesso un aumento delle capacità produttive delle industrie pesanti sovietiche, e alimentato il suo apparato militare. In corrispondenza dell’aumento di
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1 Ricercatore post-dottorale - CERI, Sciences Po Paris – 56, rue Jacob – 75006 Paris. Email: roberto.cantoni@sciencespo.fr. 2 John A. Berry, «Oil and Soviet Policy in the Middle East», Middle East Journal, vol. 26, 1972, p. 150. Fonte riportata: Economist Intelligence Unit, Quarterly Economic Review,
«uSSr Annual Supplement-1971», p. 10; Robert E. Ebel, Communist Trade in Oil and
Gas, New York, Praeger, 1970), p. 40; D. L. Spencer, «The Role of Oil in Soviet Foreign
Economic Policy», American Journal of Economy and Society 25 (1966): 98.
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produzione, l’Unione Sovietica aumentò anche le sue esportazioni. Nel corso di dieci anni, le esportazioni passarono dal 5,2 per cento al 26,4 per cento della produzione totale, e le esportazioni di petrolio verso i paesi non comunisti aumentarono da 3,8 milioni di tonnellate nel 1955 a ben 35,5 nel 1965. 3 Ma l’URSS non era soltanto in grado di produrre grandi quantità di petrolio: poteva anche offrire prezzi di gran lunga più bassi di quelli delle compagnie internazionali. Queste, per poter competere coi prezzi sovietici, avrebbero infatti dovuto rinunciare a una fetta significativa dei loro profitti.4
Questo capitolo prende spunto dal lavoro dello storico Per Högselius sul commercio di gas tra Europa e Unione Sovietica dalla fine del 1960 in poi, e si propone di estendere l’analisi di Högselius a ritroso nel tempo ai primi anni ‘60: un’epoca in cui era il petrolio, e non il gas, a essere il prodotto principale di scambio tra l’Unione Sovietica e l’Europa occidentale.5 Nei paragrafi seguenti, esaminerò innanzi tutto le conseguenze globali dell’offensiva petrolifera sovietica, e in particolare alcune reazioni politiche a livello nazionale sia tra i membri della Comunità europea sia negli Stati Uniti. Analizzerò quindi il dibattito sviluppatosi all’interno della CEE circa la possibilità di arginare il commercio di petrolio sovietico attraverso l’elaborazione di un quadro normativo sovranazionale. Nel corso del dibattito, vedremo come all’interno della Comunità, le amministrazioni francesi e italiane in particolare abbiano difeso punti di vista fortemente contrastanti, corrispondenti alle diverse percezioni dei vantaggi e degli svantaggi generati dal commercio sovietico, e in massima parte dettate dalle agende politiche nazionali.
3 Ebel, Communist Trade, pp. 40, 44. 4 A titolo d’esempio, nel 1957 il barile di petrolio sovietico era venduto sul mercato internazionale a $2.06, rispetto ai $2.79 del petrolio mediorientale e al $2.92 per il petrolio venezuelano. Negli anni successivi, il prezzo offerto dai sovietici ai paesi dell’Europa occidentale diminuì fino a un minimo di $1 al barile nel caso di un accordo italo-russo firmato nel 1960, e di cui si parlerà nel corso del capitolo. Ebel, Communist Trade, 40, 44, 61. I dati di
Ebel provengono da diversi rapporti commerciali pubblicati dal Ministero del Commercio dell’URSS. 5 Per Högselius, Red Gas. Russia and the Origins of Europe’s Energy Dependence, New
York, Plagrave Macmillan, 2013.
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L’offensiva petrolifera sovietica e le reazioni occidentali
L’espansione del commercio petrolifero sovietico generò diverse reazioni a livello internazionale: quasi tutte avevano in comune la rappresentazione del petrolio sovietico come una grave minaccia per l’economia e la sicurezza dell’Europa occidentale. Non è un caso che, nella maggior parte dei documenti del Dipartimento di Stato americano, fosse usata la dicitura “offensiva petrolifera sovietica” per descrivere il commercio petrolifero sovietico: una descrizione che fu ben presto adottata da altre fonti occidentali. Per quanto riguarda le esportazioni di petrolio sovietico, mentre il governo americano le rifiutò con decisione, le posizioni europee al riguardo erano più differenziate, a seconda della significatività delle attività commerciali di ciascun paese con l’URSS. In termini di esportazioni dall’URSS verso l’Europa occidentale, i primi tre paesi nel 1957 (Regno Unito, Germania Ovest e Francia) importavano merce per un valore pari a 756, 286, e 268 milioni di rubli, rispettivamente. Le esportazioni verso l’Italia erano invece pari a 117 milioni di rubli. Tuttavia, l’Italia era l’unico tra questi paesi con una bilancia commerciale negativa. 6
In Gran Bretagna, il governo di Harold Macmillan aveva imposto un embargo sul petrolio sovietico nel 1959, ma soltanto a seguito di un’accanita disputa intergovernativa, in particolare tra l’Ufficio del Commercio e il Ministero dell’Energia. Il Ministero dell’Energia si era dichiarato favorevole all’embargo, mentre l’Ufficio del Commercio era stato contrario. Lo scontro aveva lasciato non pochi strascichi.7 In Francia, Victor de Metz, presidente della Compagnie Française des Pétroles (CFP), ammiraglia del petrolio nazionale, temeva che il commercio sovietico potesse espandersi in tutta la CEE, mettendo così a repentaglio i piani francesi per la commercializzazione europea del loro petrolio africano
6 L’equivalenza nel 1957 era 1 rublo = 4 dollari (http://www.cbr.ru /currency_base/ OldVal. aspx). Le cifre riportate dalla fonte sono quindi: $3.02 miliardi per il Regno Unito, $1.14 per la Germania Ovest, $1.07 per la Francia, e $468 milioni per l’Italia. Bruna Bagnato,
Prove di Ostpolitik. Politica ed economia nella strategia italiana verso l’Unione Sovietica, 1958--1963, Firenze, Olschki, 2003, p. 97. 7 Niklas Jensen-Eriksen, «The Cold War in Energy Markets. British Efforts to Contain Soviet Oil Exports to Non-Communist Countries, 1950-1965», in Alain Beltran (Ed.), Le pétrole et la guerre – Oil and War, Brussels, Peter Lang, 2012, p. 204.
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(erano infatti gli anni delle scoperte di giacimenti petroliferi in Gabon e Algeria, due territori sotto dominazione francese). De Metz quindi sperava di contrastare il l’“alluvione petrolifera rossa” attraverso un’alleanza tra produttori arabi e major. 8 In effetti un certo numero di paesi arabi produttori di petrolio erano tutt’altro che tranquilli di fronte alle esportazioni sovietiche, ma la loro forte dipendenza dell’economia e dalle tecnologie sovietiche li dissuadeva dal prendere misure di ritorsione. 9
La situazione era diversa per l’Italia e la Germania Ovest, profondamente coinvolte nel commercio con l’URSS. Nel caso della Germania Ovest, vi erano relazioni commerciali particolarmente solide tra i produttori di acciaio della Ruhr e un numero di imprese sovietiche. Scambi commerciali notevoli erano in corso anche tra imprese sovietiche e grandi imprese industriali italiane, come la Fiat. Nel 1960, in particolare, l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) concluse con l’azienda statale sovietica Soyuznefteexport (SNE) un grosso contratto di fornitura di petrolio in cambio di tecnologie.10
Il commercio tra l’ENI e i sovietici portò l’agenzia italiana all’attenzione delle agenzie internazionali. La stampa degli Stati Uniti, nonché i rapporti stilati del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e del Dipartimento di Stato, evidenziavano i pericoli derivanti dalla dipendenza dal petrolio sovietico (trascurando però la dipendenza sovietica dalle tecnologie occidentali, un fattore che rendeva poco probabili interruzioni
8 Emmanuel Catta, Victor De Metz. De la CFP au Groupe Total, Paris, Total Edition Presse, 1990, p. 289. 9 Sull’aiuto sovietico ai paesi arabi, si veda: Archivi dell’Organizzazione del Trattato
Nord-Atlantico (NATOA), AC/89-WP/67, «Sub-Committee on Soviet Economic Policy – The Economic Offensive of the Sino-Soviet Bloc, Note by the Chairman», confidential, 6 luglio 1960, p. 67; NATOA, AC/89-WP/76 (Revised 1), «Sub-Committee on Soviet Economic Policy – The Economic Offensive of the Sino-Soviet Bloc (1st July, 1960 - 31st December, 1960)», 12 maggio 1961; Archives Nationales (AN), sc. 19900317/8, fasc. 1, sottofasc. Afrique 1957/77 (FOIA n° 111 382), Note du Service de documentation extérieure et de contre-espionnage (SDECE), «Pénétration italienne (eni) et soviétique dans le domaine pétrolier en Afrique», secret, 30 agosto 1960. 10 Archivio storico del Ministero degli affari esteri (ASMAE), Telegrammi ordinari, Russia (Ambasciata Mosca), 1960, vol. 59 arrivo (lug-dic), n. 36288, L. Pietromarchi, Ambasciata Italiana (Ambita) a Mosca, a Ministero degli Affari Esteri (MAE), «Contratto enifinSider», 3 ottobre 1960; ASMAE, Telegrammi ordinari, Russia (Ambasciata Mosca), 1960, vol. 59 arrivo (lug-dic), n. 37331, L. Pietromarchi, Ambita Mosca to MAE, «Importazione petrolio», 11 ottobre 1960.
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delle conseguenze di petrolio da parte sovietica).11
Le preoccupazioni degli Stati Uniti furono chiaramente espresse in due documenti redatti dal Senato degli Stati Uniti nel 1961 e 1962.12 In tali documenti si argomentava che, se la liberalità delle imprese italiane nei confronti di quelle sovietiche si fosse estesa all’Europa, ciò avrebbe potuto portare un numero crescente di paesi a fare affidamento sul petrolio sovietico invece che su quello delle major occidentali, riducendo gli introiti di queste ultime.13 L’allarme diventò evidente anche nelle sedi della CEE. Qui i tentativi della Francia di stabilire una priorità di commercializzazione per il petrolio franco-africano sul Mercato Comune si vennero a trovare minacciati dalle importazioni sovietiche da parte dell’Italia, come vedremo nel seguito.
La CEE di fronte alla minaccia petrolifera sovietica
La fondazione della CEE nel 1957 richiese da parte della Francia l’apertura del suo mercato nazionale al petrolio di provenienza da paesi del Mercato Comune. Tuttavia, dopo aver mosso i primi passi in questa direzione, la Francia condizionò ogni ulteriore apertura alla stesura di un regolamento comunitario ben definito in materia di energia. Gli amministratori petroliferi francesi volevano che le autorità europee li assicurassero su un punto che ritenevano fondamentale: una definizione comune dell’origine dei prodotti, in assenza della quale nulla avrebbe impedito all’Italia da riesportare il suo petrolio sovietico verso il Mercato Comune, in quanto sarebbe stato ri-etichettato come italiano una volta entrato in Italia, e sarebbe quindi diventato comunitario.14
11 «Italy Oil Deal With Soviet Weakens Her Ties to West», New York Times, 11 novembre 1960; The National Archives of the United Kingdom (TNA), sc. FO 371/153362, fasc. RT 1532/17P, P. Male, Foreign Office (FO) a J. Gwynn, Ministry of Power (MOP). 12 Halford L. Hoskins e Leon M. Herman, Soviet Oil in the Cold War (U. S. Senate. Committee on the Judiciary. Committee Print. Washington: U. S. Government Printing Office, 1961); Halford L. Hoskins, Problems Raised by the Soviet Oil Offensive (U. S. Senate.
Committee on the Judiciary. Committee Print. Washington: U. S. Government Printing Office, 1962). 13 Hoskins e Herman, Soviet Oil, p. 6. 14 Armelle Demagny, «France and the Project for a Community Oil Policy. From the Signature of the Treaty of Rome to the First Oil Shock», in Alain Beltran (Ed.), A Comparative
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Nell’autunno del 1959, il governo francese chiese ai membri della CEE di adottare misure per la protezione del mercato petrolifero comunitario. In pratica, la Francia chiedeva ai suoi partner europei di dare priorità alla vendita del greggio africano – e soprattutto algerino, poiché l’Algeria era a tutti gli effetti parte della Francia – all’interno della CEE.15 Dal punto di vista politico, il sistema francese prevedeva la creazione di una zona protezionistica all’interno del mercato comune. Ciò avrebbe però fornito ai governi di paesi non appartenenti alla CEE una ragione sufficiente per reagire discriminando le esportazioni di petrolio CEE, e applicando dazi alla loro importazione.16 La proposta francese fu presentata dal vice presidente della Commissione Europea, Robert Marjolin, alla prima riunione CEE in materia di petrolio. Prevedibilmente, si scontrò con l’opposizione neerlandese, italiana e tedesca, ma anche con critiche provenienti dal di fuori della Comunità: gli Stati Uniti protestarono in “termini molto energici”, sostenendo che il piano francese fosse in contrasto con le norme dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) e con la politica liberale che la CEE affermava di sostenere in materia di scambi commerciali. 17
In seguito a colloqui con i direttori generali delle major americane e col governo britannico, il Dipartimento di Stato fece pressioni sul ministro degli Esteri francese perché questi abbandonasse il progetto iniziale. Come arma di persuasione, il Dipartimento di Stato sostenne che avrebbe sponsorizzato una più stretta collaborazione tra le compagnie petrolifere francesi e major anglo-americane, garantendo in questo modo condizioni
History of National Oil Companies, Brussels, Peter Lang, 2010, p. 310. 15 Archives diplomatiques du Ministère des Affaires Étrangères (ADMAE), Ministero degli Affari Esteri DE-CE Papiers Dirécteur Olivier Wormser N. 85, microfilm P10747, pétrole dossier général 54-66, O. Wormser, Direttore degli affari economici e finanziari, a W.
Harpham, Ministro economico dell’Ambasciata britannica di Francia, 29 novembre 1959;
«Recherche de protection pour le pétrole saharien», Petroleum Press Service, gennaio 1960, 9. 16 «Recherche», Petroleum Press Service, 10. 17 Citato da: ADMAE, Ministero degli Affari Esteri, DE-CE Papiers Dirécteur Olivier Wormser N. 85, microfilm P10747, pétrole dossier général 54-66, O. Wormser to H. Alphand,
French Ambassador in Washington, 2 decembre 1959 (trad. propria); Archives historiques du Groupe Total (AHTOTAL), Fonds Total-CFP, b. 92.26/7, f. Écoulement du pétrole saharien, «Note sur la réunion», 9 decembre 1959.
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soddisfacenti alla Francia per lo smercio del suo petrolio. Di fronte a queste pressioni, gli amministratori francesi accantonarono il progetto.18 È certamente significativo che la pressione statunitense riuscisse a modificare la posizione francese su una questione interna alle politiche europee. Ciò può essere spiegato solo se si considera il gioco di delicati equilibri transnazionali, cui prendevano parte le imprese francesi in Medio Oriente e in Francia. In queste zone, alla fine degli anni ‘50, il regolare svolgimento delle attività delle compagnie francesi dipendeva dalla buona volontà delle major anglo-americane. In ogni caso, all’inizio del 1960, il governo francese aveva deciso di premere sul freno sulla questione del trattamento preferenziale per il petrolio sahariano. Mentre le aziende francesi continuarono a fare pressioni perché fosse dato spazio sul Mercato Comune al loro petrolio, le luci della ribalta nei dibattiti alla CEE erano ormai sull’offensiva petrolifera sovietica.19
A differenza del carbone o dell’energia nucleare, fonti di energia amministrate attraverso la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e l’EURATOM (Comunità europea dell’energia atomica), alla fine del 1950 gli idrocarburi erano l’unica forma importante di energia a non essere regolata da un’istituzione europea occidentale.20 In seguito alle scoperte di petrolio in Africa e all’offensiva petrolifera sovietica, si rese necessario mettere a punto una politica comune nel settore degli idrocarburi. Nell’aprile 1960 fu quindi istituito un gruppo di lavoro formato da alti funzionari della CEE, e presieduto da Marjolin. Il gruppo fu formato a seguito di un memorandum per il coordinamento delle politiche energetiche messo a punto da un gruppo inter-esecutivo formato dai rappresentanti delle tre commissioni energetiche europee (CECA, Commissione Europea, ed EURATOM). 21
18 ADMAE, Ministero degli Affari Esteri, DE-CE Papiers Dirécteur Olivier Wormser N. 85, microfilm P10747, pétrole dossier général 54-66, O. Wormser a J. Jeanneney, Ministero dell’Industria, 12 dicembre 1959, p. 2. 19 AHTOTAL, Fonds Total-CFP, b. 92.26/7, f. Sahara – Politique algérienne concernant le
Sahara, «Observations au sujet de la note du 18 avril», L. de Laboulaye, CfP, a F. de
Baecque, Organisation commune des régions sahariennes (OCRS), 2 maggio 1961. 20 Demagny, «France and the Project», p. 305. 21 AN, sc. 19800118/3 CEE/Hydrocarbures, 1960-2, fasc. Politique vis-à-vis des pays de l’Est (FOIA n° 111 382), «Considérations sur les problèmes posés par les pétroles russes à
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La battaglia contro il petrolio sovietico fu anche condotta al Parlamento Europeo, dove il deputato gollista francese, Christian de la Malène, incitò la Commissione a istituire uno scambio periodico di dati sulle importazioni di prodotti petroliferi di qualunque origine. Nelle statistiche successivamente fornite dalla Commissione per i primi cinque mesi del 1960, emergeva la posizione dell’Italia come maggior importatore di petrolio sovietico. Le importazioni italiane erano state tre volte maggiori di quelle della Germania Ovest, e quattro volte maggior di quelle della Francia.22 L’attività di lobbying messa in campo dai francesi contro le importazioni di petrolio sovietico aveva lo scopo di allineare la CEE alle strategie delle major, tra le quali prendeva posto in maniera sempre più prepotente la CFP.
L’11 ottobre 1960, il giorno stesso in cui fu firmato l’accordo ENI-SNE, Diego Guicciardi, il presidente dell’affiliata italiana della Royal Dutch Shell, espresse l’intenzione di esercitare la sua influenza coi rappresentanti italiani presso la CEE, in quanto gli accordi dell’ENI rischiavano di vanificare la politica collaborativa che le autorità della Comunità stavano cercando di stabilire.23 Nel novembre 1960, il presidente della Jersey Standard, Monroe Rathbone, sollecitò il Dipartimento di Stato a intervenire presso il governo italiano.24 In seguito si unirono alla protesta anche Gordon Reed della Texas Gulf e Arnold Hofland della Shell. Reed presentò una serie di raccomandazioni al Congresso degli Stati Uniti, nonché ai comitati federali preposti alla gestione delle politiche petrolifere, e al Dipartimento di Stato. Hofland, dal suo canto, intervenne presso i governi britannico e neerlandese, e contattò l’ambasciata americana a Parigi.25
l’économie européenne», unsigned, 8 aprile 1960. 22 AN, sc. 19800118/3 CEE/Hydrocarbures, 1960-2, fasc. Politique vis-à-vis des pays de l’Est, FOIA n° 111 382, «Note d’information – Assemblée Parlementaire européenne»,
Council of European Communities, General Secretary, 7 ottobre 1960. 23 Archivio Storico ENI (aSeni), Fondo ENI, Presidenza Eugenio Cefis, sc. 24, fasc. CB8, Nota non firmata, 11 ottobre 1960. Guicciardi coordinò la sua azione con il presidente della Esso Italiana, Vincenzo Cazzaniga. 24 ASENI, Fondo ENI, Estero, Rapporti commerciali con l’estero, sc. 2, fasc. 7E2, «Accordo italo-sovietico», 23 novembre 1960; ASENI, sc. 2, fasc. 7E2, Ruffolo a Ratti, traduzione di una circolare inviata dalla Standard Oil of New Jersey alle sue affiliate il 3 novembre e il 6 dicembre 1960. 25 AN, sc. 19900317/13, fasc. 1, sottofasc. Italie 1955/1979 (FOIA n° 111 382), Note Sde-
Ce, “Derniers développements de l’activité de Mattei – Réactions qu’elle suscite,” secret,
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Laddove, però, nei documenti governativi americani la sicurezza militare occidentale sembrava giocare un ruolo significativo, non era questo il caso dei documenti prodotti dalle compagnie petrolifere, che invece si soffermavano su questioni economiche e sulle ricadute del petrolio URSS sui loro profitti.
Verso una politica comune?
Il gruppo di lavoro inter-esecutivo CEE presentò le sue proposte al Segretariato generale del Consiglio delle Comunità europee nel gennaio 1961. Le proposte miravano ad armonizzare le politiche energetiche nazionali degli stati membri, e a stabilire provvedimenti nel caso in cui il mercato dell’energia fosse andato deteriorandosi. 26 Il primo insieme di misure introdusse la rinuncia da parte dei membri al diritto di prendere decisioni in materia di energia prima della consultazione con gli altri paesi CEE e con la Commissione stessa. La seconda serie di disposizioni prevedeva quote di importazione per carbone, greggio e prodotti petroliferi, dazi doganali sul carbone e olio combustibile importati, e sovvenzioni finanziate dalla Comunità per la produzione di carbone.27 Anche se l’Italia riconobbe la necessità di una politica energetica comune, non aderì alle proposte del gruppo inter-esecutivo, ritenendole espressione degli interessi delle major.28
Nel mese di aprile 1961, il gruppo di esperti petroliferi CEE si riunì a Bruxelles per discutere dei regolamenti in vigore nel settore petrolifero a livello nazionale nei vari stati membri. Un problema serio emerse riguardo le riesportazioni: tra questi, il fatto che un paese membro avrebbe potuto far raffinare il petrolio sovietico nelle raffinerie di un paese terzo. La
18 agosto 1961, 3. 26 Nel gennaio 1958, fu creato un segretariato unificato per i consigli delle tre comunità europee. Era guidato dal segretariato generale della CECA, e fu chiamato Segretariato Generale del Consiglio delle Comunità Europee. 27 ASENI, Fondo ENI, Relazioni esterne, sc. 29, fasc. 2A89, “Note au Conseil Spécial de
Ministres - Propositions de premières mesures en vue d’une coordination des politiques énergétiques,” very secret, gennaio 1961. 28 ASENI, Fondo ENI, Estero, Rapporti commerciali con l’estero, sc. 2, fasc. 7E2, Memorandum, G. Ruffolo, ENI, a Sig. Giorgi e Sig. Carbone, rappresentanti italiani al Gruppo di
Studio ad Hoc della NATO sulla Politica petrolifera sovietica, 29 dicembre 1960.
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situazione era ulteriormente complicata dalla mancanza di dati precisi sulle riesportazioni, il che rendeva impossibile determinare quanto effettivamente la sicurezza degli approvvigionamenti fosse a rischio. 29 Inoltre, l’impegno italiano a importare petrolio sovietico sollevava preoccupazioni negli ambienti industriali del Mercato Comune: l’uso di petrolio a basso costo aveva come conseguenza minori costi di produzione in un certo numero di settori industriali italiani, permettendo così all’Italia di acquisire un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti europei. 30
In vista della riunione di esperti di petrolio del luglio 1961, la Commissione europea elaborò infine un progetto che limitava le importazioni sovietiche, con effetto retroattivo a partire dal gennaio 1961. Ogni paese si sarebbe impegnato a limitare le sue importazioni annuali dal blocco orientale ai livelli di quelle del 1960. Se uno stato membro avesse voluto importare oltre il volume stabilito, avrebbe dovuto consultare i suoi partner della CEE e la Commissione tre mesi prima di cominciare le trattative per ulteriori acquisti. Il francese Maurice Leblond, nella sua posizione di capo dell’Ufficio Combustibili (Direction des carburants), criticò la flessibilità – a suo avviso eccessiva – data agli stati membri riguardo a eventuali aumenti delle loro quote di petrolio sovietico. Nulla li avrebbe infatti obbligati a conformarsi al parere degli altri stati membri e della Commissione. Leblond propose che fosse stabilita per il petrolio sovietico una quota d’importazione CEE globale: tale quota sarebbe poi stata distribuita ai singoli paesi in base ai loro consumi.31
Nonostante l’opposizione francese, Marjolin propose di presentare lo studio pilota alla Commissione, e di inviarlo come proposta al Consiglio della CEE. La Commissione raggiunse infine un accordo: i paesi membri avrebbero dovuto consultare i membri del Consiglio prima di concludere accordi commerciali con terzi. Nel mese di aprile 1962, il Consiglio
29 AN, sc. 19800118/3 CEE/Hydrocarbures, 1960-2, fasc. Politique vis-à-vis des pays de l’Est, EEC Commission – General Direction of Economic and Financial Affairs (FOIA n° 111 382), «Groupe d’experts pétroliers – Importations de pétrole brut et de produits raffinés en provenance des Pays de l’Est dans la Communauté»,” confidentiel, 27 aprile 1961. 30 ASENI, Rassegna stampa estera 1961, n. 31, Politique étrangère 6 (1960), 28 aprile 1961. 31 AN, sc. 19800118/3 CEE/Hydrocarbures, 1960-2, fasc. Politique vis-à-vis des pays de l’Est, Direction des Carburants (FOIA n° 111 382, «Note pour le Comité Interministériel–
Politique de la C.E.E. vis-à-vis du pétrole des Pays de l’Est», 27 giugno 1961).
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assegnò al gruppo di lavoro il compito di elaborare uno studio dettagliato del mercato dell’energia e di stabilire i principi-guida delle politiche energetiche del Mercato Comune.32 Due mesi più tardi, il gruppo presentò un memorandum sulle politiche energetiche. Tra le varie disposizioni, la Commissione propose un sistema di quote per greggio e prodotti petroliferi sovietici in tutta la Comunità europea. Una simile ‘legittimazione condizionata’ faceva sì che a tutti gli operatori petroliferi europei fosse assegnata una percentuale delle quote disponibili: ciò diminuiva la quota disponibile alle imprese italiane, e quindi all’ENI. L’ENI non ebbe quindi altra scelta che prepararsi al peggio: allo stesso tempo, però, suggerì alla delegazione italiana del gruppo di studio cercare di ottenere garanzie adeguate relativamente alla quota da assegnare all’Italia, o in alternativa di rifiutare la totalità della proposta.33
Il presidente dell’ENI, Enrico Mattei, era cosciente che la resistenza dell’Italia al sistema di quote CEE non avrebbe potuto continuare per sempre. Tentò allora di giocare in contropiede, e di negoziare un ulteriore accordo con i sovietici prima che fosse troppo tardi. Nel settembre 1962 inviò quindi a Mosca un alto dirigente dell’azienda, , Giuseppe Ratti.34 Due giorni dopo il ritorno di Ratti in Italia, la Commissione europea propose l’attuazione del sistema di quote e lo inviò ai governi nazionali perché dessero il via all’iter burocratico per l’approvazione.35 L’ENI
32 AHTOTAL, Fonds Total-CFP, sc. 90.4/350 Ingérence russe dans l’industrie pétrolière, fasc. III, subfolder Organismes officiels – Réaction du monde occidental, «Bulletin quotidien n. 1025», Europe, 11 July 1961; AHTOTAL, Fonds Total-CFP, sc. 86.12/20, Bobin, «La politique énergétique de la Communauté Européenne---Chronologie 1952-1970», [1970]; Nigel J. Lucas, Energy and the European Communities, London, Europa Publications, 1977, p. 35. 33 ASENI, Fondo ENI, Presidenza Raffaele Girotti, sc. 264, fasc. 482E, «CEE-Contingentamento importazioni di petrolio dall’ URSS», non firmato, 27 giugno 1962. 34 ASENI, Fondo ENI, Presidenza Raffaele Girotti, sc. 264, fasc. 482E, G. Ratti, «Missione a Mosca (4-6 Settembre 1962)», 7 settembre 1962; ASENI, sc. 264, fasc. 482E, G. Ratti, Promemoria riservato al Dr. Cefis, «Operazione in abbinamento ENI-URSS», 8 novembre 1962. 35 AHTOTAL, sc. 19800118/3 CEE/Hydrocarbures, 1960-2, fasc. Politique vis-à-vis des pays de l’Est, «Projet d’accord pour la coordination des importations de pétrole brut et de produits pétroliers en provenance des Pays de l’Est dans la Communauté», non firmato, 7 settembre 1962; AHTOTAL, Fonds Total-CFP, sc. 90.4/328 Vincent Labouret, fasc. La politique énergétique de l’Europe, «La Commission de la C.E.E. et le régime pétrolier fran-
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aveva dunque dei tempi molto stretti a disposizione per la conclusione del nuovo contratto, ma aveva un vantaggio: era in grado di agire molto più velocemente della macchina burocratica europea. Nei mesi seguenti al giugno 1962, la politica formulata nel memorandum del gruppo interesecutivo fu rimodellata e modificata più volte, in modo da andare incontro agli interessi di ciascun membro, ma non fu possibile raggiungere un accordo in breve tempo, soprattutto a causa dell’ostruzionismo italiano. Soltanto nell’aprile 1964 uno speciale Consiglio dei Ministri approvò un protocollo d’intesa sulla politica energetica comunitaria, di gran lunga troppo tardi per fermare il nuovo accordo italiano-sovietico, che fu invece firmato nel novembre 1963.36
Conclusione
Considerando la varietà delle argomentazioni messe in campo dagli attori della vicenda appena analizzata, e la forza con cui sono state difese, è legittimo chiedersi se i diplomatici americani e francesi, così come le compagnie petrolifere euro-americane, abbiano agito realmente nell’interesse della sicurezza europea nei loro tentativi di limitare le esportazioni di petrolio sovietico. Tra le voci dissenzienti c’è quella dello storico Geir Lundestad, che sostiene che gli Stati Uniti – ma un discorso analogo, a mio avviso, può essere applicato ai paesi CEE sedi di major petrolifere, come la Francia o i Paesi Bassi – abbiano agito piuttosto nell’interesse di perpetuare la dipendenza dell’Europa dalle loro compagnie nazionali, ammantando la difesa d’interessi particolari col velo della sicurezza continentale. L’argomentazione di Lundestad ha basi solide. I forti interessi economici in gioco furono ‘l’elefante nella stanza’ in sede di dibattito alla CEE: i piani e l’attività di lobbying delle compagnie petrolifere, tanto americane che europee, non potevano essere invocati in tali dibattiti, ma si rivelarono un fattore importante nel loro svolgimento.
Mentre le pressioni anglo-americane rimasero comunque esterne, almeno in teoria, ai processi decisionali della CEE, quelle francesi si manifestarono invece chiaramente nella difesa governativa della commercializzazione
çais», 25 settembre 1962. 36 Lucas, Energy, 36.
La Comunità europea di fronte aLL’offensiva petroLifera sovietiCa 1955-1965 329
del petrolio franco-africano sul Mercato Comune. Tuttavia, a differenza di altre sedi internazionali, dove l’egemonia statunitense diretta poteva efficacemente fungere da leva di persuasione, questo non era il caso della CEE, che non era soggetta all’influenza egemonica di un singolo paese. Tale situazione rendeva considerevolmente più complessa l’imposizione delle preferenze di un paese membro sui rimanenti. È soprattutto per questo motivo che il tentativo francese non andò a buon fine, e che l’ENI ebbe tempo di finalizzare il suo accordo con i sovietici prima che potesse essere formalizzato anche soltanto un abbozzo di politica energetica comunitaria.
Nella pagina seguente: Copertina della Domenica del Corriere dell’11 novembre 1962 sulla sciagura aerea di Bascapé in cui perì Enrico Mattei. Gli incidenti accadono, ma l’eliminazione di un uomo chiave (mediante attentato, ricatto, linciaggio mediatico) ha spesso finalità di guerra economica.
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Economic WarfarE - L’arma Economica in tEmpo di pacE