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L’Italia disegnata da un doughboy. Le vignette di Fred George Reinert, fante del 332nd, di Virgilio Ilari “

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L’Italia disegnata da un doughboy

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Le vignette di Frederick George Reinert, fante del 332nd American Lions

di Virgilio Ilari

Nel 2016 il sito americano archive.org ha pubblicato online la raccolta delle 44 tavole di vignette e caricature disegnate da Fred George Reinert (1895-1974) di Cleveland durante il suo servizio militare in Italia nella compagnia B del 332nd Infantry e pubblicata a sue spese nel 19191. Da non confondere col paesaggista Frederick Faraday Reinert (1900-1974), il nostro Fred aveva una spiccata capacità di osservazione ed era quindi un eccellente caricaturista. Inizialmente il suo soggetto era stata la boxe, e in particolare il peso piuma Bryan Downey. Dopo la guerra Fred frequentò la Cleveland School of Art e i corsi di ritratto ad olio del pittore ungherese Sander Vago (1887-1946), ma lavorò al Plain Dealer, il più antico e diffuso quotidiano di Cleveland, come cartoonist (disegnatore di fumetti) specializzato nelle gesta dei Cleveland Indians, una delle maggiori squadre di baseball americane. Il personaggio inventato da Fred era «Knuckes» («Nocche»), un «pitcher» (il giocatore che lancia la palla al «catcher»); ma a farlo entrare nei libri di storia del baseball (e a consentirci queste notizie biografiche) fu una vignetta del 1932 che celebrava una vittoria della squadra di Cleveland con l’icona di un «little jumping Indian» armato di tomahawk. La vignetta fece epoca, e nel 1947, quando si pensò di creare un logo per la squadra, si riprese proprio la testa del piccolo indiano, al quale fu in seguito affib-

1 Frederick George Reinert, With the 332nd regiment in italy 18-19, Comics and Sketches, own ed., 3832 Carlyle Avenue, Cleveland, Ohio, 1919. Digitalizzato dalla Sloan Foundation e considerato di pubblico dominio con la formula «The Library of Congress is unaware of any copyright restrictions for this item».

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biato il nomignolo stereotipo di «Chief Wahoo»2 . Con tutto il rispetto per il baseball, a nostro avviso il vero capolavoro di Reinert sono però le vignette italiane. Lo vediamo catapultato dentro lo Stivale; ammonito dal colonnello Wallace a non dimenticare che «in questo esercito di uomini» non si fa il presentatarm con penne e calamai, ma con «veri fucili e pallottole»; in tradotta attraverso il traforo del Fréjus («così questa è l’Italia … speriamo che siano le ultime 5 miglia di tunnel»). Finalmente [a Verona], la folla li accoglie alla stazione con «viva americano», mentre loro pensano alle crocerossine che distribuiscono («gee!») sigarette americane («guarda che carina … non mi dire, forse è una contessa»), ma le «hot nights» le passano scacciando zanzare [sono arrivati il 29 luglio 1918]. Proprio comodo un cappellone a larghe tese quando si deve marciare sotto il solleone [a Valeggio]; guarda quel carro di fieno trainato da un asinello e due buoi! «Curiose le banconote italiane: sembrano una qualche specie di diploma». Ci sono contadine e contadine: «e io che credevo che non ci fossero donne più chiatte di mia suocera»; «bon giorno americano! bon jorno seenoreena!» («ci ho messo poco a insegnare ai ragazzi qualche parola utile» e anche a fare ciao con la mano, «Italian style of greeting»). «E lo misero di servizio agli avamposti … tra i grappoli d’uva matura» (l’occasione fa l’uomo ladro); «toh, il guardaroba di Eva!» (un fico); «brr, che acqua ghiacciata! Viene direttamente dalle montagne» [il Mincio!]. Carretti e birocci, «la Ford d’Italia!». Guarda quello con la botte: «è il Red Ink Express! Proprio quel che ci vuole, come si suol dire!». Un focolare: gli italiani lo usano per cuocere. Pericoloso vantarsi:

2 James E. Odenkirk, of tribes and tribulations: the early Decades of the Cleveland indians, Jefferson (NC), McFarland, 2015, pp. 84, 190-191. Reinert, Comic drawing of jumping indian, Parma (Ohio), 1947. Bud Tamblyn, Frank Whelan, Kathy McAuley, Siobahn McManus, Cartoons & Caricatures, 1937-1985, Morning Call, 1985, pp. 121, 142. Anne Trubek, «The Secret History of Chief Wahoo», Belt Publishing, June 19, 2014 [con una foto di Reinert nel 1964]. Vincent Schilling, «Wahoo was a Yankee? 7 Surprising Facts About the Cleveland Indians and Chief Wahoo», indian Country today, 27 October 2016.

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«dovresti vedere, Mac, che bellezza la seenoreena che mi fa il bucato! Si chiama Rosa, sta accanto allo spaccio di ‘vino birra’». «La sera dopo», infatti, c’è la fila: «bona sera Rosa!» (lei sorride a tutti).

Si comincia a fare sul serio. Il 1° agosto, al campo di aviazione di Ganfardine, tra Villafranca e Sommacampagna, «il Re passa in rivista i magnifici soldati del primo contingente americano giunto alla fronte italiana»3. Mentre fa il presentatarm a «King Vic» (e per farlo ancor più scricciolo gli mette accanto non il colonnello William Arthur Wallace (1867-1945)4, che era un piccoletto, ma un aiutante di campo italiano assai impinguato rispetto alla realtà5), il nostro impertinente Republican pensa al “Re di cuori” a poker, e si chiede se «if he shoots craps» (‘se gioca a dadi’, ma anche ‘se spara cazzate’).

Chissà cosa pensa di loro Sciaboletta. Ad ogni buon conto li mandano a scuola dal XXIII Reparto Arditi (Fiamme Cremisi) del maggiore Lorenzo Allegretti6: Fred li disegna mentre fanno addestramento formale nò-duè, nò-duè

3 Tavola di Beltrame, Domenica del Corriere, XX, N. 32, 11-18 agosto 1918. 4 Di Indianapolis, aveva combattuto col 7th Infantry nella guerra di Cuba. Ispettore e impiegato del genio federale a Indianapolis, pensionato nel 1922, due volte vedovo (nel 1933 e 1938), morì il 29.11.1945, di polmonite, a Chillicothe, Ohio, presso il camp Sherman dove era stato addestrato il 332nd (armed Forces Journal international, vol. 83, ed. 1-26, 1945, p. 146). 5 Il disegno è però abbastanza preciso, se confrontato con la foto dell’U. S. National Archives and Records Administration, riprodotta in Ralph Doerres, «Il 332° Reggimento Americano», in Renato Miracco, Marco Pizzo, Albert L. Jones, War art WWi-USa in italy, Roma, Gangemi, 2017, pp. 69-75.. 6 Uno dei 57 Ufficiali italiani decorati di Distinguished Service Medal in base all’atto del congresso 9 luglio 1918, «while attached to the 332nd Infantry, AEF. For services performed for the American Expeditionary Forces and to the cause in which the United States had been engaged. G. O. No. 45, W. D., 1919» (american Decorations 1862-1926, The

Office of the Adjutant General of the Army, Washington, D. C., GPO, 1927, II, p. 828).

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(tradotto «yoop-ee, yoopee»). Sotto aggiunge il ritratto di un ardito: ‘na faccia da «romano in fureria», difficile pensarlo poi squadrista o ardito del popolo. Gli arditi hanno i camion, ma li guidano come se di ruote ne avessero solo due. L’istruttore italiano vorrebbe farli remare controcorrente, ma finisce in acqua. Più interessante disegnare le lavandaie, o vedute di una fattoria e di un villaggio, doughboys pensosi, sdraiati, seduti, che dormono in terra rannicchiati, affardellati come muli, mimetizzati con le spighe di grano [l’11 settembre il II battaglione del maggiore Frank Scanland, di Louisville, è partito per Treviso, il 12, al campo di Borghetto, l’esplosione di un mortaio uccide 7 ufficiali e soldati, il 13 gli altri due battaglioni fanno una «sham battle», avanzando coperti da mitragliatrici e mortai da trincea7].

Più che delusi i doughboys sono sconcertati dal Norditalia: si aspettavano nugoli di «Giuseppi Savoi» olivastri, coi capelli crespi, baffi a manubrio alla Pancho Villa, orecchini, fazzolettoni, camice a quadretti, toppe al ginocchio, con carretti e caschi di «bah-nan-o». Invece la paga di un giorno basta a so-

7 Col. William Wallace (Ed.), ohio Doughboys in italy, Pleasantville, N. J., Penhallow

Press, 1921. [Private Walter C. Hart «The First Three Monts in Italy» (6-13) e «The Crucial Hour» (14-18); Ltn George W. Conelly, «Fiume» (19-28); Cap. J. McKinney, «Susek» (29-34); Ltn August F. Rendigs Jr, «Montenegro» (35-50); Maj. Constant Southworth,

«American Soldiers in Tzrnagora (Montenegro)» (51-57); Bruce Macfarlane, «The Second Battalion» (59-63), Col. William A. Wallace, «A Summary» (64-72); Ltn Carl H. Trik, 3rd, «Reminiscences» (73-89); Julius H. Barnes «The Meaning of America» (90).] Joseph

L. Lettau (Battalion Sergeant Major), in italy with the 332nd infantry, Youngstown, Ohio,

Evangelical Press, Cleveland, 1921 [Introduction, 5-6. I France 7-13. II France to Italy:

Villafranca, Custozza, Sommacampagna, Verona 16-20. III In tents near Valleggio; Villa

Angelica, 21-27. IV Treviso; The Air raid; Before the Drive, 28-34. V The Drive at the

Tagliamento; Ipplis, 35-45. VI Cormons, Austria; Cormons to Treviso, 46-50. VII Treviso After the Drive; In Rome with Wilson, 51-57. VIII Third Battalion at Fiume, 58-61. IX

Second Battalion in Dalmatia and Montenegro, 62-66. X Treviso to Genoa. The Investigation, 67-70. XI Genoa. The Regiment re-united, 71-72. XII Genoa to Ohio. Gibraltar;

Camp Merritt; Parade in New York; Cleveland; Camp Sherman; Discharged, 73-76].

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stituire il solito riso & fagioli («mr. rice and miss bean») con una frittata cucinata al ristorante «graseo veste».

Seguono altri bozzetti dal vivo: uno scozzese col gonnellino e il basco, un «Jerry» ungherese catturato, un ragazzino visto il 5 novembre al Tagliamento: a piedi nudi, fagotto in spalla, sigaretta in mano, berretto con visiera, pantaloni, giacca e panciotto troppo grandi. I fanti italiani, con elmetto e giberna, o in képi e mantellina, sono baffuti, anzianotti, cercano «cigaretta americano». Uno saluta: «hullo John» « Oh-I run shoe shine stand – noo York - I vus dree years there. You know, I didn’t smoka american cigarette for very longa time. Have you one?»

Ancora bozzetti: un bersagliere, un «tommy», un doughboys che scrive alla vecchia mamma, uno che fuma la pipa, due ragazzini addormentati. Un ragazzo di campagna, scalcagnato e col fagotto, e uno di città, con la sciarpa, i calzoni alla zuava e i calzettoni scozzesi. Una vecchia al banco di frutta, un vecchio che vende fichi. Un carabiniere in grigioverde, una guardia di città, un alpino. E ancora caricature: un allegro spettacolo teatrale; uno scopino rimpannucciato con pezzi di uniforme, una cameriera carina che serve vino. Lì portano tutti gli zoccoli di legno: ne vendono montagne, una signora vede le stelle ogni domenica, quando mette i tacchi. Sul corso porticato un paio di buoi trainano un carretto di barili di vino. Curiosa questa scopa di saggina! Reduce da Roma, dove ha reso gli onori a Wilson e visitato il Colosseo e i Musei Vaticani, Fred sogna di essere inseguito da leoni affamati di americani e di indossare l’anello papale, immagina i dioscuri che giocano al baseball, ricorda le altissime guardie nobili, le statue di Mosè, Laocoonte e Giulio Cesare e …those ‘welcome home’ Italian eyes».

Alla stazione un ragazzino vende vino, il capostazione da il segnale di partenza suonando il corno («ta-r-a-a-h-»), che differenza tra le lussuose vetture (vuote) di prima classe e la terza riservata alle famiglie di umiliati e offesi e ai doughboys avvinazzati. E questo treno, «perché invece di fischiare non usa i polmoni per andare più svelto?». Una visita è d’obbligo pure a Venezia. Ma

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che delusione osservare con le mani nelle tasche del cappotto il traffico sul Canal Grande a guerra appena finita: «Dove sono le chitarre, le seenoreenas e tutte le cose delle serenate? Tutto quel che passa in gondola sono verdura e pesce». E già, «non è tutt’oro quel che riluce!» pensa il doughboy osservando le vetrine di «cameos» vicino piazza San Marco. E «Il Mercante di Venezia» è quel Mangiafuoco incappottato che vende caldarroste, fichi secchi e arance. E dalla stazione a piazza San Marco, sempre che non ti perdi, ci sono almeno sette ponti. Fortuna che c’è un «American bar (we speak english)».

Tema ricorrente sono le sigarette americane. Una torma di ragazzini assalta un doughboy chiedendo «americano cigaretta», un passante si curva su un altro yankee travolto da un’automobile e invece di soccorrerlo gli chiede una sigaretta: «nella mia tasca», risponde il ragazzo, gentiluomo fino all’estremo. Ma un altro vomita sotto i portici di Treviso, come Giamburrasca, per aver fumato un «Italian stogie» (una cicca di toscano). Questi italiani sembra non vogliano altro dagli americani. Un monumento marmoreo all’elemosina («Charity») potrebbe raffigurare Fred mentre si china gentilmente verso Pippetto, offrendogli una Lucky Strike.

Un buon terzo delle tavole (14) è però ispirato dal soggiorno a Genova, dove il Comando e il I battaglione del 332nd, arrivati il 12 febbraio da Treviso, attesero i battaglioni di Fiume e Valona, e dove, in attesa dell’imbarco avvenuto il 28 e 29 marzo sul Canopic e il Duca d’aosta, i raccomandati poterono visitare Mentone, Monte Carlo e Roma, e i Fratelli organizzarono un «Masonic club»8 . Non mancò un passeggero panico per le voci sull’intenzione di Pershing di mandare quella comitiva di turisti in kaki nei Labour Battalions in Francia, se non di spedirli addirittura tutti a Fiume, dove continuavano i guai9].

8 akron evening times, October 25, 1920, p. 9. 9 Lettau, op. cit., p. 71 «the suspense while terrible was short, for at 2:30 P. M., all officers, commissioned and non-commissioned, were called out upon the hotel balcony. General

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Oggi i liberal-talebani, sistemato Lee, le suonano a Colombo, ma cent’anni fa la «Birthplace of Columbus» era ancora capace di scatenare una geniale matita. «Old Columbus lived in a real city!» gli spiega un collega davanti a una birra. Ed eccolo, il busto, nel Palazzo Doria-Tursi, sede del municipio: «proprio un tipo sveglio!» «Ha una fossetta sul mento, ah ah!». Fred comincia con una veduta prospettica di via XX settembre: poi le Torri di Porta Soprana, il Faro, le mura di Malapaga, la salita della Noce a San Fruttuoso. Ammira gli affreschi nell’abside del Gesù, in panciolle su una lettiga portata dagli scaccini; si gode la musica nella caffetteria del Palazzo Ducale; passeggiando al Porto si concede un altro caffé inglese al King George Bar dove intonano «Tipperary»; sbircia le gambe inguainate di seta nera che in tacchi alti si arrampicano agilmente sul selciato dei vicoli, ma per girarsi ad ammirare una «peach» in cappello, borsetta e ombrellino rischia di intruppare in una matrona; schizza un «tonsorial parlor», col figaro baffuto che rade il cliente e il misero garsùn in attesa con la bacinella per il risciacquo della schiuma. E poi una «musical family», la mamma (di spalle con lo scialletto, un moccioso attaccato alla gonna) all’organetto di barberia con affusto e asinello, il maschietto che canta e la femminuccia che balla.

Sfilano due azzimati attori in képi, sciabola, spencer e speroni: «no, non stanno girando un film, sono ufficiali veri, ‘in their peacetime regalia’». Seguono un barbi-panciuto generale col petto onusto di nastrini, una vecchia con un canestro di violette, un diciassettenne in cappello, bastone, panciotto, sigaretta e calzoni corti («penuria di vestiti in tempo di guerra, suppongo»). Una popolana con la crocchia e il bavero da marinaretta vende cianfrusaglie tra cui girandole e bandierine di carta tricolori e a stelle e strisce. Due anziani «vino shop serenaders» cullano la ciucca della clientela con chitarra e violino. «[Ehi amico,] hai visto il Cimitero [Monumentale]»? «Dico, sei il decimo che me lo chiede. Che c’è di divertente in quel ‘campo-riposo’?».

Prende il tram stracarico – «vietato sostare all’interno, sul predellino c’è posto» – con la «conductorette» e il «conductor» che fora i biglietti con la punzonatrice. Chiama un taxi e arriva una carrozzella: pure il cocchiere porta la bombetta nera dei pescecani, e da come schiocca la frusta sembra proprio Simon Lagree, lo spietato padrone della Capanna dello Zio tom. Passa un biciclo 4CV, nel senso di un biroccio con 4 cavalli attaccati in fila indiana a lunghissime stanghe, guidati per la cavezza del capofila («e–e–ya–ha»). Toh, guarda, quel cameriere allampanato sembra proprio Charlie: «ehi, Charlie, che ci fai

McAndrews, I believe […] said that our scheduled sailing had been a mistake», ma che la data del rimpatrio .

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qui?». Al teatrino delle marionette un coccodrillo azzanna alla gola un burattino stonato: «sempre forti Punch & Judy» [il nipotino inglese di Pulcinella]. Passa un Mangiafuoco col berretto da fattorino: «Spectacola!!! Skl–b–o–o–Swah- swh…»: al cinema danno l’uomo legato sui binari mentre arriva il treno, il rapinatore col pugnale insanguinato e l’orologio della vittima. Un chiosco talmente stracarico di giornali da mimetizzare il giornalaio. Il capolavoro sono però tre tavole di tipi genovesi colti dal vivo: cinque pensionati scalda-panchine-del parco, sette teste di «signorinas» con fascia o cappello a seconda della condizione sociale, un marinaio militare, un vecchio portuale baffuto, dieci borghesi al bar (quattro signore infreddolite, un gigolò col cappello all’ultima moda, quattro ufficiali in grigioverde e uno in spencer). E poi, l’ultima: Fred finalmente a casa, in borghese, mentre ripone nel baule la giubba kaki col Leone di San Marco sulla manica, e mamma che dice: «e adesso Harry non dimenticare la naftalina!». E sopra la scritta: « F I N E E T O »

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