PERIODICO DELL’ESERCITO
Editoriale
pag. 3
Quale futuro per ONU, OSCE, NATO e UE? pag. 4
pag. 50
Regional Command West: il racconto di un’esperienza di Marco Poddi
di Luca Schiavina
di Antonio Ciabattini Leonardi
pag. 12
pag. 76
La Leadership trasformazionale di Luca Pietrantoni
Attualità della storia militare dell’età moderna di Riccardo Caimmi
pag. 106
pag. 66
Immobili militari: un progetto di recupero di una caserma dismessa L’America di Obama
gennaio-febbraio
Il centro di gravità come elemento guida nelle operazioni militari di Fabio Cornacchia
di Giorgio Spagnol
1/2009
S O M M A R I O
Giulio Cesare L’uomo, le imprese, il mito di Grelaur
pag. 120
La Brigata «Pinerolo» rientra dal Kosovo di Domenico Occhinegro
pag. 126
pag. 82
RUBRICHE «Eagle Tour 08» Insegnamenti da uno studio di storia militare di Luigi Paolo Scollo
pag. 24
Soldati del futuro: esperienze a confronto di Pietro Batacchi
pag. 88
La Force Protection e la risposta agli IED di Matteo Bressan
Il ruolo del Nato Advisory Team in Bosnia-Herzegovina di Enrico Villa e Antonino Pagoto
pag. 36
pag. 130
pag. 135
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Si a vvisano i l ettori c he i l n ostro n uovo indirizzo e -m m ail è i l s eguente:
riv.mil@tiscali.it
in copertina La componente corazzata della Forza Armata si basa principalmente sul carro «Ariete» di concezione e produzione interamente italiane.
«Rivista Militare» ha lo scopo di estendere e aggiornare la preparazione tecnica e professionale del personale dell’Esercito e di far conoscere, alla pubblica opinione, i temi della difesa e della sicurezza. A tal fine, costituisce organo di diffusione del pensiero militare e palestra di studio e di dibattito. «Rivista Militare» è quindi un giornale che si prefigge di informare, comunicare e fare cultura.
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La traduzione dei testi della rubrica “Sommario varie lingue” è curata da Nicola Petrucci, Livia Pettinau, Carla Tavares e Christel Galatzer Direzione e Redazione Via di S. Marco, 8 00186 Roma Tel. 06 47357373 Fax 06 47358139
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EDITORIALE GRANDI FAMIGLIE GENERANO GRANDI SOLDATI I militari dell’Esercito operano, ormai quasi continuamente, in Teatri operativi a rischio e lontani dal proprio territorio nazionale e dai propri affetti. Situazioni pericolose, compiti molto impegnativi che inducono stress psicologici ed emotivi non facili da sopportare. In questo contesto, l’appoggio che la famiglia (cioè il «core» dei propri affetti) può dare al militare così impegnato non esito a definirlo «enorme» e non è una esagerazione. La stabilità affettiva è la base essenziale su cui costruire il proprio impegno. Certo anche l’amicizia di colleghi e amici è importante e contribuisce a creare un ambiente positivo, produttivo di risultati e che può compensare le difficoltà psicologico/emotive che necessariamente si producono in queste delicate operazioni. Ma la famiglia resta il primo e più solido sostegno. È pur vero che molte situazioni familiari sono instabili e lungi da me l’idea di giudicare, le storie personali si devono capire, magari analizzare ma mai giudicare, perché le sfumature e le complessità delle situazioni affettive sono tali e tante che ogni giudizio è fallace. Ma una famiglia stabile e serena, al di là delle situazioni personali, è sicuramente un indispensabile fattore di sostegno per un militare che opera lontano in situazioni così difficili. Ma non è solo il militare a subire stress e gravi disagi per questa situazione di lontananza prolungata: anche la famiglia infatti ne soffre. Soffre il coniuge per motivi affettivi e pratici, magari costretto da solo ad accudire uno o più figli e magari anche a lavorare, sempre più spesso in grandi città dove le distanze sono abnormi e i legami sociali sono già difficili di per sé, soffrono i figli che crescono con un padre/madre a «intermittenza», spesso lontani per diversi mesi, con la paura di un pericolo costante per i propri genitori, senza essere seguiti con continuità nel processo educativo da un genitore sempre presente, come avviene in altre professioni peraltro sicuramente meglio remunerate. Allora è necessario che le famiglie dei militari vivano, per quanto possibile, in uno stesso complesso abitativo capace di accogliere un cospicuo numero di nuclei familiari, dotato di tutto il necessario per la vita quotidiana, strutture ricreative comprese, e possano appoggiarsi l’una all’altra per meglio sopportare il disagio della lontananza. Quartieri residenziali veri e propri, aperti anche alla società civile dei paesi vicini. La grande «famiglia» dei militari vive di affetto e sostegno reciproco e in un contesto abitativo così organizzato tutto questo può essere anche materialmente possibile. Sono sicuro che i nostri militari, di ogni ordine e grado, e le loro famiglie sopportano questi disagi con compostezza, onore e dignità, fornendo inoltre un’eccellente immagine dell’Italia nel mondo: è la via che scegliemmo e non abbiamo timore di percorrerla. Ma il valore della stabilità di una famiglia, il sapere che i nostri cari non sono soli ma supportati da questa grande famiglia renderà i nostri militari ancora più sereni nei difficili compiti che li attendono in situazioni dove, purtroppo sempre più spesso, anche il rischio della morte è in agguato. Anche i provvedimenti ordinativi e di impiego, come peraltro già avviene, devono essere sempre finalizzati a salvaguardare questo grande valore. «Grandi famiglie generano grandi soldati», non dimentichiamolo e andiamo avanti su questa strada senza mai voltarci indietro.
IL DIRETTORE
QUALE FUTURO PER ONU, OSCE, NATO E UE ?
QUALE FUTURO PER ONU, OSCE, NATO E UE? Una descrizione, necessariamente sommaria, delle principali organizzazioni internazionali e i possibili interventi correttivi, in un sistema di interessi comuni e responsabilità condivise, per affrontare adeguatamente le incognite future.
È ormai assodato che nessuna delle Organizzazioquali l’estremismo politico e il nazionalismo, ridini internazionali, multinazionali o regionali esistenti, vengano lo spauracchio del mondo occidentale in come del resto nessuna nazione, agendo unilateralparticolare e del globo terracqueo in generale. mente, sarà in grado di fronteggiare le sfide di un Su cosa puntare, dunque? Su una architettura futuro imprevedibile e denso di fosche tinte. politica globale drasticamente reinventata o, più A seguito della proliferazione di nuovi centri di realisticamente, riformulata in modo tale da manpotere a livello sub-statuale, della natura ideolotenerne quegli elementi validi e indispensabili su gica delle dispute internazionali e del ricorso indicui imperniare il processo di potenziamento e otscriminato alla violenza, il mondo è divenuto più timizzazione volto a garantire la capacità sia di disordinato, ingiusto e turbolento. fronteggiare con reattività eventi inattesi, sia di Il sistema di valori su cui si fonda la civiltà occiprevenire l’emergere di nuovi scenari di crisi? dentale rimane a fatica a galla: ma quale sarà il suo Esistono, di fatto, esempi di efficienza e affidabilifuturo in un mondo sempre più globalizzato e tà, tra cui svetta l’Articolo 5 della NATO, in materia confrontato quotidianamente con terrorismo, cridi obblighi di difesa collettiva. Forse meno noto, ma mine organizzato, proliferazionon per questo di minor rilevanne nucleare, emigrazione, creza, è l’Articolo V del Trattato di scita demografica e inquinaL’ONU è l’unica organizza- Bruxelles, risalente al 1948, in mento ambientale? del quale i membri delzione universalmente ricono- forza I Governi nazionali stanno, di l’Unione Europea Occidentale fatto, rapidamente perdendo il sciuta in grado di legittimare, (UEO) si impegnano a fornirsi, in controllo degli eventi. Le strut- legalizzare e autorizzare il ri- caso di aggressione da parte di ture internazionali esistenti so- corso all’uso della forza terzi, sostegno militare reciproco no incapaci o troppo lente ad «collettivo e automatico». adeguarsi all’evolversi della siAbbiamo testè tirato in ballo tuazione globale in un mondo peraltro dominato NATO e UEO (le cui prerogative militari sono state dal capitale privato, con Banca Mondiale e Fondo ereditate dall’UE) e, una volta constatato che saMonetario Internazionale ridotti a giocare un ruorebbe controproducente procedere alla soppreslo sempre meno incisivo e più limitato. sione sia dell’Alleanza Atlantica sia dell’Unione Sarebbe comunque un errore assistere inerti al Europea (che, nonostante le loro pecche e incomprogressivo deterioramento della situazione glopletezze, hanno egregiamente svolto il rispettivo bale, rinunciando ad un intervento volto a ripristiruolo), va comunque precisato che si ravvisano nare un ordine mondiale fondato su democrazia, due esigenze inderogabili: giustizia e rispetto dei diritti umani. • la cooperazione non solo teorica ma, soprattutAppare pertanto necessario poter contare su Orto, pratica tra NATO e UE; ganizzazioni internazionali che dispongano o sia• il riconoscere, sia pure «obtorto collo», che gli Stati Uniti sono e resteranno l’alleato politicamente no in grado di accedere, tramite accordi di coopepiù importante, pragmaticamente indispensabile e razione tra di loro o con soggetti terzi, a strumenculturalmente più prossimo all’Europa. ti politici in grado di gestire e normalizzare la siIn sintesi, va individuata una sfera di interessi tuazione internazionale, evitando che fenomeni,
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comuni e di responsabilità condivise che coinvolga e vincoli il mondo occidentale a far fronte comune contro le incognite del futuro: tutto ciò senza comunque dar vita ad una iniziativa rivolta contro chicchessia ma, al contrario, aperta a tutti coloro che condividono i valori occidentali di democrazia, giustizia e rispetto dei diritti umani. Procediamo ora ad una disamina sommaria delle peculiarità delle principali organizzazioni internazionali e dei possibili interventi tesi a ottimizzarne il rendimento. L’ONU è l’unica organizzazione universalmente riconosciuta in grado di legittimare, legalizzare e autorizzare il ricorso all’uso della forza; essa ha, peraltro, riscosso successo nel settore delle Post Conflict Operations (PCO). L’inconveniente in ambo i casi è rappresentato dalla necessità di addivenire ad una risoluzione votata in tempi brevi e all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza (CS), il che si verifica raramente. Un ulteriore inconveniente è costituito dalla possibilità per le Nazioni non partecipanti a una operazione di esprimere il loro parere sulla sua condotta creando, spesso, turbative al regolare avvio e alla successiva gestione dell’intervento. I possibili correttivi individuati sono: • qualora si identifichi un’esigenza di vasta portata umanitaria e non si pervenga in tempi serrati a una risoluzione del CS, l’uso della forza dovrebbe essere autorizzato a posteriori, una volta avviata l’operazione; • le decisioni sulle modalità di condotta di un’operazione dovrebbero limitarsi all’ambito delle Nazioni che vi contribuiscono; • il CS dovrebbe designare una organizzazione o una Nazione alla guida delle organizzazioni subordinate delle NU, quali UNHCR, IAEA, FAO e altre, che operano nel Teatro Operativo in questione; • allo scopo di ridurre le frizioni/rivalità e aumentare l’efficienza della cooperazione, si potrebbe addivenire ad uno scambio di nuclei di collegamento tra le NU e altre organizzazioni internazionali quali: NATO, Unione Africana, UE, ASEAN, OSCE. L’OSCE rappresenta, dopo l’ONU, la più vasta Organizzazione internazionale, estendendosi da Vancouver a Vladivostok, contando 56 Stati membri e annoverando tutti i Paesi della NATO e dell’UE, nonchè la Russia e altri Paesi che non appartengono a NATO e UE. Essa è strumentale nel poter prevenire conflitti sul nascere: il suo ruolo di mediatore potrebbe comunque essere rafforzato tramite migliorie nei meccanismi decisionali e potenziandone la possibilità di applicare sanzioni. Un ulteriore ruolo importante dell’OSCE consiste negli interventi PCO, in particolare di stabilizzazione e ricostruzione. In siffatto contesto, potrebbe
Sopra. Convoglio ISAF in Afghanistan. In apertura. Team di Osservatori ONU al confine Indo-Pakistano.
giocare un ruolo importante fungendo da coordinatore per quelle ONG che si dimostrino riluttanti a cooperare con potenziali elementi «hard power». In sintesi, prevedendo la possibilità per NATO e UE di partecipare alle riunioni periodiche dell’OSCE e di aggiornare la situazione internazionale tramite appositi briefing delle tre Organizzazioni internazionali, non solo si incrementerebbero le potenzialità dell’OSCE di fungere da sistema early-warning nella propria area di responsabilità, ma si potrebbe migliorare sensibilmente la cooperazione tra OSCE e altre Organizzazioni internazionali impegnate in operazioni di stabilizzazione. La NATO è la sola organizzazione che vincoli Stati Uniti e Europa alla difesa reciproca collettiva. Nonostante le recenti trasformazioni e semplificazioni in campo militare, può tuttavia ancora considerarsi, in virtù della sua pesante struttura politica, un prodotto della Guerra fredda. Il primo intervento di snellimento potrebbe interessare il processo decisionale: mentre a livello di Comitato Militare le decisioni vanno prese all’unanimità, tale consenso plebiscitario potrebbe esse-
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delle relative risorse economiche per la loro implementazione, da non temere il confronto con qualsivoglia organizzazione in ambito mondiale? Ci si è finora chiesti cosa la NATO potesse fare per aiutare l’UE a crescere in campo militare: la risposta NATO è consistita nel «Berlin Plus Arrangement», accordo che consente all’UE di ricorrere agli assetti, capacità e potenzialità della NATO per la condotta di operazioni UE. È probabilmente giunto il momento di chiedersi cosa l’UE possa fare per la NATO in campo civile: la risposta potrebbe essere un «Berlin Plus Civilian Arrangement» che costituirebbe l’immagine speculare dell’accordo originario, consentendo alla NATO il ricorso ad assetti, capacità e potenzialità non militari (polizia, Team di Osservatori OSCE. «soft power instruments», ecc.) dell’UE per la condotta di operazioni NATO. Per quanto ha tratto con l’UE, balza immediatare abbandonato ai livelli inferiori (Comitato e mente agli occhi lo stridente divario esistente tra Gruppo di lavoro) introducendo il voto di maggiole ambizioni politiche di questo gigante economiranza. Inoltre, analogamente a quanto proposto co e la capacità dello stesso di tradurle in decisioper l’ONU, le Nazioni che non partecipano a ni e provvedimenti coerenti e consequenziali. Va un’operazione non dovrebbero aver voce in capiprecisato, a tale riguardo, che il ruolo futuro e il tolo nella condotta della stessa, anche in considepeso politico dell’UE dipenderanno in buona parrazione del fatto che il sistema di ripartizione delte dalla soluzione individuata nelle relazioni con le spese (NATO cost-sharing system) prevede che la Turchia: quanto più forti ne risulteranno i lega«costs lie where they fall»: ciò significa che i parmi, tanto più facile sarà per l’Europa agire da protecipanti a un’operazione oltre a sostenerne l’onetagonista. re finanziario, accettano il rischio di perdere vite La nota dolente nel contesto dell’UE è rappreumane, mentre coloro che «chiacchierano» risultasentata dal cosiddetto Secondo Pilastro, relativo no in tal modo doppiamente retribuiti. Si ravvisa, alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), quindi, l’opportunità di modificare le procedure di di cui la Politica Europea di Sicurezza e Difesa finanziamento in ambito NATO, mediante la crea(PESD) è parte integrante. A difzione di una formula di ripartiferenza del Primo Pilastro (relazione comune dei costi. Un ulteriore intervento poLa NATO è la sola organiz- tivo al Mercato Comune e alla economica e monetatrebbe riguardare la strategia zazione che vincoli Stati Uni- politica ria), dove ogni decisione asdella comunicazione, che va potenziata e affinata: non si può ti e Europa alla difesa reci- sunta diviene automaticamente vincolante per i Paesi membri, correre il rischio di perdere il proca collettiva nell’ambito del Secondo Pilaconsenso popolare in Patria anstro i Governi Nazionali manche se le nostre forze risultano tengono la prerogativa di avviare/aderire o meno a vincenti nei Teatri operativi di impiego. Vanno iniziative nei settori sicurezza e difesa: il principapertanto veicolati messaggi calibrati, incisivi e le ostacolo da rimuovere è, quindi, la complessità tempestivi che raggiungano il bersaglio («hearts delle decisioni a livello dei singoli Paesi membri, and minds» della popolazione civile sia in Patria per cui ogni Governo nazionale tende a custodire sia nel Teatro operativo) anticipando comunicagelosamente la propria sfera d’influenza. La defizioni in senso opposto da parte delle forze avvernizione della figura e delle attribuzioni dell’Alto se (Taliban, Al-Qaeda, ecc.). In siffatto contesto Rappresentante per la PESC, sancite dal Trattato andrebbe ribadito che il ricorso alla forza militare Europeo firmato a Lisbona nel dicembre 2007, non non rappresenta il solo (o l’inevitabile) mezzo per migliorano la situazione laddove si consideri che risolvere le crisi. In molti casi tale approccio risull’Alto Rappresentante non ha il rango di un Minita, anzi, controproducente per il conseguimento stro degli Esteri dell’UE (ne rappresenta semmai dei fini strategici. I mezzi non militari devono una consistente «dimunutio capitis») e che, consequindi far parte di una strategia integrata e utilizzati con cura, tempestività e ponderatezza, bilanguentemente, i Governi nazionali potranno conticiandoli opportunamente con le risorse più squisinuare a far il buono e il cattivo tempo a loro piatamente militari. E chi più e meglio dell’UE dispocimento, facendo venir meno la possibilità di adne sia di una tale panoplia di potenzialità civili sia divenire a una politica estera e di sicurezza condi-
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visa, coerente e realistica, che renda l’UE un partner privilegiato e affidabile nelle sue interazioni con NATO, Stati Uniti, ONU e OSCE. Sta di fatto che se è vero che il Trattato Europeo (si badi bene alla denominazione: Trattato, molto più blanda e meno impegnativa della precedente versione in cui campeggiava la scritta: Costituzione Europea) è quanto di meglio si potesse ottenere a seguito del rigetto referendario in Olanda e Francia della precedente versione, è anche vero che detto documento somiglia di fatto, come notato da qualche spirito arguto, a una sorta di voluminoso e pedissequo manuale di istruzione di un carrello elevatore, risultando comprensivo di: trattato propriamente detto, protocollo aggiuntivo, allegati, documento conclusivo, per un totale di 312 pagine. La peculiarità del documento, peraltro, è che, nonostante la sua facondia e verbosità, per risultare comprensibile necessita della consultazione dei precedenti trattati! Constatato che è irrinunciabile addivenire ad una cooperazione efficace tra le varie Organizzazioni internazionali tra le quali spiccano NATO e UE che, attualmente, non paiono sforzarsi più di tanto nell’individuare linee d’azione comuni, proviamo a suggerire qualche correttivo teso a migliorare il rapporto transatlantico. Il primo sforzo potrebbe riguardare la creazione di una più efficiente cooperazione a livello operativo. Di fatto, nei Teatri operativi, i Comandanti NATO e UE e i rispettivi Stati Maggiori (SM) hanno sinora coordinato con successo, di volta in volta, le più svariate attività/problematiche. Si tratterebbe di autorizzare una interazione svolta con regolarità e incisività che includa lo sviluppo di meccanismi tesi a consentire una risposta immediata e coordinata in situazioni di crisi. Tali meccanismi potrebbero riguardare le sottonotate aree: • Pianificazione Operativa Interforze. Un sistema volto a identificare scenari di crisi e relative opzioni di risposta potrebbe essere creato e testato tramite apposite esercitazioni. Ci si dovrebbe inoltre focalizzare nel realizzare la cooperazione NATO-EU in operazioni che richiedano assetti sia militari che civili: in siffatto contesto SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers in Europe), utilizzando anche la Cellula di Collegamento dell’UE già presente nel suo organigramma, potrebbe condurre la pianificazione operativa civile-militare congiunta anche nell’ipotesi che l’UE decida di condurre un’operazione autonomamente. • Generazione delle Forze. Un collegamento diretto tra NATO e UE nel coordinare la generazione delle forze ridurrebbe gli attuali attriti, ottimizzerebbe l’impiego delle potenzialità civili e militari, eviterebbe la competizione per l’acquisizione di risorse limitate: entrambe le organizzazio-
Un artificiere del contingente italiano della missione OSCE «Althea» in Bosnia procede alla distruzione di un ordigno inesploso.
ni attingono, di fatto, alla medesima (e unica) «riserva di pesca». • Revisione congiunta di standard e procedure: entrambe le organizzazioni hanno poco interesse a sviluppare standard e procedure differenziate. • Struttura di comando coerente. La struttura di comando dell’Accordo «Berlin Plus», che prevede il Deputy SACEUR (DSACEUR) quale Comandante Operativo in operazioni condotte dall’UE con ricorso a risorse NATO, costituisce un modello iniziale adeguato. Ma ulteriori opzioni di comando potrebbero essere esplorate al fine di integrare operativamente, sotto il comando del DSACEUR, elementi provenienti dallo SM dell’EU (EUMS) e/o dai Comandi operativi nazionali che Francia, Germania, Grecia, Inghilterra e Italia hanno reso disponibili all’UE (EU OHQs). Va comunque evidenziato come quest’ultimi, nonostante siano etichettati «operativi», siano privi della visione e prospettiva strategica che rimane prerogativa esclusiva di un comando multinazionale qual è SHAPE. • Costituzione di un Centro per la gestione delle crisi. Una volta avviate la pianificazione e l’addestramento interforze, tale centro, composto da pianificatori civili e militari, potrebbe monitorare situazioni critiche specifiche, individuando azioni correttive adeguate. Un secondo sforzo potrebbe riguardare la revisione congiunta delle capacità NATO e UE. A tal fine, l’Agenzia Europea per la Difesa (AED) e l’Allied Command for Transformation (ACT) potrebbero cooperare nei settori della trasformazione e della ricerca, creando capacità compatibili, interoperabili e complementari. Lo stesso meccani-
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Militare italiano del Contingente della missione OSCE «Althea» in Bosnia procede alla raccolta di armi.
smo di sviluppo delle capacità di entrambe le organizzazioni potrebbe essere meglio coordinato. Un terzo sforzo potrebbe mirare a integrare le capacità NATO e UE di gestire una vasta gamma di compiti operativi, dalla guerra alla ricostruzione. In siffatto contesto le due organizzazioni potrebbero sviluppare meccanismi per integrare e combinare assetti militari e civili nel condurre operazioni di stabilizzazione e ricostruzione. Ma la relazione tra NATO e UE non dovrebbe basarsi su una rigida ripartizione di ruoli, con la NATO responsabile di tutti i compiti militari e l’UE di gestire i ruoli civili. Va invece individuato un approccio più coordinato e comprensivo, mediante il quale ciascuna organizzazione fornisca le proprie capacità più at-
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tagliate al soddisfacimento della specifica esigenza, con la NATO meglio attrezzata per risposte rapide e risolutive e l’UE in grado di mobilitare un ampio spettro di strumenti militari e civili, ivi comprese le forze di polizia. Va infatti riconosciuto che, mentre la NATO non ravvisa la necessità di sviluppare capacità specifiche nel settore civile, l’UE è in grado di diversificare i propri interventi tra quattro tipologie distinte di missioni:capacity building missions; military missions; rule of law missions; monitoring mission. Nel contempo, l’UE è in grado di operare mediante un approccio comprensivo, risultando spesso artificiosa, nel contesto della PESD, la distinzione tra missioni militari e civili. In realtà, molte missioni civili richiedono il supporto militare e le missioni militari si trasformano sovente in missioni civili o in programmi di sviluppo e assistenza gestiti dalla Commissione Europea. L’UE è pertanto unica nella sua abilità di combinare e coordinare strumenti sia civili sia militari mediante una risposta sinergica e onnicomprensiva. Un chiaro esempio di quanto asserito è la Bosnia, dove si registrano ben quattro sforzi coordinati dall’UE: • la missione militare European Union Force (EUFOR) «Althea»; • la missione civile European Union Police Mission (EUPM); • la missione European Union Monitoring Mission (EUMM); • i programmi della Commissione Europea (European Commission Programs) relativi agli Accordi di Stabilizzazione e Associazione. Il prerequisito perchè questo sogno diventi realtà è che la NATO e l’EU rivitalizzino ad ogni livello la loro iterazione, focalizzando la discussione su contingenze future e risposte congiunte, elaborando scenari strategici comuni in relazione alle principali problematiche di sicurezza, identificando criteri di base volti a incoraggiare approcci sinergici con ripartizione di sforzi e costi. Se l’attuale meccanismo di consultazione North
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ventesimo secolo, un ragguardevole contributo di Atlantic Commitee (NAC)/Political and Security sangue e danaro) possano andare alla deriva assuCommittee (PSC) e NATO Military Committee (NAmendo iniziative unilaterali, magari irreversibili, TO MC)/European Union Military Committee (EUMC) è giudicato riduttivo o inefficace, devono pericolose sia per se stessi che per il mondo occiessere identificati nuovi o ulteriori fori di incontro dentale in generale. e discussione. Si ravvisa comunque l’esigenza di Una volta stabilizzata e normalizzata la relazioprevedere con effetto immediato un calendario, ne tra Europa e Stati Uniti, i due potrebbero addicon congrua periodicità di incontri diretti tra i Serittura procedere di comune accordo anche verso gretari Generali della NATO e dell’UE, di modo che traguardi posti oltre la sfera sicurezza-difesa: mi le problematiche più urgenti vedano l’interessariferisco al cambiamento climatico e ad altre promento in prima persona dei responsabili del vertiblematiche internazionali che, se affrontate, dice istituzionale delle due organizzazioni. scusse e risolte a livello di foro transatlantico, poNon va persa l’opportunità di affrontare contrebbero costituire la base per soluzioni realistiche giuntamente e più efficacemente le minacce coe concrete a livello globale. muni del futuro, tenendo presente che ogni futura La distensione e normalizzazione dei rapporti tra operazione richiederà una vasta gamma di capaciNATO e UE potrebbe, inoltre, costituire la premestà militari e civili che spaziano dalla guerra alla risa per il rilancio dell’ONU e dell’OSCE. costruzione. La definizione di obiettivi comuni nel più ampio In definitiva, è giunto il momento di andare olcontesto del bacino transatlantico potrebbe giocare a favore del rinnovato e tanto atteso sforzo di tre Berlin Plus e intensificare la cooperazione riforma dell’ONU, teso a migliorarne efficienza e NATO-UE. credibilità. Se realmente vogliamo che la giustizia L’importanza e la necessità di una salda partnerprevalga sulla forza (è questo, in ultima analisi, il ship sono state ripetutamente proclamate in numemandato dell’ONU) si rende improcrastinabile la rosi summit, l’ultimo dei quali a Bucarest, nel cui coriforma dell’ONU, conseguibile solo una volta acmunicato finale compare un chiaro riferimento a ciò: quisita una visione congiunta «We will strive for improvements di NATO e UE sulle sue relative in the NATO-EU strategic parL’OSCE rappresenta, di fat- modalità, procedure e finalità. tnership as agreed by our two orPer quanto riguarda l’OSCE ganizations, to achieve closer to, un foro vitale per la policooperation and greater efficien- tica estera dell’UE e costitui - non vi è dubbio che l’organizcy, and avoid unnecessary dupli- sce il primo e irrinunciabile zazione odierna, ove se ne considerino i successi consecation, in a spirit of transparency and respecting the autonomy of interlocutore dell’UE nel più guiti durante la Guerra fredda ampio spettro dei diritti e all’inizio degli anni ’90, cothe two organizations». stituisca un punto di riferiSarebbe certamente assurdo umani mento meno visibile e meno vedere la NATO e l’UE espandere significativo nello scenario il rispettivo ruolo globale in maistituzionale europeo di quanto lo fosse ai suoi niera scoordinata: si ravvisa, quindi, l’inderogabi«tempi aurei»: più di qualcuno, peraltro, afferma le urgenza dell’efficace scambio reciproco di inche l’OSCE è in crisi. formazioni, integrato da attività concrete in grado Ma l’organizzazione è e resta un attore importandi trasformare la teoria politica in pratica militare. te sulla scena della sicurezza europea, nonostante Una funzione chiave, in tale contesto, è assolta abbia delegato all’UE alcune sue prerogative nel dal DSACEUR, in virtù del suo ruolo unico e censettore specifico. L’OSCE rappresenta, di fatto, un trale nelle relazioni tra NATO e UE. Si reputano foro vitale per la politica estera dell’UE e costituisce infatti di importanza assoluta sia la sua visione il primo e irrinunciabile interlocutore dell’UE nel più onnicomprensiva quale Comandante Operativo ampio spettro dei diritti umani. La NATO e l’UE hansia le sue valutazioni quale Coordinatore Strateno quindi l’interesse, tramite un approccio congico (nelle relazioni NATO-UE) in merito a potengiunto e concordato, di rivitalizzare e sostenere ziali settori in cui la cooperazione tra le due orquesto attore internazionale, mettendolo in grado ganizzazioni potrebbe essere sviluppata o podi prevenire o, se del caso, flemmatizzare e gestire tenziata. situazioni di crisi, rendendolo più credibile, capace Quanto più fattiva sarà la cooperazione, tanto e performante. più dialettica risulterà la relazione tra due partner indispensabili l’uno all’altro, l’Europa e gli Stati Giorgio Spagnol Uniti, evitando che quest’ultimi, sentendosi abbandonati o, addirittura, traditi dall’Europa (per la Generale di Brigata, cui democrazia e il cui benessere ritengono di esVice Direttore e Comandante dei Corsi sersi sacrificati fornendo, peraltro, nel corso del del Centro Studi Post Conflict Operations (PCO)
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L’AMERICA DI OBAMA
L’AMERICA DI OBAMA Recessione economica, lotta al terrorismo, guerra in Iraq e in Afghanistan, Iran: queste sono alcune delle problematiche con cui dovrà confrontarsi il nuovo «inquilino» della Casa Bianca. Temi difficili per un’America che deve ridefinire la sua egemonia politico-e economica in un nuovo mondo policentrico. Comunque vada, il cambiamento è già iniziato.
Gli Stati Uniti hanno scelto il loro Presidente con i commentatori hanno interpretato come un seun record storico di affluenza alle urne. L’elezione gno di fiducia nella vittoria di Obama. americana del secolo segna l’addio all’era Bush. Questa competizione combattuta fino all’ultimo Circa 130 milioni di elettori hanno dunque istante è il segno di un sogno americano ancora espresso il loro voto e 29 milioni avevano in realvivo. Enormi opportunità aspettano il prossimo intà già votato nelle due settimane precedenti nei 30 quilino della Casa Bianca, ma anche grandi reStati che praticano il «voto anticipato». Segno di sponsabilità, per la sfida posta dalla difficile situauna posta in gioco alta, perché il zione economica. Paese andato alle urne, questa Non si votava soltanto per Ora gli americani mettono Obama o McCain, al contrario, volta, si confronta con una recessione ed è impegnato in due da parte le considerazioni l’elezione presidenziale ha guerre senza una chiara via politiche, e si impegnano a messo in ombra migliaia e mid’uscita: chiusi gli otto anni di lavorare con il nuovo Presi- gliaia di scelte popolari deterpresidenza repubblicana, la per la vita quotidiana dente e la sua Amministra- minanti scelta del prossimo «timoniere» dei cittadini: dalla Corte Suprenon è mai stata così partecipata. zione per portare nuovo vigo- ma del proprio Stato fino al Il primo candidato afroameri- re all’economia e mantenere consiglio d’amministrazione cano alla Presidenza degli Stati la sicurezza della Nazione della scuola. Uniti era favorito non solo dai L’attenzione, naturalmente, è sondaggi ma anche dai mercati stata rivolta ai risultati del voto finanziari. Infatti, nel giorno della sua elezione le al Congresso perché da una solida maggioranza quotazioni azionarie a Wall Street sono risalite al democratica dipende la capacità di mantenere le massimo delle ultime due settimane con i prinpromesse elettorali del Presidente eletto. A diffecipali indici che hanno chiuso in rialzo di oltre renza di quanto avviene nei sistemi parlamentari tre punti, il più alto in una giornata elettorale europei, le due Camere e il Presidente possono esnella storia recente americana. Un dato che tutti sere non solo di partiti opposti ma anche impegnarsi in un permanente braccio di ferro sulla politica del Paese. Storicamente i Presidenti repubblicani sono stati più abili nel convincere il Congresso a maggioranza democratica a votare i loro programmi. Ronald Reagan, ad esempio, riuscì a ottenere da Camera e Senato guidati dai democratici non solo tutti i tagli fiscali che voleva ma anche un for-
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A sinistra. Il Campidoglio. In apertura. Il Presidente Barak Hussein Obama con il nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton al tempo della campagna elettorale.
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Sopra. La Casa Bianca. Sotto. Un elicottero statunitense UH-60 «Black Hawk».
te aumento delle spese militari. George W. Bush ha persuaso Nancy Pelosi e gli altri democratici al punto di fargli votare i crediti per la guerra in Iraq, a cui dicevano di opporsi. Bill Clinton, invece, è riuscito soltanto ad attenuare e migliorare marginalmente i disegni di legge della maggioranza repubblicana eletta nel 1994. Jimmy Carter, benché avesse in teoria maggioranze democratiche a lui favorevoli, in pratica non riuscì a combinare granché per il buon motivo che era un outsider nel partito.
Obama è stato un Senatore (e un Governatore, come Bush figlio, Clinton, Reagan e Carter), quindi avrà maggiore facilità nel trattare con gli ex colleghi (questo sarebbe stato vero anche per McCain, che ha personali amicizie tra i Senatori democratici). La maggioranza in Senato è decisiva, dove l’ostruzionismo di 41 Senatori su 100 è sufficiente per far naufragare anche progetti di legge molto popolari. I democratici si fermano a un passo dal trionfo. I 59 seggi assegnati sono un buon numero, un enorme balzo in avanti rispetto ai 49 (più due indipendenti) che hanno avuto dal 2006 in poi. Ciò consente una buona governabilità al nuovo Esecutivo, tenendo conto che da questa soglia si può arrivare anche a 60 se qualche repubblicano accetterà qualche incarico governativo come Ambasciatore o Sottosegretario. In questo caso la vittoria di Obama potrebbe assumere dimensioni storiche come quella di Lyndon Johnson nel 1964. L’America scossa in profondità dal tracollo sistemico dei templi della finanza e della sua poderosa economia, logora, stanca da sette anni di guerra ininterrotta al terrorismo, in Iraq e in Afghanistan, messa in discussione nel suo ruolo di locomotiva mondiale da un pianeta geopolitico sempre più complesso e multipolare ha saputo affrontare e realizzare un prodigioso svecchiamento del panorama politico. Ha mandato in soffitta, al termine dell’era Bush,
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«AFROBAMA» O ILLUSIONE AFRICANA? Nella prima metà dell’800 Alexis de Tocqueville in quel classico sul carattere statunitense che è «la democrazia in America» non riusciva a immaginare una soluzione al problema razziale americano a meno che l’America non fosse riuscita a fondere le diverse razze. L’intellettuale francese si sarebbe ricreduto se fosse vissuto due secoli dopo e avesse assistito la notte del 4 novembre 2008 alla vittoria elettorale di Barack Obama, primo afroamericano eletto democraticamente Presidente degli Stati Uniti. Senza entrare nelle considerazioni sulla sua visione circa le fondamentali questioni bioetiche, secondo quanto scrive il quotidiano dell’Uganda «Daily Monitor», «le qualità che Obama ha dimostrato nel suo viaggio verso la Casa Bianca sono esattamente quelle di cui l’Africa avrebbe bisogno per risollevarsi, molto più degli aiuti internazionali. Prima di tutto la capacità di tenere accesa la speranza, quell’audacia che posseggono le persone che non si arrendono. Invece di autocommiserarsi per il colore della pelle, Obama ha lottato per affermarsi in una società prevalentemente bianca. L’Africa non migliorerà la sua condizione senza un simile atteggiamento positivo». Anche il «Daily Nation» del Kenya parla dell’esempio che l’elezione di Obama può rappresentare per l’Africa: «Mentre tutto il mondo, tranne ovviamente chi ha perso, festeggia il risultato delle elezioni negli Stati Uniti, i kenioti e gli africani in generale devono chiedersi perché la campagna elettorale americana, durata la bellezza di 21 mesi, non è stata macchiata dagli incidenti che di solito accompagnano le elezioni nei loro Paesi. Anche se la posta in gioco era molto alta, in America non ci sono state violenze, né accuse di brogli e frodi elettorali. C’è da considerare, tuttavia che l’entusiasmo che ha contagiato milioni di africani scesi in strada per festeggiare il primo Presidente nero degli Stati Uniti d’America potrebbe essere fuori luogo. Alla faccia dei comitati pro-Obama che ormai pullulano nelle principali capitali del continente africano, secondo il parere di Steven Ekovich, professore di Scienze politiche presso l’American University di Parigi, «la politica estera americana è una sola: difendere i suoi interessi vitali e l’Africa non è in cima all’agenda statunitense». Ekovich assicura che «l’agenda politica internazionale della Casa Bianca sarà dettata dalle tre aree geopolitiche che maggiormente interessano l’opinione pubblica americana: l’Iraq, l’Afghanistan e il Medioriente». Ospite illustre di un seminario organizzato poche settimane fa ad Addis Abeba (Etiopia) dalla Commissione economica dell’ONU per l’Africa sulle possibili implicazioni dello scrutinio statunitense nel continente, Ekovich invitava gli Ambasciatori e Ufficiali africani presenti in sala a rimanere con i piedi per terra: «Conoscendo Obama e il modo con cui si è presentato di fronte all’elettorato nero degli Stati Uniti, un Presidente africano-americano sarà molto più esigente nei vostri confronti rispetto a un Presidente bianco». Di esigenze, finora, il nuovo «inquilino» della Casa Bianca ne ha avute ben poche. In una campagna elettorale sopraffatta dalla crisi finanziaria, i rari discorsi che il Senatore dell’Illinois ha dedicato all’Africa si sono riassunti a due, massimo tre punti: la fine dei massacri in Darfur, l’aumento delle pressioni diplomatiche sul dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, e lo sradicamento della povertà. Una scelta sorprendente se, come scrive il giornale africanista «Jeune Afrique», «agli occhi degli americani l’Africa è un vero e proprio campo di battaglia» in cui si contano almeno due fronti aperti: la lotta contro il terrorismo islamico e l’accesso alle risorse naturali, in primo luogo petrolifere. Con la tragedia delle Torri Gemelle e la continua instabilità del Medioriente, «l’amministrazione Bush ha riservato al continente africano un’attenzione mai vista sotto l’era Clinton». Parola di Nicolas Krystof, columnist del «New York Times» e nemico giurato del Presidente uscente che, contro ogni pronostico, ha trovato un altro sorprendente sostenitore di alcune sue iniziative a favore dell’Africa: il cantante e attivista Bono Vox. «Durante il suo secondo mandato» ricorda da Parigi «Jeune Afrique», «Bush ha raddoppiato gli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) destinati all’Africa con la previsione di raggiungere quota 8,7 miliardi di dollari nel 2010». Sebbene assorbita in gran parte dalla cancellazione del debito, l’aumento degli Aps ha favorito la nascita di un Piano d’emergenza contro l’Aids, un programma ideato da Bush junior e grazie al quale circa 1,3 milioni di africani possono ormai accedere ai farmaci anti-retrovirali. Un altro successo messo a segno dal Presidente uscente degli Stati Uniti è stato l’African growth and opportunity Act (Agoa), la legge sulla crescita e le opportunità economiche promulgata da Clinton, ma rafforzata a dismisura da Bush per consentire al 98 per cento dei prodotti «made in Africa» di penetrare sul mercato statunitense senza dover subire le «ritorsioni» dei dazi doganali. Risultato: nel 2007 il valore delle esportazioni africane si è moltiplicato per sei rispetto al 2001, fino a superare i 50 miliardi di dollari. Nella lista della spesa dei prodotti importati dall’Africa, il petrolio occupa il primo posto. Di fronte alle tensioni che continuano ad agitare il mondo arabo, gli americani hanno deciso di diversificare le loro fonti di approvvigionamento del greggio buttandosi a capofitto nelle operazioni di trivellamento del sottosuolo africano. Tra accordi e strette di mano con i vari Dos Santos (presidente dell’Angola) o Teodoro Obiang Nguema (Guinea Equatoriale), oggi il 20 per cento del petrolio consumato dai cittadini statunitensi proviene dall’Africa. «Garantire la sicurezza delle installazioni petrolifere» sottolinea «Jeune Afrique», «è quindi diventato una priorità assoluta» del Pentagono, che ormai può contare sul primo Centro di Comando Militare Americano per l’Africa (AFRICOM) inaugurato il 1 ottobre scorso per monitorare le attività di Al Qaeda e di altri gruppi militari sovversivi sul Continente africano. Per molti esperti, l’eredità lasciata da Bush in politica estera metterà a dura prova gli obiettivi geostrategici del suo successore. Nel caso di Obama, il terreno africano è tanto più fragile che il candidato democratico rischia di ritrovarsi schiacciato tra le aspirazioni di decine di milioni di cittadini convinti che le sue origini keniote ne faranno un Presidente filoafricano e la necessità di rimettere in sesto un Paese la cui supremazia mondiale è ormai in bilico. Nonostante i rimproveri fatti all’Amministrazione Bush sul tema dello sviluppo, la crisi finanziaria costringerà Obama a rivedere i suoi piani per aiutare il continente africano a estirparsi dai conflitti e dalla povertà. A smussare i sogni degli africani è stato il Presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, di «fede» ultraliberale e noto per la sua vicinanza agli Stati Uniti. In un’intervista rilasciata al canale francofono «TV5 Monde», Wade ha insistito sulla necessità «di non farsi troppe illusioni. Il futuro Presidente americano avrà troppi problemi per pensare a noi». Per ora, il programma africano del Senatore democratico rimane piuttosto vago. E quando si tratta di chiarirne le priorità, è il tema della sicurezza che prevale. Dal suo progetto di partenariato emerge la chiara volontà di sviluppare AFRICOM per rafforzare la lotta contro il terrorismo e lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence. Sul fronte Darfur, gli impegni di George Clooney, suo grande sostenitore a Hollywood, non sembrano aver fatto breccia. Durante la campagna elettorale infatti, Obama si è limitato a parlare di «pressioni» per «porre fine al genocidio». Come? Nessuno lo sa. Di sicuro, il senatore dell’Illinois intende rompere con le logiche di «agressione» dell’Amministrazione Bush nei confronti delle Nazioni Unite. Un’apertura degli Stati Uniti al Palazzo di Vetro potrebbe consentire ai Caschi Blu di lavorare con maggiore serenità su terreni minati come il Darfur o il Congo. Ma alle parole dovranno seguire i fatti. Mr. President, we can, can’t we? Alfonso Bruno, Capo Redattore di «Christ to the World» Le opinioni espresse nell’articolo riflettono esclusivamente il pensiero dell’autore.
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Una riunione di staff della Presidenza Bush.
la visione unilaterale dei rapporti internazionali, le teorie neo-conservatrici della democrazia esportata militarmente. Ha riscoperto lo statalismo keynesiano, dopo una lunga parentesi del liberalismo sfrenato, della finanza allegra e selvaggia, incubatrice delle attuali sventure. Un’impresa condotta con grande intelligenza, freddezza, lungimiranza e disciplina. Il cambiamento, in ogni caso, è avvenuto. Ora gli americani mettono da parte le considerazioni politiche e si impegnano a lavorare con il nuovo Presidente e la sua Amministrazione per portare nuovo vigore all’economia e mantenere la sicurezza della Nazione. LA DETERRENZA In questo campo nessuna grande potenza può caratterizzarsi per una forte discontinuità. Le differenze saranno marginali. Oggi le relazioni strategiche tra Washington e Mosca non possono più essere descritte, come avveniva all’epoca della Guerra Fredda, secondo una logica rigorosamente binaria, che concepisca quali
uniche opzioni, reciprocamente alternative, l’integrazione o l’isolamento. Si assiste, al contrario, a dinamiche mutevoli, che testimoniano da un lato un cambiamento nella gestione della politica estera da parte dei due Paesi, in particolare della Russia, e dall’altro una rielaborazione dei concetti di sicurezza e stabilità strategica. Nonostante numerose analisi sottolineino un cambiamento sostanziale nell’orientamento della politica americana futura, in realtà alcune direttive strategiche resteranno immutate. Le strategie note come military transformation e integrated power degli anni Ottanta diventano le principali direttrici militari. Esse implicano che la protezione degli interessi nazionali e della sicurezza del popolo americano inizi al di là dei confini del Paese. Pertanto la triade militare (forze convenzionali aeree, navali e terrestri) in questo secolo dovrà essere sempre più integrata al suo interno e con le analoghe forze militari degli Alleati, essere flessibile e capace di «proiettarsi» a diverse migliaia di chilometri di distanza, come i recenti conflitti in Afghanistan e in Iraq hanno dimostrato. Si deve considerare che l’approccio unilaterale alla gestione della sicurezza, già a partire dalla prima metà degli anni Ottanta, è stato perseguito con iniziative e programmi come la SDI del 1983,
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Una pattuglia statunitense in Iraq.
l’approvazione del Cooperative Threat Reduction Program del 1992 che, dopo l’implosione sovietica, si propone di finanziare lo smantellamento delle armi di distruzione di massa sovietiche e di mettere in sicurezza le riserve di quelle biologiche, chimiche e nucleari; per arrivare poi alla riproposizione di un sistema antimissile nell’ambito della Ballistic Missile Defence System (BMDS), in via di spiegamento. Nel 2008 è iniziata la costruzione delle basi antimissilistiche in Europa, malgrado l’ostilità di Mosca. Anche sotto il Presidente Barak Hussein Obama proseguirà l’ammodernamento dell’arsenale nucleare statunitense, come ben definito dalla Nuclear Posture Review dell’8 gennaio 2002. Questa dottrina chiamava in causa una «nuova triade» che avrebbe integrato forze convenzionali e nucleari, sistemi convenzionali di lancio e armi di difesa missilistica, al fine di rispondere adeguatamente alle nuove esigenze di deterrenza. In relazione a quest’ultimo punto, è importante sottolineare, come questa visione sia concretamente affiancata da una continua ricerca di perfe-
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zionamento dell’arsenale e delle strategie belliche. Gli investimenti nella tecnologia militare hanno portato, tra l’altro, al miglioramento dei sistemi radar, della funzionalità dei missili e dell’equipaggiamento dei sottomarini. Studi tattici e aggiornamento del personale completano il quadro. Questi elementi contribuiscono a confermare, da parte statunitense, la volontà di ammodernare il loro deterrente e creare sistemi antimissile. È innegabile che la situazione è mutata anche per l’evoluzione delle tecnologie volte alla produzione di armamenti di distruzione di massa, di sistemi molto complessi di verifiche e monitoraggio e per il crescente rischio della proliferazione «orizzontale» delle armi nucleari verso altri Stati al momento non nucleari e verso gruppi terroristici. Tutto questo indica come la dissoluzione della logica dei due blocchi e l’evoluzione delle politiche estere delle maggiori potenze abbiano reso fluido il panorama politico strategico e indirizzato verso un approccio che consenta strumenti capaci di adattarsi alle condizioni variabili dello scenario internazionale. Ognuno si è concentrato sui rispettivi punti di forza per compensare le proprie vulnerabilità. Gli Stati Uniti rafforzeranno il loro arsena-
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le nucleare anche a fronte di una situazione economica in crisi. LE RELAZIONI INTERNAZIONALI Nell’attuale contesto, ha ancora un senso rapportarsi con gli altri interlocutori statuali secondo una logica di rapporti bilaterali? Questa sembra essere l’ottica nella quale si sono mossi gli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno dimostrato di privilegiare relazioni con i singoli Stati. Obama al contrario sembra prediligere rapporti multilaterali. Naturalmente, anche qui, vale quanto affermato dal suo predecessore Bill Clinton: multilateralisti quando è possibile, cioè quando si trovano alleati europei disposti a condividere costi e rischi, unilateralisti in caso contrario. Dunque, sicuramente, il nuovo brillante Presidente democratico suscita molte aspettative negli europei ma bisogna anche tener presente che egli pretenderà dagli alleati un contributo maggiore di quanto abbia mai fatto Bush. A cominciare da Afghanistan e Iran. Un tempo, i Presidenti americani erano molto più potenti di adesso e i nemici ben visibili. Il nuovo mondo multipolare non rientra nei semplici schemi della contrapposizione netta che abbiamo vissuto, per quanto qualcuno possa rimpiangere una simile chiarezza. Obama è nella direzione giusta ma esistono problemi strutturali nell’Alleanza che non si possono accantonare. Il dato positivo è che comunque con lui gli europei potranno concentrarsi su alcuni aspetti particolari a loro cari. Essi si aspettano un autentico multilateralismo che li coinvolga nei processi decisionali fin dal primo momento, tenendo conto delle loro preoccupazioni e dei loro obiettivi. Insomma il ripristino di un’autentica partnership multilaterale. Obama è certamente l’uomo giusto. I suoi appelli a una politica estera più multilaterale, in grado di far fronte a un mondo multipolare, sono stati oggetto di grande attenzione da parte dei media europei. La retorica del nuovo Presidente, proiettata nel futuro, fa certamente presa su di essi, ma quel che più conta è che egli promette all’Europa più voce in capitolo nei vertici in cui si decidono i comuni destini e più ascolto ed effettivo accoglimento, in qualche caso, delle proprie preoccupazioni. Occorre misurarsi, allora, con alcuni temi che rappresentano altrettanti momenti difficili nella ridefinizione dell’egemonia politico-economica degli Stati Uniti nel mondo. Il risultato elettorale, infatti, non cancella i mutamenti in atto; l’America li affronta con il pragmatismo e il profondo equilibrio interno del quale ha già dato prova il suo nuovo leader. Il suo compito è immane. Non più in primo piano i problemi militari (pur sempre pres-
santi), ma quelli relativi all’economia. In sostanza, la principale potenza mondiale, matrice delle principali innovazioni del secolo, deve recuperare la guida della globalizzazione, non più come dominio di un impero solitario ma come terreno di incontro/scontro di numerose nuove potenze che hanno dato vita a un mondo policentrico. Essere i più forti non significa anche essere, oggi, l’elemento dominante la vita economico-finanziaria del globo. La crisi accesa dagli attacchi di al Qaeda, ma esplosa lo scorso anno a causa della faciloneria con la quale il sistema bancario americano aveva finanziato la prosperità interna, lasciando che la crescita del debito pubblico finanziasse le spese delle guerre in Iraq e in Afghani-
Il Generale David Petraeus.
stan, non è una breve recessione ma una crisi di sistema. Essa esige risposte nazionali ma anche tali da venire incontro ai bisogni di un sistema economico mondiale nel quale gli Stati Uniti non possono più svolgere da soli il compito di supremi regolatori. Si ripropone il tema della centralità e della capacità di governare la vita economica e il mercato finanziario globali. Sotto questo profilo diviene sempre più chiaro che la globalizzazione esprime sino in fondo la portata dei cambiamenti che essa stessa ha provocato. Obama deve affrontare le grandi riforme interne inscritte nel suo programma tenendo conto delle condizioni nelle quali versa quest’ultima. Il policentrismo politico si misura con quello finanziario.
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Il Presidente, ansioso di mettere un freno alla modificato o snaturato, la struttura dell’intervento marcia della recessione ha varato un piano per la pubblico ha subito notevoli cambiamenti. ripresa economica promettendo quattro milioni di nuovi posti di lavoro nei primi due anni alla Casa AFGHANISTAN: UN NETTO CAMBIO DI STRATEGIA Bianca. Si basa su una serie di iniziative come il sostegno ai mutui per la casa, la riduzione delle tasse per i redditi medio-bassi, massicci investiLo spettro dell’Iraq sembra dominare un conflitmenti nell’economia verde (energie rinnovabili, rito che si è riacceso. E il Presidente vuole dargli una sparmi nei consumi), iniziative precedenza assoluta. tipo New Deal di manutenzione Scopo di questa strategia è Lo spettro dell’Iraq sembra consentire alle truppe Occidened espansione delle infrastrutture statunitensi, ovvero, strade, dominare un conflitto che si è tali appartenenti ad ISAF di ponti, gallerie, fogne, elettrifi- riacceso. E il Presidente vuole continuare a concentrare i procazione. Assunzioni massicce di dargli una precedenza asso- pri sforzi nelle province meriinsegnanti. Questo in un quadro luta dionali e orientali afghane, dodi notizie economiche disastrove infuria la guerriglia pashtun se per l’industria dell’auto con dei taliban e dei loro fianchegperdite record, conseguenti chiusure di impianti e giatori. Infatti, a tale stato di cose non debbono ondate di licenziamenti. certo essere rimaste estranee considerazioni conSe il piano dell’Amministrazione Bush, e in parnesse al delicato equilibrio dell’area. È interesse ticolare del Ministro del Tesoro Henry Paulson, per degli Stati Uniti e anche del vicino Iran evitare il il salvataggio finanziario delle banche non è stato rientro dell’Afghanistan nell’orbita di Islamabad e qualsiasi alterazione del quadro locale suscettibile di provocare a Kabul il ritorno al potere di forze legate all’estremismo deobandi e al mondo delle madrase pachistane. Per questo è giudicata indispensabile la stabilizzazione e la ricostruzione del Paese che gli Stati Uniti hanno intrapreso con i loro Alleati della NATO. La nuova strategia che la Casa Bianca ha messo a punto, sotto il diretto controllo del Generale David Petraeus, considerato l’uomo che ha fatto intravedere la luce nel tunnel della crisi irachena, è pronta e se ne conoscono già in parte, alcuni aspetti. È un piano regionale quello al centro dell’attenzione della nuova Amministrazione che comprende Pakistan, Afghanistan e Iran. La riedizione della strategia irachena, si basa sul coinvolgimento delle circa 400 tribù del Paese, di cui esiste già una mappatura, che forniranno milizie di sostegno alla guerra ai talebani. Saranno gli Stati Uniti a finanziarle e a decidere come far muovere queste pattuglie composte da 50 o 300 uomini. La vera differenza con la regia irachena, è però il maggior ruolo del Governo afghano che, almeno sulla carta, ne ha la direzione. Le tribal militias devono garantire sicurezza a livello di distretto e, soprattutto, a infrastrutture e reti viarie del Paese. Un aspetto fondamentale è quello di creare con le tribù e le forze locali dei gruppi di autodifesa, un rapporto che le leghi sempre al potere centrale, impedendo, di fatto, un’eccessiva autonomia. Un’altra idea del nuovo «inquilino» della Casa Bianca è l’aumento delle truppe americane in que-
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Il lancio di un missile intercontinentale «Minuteman III».
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Un sottomatino lanciamissili balistici, a propulsione nucleare, della classe «Ohio».
sto Paese. Dunque gli Stati Uniti riducono il numero delle Brigate attualmente impegnate in Iraq, e questo accade sei mesi prima di quanto fosse stato pianificato. La decisione giunge per i diminuiti episodi di violenza nel territorio. Il piano consente, in sostanza, di spostare una Brigata aerotrasportata, vale a dire 3 500-4 000 uomini che non saranno rimpiazzati, in Afghanistan. Una nuova, appartenente alla 10a Divisione, che avrebbe dovuto trasferirsi a Baghdad, è pianificato che venga dispiegata a Kabul. Il rafforzamento delle truppe è stato richiesto dai Comandanti statunitensi sul campo: almeno altre tre Brigate e un numero imprecisato di forze di supporto per fronteggiare la pesante situazione attuale. Vi è un degrado ulteriore delle condizioni di sicurezza nelle Province occidentali, specialmente tra Herat e Farah, cioè proprio dove opera il contingente italiano assegnato ad ISAF, e la debolezza dello schieramento militare atlantico sta inducendo gli americani e i loro alleati a deliberare significativi rinforzi. L’obiettivo è riuscire a contrastare il moltiplicarsi di attentati terroristici, in particolare quelli realizzati con ordigni improvvisati al margi-
ne delle strade, di cui aumenta anche la letalità, e contenere le consistenti infiltrazioni di miliziani talebani lungo i sentieri che si diramano nella regione. Dire se questa strategia basterà per vincere è prematuro, di certo la sua mancanza accrescerebbe certamente le probabilità di sconfitta, elevando i costi umani ed economici della partecipazione al conflitto verso livelli difficilmente sostenibili per molti Paesi della NATO. LA PROLIFERAZIONE NUCLEARE Gli Stati Uniti e la Russia riscontrano una notevole convergenza sulla creazione di un regime flessibile ma efficace di non proliferazione nucleare. Infatti, in questo contesto il confronto sulla sicurezza e sulle armi nucleari resta comunque un elemento di primo piano, costantemente oggetto di discussione: il ritiro degli Stati Uniti nel 2002 dall’Anti-Ballistic Missile Treaty, ufficialmente motivato con la necessità di far fronte alla nuova minaccia degli Stati «canaglia», è anch’esso apparso sintomatico del nuovo assetto delle relazioni fra Washington e Mosca. L’intento, infatti, non è più quello di confrontarsi in una logica bipolare di mutua dissuasione, quanto piuttosto di primeggiare sul piano globale nei vari settori.
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Obama con i suoi sostenitori durante la campagna elettorale.
Dunque, esistono anche aree di convergenza, come la ricerca di un regime globale di governo delle strutture nucleari, pilotata da Mosca e da Washington nell’ambito di due iniziative analoghe note come Global Nuclear Energy Partnership (GNEP) da parte americana e Global Nuclear Power Infrastructure (GNPI) da parte russa, entrambe degli inizi del 2006. Un elemento comune a entrambe è la proposta di costituire un regime internazionale per la gestione e il ciclo del combustibile nucleare. Con l’adozione dei conseguenti meccanismi di mercato e di salvaguardia ad hoc da parte dell’AIEA. L’intento è di consentire ai Paesi privi di tecnologia proliferante un accesso non discriminante alle riserve di combustibile nucleare, scongiurando così l’eventualità che essi tentino di dotarsi di capacità autonome in questo settore, con i rischi derivanti dal dual use. È opportuno ricordare che sia gli Stati Uniti che la Russia ricoprono oggi un ruolo fondamentale in questo settore.
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L’idea di un accesso non discriminante all’energia nucleare, con l’obiettivo di evitare la proliferazione, affonda le proprie radici addirittura nel Piano Baruch (dal nome del diplomatico statunitense Bernard Baruch) del 1946, che prevedeva per la prima volta nella storia un approccio multilaterale al ciclo del combustibile, con la creazione dell’Autorità Internazionale per lo Sviluppo Atomico. Ad essa sarebbero state affidate tutte le fasi dello sviluppo e dell’utilizzo dell’energia nucleare, per esercitare un controllo tecnico su tutte le attività riguardanti l’energia atomica, potenzialmente pericolose per la sicurezza mondiale. L’imminente scoppio della Guerra Fredda ne impedì una qualsiasi applicazione pratica e benché la medesima finalità animasse la nascita nel 1955 dell’iniziativa «Atomo per la Pace» voluta dal Presidente Eisenhower e dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), si dovette, attendere il test nucleare indiano del 1974 perché l’argomento tornasse nell’agenda politica dei Paesi possibili fornitori. Tuttavia la mancanza di cooperazione tra questi, perplessi circa l’urgenza di tali iniziative e restii ad accettare un controllo sulle strutture deputate al ciclo del combustibile e la
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condivisione della tecnologia, condussero di nuosidente vuole dare nuovo impulso alle trattative, vo a un nulla di fatto. includendo in esse la proliferazione. Dal 2004 si sono succedute varie iniziative dell’AIEA per riaprire la discussione, concentranCONCLUSIONI dosi sui cosiddetti Approcci Nucleari Multilaterali, una sorta di joint ventures fra Stati fornitori e Stati riceventi, simili a centri nucleari internazioL’elezione di Obama è storicamente significativa nali del ciclo del combustibile. L’obiettivo è di sotto vari aspetti ancora da valutare. realizzare operazioni col minore trasferimento Via via che le elezioni si avvicinavano, è cresciupossibile di know-how tecnologico agli Stati rita l’attenzione nei confronti della sua persona: la ceventi. sua sobrietà, la determinazione, la capacità di non Anche se il primo scambio verbale tra le autoperdere la calma, il suo modo di mantenere una rità iraniane e il Presidente-eletto degli Stati certa posizione di equilibrio di fronte ad attacchi Uniti non è incoraggiante, e se è prematuro deperniciosi e alla retorica politica, la sua promessa finire le loro future relazioni, è questa la direziodi ricostruire una nuova visione della nazione che ne che si cerca di percorrere per prevenire il nuvada oltre il presente. cleare iraniano che, comunque, tuttora riveste Senza dubbio il suo successo avrà effetti signifimolte incognite tecnologiche. Obama ha parlato cativi sul corso economico del Paese, e sembra radi armi nucleari, non genericamente di «nucleagionevole supporre che vedremo, quindi, una re» e neppure di arricchimento dell’uranio (che nuova logica di regolazione che somiglia alle forl’Iran fa, a quanto dichiara, a fini civili): che il me del welfare europeo. In politica estera, la scelriarmo atomico sarebbe inaccettabile è ovvio. ta della Senatrice Hillary Clinton al Dipartimento di Anche le repliche iraniane sono Stato, rappresenta una reale in fondo ovvie: «non subiremo svolta. Infatti, fin dalla sua noObama offre all’America mina, ha messo in chiaro, che pressioni» è ciò che ripetono a ogni occasione, in particolare una nuova e forte politica desidera per il proprio Dicasteda quando il Consiglio di Sicu- estera, solida, intelligente e ro maggiori poteri, budgets più rezza dell’ONU ha iniziato ad capace di far avanzare i sostanziosi, inviati speciali di approvare sanzioni finanziarie profilo da mandare nelle suoi interessi nel mondo. Il alto nei loro confronti. L’Iran soaree di crisi e un maggiore ruostiene il suo diritto, in quanto suo approccio alle questio - lo anche nei negoziati econoaderente al Trattato di non n i i n t e r n a z i o n a l i n o n è mici internazionali, cruciali in Proliferazione Nucleare (TNP), ideologico ma pragmatico e questo momento di crisi globaad acquisire tale tecnologia a realista... le. Ciò vuol dire che si rafforza fini civili. il ruolo e i mezzi della diploComunque, il Presidente iramazia, esempio di un rinnovaniano Mahmoud Ahmadinejad si è congratulato mento delle relazioni mulilaterali. Inoltre, vi sarà con Obama per la sua elezione. In merito a ciò, il un trend generalmente più liberal sulle questioni neo eletto Presidente si è riservato di rispondere sociali. Il Presidente dovrà agire rapidamente e be«nel modo appropriato». Dunque l’annosa quene. L’unico modo è assumere iniziative importanti stione va inserita in un disegno più vasto che entro i primi mesi di Presidenza. Gli americani si comprende la Russia e l’America e nel quale Teaspettano una serie di azioni concrete che inizino a ribaltare la pesante situazione economica. Se ciò heran chiede garanzie regionali ben precise. Dunon avvenisse la delusione sarebbe drammatica. rante la sua campagna elettorale Obama ha critiEgli offre all’America una nuova e forte politica cato l’Amministrazione Bush per non aver spinto estera, solida, intelligente e capace di far avanzadi più sulla diplomazia e sull’engagement (impegno, cioè dialogo politico) nei confronti dell’Iran. re i suoi interessi nel mondo. Il suo approccio alle Ha perfino detto di essere pronto a incontrare il questioni internazionali non è ideologico ma pragPresidente Ahmadinejad, se sarà utile nell’ambimatico e realista, attento a valutare caso per caso, to di un dialogo politico con l’Iran. Sarebbe una pronto ad ascoltare i consigli degli alleati e a consvolta nelle relazioni bilaterali interrotte nel frontarsi diplomaticamente con i nemici. La sensa1980, anche se in più occasioni dopo l’11 setzione è che la ragionevolezza di questo approccio tembre ci sono stati contatti diretti tra i due Paefaccia presa in questo momento storico ed esprisi. Del resto ci sono indicazioni che gli Stati Unima il messaggio di cambiamento e di novità alla ti potrebbero presto aprire una loro rappresenbase della sua vittoria. tanza e americani e iraniani discutono da un paAntonio Ciabattini Leonardi io di anni gli assetti geopolitici del Golfo e la stabilizzazione dell’Iraq. Sicuramente il nuovo PreEsperto di Geostrategia
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«EAGLE TOUR 08» INSEGNAMENTI DA UNO STUDIO DI STORIA MILITARE
«EAGLE TOUR 08» INSEGNAMENTI DA UNO STUDIO DI STORIA MILITARE L’esercitazione condotta dal 12 al 16 maggio 2008 dal Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO, di Solbiate Olona, ha avuto come oggetto la battaglia di Creta del 1941. Dalle battaglie del passato nascono utili ammaestramenti per affrontare adeguatamente le sfide future.
I responsabili dell’addestramento nell’ambito degli Eserciti della NATO sono ben consci della difficoltà di addestrare i Quadri Ufficiali, specie se di grado elevato e di prolungata esperienza. Il compito, infatti, non è semplicemente l’addestramento ma, più propriamente, l’educazione e la formazione delle menti e delle personalità. I leader militari devono essere in grado di analizzare situazioni complesse disponendo di informazioni normalmente incomplete e in un quadro di incertezza elevato, saper afferrare l’essenza di un problema, prendere velocemente decisioni appropriate, assumere l’iniziativa e mantenerla nei confronti di un avversario che sta cercando di fare esattamente lo stesso per recarci danno. Quale importanza abbia lo studio della Storia militare, delle campagne e delle battaglie del passato nell’educazione e nella formazione professionale degli Ufficiali, è cosa universalmente riconosciuta. Il motivo è evidente: un Ufficiale attualmente trascorre in servizio attivo circa 40 anni di vita. Di questi, in media, non più di 2-3 anni sono trascorsi in operazioni (sommando periodi passati in missione nel corso della carriera e, quindi, normalmente non continuativi). Questo dato poi non copre la totalità dei soggetti, dal momento che non vale per tutti gli Ufficiali. Ma anche tra coloro che hanno partecipato a operazioni, il numero di Ufficiali impegnati nel Comando di unità, si riduce ulteriormente. Se poi, nell’ambito di questo gruppo più ristretto, si esaminasse il numero di giorni passato in combattimento, si scenderebbe a non A destra. I Fallchirmjager prendono terra. In apertura. Il decollo di uno Ju-52.
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più di qualche episodio per uno sparuto gruppo di Ufficiali. In sostanza, su quaranta anni di servizio, un Ufficiale sui cinquanta «rischia» di comandare il proprio reparto in combattimento una sola volta, al massimo due. Appare, quindi, necessario studiare le decisioni prese da altri che si sono trovati a combattere, se si vuole sviluppare almeno una capacità di base. Lo studio delle campagne e delle battaglie, tutta-
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via, non dovrebbe essere condotto per ricercare La baia di Suda vista da Nord. A destra il porto omonimo. l’esattezza della posizione delle unità sul terreno, dal momento che questo ha veramente scarso valoLa EA08 è stata concepita per addestrare gli Ufre: «quelli che credono che la precisione sia veramente importante, non hanno mai conosciuto cosa ficiali in posizioni dirigenziali del Comando e sia la guerra o devono averlo dimenticato (...). Poiché coinvolgerli nello studio degli aspetti di livello il risultato di qualsiasi scontro non è deciso dalla operativo della battaglia di Creta (Operazione reale situazione sul terreno, ma dalla comprensione «Merkur»), combattuta tra tedeschi e Alleati nella di essa nella mente dei Comandanti rivali» (1). Inolprimavera del 1941, per prepararli per la condotta tre lo studio deve essere condotdi operazioni su vasta scala ed to per trarre utili lezioni riportate educarli al processo decisionaalle condizioni attuali e per sviLa scelta dell’invasione teLo studio delle campagne e le. luppare l’abilità degli Ufficiali nel desca di Creta è stata determirisolvere problemi in modo auto- delle battaglie .... deve esse- nata dalla considerazione che nomo e originale. A tale scopo, re condotto per trarre utili le- essa rimane una pietra miliare sono stati sviluppati in ambito zioni riportate alle condizioni nella storia delle operazioni NATO tre tipi differenti di eserci- attuali e per sviluppare l’abi- aviotrasportate. Fino ad allora, tazioni, il «Battlefield tour», lo lità degli Ufficiali nel risolvere quest’ultime erano state piani«Staff ride» e la «Tactical Exercise problemi in modo autonomo ficate e condotte in ruolo tattico per occupare obiettivi seleWithout Troops» (TEWT) (2). zionati e particolarmente paNel periodo dal 12 al 16 Mag- e originale. ganti prima del ricongiungigio 2008, il Corpo d’Armata di mento con le forze terrestri. Reazione Rapida della NATO L’operazione rimane la sola nella storia in cui un (NRDC-ITA) di Solbiate Olona, ha condotto l’eserobiettivo di rilevanza strategica sia stato assaltato citazione «Eagle Tour 08» (EA08) avente come tee conquistato da forze aviotrasportate. ma lo studio della battaglia di Creta del 1941. L’attività ha seguito le precedenti svoltesi a Marengo (2003), in Normandia (2004), in Sicilia ATTIVITÀ ADDESTRATIVA (2005) e nelle Ardenne nel 2007. Nel 2006 la Eagle Tour non si è svolta a causa del rischieramenPer le esercitazioni di questo tipo, normalmente to del Comando in Afghanistan quale ISAF VIII.
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BATTLEFIELD TOUR, STAFF RIDE E TACTICAL EXERCISE WITHOUT TROOPS: UNA BREVE ANALISI I termini «Battlefield tour, Staff ride e Tactical Exercise Without Troops (TEWT) sono spesso confusi e considerati come intercambiabili. In realtà ognuno dei tre individua attività simili ma non identiche, avendo diverso svolgimento e finalità. Il «Battlefield tour» ha lo scopo di visitare un campo di battaglia del passato e rievocare, a grandi linee, gli avvenimenti storici che vi accaddero. Una specifica preparazione per un’attività del genere è più l’eccezione che la norma e l’attività non va oltre il racconto dei fatti e la visione del terreno. Lo «Staff ride», invece, è una attività più strutturata che, partendo dai fatti storici, si addentra in un’analisi delle operazioni attagliata al livello dell’uditorio e finalizzata a obiettivi addestrativi prefissi. Nato circa due secoli fa nel quadro delle attività condotte dagli Ufficiali dello Stato Maggiore prussiano e condotto mediante escursioni a cavallo, da cui il nome, su campi di battaglia storici, esso può essere definito come lo studio sistematico di una campagna militare, corredato da una visita particolareggiata ai luoghi teatro di specifici episodi, allo scopo di giungere ad un complesso di lezioni apprese. Lo «Staff ride» si articola in tre fasi distinte: lo studio preliminare da parte dei partecipanti; analisi del terreno, dei fatti e dei personaggi, la condotta della visita ai luoghi e una discussione finale per giungere a conclusioni e lezioni apprese. Infine, la TEWT comprende uno scenario ipotetico «giocato» su un terreno storico, con forze, mezzi e procedimenti d’impiego attuali. A parte la scelta del terreno, la TEWT ha pochissimi punti di contatto con l’evento storico e utilizza in gran parte il terreno, piuttosto che la combinazione di storia e terreno. Essa inoltre si basa su una serie di attività preparatorie più complesse quali l’approntamento di studi monografici, ordini di operazione e altra documentazione che consenta agli Ufficiali esercitati di rispondere alle situazioni che saranno sottoposte alla loro attenzione da parte della Direzione di esercitazione.
il Comando di NRDC-ITA si avvale di uno storico per il corretto inquadramento degli eventi, per fornire ai frequentatori una serie di lezioni introduttive e per aiutare il personale esercitato a trarre lezioni sulla natura del Comando e della leadership in operazioni. Lo storico che ha accompagnato il Comando è stato il Prof. David Hall del «King’s College» di Londra. La presenza di esperti civili, oltre ad assicurare la correttezza della prospettiva storica, rende l’attività significativa anche dal punto di vista dello scambio di esperienze tra il mondo militare e quello accademico. Gli obiettivi addestrativi dell’esercitazione sono, tuttavia, stati rivisti allo scopo di migliorare la capacità dei Key Leaders del Comando di comprendere l’essenza del fenomeno guerra a livello strategico, operativo e tattico. Iniziato come «BattleL'incrociatore britannico York, colpito ed immobilizzato dai barchini della Regia Marina viene bombardato dagli Ju 88 tedeschi nella baia di Suda a Creta nel maggio 1941.
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field tour» nel senso stretto, a Marengo, in Normandia e in Sicilia, l’approccio alla specifica attività si è modificato nel tempo evolvendosi verso forme maggiormente complesse, divenendo dapprima uno «Staff ride», che fornisce la possibilità di discutere temi selezionati al livello strategico/operativo, e successivamente e più recentemente un’ esercitazione comprendente tutti i caratteri delle summenzionate attività in una «Tactical Exercise Without Troops». La battaglia di Creta è stata anche scelta nella considerazione che NRDC-ITA ha, tra le proprie priorità a lungo termine, quella di sviluppare una mentalità «expeditionary». Inoltre, il Comando ha da poco concluso la propria turnazione nella fase attiva quale NATO Response Force (NRF), che ha partecipato alle fasi di pianificazione e condotta di un’operazione combined e joint nel ciclo addestrativo di NRF e, infine, poichè il tema addestrativo principale per il 2008 è la capacità di operare quale Land Component Command (LCC) in un ambiente Joint. La scelta di Creta è stata motivata anche da un’altra ragione: l’invasione del 1941 costituisce un esempio unico di impiego di forze aeree e aviotrasportate teso a conseguire un successo operativo; una combinazione nell’uso di un poderoso potere aereo e di una componente terrestre leggera che ricorda la metodologia «Shock and Awe» impiegata in Iraq nel 2003, anche se in un contesto molto differente. È, inoltre, una battaglia nella quale vengono a confronto due diversi approcci nella condotta delle operazioni. Dal lato tedesco troviamo un Esercito estremamente fiducioso nelle proprie possibilità, equipaggiato con quanto di meglio esistente al momento, fortemente convinto, e forse anche inebriato dalle possibilità offerte da nuovi procedimenti tattici e
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da nuove tecnologie. Dal lato opposto, quello alleato, troviamo un Esercito addestrato e comandato in modo più tradizionale, uso a operare secondo procedure datate e afflitto da significative carenze in equipaggiamenti pesanti (carri, artiglierie e veicoli). Il confronto con recenti esperienze operative può essere fonte di interessanti paragoni.
Il Porto di Suda ripreso dalla direzione di provenienza dei barchini esplosivi del Tenente di Vascello Faggioni.
campo di battaglia è un aspetto determinante per l’esito della battaglia. Discutere questo assunto tenendo in considerazione l’opera dei principali Comandanti Alleati e dell’Asse nella battaglia di Creta del 1941 e facendo riferimenL’ORGANIZZAZIONE to alle operazioni interforze e multinazionali attuali»; L’esercitazione è stata pianificata e condotta in • tema 2 - «Con il ripiegamento dalla collina di q. due fasi: una preliminare in sede e una esecutiva a 107 e dall’aerocampo di Maleme, il Tenente CoCreta. lonnello Andrews consegnò ai La fase preliminare, durata tedeschi l’ultima possibilità riL’Esercito Tedesco era ... masta di trasformare l’incerta due giorni e svoltasi a Solbiate Olona, ha avuto lo scopo di for- e s t r e m a m e n t e fiducioso testa di sbarco conquistata in nire ai partecipanti il necessario n e l l e p r o p r i e p o s s i b i l i t à ; una solida testa di ponte atta a i rinforzi necessari a bagaglio di nozioni storiche e equipaggiato con con quan- ricevere sfruttare il successo. È forse geografiche per capire il contesto e analizzare lo scenario del- to di meglio esistente al questo un tipico fallimento nel conseguimento dell’intento del la fase TEWT. Nel secondo gior- momento ... Comandante? Quanto è imporno, inoltre, è stata condotta tante? È la corretta applicazione del comando un’analisi dell’operazione dai punti di vista delle aderente all’intento per conseguire il successo tre diverse componenti (terrestre, marittima, aenelle operazioni presenti e future?»; rea) e interforze. Al termine, i partecipanti, divisi in • tema 3 - «La sconfitta delle forze britanniche, gruppi di lavoro, hanno ricevuto i seguenti temi di del Commonwealth e greche a Creta nel maggio approfondimento e discussione per il livello di LCC, nel quadro di una operazione joint: del 1941 è stata l’inevitabile conseguenza dello • tema 1 - «La posizione del Comandante sul scontro tra un Esercito mediocremente equipag-
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Un Cannone contraereo inglese da 40/56 all’ingresso del Sacrario Militare Tedesco di Maleme.
giato, mal comandato e impegnato al di là delle proprie possibilità, e un nemico altamente motivato e guidato da Capi aggressivi fino alla temerarietà. Quanto concordate con questa affermazione e quali possono essere le implicazioni per il futuro?». La fase di condotta a Creta è stata incentrata sulla visita ai luoghi teatro degli scontri nella Baia di Suda, a Maleme e Canea, aree dove ebbero luogo i combattimenti iniziali e dove, alla fine, l’esito della battaglia fu deciso. Oltre a ciò i partecipanti hanno preso parte a lezioni teoriche su specifici aspetti, attività nei gruppi di lavoro, e studi di risoluzione di problemi operativi in uno scenario basato sul terreno storico ma con forze attuali. Anche la condotta ha visto la partecipazione dello storico in veste di mentore dei gruppi di lavoro sugli aspetti maggiormente attinenti ai quesiti sopra citati. La baia di Suda è stata scelta per una serie di ragioni. In primo luogo è uno dei punti più importanti, dal punto di vista militare, dell’intera isola, per la sua vicinanza all’aeroporto di Maleme e al porto di Suda, il più grande e importante approdo naturale. Essa fu anche la sede del Comando della CREFORCE, agli ordini del Generale neozelandese Bernard Freyberg.
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La baia poi venne utilizzata come punto d’ingresso principale per le truppe del Commonwealth che affluirono sull’isola dopo la ritirata dalla penisola ellenica e fu anche il teatro dell’attacco condotto dagli incursori della Regia Marina contro le forze navali alleate. Il 26 marzo 1941, infatti, un piccolo distaccamento della «Decima Flottiglia Mas» con sei barchini esplosivi guidati dal Tenente di Vascello Luigi Faggioni attaccarono e danneggiarono pesantemente l’Incrociatore inglese «York» e affondarono la petroliera greca «Pericles» (3). Questa fu una delle più belle pagine scritte dalla Marina Militare Italiana nella Seconda guerra mondiale, un’azione che illustra chiaramente il differente approccio della Marina italiana rispetto a quella britannica. La Royal Navy, in effetti, riuscì a imporre la sua superiorità sulla Regia Marina in gran parte degli scontri. Le battaglie di Punta Stilo nel luglio 1940, l’attacco alla base navale di Taranto nel novembre dello stesso anno e la battaglia di Capo Matapan del 28 marzo 1941 furono tre esempi della superiorità britannica nel combattimento navale convenzionale. Dall’altro lato gli italiani, molto cauti nell’ingaggiare battaglia con la flotta, furono capaci di sviluppare tattiche asimmetriche molto efficaci che causarono ai britannici non poche preoccupazioni. Queste tattiche dimostrarono la loro efficacia anche recentemente, quando ad esempio Al Qaida danneggiò seriamente la USS «Cole» nel porto di Aden il 12 ottobre del 2000.
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L’aerocampo di Maleme preso da q. 107. L’illustrazione dell’azione degli incursori italiani a Suda è stata condotta a bordo di un’unità della Marina greca che ha consentito ai partecipanti di cipale sarebbe dovuta arrivare dal mare e non aupoter osservare la baia dalla stessa prospettiva detorizzò alcun contrattacco per distruggere gli angli attaccanti. cora disorganizzati invasori. Il 21 e il 22 maggio, La seconda ricognizione è stata effettuata a Mal’operazione di ricongiungimento con le forze traleme, sulla quota 107, una modesta altura che dosportate via mare venne frustrata dall’azione della mina l’aerocampo e che fu uno dei punti decisivi Royal Navy che intercettò e disperse due convogli nei combattimenti del 20 maggio 1941. navali scortati da due navi da guerra italiane. Come è noto, Maleme fu uno dei punti di atterEntrambi i convogli, tuttavia, riuscirono a ragraggio dei «Fallschirmjaeger». I tedeschi avevano giungere la penisola ellenica e la maggior parte già guadagnato la superiorità aerea prima degli delle truppe venne poi nuovaaviosbarchi e la Luftwaffe dimente aerotrasportata a Creta. sponeva del dominio dell’aria. Poichè le zone di atterraggio I tedeschi avevano già In entrambi i casi, la Torpedivennero scelte molto vicine ai guadagnato la superiorità niera «Lupo», agli ordini del Tedi Vascello Mimbelli, e il luoghi dove erano schierate le aerea prima degli aviosbar - nente Cacciatorpediniere «Sagittario», truppe alleate, le prime ondate attaccanti soffrirono perdite chi e la Luftwaffe disponeva comandato dal Tenente di Vascello Cigala Fulgosi, protessepesanti, anche perché i para- del dominio dell’aria. ro con successo insieme alla cadutisti furono lanciati senza armi individuali a causa delle Luftwaffe le truppe della 5a Dilimitazioni di spazio all’interno delle fusoliere visione da montagna, imbarcate su un gran numedegli JU52 (4). Molti di essi caddero nel tentatiro di pescherecci, dagli attacchi delle unità navali vo di raggiungere i contenitori con le armi che britanniche superiori per numero e armamento (6). erano stati lanciati separatamente. Anche i Comandanti ai minori livelli tedeschi dimoLa sera del 20 maggio i tedeschi non erano riustrarono ottime doti d’iniziativa, leadership e cosciti a prendere nessuno degli obiettivi iniziali e il raggio quando dovettero rimpiazzare gli Ufficiali Generale Student (5) si trovava in grandi difficoltà. caduti nelle prime ore dell’attacco dei paracaduti«Dall’altra parte della collina» il Generale Freyberg, sti, e riuscirono comunque a prendere il controllo era ancora convinto che la forza di invasione prindel ponte di Tavronitis e a fermare un contrattacco
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statica contro un avversario agile e manovriero è sempre un approccio perdente. Questa è una lezione ricorrente che può essere osservata studiando la campagna di Francia nel maggio1940 o quella in Nord Africa nel dicembre 1940 quando il dei neozelandesi appoggiati da pochi carri leggeri. Generale Graziani fu sgominato dai britannici o, Nelle stesse ore a Maleme, il Tenente Colonnelappunto, a Creta. lo Andrews, il Comandante del battaglione neoMa se Freyberg stava ancora attendendo l’invazelandese che presidiava la quota 107, decise di sione dal mare, Student e Ringel (7) si adattarono abbandonare la posizione che, una volta occupavelocemente alla situazione e cambiarono il piano ta dai tedeschi, consentì a questi ultimi, di imoriginale muovendo lo «schwerpunkt» su Maleme. mettere la 5a Divisione da montagna con un ponIl Generale Von Richtofen, il Comandante operatite aereo. Il punto di svolta delvo della Luftwaffe fu anch’egli la battaglia era ormai stato capace di assicurare il ponte raggiunto. Una mentalità statica con- aereo che consentì ai tedeschi Fiumi di inchiostro sono stati aumentare rapidamente la tro un avversario agile e ma- di versati sulla decisione di Anloro capacità offensiva. drews, e l’operato di questo novriero è sempre un apL’ultima località visitata è stasfortunato Ufficiale, decorato di proccio perdente. ta la collina del Cimitero a sud Victoria Cross nella Prima guerdell’abitato di Canea, dove vi è ra mondiale, fu pesantemente la possibilità di osservare la cocriticato. Alla fine del nostro studio siamo giunti siddetta «Valle della prigione». Quest’area costialla conclusione che la responsabilità del fallituiva un’altra delle zone di lancio e di atterraggio mento risiede più nella decisione di imperniare la dei paracadutisti e degli alianti tedeschi. Lo studio difesa di Creta su una serie di posizioni difensive delle carte e delle foto aeree prima dell’invasione statiche, che nelle prestazioni di questo o quel trasse evidentemente in inganno i pianificatori Comandante. della Luftwaffe perché, anziché su un pianoro, i In campo alleato, in realtà, non c’era nessun piatedeschi atterrarono in un’ampia vallata circondano su come reagire a un attacco. Una mentalità ta da dolci quote occupate da capisaldi nemici teLo storico che ha accompagnato il Comando spiega ai partecipanti lo svolgimento dei combattimenti del 20 maggio 1941 a Maleme.
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nuti da truppe greche e neozelandesi. Anche in questo caso l’atteggiamento passivo e attendista dei Comandanti alleati consentì a quelli tedeschi di superare le prime ore critiche. La 7a Divisione paracadutisti si trovò senza il Comandante, Generale Suessmann, perito per la caduta dell’aliante su cui viaggiava, ma i Comandanti di reggimento e battaglione colà atterrati, il Colonnello Heidrich e il Capitano Von der Heydte, pur nell’assenza di direttive si diedero rapidamente da fare per riorganizzare le proprie forze, disperse dopo l’aviolancio. La loro azione, lasciata inspiegabilmente indisturbata, permise ai tedeschi di ricostituire unità pronte a riprendere l’offensiva non appena il ricongiungimento con le truppe provenienti da Maleme venne effettuato con successo. In quest’ultima località vennero esaminate anche le operazioni che conclusero la campagna, ossia il ripiegamento verso la costa meridionale dell’isola, il salvataggio e l’evacuazione condotta dalla Royal Navy, operazione che ebbe successo malgrado le gravi perdite subite. Perdite che non impedirono alla Mediterranean Fleet di conseguire l’obiettivo strategico di salvare le unità rimanenti della CREFORCE e di dimostrare la volontà di contribuire, rischiando navi ed equipaggi, al successo finale e la sua reputazione di credibilità. Si può al riguardo ricordare l’osservazione con la quale il Comandante della Mediterranean Fleet, Ammiraglio A. B.
Il Ponte di Tavronitis, a ovest dell’aerocampo di Maleme, ferocemente conteso tra i paracadutisti tedeschi e i fanti neozelandesi.
Cunningham, troncò la discussione sull’opportunità di procedere a un’evacuazione che si preannunciava oltremodo pericolosa: «Ci vogliono tre anni per costruire una nave, ma ne occorrono trecento per costruire una tradizione». Dall’altro lato, la Marina Italiana non uscì in mare per «finire il lavoro» ancorché la Luftwaffe garantisse una robusta copertura aerea. Un’opportunità davvero gettata al vento. Infine, l’invasione di Creta fu l’ultima delle operazioni su vasta scala delle aviotruppe tedesche. Il concorso germanico alla pianificata invasione di Malta, (Esigenza C3) nel luglio 1942, non fu approvato da Hitler, ancora impressionato dal numero di perdite subite a Creta, e la rinuncia a detta operazione ebbe conseguenze catastrofiche sugli esiti della guerra in Nord Africa e nel Mediterraneo. L’ultimo giorno è stato dedicato alla Tactical Exercise Without Troops, che prendeva spunto da uno scenario fittizio basato su un’isola di Creta ribattezzata Middle Island e posta al largo della costa italiana, alla stessa distanza che separa Creta dalla Grecia continentale.
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Il Monumento che ricorda i caduti a Cemetery Hill.
Questa parte dell’esercitazione, anche se utile in teoria, ha dimostrato di essere meno valida per l’addestramento degli Ufficiali di uno Staff di livello Corpo d’Armata.
Lo scenario prevedeva l’intervento dell’Alleanza Atlantica e delle Forze NATO come Initial Entry Force per ristabilire l’integrità territoriale di uno CONSIDERAZIONI FINALI Stato membro dell’Alleanza minacciato da un invasore esterno. Gli Ufficiali partecipanti hanno affrontato lo La battaglia di Creta fornisce un eccellente studio di tre situazioni a livello tattico e hanno esempio di studio sul peso delle implicazioni di tidovuto dare risposta a specifipo interforze in uno scontro ci quesiti relativi a ciascuna di convenzionale. Essa, quindi, esse. L’esame delle situazioni La battaglia di Creta forni- appare particolarmente indicaposte all’attenzione del perso- sce un eccellente esempio di ta per promuovere una mentanale esercitato è stato complelità joint in un Comando a prestudio sul peso delle implica- dominanza to e le conclusioni approfondiland. te e centrate. Tuttavia, un am- zioni di tipo interforze in uno Inoltre, ritornando agli maestramento sorto da questa scontro convenzionale obiettivi dei nostri studi, posparte dell’attività è che il livelsono essere identificate alculo di Land Component Comne importanti lezioni che si mand appare così elevato da rendere lo studio riassumono brevemente. possibile sulla carta senza che vi sia una vera Per prima cosa, la comprensione del tipo di necessità di andare sul terreno. Il terreno, inveguerra nel quale si sarà chiamati ad operare è di ce, assume molta più importanza qualora la fondamentale importanza. «Il primo, e in pari temTEWT sia tenuta a livello di battaglione-Brigata. po il più considerevole e decisivo, atto di razioci-
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Il Sacrario Militare del Commonwealth a Suda.
«Merkur» e il suo esito positivo malgrado le perdite non debbono far dimenticare che l’invasione di Creta fu un vicolo cieco. Non vi fu, infatti, alcun piano per sfruttare il successo ed esso non venne trasformato in qualcosa che potesse avere un effetto strategico nella guerra nel Mediterraneo. Al contrario, il duro trattamento inflitto alla popolazione insieme alla mancanza di qualsiasi piano di miglioramento delle condizioni di vita della medesima, costrinse le forze dell’Asse occupanti a mantenere sull’isola una robusta guarnigione per contrastare la guerriglia locale. Lungi dal divenire una piattaforma offensiva, Creta si rivelò un ulteriore grattacapo che drenava risorse senza essere mai stabilizzata. Molte delle lezioni qui sopra esposte possono essere facilmente trasportate nelle operazioni attuali e nella realtà del XXI secolo, se solo guardassimo alle battaglie del passato con la volontà di trovare la strategia appropriata per le sfide del futuro.
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nio esercitato dall’uomo di Stato e condottiero, consiste nel giudicare sanamente, sotto questo punto di vista, la Guerra che egli sta per intraprendere, anzichè valutarla o volerla valutare per ciò che non può essere secondo la natura delle cose. Questa è pertanto la prima e la più complessa di tutte le questioni strategiche» (8). Freyberg certamente non fu in uno dei momenti professionalmente più felici della sua carriera nell’immaginare quali potessero essere le mosse dei suoi avversari e quale tipo di scontro si sarebbe trovato a combattere. Una volta che la battaglia ebbe inizio, quello dei contendenti che si dimostrò più flessibile e adattabile riuscì ad assicurarsi la vittoria malgrado gli errori commessi. In effetti, i Comandanti della Luftwaffe erano così «intossicati» dalle opportunità che le nuove tecnologie potevano offrire da dimenticare che una forza di dimensioni contenute può raggiungere il successo solo se tutto va secondo i piani. Ma in guerra le situazioni impreviste sono la normalità e solo un nemico statico e poco reattivo diede loro la possibilità di rimettere nei giusti binari un’operazione che la sera del 20 maggio sembrava gravemente compromessa e a rischio di un clamoroso fallimento. Creta vide anche numerosi esempi di guerra asimmetrica quali l’impiego di mezzi d’assalto navali e l’uso intensivo del potere aereo per infliggere perdite significative alle forze navali. Qualcosa che nella primavera del 1941 era inimmaginabile per i più. Tuttavia la temeraria condotta dell’operazione
Luigi Paolo Scollo Generale di Brigata, Comandante della Brigata «Garibaldi», già Sottocapo di SM per la Dottrina e l’Addestramento presso NRDC-ITA NOTE
(1) B. H. Liddell Hart «Sherman, Soldier, Realist, American», Da Capo Press, 1994, pag. XIV. (2) Per una completa analisi delle differenze rimanda all’articolo del Gen. B. R.A.M.S. Melvin: Contemporary Battlefield Tours and staff Rides: A military practitioner’s view apparso su «Defence Studies», vol. 5 n.1, marzo 2005, pag. 60 e 6. Una definizione è stata tentata nella scheda che correda l’articolo. (3) Jack Greene e Alessandro Massignani: «Il principe Nero», Mondadori, 2007, pag. 82 e 83; Junio Valerio Borghese: «Decima Flottiglia Mas», AES, 2005, pag. 91-106. (4) Hanson Baldwin: «Battaglie vinte e perdute», vol. 2, Mondadori, pag. 145. (5) General Major Kurt Student, Comandante del Fliegerkorps XI. (6) Ad esempio nel testo di Peter Antill: «Crete 1941 Germany’s lightining airborne assault», Osprey, 2005, pag. 62, le perdite inflitte al convoglio del 21 maggio, scortato dalla RN «Lupo», sono di molto gonfiate e l’azione della RN «Sagittario» non è neppure menzionata. Nello studio di Baldwin, op. cit. pag. 160 e 161, le azioni della «Lupo» e della «Sagittario» sono molto più correttamente riportate. (7) General Major Julius Ringel, Comandante la 7a Divisione da Montagna. (8) Karl von Clausewitz: «Della Guerra», trad. di Ambrogio Bollati ed Emilio Canevari, vol. 1 libro 1 Dell’essenza della guerra, Ed. Oscar Mondadori, 1970, pag. 40.
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IL RUOLO DEL NATO ADVISORY TEAM IN BOSNIA-H HERZEGOVINA
IL RUOLO DEL NATO ADVISORY TEAM IN BOSNIA-H HERZEGOVINA Nell’ambito del processo di trasformazione del sistema di sicurezza delle Nazioni, la riforma delle Forze Armate in Bosnia-H Herzegovina si configura complessa ma di cruciale rilevanza soprattutto in chiave euroatlantica. In tale quadro, va esaminato il ruolo centrale svolto dal NATO Advis sorry Team m in termini di consulenza e supporto nell’attuazione del progetto di riforma del settore della difesa.
Tale politica, denominata «delle porte aperte», La fine dello scontro «bipolare» ha determinato non si limita alla condivisione dei tradizionali un radicale cambiamento della politica e degli obiettivi politico-militari del Trattato, ma comobiettivi dell’Alleanza Atlantica. Con lo sciogliprende anche quelli nuovi e mento di uno dei due blocchi moderni del «dopo Guerra della Guerra Fredda e la conclu- ... advisors monitorizzano e Fredda» che abbracciano, con sione della contrapposizione, la NATO ha inaugurato una nuova supportano la Riforma per approccio estensivo, la sfera stagione della politica interna- gli aspetti attinenti alla pro - della sicurezza e gli aspetti poeconomici e giuzionale varando una serie di inipria sfera di competenza litico-sociali, ridici delle Nazioni. ziative e programmi tendenti ad In tale ottica, la NATO contiestendere l’Alleanza oltre i con- (denominata «Area Funzio nale di Cooperazione») rela - nua a fornire notevoli incentivi fini dell’Europa Occidentale. Obiettivo di questa espan- tivamente alla ristruttura - a quelle Nazioni che manifestasione è stato, inequivocabil- zione del comparto sicurez - no la volontà di avviare le riforme necessarie per candidarsi a mente, quello di ridurre il li- za e difesa una possibile membership. vello di potenziale conflittualiRisulta opportuno sottolità possibile attraverso l’inteneare che il percorso delle Nazioni «aspiranti» è grazione all’interno dell’Alleanza anche di quei un processo graduale e complesso che abbraccia Paesi tradizionalmente e storicamente avversari. le riforme istituzionali e l’adeguamento agli standard dell’Alleanza attraverso una prima adesione a vari programmi di cooperazione e, successivamente, a un graduale e sempre maggiore coinvolgimento che si sviluppa parallelamente alla transizione di tutto il «sistema Paese». Nell’ambito di questo percorso si inquadra, quale pilastro fondamentale del cammino verso l’adesione alla NATO, la riforma del settore della difesa e della sicurezza della Nazione. Si tratta di un processo di
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A sinistra. Camp Butmir. In apertura. Il ponte Princip a Sarajevo.
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rante affinchè possano essere sviluppati e resi attuativi i piani relativi alla Riforma del settore della difesa e della sicurezza. In particolare, gli advisors monitorizzano e supportano la Riforma per gli aspetti attinenti alla propria sfera di competenza (denominata «Area Funzionale di Cooperazione») relativamente alla ristrutturazione del comparto sicurezza e difesa. Tale forma di cooperazione, inserita nel più ampio percorso di avvicinamento all’eventuale membership, è risultata particolarmente efficace e benefica, in quanto consente la condivisione di obiettivi comuni e, alla nazione interessata, di usufruire dell’expertise dei Paesi già membri nonchè delle lessons learned di quelli che, inseriti nello stesso processo, hanno raggiunto gli obiettivi di fasi successive. In generale, quindi, attraverso questo processo, laborioso e complesso, si inquadra l’attuale esperienza NATO con le varie nazioni cooperanti allo scopo di costituire per mezzo di un nuovo concetto di difesa, le capacità operative necessarie e interoperabili in previsione di un futuro impegno operativo con l’Alleanza. In sintesi, è questo che in Bosnia Herzegovina (BiH), una Nazione nuova intensamente indirizzata al raggiungimento e consolidamento degli obietti-
tipo «top down» attraverso il quale, a partire dalla valutazione strategico-globale sulla sicurezza e della realtà geo-politica della Nazione interessata, si intende adeguare la struttura e le capacità delle Forze Armate alle future esigenze compatibilmente agli interessi più generali della Comunità delle Nazioni NATO. Tale riforma risulta, dunque, un processo dinamico in continua evoluzione che si sviluppa in tre fasi: •analisi e definizione del quadro politico-strategico e pianificazione della struttura principale cui giungere fissando scadenze e obiettivi; •continua revisione e implementazione della struttura di difesa e sviluppo delle capacità tecnico-militari delle forze; •la cosiddetta «strategia di trasformazione», che prevede la traduzione in documenti, piani e programmi delle decisioni assunte. Il ruolo della NATO, nell’ambito del processo di trasformazione, si traduce attraverso il supporto, a tutti i livelli (strategico, operativo e tattico), fornito da teams di assistenza e consulenza denominati NATO Advisory Teams (NAT). Ognuno di questi team è diretto da un Chief NAT ed è costituito da un numero variabile di advisors con il compito di assistere le rispettive controparti del Ministero della Difesa del Paese aspi-
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vi del programma di Partnership for Peace (PfP), la NATO - tramite l’impegno del NAT - sta cercando di costruire le fondamenta solide per un nuovo modello di difesa bosniaco che, forte di uno strumento militare ridotto ma in linea con le esigenze odierne, in un domani non molto lontano e pieno di aspettative, guarda oltre l’eventuale status di candidato rilanciando la sua vocazione in chiave euro-atlantica. LA RIFORMA DEL SETTORE DELLA DIFESA E DELLA SICUREZZA IN BIH Il processo di riforma del settore della difesa e della sicurezza in BiH, area di cruciale interesse Euro-Atlantico, è di gran lunga considerato il più complesso e articolato mai affrontato. Oltre all’impegno nella trasformazione del sistema sicurezza e difesa per soddisfare i principali obiettivi di cooperazione in previsione di una futura membership, comuni a tutte le Nazioni aspiranti, la BiH ha dovuto e tuttora affronta un’ulteriore trasformazione derivante dalle vicende storiche e dalla struttura politica ereditata dal dopo-guerra. Sino agli accordi del 2005, la BiH si presentava come due entità politiche, sociali, economiche e militari distinte e separate: la
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Federazione di Bosnia e la Repubblica Srpska, contraddistinte dalla prevalenza delle etnie scontratesi negli anni della guerra. Solo in seguito, la creazione di Forze Armate uniche ha consentito l’avvio di quel processo che prima non sarebbe stato assolutamente possibile. Tale situazione ha reso necessario che la trasformazione avvenisse in due fasi principali attinenti, l’una all’unificazione delle due strutture di difesa e sicurezza, l’altra a quella insita al processo di riforma del settore difesa una volta unificato. In Bosnia, relativamente alla prima fase i compiti possono essere ricondotti essenzialmente a cinque categorie: • trasferimento del personale in esubero e contemporanea riduzione dello stesso. Ciò consiste nel «ricollocamento» del personale in eccesso utilizzando le risorse del Fondo Fiduciario della NATO (NATO Trust Fund) del quale l’Italia è uno dei principali contributori; • trasferimento della proprietà dei beni mobili e immobili del comparto difesa e sicurezza dei precedenti Enti governativi indipendenti alla unificata autorità Statale della BiH; • realizzazione della nuova struttura delle Forze Armate (AFBiH); • armonizzazione della legislazione delle due ex-
entità governative in una nuova legislazione centrale inerente la difesa; • adozione dei regolamenti necessari al normale funzionamento delle procedure e delle attività giornaliere del Sistema difesa; nel medio-lungo termine si considerino anche gli aspetti relativi allo sviluppo e alla realizzazione dell’intero quadro dei sistemi operativi della difesa (pianificazione della difesa, sviluppo di una nuova struttura delle forze, reclutamento, istruzione, gestione delle risorse); all’implementazione dei due sistemi alla base della trasformazione stessa, quello delle Forze di Riserva (ancora da sviluppare) e la ristrutturazione delle forze su base reggimentale (3 battaglioni per reggimento, che a similitudine del modello britannico, non avranno compiti operativi ma si occuperanno di mantenere vive le tradizioni delle disciolte unità). IL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DELLE FORZE ARMATE DELLA BIH (AFBIH)
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battaglioni di fanteria delle 3 Brigate di manovra, che avranno composizione mono-etnica; • la trasparente gestione dello strumento militare; • l’effettivo controllo delle AFBiH da parte del Governo centrale (Presidency). In sintesi, tali normative riassumono i passi principali del processo di trasformazione delle Forze Armate dal 2004 ad oggi.
Il processo di riforma delle AFBiH, inizialmente CRITICITÀ E LIMITAZIONI DEL PROCESSO DI TRAchiamato «Defence Reform» (DR), ha avuto origine SFORMAZIONE DELLE AFBIH nel gennaio 2007 e si basa su due leggi fondamentali approvate l’anno precedente, la «Law on Defence» e la «Law on Service». Le principali criticità riscontrate nell’implemenI principi in esse contenuti prevedono in sintesi: tazione del piano di ristrutturazione delle AFBiH, • la soppressione delle vecchie causa di numerosi rallentaForze Armate e delle relative menti del processo, sono state: catene di Comando e Controllo; ...la NATO sta cercando di • contemporaneità del proces• la costituzione delle AFBiH costruire le fondamenta so - so di costituzione e sciogliuniche sotto il controllo de- lide per un nuovo modello di mento delle nuove e vecchie mocratico del Governo centrae relativi Comandi; difesa bosniaco che guarda unità le della BiH (processo comple• carenza di personale civile; oltre l’eventuale status di • scarsa qualificazione del pertato nel corso del 2007); c andidato rilanciando la sua sonale; • la soppressione del servizio obbligatorio di leva (già dal 1 vocazione in chiave euro- • sussistenza di una profonda gennaio 2006); crisi di identità con conseatlantica • la totale professionalizzazione guente abbattimento morale; delle AFBiH, per un totale di 16 • carenza di risorse economi000 unità (10 000 in servizio attivo, 5 000 riserco-finanziarie e limitazioni di bilancio (75-80% visti e 1 000 civili); destinato al pagamento degli stipendi del perso• la rappresentazione percentuale nella «Force nale); Structure» delle tre etnie secondo i dati dell’ulti• elevata età media del personale reclutato (Uffimo censimento ufficiale (bosniaci 46%, croatociali 37, Sottufficiali 35 e truppa 33); bosniaci 20%, serbo-bosniaci 33% e altri 1%) in • sistema scolastico-addestrativo incompleto e tutte le unità e Comandi, eccezion fatta per i 9 deficitario;
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parte delle autorità bosniache di svolgere adeguata attività di coordinamento e selezione delle offerte di assistenza bilaterale. In tale quadro generale, la NATO, attraverso i NAT, cerca di svolgere proprio l’attività necessaria a indirizzare efficacemente gli sforzi interni ed esterni attraverso un’intensa attività di monitoraggio e di coordinamento di tutte le attività con i vari «attori internazionali» interessati. Con riferimento ai risultati raggiunti, si evidenzia che a tuttoggi gli obiettivi del 2008 inerenti i pilastri della riforma del sistema di difesa e sicurezza non sono stati tutti conseguiti, specie nel campo del trasferimento della proprietà e l’uso di tutti i beni materiali della difesa sotto la proprietà dello Stato centrale e nel settore attinente lo sviluppo e l’implementazione del sistema di risposta alle emergenze di protezione civile. La pianificazione generale, infatti, ha risentito delle citate limitazioni economico-finanziarie e di coordinamento nelle sue linee guida essenziali anche per gli obiettivi a breve-medio termine relativi al triennio 20092011. C’è ancora molto da fare e in questi settori l’opera del NHQSa e, in particolare dei NAT, risulta determinante ed essenziale. IL PROCESSO DI COOPERAZIONE CON L’ALLEANZA E IL PARTENARIATO • essenziale dipendenza per il raggiungimento degli obiettivi minimi previsti dai programmi PfP dall’Assistenza Bilaterale di quei Paesi che volontariamente supportano le istituzioni della BiH nel colmare gaps relativi al raggiungimento dell’interoperabilità dello strumento militare. In relazione a tali ristrettezze di bilancio, l’intervento di Nazioni terze che offrono ogni tipo di assistenza risulta essenziale. In merito, anche se enormi passi avanti sono stati fatti, occorre sottolineare un’ulteriore criticità essenzialmente dovuta alla scarsa capacità da
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La BiH è entrata a far parte del Partnership for Peace alla fine del 2006 e attualmente partecipa a diversi programmi di cooperazione (1). Al fine di ottimizzare il coordinamento tra le agenzie, il Consiglio dei Ministri della BiH ha costituito una squadra di coordinamento denominata «NATO Coordination Team» (NCT), presieduta da un vice Ministro della Difesa, con Presidenze congiunte da parte dei Ministri della Sicurezza e degli Affari Esteri. Nel passaggio obbligatorio della BiH attraverso le tappe della PfP, il NATO HQ Sarajevo (NHQSa) opera con tutte le istituzioni locali e con le agenzie di
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maggiore interesse per la NATO nell’ambito dello BiH è stata già certificata dal NATO Office of Sesforzo complessivo volto a far progredire la Nacurity per i livelli «restricted» e «secret». zione verso la piena futura appartenenza all’Alle• Individual Partnership Program - IPP: è il princianza stessa. I partners attuali includono, tra gli alpale programma in corso. Sostanzialmente è un tri, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero delprogramma di livello elementare che prevede la Sicurezza della BiH. una serie di attività tese all’educazione e all’adTale impegno, inoltre, è destinato a crescere destramento del personale della difesa in ottica proporzionalmente sulla base di «staff capacity building». Il dell’incremento degli sforzi di documento relativo alle attività collaborazione della BiH in amLa BiH è entrata a far parte del biennio 2007-2008 agbito NATO/PfP, in particolare del Partnership for Peace alla giornato e approvato ha visto con un occhio agli impegni poBiH impegnata in una serie di fine del 2006 e attualmente la litici presi attraverso l’adozione attività educative e addestratidel programma IPAP e con l’ac- partecipa a diversi programmi ve con lo scopo di adeguare la quisizione di partner speciale di cooperazione preparazione individuale del attraverso l’ID (Intensified Diapersonale a quella delle Naziologue). ni già membri della NATO. Inoltre, tale programma prevede la creazione di Di seguito, una breve sintesi dei risultati e degli istruttori interni in grado di avviare il ciclo posisteps raggiunti nel campo del Partenariato per la tivo di azioni per il consolidamento di una strutPace: tura di formazione in grado di soddisfare le esi• PfP Presentation Document: il documento politigenze del nuovo sistema di difesa e sicurezza. co di cooperazione è stato presentato e accettaNel 2008 la BiH ha organizzato e ospitato per la to dagli Stati membri dell’Alleanza. prima volta 14 attività interne con il supporto •Security Agreement: l’accordo internazionale della NATO (Mobile Training Teams) e ha pianisulla sicurezza è stato firmato e ratificato; l’implementazione di citato accordo è in corso; e la ficato lo svolgimento di una serie di 12 eventi
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per l’anno 2009. Per quanto attiene i dati specifici dell’attività del 2008 la BiH ha pianificato 175 eventi con un risultato complessivo di partecipazione del 90%. Un ottimo risultato considerate le scarse capacità organizzative attualmente in atto. Il nuovo documento di programmazione per il biennio 2009-2010 prevede un incremento qualitativo considerevole degli impegni addestrativi (soprattutto esercitazioni e corsi specialistici, oltre ai consolidati Mobile Training Teams), confermando in ambito intra-ministeriale/istituzionale lo stesso numero di eventi dell’anno precedente. Le maggiori aree di cooperazione interessate sono il settore educativo e addestrativo, l’insegnamento della lingua inglese, la pianificazione delle crisi e dell’emergenza in supporto alle popolazioni civili, il settore C3, la logistica e, più in generale, la pianificazione della difesa. • Partnership Action Review Process - PARP: è in revisione quest’anno dopo che il primo set di Partnership Goals (PG) (2) è stato accordato e risulta nella fase iniziale di implementazione. Il primo ciclo di revisione è già stato attivato ed, entro la prossima primavera, la Nazione dovrà provvedere a forBuilding 001 a Sarajevo.
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nire le risposte relative ai piani di implementazione dei vari PGs e i progressi ottenuti relativamente alla trasformazione dello strumento militare e alla ricerca dell’interoperabilità delle unità messe a disposizione della NATO per le operazioni di difesa collettiva o di Peace Support Operations. • PfP SOFA: firmato e depositato. • Individual Partnership Action Plan - IPAP: è stata approntata e presentata all’International Staff del NATO HQs a Bruxelles, per la conseguente approvazione del Comitato Atlantico entro la fine del 2008, una bozza del programma. Tale documento prevede una cooperazione molto impegnativa, non solo nell’ambito del settore difesa, ma anche nel contesto interministeriale dello Stato centrale in un’ottica a connotazione EuroAtlantica. In generale, si può evidenziare che, nell’area di interesse balcanica, in fatto di implementazione di accordi internazionali, la Bosnia è più avanti di altre realtà pur rimanendo l’intero processo di riforma una sfida sempre più impegnativa. Infatti, i perduranti dibattiti etnici e le enormi differenziazioni esistenti tra i diversi gruppi, le divisioni politiche del territorio e delle istituzioni statali rendono il Governo centrale della Nazione e tutte le sue istituzioni ancora molto deboli sul piano democratico.
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La fine dell’operazione NATOSFOR e il contemporaneo inizio dell’operazione a guida dell’Unione Europea «ALTHEA», il 2 dicembre 2004, hanno determinato la riconfigurazione della presenza dell’Alleanza in BiH. In tale periodo, infatti, le autorità NATO hanno deciso di ricondurre tutte le operazioni condotte dalla NATO nell’area balcanica in un unico contesto operativo delimitato nella Joint Operation Area (JOA), dando origine, nell’aprile 2005, all’Operazione «Joint Enterprise» che comprende le attività di KFOR, l’interazione NATO-UE, i NATO HQs di forma dei comparti Difesa e Sicurezza, nell’eseSkopje, Tirana e Sarajevo e l’Ufficio Militare di cuzione dei programmi di partenariato (PfP) in Collegamento (MLO) di Belgrado. corso e l’integrazione Euro-Atlantica; Tale presenza si è concretizzata con la costitu• il supporto alle operazioni/missioni NATO nella zione del NHQSa, cui partecipano 15 Paesi NATO e JOA dei Balcani contro il terrorismo e ricerca di uno non-NATO (Austria) ed è retto da un Comanpersone incriminate per crimini di guerra dante/Senior Military Representative (COM/SMR) che svolge le proprie funzioni alle dirette dipen(PIFWC); denze del Joint Force Command Naples. • la piena responsabilità per l’implementazione La missione del NHQSa è, più in generale, quella militare nel quadro generale derivante dagli acdi supportare la riforma del settore della sicurezcordi di pace (GFAP); za e della difesa in BiH. • il continuo sforzo di coordiI compiti assegnati sono quelnamento e supporto a EUFOR ...nell’area di interesse sulla base di accordi specifici li di assistere, aiutare e monitorare le Autorità bosniache nel balcanica, in fatto di imple - contenuti nel documento Berlin conseguimento degli obiettivi mentazione di accordi in - Plus inerente le infrastrutture di che derivano dalle esigenze di Camp Butmir e il Communicaternazionali, la Bosnia è più tion cooperazione all’interno del Information System (CIS )e programma per la Partnership avanti di altre realtà pur ri - Intelligence sharing. for Peace (PfP), oltre che svol- manendo l’intero processo L’attività del NHQSa, nell’amgere altre attività connesse con di riforma una sfida sempre bito dell’intero spettro dei la lotta al terrorismo, il suppor- più impegnativa compiti, è indirizzata dai conto in favore del Tribunale Penatenuti del Defence Security le Internazionale per la ex-IuSector Reform campaign Plan. goslavia (ICTY), gli interventi in caso di calamità L’organizzazione del NATO HQ Sarajevo sulla naturali. base della revisione dell’ultimo «Manpower OrgaIl NHQSa svolge tali compiti attraverso il mantenisation Review» prevede che il processo di DR in nimento dei contatti con tutte le Autorità nazionaBiH sia assistito in primis dal NATO HQ Sarajevo li, internazionali e non-governative che operano che, comandato attualmente da un Maggior Genesul territorio, allo scopo di conseguire la massima rale dell’US Army, è costituito dalle seguenti comsinergia negli sforzi, compreso l’impiego delle ponenti: forze di riserva della NATO in supporto alla mis• il «DSSR staff» con sede in Sarajevo presso il Misione di EUFOR. nistero della Difesa. Esso, a sua volta, si compoIn particolare la missione della NATO in Bosnia si ne di una Political Military Advisory Section (civili concretizza attraverso: che forniscono analisi e consulenza nel campo • l’assistenza e la consulenza nel processo di ripolitico-militare di tipo legale e finanziario), di
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IL NATO HEADQUARTERS SARAJEVO (NHQSA): MISSIONE, COMPITI E STRUTTURA DI COMANDO E CONTROLLO
una NATO Advisory Team/tecnical-military secsupporto del NHQSa, l’idea guida è quella di tration (NAT/TMAS) (attualmente 16 advisors); sferire gradualmente il NHQSa da Camp Butmir a • il resto del Quartier Generale e lo staff di Sup«downtown» presso il Ministero Difesa bosniaco, porto, dislocato ancora in Camp Butmir, che asdopo aver parallelamente ridotto l’organico. sicura il sostegno logistico-operativo a tutte le In tale quadro di riduzioni non è prevista l’elimialtre attività in corso e il supporto a EUFOR. nazione del NAT che è, e rimarrà, la componente Le Nazioni che contribuiscono alla composizione di maggiore visibilità del NHQSa nelle attività di dell’HQ sono 16. L’Italia ricopre in maniera permasupporto alla DSSR, disponendo di «advisors» che nente 2 posizioni (advisors) forniscono assistenza e consulenza coprendo pressocchè presso il NAT (3). In vista della prossima re - tutte le aree funzionali della DiIn vista della prossima revisione dell’organizzazione in chiave visione dell’organizzazione fesa. Le attività del NAT si concreriduttiva, sono previsti dei sen- i n c h i a v e r i d u t t i v a , s o n o tizzano pertanto mediante sibili cambiamenti tra cui una previsti dei sensibili cam- stretta collaborazione con le transizione della «leadership» da statunitense a italiana e una biamenti tra cui una transi - istituzioni della difesa attraverriarticolazione dello strumento zione della «leadership» da so la consulenza, il monitoragcon posizioni chiave che po- statunitense a italiana... gio e il controllo nelle seguenti trebbero addirittura non essere principali attività dell’organizripianate, il tutto in vista delzazione militare: l’implementazione dei piani relativi alla futura • identificazione dei requisiti per la selezione del strategia di uscita (Exit Startegy) della NATO dal personale militare e civile della difesa; • scelta dei materiali e dell’armamento da inserire delicato scacchiere balcanico-occidentale. nelle tabelle organiche; • criteri per il calcolo delle dotazioni di prima linea IL NATO ADVISORY TEAM (NAT) e per l’addestramento; • definizione del materiale di armamento e del munizionamento da alienare; Il NAT, unitamente alla sezione Politico-Militare, • adozione del sistema informatizzato NATO di rappresenta la componente essenziale del NATO codificazione dei materiali; HQ Sarajevo e ha il compito di indirizzare e consi• stesura dei documenti di politica-militare sullo gliare le Forze Armate della BiH nel corso del prosviluppo professionale ed educativo degli Ufficesso di ristrutturazione. L’attuale composizione è ciali e Sottufficiali; raffigurata in figura 7. • definizione dei requisiti per l’addestramento inIn futuro, con il progressivo raggiungimento dedividuale di base e avanzato; gli obiettivi, venendo meno alcuni dei compiti di • individuazione degli obiettivi addestrativi delle unità, dei calendari delle attività e dei relativi programmi (anche in coordinamento con le cooperazioni internazionali bi-laterali con Nazioni terze); • implementazione dei requisiti di sicurezza e relativa standardizzazione per le infrastrutture destinate alla trattazione e conservazione di documenti classificati; • implementazione dei requisiti di sicurezza per i depositi munizioni; • individuazione di standard abitativi per il personale accasermato; • redazione del piano dell’architettura informatizzata di C2 (LAN e WAN); • redazione del PARP, individua-
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zione dei Partnership Goals e conseguimento degli obiettivi da essi scaturiti; • compilazione dell’IPP e scelta delle attività educativo/addestrative ad esso connesse; • revisione di pubblicazioni dottrinali: procedimenti d’impiego, manuali e SOPs; • organizzazione di seminari, conferenze, workshops e ogni altro tipo di evento teso all’informazione e divulgazione di cultura ed expertise NATO in ambito BiH; • il coordinamento delle attività bilaterali di assistenza con quelle Nazioni impegnate nei processi di cooperazione e donazione con la BiH. Il lavoro del NAT, quindi, non si limita a una tipica attività di staff ma si spinge molto oltre il semplice coordinamento. La funzione del «Chief NAT» è essenzialmente quella di dirigere le attività degli advisors, di fissarne gli obiettivi programmatici, di gestire i rapporti interni nell’ambito del NHQSa e quelli esterni con le Autorità Locali e con i rappresentanti delle principali Organizzazioni Internazionali presenti in BiH, quali OHR, UNDP, OSCE, nonchè con gli Addetti Militari accreditati in BiH aventi un ruolo attivo nel Paese. Egli riporta al COM/SMR e partecipa alle riunioni di coordinamento inerenti tutte le
attività connesse alla DSSR. Ogni Advisor, invece, organizza il proprio lavoro e crea la propria rete di contatti (figura 8), individua le esigenze di consulenza e assistenza e sviluppa un proprio piano di collaborazione. In tal modo, i singoli piani di lavoro trovano naturale collocazione in un contesto progettuale relativo ai pogrammi prioritari di trasformazione che vengono di volta in volta indirizzati e adeguatamente rimodulati, anche in funzione delle risorse disponibili, a favore della BiH. La continuità è il fattore vincente essenziale per l’efficacia del lavoro di un Advisor: per questo motivo, la NATO ha più volte ribadito che il mandato degli «Advisors» deve essere esteso a un periodo minimo di un anno, anzichè i sei mesi canonici dell’impiego in Teatro Operativo, con una possibile ulteriore estensione di un altro anno. È essenziale, inoltre, sottolineare che un altro fattore fondamentale per assicurare un credibile supporto di consulenza e programmata assistenza, è la competenza specifica e il background professionale del personale destinato agli incarichi relativi ai processi di riforma della Difesa, della Sicurezza e della trasformazione delle Forze Armate. Infatti, un advisor che non disponga della com-
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petenza e dell’«expertise» specifica richiesto per l’area funzionale di propria responsabilità raramente riesce a inserirsi nel tessuto connettivo istituzionale del settore e raggiungere gli obiettivi prefissati.
ca o sociale, e da una molteplicità di attori internazionali. Sebbene ci siano stati progressi a partire da Dayton, l’evoluzione della BiH in uno Stato compatibile con le norme euro-atlantiche rimane ancora un processo eccessivamente lento. Tale criticità risulta comprovata anche dalla deCONCLUSIONI cisione già presa dal Consiglio per l’Attuazione della Pace (PIC), di posticipare ulteriormente la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante Come già accennato, la riforma del settore della (OHR) e quella dell’Unione Eudifesa e della sicurezza in Boropea di mantenere la propria snia Erzegovina è notevolmente più complessa rispetto a qualNei Balcani la sicurezza è forza in BiH fino almeno la mesiasi altra area nella sfera di si- tutto. E sotto molti aspetti la tà del 2009, se non oltre. curezza euro-atlantica. Bosnia Herzegovina è una In tale ambito, la DSSR risulta un processo guidato Per tale motivo, la missione cartina rivelatrice della più essere politicamente che si sviluppa del Comando NATO di Sarajevo dovrà essere portata a termine vasta regione balcanica ca- attraverso tutti i livelli istituanche in un ambiente caratte- ratterizzata da diversità cul- zionali e tutti i settori. Ogni impegno/piano/attività nasce a rizzato da un Governo centrale turali, etniche e religiose... livello politico e politico-milirelativamente debole, da una tare. Esso si concretizza in dostruttura statale ancora immacumenti e decisioni che determinano profondi tura, da un meccanismo politico che ancora privimutamenti che si riflettono, a livello operativo, legia le fazioni basate sulle etnie rispetto a prosulla struttura militare sino al livello tattico. grammi con una più ampia base politica, economi-
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Per il futuro, il NAT, che in tutto ciò ha giocato un ruolo di supporto e assistenza della controparte sempre crescente, è risultato essere, grazie alle proprie qualità, la pedina operativa fondamentale in grado di coordinare l’intera implementazione dei piani di trasformazione delle Forze Armate della BiH raggiungendo gli obiettivi prefissati dal processo di trasformazione della difesa nel rispetto delle scadenze temporali. Da quando sono stati inequivocabilmente dichiarati i Partnership Goals nell’ambito sistema difesa, il ruolo del NAT è diventato centrale per il raggiungimento degli obiettivi e per l’esecuzione dei piani, in linea con quanto richiesto dalla NATO. Questo ruolo è risultato determinante soprattutto nel continuo assessment della situazione provvedendo a una costante revisione e conseguente adeguamento della pianificazione futura delle varie attività in un ambito sempre più definito dal ruolo autonomo, trasparente, sicuro e democratico delle Forze Armate di questo Paese, che necessariamente hanno un urgente bisogno di credibilità sia nei confronti della comunità internazionale che a livello sociale interno. Nei Balcani la sicurezza è tutto. E sotto molti aspetti la Bosnia Herzegovina è una cartina rivelatrice della più vasta regione balcanica caratterizzata da diversità culturali, etniche e religiose dove il ritmo delle riforme, soprattutto relativo alla La caserma «Franz Josef» a Sarajevo.
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DSSR, è garanzia di stabilità e di sicurezza. L’obiettivo è quello di operare una «smilitarizzazione sociale delle menti» e, guardando al futuro, fornire a tutti i cittadini e, quindi al proprio strumento militare, un ruolo attivo in dimensione euro-atlantica anche in considerazione di possibili partecipazioni in future operazioni di mantenimento della pace su scala mondiale. Enrico Villa Colonnello, in servizio presso la Scuola Lingue Estere dell’Esercito Antonino Pagoto Tenente Colonnello, in servizio presso lo Stato Maggiore della Difesa NOTE (1) Individual Partnership Programme - IPP; Partnership Action Review Process - PARP; Individual Partnership Action Plan - IPAP; Intensified Dialogue - ID) (2) I Partnership Goals, all’origine chiamati Interoperability objectives, rappresentano oggi per una Nazione Partner - i targets di pianificazione. La BiH ha scelto, d’accordo con l’Alleanza, 31 PGs per lo sviluppo del proprio strumento difesa. (3) L’Italia ha ricoperto fino al 18 novembre 2008, a partire dal 2006, ulteriori 3 posizioni (Chief NAT, un Sottufficiale Chief Admin e un CAU - Clerk/driver per un ciclo di 2 anni in alternanza con la Spagna.
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IL CENTRO DI GRAVITÀ COME ELEMENTO GUIDA NELLE OPERAZIONI MILITARI
IL CENTRO DI GRAVITÀ COME ELEMENTO GUIDA NELLE OPERAZIONI MILITARI Il Centro di Gravità è forse l’elemento più critico della guerra, specialmente ai livelli operativo e tattico. Una volta individuato, esso rappresenta il drriverr del pensiero e dell’azione di staff e Comandanti. Nessuna campagna può essere condotta rapidamente e in modo decisivo senza aver prima identificato i centri di gravità del nemico e propri, per poi attaccare i primi e difendere i secondi attraverso l’impiego della forza militare secondo modalità d’azione informate ai dettami dell’arte operativa.
Nonostante la rilevanza assoluta del Centro di cetti di Fisica hanno attirato l’attenzione del ClauGravità, non vi è una sufficiente concordanza nelsewitz, ed hanno stimolato in lui l’applicazione alla comunità militare internazionale su quale deble operazioni militari, riportiamo le principali proba essere la sua natura e il concetto è pertanto avprietà del centro di gravità. Si noterà come venga volto da una nube fatta di incertezze e di equivopiuttosto facile l’associazione di ognuna di esse ci. Non solo. Alcuni tra teorici e Comandanti addialle formazioni militari, al combattimento e più in rittura dubitano che il concetto di centro di gravigenerale alla guerra. tà sia di una qualche utilità nella pianificazione e In Meccanica il centro di gravità di un corpo è il nella condotta della guerra al livello operativo. suo baricentro, quel punto in cui per astrazione In questo articolo, dopo aver analizzato il contripuò essere considerata applicata l’intera forzabuto dei classici, si illustrerà peso e rispetto al quale il corpo come le Forze Armate dei Paesi risulta bilanciato. Un urto diretoccidentali hanno definito e imIn Meccanica il centro di to al corpo ha il suo massimo piegato il concetto nei loro do- gravità di un corpo è il suo effetto, in termini di quantità di cumenti dottrinali e si presenteimpressa, se indirizzato baricentro, quel punto in cui moto ranno i punti di vista maggioral baricentro dello stesso. mente accreditati nel panorama per astrazione può essere La posizione del baricentro internazionale in merito al si- considerata applicata l’intera può essere facilmente indivipeso e rispetto al qua- duata nei corpi con densità di gnificato da attribuire al centro forza-p di gravità. massa uniforme e di forma rele il corpo risulta bilanciato Successivamente si passerà a golare, quali ad esempio la definire come individuare il censfera, il cubo, il parallelepipetro di gravità e come proteggerlo o attaccarlo, a sedo. Nella generalità dei casi, invece, si tratta di conda che si tratti rispettivamente del proprio o di un esercizio piuttosto complesso per la cui soluquello del nemico. zione sono necessari i raffinati strumenti matematici del calcolo integrale e differenziale. Il baricentro è generalmente posizionato all’inIL CONTRIBUTO DI CLAUSEWITZ terno del corpo, ma esistono casi in cui esso risiede all’esterno. Nel suo tentativo di descrivere il multiforme feSe si considera un sistema di vettori, una azione nomeno della guerra, Clausewitz prese a prestito diretta a modificare la posizione del suo baricenmolte idee da alcuni tra i più grandi pensatori contro, rappresentando lo stesso solamente un punto temporanei. In particolare, molti dei suoi concetti nello spazio ed essendo perciò intangibile, non - tra cui il centro di gravità - sono metafore tratte potrà essere applicata direttamente al baricentro. dalla Fisica. L’azione non potrà che essere compiuta indirettaPer cercare di capire il motivo per cui alcuni conmente, attraverso la modifica della posizione di al-
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meno uno dei vettori. Se pensiamo ad un corpo che presenta densità di massa non uniforme, il baricentro risiederà nella parte del corpo in cui la densità di massa è maggiore, dove la massa è più concentrata. Questi i concetti fisici che Clausewitz ha usato per visualizzare e per comunicare la sua interpretazione del fenomeno guerra. Ma da soldato navigato quale era, sapeva bene che tra l’asettico mondo della meccanica ed i caotici campi di battaglia la differenza concettuale è netta. La sua visione della guerra era sistemica, complessa, nonlineare. Il suo riferirsi alle leggi della fisica è da considerarsi un punto di partenza utile a definire uno schema-base orientativo da cui discostarsi ogniqualvolta la complessità della realtà lo richiede. La prima volta che Clausewitz utilizza il concetto di centro di gravità è nel Libro IV, Capitoli 9 e 11, quando asserisce che nella teoria della guerra tutte le forze e gli interessi della popolazione sono attratti dalla battaglia: «la battaglia deve sempre essere considerata il vero centro di gravità della guerra» e che la battaglia decisiva è il concentrato della guerra, «il centro di gravità dell’intero conflitto». Clausewitz usa qui la metafora del centro di gravità per attirare l’attenzione dei pianificatori militari sul fatto che la ragione d’essere della guerra è la distruzione delle forze nemiche, o più precisamente l’annullamento della capacità di combattere del nemico: il centro di gravità indica il «punto» a cui mirare. Nel libro VI, capitoli 27 e 28, il pensatore tedesco tratta della natura del centro di gravità relativamente alla difesa di un teatro di guerra, scenario in cui sia il difensore sia l’attaccante si confrontano costantemente con il dilemma della concentrazione o della dispersione delle forze proprie. Il Generale che difende può preferire concentrare le sue forze in un teatro di operazioni per beneficiare di un favorevole rapporto di forze all’atto dello scontro col nemico, ma considerazioni di carattere politico possono costringerlo a disperdere le truppe lungo i confini per assicurare l’integrità territoriale e salvaguardare la sopravvivenza della nazione. L’attaccante cercherà di muovere le forze lungo più itinerari per non far capire al nemico le sue intenzioni, per poi concentrarle in un determinato teatro di operazioni in cui ingaggiare la battaglia e ricercare la vittoria decisiva, come fece Napoleone ad Austerlitz e Jena-Auerstadt. Entrambi si pongono il problema di scegliere il teatro di operazioni in cui concentrare le proprie forze per vincere la battaglia decisiva, perché lo sforzo principale deve essere sempre diretto «verso quell’area dove si trova la maggiore con-
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Sopra. Carl von Clausewitz. In apertura. Una coppia di elicotteri d’attacco A-129 «Mangusta» pronti al decollo a Herat.
centrazione di forze nemiche». Per identificare tale area, Clausewitz ricorre alla metafora del centro di gravità: «Un centro di gravità può essere sempre identificato laddove la massa è maggiormente concentrata. Esso rappresenta l’obiettivo più efficace contro cui sferrare un attacco; analogamente, l’attacco più efficace è quello portato dal centro di gravità. Le forze combattenti di ognuna delle parti in conflitto siano esse singoli stati o coalizioni - presentano una certa compattezza e quindi una qualche coesione. Laddove c’è coesione può essere utilizzata l’analogia del Centro di Gravità. Conseguentemente, quelle forze presenteranno determinati Centri di Gravità i quali, attraverso il loro movimento ed il loro modo di operare, governano la rimanente parte delle forze stesse; e quei centri di gravità si troveranno laddove le forze sono maggiormente concentrate». Nel fare questo egli precisa che il centro di gravità può essere tangibile, come ad esempio la massa concentrata delle forze, oppure intangibile, come la coesione interna delle forze, e che possono presentarsi diversi centri di gravità, interagenti l’uno con l’altro. Pertanto egli conclude che il sommo atto di saggezza strategica è «identificare
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questi centri di gravità nell’ambito delle forze nemiche e valutare le loro potenzialità». Nel libro VI Clausewitz focalizza la sua analisi principalmente su quello che, a posteriori, sarebbe diventato il livello operativo - dove a suo avviso il conflitto si decide - identificando nell’armata nemica che opera in un determinato teatro operativo il centro di gravità. Nel libro VIII, esaminando strumenti e metodi necessari a vincere una campagna, si interroga su quando un nemico possa considerarsi sconfitto: se a seguito della conquista del suo territorio, se a causa dell’annullamento della capacità di combattimento, o per effetto di entrambi. A questo proposito, sulla scorta dell’esperienza napoleonica egli afferma «che il successo non si deve semplicemente a cause vaghe e generiche»; altri fattori, legati alle motivazioni dei combattenti, alla sorte favorevole ed alla capacità del Comandante di focalizzare la sua attenzione sui fattori critici possono essere altrettanto decisivi; e conclude con una delle più famose e controverse frasi contenute nella sua opera: «Occorre avere bene a mente le principali caratteristiche di entrambi i belligeranti. Da queste caratteristiche deriva, si sviluppa, un determinato centro di gravità, il concentrato di tutta la capacità di combattimento e di movimento, da cui tutto dipende. Quello è il punto contro cui tutte le nostre energie devono essere dirette», che rappresenta la definizione clausewitziana del centro di gravità nella teoria della guerra. La storia militare, anche antica, non manca di casi in cui la scelta dei centri di gravità da parte dei Comandanti è stata particolarmente azzeccata, i più rilevanti dei quali saranno presentati più avanti. L’apporto di Clausewitz in questo campo è duplice: da un lato concretizza l’idea, il concetto di centro di gravità, e gli dà un nome; dall’altro amplia la gamma dei possibili centri di gravità definendone alcuni mai adeguatamente considerati prima, comprendendo tra essi anche entità immateriali. Possono quindi esistere più centri di gravità da attaccare in un determinato contesto operativo. Ma Clausewitz ritiene che «l’essenza della potenza di combattimento nemica deve essere attribuita al minor numero possibile di cause, idealmente a una
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sola. L’attacco a queste cause deve essere condotto attraverso il minor numero possibile di azioni, teoricamente una sola». Persino quando una nazione deriva la sua forza da diversi interessi, attività e risorse, e nonostante il sistema sia dinamico e in continua evoluzione, ci sarà sempre un «perno» su cui tutte le forze convergono in un determinato momento ed in un certo luogo: e questo è il centro di gravità. Pertanto, la più importante attività di pianificazione operativa «consiste nell’identificare i centri di gravità del nemico, e se possibile ricondurli ad uno solo», sebbene per Clausewitz non vi è garanzia che per ogni livello della guerra emerga un unico centro di gravità. In funzione del tipo di conflitto in esame e del particolare sviluppo dello stesso nel tempo, nello spazio e nel continuum dei conflitti limitati e illimitati, i «perni» attorno ai quali ruotano le potenzialità politiche e militari di una Nazione o di una alleanza possono essere diversi e possono cambiare nel tempo e persino combinarsi tra loro, fondersi. Perciò l’arte dei leader, politici e militari, è quella di individuare dapprima i centri di gravità e conseguentemente determinare strategie e pianificare campagne per contrastarli e possibilmente renderli inefficaci. E siccome i centri di gravità possono essere di natura diversa e presentare diverse caratteristiche, strategie e campagne devono basarsi non solo su mezzi militari, ma avvalersi di tutta la gamma di assetti di cui la Nazione o l’alleanza dispone per imporre la sua volontà sul nemico e fare ricorso alle risorse più appropriate. In definitiva, per imporre la propria volontà sul nemico occorre piegarne «la resistenza concentrata nel suo centro di gravità». Nella concezione clausewitziana il centro di gravità rappresenta pertanto una forza o una sorgente di forza, non una condizione di vulnerabilità; la sua natura può essere fisica o non fisica in funzione del livello della guerra e del tipo di conflitto, secondo lo schema esplicativo riportato in tabella1. Anche se non sempre è possibile, occorre tendere alla individuazione di un unico centro di gravità, perché ciò rappresenta la condizione ideale. Basandosi sulla sua analisi della condotta della guerra da parte di Generali della levatura di Alessandro e Federico il Grande, Clausewitz conclude che il concetto operativo del Comandante dovrebbe sempre fondarsi sull’idea generale di dirigere il proprio centro di gravità contro quello del nemico, perché questo «è il punto contro il quale tutte le nostre energie devono essere dirette». Applicando l’analogia della meccanica newtoniana, Clausewitz cerca di dimostrare che esiste per ognuna delle parti in conflitto un determinato «punto» nel quale tutti i «vettori» convergono e che da tale punto i belligeranti derivano la loro
forza politica e militare. E siccome la guerra è un camaleonte, il centro di gravità può cambiare, anche più volte nel corso dell’intero conflitto. Come già accennato, dallo studio della storia militare e dalla sua stessa esperienza di testimone delle guerre napoleoniche, Clausewitz identificò varie categorie di centri di gravità al livello strategico: l’Esercito, centro del potere militare nazionale; la capitale, sintesi delle attività e delle risorse politiche ed economiche nazionali; l’Esercito della Nazione protettrice; la comunanza di interessi tra alleati, la coesione e la volontà di combattere di una Nazione; la leadership politica nazionale; la leadership militare nazionale; la pubblica opinione. Le caratteristiche di questi centri di gravità rivelano che Clausewitz guardava oltre la dimensione militare. Essendo la guerra «la continuazione della politica con l’aggiunta di altri mezzi», il centro di gravità strategico necessariamente ha molto di politico. Anche perché in un sistema fortemente dinamico, aperto e imprevedibile quale è la guerra, l’approccio alla soluzione dei problemi di carattere strategico e alla definizione di fini e mezzi non può che essere globale. Introducendo una nuova chiave di lettura del fenomeno guerra e delle sue interrelazioni con la politica e con le attività umane in generale, Clausewitz getta le basi per la comprensione della guerra moderna. In tale quadro il concetto di centro di gravità occupa un posto di primo piano. IL CONTRIBUTO DI JOMINI Antoine-Henry Jomini offre una definizione molto simile dello stesso concetto a cui fa riferimento Clausewitz. Egli, parlando di punti strategici decisivi o obiettivi, eleva il concetto ad un’importanza ancora maggiore di quanto non faccia il pensatore prussiano e lo considera uno dei due «principi immutabili della strategia»: «Questo impiego delle forze dovrebbe essere regolato da due principi fondamentali: essendo il primo quello di ottenere con movimenti liberi e rapidi il vantaggio di portare la massa delle truppe contro frazioni del nemico; il secondo di colpire nella direzione più determinante, vale a dire in quella direzione in cui le conseguenze della sua sconfitta possano essere le più disastrose per il nemico mentre, al contempo, il suo successo non gli darebbe dei grossi vantaggi. L’intera scienza delle grandi combinazioni militari è contenuta in queste due grandi verità fondamentali». Il pensiero di Jomini sul centro di gravità, a parte nella terminologia usata, è sostanzialmente concorde con quello di Clausewitz, il che indubbiamente accresce l’importanza e il peso dello
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Una Blindo pesante «Centauro».
stesso. Solo per un aspetto Jomini va oltre: quando sostiene che l’individuazione del centro di gravità è altrettanto importante per chi difende come per chi attacca: «Nella difensiva l’obiettivo, invece di essere ciò di cui si desidera acquisire il possesso, è ciò che deve essere difeso. La capitale, essendo considerata la sede del potere, diviene l’obiettivo principale della difesa». Infine, per fugare ogni dubbio sull’importanza data al centro di gravità, a proposito di punti strategici decisivi e di obiettivi, Jomini asserisce che «il più grande talento di un Generale, e la speranza più forte di successo, risiedono in una certa misura nella giusta scelta di questi punti». IL DIBATTITO NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE Negli ultimi anni, con il rinnovato interesse di Stati Maggiori e studiosi nei confronti del livello operativo della guerra, tutti i temi ad esso collegati sono stati oggetto di particolare attenzione. Tra questi, il concetto di centro di gravità, principe nella teoria della guerra, è stato il più dibattuto e ha dato origine a posizioni anche molto diverse tra coloro che si sono interessati all’argomento, siano essi estensori delle dottrine d’impiego nazionali o
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Lagunari durante un pattugliamento in Libano.
cultori della materia. In questo paragrafo si presentano le posizioni più rilevanti che hanno caratterizzato il dibattito nella joint community internazionale, allo scopo di fornire una visione panoramica di ciò che si intende per centro di gravità partendo dalla definizione riportata sui documenti dottrinali delle Forze Armate occidentali: il centro di gravità è quella caratteristica, capacità o località dalla quale una forza militare, nazione o alleanza, deriva la propria libertà d’azione, nonché la volontà e la capacità di combattere. James Schneider e Lawrence Izzo (1987) Il saggio di Schneider e Izzo apparso su «Parameters» rimane tuttora una delle più lucide e attendibili interpretazioni di ciò che Clausewitz intendeva per centro di gravità quando lo descrisse nel Libro VI del «Della Guerra». I due Ufficiali dell’Esercito statunitense, nel reputare molto chiaro l’intendimento del Generale prussiano espresso nel libro VI, fanno notare che è lui stesso a distinguere tra cosa debba essere considerato un centro di gravità e cosa no. Ad esempio, le vie di comunicazione che l’attaccante deve utilizzare per i movimenti delle forze sono dei meri mezzi attraverso i quali i Comandanti puntano al centro di gravità nemico.
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Per avvalorare la loro tesi, Schneider e Izzo analizzano due campagne tedesche della II Guerra Mondiale la cui pianificazione si avvalse del concetto inteso nel senso espresso nel Libro VI. Il successo delle fulminanti campagne tedesche dei primi anni della guerra è dovuto alla capacità di muovere e concentrare rapidamente le forze corazzate, che costituivano il centro di gravità tedesco. Nei mesi di ottobre e novembre 1939 Hiltler cambiò il piano della campagna adottando il punto di vista di Manstein e spostò il suo centro di gravità a sud, nella regione delle Ardenne. Ciò che rese decisivo il nuovo piano fu la penetrazione rapida del dispositivo tedesco che consentì la presa di Sedan ed il posizionamento del centro di gravità sul fianco e sul tergo del centro di gravità nemico, reso totalmente inefficace dalla paralisi di Comando e Controllo e dal devastante effetto psicologico che ne derivò. Lo stesso concetto si ritrova nella Direttiva n. 21 di Hitler del 18 dicembre 1940 emanata per la preparazione dell’operazione «Barbarossa», l’invasione della Russia del 1941: «Nell’area operativa divisa dalle paludi del Pripet in una metà nord e una metà sud, il centro di gravità deve essere posizionato nella parte nord. Qui devono essere previsti due Gruppi d’Armate quello più a sud dei quali ha il compito di aprirsi la strada, con forze corazzate e motorizzate particolarmente forti, a partire dall’area intorno a Varsavia fino ad annientare le forze nemiche presenti in Bielorussia. Il Gruppo di Armate dispiegato a sud delle paludi del Pripet deve posizionare il suo centro di gravità nell’area di Lublin per procedere nella direzione di Kiev allo scopo di avanzare velocemente con forti unità corazzate penetrando profondamente nel fianco e a tergo del dispositivo russo e schiacciarlo così lungo il Dniepr». Quindi due sottoaree, una a nord e una a sud delle paludi. Il centro di gravità dell’intero dispositivo era nella sottoarea nord e risiedeva verosimilmente nel Gruppo di Armate più a sud, con l’obiettivo di arrivare in Bielorussia e lì annientare le forze nemiche presenti. Anche il Gruppo di Armate posizionato nella sottoarea sud, sebbene non fosse il centro di gravità dell’intero dispositivo, ovviamente presentava al suo interno un suo proprio centro di gravità, che riceveva la posizione di partenza ed un compito. Entrambe le campagne sono coerenti con il significato clausewitziano di centro di gravità così come espresso nel Libro VI e, in particolare, confermano che il centro di gravità di una determinata unità, operante nell’ambito della Grande Unità complessiva, risiede laddove è posizionata la sua componente più potente, quella che può in effetti consentire alla forza complessiva di raggiungere il successo nell’operazione.
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Per Schneider e Izzo i problemi interpretativi sono originati dal contenuto del Libro VIII: «Qui incontriamo la causa della gran parte della indeterminatezza che circonda il centro di gravità. In tutta l’analisi del concetto esposta nel Libro VI, è chiaro come Clausewitz si riferisca agli Eserciti contrapposti quando parla dei centri di gravità». Ma nel Libro VIII «la natura fisica del concetto appare meno evidente.... In questa parte, in cui si parla dei Piani di Guerra ovvero del livello strategico, l’analogia perde efficacia. «Secondo i due Ufficiali, quindi, Clausewitz dopo aver in precedenza espresso con chiarezza cosa intendeva, nel trattare nel Libro VIII di quello che oggi definiamo il livello strategico della guerra, spinge semplicemente l’analogia troppo oltre, facendole perdere chiarezza e ingenerando così confusione nel lettore.
Ad ogni modo, il suo concetto di centri di gravità multipli equiparati a insiemi di obiettivi da colpire con attacchi aerei è il prevalente nella dottrina corrente delle forze aeree. Joseph Strange (1994)
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Una delle più efficaci e meglio articolate critiche alla definizione corrente, riportata all’inizio del presente paragrafo, viene mossa già nel 1994 da Joseph Strange, professore allo US Marine Corps War College. Attraverso una lucida analisi, supportata tra l’altro da una rivisitazione critica della traduzione più diffusa del «Della Guerra» di Michael Howard e Peter Paret, egli si oppone con decisione all’interpretazione dottrinale dello US Marine Corps (USMC) che intende il centro di gravità come vulnerabilità critica, in quanto ciò rovescia il vero John Warden (1988) significato clausewitziano del termine. Nella sua analisi del problema, Strange parte Insieme a John Boyd, il Colonnello Warden è il dalle osservazioni di Schneider e Izzo che conditeorico contemporaneo che con le sue opere ha vide appieno, in particolare per quanto attiene almaggiormente influenzato la dottrina dell’impiego le osservazioni sul significato del Libro VI. Condel mezzo aereo. corda anche nell’individuare nel contenuto del LiIl tema principale della sua bro VIII l’origine del problema, opera maggiore consiste nel ma prova ad andare più a fonIl successo delle fulminan- do nella ricerca delle cause, considerare la forza aerea in possesso di un’esclusiva capa- ti campagne tedesche dei non ritenendo plausibile la tesi cità di conseguire gli obiettivi primi anni della guerra è do - giustificativa proposta da strategici con la massima effie Izzo. In sostanza, vuto alla capacità di muove - Schneider cacia ed al minimo costo, tema Strange ritiene che Clausewitz nel cui ambito occupa un posto r e e c o n c e n t r a r e r a p i d a - non sia stato ben compreso in centrale il concetto di centro di mente le forze corazzate, ciò che voleva esprimere nel gravità, interpretato però in che, costituivano il centro di Libro VIII, per due ragioni: la maniera diversa rispetto a gravità tedesco traduzione, che può aver inavSchneider e Izzo. vertitamente tradito parte del Warden infatti, pur ritenendo significato originario, e il conanalogamente a quella che è la visione «terrestre» testo di riferimento, non tenuto sufficientemente del problema - che uno o più centri di gravità posin conto nelle interpretazioni che si sono succesano essere identificati ad ognuno dei tre livelli dute nel tempo. della guerra, lo definisce come «quel punto dove il Nel tentativo di comprendere da dove originasnemico è più vulnerabile e dove un attacco ha le se la fuorviante definizione di centro di gravità più alte possibilità di essere decisivo». come «caratteristica», Strange parte dalla definiNel fornire delle esemplificazioni, egli sostiene zione riportata nel libro VIII e la confronta con la che i centri di gravità si possono identificare coi traduzione del Colonnello J. J. Graham del 1874: sistemi d’arma (numero e tipo di aerei o di missi«that the great point is to keep the overruling reli), nella logistica, nelle infrastrutture di supporto lations of both parties in view. Out of them a alle operazioni, nelle risorse umane (numero e center of gravity ... will form itself...». Qui non si qualità dei piloti), nei sistemi di Comando e Conparla più di characteristics, ma di overruling retrollo delle forze. lations, il che rivela un’importante proprietà del In sostanza, in maniera riduttiva in quanto i secentro di gravità, ossia la sua natura relativa e condi sono contenuti nel primo, Warden assimila i «conflittuale»: un centro di gravità è rilevante socentri di gravità agli obiettivi strategici, quelli che lo se pensato in contrapposizione a un nemico. E nell’odierno glossario della pianificazione operatinon ad un nemico generico, ma ad uno ben preva sono chiamati punti decisivi e che possono esciso. È un concetto che non mantiene la sua valisere sia punti di forza del nemico sia debolezze, il dità al di fuori di un contesto di contrapposizioche non aiuta a fare chiarezza sul concetto e ad ne di volontà. applicarlo proficuamente. Nel 1991 la Guardia Repubblicana irachena rap-
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presentava il centro di gravità del livello operativo non già perché era ben addestrata e ben equipaggiata, ma per l’efficacia che poteva avere in combattimento contro il VII Corpo d’Armata americano nell’Iraq del 1991. Nel 2003 la Guardia Repubblicana era ancora considerata un centro di gravità iracheno in relazione al possibile suo impiego all’interno della capitale dove le forze della coalizione avrebbero potuto vivere un’esperienza simile alla battaglia di Stalingrado, eventualità peraltro prevenuta dalle forze della Coalizione che l’hanno attaccata e distrutta quando si trovava ancora in campo aperto a sud di Baghdad. Vista a posteriori, la maggiore minaccia risultava però essere portata dai Fedayn, almeno nel breve periodo, a causa della loro capacità di mantenere sotto il controllo di Saddam Hussein molte città del sud del Paese e minacciare così le lunghe linee di rifornimento che attraversano il Paese da nord a sud giungendo in Kuwait. Invece, per i Peshmerga curdi - facenti parte della Coalizione anti-irachena a guida statunitense il centro di gravità operativo nemico risultava ribaltato: per loro la Guardia Repubblicana, meglio protetta e dotata di notevole mobilità e potenza di fuoco, rappresentava di gran lunga la minaccia maggiore rispetto ai Fedayn. In sostanza, i centri di gravità sono per Clausewitz, così come interpretato da Strange, entità attive che agiscono in un determinato contesto. I centri di gravità concreti o fisici sono entità che attivamente cercano di distruggere le capacità operative e la volontà di resistere nemiche, mentre i centri di gravità astratti o intangibili sono entità che attivamente influenzano, o addirittura controllano, i centri fisici. Queste considerazioni non si leggono né si deducono dalla traduzione del «Della Guerra» di Howard e Paret, da dove invece emerge l’identificazione del centro di gravità come caratteristica, e quindi completamente svincolato dall’elemento conflittuale generato dalla presenza di un nemico in possesso di determinate capacità operative e dalla situazione in atto. Da qui, e pertanto da una errata traduzione, secondo Strange, nasce la definizione corrente di centro di gravità riportata in avvio di questo paragrafo. Sulla base di una rivisitazione critica del testo clausewitziano, Strange ritiene quindi che i centri di gravità, fisici o intangibili, siano entità: • attive, si pensi a persone, riunite in gruppi ovvero prese come individui; • evidenti, più quelli fisici, generalmente meno quelli intangibili; • potenti, in grado di cambiare una situazione politica o militare, risolvendo a proprio favore una contrapposizione di volontà.
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Egli definisce pertanto i centri di gravità come «entità - fisiche o intangibili - capaci di agire o di disporre azioni nel superamento di volontà contrapposte, in possesso di determinate capacità e che traggono vantaggio dal possesso di una certa località o porzione di terreno». Il senso del contributo di Strange sta nel considerare il centro di gravità come una entità animata, sorgente primaria di forza morale o fisica. Entità animata perché non può fare a meno delle persone (il popolo di una Nazione, i Capi politici e militari, gli Ufficiali di Staff, i soldati che compongono una unità militare, ecc.) da cui trae la sua forza morale, la volontà di resistere e di combattere. Solo la presenza dell’uomo può rendere tale un centro di gravità, una entità dinamica che può generare decisivi effetti tattici, operativi e strategici per modificare una situazione militare o politica. Mark Cancian (1998) Ovviamente, esistono anche delle posizioni fortemente critiche sulla effettiva utilità pratica del centro di gravità. Riportiamo qui la posizione di Mark Cancian, Colonnello dello USMC non più in servizio attivo, espressa in un articolo apparso sulla rivista dei Marines nel 1998. La posizione di Cancian, radicale e difficilmente condivisibile, non manca però di spunti interessanti. Egli sostiene non solo che il concetto promette risultati irrealizzabili in termini di focalizzazione delle operazioni alla ricerca del successo, ma addirittura che centri di gravità e vulnerabilità critiche semplicemente non esistono e che quindi sono concetti vuoti, privi di significato pratico. I pianificatori sono distratti dalla ricerca affannosa e irrinunciabile dei centri di gravità, mancando pertanto di pianificare al meglio il raggiungimento di più limitati ma concreti obiettivi, il cui conseguimento in successione può effettivamente avvicinare alla vittoria. Ma c’è di più. L’autore ritiene che i pianificatori, spinti da una dottrina che «statuisce» l’esistenza del centro di gravità, lo cercano finché non lo trovano. Se incontrano difficoltà a trovarlo lo inventano, e da esso fanno derivare di conseguenza le vulnerabilità critiche. Egli corrobora i suoi argomenti con l’esempio della Guerra del Golfo del ’90-’91 in cui la Coalizione, nonostante abbia raggiunto sia il centro di gravità designato al livello operativo - la Guardia Repubblicana - sia i punti decisivi devoluti a Marina e Aeronautica, non riuscì ad ottenere il risultato decisivo della cacciata di Saddam Hussein. La critica di Cancian non è molto convincente. Egli non prova ciò che sostiene, la non esistenza del centro di gravità. Inoltre, con l’esempio della Guerra del Golfo Egli involontariamente di fatto
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evidenzia che la campagna, basata sul concetto di centro di gravità, ha funzionato. Questo, identificato al livello operativo nella Guardia Repubblicana, è stato colpito e neutralizzato e Saddam Hussein è stato costretto a rinunciare almeno temporaneamente alle sue ambizioni egemoniche. La mancata rimozione del Dittatore iracheno è dipesa non già dalla inefficacia dell’azione condotta sul centro di gravità, ma dalla definizione dell’end state relativo alle «prime cento ore di conflitto», che non la prevedeva, e dalla mancata volontà del livello politico di ridefinirlo a seguito dei successi iniziali al fine di stabilire un nuovo ordine in Iraq e di conseguenza nella regione. Un altro punto in cui si esprime la critica dell’autore riguarda i rapporti tra livello politico e livello strategico. «Se i Comandanti dicono ai Capi politici (pochi dei quali hanno avuto esperienze militari) che una campagna avrà come obiettivo le vulnerabilità critiche del nemico e i suoi centri di gravità, questi saranno indotti a pensare che la campagna sarà più breve, meno costosa e meno rischiosa di quello che in realtà si verificherà». Va notato che le recenti operazioni condotte nei Balcani e nel Golfo Persico, con l’eccezione forse della Somalia, soprattutto per quanto riguarda gli americani, non sembrano confermare l’obiezione.
Una pattugliamento lungo una rotabile nel deserto.
Philip Giles and Thomas Galvin (1996) Peraltro, uno dei lavori più noti sulla individuazione e sull’analisi del centro di gravità mette in guardia i pianificatori a non cadere proprio in questo errore di fondo quando, nell’analisi del centro di gravità del livello strategico, li invita a porre al decisore politico alcune precise domande. Nel caso in cui dalle risposte emergano incoerenze tra fini ricercati da una parte e mezzi impiegabili e livelli di rischio accettati dall’altra, Giles e Galvin consigliano di procedere a una revisione delle finalità dell’operazione prima di intraprendere ogni azione militare. Ovviamente i due autori non offrono un approccio dottrinale completamente nuovo; ciononostante, mettendo a disposizione uno strumento di comprensione e analisi del concetto di centro di gravità finalizzato alla pianificazione e condotta delle operazioni ai livelli strategico e operativo, contribuiscono notevolmente alla comprensione dei termini del problema. Il costrutto teorico elaborato da Giles e Galvin distingue nettamente tra centro di gravità strategico e operativo. Mentre il primo è una entità in-
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Un VTLM «Lince» in Afghanistan.
variabile nel corso di tutto il conflitto e può solamente essere rimosso o eliminato, il centro operativo rappresenta una entità più dinamica, che può cambiare da una fase all’altra della campagna in coincidenza di variazioni nella composizione della forza, nella distribuzione delle capacità esprimibili, del cambiamento degli obiettivi operativi del nemico, ecc.. La parte più importante del loro contributo, l’aver fornito un metodo razionale per la identificazione del centro di gravità, «costringe» i leader politici e militari a definire attentamente esigenze, capacità, volontà di impiegare la forza militare diretta. Ogni carenza nella definizione di queste questioni porta inevitabilmente a uno sbilanciamento tra fini e mezzi, provocando effetti di secondo e terzo ordine contrari al raggiungimento dell’end state e conseguentemente influenzerà il centro di gravità amico in senso negativo. Milan Vego (2000) In un interessante e documentato articolo apparso nel 2000 su «Military Review», il già citato Vego propone la seguente definizione di centro
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di gravità: «fonte di potere concentrato - fisico o morale - la cui grave devastazione, neutralizzazione o distruzione può avere conseguenze risolutive sulla capacità del nemico o propria di compiere azioni militari». Il termine «concentrazione» qui non deve essere preso troppo alla lettera poiché ciò che interessa è l’effetto concentrato del potere bellico, e non che lo stesso sia fisicamente concentrato in una data area. Velivoli di base a terra o su portaerei possono provocare effetti concentrati senza essere necessariamente riuniti in gran numero in una zona specifica grazie al loro raggio d’azione, alla loro potenza distruttiva e alla precisione d’ingaggio. Lo stesso esempio vale per le forze navali, seppure con velocità diverse. Mentre, al contrario, le forze terrestri devono normalmente essere raccolte in uno spazio fisico relativamente piccolo per essere impiegate con efficacia. Tuttavia, anche nella guerra terrestre, l’aumento di velocità e portata delle moderne piattaforme consente di operare concentrazioni di forze in tempi decisamente più ristretti rispetto a quelli registrati, ad esempio, nel corso della 2a Guerra Mondiale. Secondo Vego, il valore principale del concetto di centro di gravità consiste nel fatto che esso fornisce un locus verso il quale tutte le fonti del potere di una nazione - militari e non - devono essere in-
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dirizzate, e che facilita enormemente la presa di possono essere elementi materiali o immateriali. una decisione razionale circa l’impiego delle forze. Alcune possono diventare in determinate condiUn centro di gravità ben identificato crea i migliozioni vulnerabilità critiche: sono quelle debolezze ri presupposti per la scelta del metodo con cui critiche, o parti di esse, particolarmente carenti servirsi degli elementi del potere nazionale, che si e/o particolarmente vulnerabili ad attacchi o ad traduce in un impiego più rapido e decisivo degli azioni di altro tipo (diplomatico, psicologico, ecc.). stessi. Inoltre, l’efficacia dell’azione contro il cenLe debolezze critiche, e quindi anche le vulneratro di gravità nemico e a difesa del proprio, genebilità critiche, si trovano nella componente esterna rando benefici effetti sull’intero sistema amico, del centro di gravità e possono essere sfruttate agevola enormemente le operazioni future. dall’avversario che, attaccandole, compie un’azioInteressante e originale è l’apporto di questo aune indiretta contro lo stesso. tore relativamente alla composizione del centro di Ogni centro di gravità si compone di elementi gravità. materiali e immateriali. Nella guerra terrestre i cenEgli ritiene infatti che un effetto concentrato del tri materiali possono essere una unità particolare o potere sia l’elemento fondamentale per l’emerl’insieme di tutte le forze; nella guerra navale lo gere o l’esistenza di un centro di gravità, a qualschermo di un convoglio, un gruppo d’attacco di siasi livello della guerra. Più grande e varia è la superficie, un gruppo da battaglia con portaerei; fonte del potere, più centri di gravità possono nella guerra aerea un elemento di una forza di vepotenzialmente esistere. Le fonti militari di potelivoli avente un altissimo potere bellico, come un re ovviamente predominano ai livelli operativo e determinato gruppo da caccia o da bombardamentattico, mentre gli aspetti non militari sono più to incluso in uno stormo della stessa specialità, opfortemente rappresentati ai livelli politico e strapure l’intero schieramento di aerei dei due tipi fategico. Va da sé che la parte militare del potere centi parte delle difese aeree di base a terra. Gli bellico di una forza, o di una sua frazione, è la elementi immateriali del centro di gravità includopiù critica del centro di gravità. no l’azione di comando, la dotGeneralmente il centro di gratrina, il morale e la disciplina, vità del potere bellico si compoUn centro di gravità ben tutti elementi difficili da quantine di un nucleo centrale e una identificato crea i migliori ficare. Più si sale nei livelli delle parte esterna. Il primo compren- presupposti per la scelta del operazioni militari, più gli elede la potenza di fuoco, la manoimmateriali sono impormetodo con cui servirsi de - menti vra e l’azione di comando. Si tanti per un centro di gravità. tratta di una parte in cui è fisica- gli elementi del potere na I pianificatori di operazioni mente concentrata quasi l’intera zionale, che si traduce in un militari, a tutti i livelli della massa. Il nucleo centrale però impiego più rapido e decisi - guerra, si trovano a dover afnon può esprimere la sua effica- vo degli stessi frontare due problemi di foncia senza altri elementi che fordo: definire i centri di gravità e niscono sostegno, protezione e analizzarli al fine di difendere integrazione e che compongono la parte esterna. al meglio quelli propri e di attaccare nel modo Seguendo una procedura in parte analoga a più efficace quelli nemici. quella presentata da altri autori, Vego sostiene che L’identificazione dei centri di gravità, se corretla definizione del centro di gravità debba avere tamente condotta, fornisce la risposta a cosa in inizio con quella dei fattori critici e con l’analisi definitiva deve essere fatto per conseguire gli scodegli stessi, individuale e collettiva. L’espressione pi dell’operazione e, conseguentemente, costringe si riferisce sia alle potenzialità critiche che alle dei decisori a valutare in sede di pianificazione se gli bolezze critiche di una forza militare o di altra interessi in gioco giustificano i rischi e i costi asfonte del potere nazionale. sociati all’azione che si intende intraprendere per Le potenzialità critiche sono quelle capacità consalvaguardarli. Inoltre, l’aver definito uno o più siderate vitali per il raggiungimento di un determicentri di gravità rappresenta la base di partenza e nato fine militare, ad esempio le Forze Armate nel il riferimento costante per la pianificazione della loro complesso, una singola Forza Armata, una campagna prima, e successivamente per la conduparte di una Forza Armata, le risorse non militari zione della stessa. presenti nel teatro operativo (industria pesante, Nella definizione e nell’analisi del centro di gragiacimenti minerari, ecc.). vità però occorre guardarsi da un rischio che si Le debolezze critiche sono quelle fonti di potere, presenta frequentemente. Il processo infatti, se bellico o non bellico, essenziali per il raggiunginon correttamente condotto, tende a degenerare mento dell’end state, ma presenti in qualità e/o nella ricerca di quello che gli anglosassoni chiaquantità potenzialmente insufficiente. Come le mano il silver bullet, una soluzione rapida ed inpotenzialità critiche, anche le debolezze critiche dolore al problema operativo, un punto magico su
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cui una breve e intensa azione «chirurgica», condotta evitando la parte forte del nemico, ne determini la caduta e con essa il collasso dell’intera struttura. La realtà delle cose militari è invece generalmente diversa e soprattutto i nemici di oggi - quali ad esempio i gruppi terroristici transnazionali - si presentano come sistemi complessi che non sempre o non immediatamente agiscono sulla base di logiche di pensiero, quali ad esempio il valore da attribuire alla vita umana, comuni alla cultura occidentale. L’INDIVIDUAZIONE DEI CENTRI DI GRAVITÀ «L’identificazione del centro di gravità del nemico e l’attenta definizione della sequenza di azioni necessarie alla sua neutralizzazione sono l’essenza dell’arte operativa». Lawrence L. Izzo (1988) Già nel 1988 l’allora Tenente Colonnello Izzo dell’Esercito statunitense, in un articolo dal titolo molto eloquente apparso su «Military Review», forniva numerosi spunti utili nella ricerca dei centri di gravità: • il centro di gravità rappresenta una concentrazione della forza nemica, della sua capacità di operare contro di noi, di quella, in particolare che gli è vitale nel conseguimento dei suoi fini; se è possibile colpirla direttamente, essa rappresenta il bersaglio di più alto valore; • considerare una singola componente del combat power nemico come il centro di gravità dell’intera compagine può non essere la scelta giusta: ad esempio, le unità di difesa aerea possono risultare vulnerabili, ma la loro distruzione, di per sé, ben difficilmente potrebbe dare la vittoria; potrebbe piuttosto rappresentare un mezzo per raggiungere il fine, un modo per rendere il cen-
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tro di gravità vulnerabile ad attacchi. Le infrastrutture di trasporto e le vie di comunicazione fanno anch’esse parte di questa categoria; • il centro di gravità non è da ricercare tra le debolezze nemiche. Queste, se vulnerabili e attaccate, possono essere utili alla vittoria solo se funzionali alla distruzione del centro di gravità, che è invece da ricercare tra i punti di forza nemici; • nella ricerca del suo centro di gravità, devono essere tenuti in debito conto i fini che il nemico intende perseguire. Il suo centro di gravità è la parte essenziale del suo combat power che dovrebbe consentirgli di conseguire i suoi obiettivi: lo scopo del nemico ed il suo centro di gravità sono intimamente collegati; • ogni livello della guerra presenta un differente centro di gravità. Al livello strategico la volontà del popolo di una Nazione può consentire di vincere o di perdere una guerra, ma deve essere supportata da adeguati centri di gravità dei livelli operativo e tattico. Un valido test per riconoscere un centro di gravità, e non scambiarlo per qualcosa di funzionale ad esso, è fornito dal Colonnello Dale Eikmeier dell’Esercito degli Stati Uniti. Si tratta del does/uses test. Il does test individua le capacità critiche che consentono ai centri di gravità di conseguire obiettivi; dalla capacità critica si risale poi al centro di gravità. Lo uses test identifica il mezzo che il centro di gravità usa per conseguire i suoi obiettivi. Per chiarire il significato del test l’autore fornisce un esempio avulso dalle operazioni militari. Una ferrovia si compone di binari, carburante, operatori, vagoni, locomotori, personale di supporto tecnico, amministrativo e commerciale. La capacità critica della ferrovia è quella di muovere i carichi, posseduta solamente dal locomotore, che in grado di fare (does) questa cosa e che è quindi il centro di gravità del sistema. Solo il locomotore ha in sé la capacità di generare la forza che serve a muovere i carichi e quindi adempiere alla missione. Tutti gli altri componenti del sistema sono mezzi, talvolta indispensabili, ma pur sempre mezzi. John Warden (1988) Partendo dalla propria definizione di centro di gravità come vulnerabilità critica, Warden ritiene che la corretta identificazione dei centri di gravità stessi rappresenti il primo, critico passo nella pianificazione di un’operazione. Ma nonostante già in «The Air Campaign» Warden sottolinei questo, un contributo in tal senso arriverà da parte sua solamente dieci anni più tardi. Lo Strategic Rings Model è uno strumento di analisi per la determinazione dei centri di gravità che prevede la presenza di cinque distinte funzio-
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alleanze. Esiste infine un modello ancora più sofisticato che può essere usato per determinare il centro di gravità del nemico inteso come sistema complesso: la c.d. analisi nodale, una sorta di studio dettagliato delle interconnessioni tra gli elementi di un sistema e tra il sistema e i sistemi correlati, finalizzato alla ricerca dei nodi-chiave che, se colpiti, determinano la caduta dello stesso. Philip Giles and Thomas Galvin (1996) Nel 1996, nel loro già citato saggio Giles e Galvin scrivevano: «La definizione del centro di gravità è un aspetto che, sebbene sia critico, è poco compreso e scarsamente applicato» per mancanza di un processo strutturato che porti all’identificazione del centro di gravità stesso. Nella loro visione del problema, il processo di identificazione serve a due scopi: primo, a definire cosa deve essere fatto per raggiungere l’end
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ni presenti in ogni sistema complesso: leadership, servizi essenziali, infrastrutture, popolazione, forze combattenti, rappresentate sotto forma di anelli concentrici; il più interno - e quindi più importante per il funzionamento del sistema complessivo è la leadership, e poi a seguire gli altri così come elencati in figura 1. All’interno di ogni anello sono presenti uno o, più realisticamente, una serie di centri di gravità che rappresentano the hub of all power and movement per quell’anello. Se distrutto o neutralizzato, quell’anello cessa di essere efficace e quindi di contribuire - più o meno in funzione della sua posizione più o meno interna - all’efficacia del sistema generale. Per identificare i centri di gravità all’interno di ciascun anello, Warden propone l’ulteriore suddivisione di ogni anello in cinque sotto-anelli che rappresentano a loro volta le stesse funzioni degli anelli principali (leadership, system essentials...) riferite a quel determinato sotto-anello. Sono possibili ulteriori suddivisioni finché non si arriva a «scoprire» i centri di gravità. La sostanza del costrutto di Warden sta nel considerare la leadership come il primo e più importante elemento su cui incentrare il piano strategico. Anche se la leadership non presenta centri di gravità, nel definire e colpire i centri degli altri anelli lo scopo ricercato deve essere quello di paralizzare la mente del Comandante nemico. Il messaggio è che la distruzione o la neutralizzazione della leadership produce la paralisi fisica totale del sistema, mentre gli attacchi sugli altri anelli comportano solo un aumento della pressione sul Comandante. Pur non disconoscendo gli interessanti apporti del modello di Warden, questo nasce e rimane un Air Force oriented model, difficilmente applicabile in toto alla soluzione del problema operativo complessivo in un’ottica interforze e interministeriale. Una delle limitazioni del modello sta nell’assenza di connessioni tra anelli, considerati isolati nel loro funzionamento. Mentre il comportamento di un sistema è spesso influenzato o addirittura determinato proprio dalla sua interazione con altri sistemi. Per superare tale limite il Maggiore dell’US Air Force Jason Barlow propone un sistema simile in cui però i sotto-sistemi del sistema complessivo sono rappresentati da sfere, di varia grandezza in funzione dell’importanza rivestita nei confronti del sistema generale, collegate tra loro da segmenti il cui spessore è direttamente proporzionale alla criticità dell’interazione dei due sotto-sistemi. Nell’esempio in figura 2, le sfere possono rappresentare: (1) la leadership, (2) l’industria, (3) le Forze Armate, (4) la popolazione, (5) il sistema dei trasporti, (6) le comunicazioni, (7) il sistema delle
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state valutando se gli interessi in gioco giustificano i costi e i rischi connessi; secondo, a costituire il punto di partenza del processo di pianificazione della campagna, l’elemento di focalizzazione del pensiero e degli sforzi per i pianificatori e per le forze incaricate di condurre l’operazione. Partendo da Clausewitz, Giles e Galvin definiscono il centro di gravità come «il fondamento della capacità» e finalizzano lo studio all’identificazione del centro di gravità ai livelli strategico e operativo, ritenendo che esista per ogni unità militare un centro che rappresenti «l’origine della sua potenza e della sua forza». I due Ufficiali sottolineano che al livello strategico (nazionale, di alleanza, di coalizione) può esistere un solo, immutabile, centro di gravità, e che questo non vada confuso con altri concetti che pure giocano un ruolo importante nella pianificazio-
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ne - quali obiettivo strategico, punto decisivo, vulplan, e delle variazioni che possono intervenire nerabilità-chiave - affermando con ciò la primazia campagna durante negli scopi e nelle capacità del centro di gravità su questi ultimi che evidenteesprimibili. mente sono entità logicamente da esso generate. Il processo delineato riguarda tanto il centro di Il processo di identificazione, analisi e applicagravità nemico quanto quello amico. zione del centro di gravità proposto si compone di tre fasi. LA DEFINIZIONE DELLE VULNERABILITÀ CRITICHE Nella fase I (situazione) gli aspetti rilevanti dell’ambiente strategico di riferimento sono «passati al filtro» attraverso nove fattori: demografiUna volta individuato, il centro di gravità nemico, economico, geografico, storico, internazioco va analizzato per capire come attaccarlo e conale, militare, politico, psicologico e relativo agli me renderlo inefficace. Il centro di gravità amico interessi/obiettivi, allo scopo di far emergere va parimenti conosciuto al fine di definire il piatutte le entità che potenzialmente possono rapno migliore per difenderlo e preservare così la presentare un centro di gravità. sua efficacia. Nel primo passo della fase II (identificazione ed Il principale apporto viene ancora una volta da analisi), ogni potenziale centro di gravità è definiStrange con la definizione del cosiddetto critical to e testato allo scopo di selezionarne uno. Giles capability (CC), critical requirement (CR), critical and Galvin infatti ritengono che possa esistere un vulnerability (CV) process grazie al quale, con l’insolo centro di gravità strategico ed uno solo opetroduzione delle CC e delle CR, viene a determirativo, quantomeno in un determinato periodo di narsi il collegamento logico tra il centro di gravità tempo, e pertanto consigliano di arrivare, al termie le sue vulnerabilità critiche. ne dell’analisi, ad avere un solo centro. Se dovesIn sintesi, un centro di gravità per essere tale dese «sopravviverne» più d’uno, la ve possedere caratteristiche, ragione è da ricercare nella inqualità e capacità (le CC) le Una volta individuato, il quali per potersi esprimere corretta esecuzione del test. In un secondo passo viene centro di gravità nemico va hanno bisogno di risorse, di analizzata la possibilità e i modi analizzato per capire come mezzi, ovvero del verificarsi di di influenzare il centro di gravi- attaccarlo e come renderlo determinate condizioni (i CR). tà nemico, direttamente o indidi questi possono rapinefficace. Il centro di gravi- Alcuni rettamente, e l’impegno correlapresentare delle vulnerabilità tà amico va parimenti cono- (le CV) che, se ben sfruttate to in termini di risorse e rischi. s ciuto al fine di definire il (nel caso del centro di gravità Da ultimo, vanno determinati i punti decisivi e le vulnerabilità- piano migliore per difender - nemico) o protette (nel caso di chiave. lo e presetrvare così la sua quello amico), determinano la Giles e Galvin propongono an- efficacia decisione del conflitto, nell’un che un criterio, sotto forma di senso o nell’altro. domanda, per testare i centri di Di seguito una sintetica degravità potenziali. Per quanto riguarda lo strategiscrizione dei termini che utilizza il costrutto. co, il test è superato se la seguente domanda riceCapacità Critiche (Critical Capabilities - CC). ve risposta affermativa: «Possono le azioni ritenuOgni centro di gravità possiede certe caratteristite adeguate (distruggere, sconfiggere, ritardare) che che, in un determinato ambiente operativo e applicate sul centro di gravità in esame determicontro un preciso nemico, lo qualificano come tanare gli effetti che impediscono al nemico di ragle. La domanda da porsi per determinare quali siagiungere i suoi obiettivi e favoriscono il raggiunno le CC è la seguente: «che cosa rende questo gimento dei nostri? E tutto ciò potrà essere decisicentro di gravità importante in questo scenario?». vo? Per il centro di gravità operativo la domanda è: Alcune risposte (CC) possono essere: può distrug«Potrà una azione condotta con successo contro il gere qualcosa di essenziale; può consentire il ragcentro di gravità in esame farci raggiungere i nogiungimento di un obiettivo; può impedire stri obiettivi in modo decisivo e negare al nemico i l’adempimento della missione. suoi? Ed è quella l’azione più adeguata ed efficace Una CC si esprime generalmente con un verbo che può essere scelta?». (es. «interdire i Task Group che trasportano la forIn fase III (esecuzione) il centro di gravità preza anfibia»). scelto viene costantemente monitorato, allo scopo Esigenze Critiche (Critical Requirements - CR). di valutare ogni elemento che possa corroborarne Sono condizioni, risorse, mezzi necessari ad un o meno la scelta, in un processo iterativo che tiecentro di gravità affinché possa esprimere la sua ne conto dei nuovi fattori che entrano nel conflitCC. Alcuni esempi: to e dei conseguenti cambiamenti nel campaign • condizioni meteo favorevoli;
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centro di gravità. Tutto dipende dalla disponibilità del porto. Dobbiamo prima prenderlo e poi potenziarlo fino a fargli movimentare 100 000 colli al giorno». Quante volte avete sentito o letto cose di questo genere? In effetti il nostro porto può essere considerato «il fondamento della capacità» e «il concentrato di tutta la capacità di combattimento e di movimento», ed è certamente un «fattore critico» indispensabile per il Comandante, così come riportano le maggiori pubblicazioni delle Forze Armate americane. Ma in casi come quello descritto, in cui i Comandanti individuano il centro di gravità in un elemento di natura logistica, il processo che ha portato alla decisione non ha funzionato. Il pensiero è stato qui influenzato da schemi che mescolano assieme concetti di dipendenza, di vulnerabilità e di forza associati ad un singolo fattore critico («da cui tutto dipende», secondo il Comandante), con il risultato di portare quel fattore a essere designato come «un» o addirittura «il» centro di gravità. Il nostro porto infatti non metterà fuori combattimento un solo soldato nemico, non porterà nessun efficace attacco al sistema avversario, non contrapporrà alcuna resistenza alla manovra nemica. Così come non conquisterà un solo metro quadrato di terreno, e non sarà minimamente in grado di distruggere le infrastrutture militari o civili nemiche. Il porto potrà supportare tutte queste attività, ma di per sé non potrà realizzarne nessuna. Per questo il nostro porto non è centro di gravità nella accezione clausewitziana del termine. Esso è invece un elemento critico necessario per il supporto del vero centro di gravità, l’unico in grado di contrastare la capacità di combattimento nemica per resistere alla volontà di combattere dell’avversario ed annientarla.
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• intelligence affidabile e tempestiva; • puntuali rifornimenti di carburanti e munizioni; • capacità di procedere a 60 km/h per 6 ore nel deserto; • l’adempimento della missione da parte della forza X (che è la condizione necessaria affinché la forza Y possa assolvere la sua); • 80 % di consenso popolare (percentuale minima di consenso di cui il leader politico ha bisogno); • linea di comunicazione marittima sicura da A a B. Vulnerabilità Critiche (Critical Vulnerabilities CV). Sono quei CR, o loro parti, vulnerabili al punto tale che la loro neutralizzazione può impedire al centro di gravità l’espressione della sua CC e determinare così l’esito del conflitto. Raramente, il successo nell’operazione può essere ottenuto concentrando l’attenzione su di una sola CV (che è una CR vulnerabile). Normalmente l’attenzione deve ricadere su di una serie di CV da neutralizzare/interdire/attaccare in sequenza o, meglio, simultaneamente alla ricerca di un effetto cumulativo foriero di risultati decisivi. Una CV si esprime con una frase che descrive la condizione di vulnerabilità del centro di gravità. Ad esempio: • un attacco può causare l’inagibilità temporanea del porto; • dal D+13 i rapporti di forza saranno via via sempre più sfavorevoli fino al D+21; • vulnerabile ad attacchi aerei una volta che la difesa aerea è stata neutralizzata. Nella prassi normale, lo studio del centro di gravità condotto secondo il CC-CR-CV process viene visualizzato attraverso una tabella da leggersi procedendo da sinistra verso destra. L’esempio in tabella 2 è tratto dall’operazione «Chromite» e rappresenta l’analisi del centro di gravità (CoG) nord-coreano. Infine, un brano dello stesso Strange può contribuire a chiarire ulteriormente i termini del suo processo logico. Il Comandante batte il pugno sul tavolo ed esclama: «Il porto! Non possiamo fare niente senza il porto! È la chiave di tutta la campagna. È il nostro
Fabio Cornacchia Tenente Colonnello, Capo Sezione Pianificazione del Comando Logistico dell’Esercito
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REGIONAL COMMAND WEST: IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA
REGIONAL COMMAND WEST: IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA Il recente impiego della Brigata «Friuli» in Afghanistan ha permesso alla Grande Unità non solo di contribuire appieno al raggiungimento degli obiettivi di ISAF ma anche di incrementare e migliorare la propria capacità operativa.
Alla fine di dicembre 2007 la Brigata aeromobile «Friuli» ha ricevuto l’incarico di costituire il framework del Regional Command West (RC-W) dell’International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan, Comando multinazionale a guida italiana con il contributo di Spagna, Slovenia e Lituania. Fino a quel momento tale compito era stato assolto da personale non appartenente ad alcuna unità organica e le singole posizioni erano ricoperte da personale individuato in maniera autonoma. L’evoluzione della situazione e l’incremento della minaccia ha portato alla decisione di utilizzare un Comando Brigata organico caratterizzato da un maggiore amalgama fra i singoli componenti. La scelta è ricaduta su tale Brigata,
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che concludeva nel gennaio 2008 il suo impegno con la NATO quale Comando Brigata NRF-9, dopo aver superato i cicli addestrativi e valutativi nazionali e NATO. IL CONTESTO OPERATIVO L’Area di Responsabilità (AoR) assegnata a RC-W è costituita da una superficie ampia circa 160 000 Km2 e comprende le province di Herat, Farah, Badghis e Ghor. Nell’ambito dell’operazione framework «Shamshir», condotta dal 1° marzo al 31 ottobre, la Brigata aeromobile «Friuli» ha ricevuto dal Comando ISAF di Kabul, il compito di incrementare le condizioni di sicurezza, di garantire la libertà di movimento lungo le principali vie di comunicazione e di supportare il programma FDD (Focus District Development) , che prevede l’insediamento e lo sviluppo della polizia in alcuni distretti considerati cruciali. Nell’ambito di tale missione, oltre alle normali attività di pattuglia, di scorta convogli, sono state concepite e condotte due operazioni principali nelle aree critiche dell’AoR: l’operazione «BazaA sinistra. ar», nella provincia meriCartina dell’Afghanistan. dionale di Farah e l’operazione «Kohra», nella proIn apertura. Un «soldato» della comvincia settentrionale di pagnia Aquila durante Badghis. un'attività di sorveglianza. Per l’assolvimento della
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king Process). Oltre a questi facevano parte del JOPG anche i rappresentanti dell’ANP, dell’Operational Mentor and Liaison Team (OMLT), unità inquadrata in RC-W che si occupa di mentorizzare l’ANA, e dell’Afghan Regional Security Integration Command - West (ARSIC-W), unità americana Enduring Freedom che si occupa di mentorizzare ANA e ANP. Tale approccio, pur con le difficoltà derivanti dall’utilizzo degli interpreti per tradurre dall’inglese al dari, che comunque costituiscono un «filtro», ha permesso di affrontare insieme, problematiche di varia natura, giungendo alla condivisione reciproca delle informazioni, alla risoluzione congiunta di problematiche logistiche e all’inteUna fase della pianificazione congiunta. grazione delle rispettive Tattiche e Procedure. Questo nuovo modus operandi, rivelatosi da subito produttivo, è sfociato nella realizzazione di un missione assegnata, RC-W ha avuto a disposidocumento unico contenente una missione, un inzione un battaglione di manovra italo-spagnolo, tento e un End State approvato e firmato da tutti i costituito da 4 compagnie: 3 italiane e 1 spaComandanti: il Joint OPORD. gnola; una Joint Air Task Force con assetti aerei Un elemento subito emerso è stata l’impornazionali delle tre Forze Armatanza di condurre le operaziote: il Task Group (TG) «Fenice» ni in stretto coordinamento fra con gli A-129 «Mangusta» e i Un elemento subito emer- i diversi alleati, al fine di masCH-47 dell’Esercito; il TG «An- so è stata l’importanza di simizzare gli effetti desiderati. cora» con gli SH-3D della Masituazione ha imposto ai condurre le operazioni in Tale rina Militare; il TG «Astore» diversi attori che agiscono con i «Predator» e il TG «Tigre» stretto coordinamento fra i nella stessa area di condurre con gli AB-212 dell’Aeronauti- d i v e r s i a l l e a t i , a l f i n e d i operazioni congiunte negli ca Militare. Oltre a questi as- massimizzare gli effetti de - stessi OPBOX, evitando azioni di «fuoco amico». setti aerei nazionali, RC-W in- siderati A questo principio è legato quadra altre 2 unità fornite l’idea di «Boxing - Packaging dalla Spagna: il TG «Asphuel» - Bubbling». Tale concetto è stato adottato per con 3 CH-47 e il TG «Helisaf» con 2 «Super Pufornire alle diverse forze operanti sul terreno un ma», questi ultimi con funzione MEDEVAC. sistema chiaro e inequivocabile per deconflittare, ma al tempo stesso armonizzare le reciproLA PIANIFICAZIONE CONGIUNTA che operazioni. Il primo passo «Boxing», permette la creazione delle cosiddette OPBOX, porL’approccio che si è voluto adottare è stato quelzioni di aree all’interno delle quali si svolgono le lo di coinvolgere l’Afghan National Army (ANA) e l’Afghan National Police (ANP) in tutte le attività operative a partire dalla fase di pianificazione, al fine di mostrare, in aderenza alle disposizioni impartite dal comando ISAF, «l’Afghan face». Fin dalla pianificazione dell’operazione «Bazaar» è stato costituito il JOINT Operational Planning Group, che si riuniva 2-3 volte alla settimana, al quale partecipavano principalmente i rappresentanti di RC-W e dell’ANA, in particolare, i membri delle branche J2, J3 e J5 discutevano su come risolvere il problema militare derivante dalla missione assegnatagli dai Comandi superiori utilizzando il Processo Decisionale di Pianificazione (Military Decision Ma-
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Una riunione del Joint Operational Planning Group.
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La firma del Joint OPORD.
operazioni; con il secondo passo «Packaging», si creano le Task Forces, pacchetti di forze realizzati con il contributo di tutti gli attori; il terzo passo «Bubbling» consiste nel creare delle «bolle» attivate di volta in volta per agire in maniera mirata ed incisiva senza sovrapposizioni nel tempo e nello spazio. OPERAZIONE «BAZAAR» L’operazione «Bazaar», concepita e condotta da RC-W in supporto alle forze di sicurezza afghane, nell’ambito dell’operazione «Shamshir», aveva l’obiettivo di creare le condizioni per riportare la Governance nel distretto di Bakwa, dove da mesi non vi era presenza di autorità statali afghane e tantomeno di forze di polizia. L’operazione ha visto impegnate tutte le forze Truppe appiedate ricercano eventuali IED prima del passaggio dei mezzi.
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di manovra e gli assetti aerei di RC-W sopra menzionati. Delle Forze Armate afghane hanno partecipato 2 Kandak (battaglioni) del 207° Corpo d’Armata dell’ANA, unità dell’ANP (polizia afghana), entrambi con i propri mentors, e una compagnia del 2°/7° US Marines. L’operazione ha previsto la cinturazione dell’abitato di Bakwa e successivamente l’ANA, con mentors italiani (OMLT di RC-W), ANP e Marines hanno occupato il villaggio e la stazione di polizia, inattiva da circa un anno. L’attività informativa ha anticipato l’impiego da parte nemica di ordigni esplosivi improvvisati (IED) temendo lo scontro diretto e concentrandosi con azioni di fuoco molto rapide, tipo imboscate. Durante il dispiegamento del dispositivo per la cinturazione della zona obiettivi, fino al giorno precedente l’ingresso a Bakwa le forze di sicurezza afghane e forze speciali americane hanno subìto numerosi Troop in Contact (TIC) nella zona di Shewan, roccaforte degli Insurgents, e spesso il disingaggio è avvenuto grazie al supporto aereo ravvicinato. Le forze impegnate hanno operato in un’impressionante cornice di sicurezza, fornita grazie anche all’impiego continuo degli A-129 «Mangusta», che ha giocato un effetto psicologico essenziale per lo sviluppo della manovra. Essa si è sviluppata lungo tre differenti vie di facilitazione dando all’avversario una dimostrazione di forza e di coordinamento. Per fronteggiare la minaccia degli IED, lunghi tratti sono stati percorsi dai reparti di fanteria appiedati. Grazie a questa tecnica, i nostri soldati hanno rinvenuto e neutralizzato parecchi dispositivi; tuttavia il giorno d’ingresso a Bakwa, nonostante le precauzioni adottate, un IED ha gravemente danneggiato un mezzo ANA causando il ferimento di alcuni militari afghani.
OPERAZIONE «KOHRA»
Unità italiane e dell'ANA durante l'operazione «BAZAAR».
Come la precedente. anche questa è stata pianificata in coordinamento con i nostri partners (ANA, ne «Kohra»: arrivare a Bala Morghab, occupare la ANP e ARSIC-W). Il compito era quello di assistere, FOB, mantenere il controllo dell’area mediante pattugliamenti e check point. con il contributo di ARSIC W, il 207° Corpo d’Armata dell’ANA e l’ANP nell’estendere la sicurezza Da Herat a Qala e Naw la percorrenza dell’ase la libertà di movimento nel dise Alfa non aveva particolari stretto di Bala Morghab per problemi, invece la minaccia consentire lo sviluppo del proPer gli Insurgents, la no - si intensificava ogni qual volgramma FDD. stra presenza nell’area ha ta si raggiungeva Golo Jirak, Analizzati il terreno, la viabiliDoursori e Akazai. r a p p r e s e n t a t o e r a p p r e - Mangan, tà, i tempi di percorrenza e di Infatti, a partire dalla ricognivolo esistenti fra Camp Arena e senta una minaccia e un zione di Bala Morghab, conil distretto di Bala Morghab, in impedimento alla loro li - dotta nel mese di luglio, gli fase di pianificazione è emersa bertà di movimento Insurgents hanno attaccato il la necessità di disporre di una nostro convoglio composto maggior aderenza del supporto da plotoni della TF «Aquila» di fuoco fornito dai «Mangusta» e del supporto loper ben due volte nell’area tra Mangan e Golo gistico. È stata prevista pertanto la realizzazione di Jirak. I nostri uomini, dopo aver subito l’attacun Forward Arming and Refueling Point (FARP) a co con mortai, RPG ed armi portatili, hanno riQala e Naw per il rischieramento degli elicotteri e sposto al fuoco; in loro supporto sono interveuna Patrol Base (PB) a Mangan, per permettere alle unità di effettuare i movimenti da Qala e Naw a Bala Morghab in due tempi. Il mese di luglio ha visto RC-W impegnato nella fase di «costruzione» delle sopraccitate strutture, ritenute punti decisivi per poter proseguire con la fase successiva. Essa ha rappresentato dunque un enorme sforzo logistico più che operativo: il FARP di Qala e Naw è stato realizzato entro luglio e ad agosto è stata realizzata la PB di Mangan. A questo punto è iniziata la fase decisiva dell’operazio-
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La compagnia «Aquila» prende possesso della struttura dove è stata realizzata la FOB.
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nuti anche gli A-129 «Mangusta», confermando la necessità di avere gli elicotteri da combattimento rischierati a Qala e Naw. Dal 4 agosto, con il rischieramento della TF «Aquila» nella FOB di Bala Morghab, è iniziata la fase III dell’operazione «Kohra. Per gli Insurgents, la nostra presenza nell’area ha rappresentato e rap-
ai rifornimenti logistici. Tale situazione (due IED avevano provocato la morte di un soldato americano e due afghani) ha imposto di optare per i rifornimenti con elicottero (CH-47 e MI-8) e aviorifornimenti con C-130. Durante tutto il mese di agosto, la TF «Aquila» di concerto con le forze ANA, ANP e i loro mentors (RC-W OMLT ed ARSIC-W), hanno effettuato pattuglie, realizzato Check Point , occupato Posti di Osservazione per poter sottrarre terreno al controllo nemico e garantire così la libertà di movimento necessaria al conseguimento del prefissato End State di «Kohra»: FOB di Bala Morghab costruita, ponte sul fiume Morghab posizionato. Contemporaneamente si è agito anche su un altro fronte: intensa attività Info Ops mediante dialogo con gli Elders locali al fine di convincerli delle ragioni della nostra presenza, attività PSYOPS, Medical Civil Affair Patrols , e distribuzione di aiuti umanitari.
Sopra. La firma del Joint OPORD. A destra. Uomini della compagnia «Aquila» impegnati in un posto osservazione sulle colline ad ovest rispetto alla FOB di Bala Morg. Sotto. Un CH-47 dell'Esercito Italiano durante la fase di avvicinamento in prossimità della Patrol Base di Delaram.
IL TACTIICAL COORDIINATIION CENTRE
presenta una minaccia e un impedimento alla loro libertà di movimento; questo è confermato dal fatto che la FOB ed i successivi convogli diretti a Bala Morghab sono stati oggetto di attacchi con armi portatili, mortai ed RPG. La minaccia IED si è manifestata in maniera ininterrotta lungo l’itinerario utilizzato per raggiungere la FOB, comportando non poche difficoltà
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Lo sforzo maggiore che si era prefigurato in fase di pianificazione era quello di poter disporre di un sistema di Comando e Controllo (C2) idoneo a gestire un’operazione che vedeva impegnate tutte le forze coinvolte. Tale difficoltà è stata superata con un Tactical Coordination Centre (TCC) per seguire le attività, coordinarne l’esecuzione e, qualora necessario, deconflittarle. L’esigenza di questo strumento si percepisce per la prima volta durante la pianificazione dell’operazione «Bazaar», la prima grande operazione condotta in modo congiunto nell’AoR di RC-W. Il sistema individuato consisteva nel creare un centro di coordinamento nel quale far confluire le informazioni raccolte da ciascun alleato; queste venivano elaborate in maniera congiunta al fine di trarre le opportune deduzioni e conclusioni da inoltrare ai rispettivi Comandi. Allo stesso modo gli ordini provenienti dai Comandi,
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opportunamente deconflittati, venivano inoltrati Le unità a Bala Morghab mentre ricevono un aviorifornimento. alle unità dipendenti. I risultati ottenuti sono stati molto buoni. La capacità di combinare, confrontare e integrare le informazioni fornite da ciascun partner, delineprobabilmente la componente essenziale per il ando un chiaro e completo quadro della situanuovo modo di condurre le operazioni militari. Se zione in tempo reale, ha sicuben coordinata è in grado di ramente fornito un elevato vainfluenzare i gangli fondamenlore aggiunto, dando la possiTali attività rappresentano tali della società, costituiti da bilità di intervenire pronta- uno strumento non «cineti- personale governativo, e dai mente all’esigenza. local leaders. Tali attività rapco», un moltiplicatore di ef- presentano uno strumento non fetti, utilizzato nei confronti «cinetico», un moltiplicatore di di «targets» al fine di sup- effetti, utilizzato nei confronti INFO OPS portare la manovra di «targets» al fine di supportaL’attività di influenza nei conre la manovra. fronti del «Target Audience» Pertanto attività tattiche CIMIC, autorizzato è stata fondamentale per il successo distribuzione di aiuti umanitari, MEDCAP, integrate delle attività operative. L’attività di Key Leader Enai cosiddetti «Quick Impact Projects», si sono rivegagement (KLE) e Face to Face (F2F), si è rivelata late essenziali nel corso delle operazioni.
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Un A-129 «Mangusta» in missione di scorta.
Fondamentale anche l’atteggiamento e la presenza. Lo «show of force/presence» è elemento di deterrenza per la capacità dell’avversario e si è rivelato importante per separare gli Insurgents dalla popolazione locale. L’IMPIEGO DELL’ALA ROTANTE L’elicottero, strumento importante per la condotta delle operazioni terrestri, in questo teatro si è rivelato fondamentale. Le dimensioni dell’AoR e le precarie condizioni di percorribilità delle vie di comunicazione, rendono l’Afghanistan, e in particolare la regione occidentale di nostra responsabilità, un terreno difficile. In questa particolare situazione e tipologia di terreno, l’invio di un meccanico a Bala Morghab, il rifornimento logistico di una unità a Delaram, il trasporto dei Carabinieri del Tuscania ad Adraskan e la visita del Comandante a un’unità, per citare solo alcuni esempi, sono problemi operativi che possono essere affrontati e risolti solo con l’im-
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piego degli elicotteri. Oltre alle missioni di questo genere, si è rivelato di enorme importanza l’impiego dell’A-129 «Mangusta» come supporto alle attività condotte dalle unità di manovra. Questo elicottero ha, infatti, assolto compiti di deterrenza durante i movimenti critici sul terreno ed è stato impiegato come Close In Fire Support (CIFS), per effettuare ricognizioni e per scortare gli elicotteri da trasporto in aree caratterizzate da un elevato livello di minaccia, come ad esempio Bala Morghab durante l’operazione «Kohra». I risultati ottenuti sono stati eccellenti. Il solo sorvolo delle nostre unità di manovra mostrava un’imponenza e una dimostrazione di forza tale da dissuadere gli Insurgents dall’intraprendere qualsiasi azione ostile nei nostri confronti. RISULTATI CONSEGUITI I sei mesi di attività intensa condotta nell’area hanno consentito al RC-W di poter agire in tutte le Linee Operative costituenti la missione assegnatagli: Security, Governance, Reconstruction & Development (R&D). Le operazioni, «Bazaar» e «Kohra», oltre a sup-
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portare il programma FDD, hanno permesso alle l’attività di RC-W si è articolata seguendo tre diAfghan National Security Forces (ANSF) e alle forrettrici principali: ze ISAF di assumere il controllo di distretti che fi• le attività CIMIC sviluppate in supporto alle openo a quel momento non avevano visto alcuna prerazioni condotte dal Battle Group con particolare senza governativa afghana nè tantomeno NATO. riferimento alla fornitura di assistenza sanitaria La riuscita di tali operazioni ha consentito l’inse(MEDCAPs) e alla distribuzione di aiuti umanitari diamento presso il villaggio di Bakwa di una sta(HA) al fine di promuovere il consenso della pozione della Afghan National Police (ANP), mentre a polazione locale, migliorare le condizione di siBala Morghab è stata realizzata una FOB, destinacurezza nell’AoR e assicurare libertà d’azione/lita a ospitare truppe di RC-W, ANA e ANP garanbertà di movimento (FOA/FOM) alle forze di matendone una presenza permanente, e un nuovo novra; ponte sull’omonimo fiume, progetto ritenuto di • l’attività di ricostruzione e sviluppo e supporto importanza strategica da COMISAF. alla Governance condotta dai PRT con particolaÈ stato incrementato, per la prima volta in RC-W, re riferimento a quello di Herat per lo sviluppo di la porzione di AoR caratterizzata da una presenza progetti concordati congiuntamente con le autostabile e permanente di forze ANSF/ISAF con un rità locali; decisivo incremento in termini di controllo del ter• la fornitura di assistenza sanitaria attraverso i ritorio e sicurezza. ROLE 1 e 2 di Camp Arena e dei PRT di Herat, La più estesa presenza sul territorio, ha permesFarah, Chaghcharan e Qala-i-Naw; tale attività so e favorito un maggior controllo areale e, allo ha consentito di fornire assistenza a oltre 17 stesso tempo, un maggior controllo delle vie di 500 persone. comunicazione incrementando la libertà di movimento di ISAF, ANSF e di riflesso anche dei convoCONCLUSIONI gli civili. Sia in fase di pianificazione che in fase condotta le nostre unità hanno operato in maniera congiunI compiti affrontati hanno impegnato le unità di ta con le forze di sicurezza afghane. manovra e quelle operanti nella terza dimensioIn particolare, in fase condotta è stato necessane senza soluzione di continuità nell’intera AoR rio e risolutivo l’utilizzo di accurati e dettagliati di RC-W. processi di coordinamento; così facendo si è riuLe minacce presenti nell’area hanno messo ansciti a raggiungere il risultato prefissato, in adecora una volta in evidenza l’importanza e la pecurenza a quanto disposto da COMISAF: mostrare in liarità di alcuni assetti fondamentali per poter ogni circostanza «l’Afghan Face» allo scopo di operare in quel contesto: i Joint Tactical Air Conagevolare il Governo afghano troller (JTAC), i team Explosive nell’assumere il controllo del Ordnance Device e gli Improviterritorio. Sia in fase di pianificazio- sed Explosive Device Disposal Anche nell’ambito della Gover- ne che in fase condotta le (EOD/IEDD) nance, diverse sono le attività Anche il ruolo rivestito dalnostre unità hanno operato l’ala svolte. Sono proseguite le attivirotante in questa operatà di formazione e addestramen- in maniera congiunta con le zione si è dimostrato di noteto condotte nei confronti dell’Af- forze di sicurezza afghane vole importanza. Le dimensioni ghan Border Police (ABP) da pardell’AoR e la tipologia del terte della TF «Grifo» (unità comporeno, infatti, prediligono l’utista da uomini della Guardia di Finanza), e l’attività lizzo dell’elicottero per ovviare alla restrittiva viadi mentorizzazione che l’OMLT ha continuato ad bilità e garantire il necessario supporto logistico e esercitare nei confronti dell’ANA, fornendo un di fuoco alle unità sul terreno. grosso contributo per la riuscita delle operazioni. Questa operazione ha rappresentato per la BriUn prezioso risultato nell’ambito di questa linea gata aeromobile un’esperienza unica nel suo geoperativa, è stato raggiunto con il consenso della nere. Le singole attività condotte, oltre ad aver popolazione. Lo strumento della «Shura», molto permesso il pieno raggiungimento degli obiettivi utilizzato durante il nostro mandato, ha contribuiprefissati dal Comando ISAF, hanno offerto alla to ad avvicinare l’autorità locale rivestita dagli Grande Unità, un insieme di esperienze e occasio«anziani» con l’autorità legittima. Inoltre, ha perni, con un’indiscussa crescita in termini di capacimesso di far emergere le problematiche reali della tà operativa. popolazione in modo da rendere mirato il nostro Marco Poddi supporto umanitario; in questo le attività Info Ops condotte si sono rivelate decisive. Maggiore, in servizio presso Nell’ambito della terza linea di operazioni R&D, il Comando della Brigata aeromobile «Friuli»
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IMMOBILI MILITARI: UN PROGETTO DI RECUPERO DI UNA CASERMA DISMESSA
IMMOBILI MILITARI: UN PROGETTO DI RECUPERO DI UNA CASERMA DISMESSA L’autore propone una possibile soluzione alla cronica mancanza di alloggi per il personale, sviluppando un progetto di recupero della dismessa Caserma «Perotti» di Bologna.
All’ingresso si trova la Palazzina Comando, l’unica su due piani e proseguendo si trovano allineate, specularmente a destra e sinistra, le palazzine ospitanti le compagnie. Sul fondo sono colloIl programma di razionalizzazione e ammodercati la mensa e i vari edifici uso magazzini/officinamento del patrimonio immobiliare in uso alla ne con le tettoie ricovero automezzi. Difesa attuato in aderenza alla Finanziaria 2008 Nonostante i diversi anni di disuso, il luogo consi pone, quale obiettivo strategico, l’ottimizzaserva intatto il fascino, influsso di una suggestiozione del parco infrastrutturale amministrato ne che richiama alla mente i momenti in cui questi dalla Forza Armata. Per rispondere concretaspazi erano riempiti da uomini in uniforme impemente alle attuali esigenze della presenza milignati nelle varie attività giornaliere, soverchiati tare nelle aree del Paese è essenziale valutare le dagli ordini di qualche ufficiale o dal rumoreggiainfrastrutture da mantenere in uso o quelle da re degli automezzi in movimento. Oltre queste realizzare ex novo. sensazioni, la situazione reale è Nell’ambito di tali importanti e fatta anche di un contesto am...la volontà di affrontare bientale assai pregiato per il decisive scelte la volontà di affrontare tangibilmente la pro- tangibilmente la problematica valore intrinseco dell’area su blematica del patrimonio abita- del patrimonio abitativo della cui sorge l’immobile. Inserita in tivo della Difesa, questione con contesto socio-urbano di Difesa, questione con forti ri- un forti risvolti dal punto di vista notevoli potenzialità evolutive, sociale, è molto sentita e investe svolti dal punto di vista socia- la zona è a ridosso delle princidi fatto le professionalità milita- le, è molto sentita e investe di pali arterie stradali e ferroviarie fatto le professionalità milita- che collegano la città con l’hinri impegnate nel settore. In tale quadro, quale contri- ri impegnate nel settore terland. Lo sviluppo, come zobuto personale di pensiero e na residenziale, dell’area offrinell’ottica di fornire un costrutrebbe notevoli opportunità sia tivo argomento di confronto, si è ipotizzato un per la relativa vicinanza al centro storico della citpossibile recupero di una delle ex caserme che in tà sia per i vantaggiosi parametri urbanistici prequesto periodo vengono dismesse. visti dal Piano Regolatore Comunale. La «Caserma Perotti», non più utilizzata dalla Proprio queste peculiarità inducono a consideraForza Armata, è ubicata nella prima periferia di re uno studio progettuale volto al possibile recuBologna. Ultimata nel 1941, su un ampio lotto di pero e riqualificazione dell’area; il sogno, forse circa 90 000 m2 di superficie, è una delle molteneanche tanto utopistico, è che, suggerendo un plici «caserme funzionali» costruite in gran numeprogetto che ne mostri le potenzialità intrinseche, ro su tutto il territorio nazionale durante il perioin accordo con finanziatori privati, nasca la possido bellico con criteri di economicità e in tempi ribilità concreta di un investimento che veda l’amdottissimi. ministrazione cedere la superficie in cambio della Si tratta di costruzioni semplici e austere, in cui realizzazione di unità abitative a canone concorl’aspetto funzionale prevale sulle esigenze estetiche. dato per il personale della Forza Armata. Le opinioni espresse nell’articolo riflettono esclusivamente il pensiero dell’autore.
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In apertura. Ortofoto dell’area. Sopra.
Ortofoto del territorio comunale con evidenziata la posizione della caserma.
La casa è di fatto un bisogno centrale per garantire il benessere e l’integrazione delle persone e dei relativi nuclei familiari nelle proprie comunità di vita. Questo importante diritto, specie per le peculiarità della professione militare, trova sempre maggior difficoltà a essere realizzato a causa del-
le diverse trasformazioni economiche e sociali che hanno investito gli ambiti familiari. La dismissione dell’area militare può essere un’occasione per affrontare un nuovo progetto organico finalizzato a individuare una soluzione spaziale sistemica e sinergetica per far fronte alla sempre più complessa domanda espressa dai nuclei familiari del personale militare. Fondamentale è determinare, attraverso una progettazione innovatrice e funzionale, le reali necessità del personale militare a fronte dei costi da recuperare in sede di investimento edilizio da parte di privati. Il proposito è peculiare e vuol dissociare l’idea consueta della residenza realizzata su progetto a basso badget privo di identità territoriale duplicato in varie realtà nella penisola. Il miglioramento della qualità della vita ha fatto emergere la necessità di ottimizzare gli standard prestazionali degli insediamenti residenziali. Sicuramente la Forza Armata deve, in questo momento di particolare evoluzione che ha visto lo strumento militare trasformarsi tecnologicamente
Stato di fatto.
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Il progetto.
e operativamente passando definitivamente dal modello «leva» al modello «professionistico», riappropriarsi di quei contenuti «di pensiero» che nel campo ingegneristico e topografico - per citare alcuni temi - hanno caratterizzato nel passato l’orizzonte culturale del personale militare dei ruoli tecnici. Consolidate dinamiche sociali hanno evidenziato come il giovane personale militare celibe, sdradicato dal proprio contesto familiare, cerca la socializzazione con i propri commilitoni preferendo la condivisione di alloggi collettivi, di fatto già esistenti all’interno della caserma. Altrettanto accertato è il fatto che, nel momento in cui il personale decide di optare per una soluzione abitativa alternativa al contesto «chiuso» della caserma, la soluzione preferita è affittare, insieme ad altri colleghi, uno dei diversi alloggi per nuclei familiari disponibili sul territorio a un prezzo accessibile. La tipologia di alloggio ricercato è la medesima utilizzata dal nucleo familiare generico. Assodato, quindi ,che l’alloggio «tipo», ubicato all’esterno della caserma e utile a soddisfare le esigenze del personale militare sia celibe che coniugato, ha le stesse caratteristiche, occorre concentrare l’attenzione sulla disponibilità di un congruo numero di alloggi con caratteristiche comuni e un canone contenuto. La professionalizzazione della Forza Armata ha di fatto esponenzialmente innalzato la richiesta di avere in concessione alloggi di servizio da parte di nuovi nuclei familiari; se precedentemente la disponibilità alloggiativa era insufficiente, ora, con le nuove e cospicue richieste da parte del personale di truppa volontario, non è più sostenibile. L’intervento deve essere equilibrato ed essenziale inserendosi nel contesto architettonico locale. La composizione e il linguaggio nella stesura del progetto devono essere guidati dalla sua collocazione territoriale, in una zona di cerniera tra il centro della città e la sua periferia con l’ingombrante presenza dell’adiacente tratta Bolo-
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gna-Firenze. L’idea è di suddividere la vasta area in isole urbanistiche più piccole con aperture che collegano visivamente l’interno con l’esterno creando visuali originali e mantenendo gli spazi preesistenti come il vasto piazzale alberato della caserma riletto come verde corte centrale. Il progetto deve essere consapevole dei valori della tradizione eludendo voli dispendiosi fini a sè stessi. Il tema della ferrovia può trovare soluzione collocando l’edificio con maggior volumetria sul lato adiacente la stessa. In relazione a un lotto di superficie pari a 90 000 m2, complessivamente l’intervento può svilupparsi per un volume complessivo di 94 000 m3 distribuiti su 7 000 m2 di superficie coperta. Il modello mantiene un vasto spazio destinato a verde pubblico e alla viabilità interna, oltre a circa 200 posti auto scoperti in aggiunta ai posti disponibili nei box seminterrati. Nelle 4 palazzine sono ricavati 200 apparta-
Un edificio del progetto.
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menti di diversa tipologia destinati al personale militare. Nella suddivisione distribuzionale degli spazi interni sono state individuate varie tipologie di alloggi - con superfici che vanno dai 60 ai 90 m2, in modo da soddisfare le esigenze abitative di nuclei familiari tipo di due, tre o quattro componenti. Tale scelta consente di soddisfare pienamente le diverse esigenze del personale in servizio. Il progetto prevede anche la realizzazione, su tre blocchi, di 26 villette a schiera unifamiliari, con giardino privato, commercializzate dall’impresa esecutrice e destinate anche a utenza privata. Particolare attenzione è stata posta agli spazi sociali. Una sala «polivalente» è stata ottenuta mantenendo e ristrutturando un volume preesistente mentre è prevista la realizzazione di un nuovo spazio da destinare a servizi sociali (asilo nido). La Sala «Polivalente» è destinata a essere usata, oltre che per le specifiche riunioni condominiali, anche per eventi volti a favorire l’aggregazione sociale; tali momenti sono particolarmente significativi per la comunità militare in quanto emulazione di quello «spirito di corpo» proprio dell’organizzazione militare. Le famiglie di questa comunità provengono principalmente da altre città; quindi sono prive di rete parentale e per di più con entrambi i genitori lavoratori. Perseguendo nell’impegno di sostenere e facilitare il militare nella cura del proprio nucleo familiare, è stata prevista la possibilità di realizzare un nuovo «asilo nido» a uso prioritario del personale militare ma aperto anche al territorio, scelta volta anche a favorire la maggiore integrazione tra la realtà miltare e il tessuto sociale cittadino. Aspetto non trascurato, ma anzi previlegiato, è la qualità di vita dei residenti cercata attraverso soluzioni dignitose. L’uso del laterizio a vista, materiale durevole, ricco espressivamente e di costo contenuto, è ennesima espressione del senso con-
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Il progetto visto dall’alto.
fortevole di protezione dei suoi spazi intimi. Il complesso residenziale è caratterizzato dalla disposizione dei corpi di fabbrica in un impianto fatto di percorsi pedonali e aiuole capace di generare scorci prospettici, regolarità e rappresentatività di un ambiente ispiratore di equilibrio e protezione. Particolare enfasi è data allo spazio attrezzato per il gioco dei bimbi, che prende forma e si articola nella verde corte centrale a ridosso della struttura del pennone per l’alzabandiera che, risistemata e adeguata, diventa motivo ludico della struttura. Non ultimo, l’intervento deve porre massima attenzione al contenimento dei consumi energetici, sia nella realizzazione delle soluzioni architettoniche che nelle applicazioni impiantistiche. Lo scopo di questo studio è stato quello di individuare una possibile soluzione, finalizzata alla realizzazione di un nuovo complesso alloggiativo, sfruttando il potenziale di cui dispone l’Ammini-
Dettaglio della copertura dei fabbricati.
strazione Difesa. Il ricorso, ove possibile, a investimenti attraverso privati e alle permute con le ammministrazioni locali può portare a soluzioni che consentano la realizzazione di nuovi complessi alloggiativi a costi agevolati e, quindi, più facilmente sostenibili per la Difesa. Si auspica che la problematica degli alloggi destinati al personale militare possa trovare una concreta soluzione. La componente umana è, innegabilmente, quella più importante dell’Esercito. Luca Schiavina Tenente Colonnello, in servizio presso il 6° Reparto Infrastrutture
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LA LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE
LA LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE Il tema della leaderrship e dell’arte del comando è sempre stato cruciale in ambito militare. Negli ultimi anni ha acquisito rilevanza il concetto di «leaderrship trasformazionale», ritenuta decisiva per l’esercizio di una leaderrship efficace soprattutto in relazione alle molteplici sfide che le Forze Armate sono chiamate ad affrontare.
Il termine leadership costituisce l’equivalente dership) per intendere uno stile di leadership che scientifico del termine italiano «arte del comando» influenza il gruppo a raggiungere degli obiettivi in ambito militare e sta ad indicare gli attributi, le che rispecchiano i valori, le credenze, i bisogni, le virtù e le competenze di un buon comandante traaspirazioni e il volere sia del gruppo che del leamite le quali influenza un gruppo dandogli istruder. In questa prospettiva, il leader riesce a far lezioni, motivazioni e obiettivi nello svolgimento di va sulle motivazioni, sui bisogni più elevati e sui una missione o compito. Già nei più antichi trattavalori del gruppo incoraggiando l’unità a «trasforti di strategia militare, se penmare l’immagine» che ha di se siamo ad esempio all’Arte della stessa e a identificarsi con la guerra di Sun Tzu o ai Metodi ...vale a dire uno stile di mission e gli obiettivi del leamilitari di Sun Pin, si possono leadership che influenza il der. In questo modo si va a miriscontrare una serie di indica- gruppo a raggiungere degli gliorare il senso di efficacia, di zioni per una buona leadership. di coesione, di obiettivi che rispecchiano i coinvolgimento, Le biografie dei Generali più faimpegno e performance nel mosi ci indicano che le loro abi- valori, le credenze, i bisogni, gruppo poichè nel momento in lità di leadership erano impron- le aspirazioni e il volere sia cui ognuno sente propri gli tate al coinvolgimento attivo del gruppo che del leader obiettivi del gruppo la determidelle truppe ed alla realizzazionazione è massima. Secondo ne delle loro potenzialità. Bass e Avolio, il leader trasforLo stile di leadership è uno degli elementi fondamazionale, essendo carismatico, ispirando motimentali quando si parla di performance di gruppo. vazione, incrementando lo spirito di corpo e proNegli ultimi anni, la letteratura scientifica si è parmuovendo una convergenza fra i valori del singoticolarmente concentrata sulla leadership cosidlo e quelli del leader, è in grado di «trasformare» i detta «trasformazionale» (transformational leamembri del gruppo i quali sono portati a realizzarsi nel raggiungimento degli obiettivi dell’unità. I leaders trasformazionali raggiungono risultati superiori a quelli ipotizzati poichè motivano gli altri a fare più di quanto essi stessi intendessero fare in origine, li spingono a livelli più alti di abilità e potenziale, generano consapevolezza della propria missione e stimolano l’interesse a considerare il proprio lavoro da nuovi punti di vista. Se si vuole identificare un modello che riassuma tutte le caratteristiche di un leader trasformazionale si può prendere in considerazione lo schema delle «quattro l» : • influenza Idealizzata. I comportamenti messi in
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A sinistra. Elementi di una pattuglia studiano la rotta da seguire su una carta topografica. In apertura. Blindo «Centauro» in pattugliamento.
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Un «Puma» 6x6 su una rotabile afghana.
atto dai leaders trasformazionali sono tali che possono essere presi ad esempio o a modelli di ruolo per l’unità stessa che tende a provare ammirazione, rispetto e fiducia. Vi è un’identificazione dei membri dell’unità con il leader anche perchè egli condivide il rischio con loro, considera le loro necessità, si comporta in modo coerente e non arbitrario e dimostra livelli elevati di condotta etica; • motivazione Ispirazionale. I leaders trasformazionali motivano, ispirano e conferiscono un senso alla missione e ciò genera spirito di gruppo, entusiasmo e ottimismo nell’unità; • stimolazione Intellettuale. I leaders trasformazionali si comportano in modo tale da stimolare la creatività e l’impegno dei collaboratori nell’essere innovativi, nel mettere in discussione ciò che sembra scontato e nel guardare ai problemi da punti di vista diversi. Le nuove idee e soluzioni creative portate dai membri dell’unità vengono incentivate; • considerazione Individualizzata. I leaders trasformazionali si comportano come mentori e al-
lenatori per ciascun membro dell’unità allo scopo di favorire le necessità di successo e crescita di ciascuno. Ciò richiede una grande attenzione allo sviluppo del potenziale dei collaboratori, un riconoscimento di differenze individuali in termini di bisogni e desideri e la creazione di opportunità di apprendimento all’interno di un clima supportivo. Personalizzare l’interazione con ciascun membro dell’unità richiede, per esempio, che alcuni ricevano più incoraggiamenti, altri usufruiscano di una maggiore (o minore) autonomia e altri ancora un diverso grado di strutturazione dei compiti. Infine, il leader trasformazionale può ricorrere alla delega come attività per sviluppare le potenzialità dei collaboratori. Da questa breve premessa risulta ben chiaro come questo stile di leadership possa essere molto efficace in ambito militare. Le ricerche scientifiche confermano tale ipotesi? E, se sì, in quale modo? In questo articolo si intende illustrare alcune ricerche che hanno sottoposto a verifica il concetto di leadership trasformazionale in ambito militare. La prima ricerca è stata condotta da Olsen (2006), con 172 cadetti dell’Accademia della Marina Norvegese. Lo scopo di questo studio era quello di verificare se nello stile di leadership trasfor-
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Si evince che il livello di competenze morali di un leader trasformazionale è rilevante poichè, nell’essere da esempio per l’unità, motiva il gruppo nel raggiungimento di obiettivi legati a un bene mazionale vi fosse una componente relativa alle comune. Tuttavia, questo studio non ci dice se e competenze morali che si rifanno ai principi unicome uno stile di leadership trasformazionale sia versali come giustizia, correttezza e fedeltà. Nella associato a una migliore performance. ricerca è effettivamente risultato che l’adesione A questo proposito si vuole introdurre un secondei cadetti ai suddetti principi morali universali è do studio di Eid (2004) che si è svolto con 43 Ufin relazione con uno stile di ficiali dell’Esercito Norvegese. leadership trasformazionale. I In Norvegia vengono organizleaders trasformazionali, infatI leaders trasformaziona - zati ogni anno esercitazioni per ti, tendono a valorizzare obiet- li, infatti, tendono a valoriz - Ufficiali della durata di cinque tivi volti a favorire il bene cochiamata «Joint Effort» zare obiettivi volti a favorire giorni mune a discapito degli interessi presso il Norwegian National personali o di obiettivi stru- il bene comune a discapito Defense College. Lo scopo di mentali. Infatti, nella ricerca si è degli interessi personali o di tali esercitazioni è quello di siriscontrato che l’adesione dei obiettivi strumentali mulare l’esecuzione di procecadetti a una morale volta aldure operative. Le simulazioni l’interesse personale o alla rigisono complesse e sono volte a da applicazione delle regole e norme è negativapreparare gli Ufficiali ad affrontare fonti di stress mente correlata allo stile di leadership trasformatipiche, come il sovraccarico di informazioni da zionale. La natura dei compiti svolti dai militari gestire, l’ambiguità dei dati e gli scenari operativi nelle missioni sollecita a volte il punto di vista moche cambiano rapidamente. Per riuscire nella loro rale e pertanto questo studio rivela come le commissione, gli Ufficiali devono essere capaci di papetenze morali siano di grande importanza all’indroneggiare sistemi di Comando e Controllo sofiterno di uno stile di leadership trasformazionale. sticati, di comunicare efficacemente in una lingua Un alpino in attività di sorveglianza osserva la periferia di Kabul dall’alto.
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straniera e di esercitare la propria leadership in modo proficuo. Una competenza molto importante in questo tipo di attività consiste nella «situation awareness», o consapevolezza della situazione, definita come una competenza che riguarda l’abilità di percepire, comprendere e prevedere ciò che sta avvenendo nella scena di un intervento. Da un punto di vista teorico e operativo, essa comprende tre livelli: • percezione dello stato, degli attributi e delle dinamiche degli elementi rilevanti nell’ambiente; • comprensione e interpretazione del significato di questi elementi; • proiezione nel futuro, ossia possibilità di predire, a partire dalla valutazione dello stato attuale, l’evolversi degli elementi rilevanti nel futuro. Un’altra competenza fondamentale richiesta in questo tipo di attività riguarda l’influenza interpersonale intesa come l’abilità di influenzare e guidare il comportamento e le decisioni dei membri dell’unità. Dalle analisi dei dati è emerso che uno stile di leadership trasformazionale è in grado di predire maggiori competenze in termini di prontezza Paracadutisti prima di un addestramento.
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Militari italiani all’interno di un VM 90 durante un pattugliamento.
operativa considerando sia la situation awareness sia l’influenza interpersonale. In altre parole, uno stile di leadership trasformazionale si associa a migliori competenze a livello cognitivo e a livello sociale. Tuttavia, questo studio non ci informa sul tipo di effetto che la leadership trasformazionale ha sui membri dell’unità in una situazione operativa. A questo proposito si vuole introdurre un ultimo studio compiuto da Bass e colleghi (2003) con più di 1000 soldati di Fanteria della U.S. Army che hanno valutato lo stile di leadership di 72 comandanti. Alla distanza di circa due mesi degli osservatori esperti hanno valutato la performance in un totale di 11 esercitazioni militari. Da risultati è emerso che lo stile di leadership è in grado di predire a distanza di tempo una migliore performance dei soldati durante l’esercitazione. I ricercatori hanno rilevato, inoltre, che, in linea con il modello della leadership trasformazionale, tale incremento nella performance può essere spiegato, almeno in parte, da un aumento nella coesione dell’unità e dell’efficacia percepita. In conclusione, questi dati indicano l’importanza dell’addestramento dei militari che hanno un ruolo di comando. Le scienze comportamentali moderne offrono dei modelli che possono essere applicati con successo sulla base delle evidenze empiriche riguardo la performance. È, dunque, lo stile di leadership trasformazionale l’elemento cruciale di una leadership efficace soprattutto quando si parla delle sfide che le Forze Armate devono affrontare. Luca Pietrantoni Università di Bologna Docente di Psicologia Sociale all’Accademia Militare di Modena
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SOLDATI DEL FUTURO: ESPERIENZE A CONFRONTO
SOLDATI DEL FUTURO: ESPERIENZE A CONFRONTO L’evoluzione tecnologica e le necessità militari hanno da sempre avuto uno sviluppo collegato e complementare. Il nuovo scenario strategico e la conseguente evoluzione tattica hanno portato gli Eserciti delle maggiori potenze militari a riconsiderare il singolo combattente come «l’attore principale del combattimento», costringendoli, quindi, a rivedere non solo i concetti di Forrce protection n, ma, anche e soprattutto, le dotazioni individuali di armamento e comunicazione.
Tutti i principali Eserciti occidentali hanno ormai da anni avviato diversi programmi riguardanti i cosiddetti «soldati del futuro». Programmi con diversi livelli di ambizione che mirano a integrare il soldato di fanteria in un sistema completamente network -centrico. Il concetto può anche essere riassunto come «plug-andplay», ovvero «attaccati» e gioca. Nella fattispecie sarebbe più corretto dire «attaccati», sottointeso alla rete, e combatti. E così il soldato di fanteria del futuro, esattamente come già sta accadendo su larga scala a veicoli, aerei ed altre piattaforme, sarà una componente della rete distesa sul campo di battaglia e potrà condividere informazioni, dati, e qualsiasi altra risorse necessaria al combattimento in tempo (quasi) reale con tutti gli altri utenti. Ma non si tratta solo di condividere le informazioni - in senso orizzontale (a livello di squadra e plotone) e verticale (da e verso i superiori livelli di comando) da parte di più utenti. C’è di più. Con i programmi di fanteria network-centrica, infatti, ciò che si realizza è soprattutto l’integrazione dei singoli strumenti di acquisizione delle informazioni (sensori, sistemi di posizionamento, di telemetria, di controllo dello stato di salute del soldato, ecc.) in dotazione al soldato in un unico sistema in grado di gestire, inviare e ricevere le suddette informazioni, siano esse immagini, A destra. I principali Eserciti occidentali hanno avviato, già da alcuni anni, diversi programmi riguardanti i cosiddetti «soldati del futuro». Nella foto una delle prime configurazioni del Land Warrior americano (US Army). In apertura. Il Land Warrior in uso con un membro del IV battaglione del 4th Stryker Brigade Combat Team in Iraq (US Army) e, nel riquadro, un «Soldato Futuro» del programma di fanteria network-centrica dell’Esercito Italiano.
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filmati, tracce audio, testo o voce. Il soldato diventa esso stesso un sistema dei sistemi dotato della sua componente di Comando e Controllo grazie alla quale può gestire armi, sensori ed informazioni. Una rivoluzione che porterà, di fatto, alla fusione tra il livello tattico - fino al livello ultimo, cioè quello del singolo combattente - e quello strategico ed operativo. Banalmente: ciò che «vede» un soldato, dislocato in una qualunque area del campo di battaglia, può essere «visto» anche dagli altri soldati e dai livelli di comando superiori ed ogni pedina sa quello
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che fa l’altra: se spara, se è sotto attacco o, persino, qual è il suo stato di salute (grazie all’adozione dei cosiddetti sensori fisiologici). Il tutto in tempo (quasi) reale. Da un punto di vista tecnico l’implementazione di questo concetto è resa possibile mediante l’adozione di una serie di elementi che, grosso modo, caratterizzano un po’ tutte le architetture dei soldati futuri. Il primo dei quali è il PC «indossabile» che rappresenta il sistema di Comando e Controllo e costituisce pertanto il cuore di tutta l’architettura. Il secondo elemento è il nodo, o l’hub, che consente l’integrazione tra la componente C2 e tutte le periferiche (terzo elemento), sensori, armi ed apparati di comunicazione, ed il collegamento tra il soldato e la rete. Il nodo, generalmente un PC con caratteristiche del tutto simili a quelle del PC di Comando e Controllo, funge inoltre da selettore ed è in grado di decidere quale sistema di trasmissione usare, tra quelli disponibili, per far passare il messaggio in base al tipo, la sua dimensione o alla natura del destinatario. Nel presente articolo prenderemo in considerazione due esperienze europee, quella del Soldato Futuro e del francese Felin, e poi concluderemo soffermandoci brevemente anche sull’americano Land Warrior. IL SOLDATO FUTURO
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L’obiettivo che i tedeschi si sono prefissi con l’IDZ era «raccogliere» quanto già disponibile in Forza Armata e digitalizzarlo per mettere su un sistema disponibile sin da subito senza tanti salti in avanti tecnologici (Military Photos).
Il Soldato Futuro è il programma di fanteria network -centrica dell’Esercito Italiano. Sviluppato inizialmente nell’ambito di una cooperazione con il tedesco IDZ (Infanterist der Zukunft) è stato poi portato avanti come programma «indipendente». incontro a diverse evoluzioni, fino ad essere asLa decisione di intraprendere un programma nasociato ai programmi SIACCON e SICCONA nelzionale è stata adottata essenzialmente per le l’ambito del più generale progetto di digitalizzaesigenze di autonomia e flessizione dell’Esercito del futuro, bilità che un progetto così rileForza NEC (per la cui gestione vante comporta. Inoltre, il re... il Soldato Futuro è anda- è stata creata l’apposita Direquisito tedesco era complessi- to incontro a diverse evolu- zione per la Digitalizzazione). vamente inferiore rispetto a zioni, fino ad essere associa- Rispetto al Felin, il Soldato Fuquello emesso dal nostro Stato è sicuramente più ambito ai programmi SIACCON e turo Maggiore. L’obiettivo dei tedezioso e ciò spiega bene anche schi, difatti, era «raccogliere» SICCONA nell’ambito del più le ragioni dei ritardi che il proquanto già disponibile in Forza generale progetto di digita - gramma ha incontrato. Da un Armata e digitalizzarlo per l i z z a z i o n e d e l l ’ E s e r c i t o d e l p u n t o d i v i s t a i n d u s t r i a l e , mettere su un sistema disponi- futuro, Forza NEC l’azienda capocommessa è Sebile sin da subito senza tanti lex Communications che fornisalti in avanti tecnologici. La sce la parte C2 e comunicazioversione base dell’IDZ è stata ampiamente impieni ed è responsabile per l’integrazione di tutti i gata dalle truppe tedesche in Afghanistan e Kososistemi e gli apparati. Altri importanti fornitori vo, ma per vedere i primi sistemi di serie della sono Beretta, Larimart, Galileo Avionica e Sistema versione avanzata ES (Expanded System), bisoCompositi. gnerà attendere la fine del 2011 o il 2012. Al centro del Soldato Futuro si trova il PC inNel corso degli anni il Soldato Futuro è andato dossabile con display a cristalli liquidi da 4 pol-
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lici touch screen - o un display più grande (8 pollici) per il Comandante di squadra. Il PC può essere contenuto in una tasca del kit o può essere installato sull’avambraccio. Sul display possono essere visualizzate mappe digitali, messaggi e tutti i dati ripresi dai sensori e dal sistema di puntamento dell’arma o dall’UAB (Unità
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Acquisizione Bersagli, quest’ultimo apparato disponibile per i Comandanti di squadra). La visualizzazione dei dati - foto, immagini, ecc. avviene mediante una sistema wireless bluetooth. Al sistema di messaggistica testuale è stata dedicata grande attenzione e si è cercato di ridurre al minimo le comunicazioni vocali, consi-
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Sopra. Un assieme degli apparati del Soldato Futuro. Si noti al centro il WPC, il Wearable PC (Batacchi). A destra. L’arma del Soldato Futuro è il fucile d’assalto Beretta ARX-160, abbinata al lanciagranate da 40 mm GLX-160 (Batacchi). Nella pagina a fianco a sinistra e a destra. Il Soldato Futuro è il programma di fanteria networkcentrica dell’Esercito Italiano. Nelle foto il kit indossato da un manichino durante l’ultima edizione del salone Defendory (Batacchi).
ha una portata di 1 300 m e opera in una banda compresa tra gli 800 e i 900 MHz con una capacità di trasferimento dati di 40 Kbps Half Duplex. L’IPR è collegata via cavo ad un auricolare e ad un microfono, sistemati entrambi su una cuffia. Il collegamento via cavo consente all’apparato di operare in modo indipendente rispetto alla rete bluetooth. Per inciso, sulla cuffia è installato anche un sensore fisiologico, realizzato da Galileo Avionica, che ha il compito di raccogliere i dati relativi allo stato di salute del soldato che, non solo possono essere forniti in tempo reale al Comandante e inseriti in un data-
base, ma consentono al PC di suggerire al soldato alcune azioni quali, ad esempio, l’assunzione di liquidi o di cibo. Inoltre, per evitare il rischio che preziosissimi apparati del genere possano cadere in mani nemiche, in particolare i dati contenuti nel wereable computer, il sensore fisiologico è collegato ad un sistema che in caso di morte dell’utente disattiva automaticamente ogni componente. Tornando alle comunicazioni, sono disponibili anche un sistema WiFi e le classiche VHF SINCAGARS 633P per le comunicazioni ed il trasferimento dati a lunga distanza (in attesa di un sistema SDR, Software Defined Radio). La piccola antenna dell’apparato WiFi è installata direttamente sull’UNC (Unità Nodo Comunicazioni) del soldato e consente di comunicare tra i membri della squadra e con i veicoli fino ad una distanza di 300 metri. La navigazione è invece assicurata da un ricevitore GPS, la cui antenna è posta sopra il giubbetto, che consente al soldato di conoscere in qualsiasi momento la sua esatta collocazione. La rete GPS fa sì inoltre che il Comandante di squadra sappia in ogni momento dove sono tutti i suoi uomini. In questo modo è possibile avere a tutti i livelli un’immagine completa delle forze in cam-
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derando il fatto che in determinati contesti operativi (ambiente particolarmente rumoroso o, al contrario, esigenze di assoluto silenzio), queste sono impossibili. Comporre messaggi durante azioni di combattimento può però rivelarsi un’impresa ardua e per questo è stato sviluppato un apposito sistema basato su messaggi pre-caricati, inviabili rapidamente agendo sul touch screen. Un’altra componente molto importante del Soldato Futuro è l’apparato di comunicazione e navigazione. Il principale sistema di comunicazione è costituito dalla radio IPR (Individual Pocket Radio). L’apparato
po, con un dettaglio mai avuto prima. L’arma del Soldato Futuro è il fucile d’assalto Beretta ARX-160 accoppiato al lanciagranate da 40 mm GLX-160. Il fucile ha un peso molto contenuto, notevolmente inferiore rispetto a quello dell’AR 70/90, ed è dotato di un calcio telescopico (a differenza della soluzione bullpup adottata, per esempio, sul Famas del Felin). L’arma è dotata di un rivoluzionario sistema di puntamento, realizzato da Galileo Avionica, denominato ICWS (Individual Combat Weapon System) Aspis. L’Aspis ricomprende in un unico dispositivo, dalle dimensioni estremamente ridotte, una camera termica uncooled, un canale TV (con sensore CCD in bianco e nero e a colori), un puntatore a laser per il ti-
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Il Felin è equipaggiato con una versione modificata del Famas già in servizio con l’Esercito francese (Sagem).
mai staccare le mani dall’arma, ed un pulsante per trasmettere l’immagine al visore monoculare.
IL FELIN ro istintivo (quest’ultimo è stato poi scorporato dal sistema per contenerne il peso) e un’ottica a punto rosso con ingrandimento 1X per il combatRispetto al Soldato Futuro, il Felin è un protimento ravvicinato. Tutti i sensori possono tragramma meno ambizioso. Probabilmente è per smettere le immagini tramite questa ragione che il «Soldato interfaccia Bluetooth al display futuro» francese è più avanti digitale del soldato, consentenIl cuore del Sistema Felin rispetto a quello italiano. do l’osservazione o il tiro defi- è c o s t i t u i t o d a l P l a t e f o r m e L’azienda capocommessa, Salato «dietro l’angolo» e l’invio E l e c t r o n i q u e P o r t a b l e , u n gem, ha già da tempo iniziato delle stesse tramite il sistema consegne dei sistemi di predispositivo che comprende le di comunicazione integrato a serie alla versione V1: 1 089 kit tutta la catena di Comando e u n P C c o n d i s p l a y t o u c h coperti da un contratto del Controllo. Non solo, ma le screen... marzo 2006. Lo scorso aprile stesse immagini possono essel’azienda ha ricevuto anche il re visualizzate anche sul visore contratto per la fornitura dei monoculare montato sull’elmetto e piazzato di primi 5 045 sistemi di serie. Entro la fine del 2010 fronte all’occhio sinistro del soldato. Sull’ICWS dovrebbero essere già equipaggiati sei reggimensono installati anche un pulsante PTT (Push To ti. Nel complesso è prevista la realizzazione di 31 Talk) per azionare la radio, in modo da non dover 445 sistemi di cui: 22 588 per la fanteria, 2 801
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per il personale della cavalleria corazzata, 3 571 per il genio e 2 480 per l’artiglieria. Il cuore del sistema è costituito dal PEP (Plateforme Electronique Portable), un dispositivo che comprende un PC con display touch screen ed un data bus ad alta velocità con interfaccia USB 2.0. Il PEP è integrato nella tenuta da combattimento ed è collegato tramite cavi elettrici alle batterie e attraverso cavi per il trasferimento dati al sistema di comunicazione e navigazione ed ai sensori posti sull’elmetto. Per la comunicazione con i sistemi di osservazione e puntamento abbinati all’arma, invece, è disponibile un collegamento senza fili bluetooth. Il PC del PEP permette la gestione di tutti i sistemi, l’invio e la ricezione di messaggi e la visualizzazione di mappature digitalizzate. Il Felin è collegato ad una rete, denominata RIF (Infantryman Information Network), che offre capacità di scambio dati, immagini, video e posizionamento GPS a corto raggio. La rete, a standard commerciale, collega il singolo membro con gli altri componenti della squadra e al proprio Comandante. Quest’ultimo è dotato di un terminal
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Il Comandante delle squadre Felin è dotato di un terminal portatile del sistema tattico SIT EL (l’equivalente del nostro SICCONA), denominato SIT COMDE (Sagem).
portatile del sistema tattico SIT EL (l’equivalente del nostro SICCONA), denominato SIT COMDE, che gli consente di scambiare informazioni e dati anche a notevoli distanze con i veicoli. Il SIT COMDE è, di fatto, l’anello di collegamento con il sistema di Comando e Controllo di livello reggimentale, SIR (Système d’Information Régimentaire). Tecnicamente, il SIT COMDE è caratterizzato da un PC estremamente compatto con un peso di 900 g, display da 150 mm e delle dimensioni di 186 mm x 144 mm x 45 mm. Ad oggi è prevista l’installazione di apparati SIT EL su 4 500 veicoli dell’Esercito francese. Per comunicare direttamente con i veicoli a lunga distanza, invece, i singoli soldati possono usare la radio PR4G VS4: un apparato di quarta generazione a salto di frequenza che offre anche comunicazioni IP e operatività autonoma in caso di rottura del PEP.
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Per quanto riguarda l’arma, il Felin è equipaggiato con una versione modificata del Famas già in servizio con l’Esercito francese. In particolare è stata sviluppata una nuova impugnatura sulla quale sono stati installati il PTT (Push To Talk) della radio, il comando per trasmettere le immagini ed i dati alla rete e i comandi del sistema d’osservazione. Come dotazione standard è previsto un mirino ottico ad intensificazione di luce ed una videocamera. I dati ripresi, oltre che alla rete RIF, possono essere trasmessi sul display del PEP o sul display monoculare installato sull’elmetto (dove è presente anche un sensore diurno/notturno ad ampio angolo di visuale, 50°). La camera termica è prevista solo per l’arma del Comandante che, inoltre, può contare anche sull’apparato di osservazione elettro-ottico Jim. Nel complesso, la suite elettro-ottica del Felin è inferiore a quella del Soldato Futuro senza contare il fatto che l’arma non dispone del lanciagranate. Un’altra importante differenza con il Soldato Futuro è l’osteofono, al posto del tradizionale microfono. Installato su una cuffia leggera e confortevole, è un particolare tipo di microfono, attivato dalle vibrazioni delle ossa del cranio, dall’aria o direttamente dalle vibrazioni delle corde vocali, che consente pertanto di comunicare anche nel più assoluto silenzio muovendo solo la bocca.
su pressione anche di ambienti congressuali, è stato costretto a recedere dalla sua decisione ed a «resuscitare» il programma. Una decisa sterzata che, nel maggio 2008, ha portato all’annuncio che un’intera Brigata, il 5° Stryker Brigade Combat Team , verrà equipaggiata con i kit Land Warrior nel corso del 2009. Oltre alle pressioni dei soldati sul campo ed all’azione delle lobby congressuali, la decisione dell’US Army può essere spiegata anche alla luce di una sensibile revisione del processo di digitalizzazione nel frattempo incorsa, dovuta a due fattori: l’incalzare della guerra al terrorismo - in particolare si è visto che gli apparati del Land
Y IL LAND WARRIIOR E L’US ARMY Gli Stati Uniti sono stati naturalmente i primi a muoversi nel campo della NCW e della fanteria network-centrica. I teorizzatori, certo, ma anche i primi ad applicare le teorie sul campo. Lo dimostra il fatto che il programma Land Warrior affonda le sue radici nella seconda metà degli anni Ottanta. Nonostante questa precocità è andato incontro ad una serie infinita di vicissitudini, dovute soprattutto alla concorrenza del Future Force Warrior, il fante del futuro che opererà nell’architettura FCS, che ne hanno più volte messo in discussione l’esistenza. Un percorso travagliato che alla fine è culminato, nel febbraio 2007, con la decisione dell’US Army di cancellare il programma e sospenderne i fondi. A quel punto, però, al Land Warrior è venuto in soccorso il campo di battaglia. A programma morto, infatti, 200 sistemi Land Warrior sono stati spediti comunque in Iraq con il IV battaglione del 4° Stryker Brigade Combat Team. Un modo molto anglosassone per mettere alla prova un sistema sul campo e per capire se, nella fattispecie, valeva davvero la pena cestinare tutto e impattare così direttamente sull’FCS. Ebbene, i risultati sono stati talmente soddisfacenti ed i feedback dei soldati positivi, che l’US Army,
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Sul Head-Mounted Display, qui in primo piano con un kit Land Warrior, possono essere proiettate le immagini riprese dai sensori, e non solo (General Dynamics).
Warrior offrivano un vantaggio competitivo anche in contesti asimmetrici - e la palese immaturità di alcune tecnologie dell’FCS. Ecco allora che un maggiore realismo ha portato a guardare al Land Warrior come ad un’utile soluzione ad interim verso il FFW e come ad un test bed operativo nel quale introdurre le spirali tecnologiche dell’FFW via via che queste maturavano. Venendo al sistema, l’architettura è grosso modo simile a quella che abbiamo visto per Felin e Soldato Futuro. Al centro di tutto c’è il PC indossabile. Il sistema è basato sul processore Strong ARM da 500 Mhz ed è collegato ad un hub a 10 porte che consente l’integrazione della componente C2 con i sistemi di comunicazione e la sensoristica. Il sistema di navigazione comprende un GPS a cinque
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canali satellitari, con margine di errore attorno ai 10 metri, ed un contapassi tipo «dead reckoning» con il quale il soldato può tracciare i propri spostamenti e individuare la posizione anche quando il GPS non è attivo (ad esempio all’interno di edifici). Per quanto riguarda le comunicazioni, è disponibile una rete wireless locale, con una copertura di 1 000 m, garantita da una Multi-band Intra-/Inter-Team Radio (MBITR) la cui antenna è installata sull’elmetto. La radio standard è la Raytheon MicroLight (la stessa del Soldato futuro del British Army) che offre capacità di trasferimento dati e voice. Per le comunicazioni con i livelli superiori viene invece impiegata la Land Warrior Squad Radio , una radio ad otto canali operante tra i 30MHz e gli 88MHz e compatibile con lo standard SINCGARS. L’apparato è però disponibile solo per i Comandanti. Quest’ultimi dispongono anche del CAD, un terminale di CoL’arma del Land Warrior è la carabina M4 alla quale sono abbinati il Daylight Video Scope (DVS), una videocamando e Controllo tattico con cinque canali GPS, mera digitale dotata di zoom, compreso tra 1,5X e 6X, con il quale è possibile localizzare e tracciare la e il Thermal Weapon Sight II (TWS II), un sensore IR (Geposizione della squadra e comunicare ordini e neral Dynamics). messaggi grazie alle info provenienti dai livelli superiori. L’arma del Land Warrior è la carabina M4 alla da dove proviene la minaccia rispetto alla propria posizione. quale sono abbinati il Daylight Video Scope (DVS), una videocamera digitale dotata di zoom compreso tra 1,5X e 6X, e il Thermal Weapon Sight II CONCLUSIONI (TWS II), un sensore IR. Sull’arma è integrato anche un telemetro laser con bussola digitale. I sensori possono trasmettere le immagini direttamenNon è tutto oro quel che luccica. I sistemi presi te sul display del computer e sull’Head-Mounted in considerazione presentano ancora una serie di Display (HMD). Quest’ultimo, posizionato sopra problemi. La cosa, se si può dire, che consola è un occhio del soldato, è un Rockwell Collins Proche si tratta per la gran parte di problemi fisioloView S035, con display da 1,6“, gici, dovuti principalmente alche offre una resa simile a l’immaturità di alcune tecnoloquella di un comune monitor da I sistemi presi in conside- gie. Prendiamo per esempio i 17“. Oltre alle immagini ed ai razione p r e s e n t a n o a n c o r a pesi. Molto è stato fatto per ridati ripresi dai sensori, sul di- u a n s e r i e d i p r o b l e m i . . . durli e conferire così ad un solsplay possono essere visualizmaggiore mobilità, ma uld o v u t i p r i n c i p a l m e n t e a l - dato zate anche mappe con la positeriori progressi dipenderanno zione delle forze amiche ag- l’immaturità di alcune tec - soprattutto dall’adozione di giornate ogni 10/30 secondi e nologie nuovi materiali più leggeri. mappe satellitari generate sulla L’altro grande problema è l’aubase di immagini ricevute dai tonomia. I soldati futuri sono livelli superiori. Sempre sull’arma sono installati dotati di equipaggiamenti all’avanguardia che peanche tre tasti programmabili che possono essere rò sono dei gran divoratori di energia. Con la tecimpiegati per le funzioni di push-to-talk, per la nologia attuale, data dalle batterie a ioni di litio, è selezione delle finestre visualizzate sullo schermo difficile poter arrivare alle 24 ore di missione. Fie la cattura di immagini dai sensori. nite le batterie, è necessario tornare ad una fonte Una delle migliorie introdotte grazie all’espedi energia, o ad un veicolo, per ricaricarsi. Grandi rienza in Iraq è stata il sistema anti-sniper Boosperanze vengono riposte nella tecnologia a celle combustibili, ma anche in questo caso siamo ben merang. Il sistema è in grado di individuare la dilungi dalla maturità. Un’altra bella sfida per l’instanza e la direzione di provenienza di un proietdustria e le Forze Armate. tile esaminando il suono dello sparo e del proiettile stesso. La posizione del cecchino viene moPietro Batacchi strata direttamente sul monocolo tanto che ciascun soldato saprà dunque quasi istantaneamente Giornalista
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LA FORCE PROTECTION E LA RISPOSTA AGLI IED
LA FORCE PROTECTION E LA RISPOSTA AGLI IED La minaccia rappresentata dalle mine e dagli ordigni esplosivi ha imposto lo studio e l’adozione di sofisticate misure per proteggere uomini e mezzi nei teatri operativi. L’Italia, oggi, con IVECO e OTO MELARA, può considerarsi all’avanguardia nel settore delle blindature.
Il concetto di Force Protection è molto ampio e abbraccia diversi settori operativi che vanno dalla protezione individuale del personale e dei mezzi, a quella delle informazioni, la sorveglianza, la comunicazione e l’information dominance. La normativa di riferimento in questo settore è ormai consolidata sia in ambito NATO che nazionale da l’«Allied Joint Doctrine for Force Protection», l’ «Allied Command for Operation», la «Directive 80-25» , la «SMD PID/O-3.14», la «Dottrina interforze nazionale per la protezione delle forze» e il «Concetto strategico del Capo di SMD». In ambito nazionale, la Force Protection è definita come «l’insieme di misure e mezzi per ridurre al minimo la vulnerabilità del personale, delle installazioni, dei mezzi e delle informazioni rispetto a qualsiasi minaccia e circostanza, al fine di preservare la libertà di azione e l’efficienza operativa delle forze». Di particolare interesse è l’applicazione di tale concetto alla protezione del personale a bordo dei veicoli. Tale esigenza si è resa maggiormente pressante proprio negli ultimi 15 anni, in conseguenza della crescita esponenziale delle minacce derivate dalle mine e dagli ordigni IED (Improvised Explosive Device). Questi ordigni, confezionati assemblando micidiali cocktail con svariate decine di chili di esplosivo superiori talvolta ai 100 kg, rappresentano la minaccia più comune negli attuali scenari operativi. Attualmente non esiste uno standard di protezione riconosciuto per i veicoli, ma molte aziende stanno cercando di implementare nelle proprie proposte quanto recepito dall’esperienza condotta in teatro, mettendo a punto veicoli sempre più protetti ed anticipando così l’evoluzione dottrinale. L’Italia, con Iveco ed Oto Melara, è all’avanguardia nel campo della protezione dei veicoli. Nel
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Sopra. Veicoli «MaxxPro». In apertura. Un veicolo «RG-33».
settore degli «IFV», il «VBM» è stato progettato per raggiungere il livello massimo di protezione balistica (5) ed il livello 3A di protezione antimina. Tali veicoli possono inoltre essere dotati di blindature laterali anti-IED ed in futuro è previsto l’adeguamento di tali protezioni anche per la parte inferiore dello scafo. Passando ai veicoli leggeri, la tendenza sembra essere quella di soluzioni progettuali che prevedono la produzione di cellule di sicurezza per l’equipaggio, spesse volte sospese dal telaio, e la concentrazione di tutti i gruppi meccanici all’esterno di esse in modo tale da non dar modo all’onda di pressione dell’esplosione di generare schegge potenzialmente letali per gli occupanti. I cassoni, separati dalla cellula, sono facilmente eiettabili in modo da dare maggiore sfogo all’eventuale esplosione, mentre i sedili, costruiti in
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materiali anti-shock, sono sospesi rispetto al fonUn veicolo «Cougar» danneggiato da una mina. do della cellula su apposite strutture elastiche. In questo modo il veicolo può essere distrutto da un’esplosione ma la cellula deve rimanere inun telaio commerciale Iveco Cava Cantiere sul tatta e subire il minor danno possibile. quale viene incernierato un modulo di sicurezza L’Iveco, con il suo «LMV», può vantare il meglio di produzione Krauss Maffei Wegman. La protenel settore. zione sarà di livello 3 STANAG, sia per quanto riTale veicolo ha un livello di protezione balistiguarda la balistica sia per le mine. ca 3 ed un livello di protezioNel settore della protezione ne antimina 2A, che prevede la anti mine l’Italia ha acquistato Force protection è l’insie - di recente sei veicoli «MRAP» resistenza sotto-ruota ad esplosioni provocate da mine m e d i m i s u r e e m e z z i p e r (Mine Resistant Ambush Procon 6 kg di esplosivo, e già da ridurre al minimo la vulne - tected) in versione trasporto oltre un anno è impiegato in e quattro veicoli borabilità del personale, delle «Cougar» Libano e in Afghanistan. nifica itinerari «Buffalo» (1). In quest’ultimo teatro ope- i n s t a l l a z i o n i , d e i m e z z i e Il «Cougar» pesa 17,7 tonrativo i «Lince» sono stati og- delle informazioni rispetto a nellate ed è equipaggiato con getto di esplosioni, ma nono- qualsiasi minaccia e circo - un motore Caterpillar C7 tarastante i danni subiti dal veico- stanza ... to per 330 HP a 2 400 lo gli equipaggi hanno riporgiri/minuto. Il «Buffalo», invetato ferite leggere e la cellula ce, è ancora più pesante (da di sopravvivenza ne è uscita intatta o quasi. 20,4 a 36,3 tonnellate) ed è stato progettato per Nel corso del convegno sulla «Force Protection» essere riparato direttamente anche sul campo di tenutosi a La Spezia il 23 maggio 2008, l’IVECO battaglia (2). ha annunciato lo sviluppo di una nuova versione I mezzi in questione meritano un approfondidel «VTLM», denominato «VTM-x» per l’Esercito mento proprio perché considerati come possibile Italiano e «MPV» per il settore commerciale. risposta concreta agli IED. Il veicolo sarà un 4x4 super protetto, basato su La notizia di questa commessa era emersa già
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nel marzo scorso, quando il Dipartimento della Difesa americano aveva reso noto ufficialmente di aver avviato le procedure per l’aggiudicazione all’azienda Force Protection Industries, Inc. di Ladson della fornitura di 10 veicoli anti mine al Ministero della Difesa italiano. Il contratto rientra nel programma per la vendita all’estero di forniture militari (Foreign Military Sales) del Pentagono e si aggira intorno ai 8 353 715 dollari. Esso comprende, oltre ai 10 veicoli, anche la fornitura dei servizi di supporto tecnico e dei pezzi di ricambio per il loro mantenimento in efficienza. Il supporto logistico sarà garantito dalla Force Protection, tramite il Marine Corps Systems Command di Quantico, fino a metà del 2009. La costruzione dei mezzi per l’Italia dovrebbe completarsi nel mese di luglio ed entro l’estate questi dovrebbero essere consegnati. Al momento non è noto se si tratta solo di una prima tranche di veicoli, eventualmente seguita in un secondo momento da un lotto numericamente più significativo.
segnando il declino della dottrina Rumsfeld, contraddistinta dagli elevati contenuti tecnologici scarsamente supportati da adeguati mezzi protetti. In tal senso lo «Stryker» era il simbolo di questa impostazione: alta mobilità e proiettabilità abbinate alla capacità di information dominance, a scapito però della protezione passiva dei mezzi. Per sopperire questa carenza di protezione dei veicoli, i militari statunitensi iniziarono ad utilizzare una serie di soluzioni rudimentali fatte di materiali di scarto, piastre di metallo e compensato. Queste soluzioni improvvisate non sono però riuscite ad aumentare i livelli di sicurezza degli occupanti dei veicoli ed anzi hanno reso quest’ultimi meno mobili e flessibili, andando a sollecitare le sospensioni e le stesse ruote motrici. A ciò si è poi aggiunto l’incremento di pericolosità derivato dalla presenza di kit di protezione improvvisati che facevano aumentare la probabilità di schegge in caso di attacchi condotti con IED. In conseguenza di ciò il Pentagono ha deciso quindi di accelerare il programma dei «MRAP» passando dagli iniziali 1 022 ordini a 3 700. Gran parte di questi veicoli dovrà pertanto essere dispiegata in Iraq, in sostituzione degli «Humvee», I VEICOLI «MRAP»: STORIA E RITARDI per lo svolgimento di compiti utility e scout. Diverse sono le aziende che partecipano a tale Nei teatri di guerra di Afghanistan e Iraq la magprogramma, ma le maggiori sono BAE Systems, gior parte delle vittime tra le forze della Coalizione Force Dynamics (una joint venture tra General Dynamics e Force Protection) (3). sono provocate da IED, ordigni realizzati impieganFranz J. Gayl, un ex Ufficiale do i più disparati elementi come dei Marines che ha trascorso proiettili d’artiglieria e sostanze ... I sistemi «MRAP» sono sei mesi in Iraq, nel 2006 e nel esplosive realizzate in «casa». Spesso la loro potenza supera caratterizzati da una cellu - 2007, ha condotto una ricerca quella delle mine di produzione l a c o r a z z a t a c o n s c a f o a sull’argomento denunciando il dell’entrata in servizio industriale, mentre i metodi di « V » i n g r a d o d i d e f l e t t e r e ritardo dei «MRAP». occultamento e innesco si fanno Secondo la ricerca, il costo del sempre più raffinati, rendendo gran parte dell’energia ge ardua la scoperta preventiva di n e r a t a d a l l ’ e s p l o s i o n e g a - veicolo sarebbe stato uno dei questi ordigni, generalmente r a n t e n d o , c o s ì , l ’ i n t e g r i t à principali fattori che avrebbero influito sulla decisione di non piazzati lungo le vie percorse dell’abitacolo dare seguito alle richieste di dai convogli delle forze alleate. acquisto. Si temeva infatti, che Tale realtà ha determinato una questi veicoli da un milione di dollari l’uno avrebmaggiore attenzione verso quei sistemi in grado di gabero potuto interferire con i programmi finanziari rantire una maggiore protezione del personale. relativi ai veicoli più leggeri. Inizialmente la ricerca era stata incentrata sullo sviFu il segretario Robert Gates, nel maggio del luppo e l’impiego di sistemi di scoperta e/o neutra2007, ad indicare i MRAP come programma a lizzazione che pur avendo colto degli risultati appriorità uno nella lista delle acquisizioni del Penprezzabili non riuscivano a risolvere le sempre più tagono e a far sì che tali veicoli iniziassero ad esraffinate tecniche di produzione e impiego degli IED. sere trasportati in Iraq. Si è così giunti alla conclusione che, almeno nel Gayl elenca, inoltre, i quattro fattori che avrebbreve periodo, sarebbe stato difficile scongiurare bero determinato le errate decisioni fino al motali micidiali attacchi e, pertanto, l’attenzione si è mento della sostituzione di Rumsfeld nel 2006. rapidamente concentrata sulla riduzione delle perIn primo luogo, come già accennato precedendite umane mediante il ricorso a veicoli progettati temente, l’errata valutazione circa le possibili miper proteggere l’equipaggio. gliorie derivate dai rudimentali aggiustamenti deL’esperienza in Iraq e Afghanistan stava infatti
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Vista frontale di un veicolo «MaxxPro».
gli «Humvees». A ciò si aggiunse il timore degli eccessivi costi che il nuovo veicolo avrebbe potuto avere sulla catena di sostegno e mantenimento logistico dei Marines piuttosto che la constatazione che le truppe sarebbero state trasportate su un veicolo che avrebbe salvato loro la vita nel caso di esplosioni di IED (4). Successivamente ci fu anche una carenza di informazioni circa lo stato di urgenza delle richieste dei «MRAP» così come una certa diffidenza nei riguardi di questo veicolo considerato poco adatto ad una forza impiegabile per operazioni militari di reazione rapida. Resta invece poco credibile la giustificazione secondo la quale ci sarebbero state poche indu-
strie americane in grado di produrre tali veicoli mentre sembrano quantomeno più credibili gli inconvenienti che avrebbero potuto avere questi mezzi in particolari situazioni quali l’inseguimento lungo le strette vie dei centri abitati o l’attraversamento di piccoli ponti (5). I MODELLI A prescindere dal modello, i sistemi «MRAP» sono caratterizzati da una cellula corazzata con scafo a «V» in grado di deflettere gran parte dell’energia generata dall’esplosione garantendo, così, l’integrità dell’abitacolo. Questa particolare forma li differenzia dagli altri veicoli corazzati. Infatti, per quanto protetti, i mezzi a scafo piatto offrono all’impatto una superficie troppo ampia e
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Causa le loro dimensioni, i veicoli MRAP possono risultare ingombranti e poco manovrabili, ma sicuramente efficaci per la protezione del personale.
tendono a spaccarsi sotto la pressione dell’onda d’urto. Inoltre, anche nel caso resistano all’esplosione e alle schegge, l’energia trasferita all’interno dell’abitacolo è spesso tale da provocare gravi danni agli occupanti, soprattutto per quanto riguarda gli arti inferiori. Secondo quanto dichiarato dal Comandante dell’US Marine Corps, il Generale T. Conway, le possibilità di sopravvivenza ad un IED del personale di un «MRAP» sarebbero di ben 300 volte superiori a quelle offerte da un «Humvee Up Armored». I «MRAP» impiegano telai di veicoli pesanti (generalmente di derivazione commerciale) e montano ruote con pneumatici alti, così da aumentare quanto più possibile la distanza da terra per favorire ulteriormente il dissipamento dell’energia dell’esplosione. Inoltre, equipaggiamenti e sistemi vengono quasi tutti collocati in appositi vani posti all’esterno della cellula protetta, in modo che possano offrire un ulteriore livello di protezione. Essi sono stati suddivisi dal Pentagono in tre categorie. La prima comprende i mezzi di più ridotte dimensioni destinati ad operazioni di pattugliamento, ricognizione e Comando e Controllo. Sono in grado di trasportare sei o più persone e sono i più indicati per le operazioni in ambiente urbano, dove gli ingombranti mezzi di categoria superiore avrebbero difficoltà a manovrare. Alla seconda appartengono i veicoli in grado di trasportare 10 o più persone e sono destinati principalmente alla scorta dei convogli,
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al trasporto truppe e all’evacuazione medica. La terza categoria, infine, è composta dai mezzi equipaggiati per le operazioni di bonifica delle vie di comunicazione da mine, IED e UXO (ordigni inesplosi). Questi veicoli non sono veri e propri sistemi di sminamento, in quanto non sono in grado di bonificare rapidamente ampie aree, ma possono comunque rimuovere uno per uno gli ordigni individuati (6). I NUMERI DEL PROGRAMMA E LE FORNITURE Per comprendere come tali veicoli si vanno affermando bisogna analizzarne il ruolo nella programmazione militare americana che sta ottenendo sempre maggiore attenzione da parte dell’amministrazione difesa e del Congresso americano. Originariamente fissato un requisito di fornitura riguardante 2 500 veicoli, dopo aggiustamenti in sede di bilancio previsionale ed in sede congressuale, i numeri sono stati rivisti al rialzo fino a raggiungere la quota di 17 000 veicoli. In un memorandum del 15 maggio 2007, il segretario ad interim dell’US Army, Pete Geren, stabiliva la necessità per le forze USA di dotarsi di ben 17 700 veicoli e diversi funzionari dell’US Army avevano chiesto al Dipartimento della Difesa di approvare un finanziamento di 20 miliardi di dollari, per i successivi due anni, per rischierare i veicoli in teatro entro il 2009. Lo stesso Segretario alla Difesa ha descritto in più di un’occasione il «MRAP» come un programma prioritario fondamentale per garantire maggiore sicurezza alle unità impegnate sul terreno
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sia in Iraq che in Afghanistan (7). come lo strumento in grado di dare una risposta Sebbene di questi veicoli si parli almeno dal definitiva alle capacità di reazione della guerriglia. 2003, solo nel novembre del 2006 è stato emesso Infatti, la principale minaccia in questo momenil primo consistente requisito interforze per 4 060 to è rappresentata dalla diffusione degli IED di tipi unità (2 500 per l’US Army, 538 per l’US Navy e 1 EFP (Explosively Formed Projectile), ovvero degli 022 per l’US Marine Corps), salito subito dopo a 7 ordigni a carica cava in grado di penetrare anche 774 e 23 000 ordini fino al 2010. lo scafo dei «MRAP». Il «MRAP» è quindi un programma Joint, la cui Questi micidiali IED sono generalmente realizzati gestione tuttavia è affidata al Corpo dei Marines. impiegando un fusto o un tubo che viene riempito Numerosi sono, oltre all’Italia, i Paesi che stanno di esplosivo al quale viene data una forma concava puntando decisamente su di essi per incrementain corrispondenza dell’apertura da indirizzare verre la sicurezza del proprio personale dispiegato in so il bersaglio. Il fusto viene poi chiuso con un «coIraq e/o Afghanistan. perchio concavo» di rame o acciaio ben inserito Parallelamente, anche il Ministero della Difesa nell’esplosivo. Con l’esplosione il «coperchio» si britannico ha siglato un contratto per la fornitutrasforma in un dardo di metallo fuso in grado di ra di 174 veicoli «MRAP» nella versione 6x6 perforare corazze anche di notevole spessore. «Cougar Mastiff» (versione britannica del mezPer rendere i veicoli «MRAP» in grado di sopravzo), per un esborso di 115 mivivere anche agli EFP il Pentalioni di dollari. gono ha già lanciato un pro...pur riuscendo il «MRAP» gramma di acquisizione di coComplessivamente, il Regno Unito ha in ordine una fornitura a r i d u r r e s e n s i b i l m e n t e i l razzature aggiuntive, il «Frag di 330 «Cougar» in versione n u m e r o d i v i t t i m e c a u s a t e Kit 6». Ciò porta però ad un’inevita6x6 e 500 4x4 per un totale di da IED non lo si può ancora bile riduzione della mobilità ben 1 050 esemplari. c o n s i d e r a r e c o m e l o s t r u - dei veicoli che vedono aumenL’Australia ha acquistato da Thales-ADI ben 668 esemplari di mento in grado di dare una tare sensibilmente sia il peso, «Bushmaster» mentre i Paesi r i s p o s t a d e f i n i t i v a a l l e c a - sia l’ingombro. Bassi ne hanno acquistati 25. p a c i t à d i r e a z i o n e d e l l a Parallelamente a questo programma teso a rafforzare i veiIl modello tedesco «Dingo 2» guerriglia della Krauss-Maffei Wegmann coli, il Marine Corps Systems ha ricevuto ordini dalla GermaCommand ha sollecitato le nia per 204 esemplari che si sono aggiunti ai 147 aziende per lo sviluppo di una nuova generazione «Dingo 1», dal Belgio per 220, dal Lussemburgo di veicoli «MRAP» in grado di offrire una protezioper 48 e dalla Repubblica Ceca per 4. ne più elevata pur garantendo una sufficiente Da questi numeri si intuisce come presto i mobilità. «MRAP» saranno i mezzi da trasporto standard per Matteo Bressan le forze della Coalizione in Afghanistan e in Iraq. Analista Ricercatore
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I FATTORI DI CRITICITÀ DEL PROGRAMMA MRAP La necessità di avere la maggior quantità di «MRAP» disponibili nel minor tempo possibile ha determinato la scelta di rivolgersi a diverse aziende produttrici. Questa scelta potrebbe generare dei problemi logistici non indifferenti dal momento che sarebbero ben 11 le versioni di tali mezzi sul mercato. Il Pentagono ha chiarito come l’ampio uso di componenti commerciali, comuni a tutti i veicoli, dovrebbero limitare i rischi di una cattiva complementarietà dei pezzi. A questo problema si aggiunge anche la difficoltà di trasporto dei «MRAP», per i quali vengono utilizzati ogni tipo di vettore, sia navale che aereo. Dal punto di vista pratico invece pur riuscendo il «MRAP» a ridurre sensibilmente il numero di vittime causate da IED non lo si può ancora considerare
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NOTE (1) P. Batacchi, Force Protection: soluzioni per la sicurezza, «Panorama Difesa», n. 266, luglio 2008. (2) Cfr. L’Italia acquista i veicoli antimina «Cougar» e «Buffalo», in «Rivista Italiana Difesa», n. 4, aprile 2008. (3) Cfr. L. Pozzi, Il dopo Rumsfeld, «Panorama Difesa», n. 253, maggio 2007. (4) Una richiesta urgente di 1 169 «MRAP» firmata dal Generale di Brigata Dennis Hejlik, nel febbraio del 2005, era finita sulla scrivania di un funzionario civile che certamente aveva scarsa conoscenza dei veicoli militari. (5) R. Lardner, «The Associated Press», tradotto in «Pagine di Difesa», 27 febbraio 2008. (6) R. Ferretti, I veicoli «MRAP», «Panorama Difesa», n. 264, maggio 2008. (7) Cfr. «MRAP» un programma in crescita, «Panorama Difesa», luglio 2007.
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ATTUALITÀ DELLA STORIA MILITARE DELL’ETÀ MODERNA
ATTUALITÀ DELLA STORIA MILITARE DELL’ETÀ MODERNA Non è solamente lo studio delle campagne, delle battaglie e del loro corso, ma anche e soprattutto un’attenta analisi del pensiero militare in tutte le sue forme tecniche e tattiche.
La storia militare è quella particolare disciplina rivolta allo studio delle energie che sono o possono essere profuse dall’uomo a scopo bellico. Lungi dal volerla considerare un rigido e compartimentato settore di studio, essa mantiene però una sua peculiarità, sviluppandosi oggi in ambito interdisciplinare e beneficiando dell’apporto fornito da materie quali le scienze sociali, la geografia economica, l’archivistica, la numismatica, l’archeologia. Anche l’arte militare - tra i cui maggiori trattati ricordiamo «L’Arte della Guerra» del cinese Sun Tsu (VI sec. a.C.), il «De rei militari» di Flavio Renato Vegezio (IV-V sec. d.C.), lo «Strategikon» attribuito all’Imperatore bizantino Maurizio (VI sec. d.c.) e «Vom Kriege» del Generale prussiano Karl von Clausewitz - contribuisce al corretto sviluppo disciplinare di tale materia. In queste pagine prenderemo in esame la storia militare dell’età moderna, che gli studiosi collocano, di massima, tra la scoperta dell’America (1492) e la Rivoluzione francese (1789), cercando di seguirne lo sviluppo e trarne degli ammaestramenti utili. L’aspetto interessante di questa analisi è che essa, in misura ben maggiore della storia antica e medievale, può far cardine su opere di studiosi, eruditi e Comandanti militari, improntate ad un notevole grado di realismo e di metodo storico. Non troviamo cioè, in questo periodo, i logografi, quali il greco Erodoto, che utilizzavano leggende e miti quali base degli eventi oggetto delle loro trattazioni né i creatori di opere artisticamente inestimabili, ma carenti d’imparzialità di giudizio ed esatta informazione storica, come i romani Tacito e Livio. L’aspetto edificante e l’aspetto religioso, ancora fortemente presenti nel Medioevo, dal Rinascimento in poi assunsero inoltre toni più sfumati, sì che dal XVI secolo in poi è possibile parlare di una storiografia redatta su base scientifica e secondo criteri moderni. Volendoci dedicare all’Europa dei secoli XVI, XVII
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Sopra. Il doge di Venezia Francesco Morosini. In Apertura. Battaglia di Québec 1759: la morte del Generale Wolfe.
e XVIII è opportuno sottolineare come l’Italia fosse allora ripartita in numerosi Stati; tra questi il Ducato di Savoia e la Repubblica di Venezia consideravano quelli nell’Italia geografica solo parte dei loro interessi complessivi. Quanto allo Stato del Pontefice, il suo interesse religioso non coincise quasi mai, come posto in rilevo dal Muratori nel «Rerum Italicarum Scriptores», con l’aspirazione di chi mirava all’unità degli Italiani sul proprio suolo.
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no e pubblicato postumo in volgare nel 1544. Così, dopo la pace di Bologna del 1529, tornata in possesso di buona parte dei territori perduti, Venezia accettò un suo minore ruolo negli equilibri della penisola, riservandosi un maggior margine d’azione nel Mediterraneo. Le italiche discordie resero dunque la penisola, nel XVI secolo, un terreno di confronto tra le armi francesi, spagnole ed imperiali, cui si affiancarono, in ruolo gregario, quelle degli Antichi Stati, che per lo più si avvalevano di milizie mercenarie (a Novara, nel 1513, i Francesi si batterono contro gli Svizzeri dello Sforza). I fanti francesi, imperiali, spagnoli e svizzeri, si noti, trasfondevano nella guerra la cruda realtà del vivere quotidiano delle
Sopra. Oliver Cromwell. A destra. Niccolò Machiavelli.
FINE DEL XV SECOLO, XVI SECOLO L’equilibrio realizzatosi in Italia dopo la morte di Lorenzo il Magnifico fu turbato prima dalla campagna militare del Re Carlo VIII di Francia, ben loro aree di provenienza, mentre tra gli Italiani documentata nelle «Mémoires» di Filippo di Comsolo i soldati tratti da alcune isolate zone rurali, miens, nelle «Storie d’Italia» di Francesco Guicquali la Sardegna, l’Urbinate o le valli bergamaciardini e nel «Diaria de Bello carolino» di Alessche e bresciane, potevano essere utilizzati con sandro Beneditti, poi dal tentapari efficienza nel combattitivo, operato dalla potente Lega mento ravvicinato. Le italiche discordie rese - Una volta assoldate le soldadi Cambrai (Impero, Regni di Francia e d’Ungheria, Papato, r o d u n q u e l a p e n i s o l a , n e l tesche straniere - ma Venezia Duchi di Firenze, Savoia, Man- X V I s e c o l o , u n t e r r e n o d i e Firenze disponevano anche di tova e Ferrara) di ridimensionacoscritti - le città ed i confronto tra le armi fran - propri re le ambizioni del più forte tra territori degli Antichi Stati itagli Stati italiani, la Repubblica di cesi, spagnole ed imperiali, liani concorrevano alla guerra Venezia, evidenziato, tra le cui si affiancarono, in ruolo per lo più con cavalieri tratti molte opere, nelle «Mémoires» gregario, quelle degli Anti - dalla turbolenta nobiltà mino(1499-1521) del Maresciallo chi Stati re, archibugieri e bombardieri francese Fleurange, nel primo (artiglieri); alcune città a vocadei XII libri della «Storia venezione marittima quali Venezia, ziana» di Paolo Paruta e nel «Belli memorabilis Genova, Napoli e Pisa disponevano inoltre di maCameracensis adversus Venetos, Historiae», libri nodopera specializzata nella produzione bellica VI di Andrea Mocenigo, stampata nel 1525 in latinavale (Calafati, addetti alle corderie, all’armeria,
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QUALE RUOLO PER LA STORIA MILITARE? È difficile oggi riuscire a inquadrare il concetto di storia militare nel vasto panorama delle diverse discipline storiche esistenti. Tendenzialmente essa viene a ricadere in diversi ambiti, quasi avesse perso il carattere di disciplina a sé stante; abbiamo così approcci politico-militari oppure social-militari, in cui vengono messi in evidenza il ruolo e la funzione delle Forze Armate rispettivamente nell’ambito politico e sociale. L’opposto, cioè quell’approccio in cui venga analizzata la funzione della politica o della società nell’ambito militare, è sempre più raro e apparentemente destinato a scomparire. Per valutare questo fenomeno, è opportuno risalire alle radici della storia militare moderna e alle sue successive evoluzioni. Non è un caso che la sua nascita corrisponde a quel periodo di profonde trasformazioni politiche, sociali e soprattutto militari che seguì la fine del periodo della Rivoluzione francese e la nascita degli ultimi Stati nazionali in Europa, la Germania e l’Italia. Tradizionalmente, la moderna storia militare viene fatta risalire a due diversi filoni: la «Regimental History» britannica e l’«histoire du bataille» francese, entrambe caratterizzate (e caratterizzanti) da due diverse realtà politiche, sociale e militare. Nel primo caso la storia reggimentale serviva per ricordare le origini e la storia dei diversi reparti alla base dell’Esercito britannico, per consolidarne e accrescerne il prestigio in un periodo di grandi trasformazioni. Nel secondo caso la storia delle battaglie si proponeva di illustrare le glorie passate di un Esercito, mantenendone in vita il ricordo nelle generazioni che di esse non avevano altro che una percezione indiretta. Si trattava, in altre parole, del quadro classico della storia militare, vista sia come tradizione che come memoria. Meno noto è il fatto che, nello stesso periodo, la storia militare svolse anche il compito di fondamento per una analisi critica dei principi tattici e operativi: ovvero la storia militare come storia tecnica. Precursore in questo ambito fu il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito prussiano, il Feldmaresciallo Helmuth Johannes von Moltke che, studiando la storia della battaglia di Canne combattuta nel 216 a.C. tra Annibale e Terenzio Varrone, giunse a sviluppare il concetto dell’aggiramento operativo delle forze nemiche che fu poi alla base degli studi del Generale Alfred von Schlieffen, da cui sarebbe generato il piano con il suo nome messo in atto nella fase iniziale della «Grande Guerra». Non a caso, un fenomeno fondamentalmente ristretto allo Stato Maggiore dell’Esercito prussiano prima, e tedesco poi, che (nel bene e nel male) si distinse per vivacità intellettuale a cavallo del XIX e del XX secolo. Fu proprio la «Grande Guerra» a sancire un momento di grandi mutamenti per la storia militare; questo conflitto di portata enorme per l’epoca, che ebbe conseguenze politiche e sociali determinanti per l’Europa e il mondo occidentale, generò, tra le altre cose, un passo determinante anche dal punto di vista storico: la nascita della storia ufficiale. Fu infatti nel primo dopoguerra che gli Uffici storici delle Forze Armate dei vari Paesi che avevano preso parte al conflitto presero a elaborare delle storie ufficiali della guerra, riconoscendo e sancendo la portata che questo aveva avuto. La storia militare estese così i propri ambiti, dal momento che le dimensioni stesse della guerra costrinsero anche ad analizzarne gli aspetti politici, economici e sociali che, fino ad allora, erano stati trascurati dalle tradizionali storie di reggimento o delle battaglie. Si trattava del passo definitivo in direzione della storia militare moderna, non a caso coincidente con il concetto stesso della «Nazione in Armi», ovvero di una guerra totale che coinvolgeva ogni ambito della vita nazionale. Nello stesso momento, si ebbe anche uno sviluppo della storia militare come storia «tecnica» - anche se in forma meno evidente. Infatti, l’analisi, i cui sbocchi furono ancora una volta dottrinali, venne condotta prevalentemente sulle riviste militari e, in particolare, in Germania e in Italia. Se nel primo caso il confronto diede vita alla teoria della «Blitzkrieg», la guerra lampo, questo nulla toglie al fatto che gli stessi concetti furono elaborati anche in Italia, anche se mancò una loro attuazione pratica. Il secondo conflitto mondiale rappresenta ancora una volta un momento di «Spaltung», una cesura tra due epoche storiche diverse. Il secondo dopoguerra vide, infatti, grazie anche all’ampia diffusione della pubblicistica di settore, una ulteriore e (per il momento) definitiva evoluzione della storia militare. Pur mantenendo i propri filoni caratteristici di storia reggimentale e delle battaglie, la storia militare successiva alla Seconda guerra mondiale ha progressivamente perduto la propria caratteristica peculiare per divenire sempre di più parte delle altre discipline storiche; una logica conseguenza degli ambiti storici sempre più vasti - politico, economico, sociale - in cui, a partire dalla Prima guerra mondiale, la storia militare è stata inserita. Ma anche una conseguenza della progressiva riduzione (sia in termini quantitativi che qualitativi) della storia militare «tecnica», sempre meno prerogativa degli «addetti ai lavori» e sempre più una branca della pubblicistica di settore. Questa evoluzione è tutt’altro che sorprendente, se si tiene a mente il detto per cui le guerre sono troppo importanti per farle fare ai Generali. Come mise in evidenza Clausewitz, dall’epoca della Rivoluzione francese la politica ha assunto un ruolo primario, determinante, per la guerra e quindi è naturale che la storia militare, che comprende la storia delle guerre, sia stata progressivamente assorbita dalla storia politica e dalle altre discipline storiche che, nel secondo dopoguerra, hanno acquisito un peso crescente. Fondamentalmente, oggi la storia militare sembra essere stata ricondotta agli ambiti tradizionali delle sue origini moderne, ovvero la storia come tradizione e la storia come memoria, anche in questo caso il frutto di trasformazioni politiche e sociali manifestatesi dall’inizio del XXI secolo, in particolare il diffuso passaggio agli Eserciti di volontari professionisti. Ed è proprio in questi ambiti che la storia militare dovrebbe essere riscoperta e rivalutata, tenendo presente il valore dell’identità - sia a livello singolo (reparto) che collettivo (Nazione e Forze Armate) - che è alla base delle Forze Armate di ogni Paese. Tuttavia, non dovrebbe essere dimenticata anche la storia militare «tecnica», se non altro come strumento di analisi e di dibattito che, inserito o meno nell’ambito dottrinale, costituisce in ogni caso un elemento di crescita intellettuale propria delle Forze Armate stesse. Pier Paolo Battistelli Storico
fusori d’artiglierie...), mentre particolarmente quotati erano gli architetti militari italiani. In questo periodo guerre sempre più sanguinose e distruttive flagellarono la penisola, segnando la fine dei conflitti risolti mediante battaglie di manovra poco cruente e culminanti nella resa della parte
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sotto scacco, come nel 1430 a Maclodio, dove i Veneziani del Conte di Carmagnola, attirato in una trappola l’Esercito visconteo, non lo distrussero e liberarono gli sconfitti. Ciò premesso, si noti che i condottieri italiani continuarono ad essere tra i più considerati e ri-
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Wallenstein, Duca di Friedland.
XVII SECOLO Nel XVII secolo, con l’avvento al trono imperiale di Ferdinando II d’Austria, rigidamente educato dai Gesuiti, le contese per motivo religioso ripresero con vigore. Questo fu un secolo caratterizzato da guerre in massima parte non combattute sul nostro suolo, alle quali presero parte molti Italiani, tra i quali spiccarono per ingegno i Generali imperiali Piccolomini e Raimondo Montecuccoli; malgrado la più importante guerra del secolo, quella dei Trent’anni, non abbia interessato la penisola che marginalmente, gli Antichi Stati italiani
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chiesti. Basti pensare ad Alessandro Farnese, Ambrogio Spinola e Pompeo Giustiniani, autore quest’ultimo di «Delle guerre di Fiandra», edito ad Anversa nel 1609, che militando per la Spagna si coprirono di gloria nelle guerre contro le Province Unite. Si ridusse peraltro la capacità degli Stati italiani nel saper organizzare grossi Eserciti: chi poteva, come Cosimo I de’ Medici, sovente preferì finanziare quelli dei suoi potenti alleati piuttosto che ingrandire il proprio. Quanto all’organizzazione dello strumento bellico, la cavalleria di origine feudale, che nella penisola rimase in auge per motivi di prestigio sociale, altrove si alleggerì e, smesse le pesanti corazze, utilizzò elmo, pettorale, spada, moschetto corto e pistole. Le artiglierie, ed all’epoca di Francesco I quelle italiane contavano ben 26 diversi calibri, furono razionalizzate dagli Spagnoli, che ridussero i calibri a quattro. Le fanterie, costituite da milizie paesane e mercenarie, furono organizzate sempre meglio, in particolare dagli Spagnoli che perfezionarono l’organico fissando la scala dei gradi, dando norme alla giustizia militare, organizzando l’amministrazione d’intendenza ed armonizzando l’uso delle armi da lancio con quelle da punta. Fu però la pace di Cateau-Cambresis del 1559 a sancire l’egemonia spagnola e a porre fine alle guerre tra Francia, Spagna, Impero, Papato, Venezia, Genova ed i Duchi italiani. Uno degli ultimi atti fu il crollo della Repubblica di Siena,
alleata ai Francesi, la cui guerra contro gli ispano-medicei, ben raccontata nel «coevi Commentaires» del Maresciallo Blaise de Montluc, è stata magistralmente ripresa da Arnaldo D’Addario nella sua «Storia della guerra di Siena». Da questo momento, gli Italiani degli Stati direttamente (Napoli, Piemonte e Milano) o indirettamente (Genova, Firenze) soggetti alla Spagna combatterono i nemici europei di Madrid e gli Ottomani: quelli degli Stati rimasti pienamente sovrani, sostanzialmente Venezia, anch’essi contro i Turchi. In sintesi: all’inizio dell’età moderna le milizie scelte su base nazionale, sostenute da Niccolò Machiavelli nel primo dei sette libri Dell’arte della guerra, pur non sfigurando, non si dimostrarono in grado di reggere il confronto con i soldati di mestiere. La cavalleria, intesa quale strumento bellico dell’antica aristocrazia, visse quel progressivo ridimensionamento di ruolo che la condusse, sin dai primi decenni del XVII secolo, a dover riformare le «corazze», cavalleria pesante ancor tenuta in vita per ragioni di prestigio nobiliare. La prima età moderna fu altresì caratterizzata dal progressivo perfezionamento delle artiglierie: dai cannoni in ferro si passò ai più costosi cannoni in bronzo, mentre l’arte militare difensiva del XVI secolo conobbe l’indubbia preminenza dei grandi architetti militari italiani quali Giovanni Girolamo Sammicheli, Antonio da Sangallo, Francesco Paciotto da Urbino, Baldassarre Peruzzi, Giulio Savorgnan, Bonaiuto Lorini. Dal sesto decennio del XVI secolo a tutto il primo decennio del successivo l’Italia visse però un periodo di relativa pace e di ripresa economica, le cui ragioni taluni ravvisano nella cosiddetta «pax ispanica», una pace più imposta che partecipata. Basti pensare come le fortificazioni spagnole, a differenza di quelle veneziane, fossero costruite per tenere sotto tiro e controllo anche le città che dovevano difendere.
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Candia che Venezia, con il tardivo ausilio di altre potenze, condusse dal 1645 al 1669 contro i Turchi, sconfiggendoli più volte sul mare e resistendo, nella città fortificata di Candia, ad uno dei più lunghi assedi della storia. Detto ciò posiamo il nostro sguardo sulla Guerra dei Trent’anni, nel corso della quale ben operarono, sotto altrui insegne, cospicui contingenti italiani: si pensi che ben 30 000 erano i soldati forniti all’Union des Armas da Napoli, Milano e Sicilia, mentre circa 3 000 provenivano dalla Sardegna. Se nel primo periodo (1618-1620, detto boemo-palatino) l’Imperatore e la Lega Cattolica riuscirono ad avere ragione dell’Elettore Palatino, sconfiggendolo presso Praga, nel periodo successivo (1625-1630 detto danese) l’Impero dovette fronteggiare Cristiano IV di Danimarca, che, sollecitato da Richelieu, e sostenuto da Olandesi ed Inglesi, si era posto alla testa dei Protestanti. Le sorti dell’Impero furono sostenute dal nobile boemo Wallenstein e dal barone di Tilly, che fronteggiarono gli Eserciti di Cristiano di Brunswick e del Conte di Mansfeld. In questa fase, nel 1629, si accese in Italia la guerra per la successione al Ducato di Mantova e per il Monferrato, nel corso della quale l’Esercito veneto del prudente Provveditore Zaccaria Sagredo e quello francese, agendo disgiunti, non riuscirono ad impedire il sacco di Mantova; non sarebbe trascorso molto tempo e le Raimondo Montecuccoli. forze ispano-imperiali del Duca di Rohan avrebbero sottratto ai Grigioni il controllo della cattolifurono coinvolti in alcuni conflitti minori: si pensi ca Valtellina. a quello veneto-arciducale del 1615-17, che ebbe Tra i contributi storico-biografici di rilievo dediquale principale teatro d’operazioni il medesimo cati al periodo, vogliamo qui ricordare «Briefe fronte isontino dove, trecento anni dopo, avrebWallenstein’s» di Federico Förster («Lettere di bero combattuto nel corso della Prima guerra Wallenstein», 1828) e «Der dreiszigjährige Krieg mondiale Italiani ed Austriaci. In Italia non operaund die Heldendesselben, Adolf König von rono le Armate composte da decine di migliaia di Schweden und Wallenstein Herzog von Friedland» soldati impiegati, ad esempio, nel corso della di Mebold («La guerra dei Trent’anni ed i suoi Guerra dei Trent’anni in Germania: la pur cruda eroi, Gustavo Adolfo Re di Svezia e Wallenstein guerra veneto-arciducale - nel Duca di Friedland 1835-40) ed corso della quale morirono «sul il più recente «Wallenstain», di campo» entrambi i Generali CoWallenstein comandò mili- Golo Mann. mandanti le contrapposte Ar- zie mercenarie la cui discipliWallenstein comandò milizie mate, Pompeo Giustiniani ed na è ricordata come abomi- mercenarie la cui disciplina è Adamo di Trautmansdorf - vide come abominevole n e v o l e n e i r a p p o r t i c o n l e ricordata schierati sul terreno Eserciti nei rapporti con le genti dei composti da circa 5 000 uomini genti dei Paesi ove essi guer- Paesi ove essi guerreggiavano, l’uno; un conflitto che narraro- r e g g i a v a n o , m a s a l d i s s i m a ma saldissima nei rapporti geno, più che esaminare, Faustino nei rapporti gerarchici rarchici. Ai suoi soldati, ben Moisesso nella «Historia dell’ulpagati in denaro e prede, egli tima guerra occorsa in Friuli», chiedeva solo d’essere valorosi Enrico Palladio degli Olivi in «De Oppugnatione sul campo ed a lui devoti, ma la loro condotta Gradiscana» e Biagio Rith di Colemberg nei sdegnò i suoi stessi alleati. «Commentari della guerra moderna passata in Nel terzo periodo, (1630-1635, detto svedese), Friuli & né confini dell’Istria & di Dalmazia». Cobrillò l’astro di Gustavo Adolfo di Svezia, che dospicue forze furono però impiegate nella guerra di po una serie di altri conflitti, si volse a fronteg-
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giare l’Impero. Vinto Tilly nel 1631, Gustavo Adolfo, manovrando abilmente, piegò le sorti della guerra a suo favore, tanto da costringere l’Imperatore a richiamare in servizio il Wallenstein, che, superiore in uomini, non riuscì a vincerlo a Lüzen, dove il Re svedese morì. Divenuto una minaccia per lo stesso Impero, Wallenstein fu però fatto assassinare da Ferdinando II d’Asburgo, che conferì il comando dell’Esercito al proprio figlio Ferdinando. Gli storici militari hanno molto studiato anche Gustavo Adolfo, Comandante di un Esercito disciplinato, solido e mobile, creatore della Brigata su due reggimenti contrassegnati da mostreggiature di diverso colore, il cui ordine sul campo non differiva molto dal quello orangista. L’ultimo periodo (1636-1648, detto franco-svedese), vide spiccare tra i condottieri il Principe di Condé ed il Turenne, del quale rammentiamo le «Mémoires». Le Paci di Westfalia del 1648 (vi si comprendono i Trattati di Munster ed Osnabruck rispettivamente siglati dall’Imperatore con la Francia e con la Svezia) posero fine alla guerra: quando gli Eserciti stranieri lasciarono il suolo tedesco, la Germania era un Paese prostrato entro il quale gli Asburgo, ridimensionate le proprie ambizioni, dovettero accettare il pluralismo confessionale. Nel XVII secolo l’Europa conobbe però anche altri conflitti: nel 1642 scoppiò la guerra civile in Inghilterra che consacrò il New Model Army di
Gustavo Adolfo II.
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Oliver Cromwell e nel 1647-1648 importanti tumulti portarono alla proclamazione della Repubblica a Napoli, cui seguì, con l’appoggio della nobiltà locale, la repressione spagnola. Dal 1650 ebbero inizio in Francia le guerre della Fronda, quindi la guerra franco-spagnola e quelle tra Svezia e Polonia. Dal 1672 al 1678 l’ennesima guerra d’Olanda contrappose Francia e Svezia alle altre potenze europee, mentre nel decennio 1687-97 la Francia si batté contro Impero, Olanda, Savoia e Papato nella guerra germanica. Un discorso a parte meritano le guerre contro i Turchi. L’Austria li combatté dal 1593 al 1609 nel corso di una guerra alla quale don Giovanni de’ Medici - poi divenuto Generale e chiamato a sostituire Pompeo Giustiniani nella citata guerra veneto-arciducale Ritratto di Ufficiale d'artiglieria, Antonio Moro, Civiche Raccolte, Como.
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Sébastien Le Prestre de Vauban.
partecipò in qualità di «venturiere». Fu nuovamente guerra nel 1663-64, allorché Raimondo Montecuccoli, attento studioso dei mezzi di guerra del nemico, nel 1644 vinse l’Esercito ottomano al San Gottardo senza impiegare i picchieri: proprio l’esperienza di quella guerra gli permise di scrivere gli «Aforismi applicati alla guerra possibile contro il Turco in Ungheria» («Memorie»), tesoro di precetti strategici, tattici, economici e morali per le guerre di ogni tempo. Un’opera della piena maturità, considerata dagli studiosi superiore al giovanile quaderno d’appunti chiamato «Delle battaglie» ed al successivo «Trattato della guerra». In questo secolo anche Venezia si batté contro la Porta dal 1645 al 1669 e dal 1683 al 1699. Quest’ultima guerra ebbe inizio quando imperiali e Polacchi, vittoriosi sui Turchi a Vienna, invitarono Venezia ad un’alleanza alla quale si unì la Russia. I turchi, in difficoltà, persero la Morea e nel settembre 1687 furono sconfitti, ad Atene, dal futuro Doge Francesco Morosini: fu in questo frangente che il Partenone, difeso e trasformato in polveriera dagli Ottomani, fu colpito da un colpo di cannone veneziano ed esplose. I successivi eventi non modificarono di molto le posizioni e quando nel 1699 gli alleati misero fine alla guerra
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con il Trattato di Karlowitz, Venezia poté conservare le proprie conquiste. In sintesi: abbandonati verso la fine del XVI secolo da Maurizio di Nassau i grossi quadrati di fanteria, ch’egli spezzò in masse minori, le più evidenti innovazioni sono da ascrivere, nel Seicento, al genio di Gustavo Adolfo; a lui si deve l’introduzione della salva di fucileria e di più linee di drappelli alternati di moschettieri e picchieri, separate da intervalli variabili attraversi i quali, all’occorrenza, potevano sortire drappelli di cavalleria, riservando larghi spazi in prima linea alle artiglierie, usualmente leggere. Importante, nel corso del medesimo conflitto, anche l’intuizione del Turenne, che per primo diminuì le picche ed incrementò i moschetti. La cavalleria continuò ad alleggerirsi ed inserì tra le sue specialità i dragoni, cavalleria appiedabile che rappresentava l’evoluzione degli archibugieri a cavallo. L’apparizione di questa specialità si riscontra già nelle «Regole militari sopra il governo et servitio particolare della cavalleria» di Lodovico Melzo, edito ad Anversa nel 1611, e ne «Il governo della cavalleria leggiera» di Giorgio Basta, pubblicato a Venezia nel 1612. Per quanto concerne l’artiglieria, nel corso della guerra dei Trent’anni gli Svedesi introdussero i famosi «cannoni Hamilton» che utilizzavano cartocci di legno leggerissimo con la palla attaccata; essi furono imitati dai Francesi che, con poche modifiche, li tennero in servizio fino al 1736. Il XVII secolo predilesse l’offensiva, ma nella sua ultima parte fu dominato dalle teorie difensive di Sebastiano Leprètre de Vauban, che introdusse l’occupazione metodica ed il rafforzamento del terreno prospiciente le fortificazioni, intuendo l’utilità di realizzare sul territorio un coerente sistema di fortificazioni. Scrisse, sulla difesa, numerosi trattati, tra i quali «Traité de l’attaque des places», «Traité de la défense des places», «Traité des mines», «Traité des fortifications en campagne». XVIII SECOLO Questo secolo si aprì con la guerra per la successione di Spagna (1700-14), che si combatté in Germania, Spagna ed Italia, interessando, nella penisola, i territori mantovani, milanesi, parmensi e napoletani. Un conflitto che vide la neutralità (armata) della Repubblica di Venezia, sul cui Stato di Terraferma transitarono e si stanziarono Eserciti che provocarono danneggiamenti non tempestivamente risarciti, come posto in evidenza da Giovanni Scarabello nel suo «Settecento», significativo contributo alla «Storia d’Italia» curata da Giovanni Galasso. È da collocare in questo conflitto l’assedio di Torino del 1706, liberata da un Esercito asburgico comandato dal Principe Euge-
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Il Principe Eugenio di Savoia.
Storia Militare del Maggior Generale Carlo Corsi, Ed. Candeletti, Torino, 1885 (tav. 14-16).
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nio di Savoia, che conquistò la Lombardia e, l’anno seguente, il Regno di Napoli, prima che le paci di Utrecht, di Rastatt e Baden riportassero la pace, ridimensionando la potenza francese. La successiva guerra di successione polacca, dal 1732 al 1738, determinò la ripresa delle armi anche in Italia, dove il Re di Sardegna Carlo Emanuele III cedette la Savoia alla Francia, ma, al comando di un Esercito franco-ispano-sabaudo, prese Milano. Si noti come già in questi anni il Sovrano sabaudo ravvisasse nell’espansione verso la Lombardia l’importante direttrice della propria politica. Altri eventi seguirono ed i territori passarono da una dominazione all’altra: merita però segnalare come nel 1720, in conseguenza di uno scambio con gli Asburgo, i Savoia abbiano ceduto la Sicilia ed acquisito la Sardegna con il relativo titolo reale, che conserveranno sino all’Unità d’Italia, nel 1861. Quanto alle guerre contro i Turchi, dal 1714 al 1718 Vienna e Venezia furono nuovamente alleate: nelle fasi iniziali del conflitto la Repubblica perse la Morea, ma grazie al valente Maresciallo Shülenberg, difese con successo l’isola di Corfù. A loro volta gli imperiali di Eugenio di Savoia, alla sua terza guerra contro i Turchi, sconfissero nel 1716, a Petervaradino, l’Esercito ottomano. La pace di Passarowitz, assai favorevole all’Austria, sancì il ritorno alla Serenissima di alcuni territori dalmati riconquistati, ma la perdita della Morea: da Passarowitz in poi Venezia rinunciò a svolgere un ruolo politico-militare attivo sullo scacchiere internazionale, con la sola eccezione delle cam-
pagne navali di fine secolo contro le Reggenze barbaresche. Dal 1740 al 1748 si registrò il crescente dinamismo della Prussia di Federico II, che generò un groviglio di alleanze e rivalità e determinò il suo ingrandimento territoriale ai danni dell’Austria, mentre l’Italia tornava a rappresentare un teatro d’operazioni privilegiato. Si riaccesero poi, in successione, la guerra nei Paesi Bassi tra la Francia, da un lato, e Austria ed Inghilterra dall’altro e la guerra dei Sette anni con la Prussia che, anche dopo la metà del secolo, mantenne un ruolo da protagonista, mentre Francia ed Inghilterra erano impegnate a contendersi il Nord America e la Russia impegnava i Turchi in una serie di guerre. Questo il quadro europeo alla vigilia della Rivoluzione francese, quando la monarchia di Luigi XVI, già in conflitto con i 13 parlamenti dell’Ancienne Regime e con le città borghesi del Regno, cercò di ostacolare la dinamica dei Lumi, innescando una crescente reazione antimonarchica ed antinobiliare da parte del Terzo stato, che perseguiva anche la parità di diritti d’accesso alle cariche pubbliche ed ai gradi militari. Ammutina-
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truppe da schierare sul terreno. Il quadro generale di questo secolo si può così riassumere: gli schieramenti di fanteria furono organizzati e manovrarono secondo uno rigido schematismo; generalmente la Brigata rappresentò il corpo tattico, strutturato su due reggimenti di quattro battaglioni fucilieri ed uno granatieri. Il fucile con baionetta a ghiera sostituì l’antico moschetto e la giberna contenente le cartucce entrò a far parte dell’equipaggiamento del soldato, ora identificabile dalle mostrine che distinguevano i Corpi. In conseguenza della maggiore efficienza dell’armamento individuale fu perfezionata la tecnica della «salva di fucileria». La cavalleria, lasciata la corazza e tecnica d’attacco della «caracolla», adottò la «carica lanciata». Fu suddivisa in squadroni, cinque dei
Sopra. Friedrich der Große. A destra. 11 maggio 1745, guerra di successione austriaca: La battaglia di Fontenoy, dove i Francesi sconfissero una forza mista di Anglo-Olandese e di Hanover.
menti, defezioni e l’emigrazione in massa di quasi tutti gli Ufficiali, che in quanto aristocratici si sentivano minacciati, portarono ad una disorganizzazione militare alla quale la Francia dovette ben presto porre rimedio per fronteggiare l’attacco collegato di Austria, Prussia e Piemonte. Quanto all’evoluzione militare i fucili, dotati di una lunga baionetta triangolare, pesavano circa 4 kg e mezzo, tiravano un colpo al minuto all’inizio del secolo e due/tre colpi attorno agli anni cinquanta. L’artiglieria introdusse il tiro a mitraglia e migliorò la propria mobilità: sebbene nel corso della Guerra dei Sette anni siano apparse le batterie a cavallo, i pezzi furono quasi sempre diluiti sulla fronte degli schieramenti. L’ordine di battaglia, su più linee, prevedeva la fanteria al centro e la cavalleria alle ali. Un lungo dibattito riguardò la profondità, l’ordine lineare e la linea sottile delle
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quali formavano il battaglione, che, su due unità, dava vita alla Brigata di cavalleria. Il vero riformatore della cavalleria fu Federico di Prussia, coadiuvato in tale scopo dal Generale Friedrich Wilhelm Seydlitz. Regolamentata al pari di ogni altra componente, l’artiglieria si giovò invece dell’introduzione di cartocci e stoppini, mentre solo nel secolo successivo l’invenzione della canna rigata da parte del Generale italiano Gio-
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La battaglia di Kolin.
vanni Cavalli, avrebbe consentito un decisivo salto di qualità nell’utilizzo dell’artiglieria in campo tattico. Possono infine essere ascritte a Federico II le maggiori innovazioni in campo logistico: il Re prussiano, organizzando sul proprio territorio piazze di ricovero per gli approvvigionamenti e, grossi convogli da inviare alle truppe, aumentò con-
LEZIONI APPRESE Nel corso dell’età moderna, in Europa furono perfezionati gli strumenti bellici ed elaborate nuove teorie militari: questa evoluzione, che ri-
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siderevolmente la mobilità del proprio esercito, precorrendo Napoleone.
guardò anche il passaggio dalle milizie mercenarie a reparti ordinati, organizzati e composti da un crescente numero di soldati, fece crescere il costo degli Eserciti. Un processo, si consideri, non speculare a quello in atto ai nostri giorni: dalla fine dell’epoca bipolare si registra, infatti, in Occidente una costante contrazione degli effettivi inquadrati negli Eserciti, ma altresì la contemporanea necessità di non contrarre le spese per l’ammodernamento e la gestione delle Forze Armate, ormai divenute uno tra i principali strumenti di politica estera. Se un tempo gli Eserciti conducevano devastanti campagne belliche sui territori ove operavano, oggi le missioni di coalizione o sotto egida delle Nazioni Unite sono al contrario finalizzate al ripristino, in condizioni di sicurezza, del tessuto sociale ed economico in realtà deteriorate e ad alto rischio, con forte impulso alla componente civile-militare. Gli Stati Maggiori dei più avanzati Eserciti da tempo non ravvisano più la necessità di concentrarsi sulle difese statiche, considerate importanti in epoca moderna ed ancor in auge per alcuni decenni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Soprattutto dalla caduta di Dien Ben Phu, in Indocina (1954), si è assistito ad un drastico ridimensionamento delle teorie difensive in campo tattico, men-
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Friedrich der Große alla battaglia di Zorndorf.
tre le potenzialità nucleari avevano reso la difesa statica obsoleta anche sotto il profilo strategico. D’altro canto i Paesi sovrani non possono rinunciare a possedere un efficiente strumento di difesa militare a propria tutela, nonostante la consolidata policy di trasferire ad alleanze ed organizzazioni sopranazionali l’impiego di parte delle proprie potenzialità militari: peraltro, è indispensabile garantire allo strumento militare un alto livello di operatività a prescindere dal suo impiego. Oggi come un tempo gli Stati nascono, si sviluppano e finiscono, per crollo o trasformazione, com’è destino d’ogni umana opera: così è accaduto dopo le due guerre mondiali e più recentemente nell’est europeo, in conseguenza del crollo del «socialismo reale». Anche in età moderna, gli Stati che non seppero comprendere il mutare dei tempi e continuarono ad improntare la loro politica ad un’imprudente spregiudicatezza, o all’idea dell’assoluta e magari disarmata indipendenza, divennero preda dello straniero (Ducato di Milano, Repubblica di Venezia) o di Stati italiani più potenti (Repubblica di Siena). Sotto il profilo politico-strategico la divisione del territorio italiano fra diversi Stati, oltretutto non coalizzati, finì allora per risultare dannosa per tutti e per alcune realtà fu fatale; piegare l’interesse particolare a quello superiore, d’altro canto, è ancor oggi esercizio tra i più difficili, tanto che per garantire l’unità nazionale persino negli Stati a più marcata impronta federalista le funzioni della difesa rimangono accentrate. Una lezione che questi secoli possono impartirci è dunque il dover comprendere, ad ogni livello,
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i cambiamenti in atto, al fine di essere in grado di pilotare i processi e non farsi da essi travolgere. Quanto all’aspetto prettamente militare, a parere di chi scrive assume un particolare interesse trarre spunti di riflessione dagli eventi del XVII secolo, che fu militarmente caratterizzato da una crudezza delle operazioni belliche, che prostrarono intere regioni. Secolo protervo, conobbe quegli eccessi che in ogni tempo hanno caratterizzato i conflitti combattuti tra realtà inconciliabili, vuoi per i motivi politico-religiosi di questi decenni, vuoi, nel XX secolo, a causa delle ideologie. Si rammentino, infatti, i crimini di guerra perpetrati nel corso del secondo conflitto mondiale sul suolo russo da nazisti e sovietici, o, in epoca a noi più prossima, dai corpi paramilitari durante le guerre nei Balcani del quindicennio scorso. L’utile del momento, perseguito in spregio ad ogni norma di etica militare non solo è esecrabile in ogni tempo, ma in ultima analisi risulta dannoso proprio alla parte che agisce in spregio delle regole, come dimostra la sorte di Wallenstein e dei suoi Eserciti. Del tutto diverso l’insegnamento che può derivarci dall’analisi della condotta di Gustavo Adolfo, re guerriero che teneva in massima misura all’onore, puniva la bestemmia, le rapine, il gioco, il duello e provava pietà per i vinti, concedendo la sua benevolenza ai popoli conquistati. Le sue furono qualità di un condottiero amato e rispettato ed il suo agire fu improntato ad un’etica militare per quei tempi molto avanzata. L’insegnamento, per i Comandanti di oggi, è proprio quello di conformare ai principi dell’etica militare il proprio agire e di perfezionare ogni componente dello strumento bellico, poiché sovente non sono le soluzioni rivoluzionarie quelle che mutano, in campo militare, il corso degli eventi, ma le intuizioni intelligenti. S’impone, inoltre, a Governi e vertici militari il dovere di basare l’eventuale uso della forza, quanto meno entro limiti ragionevoli, sul consenso (si pensi alla comune volontà di resistenza dimostrata dal popolo britannico sin dalle prime fasi del secondo conflitto mondiale). Si noti ora un aspetto particolare: nel XVIII seco-
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lo, epoca nella quale le normative militari regolatesignana Accademia Delia di Padova, dove per rono in massima misura gli Eserciti, in taluni Stati iniziativa privata, ma sotto il controllo del Senato, della penisola, ed in particolare in quelli che perinsegnavano docenti dello spessore di Galileo seguirono politiche di neutralità (armata o peggio Galilei. Il recupero di una tradizione militare condisarmata), lo strumento bellico raggiunse il masdivisa passa, dunque, anche attraverso la conosimo dell’inefficienza, segno evidente che nessun scenza e valorizzazione del patrimonio legato regolamento, per quanto dettagliato, può supplire agli antichi Ducati di Milano, Mantova, Ferrara, a carenze di motivazione e deficienze strutturali. Firenze, e di quelli, più recenti, di Parma e PiaSotto il profilo organico è interessante poi notare cenza, del Regno di Napoli, di quello Italico e che gli Inglesi adottarono in questo secolo reggidelle Repubbliche Cisalpina, Cispadana ed Italiamenti strutturati su di un battaglione, che di essi, na. Tra le più belle pagine della nostra storia non corpi amministrativi, rappresentavano l’elemento dovremmo, infatti, più limitarci a rievocare quelle tattico: una formula adottata dal nostro Esercito dell’eroico Pietro Micca, che facendo saltare le nel decennio scorso. polveri s’immolò per difendere dai Francesi ToriA Federico II di Prussia si attribuisce il merito di no, ma riscoprire anche quelle, pressoché sconoavere introdotto in attacco l’ordine obliquo per sciute, scritte da soldati italiani come Biagio Zuscaglioni, conversione o aggiramento: manovre lian, che sacrificò la propria vita facendosi anche richiedevano un’indubbia abilità e che ancor ch’egli esplodere con le polveri al fine di non ceoggi sono studiate, al pari di quelle dei più quodere un bastione di Candia ai Turchi. tati condottieri antichi, moderni e contemporanei, Alla proposta di tornare a valorizzare la storia nelle Accademie militari, e con particolare attenmilitare moderna, nel cui studio si distinsero milizione dagli Statunitensi. tari quali il Colonnello di Stato Maggiore Gennaro Sebbene le teorie di Karl von Clausewitz apparMoreno, autore di un significativo Trattato di stotengano ad un periodo successivo, che rientra a ria militare pubblicato a Modena nel 1892, qualpieno titolo nella storia concuno potrebbe però obiettare temporanea, alcune sue enunla mancanza di attualità di ciazioni, quali la rapidità nello . . . l o s t u d i o d e l l a s t o r i a questa materia. sviluppo delle operazioni, la A costoro rispondiamo che moderna riveste ancor oggi dallo necessità di conferire loro un studio della storia si poscarattere risolutivo ed il dover per i militari, ed in partico - sono trarre concreti ed attuali prescindere da preminenti con- lare per i Comandanti, no - insegnamenti, come ha dimosiderazioni di carattere morale t e v o l e i m p o r t a n z a e d a t - strato, nell’«Etrange défaite», ed umanitario, trovarono appli- tualità ... Marc Bloch, Ufficiale francese cazione già in epoca moderna pluridecorato e storico tra i più ed in talune fasi del periodo riinsigni. Esso, in conformità al voluzionario francese; al contrario, le teorie di principio che «... il buono storico è come l’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la Antoine Henry Jomini, sembravano rivolgersi ad sua preda», operò all’epoca dei fatti una profonda Eserciti meglio organizzati, regolamentati, inquadrati e supportati di quelli dell’ultima età moderriflessione su quanto la Francia aveva vissuto nel na. Un’età che militarmente si chiuse, a nostro maggio-giugno 1940, presentando acute e coragavviso, nel momento in cui la Francia rivoluzionagiose osservazioni la cui lettura potrebbe ancor ria seppe ricostituire un Esercito nazionale coniuoggi giovare alla formazione dei nostri Quadri. gando alle idee di libertà ed uguaglianza quelle di Per quanto attiene poi alla ricerca storica, essa guerra nazionale e di popolo in armi. rimane un importante ambito nel quale i militari hanno sempre fornito al mondo accademico un rilevante contributo, soprattutto per mezzo degli CONSIDERAZIONI FINALI Uffici Storici degli Stati Maggiori. In conclusione, si può, dunque, affermare che lo studio della In ambito militare, la conoscenza della storia storia moderna riveste ancor oggi per i militari, militare moderna può contribuire in maniera sied in particolare per i Comandanti, notevole imgnificativa ad incrementare l’orgoglio d’apparteportanza ed attualità e che l’antico detto «Sapere nenza all’Esercito, che, erede della tradizione riper prevedere e prevedere per potere», conserva sorgimentale sabauda, fatica però a percepire in questo ambito, intatto, il suo valore. come proprio il patrimonio derivante dalla storia Riccardo Caimmi militare degli Antichi Stati italiani. Si pensi, ad esempio, agli Istituti per l’istruzione militare sorti Tenente Colonnello, dalla seconda metà del XVI secolo nella Repubin servizio presso blica di Venezia, tra i quali spicca, dal 1608, l’anla Scuola Lingue Estere dell’Esercito
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GIULIO CESARE L’UOMO, LE IMPRESE, IL MITO
GIULIO CESARE L’UOMO, LE IMPRESE, IL MITO A Roma, un’interessante esposizione riporta alla ribalta la più gloriosa, incredibile epopea. Le idi di marzo del 44 chiudevano la sua vicenda umana con la migliore sceneggiatura che la storia abbia mai scritto a sottolineare la grandezza e la caducità della vita. Una vita, comunque, da gigante.
Una sede prestigiosa per il protagonista assoe sconfitte, valoroso Comandante dell’Esercito luto della storia romana: Giulio Cesare. Il Chioromano a cui arride la gloria sui campi di battastro del Bramante è la suggestiva cornice che glia. Affascinano il suo genio, le sue doti inteldal 24 ottobre 2008 al 3 maggio 2009 lettuali, la sua clemenza cui fanno da ospita una mostra dedicata al grancontraltare tirannia e spietatezza. de condottiero, entrato nel mito Nonostante i contrastanti aspetti che possono emergere dalla sua e nella leggenda. Si tratta di un vita politica e militare, resta inevento inedito, essendo la confutabile il fatto che con lui prima rassegna espositiva al si apre un periodo fondamenmondo a lui dedicata. tale della storia dell’Italia e Totalmente immersi in un del mondo. gioco di luci e ombre dove Sono circa duecento le opere unica protagonista è l’opera esposte provenienti dai più imesposta, si parte dal persoportanti musei italiani ed euronaggio Cesare e dal contorno pei, tra cui i «Musei Vaticani», politico e culturale e se ne il «Museo del Louvre», i «Musei mostra l’astro nascente con i Capitolini», il «British Museum», suoi alleati e avversari (Pomil «Museo Archeologico» di Napopeo, Crasso, Cicerone), le camli, lo «Staatliche Museum zu Berpagne militari, la fase egiziana lin», il «Kunsthistorishes Museum» scandita dall’incontro con Cleopatra, fino al tragico epilogo delle Idi di Vienna. Un patrimonio costituito di Marzo del 44 a.C. che contribuida reperti archeologici (sculture, ranno a rafforzare il mito del primo mosaici, affreschi, gioielli, gemme, dittatore perpetuo della Res Publica monete) raffigurazioni pittoriche, plastici di Roma realizzati per l’occasione Romana, padre adottivo di Gaio che rendono tangibile la figura e le Cesare Ottaviano, che assurgesta del grande personaggio gerà al potere con il titolo nella sua dimensione storica. di Augusto. Una figura di Ma non solo. Il mito di Cesare grande richiamo, il cui faha segnato anche la cinematoscino è rimasto immutato grafia, dal cinema muto fino ai con il trascorrere dei secoli e giorni nostri. In scena immagini forse accresciuto da quello Il celebre ritratto o detto o Cesare «Chiaramo onti» », tratte da questi film, tra cui ciche può essere considerato il I sec. a.C. Musei Vaticani. tiamo la celeberrima produzione più famoso omicidio della storia. hollywoodiana «Cleopatra» con la Anche se ufficialmente non meravigliosa Elizabeth Taylor, Risarà mai Imperatore, nessuno pochard Burton e Rex Harrison di cui sotrà contestargli di essere stato di no esposti anche alcuni abiti di scena. fatto il primo Imperatore dell’Urbe, avendo poAprono la rassegna due opere che si segnalano sto le basi per la solida costruzione dell’Impero. per unicità e carica suggestiva: «il ritratto di CeUomo a tutto campo, con pregi e difetti, vittorie
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reperti provenienti anche dall’assedio di Alesia, punte di giavellotto e di freccia, spade, pugnali, elmi, finimenti per cavalcatura in argento di fattura gallica, una piastra di catapulta della V Legione macedonica. Curiosa anche la lastra dei frombolieri, che si riferisce all’assedio di Ascoli dell’89 a.C., da cui si evince l’uso intensivo delle ghiande-missili trovate in abbondanza sotto le mura della città, Statua di Afrodite, del tipo «Venere Genitrice», II sec. d.C., Museo del Louvre, Parigi.
In apertura. Vincenzo Camuccini: «La morte di Cesare», 1800, Napoli. Sopra. Guerriero gallico, I sec a.C., Musée Calvert, Avignone.
sare» (il cosiddetto «Cesare Chiaramonti»), scelto dagli organizzatori come logo dell’esposizione, e l’enigmatico globo proveniente dall’obelisco egiziano che attualmente domina Piazza San Pietro. A quest’ultimo è legata la leggenda cesariana secondo la quale in esso sarebbero custodite le ceneri del famoso condottiero. Si tratta di un pezzo di rara forza evocativa: incisi sono ancora i segni inferti dai Lanzichenecchi durante il sacco di Roma del 1527. Sulla guerra gallica la mostra espone importanti
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come anche «la pastoia di Gianon» usata per legare a coppie i prigionieri di guerra. Sempre dalla guerra gallica un pezzo unico che esercita una grande attrazione: il guerriero gallico in armi. Nell’impossibilità di descrivere tutte le opere esposte che rappresentano un unicum nel loro genere, segnaliamo il particolarissimo «CeAlexandre Abel de Pujol: «La clemenza di Cesare», 1808, Musèe des Beaux Arts Valenciennes.
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l’orrore di Cesare. Ai trionfi dell’illustre personaggio sono dedicate altre opere di Rubens e del suo allievo Erasmo Quellinus ma soprattutto la grande pittura francese del Settecento e Ottocento. È merito di Napoleone III, a cui tra l’altro si deve la scoperta di un magnifico calice d’argento esposto, aver diffuso il mito di Cesare anche attraverso la celebrazione dei grandi protagonisti d’oltralpe: ne costituiscono testimonianza le pitture di Hermann e di Motte su Vercingetorige. Ma l’ammirazione del grande Imperatore francese per Cesare, come condottiero e stratega, la si evince dai di-
Adolphe Yvon: «Trionfo di Cesare» (particolare), 1875, Musée des Beaux Arts, Arras.
sare verde», una scultura proveniente dal deserto orientale egiziano, e la famosa «Venere Genitrice», un capolavoro d’arte romana conservato al «Louvre», pregevole copia del simulacro della dea posto nel tempio eretto da Cesare stesso in onore della progenitrice di Enea e della «Gens Iulia», a cui lui stesso legava le sue origini mitiche. Chiude la rassegna un’eccezionale carrellata di dipinti di stile neoclassico, barocco, fiammingo. Rubens, Reni, Tiepolo, Hayez, Rixen raffigurano i trionfi di Cesare, la tragica fine di Pompeo e la morte di Cleopatra. È possibile ammirare la gigantesca tela raffigurante «Lo svenimento di Giulia alla vista del mantello insanguinato di Pompeo» del senese Bernardino Mei e «La consegna della testa di Pompeo a Cesare» in due opere, rispettivamente di P. P. Rubens e di Gian Battista Langetti. In particolare, l’opera di Rubens, per la prima volta in Italia, è emblematica dello stile del grande pittore fiammingo: la drammaticità dell’evento è resa nella sua pienezza dal contrasto tra il fondo scuro e i tagli di luce che danno risalto al-
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Sopra. Rilievo con la Madre Terra, I sec. a.C., Museo del Louvre, Parigi.
A sinistra. Falera in argento, I sec a.C., Museo di Santa Giulia, Brescia.
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Henri-Paul Motte: «Vercingetorige si arrende davanti a Cesare», 1886, Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay.
È, però, l’uccisione di Cesare il motivo dominante della parte conclusiva della mostra, nonché topos ricorrente nella fiorente produzione letteraria e artistica sul grande condottiero. Diverse le opere pittoriche dedicate a questo tema. Di forte impatto emotivo è il dipinto «Le Idi di Marzo» di Edward John Poynter, un soggetto tratto da una tragedia di Shakespeare, che raffigura Calpurnia mentre cerca di trattenere Cesare dall’appuntamento con la morte, a cui fa da sfondo il passaggio di una cometa, da sempre presagio di sciagure. È come se il suo destino fosse scritto negli astri di un’esistenza breve ma luminosa, costellata di trionfi e conquiste. È l’emblema di uno spirito eccezionale, che alla guida di un popolo valoroso ha saputo guadagnarsi la fama di eroe e la gloria dell’immortalità. Ancora
pinti che ne celebrano le gesta: «Clemenza di Cesare», di A. Abel de Pujol, «Trionfo di Cesare» di Adolphe Yvon, «Il saluto a Cesare» di Picault. Anche alla figura di Cleopatra è dedicato uno spazio rilevante, con lo splendido ritratto a firma di Michelangelo Buonarroti, custodito nel caveau di casa Buonarroti a Firenze, e con la raffigurazione della Cleopatra morente di Guido Reni, conservata nella «Pinacoteca Capitolina» di Roma.
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Elmo o con paragnatidi di un legio onario o di età cesariana., Musei Civ vici, Trieste.
oggi è il personaggio storico più conosciuto e amato nel mondo. La sua stella non ha mai smesso di brillare. Ecco perché la rassegna espositiva, unica al mondo, si pone come evento imperdibile per tutti, in particolare per, gli appassionati estimatori del padre del futuro Impero Romano. GRELAUR
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LA BRIGATA «PINEROLO» RIENTRA DAL KOSOVO
LA BRIGATA «PINEROLO» RIENTRA DAL KOSOVO Il b reve m a s ignificativo r esoconto d i u na o perazione d i s uccesso.
In data 25 novembre 2008 si è svolta, in Piazza del Ferrarese a Bari, la cerimonia di saluto ai militari della Brigata «Pinerolo» che hanno operato in Kosovo nel contesto dell’operazione di pace denominata Joint Enterprise. La cerimonia, organizzata in collaborazione con l’Amministrazione del Comune di Bari, è stata presieduta dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo D’Armata Fabrizio Castagnetti, alla presenza delle massime autorità civili, militari e religiose della Regione. Dal 30 di aprile al 06 novembre 2008 il Comando della Multinational Task Force West, costituita dalle forze di cinque Nazioni, Spagna, Slovenia, Ungheria, Romania e Italia, è stato affidato al Generale di Brigata Agostino Biancafarina, Comandante della Brigata «Pinerolo». Durante i sei mesi di permanenza sul territorio del Kosovo è stato garantito un ambiente sicuro e libertà di movimento a tutte le etnie presenti nell’area di competenza, assolvendo pienamente alla risoluzione 1 244 delle Nazioni Unite.
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Durante tutto il periodo, sono stati effettuati 2 800 posti osservazione, 2 400 pattuglie motorizzate, 1 600 pattuglie appiedate, 2 700 temporanei check points, 28 pattuglie congiunte con la polizia del Kosovo, 47 interventi dei team di bonifica esplosivi, per un totale di oltre 757 000 Km percorsi e il sequestro di ingenti quantità di materiali. Di rilievo l’attività CIMIC (Cooperazione Civile Militare), che ha realizzato 60 progetti di opere pubbliSotto. La tribuna delle autorità. Nella pagina a fianco sotto. Il Generale di Brigata Agostino Biancafarina, Comandante della Brigata «Pinerolo», dona al Sindaco di Bari, Dottor Michele Emiliano, il vessillo della Brigata. In apertura. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Fabrizio Castagnetti, passa in rassegna un reggimento di formazione su base 82° reggimento «Torino», in piazza del Ferrarese a Bari.
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LE ATTIVITÀ SVOLTE
Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito durante la sua allocuzione.
che per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione kosovara tra cui strade, scuole, ambulatori, case d’accoglienza per diversamente abili, acquedotti, reti fognarie, reti elettriche e molto altro. Tra le attività della CIMIC Italiana importante il lavoro svolto dall’Health Center Team (Centro della salute) che ha visitato 511 pazienti e ha inviato in Italia, dati riferiti al periodo da gennaio a novembre 2008, 122 malati afflitti da varie patologie.
Dom men nico Occhin negrro Capitano, Addetto Stampa della Brigata «Pinerolo»
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La Brigata «Pinerolo» ha assunto il Comando della Multinational Task Force West , nel contesto della dell’operazione di pace denominata Joint Enterprise, il 30 aprile 2008 e ha terminato il suo mandato il 06 novembre. La forza multinazionale che opera nell’ovest del Kosovo è costituita dalle forze di cinque Nazioni, Spagna, Slovenia, Ungheria, Romania e naturalmente l’Italia che rappresenta la Nazione leader a cui è affidato il Comando. Durante i sei mesi di permanenza sul territorio del Kosovo, la Brigata «Pinerolo» ha garantito un ambiente sicuro, la libertà di movimento a tutte le etnie presenti nella propria area di responsabilità nonché il continuo monitoraggio dei confini con Albania e FYROM e ha cooperato con tutte le organizzazioni presenti assolvendo pienamente alla risoluzione 1 244 delle Nazioni Unite. Oltre i compiti sanciti dalla risoluzione dell’ONU, la Cooperazione Civile e Militare (CIMIC) ha realizzato 60 progetti di opere pubbliche per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione Kosovara tra cui strade, scuole, ambulatori, case d’accoglienza per diversamente abili, acquedotti, reti fognarie, reti elettriche e molto altro. L’opera, fiore all’occhiello dei Soldati Italiani, che ha maggiormente impegnato gli ingegneri e gli architetti militari del Team Project della CIMIC, è stata la costruzione di un ponte rispondente agli standard qualitativi europei che garantisce il collegamento tra due importanti arterie stradali che si snodano intorno all’abitato di Pec/Peja. Tra le attività della CIMIC italiana è fondamentale ricordare il lavoro svolto dal Team Health Center (centro della salute). In Kosovo manca quasi completamente il servizio sanitario e i pochi ospedali esistenti non sono in grado di curare anche le più semplici patologie. Il Team dell’ Health Center ha visionato 511 pazienti ha inviato in Italia, in 6 mesi, 122 pazienti afflitti da varie patologie non curabili in Kosovo che, grazie alla disponibilità di tutte le Regioni del nostro Paese e alle organizzazioni governative e non, potranno curarsi senza nessuna spesa. Bisogna richiamare l’attenzione sul fatto che solo l’Italia, tramite l’Esercito, svolge questo tipo di attività.
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UNO SGUARDO AL FUTURO Le opinioni espresse nell’articolo riflettono esclusivamente il pensiero dell’autore.
Caro Direttore, le note che seguono esprimono concetti che penso tutti noi abbiamo in qualche modo già acquisito, ma una loro applicazione radicale comporterebbe mutamenti che sono storicamente di difficile attuazione. Ritengo comunque opportuno sottoporle all’attenzione dei lettori perché costituiscano spunto di riflessione e perché, auspicabilmente, possano essere prese - sia pure con i dovuti adattamenti - in qualche considerazione quando le circostanze lo consentiranno. È a tutti noto il luogo comune secondo il quale per il futuro ci si prepara sempre a combattere la guerra ... passata. È comunque indiscutibile che le forme di conflitto che caratterizzano il tempo presente sono radicalmente diverse rispetto a quelle precedenti non solo nel tipo di mezzi e di dottrina di impiego, ma anche e soprattutto nella loro stessa natura. Finita la Seconda guerra mondiale, per quasi mezzo secolo, pur sotto l’ombrello della disputa nucleare e nel contesto più generale della Guerra fredda, tutti gli Stati hanno continuato a predisporre strumenti militari sempre più sofisticati, ma sostanzialmente analoghi a quelli già in servizio: carri armati con cannoni più potenti e precisi, velivoli più veloci, navi dotate della tecnologia più avanzata, e così via. Lo stesso avvento fortemente innovativo dell’arma nucleare ha avuto un’incidenza sulle caratteristiche dei mezzi, ma non sostanzialmente sulla struttura e sulla composizione delle forze. L’elemento nuovo comunque consisteva nel fatto che l’estrema letalità di quest’arma ne impediva di per sé l’impiego, per il rischio di suicidio generale che comportava. Si era così giunti alla «non guerra», cioè alla Guerra fredda, condotta con parametri diversi da quelli militari, salvo il mantenimento in vita, ai fini della deterrenza, di una complessa e costosissima panoplia di armi e mezzi del «vecchio» tipo, concepiti secondo gli schemi operativi ereditati dal secondo conflitto mondiale, anche se più evoluti e perfezionati. Oggi la contrapposizione fra Est e Ovest si è dissolta e la guerra a cui per così lungo tempo ci
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si era preparati ha perso ormai qualsiasi significato. Ma come è noto, e come non può non essere, la storia ha continuato a fare il suo corso e diverse forme di conflitto hanno prepotentemente preso il campo: la guerra «non convenzionale», la guerriglia, il terrorismo. Pur prevalendo in termini di Forze Armate organizzate, è stato così necessario confrontarsi con azioni sporadiche e anomale, secondo quella che oggi viene definita «strategia asimmetrica». In tale contesto, per fronteggiare questo tipo di minaccia, ci si è però continuati ad avvalere degli stessi mezzi possenti, costosi e tecnologicamente complessi che erano stati predisposti per la «vecchia» guerra che ci è sfuggita di mano. Le ipotesi di impiego con cui oggi ci dobbiamo confrontare possono essere riportate sostanzialmente a pochi schemi-tipo. Da una parte interventi non dissimili da quelli tradizionali, ma sviluppati contro forze sensibilmente più deboli e non dotate di mezzi bellici sofisticati (Afghanistan, Iraq), dall’altra operazioni per l’imposizione o il mantenimento della pace al termine di sempre più diffusi conflitti locali. Da non escludere, infine, l’ipotesi dello scontro fra potenze maggiori, ma da relegare nello scaffale delle probabilità remote e, comunque, per il momento assolutamente non configurabile in termini concreti. Quale può essere il ruolo dell’Italia in ciascuno di questi casi? Non è da escludere che, fatti salvi tutti i condizionamenti posti dalla nostra Costituzione sul ricorso alla guerra, possa essere richiesto e deciso un nostro intervento nell’ambito di operazioni di vero e proprio combattimento, condotte nel quadro di organismi sopranazionali. D’altra parte così è già avvenuto con interventi aerei, in occasione della Prima guerra del Golfo e nel Kossovo. Ma è fuor di dubbio che si è trattato e si tratterebbe in ogni caso di una partecipazione prevalentemente simbolica, di solidarietà con gli alleati, con un impiego minimo di forze. La presenza in operazioni di peacekeeping è invece da considerare non solo addirittura normale, ma assolutamente prevalente, con un impegno pressocchè permanente, se si guarda a quello che è avvenuto negli ultimi decenni e a quanto è possibile e ragionevole prevedere per il futuro. Preso atto di questa gamma di ipotesi e del loro
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relativo grado di attuabilità, appare necessario porle a confronto con lo strumento di cui disponiamo e che abbiamo previsto di programmare per il futuro. Nel passato, alle nostre Forze Armate era assegnato un settore del sistema difensivo della NATO, e in questo ambito erano destinate a operare. Struttura e addestramento delle unità, natura ed entità dei mezzi in dotazione erano commisurati a tale compito, sia pure con tutte le difficoltà economiche e con la carenza di risorse con cui ci siamo sempre dovuti confrontare. In tale contesto i nostri reparti, oltre alla regolare attività addestrativa, sono stati molte volte impiegati, sia per concorsi in occasione di pubbliche calamità sia per interventi per la salvaguardia delle Istituzioni. E la rilevanza di queste forme di intervento, così diverse da quelle tipiche del combattimento, è stata tale da indurre il legislatore a inserire tali compiti anche nel dettato normativo formale, approvato dal Parlamento con la ben nota «Legge sui Principi della Disciplina Militare». In questi casi naturalmente sono intervenuti formazioni, mezzi e strumenti operativi sensibilmente diversi rispetto a quelli predisposti per l’impiego bellico. Ma il notevole divario fra caratteristiche ordinative e struttura delle forze utilizzate trovava piena giustificazione nel fatto che compito principale e assolutamente prevalente delle Forze Armate restava la difesa del territorio nazionale da un attacco esterno, cioè da un’invasione che violasse i nostri confini, nonchè lo spazio aereo e marittimo d’interesse. Poiché quest’ultima missione, anche se solo limitatamente probabile, risultava decisamente più onerosa e impegnativa di qualsiasi attività di concorso svolta in patria, era chiaro che le forze, anche con il progressivo attenuarsi della «minaccia», dovevano continuare a essere principalmente predisposte, preparate ed equipaggiate per fronteggiarla, benchè assai diversa fosse la natura dei compiti che venivano di volta in volta chiamate ad assolvere in concreto. La loro struttura ordinativa e soprattutto i programmi di acquisizione di nuovi materiali restavano quindi sostanzialmente invariati, perché sempre riferiti a quanto necessario per assolvere il compito principale, cioè il combattimento. Particolare rilevanza continuava ad avere così il complesso e costosissimo arsenale di armi e mezzi che il nostro Paese faticosamente cercava di tener aggiornato per essere al passo con gli alleati più ricchi e per mantenere a un livello accet-
tabile il confronto con il possibile avversario. Tutto ciò richiedeva tra l’altro, sia per i tempi fisiologici dell’attività di ricerca e sviluppo sia per la necessità di distribuire nel tempo le spese più ingenti, un ciclo di molti anni per essere portato a compimento e tenuto in vita. A questo punto, mentre i vari processi di acquisizione erano in corso, con un grado di completezza notevolmente diversificato per un insieme di fattori spesso dipendenti anche dall’andamento della cooperazione con le potenze alleate interessate ai singoli progetti, si è avuto il crollo del Patto di Varsavia e, in breve tempo, la manifesta impossibilità di continuare a configurare la minaccia, e quindi le conseguenti forme di difesa, secondo la filosofia ormai consolidata da mezzo secolo. Nello stesso periodo, e proprio a seguito del venir meno della stabilità che derivava dall’equilibrio bilanciato del contrasto, si sono aperti sempre più numerosi i focolai di disordine, i conflitti locali e le situazioni di crisi più svariate che hanno richiesto sempre più frequenti interventi dell’ONU, della NATO o di specifiche coalizioni, formate di volta in volta per la particolare esigenza. In tale contesto il nostro Paese, una volta dissolta la contrapposizione anche formale fra est e ovest, si è trovato, pur restando fermamente inserito nel mondo occidentale, ad essere nel contempo espressione di posizioni particolarmente inclini al dialogo e scevre da formule e schieramenti troppo accentuati. Questa particolare condizione ci ha portato a essere validamente presenti in tutte le circostanze che richiedevano l’intervento di Forze Armate destinate a imporre, mantenere o salvaguardare la pace, contribuendo nel contempo a svolgere un’azione umanitaria e di ripristino delle condizioni di vita delle popolazioni interessate. E in ogni occasione proprio la nostra specificità ci ha consentito di conseguire notevoli successi sul campo, spesso più apprezzati e riconosciuti all’estero che in patria. Appare abbastanza chiaro che questo nuovo e rilevante tipo di impegno, che ha consentito di conferire al nostro Paese un più significativo ruolo sulla scena internazionale, è destinato a protrarsi per tempi prevedibilmente molto lunghi. Al contrario la partecipazione attiva del nostro Paese a forme più tradizionali di conflitto risulta sempre meno probabile. A questo punto sembra allora opportuno porsi una domanda apparentemente ovvia: che senso ha costruire e mantenere in vita Forze Armate so-
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stanzialmente strutturate per affrontare un conflitto «ad alta intensità» quando sussiste la certezza pratica che a medio termine, e forse anche a lungo termine, questo conflitto non avrà luogo, mentre continuiamo e continueremo a essere fortemente impegnati nel peacekeeping e in operazioni similari? La risposta che ci eravamo dati sul perché della diversa natura delle forze tante volte impiegate per i concorsi in patria rispetto all’«ordine di battaglia» esistente trovava una piena giustificazione fino a quando la «minaccia» proveniente dall’est aveva un significato, ma ora? Per il vero è da porre in rilievo che le Forze Armate della Repubblica Federale Tedesca hanno già affrontato il problema e formulato un conseguente programma di ristrutturazione che, in breve sintesi, prevede di articolare l’Esercito in due aliquote, una destinata al combattimento tradizionale e costituita essenzialmente da truppe corazzate, mentre un’altra componente più leggera sarà formata e addestrata specificamente ai fini del peacekeeping, ferma restando la possibilità di un
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Una squadra fucilieri, in addestramento, sbarca da un Veicolo Blindato Medio (VBM) 8x8 «Freccia».
travaso di forze dall’uno all’altro compito a seguito di appropriati adattamenti. In merito si pone subito il dubbio che le unità predisposte prevalentemente per il combattimento, la cui qualità e i relativi impegni finanziari dovrebbero fra l’altro essere preminenti, sarebbero destinate a restare inoperose a tempo indeterminato, rischiando di perdere il necessario «smalto» e di comportare comunque uno spreco di risorse. Ed è proprio l’argomento sempre scottante dell’allocazione delle risorse che induce a un’ulteriore riflessione sul concetto ampiamente diffuso che unità capaci di condurre validamente operazioni ad alta intensità saranno comunque idonee a svolgere nel migliore dei modi qualsiasi altro compito. L’affermazione, certamente corretta in termini operativi, suscita infatti non poche perplessità quando, in presenza di disponibilità sempre assai
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risicate, si tratta di decidere in quale direzione impiegarle e come «spartire la torta». La questione, di per sé certamente rilevante, non ha suscitato grande attenzione, soprattutto per lo scarso interesse verso i problemi militari propri del nostro Paese (si pensi come al contrario il tema della scuola sia oggetto di generale interesse) quando questi esulino da episodi saltuari di cronaca scandalistica. Gli stessi interventi più recenti in concorso alle Forze di Polizia non hanno indotto a una riflessione approfondita sulla natura delle forze da impiegare e sui relativi costi. Il dibattito rimane così circoscritto alle «stanze dei bottoni» anziché essere sviluppato di fronte all’opinione pubblica, peraltro, come si è detto, assai poco interessata alla questione, soprattutto dopo l’eliminazione dell’onere del servizio di leva. Sulle decisioni intervengono fattori molteplici. Fra questi è da tener presente la citata laboriosità e complessità dell’iter da percorrere per l’acquisizione di nuovi mezzi e materiali: armi pensate ed elaborate all’epoca dello scontro Est-Ovest stanno risultando operative solo adesso, con oltre quindici anni di ritardo rispetto all’evolversi degli eventi sulla scena internazionale. È altresì da considerare la programmazione finanziaria: da tempo è stato previsto di distribuire le relative spese in programmi pluriennali che coprono l’arco di molti anni, come se il corso della storia fosse immutabile e rigidamente prevedibile a priori (e come di fatto lo è stato durante il mezzo secolo di Guerra fredda). Modificare questi programmi è difficile e costoso perché gli impegni contrattuali assunti vanno rispettati, a meno della corresponsione di onerosissime penali. La sopravvenuta riduzione delle disponibilità finanziarie ha comportato che l’entità delle spese per questi programmi pluriennali, di fatto non contraibili, abbia assorbito quasi interamente le risorse attribuite all’investimento, rendendo quanto mai arduo qualsiasi sostanziale cambio di indirizzo in merito al tipo di mezzi e materiali da acquisire. A fronte dell’analoga rigidità delle spese per il personale, che si sono a loro volta notevolmente accresciute per il passaggio dalla leva al volontariato, si è così giunti alla necessità di scaricare tutte le economie sulle spese di funzionamento, illanguidendo di conseguenza e talvolta addirittura bloccando l’attività e la vita stessa dei reparti, in termini, non solo di addestramento e di manutenzione. Ci sono ad esempio esigenze di ripartizione
qualitativa delle forze e del personale qualificato per specifiche funzioni che non troverebbe più prospettive di impiego e, perché no?, di parimenti legittima carriera. Un confronto fra la natura delle unità impiegate dall’Esercito nelle molteplici missioni «fuori area» - dall’intervento in Libano del 1983 ai giorni nostri - e la composizione attuale delle forze terrestri, nonostante le drastiche riduzioni e i ripetuti rimaneggiamenti effettuati, fornisce indicatori di particolare interesse. Le unità di fanteria, e relative specialità, hanno costituito oltre il 50% delle forze complessivamente impegnate, a fronte del valore assai più modesto che esse oggi esprimono rispetto al totale delle unità operative in vita. Parimenti, le unità di supporto tattico, di dimensioni assai rilevanti ai fini delle operazioni belliche vere e proprie, sono oggi largamente eccedenti le effettive necessità e vengono impiegate ricorrendo ad accorgimenti intesi soprattutto a salvaguardarne la sopravvivenza. Se si considera poi che proprio le unità meno impegnate sono quelle le cui dotazioni sono fra le più costose e onerose, non solo per l’acquisizione ma anche per l’addestramento e la manutenzione, appare chiaro come i nostri programmi, correttamente mirati anni fa, all’atto dell’elaborazione, richiedano ora una sostanziale revisione per evitare di destinare le scarsissime risorse in direzioni diverse da quelle realisticamente necessarie. Tutto questo non significa che dobbiamo abolire missili, cannoni e carri armati dal nostro inventario. Quanto meno la cultura del loro impiego, la conoscenza dei materiali e la formazione di Quadri e specialisti restano indispensabili, ma si possono operare chirurgici tagli sulle quantità, affidando ad esempio ai riservisti o alle Scuole questi specifici compiti. L’Esercito ha subito già una pesante serie di tagli e contrazioni e parlare di riduzioni può provocare d’istinto reazioni profondamente e comprensibilmente contrarie. Resta il fatto che sinora si è prevalentemente intervenuti in termini generici con la soppressione di Brigate, la cui organizzazione di comando resta invece fondamentale anche nel peacekeeping, anziché procedere con criteri selettivi, agendo sui singoli reggimenti delle varie Armi in esse inquadrati, in relazione alle reali prospettive del loro impiego e in funzione delle loro caratteristiche e capacità. Si tratterebbe in sostanza di un riesame generale della struttura delle forze operative che richiederebbe indubbiamente coraggio e tenacia, per
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far fronte alle innumerevoli difficoltà che sempre si oppongono alle innovazioni. Fra queste riveste carattere prevalente e determinante il rapporto interforze. Non si può pensare di mettere mano alla composizione delle forze terrestri in funzione dei compiti ad esse affidati senza tener conto di quanto di gran lunga maggiori possono apparire certe contraddizioni quando si guarda alla natura degli investimenti destinati alle altre Forze Armate. Se le spese per l’ammodernamento dei materiali delle forze terrestri risultano eccessive rispetto a quanto necessario per l’esercizio delle attività quotidiane e sono indirizzate da scelte non sempre rispondenti alle reali esigenze, tale sproporzione assume aspetti addirittura paradossali se si confronta con le altre Forze Armate, sia per l’entità, assolutamente non commisurata ai compiti e agli impegni presenti - e certamente anche futuri, almeno a medio termine - che vedono una netta prevalenza delle attività di competenza dell’Esercito, sia per la natura di quanto è previsto di acquisire, legato, come si è visto, a un quadro strategico ormai superato e non più rispondente alla realtà. A parte la scontata necessità di rivedere gli stanziamenti di bilancio non appena la situazione generale dei conti pubblici si riprenda dalle attuali difficoltà, uno sguardo al futuro deve comportare una ferma volontà di configurare lo strumento militare degli anni a venire non solo prevedendo ripetute e sofferte riduzioni, ma ricercando nuovi criteri e schemi più orientati verso le prevedibili effettive esigenze. Non è il caso - e non se ne ha la pretesa - di dilungarsi in questa sede con la descrizione dettagliata di quello che si potrebbe fare per essere più aderenti alla realtà del nostro tempo. Qualche cenno indicativo, sia pure sporadico e disorganico, potrebbe comunque offrire spunti di riflessione. Lo schema del «quadro di battaglia» dell’Esercito dovrebbe, infatti, fare riferimento in misura più empirica all’esame «storico» di quanto è risultato effettivamente impiegato sul campo nelle operazioni degli ultimi venti anni, riducendo tutte le altre strutture e relative spese di fatto ridondanti. L’organizzazione gerarchica potrebbe così essere snellita, privilegiando la collocazione territoriale, più semplice ai fini dell’azione di comando rispetto a quella funzionale, visto che quest’ultima - riferita alle esigenze operative di guerra - viene già inevitabilmente sconvolta per creare linee di dipendenza ex novo ogni volta che si deve «costrui-
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re» il complesso di forze da impiegare, sia in patria sia all’estero. I materiali destinati ai conflitti «ad alta intensità», una volta accertata l’ineludibile necessità della loro sopravvivenza, potrebbero - come si è visto - essere affidati a strutture predisposte per i riservisti, e/o all’organizzazione scolastica, depositaria della cultura e del know how dottrinale necessari per operazioni anche di tipo più complesso. Sarà bene invece continuare a puntare su mezzi non molto costosi, ma soprattutto protetti contro le mine e le altre offese tipiche della guerriglia. Maggior cura andrebbe attribuita a nuovi ospedali da campo per dare risalto alla componente umanitaria dei nostri interventi. Da salvaguardare altresì la presenza degli elicotteri e dei sistemi di comando e controllo che ci consentono di gestire al meglio e su ampi spazi anche reparti di altre nazioni, posti alle nostre dipendenze sul campo. Per le altre Forze Armate, potenzialità logistica e capacità di sostegno funzionale alle operazioni terrestri dovrebbero poi avere netta prevalenza rispetto a velivoli destinati alla supremazia aerea o a navi sofisticate, configurate per il confronto con ipotetici avversari muniti di analoghe capacità. In un quadro di ridotte disponibilità appare sempre più pressante la necessità di proporzionare, in ambito interforze e all’interno delle singole Forze Armate, la ripartizione percentuale delle spese in relazione alle effettive esigenze del quadro politico-strategico in atto, piuttosto che fare riferimento a ipotesi di carattere palesemente accademico o a schemi precostituiti. In sintesi, contrazioni di bilancio, interessi industriali, attaccamento ai propri colori, preoccupazione di riflessi negativi nel confronto interforze, difficoltà pratiche, scarsa disponibilità verso il nuovo, conseguimento dei risultati protratto nel tempo - e quindi non immediatamente apprezzabili - sono tutti obiettivi ostacoli che si oppongono a qualsiasi trasformazione. Ma la scarsezza di risorse e soprattutto la credibilità stessa delle Forze Armate nel loro insieme rispetto alla comunità nazionale impongono un’approfondita riflessione su questi temi, che naturalmente richiedono uno sviluppo ben più ampio e approfondito di quanto trattato in queste brevi note. Questo si deve e si può responsabilmente auspicare. Mario Buscemi Generale di Corpo d’Armata (ris.)
IL RECUPERO DI UN SEMOVENTE DA 75/18 SU SCAFO M 41 E INAUGURAZIONE DELLA SALA MUSEALE DELL’UFFICIO STORICO All’interno della Caserma «Zignani», sede dell’Ufficio Storico dell’Esercito, ha avuto luogo una cerimonia ufficiale che ha visto la partecipazione del Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Carlo Gibellino, e del Presidente della OTO MELARA, Generale di Corpo d’Armata Giulio Fraticelli, già Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. L’evento ha coronato un’impegnativa attività di collaborazione tra Esercito e OTO MELARA per il recupero di un «Semovente da 75/18» su scafo M 41, finalizzata alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio storico non solo dalla Forza Armata, ma dell’intera Nazione. Il restauro e l’esposizione di questo prezioso cimelio ci permette di ricordare importanti momenti della storia d’Italia, riportandoci alle migliori pagine
Sopra e sotto. Il Semovente da 75/18 durante e al termine dei lavori di recupero.
Il Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Carlo Gibellino alla inaugurazione della Sala Museale «M.O.V.M. Maggiore Antonio Mizzoni»
scritte in Africa settentrionale, quando il Semovente su scafo M 41 fu impiegato nelle Divisioni corazzate «Ariete» e «Littorio» del XX Corpo Corazzato, unico mezzo in grado di contrastare efficacemente i carri armati «Grant» e «Sherman», alla loro prima apparizione con l’8a Armata britannica. Altrettanto importante e significativa è stata l’iniziativa di ordinare ed esporre la raccolta di cimeli donati negli anni all’Ufficio Storico, allestendo una suggestiva Sala Museale, che trova adeguata cornice, con la sua portata simbolica, tra le mura dell’organo istituzionale preposto alla salvaguardia del patrimonio storico dell’Esercito Italiano. Si è voluta così porre la prima pietra di quello che, è auspicabile, sarà in futuro il Museo dell’Esercito. Nell’ambito della stessa cerimonia sono state inaugurate due nuove intitolazioni: il Palazzo sede dell’Ufficio Storico alla Medaglia d’Oro al Valor Militare Generale Enrico Morozzo Della Rocca, fondatore dell’Ufficio Storico nel 1856, Comandante del Corpo di Stato Maggiore e Senatore del Regno d’Italia, e la Sala Museale alla Medaglia d’Oro al Valor Militare Maggiore Antonio Mizzoni, già Ufficiale collaboratore dell’Ufficio Storico daI 1964 aI 1966, distintosi in Africa Orientale al comando di un reparto di Ascari. Quest’ultima intitolazione ha voluto rendere omaggio ai numerosi e validi collaboratori dell’Ufficio Storico, che negli anni hanno lavorato fianco a fianco con la Forza Armata per scriverne degnamente la Storia, facendo tesoro dell’immensa ricchezza documentale dell’Archivio Storico dell’Esercito.
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Pier Paolo Battistelli (a cura di): «Heinz Wilhelm Guderian, Panzer General. Memorie di un Soldato», Edizioni Libreria Militare, Milano, 2008, pp. 463, euro 36,00. Ogni forma di letteratura ha i suoi classici che vengono periodicamente riscoperti, se non altro dalle nuove generazioni che non hanno avuto modo di conoscerli. Così, caratteristica tipica della pubblicistica anglosassone, vi sono delle continue riedizioni di libri ormai noti al pubblico degli esperti ma, nello stesso tempo, ignoti ai giovani appassionati. Che questa sia una formula apprezzabile e apprezzata anche in Italia è suggerito dal successo della recente riedizione delle memorie del Generale von Senger und Etterlin, sulla cui scia si inserisce ora questa riedizione delle memorie del Generale Heinz Guderian, uno dei protagonisti della Seconda guerra mondiale, considerato il padre delle forze corazzate tedesche e il massimo teorico della guerra meccanizzata. In realtà, come viene messo in evidenza nella traduzione, si tratta più di una prima edizione, dal momento che una prima traduzione era già apparsa in Italia quarantacinque anni fa, in parte editata con variazioni rispetto al testo originale. Questo ci permette, a oltre mezzo secolo di distanza dalla prima edizione originale in Germania, di riscoprire un libro che (come messo in evidenza nell’introduzione) ha avuto un notevole successo, sia dal punto di vista editoriale che storiografico, dal momento che su di esso si sono basati tutti gli storici che, sia in forma acritica che più o meno critica, hanno esaminato la vita e i successi (ma anche gli insuccessi) di Guderian. Un aspetto, questo, che rende le memorie di Guderian ancora più importanti della semplice riedizione (o prima edizione) di un classico, poiché come è scritto nell’introduzione esse «finiscono in ogni caso con il rappresentare una fonte di prima mano
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dalla quale non si può in ogni caso prescindere, sia che si voglia credere oppure no al mito di Guderian»: un mito che ancora affascina coloro (e non solo) che si dedicano allo studio delle truppe corazzate.
Gelindo Deganis: «Diario della mia vita. Guerra Libica 1911- 1912», Tekno Stampa, Coordinamento Editoriale Dario Brotto, 2008, pp. 216, s.i.p..
«Non appena fuori della stazione e messi in marcia sul viale che conduce alla nostra caserma certi Granatieri che camminavano accanto a noi ci diedero subito la notizia, cioè che nell’indomani giorno 27 doveva partire per Tripoli il III battaglione. Non mi dispiaceva niente, anzi ero orgoglioso di partire perché partivo con ufficiali bravissimi specialmente il Comandante del battaglione, Maggiore Grazioli». Così scrive il Caporal Maggiore Gelindo Deganis nel suo diario il 26 ottobre 1911. Il testo originale, conservato scrupolosamente nell’archivio del Comune di Pocena, è stato dato recentemente alle stampe grazie all’impegno del Senatore Luigi Ramponi e del Sindaco della città Danilo Bernardis. Entrambi, nello sfogliare quelle pagine antiche e consumate dal tempo ne sono rimasti affascinati e commossi. E non è difficile capire perché. È fantastico, infatti, poter avere una testimonianza così unica e sincera di un tempo che fu, immergerci in quel racconto schietto e autentico di un uomo e soldato che ha saputo servire la propria Patria mettendo a disposizione la sua giovane vita con entusiasmo e fierezza, nella migliore tradizione militare e nazionale. Viene fuori una descrizione minuziosa dei luoghi e delle battaglie, vengono narrate le circostanze e i
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protagonisti in un susseguirsi di eventi e colpi di scena che avvincono e rendono scorrevole questo prezioso resoconto quasi si trattasse dell’opera di un giornalista inviato di guerra, come cita il Sindaco di Pocena nella sua presentazione. Ad esempio a pagina 54 nel descrive un’oasi egli scrive: «L’oasi solo per chi ha visto dovrà rimanere indimenticabile il ricordo, cioè quel brutto ricordo delle tradizioni e sorprese avvenute ai combattenti, durante avanzate e ricognizioni. Ma poi ci basta dare un’occhiata verso il tramonto ove là nel silenzio, all’ombra di una palma, s’innalza un monumento agli eroi caduti il 23 ottobre, sotto le mani dei crocifissori». Sono parole che ci toccano per la loro intensità e ci inducono a scoprire il valore oltre che di soldato anche di scrittore di un autore che aveva frequentato solamente le scuole elementari ma che di talento, evidentemente ne aveva tanto, talché poi, nel corso della sua vita verrà chiamato a ricoprire l’incarico di impiegato e cartografo all’Ufficio del Regio Catasto. Nel tempo libero, coltiverà sempre l’amore per la pittura come del resto ce ne danno una bella dimostrazione i disegni e gli acquarelli contenuti nel diario. Fortunatamente, Gelindo Deganis amava scrivere e questo ci ha tramandato un’opera che aiuta a conoscere, soprattutto ai più giovani, alcune fasi di un conflitto poco noto, dove al di là della dovizia di particolari del racconto emergono il cameratismo, il senso dell’onore ed il rispetto per gli avversari. A.C.L. Giuseppe Musumeci: «La Grande Guerra nelle retrovie», Gino Rossato Editore, Vicenza, 2007, pp. 131, euro 16,00. La produzione editoriale sulla Grande Guerra si arricchisce, negli ultimi anni, di un apporto contributivo volto ad analizzare aspetti più marginali, anche se non meno importanti, come la condizione dei profughi, la vita nelle trincee o nelle retrovie. La Prima guerra mondiale, di cui quest’anno ricorre il novantesimo anniversario, può essere definita a pieno titolo la più immane catastrofe del genere umano. Avrebbe dovuto essere una guerra lampo ma si è trasformata in una guerra di annientamento con un alto sacrificio di vite umane su tutti i fronti e da ambo le parti. «La Grande Guerra nelle retrovie» di Giuseppe Musumeci, docente di un Istituto professionale di Stato, recupera aspetti particolari della guerra in determinati settori del territorio. L’evento bellico fu
senza dubbio un momento di rottura rispetto al passato. Si parla di guerra moderna sia per il numero di Paesi coinvolti sia, soprattutto, per le nuove armi e tecniche di combattimento: la mitragliatrice, il carro armato, i terribili gas asfissianti, i progressi nell’aviazione. Nessun aspetto della vita sociale rimase indenne agli effetti della guerra. Oltre alle difficoltà economiche e agli aspetti puramente materiali cambiarono gli stessi assetti sociali. Si pensi al ruolo delle donne: esse divennero ben presto il pilastro della vita familiare, andando ad occupare incarichi lasciati scoperti dal soldato al fronte o ricoprendo posizioni chiave in attività militari. Ed è proprio il fronte, in particolare le sue immediate vicinanze: le retrovie, oggetto della presente ricerca. Qui erano collocati i comandi, gli ospedali, i magazzini di rifornimenti e materiali, i posti di svago, dove i militari potevano recuperare quel poco di normalità consentita dagli eventi. Anche se questi luoghi erano grosso modo simili, l’autore indaga, in particolare, la zona del Veneto Orientale, quella di Castelfranco Veneto dove, soprattutto dopo la ritirata di Caporetto, i bombardamenti seminarono terrore, morte e distruzione. Emergono aspetti poco conosciuti della Grande Guerra, un evento che, come sottolineato dallo storiografo Siro Offelli nella prefazione al volume «coinvolse tutti gli italiani in una vasta mobilitazione, militare e civile, e li fece sentire uniti per la prima volta in un’unica identità nazionale, che superava le differenze regionali e sociali». Il volume è in conclusione il risultato di una ricerca che attingendo a fonti locali, archivi comunali, parrocchiali, analizza una vicenda che era ed è ancora di grande impatto storico- sociale: per la prima volta la guerra era arrivata alle porte delle nostre case e tutti più o meno l’avevano combattuta. A.L.
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Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico
Il catalogo completo delle opere, informazioni sulle modalità di vendita delle stesse e l’elenco delle librerie convenzionate si possono richiedere all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Via Etruria, 23 - 00183 Roma (Tel. 0647358671 - Fax 0647357284, Email: uff.storico@smerag.esercito.difesa.it) o, in alternativa, consultare: http://www.esercito.difesa.it/root/Storico/prod_catalogo.asp. Le pubblicazioni sono disponibili anche presso lo stesso Ufficio Storico (previ contatti telefonici ed in base alla disponibilità di copie) dal lunedì al venerdì, dalle 09:00 alle 11:00. L’acquisto per posta è curato dall’Ufficio Pubblicazioni Militari, Via Guido Reni, 22 - 00196 Roma (Tel. 0647357665 - Fax 063613354).
6728 - Ciro Paoletti CAPITANI DI CASA SAVOIA Il volume tratta delle imprese militari dei Capi dinastia Savoia dall’epoca Cinquecentesca alla fine della monarchia in Italia. È un insieme di biografie militari che compongono una piccola storia d’Italia e in particolare del suo Esercito, che fu a lungo al comando di una delle dinastie più battagliere d’Europa. Formato 24 x 17, 526 pagine. Prezzo € 18,00.
6751 - Ezio Cecchini DIZIONARIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE L’opera descrive con meticolosità ed in ordine alfabetico battaglie e uomini, politici ed eroi, navi, aerei e mezzi da combattimento impiegati dalle Forze Armate italiane durante la Seconda Guerra Mondiale, una sorta di «nomenclatore» di facile consultazione e che viene corredato da un’appendice contenente una cronologia della guerra e dei gradi militari delle principali nazioni belligeranti. Formato 24 x 17, 647 pagine. Prezzo € 15,00.
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stan ha permesso alla Grande Unità non solo di contribuire appieno al raggiungimento degli obiettivi di ISAF ma anche di incrementare e migliorare la propria capacità operativa.
Quale futuro per ONU, OSCE, NATO e UE?, di Giorgio Spagnol (pag. 4). Una descrizione, necessariamente sommaria, delle principali organizzazioni internazionali e i possibili interventi correttivi, in un sistema di interessi comuni e responsabilità condivise, per affrontare adeguatamente le incognite future. L’America di Obama, di Antonio Ciabattini Leonardi (pag. 12). Recessione economica, lotta al terrorismo, guerra in Iraq e in Afghanistan, Iran: queste sono alcune delle problematiche con cui dovrà confrontarsi il nuovo «inquilino» della Casa Bianca. Temi difficili per un’America che deve ridefinire la sua egemonia politico-economica in un nuovo mondo policentrico. Comunque vada, il cambiamento è già iniziato. «Eagle Tour 08». Insegnamenti da uno studio di Storia Militare, di Luigi Paolo Scollo (pag. 24). L’esercitazione condotta dal 12 al 16 maggio 2008 dal Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO, di Solbiate Olona, ha avuto come oggetto la battaglia di Creta del 1941. Dalle battaglie del passato nascono utili ammaestramenti per affrontare adeguatamente le sfide future. Il ruolo del NATO Advisory Team in Bosnia-H Herzegovina, di Enrico Villa e Antonino Pagoto (pag. 36). Nell’ambito del processo di trasformazione del sistema di sicurezza delle Nazioni, la riforma delle Forze Armate in Bosnia-Herzegovina si configura complessa ma di cruciale rilevanza soprattutto in chiave euro-atlantica. In tale quadro, va esaminato il ruolo centrale svolto dal NATO Advisory Team in termini di consulenza e supporto nell’attuazione del progetto di riforma del settore della difesa. Il Centro di gravità come elemento guida nelle operazioni militari, di Fabio Cornacchia (pag. 50). Il Centro di Gravità è forse l’elemento più critico della guerra, specialmente ai livelli operativo e tattico. Una volta individuato, esso rappresenta il driver del pensiero e dell’azione di staff e Comandanti. Nessuna campagna può essere condotta rapidamente e in modo decisivo senza aver prima identificato i centri di gravità del nemico e propri, per poi attaccare i primi e difendere i secondi attraverso l’impiego della forza militare, secondo modalità d’azione informate ai dettami dell’arte operativa. Regional Command West: il racconto di un’esperienza, di Marco Poddi (pag. 66). Il recente impiego della Brigata «Friuli» in Afghani-
Immobili militari: un progetto di recupero di una Caserma dismessa, di Luca Schiavina (pag. 76). L’autore propone una possibile soluzione alla cronica mancanza di alloggi per il personale, sviluppando un progetto di recupero della dismessa Caserma «Perotti» di Bologna. La leadership trasformazionale, di Luca Pietrantoni (pag. 82). Il tema della leadership e dell’arte del comando è sempre stato cruciale in ambito militare. Negli ultimi anni ha acquisito rilevanza il concetto di «leadership trasformazionale», ritenuta decisiva per l’esercizio di una leadership efficace, soprattutto in relazione alle molteplici sfide che le Forze Armate sono chiamate ad affrontare. Soldati del futuro: esperienze a confronto, di Pietro Batacchi (pag. 88). L’evoluzione tecnologica e le necessità militari hanno da sempre avuto uno sviluppo collegato e complementare. Il nuovo scenario strategico e la conseguente evoluzione tattica hanno portato gli Eserciti delle maggiori potenze militari a riconsiderare il singolo combattente come «l’attore principale del combattimento», costringendoli, quindi, a rivedere non solo i concetti di Force Protection, ma, anche e soprattutto, le dotazioni individuali di armamento e comunicazione. La Force Protection e la risposta agli IED, di Matteo Bressan (pag. 98). La minaccia rappresentata dalle mine e dagli ordigni esplosivi ha imposto lo studio e l’adozione di sofisticate misure per proteggere uomini e mezzi nei teatri operativi. L’Italia, oggi, con IVECO e OTO MELARA, può considerarsi all’avanguardia nel settore delle blindature. Attualità della storia militare dell’età moderna, di Riccardo Caimmi (pag. 106). Non è solamente lo studio delle campagne, delle battaglie e del loro corso, ma anche e soprattutto un’attenta analisi del pensiero militare in tutte le sue forme tecniche e tattiche. Giulio Cesare. L’uomo, le imprese, il mito, di GRELAUR (pag. 120). A Roma, un’interessante esposizione riporta alla ribalta la più gloriosa, incredibile epopea. Le idi di marzo del 44 chiudevano la sua vicenda umana con la migliore sceneggiatura che la storia abbia mai scritto a sottolineare la grandezza e la caducità della vita. Una vita, comunque, da gigante. La Brigata «Pinerolo» rientra dal Kosovo, di Domenico Occhinegro (pag. 126). Il breve ma significativo resoconto di una operazione di successo.
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Afghanistan allowed the Major Unit not only to fully contribute to the achievement of the objectives of ISAF, but also to increase and improve its own operational capability.
What Future for UN, OSCE, NATO and EU?, by Giorgio Spagnol (p. 4). A necessarily brief description of the main organizations and the possible corrective interventions in a system of common interests and shared responsibilities, aimed at appropriately dealing with the future international unknowns. Obama’s America, by Antonio Ciabattini Leonardi (p. 12). Economic recession, fight against terrorism, wars in Iraq and Afghanistan, Iran: these are some of the problems that the new «tenant» of the White House will have to tackle. These are difficult issues for a Country that has to redefine its politico-economic hegemony in a new polycentric world. However it goes, the change has already started. «Eagle Tour 08». Lessons from a Study of Military History, by Luigi Paolo Scollo (p. 24). The exercise carried out from 12th to 16th May 2008 by the NATO Rapid Reaction Corps of Solbiate Olona was focused on the battle of Crete of 1941. Useful lessons can be learned from the battles of the past, which help us to adequately meet the challenges of the future. The Role of the NATO Advisory Team in Bosnia-H Herzegovina, by Enrico Villa and Antonino Pagoto (p. 36). Within the process of transformation of the national security system, the reform of the Armed Forces of Bosnia-Herzegovina appears to be complex, but also of crucial importance especially from the Euro-Atlantic standpoint. In view of this, one should examine the central role played by the NATO Advisory Team as regards advice and support in the implementation of the project of reform in the defence sector.
The Centre of Gravity as Guiding Element in Military Operations, by Fabio Cornacchia (p. 50). The Centre of Gravity is perhaps the most critical element of a war, especially at the operational and tactical levels. Once identified, it represents the driver of the thought and action of Staffs and Commanders. No campaign can be carried out rapidly and decisively without having first detected the enemy’s and one’s own centres of gravity, in order to attack the former and defend the latter with the employment of military force, according to modalities of action conforming to the dictates of the operational art. Regional Command West: Account of an Experience, by Marco Poddi (p. 66). The recent employment of the «Friuli» Brigade in
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Military Buildings: A Project of Reclamation of Abandoned Barracks, by Luca Schiavina (p. 76). The author suggests a possible solution to the chronic shortage of housing for army personnel, developing a project of reclamation of the disused «Perotti» barracks in Bologna. Transformational Leadership, by Luca Pietrantoni (p. 82). The theme of leadership and art of command has always been crucial in the military environment. The concept of «transformational leadership» has acquired significance during the last years, since it is believed to be decisive in the exercise of an effective leadership, especially as regards the manifold challenges that the Armed Forces are called to meet. Soldiers of the Future: A Comparison of Experiences, by Pietro Batacchi (p. 88). The technological advances and the military requirements have always had a connected and complementary development. The new strategic scenario and the ensuing tactical evolution have led the Armies of the main military powers to reconsider the individual fighter as the «leading actor of combat», therefore compelling them not only to reassess the concept of Force Protection but also, and above all, the individual equipment of weapons and communication. Force Protection and the Response to IEDs, by Matteo Bressan (p. 98). The threat represented by mines and explosive devices has compelled the Armies to study and adopt sophisticated measures for protecting men and equipment in the operations theatres. With IVECO and OTOMELARA, today Italy can consider itself in the forefront of the armour sector. Topicality of Military History in Modern Times, by Riccardo Caimmi (p. 106). It is not only a study of the campaigns, the battles and their course, but also, and above all, a thorough analysis of the military thought in all its technical and tactical forms. Julius Caesar , the Man, his Feats, the Myth, by GRELAUR (p. 120). An interesting exhibition in Rome throws light on the most glorious, incredible epic story. The Ides of March of 44 A.D. ended Caesar’s human adventure as the best script that history ever wrote to emphasize life’s greatness and frailty. The life of a giant, anyway. The «Pinerolo» Brigade Returns from Kosovo, by Domenico Occhinegro (p. 126). The short but significant account of a successful operation.
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buer largement à la réalisation des objectifs ISAF, mais aussi de développer et d’améliorer sa capacité opérationnelle.
Quel avenir pour l’ONU, l’OSCE, l’OTAN et l’UE?, par Giorgio Spagnol (p. 4). Une description, forcément sommaire, des principales organisations internationales et des interventions correctives possibles, dans le cadre d’un système d’intérêts communs et de responsabilités partagées, pour affronter de façon adéquate les inconnues du futur. L’Amérique d’Obama, par Antonio CIabattini Leonar di (p. 12). Récession économique, lutte contre le terrorisme, guerre en Iraq et en Afghanistan, Iran: tels sont quelques-uns des problèmes auxquels devra faire face le nouveau «locataire» de la Maison Blanche. Ces questions sont d’autant plus difficiles que l’Amérique doit redéfinir son hégémonie politique et économique dans un nouveau monde polycentrique. Quoi qu’il en soit, le processus de changement a déjà démarré. «Eagle Tour 08»: une leçon tirée d’une étude sur l’ Histoire militaire, par Luigi Paolo Scollo (p. 24). L’Exercice mené du 12 au 16 mai 2008 par le Corps d’Armée de Réaction rapide de l’OTAN, de Solbiate Olona, a eu pour objet la bataille de Crète de 1941. Les batailles du passé permettent de tirer des leçons utiles pour relever les défis du futur. Le rôle de l’ «Avisory Team » de l’OTAN en Bosnie-H Herzégovine, par Enrico Villa et Antonino Pagato (p. 36).
Dans le cadre du processus de transformation du système de sécurité des Nations, la réforme des Forces armées en Bosnie-Herzégovine s’annonce d’or et déjà très complexe, tout en revêtant une importance primordiale, notamment sur le plan euro-atlantique. Dans de telles circonstances, il convient d’analyser le rôle majeur que joue l’Advisory Team de l’OTAN, en termes de conseil et de support, dans la mise en œuvre du projet de réforme dans le secteur de la défense.
Immeubles militaires: un projet pour rénover une ancienne caserne, par Luca Schiavina (p. 76). L’auteur propose une solution possible pour remédier au manque chronique de logements pour le personnel militaire : un projet visant à rénover l’ancienne caserne abandonnée «Perotti» à Bologne. Le leadership transformationnel, par Luca Pietrantoni (p. 82). Le leadership et l’art du commandement sont depuis toujours des questions cruciales sur le plan militaire. Au cours de ces dernières années, le concept de «leadership transformationnel» a revêtu une importance croissante, d’autant qu’il est considéré comme un facteur décisif aux fins d’un commandement efficace, notamment face aux multiples défis que les Forces armées sont appelées à relever. Soldats du futur: confrontation d’expériences, par Pietro Batacchi (p. 88). La technologie et les besoins militaires ont toujours connu une évolution parallèle et complémentaire. Le nouveau théâtre stratégique et l’évolution tactique qui en découle ont amené les Armées des principales puissances militaires à reconsidérer le soldat comme «le protagoniste du combat», et par conséquent à réviser non seulement les concepts de «Force Protection» mais aussi et surtout les dotations individuelles en termes d’armements et de communications. La «Force Protection» et la réponse aux IED, par Matteo Bressan (p. 98). La menace constituée par les mines et les engins explosifs appelle l’étude et l’adoption de mesures complexes visant à protéger les hommes et les moyens dans les théâtres opérationnels. Aujourd’hui, avec IVECO et OTO MELARA, l’Italie peut se considérer comme un pays à l’avant-garde du secteur du blindage. Actualité de l’Histoire militaire de l’ère moderne, par Riccardo Caimmi (p. 106). Il ne s’agit pas seulement de l’étude des campagnes militaires, des batailles et de leur dénouement, mais aussi et surtout d’une analyse attentive de la pensée militaire sous toutes ses formes techniques et tactiques.
Le Centre de Gravité en tant qu’élément guide des opérations militaires, par Fabio Cornacchia (p. 50). Le Centre de Gravité est peut-être l’élément le plus critique de la guerre, en particulier aux niveaux opérationnel et tactique. Une fois identifié, il devient le «driver» de la pensée et de l’action du staff et du |Commandement. Aucune campagne militaire ne saurait être mise en place rapidement et de façon décisive sans que soient identifiés les centres de gravité des deux camps, pour attaquer celui de l’adversaire et défendre celui de sa propre formation, à travers l’usage de la force militaire suivant des modalités d’action dérivant des impératifs dictés par l’art opérationnel.
Jules César: l’homme, ses exploits, le mythe, par GRELAUR (p. 120). A Rome se tient une intéressante exposition qui remet sur le devant de la scène la plus glorieuse et la plus incroyable des épopées. Les ides de mars de l’année 44 ont mis fin à la vie de Jules César, suivant le meilleur des scénarios de l’Histoire, soulignant à la fois la grandeur de l’homme et la caducité de la vie. En tout état de cause, une vie de géant.
Regional Command West : le récit d’une expérience, par Marco Poddi (p. 66). L’emploi récent de la Brigade «Friuli» en Afghanistan a permis à la Grande Unité non seulement de contri-
La Brigade « Pinerolo » rentre du Kosovo, par Dome nico Occhinegro (p. 126). Le compte-rendu, bref mais significatif, d’une opération réussie.
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eigene operative Fähigkeit auszubauen und zu verbessern.
Welche Zukunft für UNO, OSZE, NATO und EU? von Giorgio Spagnol (S. 4). Eine notwendigerweise kurz gefasste Beschreibung der wichtigsten internationalen Organisationen und der möglichen Verbesserungseingriffe zu Gunsten eines System gemeinsamer Interessen und Verantwortungen um angemessener auf die Zukunft vorbereitet zu sein.
Obamas Amerika, von Antonio Ciabattini Leonardi (S. 12).
Wirtschaftsrezession, Terrorbekämpfung, Krieg in Irak und Afghanistan, Iran: dies sind nur einige der Problematiken mit denen sich der neue «Bewohner» des Weissen Hauses wird auseinandersetzen müssen.Schwierige Themen für ein Amerika das seine politisch-wirtschaftliche Hegemonie in einer polyzentrischen Welt neu definieren muss. Wie immer sich die Dinge auch entwickeln werden, die Verwandlung hat bereits begonnen. «Eagle Tour 08» Lehren aus einer Studie der Militärgeschichte, von Luigi Paolo Scollo (S. 24). Gegenstand der vom 12. zum 16. Mai 2008 durchgeführten Übung der in Solbiate stationierten NATOSchnelleinsatz-Truppen war der Kampf um Kreta von 1941. Aus den Kämpfen der Vergangenheit lassen sich wertvolle Lehren zur angemessenen Bewältigung zukünftiger Herausforderungen ziehen. Die Rolle des NATO Advisory Team in Bosnien-H Herzegowina, von Enrico Villa und Antonino Pagato (S. 36). Im Rahmen der Umgestaltung der Sicherheitssysteme der Nationen erweist sich die Reform der Streitkräfte in Bosnien-Herzegowina als komplex jedoch von grundlegender Bedeutung, vor allem im euro-atlantischen Zusammenhang. In eben diesem Zusammenhang muss die zentrale Rolle des NATO Advisory Teams gesehen werden, als Berater und Helfer bei der Umsetzung des Planes zur Reform des Verteidigungssektors. Das «Gravitationszentrum» als Führungselement im Bereich militärischer Operationen, von Fabio Cornacchia (S. 50). Das so genannte «Gravitationszentrum» ist vielleicht das heikelste Element eines Krieges, vor allem operativ und taktisch gesehen. Ist es einmal ausgemacht worden, wird es zum Motor der Gedanken und der Aktionen von Team und Befehlshaber. Keine Kampagne kann schnell und entscheidend geführt werden wenn nicht zuvor die eigenen Gravitationszentren sowie die des Feindes geortet worden sind. Erstere müssen dann verteidigt, letztere angegriffen werden und zwar unter Einsatz militärischer Kräfte, mit Aktionen gemäß der Regeln der Einsatzkunst. Regional Command West: Bericht einer Erfahrung, von Marco Poddi (S. 66). Der jüngste Einsatz der Brigade «Friuli» in Afghanistan hat es der «Armee der Einheit» nicht nur ermöglicht zur Erfüllung der ISAF-Ziele beizutragen sondern auch die
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Immobilien des Militärs: Sanierungsprojekt einer ausgedienten Kaserne, von Luca Schiavina (S. 76). Mit dem Projekt zur Sanierung der ausgedienten Kaserne «Perotti» in Bologna legt der Autor eine mögliche Lösung für den chronischen Mangel an Personal-Wohnungen vor. Eine anpassungsfähige Leadership, von Luca Pietrantoni (S. 82). Das Thema der Leadership und die Kunst der Befehlsführung sind seit je her grundlegend im militärischen Bereich. In den letzten Jahren hat sich immer mehr die Idee der «anpassungsfähigen Führungskraft» durchgesetzt. Sie wird als grundlegend erachtet zur Ausübung einer Führung, die vor allem den vielfachen Herausforderungen denen sich die Streitkräfte stellen müssen, angemessen ist. Soldaten der Zukunft: Erfahrungen im Vergleich, von Pietro Batacchi (S. 88). Technologische Entwicklung und militärische Erfordernisse gehen miteinander einher und ergänzen sich gegenseitig. Neue strategische Szenarien und die daraus entstehende taktische Entwicklung haben die Heere der bedeutendsten Militärmächte veranlasst den einzelnen Kämpfer als «Hauptfigur des Kampfes» zu erachten. Dadurch sind sie nun gezwungen nicht nur die Auffassung von «force protection» neu zu überdenken, sondern auch und vor allem, die individuelle Waffen- und Kommunikationsausrüstung des Einzelnen. Force Protection und die Antwort auf IEDs, von Matteo Bressan (S. 98). Die durch Minen und Sprengsätze entstehende Bedrohung erfordert die Ausarbeitung und Übernahme hochtechnologischer Maßnahmen, um Menschen und Mittel im operativen Bereich angemessen zu schützen. Mit IVECO und OTO MELARA kann sich Italien zur Avantgarde im Bereich der Panzerfahrzeuge und -vorrichtungen zählen. Aktualität der Militärgeschichte in der Neuzeit, von Riccardo Caimmi (S. 106). Nicht nur das Studium der Kampagnen, der Kämpfe und ihres Verlaufs, sondern auch und vor allem eine tiefgehende Analyse des militärischen Gedankens in all seinen technischen und taktischen Erscheinungsformen. ulius Caesar: der Mann, seine Taten, sein Mythos, von Ju GRELAUR (S. 120). In Rom führt eine interessante Ausstellung eine der glorreichsten, außerordentlichsten Epochen wieder ins Rampenlicht. Während der Iden des März im Jahre 44 erlebte Rom das Ende seines irdischen Lebens, in Szene gesetzt mit dem besten Drehbuch das die Geschichte je geschrieben hat, glänzendes Beispiel von Größe und Vergänglichkeit. Das Leben eines Giganten. Die Brigade «Pinerolo» kehrt aus Kosovo zurück, von Domenico Occhinegro (S. 126). Der kurze aber signifikante Bericht über eine erfolgreiche Operation.
Rivista Militare n. 1/2009
también mejorar e incrementar su propia capacidad operacional.
Qué porvenir tienen ONU, OSCE, NATO y UE? Giorgio Spagnol (pág. 4). Una descripción, forzosamente sumaria, de las mayores organizaciones internacionales y de los ajustes posibles, en un sistema de intereses comunes y responsabilidades compartidas para encarar correctamente las incógnitas del futuro. La América de Obama, Antonio Ciabattini Leonardi (pág. 12). Recesión económica, lucha contra el terrorismo, guerra en Irak y Afganistán, Irán: éstos son algunos de los problemas que habrá de encarar el nuevo «inquilino» de la Casa Blanca. Son temas difíciles para una América que tiene que redefinir su propia hegemonía político-económica en un nuevo mundo policéntrico. Como quiera que vayan las cosas, el cambio ya ha iniciado. «Eagle Tour 08»: un aleccionador estudio de Historia Militar, Luigi Paolo Scollo (pág. 24). El ejercicio llevado a cabo del 12 al 16 de mayo de 2008 por le Cuerpo de Ejército de Acción Rápida de la OTAN de Solbiate Olona, tuvo como objeto la batalla de Creta de 1941. Las batallas del pasado son aleccionadoras en cuanto que dan indicaciones útiles sobre cómo encarar correctamente los retos del futuro. El papel del «NATO Advisory Team» en Bosnia-H Herzegovina, Enrico Villa y Antonino Pagato (pág. 36). En el marco del proceso de transformación del sistema de seguridad de las Naciones, la reforma de las Fuerzas armadas en Bosnia-Herzegovina ya se anuncia compleja, aunque de primordial importancia sobre todo en clave euro-atlántica. En semejante circunstancia, cabe analizar el papel crucial desempeñado por el Advisory Team de la OTAN, en cuanto a asesoramiento y apoyo, a la hora de implementar el proceso de reforma en el sector de la defensa. El Centro de gravedad como elemento guía en las operaciones militares, Fabio Cornacchia (pág. 50). Quizás, el Centro de Gravedad es el punto más crítico de la guerra, especialmente a los niveles operativo y táctico. Una vez identificado, se convierte en el «driver» del pensamiento y de la acción de staff y Comandantes. Ninguna campaña puede dirigirse con rapidez y de manera decisiva si no fueron identificados previamente los centros de gravedad, tanto los propios como los del enemigo, para atacar éstos y defender aquellos, a través del empleo de la fuerza militar con arreglo a modalidades de acción derivadas de los imperativos dictados por el arte operacional. Regional Command West: el relato de una experiencia, Marco Poddi (pág. 66). El reciente empleo de la Brigada «Friuli» en Afganistán ha permitido a la Gran Unidad non sólo contribuir plenamente a la realización de los objetivos de ISAF sino
Inmuebles militares: un proyecto para la rehabilitación de un Cuartel abandonado, Luca Schiavina (pág. 76). El autor propone una posible solución para remediar la falta crónica de alojamientos para el personal militar, desarrollando un proyecto de rehabilitación del cuartel abandonado «Perotti» en Bologna.
El liderazgo transformacional, Luca Pietrantoni (pág. 82).
El liderazgo y el arte del mando siempre han sido un tema crucial en el ámbito militar. En estos últimos años fue cobrando importancia el concepto de «liderazgo transformacional», considerado como decisivo para ejercer un liderazgo eficaz, especialmente a la hora de encarar las Fuerzas armadas los innumerables retos que plantea el futuro. Soldados del futuro: confrontación de experiencias, Pietro Batacchi (pág. 88). La evolución tecnológica y las exigencias militares siempre se han desarrollado de manera relacionable y complementaria. El nuevo escenario estratégico y la consiguiente evolución táctica han vuelto necesario para los Ejércitos de las mayores potencias militares volver a considerar a cada soldado como «el actor principal de la batalla», y por lo tanto redefinir no sólo el concepto de Force Portection sino también y sobre todo, las dotaciones individuales de armamento y comunicación. La Force Protection y la respuesta a los IED, Matteo Bressan (pág. 98). Ante la amenaza constituida por las minas y los ingenios explosivos se ha vuelto necesario estudiar y adoptar complejas medidas encaminadas a proteger a los hombres y a los medios en los teatros operativos. Hoy día, con IVECO y OTO MELARA, Italia puede considerarse un país a la vanguardia del sector del blindaje. Actualidad de la historia militar de la era moderna, Riccardo Caimmi (pág. 106). No se trata tan sólo del estudio de las campañas, de las batallas y de su curso, sino también y sobre todo de un detenido análisis del pensamiento militar, bajo todas sus formas técnicas y tácticas. Julio César: el hombre, las hazañas, el mito, GRELAUR (pág. 120). En Roma, una interesante exposición vuelve a poner en candelero la más gloriosa e increíble epopeya de la Historia. Los idus de marzo del año 44 pusieron término a la vida de Julio César, escribiéndose de esta manera el mejor guión de la Historia, en el que destaca la grandeza del hombre a la vez que la caducidad de la vida. De todas maneras, una vida de gigante. La Brigada «Pinerolo» vuelve de Kosovo, Domenico Occhinegro (pág. 126). El relato, breve pero significativo, de una operación exitosa. Que futuro para a ONU, OSCE, NATO e UE?, de Giorgio Spagnol (pág. 4).
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stão permitiu à Grande Unidade não só contribuir inteiramente para o atingimento dos objectivos de ISAF mas também incrementar e melhorar a própria capacidade operativa.
Que futuro para a ONU, OSCE, NATO e UE?, de Giorgio Spagnol (pág. 4). Uma descrição, necessariamente sumária, das principais organizações internacionais e as possíveis intervenções correctivas, num sistema de interesses comuns e responsabilidades partilhadas, para enfrentar adequadamente as incógnitas futuras. A América de Obama, de Antonio Ciabattini Leonardi (pág. 12). Recessão económica, combate ao terrorismo, guerra no Iraque e no Afeganistão, Irão: estas são algumas das problemáticas com as quais se deverá confrontar o novo «inquilino» da Casa Branca. Temas difíceis para uma América que deve voltar a definir a sua hegemonia político-económica num novo mundo policêntrico. Côrra como correr, a mudança já começou. «Eagle Tour 08» ensinamentos de um estudo de História Militar, de Luigi Paolo Scollo (pág. 24). O exercício conduzido de 12 a 16 de Maio de 2008 pelo Corpo da Armada de Reação Rápida da NATO, de Solbiate Olona, teve como tema a batalha de Creta de 1941. Das batalhas do passado nascem úteis treinos para enfrentar adequadamente os desafios futuros. O papel da NATO Advisory Team na Bosnia-H Herzegovina, de Enrico Villa e Antonino Pagato (pág. 36). No âmbito do processo de transformação do sistema de segurança das Nações, a reforma das Forças Armadas na Bosnia-Herzegovina configura-se como complexa mas de crucial relevância sobretudo em chave euro-atlântica. Em tal quadro, é examinado o papel central desenvolvido pela NATO Advisory Team nos termos de consultoria e suporte na actuação do projecto de reforma do sector da defesa.
Imóveis militares: um projecto de recuperação de um Quartel demitido, de Luca Schiavina (pág. 76). O autor propõe uma possível solução da crónica falta de alojamento para o pessoal, desenvolvendo um projecto de recuperação do antiquado Quartel «Perotti» de Bolonha. A leadership transformativa, de Luca Pietrantoni (pág. 82). O tema da leadership e da arte de comando sempre foi crucial no âmbito militar. Nos últimos anos adquiriu relevância no conceito de «leadership transformativa», considerada decisiva para o exercer de uma liderança eficaz sobretudo em relação aos múltiplos desafios que as Forças Armadas são chamadas a enfrentar. Soldados do futuro: experiências em confronto, de Pietro Batacchi (pág. 88). A evolução tecnológica e as necessidades militares têm tido desde sempre um desenvolvimento relacionado e complementar. O novo cenário estratégico e a consequente evolução táctica levaram os Exércitos das maiores potências militares a reconsiderar o simples combatente como «o actor principal do combate», obrigando-os, portanto, a rever não só os conceitos de Force protection, mas também e sobretudo, as dotações individuais de armamento e comunicação. A Force Protection e a resposta aos IED, de Matteo Bressan (pág. 98). A ameaça representada pelas minas e pelos ordenhos explosivos impôs os estudo e a adopção de sofisticadas medidas para proteger homens e meios nos teatros operativos. A Italia, hoje, com IVECO e OTO MELARA, pode considerar-se na vanguarda do sector das blindagens. Actualidade da história militar da idade moderna, de Riccardo Caimmi (pág. 106). Não é apenas o estudo das campanhas, das batalhas e dos seus cursos, mas também e sobretudo uma atenta análise do pensamento militar em todas as suas formas técnicas e tácticas.
O Centro de Gravidade como elemento guia nas operações militares, de Fabio Cornacchia (pág. 50). O Centro de Gravidade é talvez o elemento mais crítico da guerra, especialmente a níveis operativo e táctico. Uma vez identificado, este representa o driver do pensamento e da acção de stuff e Comandantes. Nenhuma campanha pode ser conduzida rapidamente e de modo decisivo sem antes ter identificado os próprios centros de gravidade e os do inimigo, para depois defender os primeiros e atacar os segundos através do emprego da força militar segundo modalidades de acção informadas aos ditames da arte operativa.
Giulio Cesare. O homem, os feitos, o mito, de GRELAUR (pág. 120). Em Roma, uma interessante exposição reporta à ribalta a mais gloriosa, incrível epopeia.Os idos de Março de ’44 fechavam a sua vicissitude humana com a melhor encenação que a história alguma vez escreveu, a sublinhar a grandiosidade e a fragilidade da vida. Uma vida, de qualquer forma, de gigante.
Regional Command West: o relate de uma experiência, de Marco Poddi (pág. 66). O recente emprego da Brigada «Friuli» no Afegani-
co Occhinegro (pág. 126). O breve mas significativo render de contas de uma operação de sucesso.
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A Brigada «Pinerolo» volta do Kosovo, de Domeni-
RIVISTA MILITARE 210x285
30-07-2008
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Procedi Cambi d irezion e Mandi a vanti u na patt uglia
Decidi il tuo futuro. Arruolati. I concorsi dell’Esercito.
Ufficiale dell’Esercito
Maresciallo dell’Esercito
Volontario dell’Esercito
Scuole dell’Esercito
Accademia Militare (Modena)
Scuola Sottufficiali Esercito (Viterbo)
Ferma prefissata 1 anno (VFP1)
Nunziatella (Napoli) Teulié (Milano)
UNA RISORSA PER IL PAESE
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