LO STRETTO DI MESSINA E BAGNARA DOPO IL TERREMOTO DEL 1783

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Le proposte di Caracciolo: 1. Non lasciarsi ingannare dalle lamentele della gente e dalle questue dei Sindaci che continuano a chiedere soccorsi, alimenti, legname e denaro; non è vero che la gente muore di fame e non è vero che manca tutto, come asseriscono i Sindaci in continui piagnistei. 2. Il 1783 ha distrutto la fonte alimentare ma ha lasciato disponibile la fonte produttiva e dunque c’è l’acqua, il terreno e le bestie. Occorre ricomporre l’apparato produttivo garantendo la sopravvivenza dei piccoli fondi. Ciò consentirà di riprendere a vivere. 3. Se ci si ferma ai meri soccorsi, si provoca un arricchimento dei ricchi che coi loro seguaci assorbirebbero gli aiuti privandone proprio coloro che operano nella produzione della ricchezza: i contadini e i piccoli proprietari. Gli artigiani e gli zappatori hanno perso niente durante il sismo perché niente avevano e dopo il sismo e proprio per l’aumentata necessità di riparare, ripristinare e costruire, hanno cominciato a lavorare ancorché la loro opera venga pagata pochissimo, mediamente a un terzo del suo valore. Tuttavia il lavoro c’è e sta aumentando. I ricchi benestanti invece, risultano rovinati dal sismo e sono i bisognosi al momento sicché gli aiuti arriverebbero a una fascia di bisognosi che non utilizzerebbero questi fondi per ripristinare opere e attività produttive, ma la loro originaria condizione di nobili e borghesi parassiti. I potenti insomma, manovrerebbero tutto per restaurare e ingigantire il loro potere. 4. Bisogna dunque evitare gli interventi a pioggia sui Sindaci e attuare un piano di sostegno agli imprenditori che dimostrino di voler perseguire il potenziamento della loro attività produttiva, partendo sicuramente dalla piccola proprietà contadina.

Come si nota l’urto fu frontale. Ma ci si sbaglierebbe se si pensasse a un urto traumatico, di mors tua vita mea. L’energia di contrapposizione di Caracciolo, così come quella di Grimaldi, fu di tipo economicostrutturale, come quella di Cantillon. Nel 1783 i contadini e i pescatori del Canale che producevano, ebbero coscienza di chi erano i nemici: i nobili nullafacenti, gli avvocaticchi, gli impiegati, i borghesi proprietari terrieri che chiusero opportunità e l’accozzaglia che viveva nei paesi all’ombra dei potenti. Una coscienza fatta valere nella Capitale oltre che dal viceré Caracciolo, che dalla Sicilia ammoniva Acton, da d.Grimaldi, nominato Assessore del Supremo Consiglio d’Azienda, che appoggiò i Caracciolo della Fossa San Giovanni e da Seminara invocò, anche lui, per la Calabria meridionale, una migliore tecnicità nelle scelte di politica economica e, per aumentare la spinta in avanti, suggerì l’utilizzo dei forzati sui campi, ove risultava scarsa e condizionata la mano d’opera locale. Anche Grimaldi, nel formulare la tesi, ebbe a mente la situazione agricola del comprensorio bagnarese e del suo sistema rasolato che giungeva fino a Seminara. E guardò alla Piana e all’altopiano della Corona: un immenso patrimonio utilizzabile “in modo trionfale” se solo si sarebbe potuto disporre di forza lavoro, lì insufficiente. Conferme e suggerimenti li mandò anche Pignatelli dalle zone terremotate ove rinvenne, come notato, la barbarie di governo di ignoranti nobilucci e chierici 49 selvaggi, chiusi a ogni aspettativa di progresso, incapaci perfino di individuarne i connotati. Oltre che sulle barbare condizioni della plebe, le relazioni degli Ispettori dai luoghi del terremoto non lasciarono dubbi: i galantuomini erano divenuti talmente arroganti da mandare a pascolare le bestie nelle vigne e nei giardini dei contadini che non potevano protestare; si stavano inoltre impossessando dei demani dall’uso dei quali stavano escludendo le fasce deboli e bisognose. I governatori e i sindaci erano puoco o nulla rispettati e temuti e vi erano sindaci che hanno timore a dare qualche ordine. Così il col. Tomasi, in una relazione al Sambuca del Marzo 1784. Nei centri abitati più grandi ed «evoluti» la situazione era apparentemente diversa. Lì infatti si stava completando la rimozione delle macerie ed operando la ricostruzione. Così giunsero le notizie nella Capitale ma sotto le apparenze, anche qui trionfò l’opportunismo di parte e la prevaricazione dei bisogni particolari sui bisogni generali. Così mentre la popolazione di Reggio era ancora dispersa fra le campagne del Circondario e mentre i militari radevano al suolo quello che restava della 50 vecchia Città, solo il Seminario, per opera dell’animoso Arcivescovo Capobianco, s’avviò alla ricostruzione sicché nel 1785 si finì a tempo di record mentre la cittadinanza era sparsa ancora per la campagna, e 51 Reggio antica finiva di demolirsi sotto il piccone del genio militare. Sparse per la Calabria, vi furono molti di questi esempi: i popolani arrangiati dopo anni dall’evento tellurico, in catapecchie e caverne o sotto pagliericci insieme agli animali domestici, mentre Priori, Rettori, Abati, e Congreghe, si dettero da fare per riattivare Chiese e Cattedrali in baracche di legno. Si ricostruì prima il veicolo di comunicazione fra clero e masse e questo può leggersi in positivo: il tentativo di riadunare attorno a un edificio riconosciuto da tutti, ciò che resta delle genti vaganti, in uno spirito dissociativo, generatosi dopo le scosse. 1.4 – Il dopo terremoto: la difficile ricostruzione A Bagnara le Congreghe finanziarono la costruzione di un ospedale di fortuna e già dal 1784, si diedero da fare per la costruzione delle rispettive chiese-baracche, con una celerità e impiego di risorse notevoli, mentre 49 D.GRIMALDI, Memoria sulla economia olearia antica e moderna e sull’antico frantoio, Stamperia Reale, Napoli 1783; D.GRIMALDI, Memoria per lo ristabilimento dell’industria olearia e della Agricoltura nelle Calabrie e altre province del Regno di Napoli, Stamperia Reale, Napoli 1783; D.GRIMALDI, Piano di riforma per la pubblica economia delle Province del Regno di Napoli e per l’Agricoltura delle Due Sicilie, Stamperia Reale, Napoli 17832. 50 Egli peraltro interpretava il Breve di Pio VI “Post Integrum” che ordinava agli ecclesiastici di concorrere alla riedificazione di chiese e luoghi pii e sopprimere i Conventi con meno di 12 elementi , cfr.: F.RUSSO, Storia della Archidiocesi di Reggio Calabria, Napoli 1963, vol. II, p.283. Vi sono dubbi sull'autenticità di questo Breve e pare che la Regia Camera di Santa Chiara avesse negato il R. Exequatur perché lesivo dei diritti della Corona (ivi p. 284). 51 A. DE LORENZO, Un terzo manipolo di monografie e memorie reggine e calabresi, Tip.ed.S.Bernardino, Siena 1899, p. 85 pag. nr.

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2.10 – L’89: la preoccupazione della Corte di Napoli e i riflessi in Calabria pag

45min
pages 55-63

e nell’Europa Continentale pag

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pages 80-82

3.3 – 1794: Reggio e Bagnara fra Rivoluzione e Controrivoluzione pag

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pages 64-72

Allegato 1 – Le impressioni di viaggio di Pilati in Calabria a metà del Settecento pag

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“Assolutismo” della Classe Emergente. pag

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pages 50-54

2. 8 – Fatali contraddizioni all’interno dei nuovi gruppi dirigenti pag

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pages 45-49

2. 7 – I Ruffo verso il declino: l’ascesa di una nuova classe imprenditoriale a Bagnara pag

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2. 6 - Contro le riforme del Palmieri. Il potente Partito Ducale a Bagnara nel 1788 pag

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E il risveglio ostile dell’Aristocrazia periferica pag

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pages 41-42

2. 4 - Una “ventata” di Borghesia Illuminata e i primi fermenti rivoluzionari pag

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pages 37-40

Tirrenico della Calabria Meridionale pag

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pages 31-34

1.10 – La sconfitta della Cassa Sacra e il trionfo della rendita parassitaria pag

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Il declino dell’Arte della Seta pag

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pages 35-36

1. 5 – La Cassa Sacra, le Scuole Normali e lazione dell’abate d. Antonio Jerocades pag

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pages 15-18

d. Domenico Grimaldi pag

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pages 10-12

1. 4 – La difficile ricostruzione pag

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