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di Francesco Mattesini “

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volo e alcuni abbattimenti di avversari in Egeo, Sicilia e Russia (dove ha invano tentato di passare ai sovietici: atterrato in zona tedesca, è salvato dai colleghi che non hanno capito o finto di non capire), poi divenuto colonnello dell’aviazione jugoslava (JRVPO)48. A fine aprile, dopo 80 giorni di corsi di inglese e per meccanici e ricognitori, la scuola si trasferisce a Benina in Cirenaica, dove arrivano altri allogeni e italiani provenienti dai campi di prigionia e piloti della Aviazione Reale che hanno abbandonato Alessandria49. Parte del personale è poi inviata in Romania e Russia. L’addestramento, concluso il 14 luglio, inizia sugli Harvard, per passare poi su Spitfire e Hurricane. Ad agosto la 1a squadriglia, ufficialmente 352nd Yougoslav Squadron della RAF, con 16 Spitfire, 11 U, 16 SU e 150 avieri è trasferita nell’aeroporto di Canne. Segue la 2a (351st Yougoslav Sqn) con 16 Hurricane, 43 U, di cui 23 piloti (2 subalterni triestini), 42 SU, 149 avieri. Entrambe inquadrate nel 281st Wing della Balkan Air Force50. Apparecchi vecchi, autonomia inferiore a 2 ore, necessitano di serbatoi supplementari. Il 18 agosto prima missione, scorta a bombardieri inglesi, poi l’obiettivo privilegiato saranno i treni. Con una certa soddisfazione degli allogeni stavolta nella base e nei dintorni sono gli italiani delle Divisioni Ausiliarie a dover svolgere i compiti meno gratificanti. Nel marzo 1945 sono trasferiti a Lissa, dove muore in atterraggio Luigi Rugi.

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48 Marko Malec, «Marjan (Marij) Semolič, slovenski letalski as, Od Fiata do Iljušina», revija

Obramba, letnik 42, Julij 2010. 49 Marta Verginella, La guerra di Bruno [Trampuž]. L’identità di confine di un antieroe triestino e sloveno, Donzelli, 2015. 50 Paul J. Freeman, The Cinderella Front: Allied Special Air Operations In Yugoslavia During World War II, Pickle Partners Publishing, 2014.

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Il trasferimento di 5.000 lavoratori allogeni dalla Sardegna in Francia

Restano da menzionare le vicende post-armistiziali dei circa 6.000 allogeni di stanza in Sardegna (oltre 4.000 lavoratori e circa 2.000 nelle altre unità): qui mancano incentivi e occasioni per disertare (il carteggio parla di 28 o 45 casi). A novembre ci sono 23 compagnie speciali: 3 con 484 scaricatori di porto, 12 con 2.242 artieri aeroportuali (Alghero, Elmas, Milis, Venafiorita e Decimomannu), 2 alle saline, 1 al rimboschimento, almeno 5 a lavori stradali51. Agli alleati non bastano i 5.000 autieri, artieri e specialisti italiani rimasti on Corsica, e ne chiedono ancora altrettanti, in particolare robusti «alpini lavoratori». Il Comando territoriale della Sardegna propone di mandarci invece i «lavoratori di origine slava»: il 23 gennaio 1944, esclusi i forestali, riordina gli altri in 21 compagnie speciali (14 aeroportuali, 5 d’intendenza, 2 di salina) e il 9 febbraio Superesercito approva52. Le prime 2 compagnie partono il 16 febbraio, le altre 19 in aprile, formando il «Gruppo Compagnie Lavoratori Speciali» (poi «Comando Italiano Truppe Allogene», in seguito «Alloglotte») comandato da un tenente colonnello.

51 AUSSME F DS B.2012. 52 AUSSME F Circolari B.812.

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Il 21 giugno gli altri allogeni rimasti in Sardegna (dal carteggio risultano 1.338 o 1.717) vengono concentrati nelle Divisioni Calabria e 204a Costiera53 e alcuni verranno reclutati da una missione jugoslava.

In Corsica il tono disciplinare peggiora radicalmente. Istigati dalla popolazione locale e dai militari americani, specie di origine slava, gli allogeni rendono la vita impossibile ai quadri italiani. Contestano, spesso col sostegno americano, gli ordini, rifiutano le stellette sulle nuove uniformi americane, issano il tricolore jugoslavo e chiedono di essere qualificati «Yugoslav Companies», poi si accontentano del più generico «Slav companies» mediato dagli americani per non sollevare un conflitto diplomatico col governo Bonomi54 .

Per salvaguardare l’incolumità dei quadri il comandante italiano accetta di affiancarli con personale americano (1 U e 1 SU per compagnia), poi si vede obbligato a rispedirli in Sardegna. Lo SMRE chiede di tenere in sospeso la questione e, anzi, di rimandare gli ufficiali alle compagnie; poi annota a matita, sulla risposta del 7 luglio dalla Corsica «salvaguardata l’incolumità degli ufficiali, ma non certo il prestigio»55 .

L’unico ufficiale rimasto in Corsica è il cappellano, il francescano Flaminio Rocchi (1913-2003) di Lussino, che, pur di origine croata (il vero nome sarebbe Antun Sokolić), sarà poi uno dei cappellani dell’esodo istriano. Volontario di guerra, catturato dai tedeschi in Sardegna ed evaso, riceve dagli americani, grazie alla sua conoscenza delle coste toscane, la sbalorditiva proposta di dirigere dalla Gorgona le incursioni del SOE56. In una relazione del 23 maggio 1945 l’ex-comandante italiano degli alloglotti gli riconosceva di aver conseguito «un non indifferente miglioramento di rapporti e di sentimenti

53 AUSSME F DS B.4205. 54 Sara Perini, Battaglioni Speciali (Slav Companies) 1940-1945. Posebni bataljoni, Opčine, Slovensko Kulturno Društvo Tabor, 2007. 55 AUSSME F DS B.4205. 56 Intervista sul Piccolo di Trieste, 4 maggio 1994. V. il «Profilo di Antun Sokolić», nel sito

Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju. Nelle memorie, però, Rocchi sostenne di aver rifiutato la proposta.

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verso il nostro paese»57. Padre Rocchi annota il successo riscosso in Corsica dal coro sloveno, la messa celebrata coi ritratti di Tito e Stalin ai lati del Crocifisso («Cristo fra i due ladroni», chiosa), i 35 deceduti, sulle cui croci ha fatto apporre, a sue spese, due medaglioni in marmo, uno col nome e una frase in sloveno, l’altro col profilo del monte Triglav (Tricorno) simbolo della Slovenia. Annota pure che un centinaio di malati gravi sono stati comunque trasferiti in Italia e accenna alla proposta americana di promuovere ufficiali alcuni dei pochi SU alloglotti, per coadiuvare il personale americano ora al comando delle compagnie.

Roma apre all’eventuale avanzamento a sergente maggiore e a corsi, italiani, per la nomina a marescialli, ma per la nomina a ufficiale occorrono giuramento al re e regio decreto. La Northern Base Section organizza un breve corso per allievi ufficiali: ad ottobre ne sono nominati 27, ma con grado provvisorio e non riconosciuto nell’esercito italiano. Gli americani riordinano gli ausiliari slavi coi loro organici, su 26 compagnie, più la «532nd Guard Coy» addetta alla disciplina e vari servizi armati. Le altre sono adibite a lavori di bonifica, stradali, portuali e aeroportuali (caricano pure le bombe d’aereo).

In settembre, dopo lo sbarco in Provenza, una compagnia è spedita a Marsiglia senza neppure avvisare il comando italiano. Nel marzo 1945 ne seguono altre 4, 2 ad aprile e 20 a maggio. Finita la guerra, viene rimpatriato il comando italiano, da tempo mero passacarte. Invece per gli alloglotti – ora definiti con splendido eufemismo burocratico «Truppe italiane che non parlano italiano già in Corsica» – non c’è fretta: come scrive il 9 luglio il ministero della guerra, neppure l’AMGOT, «per motivi politici», «considera opportuno rinviare i militari di origine jugoslava presentemente impiegati sotto il comando americano in Francia», «nella quasi totalità di lingua slava e di accesi sentimenti anti-italiani, elementi turbolenti»58. Su quasi 5.000, 1.084 provengono dalla provincia di Udine, 1.941 di Gorizia, 898 di Trieste, 923 di Pola, 3 di Fiume e 31 di Zara59. Alla fine, rivestiti con nuove uniformi nere e congedati, vengono trasferiti in treno e sotto scorta americana a Udine, ancora occupata dagli alleati.

All’arrivo versano alla causa nazionale i risparmi accumulati sul salario americano, ma nella nuova Jugoslavia l’unico merito ammesso è aver fatto il partigiano.

57 AUSSME PCM 1944-1947 B.4205. Fabio Rocchi (cur.), Padre Flaminio Rocchi. L’uomo, il francescano, l’esule, Roma, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, 2007. 58 AUSSME F I 3 B.14. 59 AUSSME F DS B.4205.

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I postumi della guerra

Nel maggio 1945 il ministero della guerra vorrebbe smobilitare subito i 7.000 militari allogeni ancora presenti in Italia, cominciando dai giovanissimi della leva anticipata (ma trattenendo a domanda le reclute di etnia italiana che temono persecuzioni slave), e al tempo stesso rimandare a casa, magari in licenza, anche gli italiani delle province orientali. Per non aggravare la situazione di Trieste, straboccante di profughi, si vieta di mandarvi in licenza i militari istriani per timore che vi si facciano raggiungere dalle proprie famiglie.

Sollecitato da Roma, l’AMGOT chiude gradualmente basi e uffici jugoslavi, i molti titini e i pochi monarchici, a Roma, Napoli, Bari, Barletta, Gravina, Monopoli (dove gli jugoslavi sfilano provocatoriamente in armi) e in altre località60. Belgrado prosegue però reclutamenti mirati di piloti e specialisti: nel dicembre 1945 si offre un premio di 92.000 dinari (50.000 lire) agli epurati o epurandi dell’Aeronautica repubblicana61. Ufficiali friulani confermano di esser stati contattati da emissari «con accento triestino»62. Ancora nel novembre 1946 si accenna a 200 e più U e SU ingaggiati come istruttori con paghe altissime. Il 29 maggio 1946 dall’aeroporto Forlanini di Milano è rubato un S79, che atterra ad Aidussina63 .

Nel luglio 1947 il SIS, uno dei servizi informazioni, segnala moltissimi espatri clandestini, organizzati dal PCI, di giovani italiani accolti nelle Brigate Internazionali del Lavoro, e non sono soltanto i “monfalconesi”, che per la loro fedeltà a Stalin passeranno poi momenti difficili. A Lubiana sono un migliaio, operai ma anche studenti, 200 a Maribor, altri sparsi altrove, i migliori seguono corsi di indottrinamento, i delusi tornano con difficoltà e poi a Trieste o Venezia fanno i conti coi profughi istriani. Qualcuno, attraverso la Jugoslavia, vuole andare a combattere in Grecia con gli andartes comunisti. Un centinaio, meridionali, vengono fermati alla stazione Termini nel giugno 1947. Il 21 agosto, a Monfalcone, è arrestato il diciannovenne studente napoletano Giacomo Scotti, il futuro storico delle relazioni italo-jugoslave durante la guerra64. Dai documenti e dall’interro-

60 ACS PCM 1944-1947 2-1-2- 20591. 61 ACS PCM 1944-1947 B.216. 62 ACS Min. Interno DGPS AA.GG. RR. B.217. 63 ACS Min. Interno DGPS Div. SIS Sez II 1944-1947 B.79. 64 Opere di Giacomo Scotti edite da Mursia: Ventimila caduti. Gli italiani in Jugoslavia (1970); Il battaglione degli straccioni. I militari italiani nelle brigate jugoslave, 19431945, (1974); I disertori. Le scelte dei militari italiani sul fronte jugoslavo prima dell’8 settembre (1980). Il bosco dopo il mare. I partigiani italiani in Jugoslavia, Infinito, 2009.

Bono Taliano. I militari italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943: da occupatori a disertori, Roma, Odradek, 2012.

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gatorio risulta che il reclutamento è organizzato dalla «Unione Antifascista ItaloSlovena» e sono in viaggio altri 15/20 compagni65 .

I servizi italiani stilano un elenco di agenti dell’OZNA in Venezia Giulia e altre regioni, con centrale operativa a Roma in via Lima 14, che sorvegliano i rifugiati anticomunisti, che fonti inglesi stimano essere 70.000 nei campi profughi italiani [il più grande a Rimini, con un totale di 300.000 transiti e un picco di 150.000 presenze nell’estate 1945]66. Con l’operazione «Keelhaul» (Giro di chiglia) parte è rimpatriata a forza, ma, col mutare della situazione internazionale, sono sospesi i rimpatri, mentre continua l’afflusso dalla Jugoslavia. Nel giugno 1946 la stampa titina denuncia la propaganda e il clima di terrore imposto nei due campi di Eboli (Ceffo e San Giovanni) dai domobrani (difensori della patria) sloveni e croati e dai cetnici che hanno ricostituito la «Šumadijska Divizija» e le unità della Lika, della Drina e del Montenegro afferente a Momčilo Đujić (1907-1999), collegati dagli ufficiali monarchici già ausiliari dei britannici che circolano liberamente in Italia. Il 25 gennaio 1947 i cetnici linciano l’incauto console jugoslavo a Napoli che li esortava al rimpatrio. L’Unità del 27 febbraio scrive che l’anno prima solo in 46 hanno osato chiedere il rimpatrio e uno è stato accoltellato. La questura di Salerno conferma: «un clima di estremo sospetto» e la «scomparsa» di «qualche infiltrato»67 .

Ad ogni modo, pur se in ritardo di un anno rispetto alle promesse inglesi, tra il ’47 e il ’48 la quasi totalità degli ospiti dei campi lascerà l’Italia. La rottura tra Tito e il Cominform, se da un lato complicherà le nostre relazioni con gli angloamericani (v. qui l’articolo di Eric Terzuolo), dall’altra provocherà il sostegno dell’URSS e del PCI al ritorno di Trieste all’Italia. Al di qua del nuovo confine orientale resta una minoranza slovena oggi stimata in 80.000 unità. I torti reciproci non sono stati dimenticati. Ma, almeno, riguardano il passato68 .

65 ACS Min. Interno DGPS Div. SIS Sez II 1944-1947 B.79. 66 Alessandro Agnoletti, Enklave Rimini Bellaria. Storia e Storie di 150.000 Prigionieri nei campi di concentramento alleati sulla costa romagnola (1945-1947), Rimini, Guaraldi, 1999. Patrizia Dogliani (cur.), Rimini enklave. Un sistema di campi alleati per prigionieri dell’esercito germanico, Bologna, CLUEB, 2005. 67 ACS Min. Interno DGPS Div. SIS Sez II 1944-1947 B.79. 68 Wohin Milica Kacin e Joze Pirjevec, Storia degli Sloveni in Italia 1866-1998, Padova, Marsilio, 1998. Giorgio Federico Siboni, Il confine orientale: da Campoformio all’approdo europeo, Oltre, 2012.

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