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1. 4 – La difficile ricostruzione pag

Le proposte di Caracciolo: 1. Non lasciarsi ingannare dalle lamentele della gente e dalle questue dei Sindaci che continuano a chiedere soccorsi, alimenti, legname e denaro; non è vero che la gente muore di fame e non è vero che manca tutto, come asseriscono i Sindaci in continui piagnistei. 2. Il 1783 ha distrutto la fonte alimentare ma ha lasciato disponibile la fonte produttiva e dunque c’è l’acqua, il terreno e le bestie. Occorre ricomporre l’apparato produttivo garantendo la sopravvivenza dei piccoli fondi. Ciò consentirà di riprendere a vivere. 3. Se ci si ferma ai meri soccorsi, si provoca un arricchimento dei ricchi che coi loro seguaci assorbirebbero gli aiuti privandone proprio coloro che operano nella produzione della ricchezza: i contadini e i piccoli proprietari. Gli artigiani e gli zappatori hanno perso niente durante il sismo perché niente avevano e dopo il sismo e proprio per l’aumentata necessità di riparare, ripristinare e costruire, hanno cominciato a lavorare ancorché la loro opera venga pagata pochissimo, mediamente a un terzo del suo valore. Tuttavia il lavoro c’è e sta aumentando. I ricchi benestanti invece, risultano rovinati dal sismo e sono i bisognosi al momento sicché gli aiuti arriverebbero a una fascia di bisognosi che non utilizzerebbero questi fondi per ripristinare opere e attività produttive, ma la loro originaria condizione di nobili e borghesi parassiti. I potenti insomma, manovrerebbero tutto per restaurare e ingigantire il loro potere. 4. Bisogna dunque evitare gli interventi a pioggia sui Sindaci e attuare un piano di sostegno agli imprenditori che dimostrino di voler perseguire il potenziamento della loro attività produttiva, partendo sicuramente dalla piccola proprietà contadina. Come si nota l’urto fu frontale. Ma ci si sbaglierebbe se si pensasse a un urto traumatico, di mors tua vita mea. L’energia di contrapposizione di Caracciolo, così come quella di Grimaldi, fu di tipo economicostrutturale, come quella di Cantillon. Nel 1783 i contadini e i pescatori del Canale che producevano, ebbero coscienza di chi erano i nemici: i nobili nullafacenti, gli avvocaticchi, gli impiegati, i borghesi proprietari terrieri che chiusero opportunità e l’accozzaglia che viveva nei paesi all’ombra dei potenti. Una coscienza fatta valere nella Capitale oltre che dal viceré Caracciolo, che dalla Sicilia ammoniva Acton, da d.Grimaldi, nominato Assessore del Supremo Consiglio d’Azienda, che appoggiò i Caracciolo della Fossa San Giovanni e da Seminara invocò, anche lui, per la Calabria meridionale, una migliore tecnicità nelle scelte di politica economica e, per aumentare la spinta in avanti, suggerì l’utilizzo dei forzati sui campi, ove risultava scarsa e condizionata la mano d’opera locale. Anche Grimaldi, nel formulare la tesi, ebbe a mente la situazione agricola del comprensorio bagnarese e del suo sistema rasolato che giungeva fino a Seminara. E guardò alla Piana e all’altopiano della Corona: un immenso patrimonio utilizzabile “in modo trionfale” se solo si sarebbe potuto disporre di forza lavoro, lì insufficiente. Conferme e suggerimenti li mandò anche Pignatelli dalle zone terremotate ove rinvenne, come notato, la barbarie di governo di ignoranti nobilucci e chierici selvaggi, chiusi a ogni aspettativa di progresso, incapaci perfino di individuarne i connotati.49 Oltre che sulle barbare condizioni della plebe, le relazioni degli Ispettori dai luoghi del terremoto non lasciarono dubbi: i galantuomini erano divenuti talmente arroganti da mandare a pascolare le bestie nelle vigne e nei giardini dei contadini che non potevano protestare; si stavano inoltre impossessando dei demani dall’uso dei quali stavano escludendo le fasce deboli e bisognose. I governatori e i sindaci erano puoco o nulla rispettati e temuti e vi erano sindaci che hanno timore a dare qualche ordine. Così il col. Tomasi, in una relazione al Sambuca del Marzo 1784. Nei centri abitati più grandi ed «evoluti» la situazione era apparentemente diversa. Lì infatti si stava completando la rimozione delle macerie ed operando la ricostruzione. Così giunsero le notizie nella Capitale ma sotto le apparenze, anche qui trionfò l’opportunismo di parte e la prevaricazione dei bisogni particolari sui bisogni generali. Così mentre la popolazione di Reggio era ancora dispersa fra le campagne del Circondario e mentre i militari radevano al suolo quello che restava della vecchia Città, solo il Seminario, per opera dell’animoso Arcivescovo Capobianco,50 s’avviò alla ricostruzione sicché nel 1785 si finì a tempo di record mentre la cittadinanza era sparsa ancora per la campagna, e Reggio antica finiva di demolirsi sotto il piccone del genio militare. 51 Sparse per la Calabria, vi furono molti di questi esempi: i popolani arrangiati dopo anni dall’evento tellurico, in catapecchie e caverne o sotto pagliericci insieme agli animali domestici, mentre Priori, Rettori, Abati, e Congreghe, si dettero da fare per riattivare Chiese e Cattedrali in baracche di legno. Si ricostruì prima il veicolo di comunicazione fra clero e masse e questo può leggersi in positivo: il tentativo di riadunare attorno a un edificio riconosciuto da tutti, ciò che resta delle genti vaganti, in uno spirito dissociativo, generatosi dopo le scosse.

1.4 – Il dopo terremoto: la difficile ricostruzione A Bagnara le Congreghe finanziarono la costruzione di un ospedale di fortuna e già dal 1784, si diedero da fare per la costruzione delle rispettive chiese-baracche, con una celerità e impiego di risorse notevoli, mentre

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49 D.GRIMALDI, Memoria sulla economia olearia antica e moderna e sull’antico frantoio, Stamperia Reale, Napoli 1783; D.GRIMALDI, Memoria per lo ristabilimento dell’industria olearia e della Agricoltura nelle Calabrie e altre province del Regno di Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1783; D.GRIMALDI, Piano di riforma per la pubblica economia delle Province del Regno di Napoli e per l’Agricoltura delle Due Sicilie, Stamperia Reale, Napoli 17832 . 50 Egli peraltro interpretava il Breve di Pio VI “Post Integrum” che ordinava agli ecclesiastici di concorrere alla riedificazione di chiese e luoghi pii e sopprimere i Conventi con meno di 12 elementi, cfr.: F.RUSSO, Storia della Archidiocesi di Reggio Calabria, Napoli 1963, vol. II, p.283. Vi sono dubbi sull'autenticità di questo Breve e pare che la Regia Camera di Santa Chiara avesse negato il R. Exequatur perché lesivo dei diritti della Corona (ivi p. 284). 51 A. DE LORENZO, Un terzo manipolo di monografie e memorie reggine e calabresi, Tip.ed.S.Bernardino, Siena 1899, p. 85

con affanno procedette il recupero delle strutture civili, tant’è che le stesse Congreghe operarono contro le stesse delibere reali chiedendo e ottenendo il ripristino delle gabelle che ovunque nel Regno erano state abolite nel 1775 per sollevare la povera gente da pesi vessatori e odiosi. Bagnara ottenne da Ferdinando la «specialissima grazia» di veder ristabilite le regole fino al 1785. Questo affrettarsi delle opere religiose prima che le civili, non venne letto con favore a Napoli e lasciò perplessi gli ufficiali governativi, perché proprio i borghesi erano in testa a queste iniziative. Borghesi e uomini di Chiesa impegnati anche in qualche ospedale finanziato dalle Congreghe, sull’esempio di Bagnara, qualche prestito concesso a interesse ridotto e seriazioni di elemosine elargite per carità cristiana come impegno personale, di riconosciuti benefattori. Paradossalmente il Governo fu costretto ad assecondare le iniziative religiose. La mancanza di spirito di fare da parte della Borghesia, rischiava di abbruttire ancor più la società e dunque si dovettero orientare risorse sulla ricostruzione dei centri religiosi come prima fase per il riassembramento della Società Civile. Ed è per questo che troviamo la Cassa Sacra fra i finanziatori per la costruzione della seconda ala del Seminario di Reggio (più di 2000 Franchi) nel 1787, quando ancora la situazione della Città era precaria. Sull’impegno civile prima e di più che religioso, fu significativa (e conosciuta a Napoli) l’opera che nel vicino Stato Pontificio stava portando il Chierico di Camera di Pio VI Braschi. don Fabrizio Ruffo dei Baroni di San Lucido, ramo cadetto della Gran Casa di Bagnara, nipote del potente cardinale di Bagnara Don Tommaso Ruffo. Don Fabrizio nel 1784 era Tesoriere e Commissario Generale del Mare, oltre che sovrintendente di Castel Sant’Angelo. A Napoli, con la quale intratteneva rapporti intensi, 52 era nota la sua opera riformatrice, partita dalla riorganizzazione del Monte di Pietà per consentire il rallentamento inflattivo delle cedole, e i primi interventi per potenziare l’economia agricola in sintonia con l’incentivazione dell’attività artigiana. Sotto la sua amministrazione, cominciarono a conseguire buon règime la fabbrica di telerie di Termini, il commercio delle suola, le filerie metalliche. Oltre al condono del sesto della gabella sui trasporti eseguiti dai laziali, misura che portò all’aumento del movimento delle merci all’interno dello Stato, Ruffo si concentrò sulla coltivazione della canapa, per favorire la ripresa dell’attività manifatturiera, e con lo stesso spirito, prestò attenzione alle piantagioni di ulivo, la coltura del cotone e la terra coltivata a guado (offrendo otto scudi per ogni rubbio di terra dedicata), poiché in tale maniera aumentava la disponibilità di indaco per le tintorie. L’industria alimentare fu protetta da una rigorosa politica doganale e cominciò a gestire una serie di incentivazioni per potenziare le filature nel contado di Fermo.53 Con questa visione d’insieme, il Re e il Governo poterono valutare lo scenario all’interno dello Stato puntando il dito sulle fasce di sudditi medio alte, incapaci di mettersi al comando del sistema di ricostruzione; nel contempo, cercarono strumenti per superare il terremoto adoperandolo come veicolo per uno sviluppo economico e sociale secondo la moderna concezione illuministica. Bisognava fare presto. Quasi a confermare le osservazioni di Roccantonio Caracciolo, arrivarono notizie che il grano, nella fascia ReggioFiumara-Scilla e Bagnara, registrava quotazioni altissime e lo stesso avveniva a Palmi e Polistena pur se con meno esasperazione. A Bagnara il grano andò a 199 grana a tomolo, ben 59 grana in più che a Rossano e 79 in più che a Cassano, centri di smistamento della produzione calabrese. Al tocco della campana il Decurionato di Seminara si riunì per discutere della brutta situazione alimentare e dello stato del paese, con le opere di ricostruzione in alto mare. Insomma: da tutte le parti arrivavano segnali di preoccupazione.54 Nel maggio il Re dette l’assenso sul Monte di Pietà di Salice ordinando che le sue rendite non andassero a beneficio dé pellegrini, che sono per lo più oziosi, malvagi e inutili allo Stato per la loro poltroneria, ma bensì ai soli cittadini veramente poveri e per importi limitati.55 Il Re poi, sollecitò attraverso il Sambuca, a che si recuperassero gli argenti della Certosa di S. Stefano del Bosco e del Monastero di S. Domenico in Soriano e si consegnassero alla Zecca. Essa li avrebbe fusi per la produzione di monete. Le monete sarebbero poi state impiegate per il sollievo della Calabria. A tale provvedimento furono coinvolte Parrocchie, Chiese, Conventi e Luoghi Pii. Un tesoro d’indicibile valore scomparve nei forni della Zecca di Napoli.

52 A Napoli la Gran Casa di Bagnara possedeva un sontuoso palazzo, il Palazzo-Bagnara, che dava sulla Piazza del Mercatello (oggi piazza Dante) con di fronte il Convitto Nazionale. Un altro sontuoso palazzo la Casa di Bagnara possedeva a Roma in piazza XII Apostoli, di fronte al palazzo dei Principi Colonna. 53 Sull’opera di Fabrizio Ruffo negli anni Ottanta del Settecento, vedi Appendice IV 54 G.CINGARI, La Calabria fra Settecento e Ottocento. Fermenti ideologici e spinte rivoluzionarie, in La Calabria dalle Riforme...,cit., pg. 105. Il Decurionato di Seminara si riunì per la prima volta il 4 maggio 1783 al tocco della campana come in uso fin dal Medioevo. Era composto da un Governatore di Giustizia e due Sindaci (uno dei Nobili e uno dei Civili) e 26 decurioni (Nobili, Civili e Maestranze). Il Sindaco dei Nobili presentava le proposizioni che venivano votate dai Decurioni con palline bianche e nere. Del Consiglio dell’Università faceva parte il Cassiere dell’Università, i due Sindaci eletti (Nobile e Civile), un razionale, un Segretario, 4 Deputati per le tasse (2 Nobili e 2 Civili), uno Speditore Universale, un Mastrogiurato, un Avvocato dei Poveri, un Avvocato dell’Università, il Baiulare, il Mastro dell’Amministrazione della Corte Baiulare, un Luogotenente di Giustizia, il detentore del sale, il Portiero, il Mastro di Piazza e un Procuratore della Cappella del Sanissimo. ( DE SALVO, ...Palmi ... pg. 283). 55 G.DE ROSA, L’emarginazione sociale in Calabria nel sec. XVIII: il problema degli esposti, in “Atti del VI Congresso Storico Calabrese”, vol. I, p. 120.

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