UOMINI DELLA fvlAJU A
Mariano Gabriele
BENEDETTO BRIN
UFFTCTO STORICO DELLA MARINA MILITARE
Indice
Pag. Presentazione . .. . . .
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Cap. I
Riboty
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Cap. II
Saint Bon
17
Cap. III
La prima volta di Brin . . . . . .. . . . . . . . . .. . . . . .. .
27
Cap. IV
Ferdinando Acton . .
43
Cap. V
Sette anni .Ministro
59
Cap. VI
Ministro degli Esteri
79
Cap. VII
Triste intermezzo
99
Cap. VITI
L'ultima missione
111
Cap. IX
L'uomo
129
Bibliografia
145
Indice delle persone
149
Indice delle navi . .... .. ... . ... . . .... . . ....... . .
155
3
Presentazione
L'Ufficio Storico della Marina Militare ha deciso di avviare una nuova collana di testi dedicati agli "Uomini della Marina" .Si vuole in tal modo recuperare la memoria e valorizzare figure di personaggi che hanno operato nella Marina e per la Marina, in tempi di pace e di guerra. Studi particolari saranno così dedicati a Ministri, capi di Stato Maggiore, combattenti, pensatori di strategia e di tattica, costruttori: protagonisti che nel corso della loro vi ta hanno dato un contributo degno di essere oggetto di storia. Questa collana si apre con un volume, dovuto al prof. Mariano Gabriele, dedicato a Benedetto Brio, l'uomo che nel secolo scorso costruì il potere marittimo italiano. Quasi dal nulla, dopo la liquidazione della flotta di Lissa, la Marina Militare Italiana crebbe fino ad essere considerata, ad un certo punto, la terza del mondo. E Benedetto Brin, come costru ttore e come Ministro, ne fu l'artefice primo, in un'opera feconda e appassionata che durò fino all'ultimo gio rno della sua vita. Nel 1998 si celebra il centenario della sua scomparsa ed è parso doveroso far coincidere la ricorrenza con un ricordo che, oltre a riguardare la persona cli Bri o, significhi per la Marina l'apertura di un processo di ri lancio spirituale e morale attraverso la rivisitazione di figure notevoli del suo passato.
Roma, gennaio 1998. Il Capo dell'Ufficio Storico Ammiraglio di Divisione Mario Buracchia
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CAPITOLO I
Riboty
Benedetto Brin nacque a Torino il 17 maggio 1833. D urante la gravidanza la madre, Vittoria Binda, era rimasta vedova del padre Giovanni, capo macchinista del Teatro Regio. La famiglia, decorosamente borghese, non aveva grandi mezzi ed il giovane Brio, mentre frequentava l 'ultimo anno di università, insegnò geometria nelle scuole operaie. La prima svolta decisiva della sua vita si intrecciò con un intervento ciel Conte di Cavour al quale il giovane, che si era laurato in ingegneria a To rino prima di compiere 20 anni, era stato segnalato come pa11icolarmente meritevole. In quel momento Cavour era fuori dal governo, ma aveva già tenuto il portafoglio della Marina in due successivi gabinetti, dall'ottobre 1850 al febbraio 1852, ed era in attesa di assumere sarebbe stato nel novembre 1853 - la presidenza ciel Consiglio dei Ministri. Era quindi un personaggio autorevole, in buoni rapporti col ministro di Guerra e Marina, generale Alfonso Ferrero della Marmara, che avrebbe poi confermato nel suo governo. Nominato allievo ingegnere navale della Marina sarda con R.D. del 28 agosto 1853, fu destinato dal 1° settembre successivo al regio cantiere della Foce, a Genova, che dopo la Restaurazione aveva costruito la maggio r parte delle unità mili tari del Regno. Cavour fu di nuovo utile per la decisione di inviare a Parigi il giovane ingegnere, a compiere due an ni di perfezionamento presso L'École d'application du génie maritime. Il periodo pari gino ebbe notevole importanza formativa e consentì al Brio di avere contatti con l'ambiente internazionale dei progettisti navali, tra i quali in quegli anni faceva scuola Stanislas Dupuy de Lome, che prima, durante e dopo la guerra di Crimea avrebbe disegnato in Francia i primi vascelli a vapore dotati di elica e le prime unità corazzate. Di ritorno in Italia, Benedetto Brin fu mandato a frequentare la scuola di applicazione di artiglieria e genio. Incominciò la scalata ai gradini della carclasse del riera, con una rapidità notevole per i tempi: sotto ingegnere di genio navale nel maggio 1856, di Jll classe nel maggio 1860, ingegnere di 23 classe nell'aprile 1861. Era - ne scrive il Vecchj - "un giovane di aspetto timido e freddo, che sembrava vivere nel mondo dei sogni .. .. parlava eccellente italiano pronunciandolo con accento fores tiero che maggiormente spiccava
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perchè discorreva lentamente". :\'el luglio 1863 il generale Efisio Cugia divenne ministro della Marina e il contrammiraglio Gioacchino di Boyl, che ne er.i parente, gli raccomandò 13rin, ~siccome eccellente consigliere per qualsivoglia questione rifkncnte il materiale". Cugia lo chiamò a Torino con l'incarico formale di capo divisione, ma con la funzione di consulente per le costruzioni navali. !'\cl maggio precedente, in occasione della d iscussione del bilancio della Marina, si era svolto alla Camera un importante dibattito dal quale erano venute diverse importanti indicazioni sulle esigenze della Marina - nuove unità e bacini di carenaggio - in relazione ad un nuovo conflitto in Adriatico: in quella sede il Cugia aveva anche accettato un ordine del giorno del deputato Valerio che raccomandava di studiare e favorire le misure che potevano servire a sviluppare l'industria nazionale in relazione alle esigenze della Marina Militare. Inoltre, aggio rnato il quadro del naviglio delineato dal Ministro Persano, Cugia cercava di accelerare al massimo le costruzioni in corso - durante il suo ministero furono allestite le nuove unità che nel 1866 avrebbero costituito il nerbo della flotta radiando nel contempo vecchie navi che l 'amministrazione manteneva nel quadro del naviglio benchè non avessero più alcuna utilità, per il malvezzo di elencare sulla carta una flotta numerosa che il Paese non aveva. li giovane ingegnere si rendeva conto perfcuamentc che queste decisioni migliornvano l'efficenza della Marina consentendo di risparmiare spese prive di ritorno: quando in seguito si trovò a partecipare in prima persona all'assunzione di nuove importanti scelte di politica navale, dovelle tenere nel debito conto questo precedente. Ma i giorni di Cugia al ministero della Marina passarono e venne il tempo della politica della lesina, sono la guida cli ministri incapaci di ridimensionare con intelligenza e con equilibrio la politica marittima, adeguandola alle possibilità ciel Paese senza dimenticare che era imminente una guerra. Lamarmora, nei suoi tre mesi di interim alla fine del 1864, si premurò cli sciogliere la squadra; Angiolcui, che gl i succcdene e ri mase in carica fino allo scoppio del nuovo conflirto con l'Austria, fu prodigo di regolamenti, ma non avviò a soluzione nessun problema: era così che si preparava il fallimento di Lissa, in una logica che il I3ixio definiva con disprezzo di '·armamento da porti".(!) (1) Archivio dell'Ufficio Storico della M.irina Militare (d'on1 in poi indicam con ALJSMM). Riografie Ufjìcia/f, busta 3, fase. 46. M. Gabriele, IA polllica nacale Italiana dall'l nità aliti rigi/ia di Us.~a.
Milano, Giuffrè, 1958, pp. 197-269. Venne posto l'accemo, in particolare. ,ui 1rn,port i necessari per un'azione anfibia (la fratione garibaldina insisteva per uno ,barco ,ulla co,1:1 dalmata) e sui mezzi speciali per l 'auacco a Venezia. 'el 1863 e nel 1864 furono commesse in Italia macchine motrici navali, caldaie, piastre per cora7.ze. Per quanto precede. ved i A . C:ipone. ,·oce l;Jenedello Bri11, in Dizionario Biografico degli //al/ani, XIV, Roma , 1972. pp. 311-17: L. Radogna. Cmnlstoria delle unità da guerra delle Marine preunilarie, Rorna, Ufficio Storico della Marina Militare. 1981, pp. 333-;41; L. Donolo, Storia della do/Irina navale 1/aliana. Roma , Uflìrn> Storico delb Marina Militare, 1996, pp. 177-78.
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Brin, tornato al suo lavoro istituzionale, venne promosso ingegnere di 1a classe con R.D. del 21 maggio 1865, a soli 32 anni. Dietro l 'angolo c'era lo "scontrazzo" cli Lissa, destinato a pesare per molto tempo sul morale della Marina. Un'ondata cli critiche, giustificate e ingiustificate, avrebbe investito la flotta, fino ai dubbi di Quintino Sella sulla stessa oppo1tuni tà per l'Italia di continuare ad averla. Affiorava in quei giorni un contrasto tra la connotazione continentale e quella peninsulare del paese. La prima, malgrado le sconfitte ciel 1848 e del 1849, malgrado Custoza, era certo piì:1 congeniale alla Corte cli Torino, orientata ad obiettivi terrestri e convinta che la valle del Po sarebbe stata il teatro decisivo: l'ostilità austriaca rafforzava questa posizione. Invece la peninsularità, sopraggiunta quasi per caso nel 1860, non era stata ancora ben recep ita dalla classe dirigente, anche se Cavour aveva scritto, nella nota preliminare al bilancio della Marina ciel 1861, di sentire "il dovere di dare il più ampio sviluppo alle risorse navali del paese valendosi degli strumenti di forza che ha trovato nelle nuove provinde" . Almeno per il momento, Lissa metteva fuori gioco la Mari na e con essa ogni ambizione di politica su l mare, compresa quella ad orientamento pendolare tra le due grandi potenze marittime occidentali che secondo Giuseppe Gonni era stata immaginata eia Cavour. Alla fine del gennaio 1867 la Commissione d'inchiesta sullo stato del materiale e sull'amministrazione della Regia Marina emise un giud izio duro, sottoscrivendo in proprio una del le testimonianze che aveva raccolto:"se la Commissione aveva difetti a cercare, li cercasse negl i uomini, non nel materiale". Era un verdetto pesante ma giustificato, che non investi va indiscriminatamente tutti. Ma i bilanci della Marina scesero al minimo, in un Paese che "non l'amava o le era indifferente", dove i marinai erano "tollerati" e il re dava l'esempio di non volerne più come aiutanti di cam po.(2) Comunque, la vita continuava. In meno di 11 mesi, tra il febbraio 1867 e il gennaio 1868, si susseguirono quattro scialbi ministri (Uiancheri, Pescetto, Mcnabrea, Provana) che non ri uscirono a contenere la decadenza e la discordia. Quando, il 6 febbraio 1868, l 'incarico passò al Rihocy, questi si trovò dinanzi ad una situazione materiale e morale preoccupante: gran parte del naviglio non era in condizioni di navigare o in ogni modo inutile, le costruzioni in corso avevano un andamento lentissimo; il personale, affollato nei gradi superiori, era ridotto a una sorra d i '·marineria terrestre", quasi che - scrive il Randaccio - il governo, incapace di rinnovare la Marina, "avesse... deliberato nel suo segreto di lasciarla perire di consunzione" . Tn realtà non doveva essere proprio così, se è vero che ne l novembre 1867, in occasione della crisi cli Mentana, il ministro Pescetto prosp ettò al comandante della squadra, Riboty,
(2) E. Ferrante, Benedetto Brin e la questio ne mari/lima 1/a/fana (1866-1898), Supplemento a Rivisla Mari/lima, 1983, novembre, p. 18.
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l'eventualità che la flotta fosse chiamata ad attaccare quella francese, e gli disse di tenersi pronto a muovere su un semplice telegramma. <3) Brin, che nel 1867 era stato membro della Commi ssione per il riordinamento cleJrarsenale di Venezia dove nel maggio fu impostata la corvetta Venar Pisani, fu cli nuovo chiamato al Ministero e, preposto alla JV divisione, entrò a far parte del Consiglio superiore di Marina. In quel momento la costruzione navale militare subiva un' impo rtante evoluzione tecnologica, orientandosi nelle marine maggiori verso le prime unità corazzate a torri, come l'Océan francese e la Devastation britannica. I3rin si dedicò con molto impegno allo studio delle nuove tendenze, in costante contatto con i maggiori progenisti francesi, traendo dallo scambio delle esperienze e dagli studi una preparazione complessiva, soprauuno sui problemi delle grandi navi, che nessun ingegnere italiano aveva mai avuto prima di lui. La fase di transizione, che all'inizio degli anni '70 avrebbe portato alla progettazione di unità di nuova concezione, entro certi limiti lo favoriva, annullando una parte del vantaggio storico di cui godevano i costrunori delle grandi potenze marittime. Ma a meritargli piena cittadinanza nel ristretto circolo dei maggiori progettisti navali era anche la sua figura di studioso - il 30 maggio 1871 presentò a Londra un'apprezzata memoria Sull'aspeno utile dei propulsori idraulici - e il credito personale, certamente più cospicuo di quello connesso all'incarico ricope110 in patria. Il ministro Riboty aveva cercato di affrontare con energia la difficile situazione della Marina e già nel 1869 aveva preparato il ·'Piano organico del materiale e elci personale", che non era riuscito, però, a far discutere in Parlamento. Tornato ministro il 31 agosto 1871, dopo una parentesi di 20 mesi, il Ribory riprese il suo vecchio progetto, che il 12 dicembre 1871 era pronto per essere discusso, nella forma di disegno di legge relativo allo svilu ppo da dare alle forze navali italiane. Benedetto Brin, promosso nel novembre direttore delle costnizioni navali di 1° classe, vi aveva collaborato intensamente. Secondo il disegno di legge, che in 39 articoli affrontava la riorganizzazione di turco il settore militare marittimo dello Stato e non soltanto del materiale navigante, il naviglio avrebbe dovuto comprendere 73 unità; di cui 12 navi cli linea, 22 da crociera, 7 avvisi, 6 trasporti, 18 guardacoste ed 8 rimorchiatori; il totale corrispondeva complessivamente alle unità esistenti, ma il numero delle navi di linea fu giudicato dal Consiglio Superiore cli Marina insufficiente a garantire la difesa dello Stato, per la quale san..:bbe stato necessario portare le unità di linea, nerbo della florca, a 21. Tenuto conto anche cli tutte le altre esigenze diverse dal rinnovo del naviglio - personale, amministrazione, ecc. - il Ribory arrivava a definire un fabbi (3) C. Rand:1ccio.S10rla delle marine militari italiane dttl 1750 al 7860 '-' della marina mlii/are italiana dal 1860 al 1870. Roma. Foo.ani. 1886. Il. p . 292: A. V. Vecchj, .11emorie di 1111 luogotenente. Roma. Voghera cdii.. 1897. p. 339.
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sogno di spese ordina rie e straordinarie che, ripartite nel quinquennio 18721876, arri vavano complessivamente a 165 milioni. Le quote di spesa relati ve alle nuove costruzioni avrebbero assorbito complessivamente lire 25.750.000, così distribuite nel quinquennio: 1872, lire 3.000.000; 1873, lire 4.000.000; 1874, lire 5.000.000; 1875, li re 6.250.000; 1876, lire 7.500.000. La discussione in Parlamento fu an imata,soprattutto per le critiche di insufficienza che furono mosse ad un piano fondato sul mantenimento e sulla graduale sostituzione del naviglio esistente, che i deputati consideravano inidoneo a "proteggere gli interessi marittimi della nazione e costituirle una giusta influenza nella bilancia della politica europea", come aveva enunciato il ministro. Riboty aveva concordato la spesa col cerbero delle Finanze, Quintino Sella, ed aveva ottenuto il possibile. Ma la Giunta della Camera volle ponare a 102 il numero delle unità della flotta e la Camera approvò la proposta della Commissione Bilancio di stanziare 3 milioni in ogni eserci zio finanziario per la riproduzione del naviglio, iscrivendo la somma nella pane ordinaria del bilancio. Ed è interessante, al di là delle polemiche tecniche e di quelle parlamentari, che su un punto si trovarono d'accordo Marina, ministro e Parlamento: sulla necessità di attuare una pol itica poliennale di investimenti che rendesse possibile pianificare nel tempo le costruzioni e l'attività cantieri stica connessa.C4) C' è da osservare che le navi che in quel tempo scesero in mare o si trovavano sugli scali rispondevano a concezioni antiquate: basti ricordare che le pirofregate corazzate avevano lo scafo in legno, sul quale erano applicate le piastre della corazzatura e che la Conte Verde e la Messina, progettate dal De Luca e dal Mattei, erano dotate di tre alberi a vele quadre, mentre la Roma e la Venezia, la Principe Amedeo e la nuova Palestro avevano due alberi a vele quadre ed uno a vele latine. Erano unità costruite con gli occhi rivolti al passato, mentre il mondo delle costruzioni navali militari, scontate da tempo le navi di ferro, era in piena effervescenza, alla ricerca di nuove soluzioni. Se il nascente potere marittimo italiano avesse dovuto confrontarsi con una grande potenza, le nuove pirofregate sarebbero se1vite poco. Tn Italia, poi, non si trattava solo di un fatto tecnico. Proprio il ministro Riboty, tacciato di scarsa cultura, si era ripromesso di ri lanciare nel Paese il "pensiero marittimo ragionato" e l'appello era stato raccolto: intorno alla Rivista Marittima, nata nel 1868, si erano raccolti studiosi navali che animavano il dibattito tenendo conto degli scrittori stranieri e proponendo nuove idee, che contribuivano a rilanciare l'immagine della Marina presso l 'opinione pubblica e il Parlamento. Le spese per la flotta, che nel 1870 avevano toccato il
(4) Cfr. G. Coliiva, Uomini e navi nella S/Oria della Man·na mili/are llaliana, /v1 ilano, Bramante, 1972, p.44; C. Brambilla, Una legge navale di 700 anni fa, in Rivisla Mari/lima, 1974, giugno. pp. 7-27; M. Gabriele. Leggi navali e sviluppo della Marina, in Rivista Mait/li11a, 1981, luglio, p. 74.
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punto più basso (25,1 milioni) ricominciarono lentamente a salire (29, 1 nel 1871; 31 ,4 nel 1872; 34,3 nel 1873). Ma nel 1870 l'Italia era andata a Roma e non era un evento da poco. Aveva un bel di re Bismarck, nel settembre 1873: " ... avete un solo nemico da debellare ad ogni costo, il disavanzo". Certo, 'ella e il governo si preoccupavano di questo problema, consci che il "fallimento finanziario avrebbe significato, in quel periodo storico, la fine dell 'Italia unita", ma nel cuore degli ital iani fi orivano nuove speranze stimolale dall'idea di Roma. Federico Chabod cita lo serino del generale Giovanni Oattisca Bnizzo, del 1871, nel quale "nuova suonava l'affermazione che l'Italia, esposta ad invasio ni nel no rd, poteva anche esserlo al centro e al sud, cioè dal mare", mentre "roba vecchia da porre in magazzino andava considerato il consueto ritornello della valle del Po arbitra delle sorti d'Italia''; e Marselli temeva di vedere il Paese Lrascinato in un conflitto senza fortificazioni, nè flotta, nè ordini solid i nell'esercito", prima che si avesse il tempo cli rifare l'Italia. Ma il vero problema era se una nazione poteva eia Roma accontentarsi cli una vita tranquilla o doveva aspirare a una grande politica. li governo della Destra puntava al pareggio del bilancio, ma "la Sinistra rt:plicava che un uomo non vive di solo pane". Tornavano i sogn i di Mazzini 'e Cattaneo che guardavano a Tunisi, Minghetti indicava l'Oriente, mentre l 'idea di un destino, cli "orizzonti d'impero" nel Mediterraneo travolgeva l 'immaginazione. "Era di ffici le con simili mi raggi di nanzi agli occh i accontentarsi ciel pareggio e dei programmi tributari elci Sella". Non mancarono gli aedi, come Alcarcli, che invitavano la Lerza Italia a fare "del remo uno scettro".C5) Nel 1872 Luigi Campo Fregoso pubblicò un saggio, Del primato italìano sul Mediterra11eo, una specie di manifesto che traeva dalle glorie del passato Roma e le Repubbliche marinare - nuove motivazioni esaltanti: "Qual'è l'italiano che conscio di una così magnifica eredità di memorie, davanti ad un così splendido avvenire, non si senta commuovere, agitare da un desiderio febbrile di anività?"_(6) In un contesto percorso da queste pulsioni e da questi sentirnenri fu concepita l'idea di una nave avanzata che fosse migliore di tutte quelle che esi(5) ~-. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896. I.e premesse, nari, La ter1.:1, 1951, pp. 296-562. La polemica del generale Bruzzo era pertinente al fauo che la Commissione per la difesa delle coste. nel 1871, a,·eva ribadito che I Italia era vulnerabile solo dalle Alpi, che il mare costituiva una n:iturale e valida d ifesa e che perciò i destini d,.:J Paese si sarebbero deci~i nella valle del l'o, secondo la tradizione risorgimenc:, le. Per avere un'idea della lucidità ciel pulpito dal quale veniva la predica è utile ricordare come la medesima Commissione, dopo :aver semenzi.ato che "chi tuno vuol coprire, non copre nulla". avesse poi proposto, con mentalità terrestre ma sopranutto con incoerenz.a, di fortitìc:ire ben 31 porti e punti critici del litorale, (6) I.. Campo Frcgoso, Del primato italiano nel /l/edllerra11eo, Roma-Torino-Firenze, Loescher. 1872, p. 7.
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stevano già. li Consiglio Superiore d i Marina aveva richiesto che la consistenza della flotta fosse adeguata alle necessità della difesa dello Stato - e questo non era possibile - e che le unità di nuova costruzione fossero le più efficienti concepibili, per potenza offensiva e capacità difensiva. Alla luce cli questa indicazione basilare di qualità, Ribory diede al Brin l 'incarico di progettare una nave importante che avesse spiccate caratteristiche di superi orità per agire sui mari secondo i canoni della Blue Water School. Le impl icazioni di natura progettuale sono assai bene riassunte dal Capone: "Le possibi lità di azione tattica, abbandonandosi la concezione del rostro come arma principale, si estendevano alla lotta a distanza, che affidava alle artiglierie effetti risolutivi. Le possibilità di azione strategica, superata la difesa a cordone, incentravano sull'intervento della flotta contro l'invasione marittima, che necessitava di particolari dati di potenza e di velocità per il naviglio, che doveva appoggiarsi a poche, ma forti e ben dislocate basi operative. Il Brin doveva quindi concepire un tipo di nave che superasse sensihilmente quelle esistenti per velocità e autonomia, e che fosse potentemente armata e insieme poco vulnerabile. Per risolvere il problema tecnico, il Brin fissò alcuni criteri generali: la qualità essenziale di una nave militare doveva essere la gal leggiabilità, sì da renderla sicura anche se fo1temente danneggiata; l'armamento doveva essere costituito eia pochi ultra-potenti cannoni, raggrnppati in torri corazzate (due), disposte queste su una linea inclinata. rispetto all'asse longitudinale della nave per poter tirare sia al traverso sia pe, chiglia con tutte le aniglierie; la protezione essenziale in verticale si otteneva con corazza di grosso spessore limitata a una cittadella centrale, cioè al ridotto comprendente i congegni cli movimento delle torri e di caricamento delle grosse artiglierie; la protezione orizzontale si otteneva con un ponte corazzato a copertura del ridotto; nella parte immersa p rotezione e galleggiabilità si compenetravano, a favore della ve locità, con l 'adozione di una particolare struttura cellulare nella zona della linea di galleggiamento; nuove clisposizionò struttu rali interne dovevano contribuire alla protezione".(7) L'elaborazione dei progetti richiese una cura pa,ticolare per le continue discussioni e le varianti che venivano proposte di continuo nell'intento di migliorarli, ma che dovevano esser e ogni volta approvate dal Consiglio Su periore e impedirono che nel 1872 si elesse inizio alle costruzioni. Jl Dandolo fu impostato il 6 gennaio 1873 nell'arsenale di La Spezia e il Duilio il 24 ap rile successivo nel cantiere di Castellammare cli Stabia. La discussione alla Camera della legge navale che doveva finanziare le nuove costruzioni, con una spesa di 15 mil ioni per ciascuna unità, si collocò tra l 'impostazione della prima e delfa seconda nave. In tale occasione (12
(7) Ca pone, cii., p. 312.
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marzo 1873) il ministro della Marina descrisse ai deputati le caratteristiche delle nuove unità nel modo seguente: "La nave corazzata a due rorri girevoli a doppia elica e senza alberatura, la cui potenza offensiva sarà rappresentata da 4 cannoni da 60 tonnellate ciascuno, avrà scafo in ferro. T cannoni, installati due per torre, domineranno tutto l'orizzonte e potranno tirare in qualunque senso. Le macchine saranno capaci di sviluppare 7500 cavalli almeno, e potranno impri mere al bastimento una velocità di quasi 15 miglia all'ora; la doppia elica offrira garanzia di sicureza in casi di avaria, condizione importantissima rispetto a navi che, essendo prive di alberi, non potranno fare assegnamenco che sulle macchine. Questa nave sarà protetta da corazze dello spessore cli 55 centimetri nella zona del galleggiamento, e di 45 centimetri nell'opera morta. Devono consider.usi dunque come invulnerabili anche rispetto ai cannoni da 35 tonnellate, che sono le più potenti bocche da fuoco che possieda attualmente qualunque marina. La superficie protetta delle corazze è stata ridona allo stretto necessario, cioè alla parte centrale della nave per garantire le macchine, le caldaie e la parte inferi ore delle torri e loro meccanismi. Da prora a poppa del ridono centrale corazzato la nave avrà una coperta o rizzontale stagna e protetta da una corazza di 5 centimetri. In combattimento questa coperta viene allagata riempiendo d'acqua due appositi compartimenti che la sovrastano. Laonde la nave, immergendosi alquanto più, la suddetta coperta si trova in tale caso sollo il livello del mare, e perciò pcrfertamente protetta dai tiri diretti. Queste disposizioni hanno permesso di ridu rre ad un minimo la super ficie eia coprirsi con corazze, e cli adottare conseguentemente degli spessori non ancora introdotti nelle costnizioni navali. Tn conclusione, come forza offensiva, potenza d ifensiva e velocità, questa nave non avr:à da temere rivali fra quelle esistenti, e, per così dire, precorre all'era presente in fauo di costruzioni di navi corazzate''_(8) li Parlamento approvò, ma fino a novembre ··poco o nulla si fece, essendosi solamente completato una trentina di metri della chiglia, e qualche ordinata della parte centrale. T materiali che s'attendevano dall'Inghilterra e dalla Fr.mcia arrivarono in ritardo e mancavano ancora diverse macchine che erano necessarie per sopperire ai bisogni di della costruzione··.<9> Ribory lasciò l'incarico 1 luglio 1873, senza avere risolto nel concreto i problemi della flotta italiana. on gli si può far carico però di non aver difeso con1e poteva gli interessi della Mari na. I tempi erano d ifficili, canto che egli
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(8) G. Giorgerini e A. Nani, le nal'i di linea italiane (1861-1969). Rom:i, Ufficio Storico dell:t Marina Militare, 3° ediz., 1969, pp.156-58. (9) F. De Angelis, Il Duilio, in Rivisla Mari/lima.
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1876. maggio-giugno, p. 387.
stesso ebbe a definire "tisico al terzo stadio" il bilancio del suo dicastero.tuttavia non si può dimenticare che anche il ministro della Marina faceva pane di una compagine governativa che aveva di mira il risanamento finanziario. A prescindere dall'ipotesi che lo stesso Riboty ne sia stato il promotore, non pare probabile che la comparsa della brochure-panique del TV Carlo Rossi, Il rac-
conto di un guardiano di spiaggia. Traduzione libera della battaglia di Dorking,ClO) abbia condizionato da sola l'aumento dei fondi concessi dal Parlamento. Il pamphlet potè suggestionare qualche deputato o, più probabilmente, essere usato da chi era già convinto. Ma Riboty aveva concordato con il collega del le finanze Quintino Sella, ben più autorevole di lui, le cifre prima della discussione parlamentare e non poteva considerarsi sciolto dalla parola data. Del resto non si aiuta la Marina, non sj aiuta niente a discapi to del Paese. Così è logico che Riboty avesse difficoltà a navigare tra le esigenze del governo e quelle della Marina , che erano pure sue, in un momento di grande distanza tra il volere e il potere. Di Augusto Riboty nùnistro della Marina vanno comunque ricordate tre eredità, di scarso significato ai suoi tempi, ma capaci di germogliare come sem i nella terra fenile: anzitutto una prima ripresa, anche se modesta e graduale, della spesa pubblica per la Marina; in secondo luogo l'affermazioe del principio della programmazione di lungo periodo per gli investimenti della flotta; infine, l'orientamento alle navi cli qualità, con la progettazione di Benedetto Brin e con l'impostazione, sia pure quasi simbolica nel primo anno, del Dandolo e del Duilio.
(10) Roma , Eredi flotta. 1872. C1rlo De Arnez.aga, li Pensiero italiano navale. Cose vecchie sempre nuove. Genova. Manini, 1898, p.213, racconta c he il Rossi sarebbe stato sollecicaco a scrive re dal suo superiore direno al ministt"rO dt"lla Marina, Orengo. Cfr., pt"r qualche intert"SS,mte osservazione, E. Ferrame, Il potere mari/limo. Evoluzione ideologica in. Italia. 7861 -1939. Supplemento a Rivista Mari/lima, 1982, orrobre, pp. 33 -36; F. Sainfelice di Montefone, La Regia Marina dopo !.issa, in Rivista Marittima, 1996, luglio, pp. 61-68.
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CAPITOLO II
Saint Bon Simone Pacoret di Saint Bon, da poco promosso contrammiraglio, successe a Riboty nella carica di ministro della Marina 1'11 luglio 1873. Nel 1862, mentre comandava la Scuola di Marina di Napoli, aveva pubblicato un opuscolo<]) che era stato uti le al ministro Persano per sostenere la sua politica di costruzio ni a favore delle corazzate. La pubblicazione era particolarmente interessante perchè, oltre a riassumere tutti gli argomenti noti in favore delle unit~I corazzate ed a fornirne cli nuovi, portava un contributo anche ai prohlemi più generali di politica navale, notando che "la potenza in materiale galleggiante di una nazione marittima meglio si desume dalle forze produttrici dei suoi arsenali e della sua industria privata che dal numero effettivo delle sue navi. E questo gran atto costituisce appunto la gran superio rità della marineria britannica< 2> su tutte le altre dell'universo. Se dunque aspiriamo a prendere s<.:ggio in mezzo a quelli che imperano sul mare, bisogna che subito, con tutta l'a lacrità possibile e con mezzi atti a raggiungere lo scopo, facciamo sforzi giganti per dar vita alle industrie private delle costruzioni navali, di quelle segnatamente in ferro". Anche la considerazione relativa alla determinante importanza delle industrie naval i per la potenza marittima cli un Paese era una delle grandi lezioni della guerra civile americana, che la seconda parte del conflitto tra nordisti e sudisti avrebbe reso ancora più evidente, mano a mano che la potenza industriale dei cantieri federali avrebbe strangolato il commercio dei confederati. Le intel ligenti anticipazioni del Saint Bon circa le strade che le potenze marittime avrebbero dovuto battere per affermarsi erano state accolte dal con-
(1) Pensieri sulla Ma11:11a mi/ilare, Napoli, Tip. Classici, 1862. Cfr. anche E. Prasca, L'ammiraglio Simone di Saint Hon. J-'ircnzl', Rassegna nazionale, 1907, pp. 57-60. Ai Pensieri di Saint &m preiese d i ri~pondere. nel gennaio 1863. il cavalier Borghi, un impiegato del Ministero che riportava le vedute amiqu:tll' del successore di Persano, Ricci, il quale voleva rimettere in discussione il conceno che le uni1,1 con,aatc dovessero cosl ituirc la forza principale della flotta cd avrebbe preferito ritornare alle tr:idizionali navi di legno. (2) 1;,11nmiriizione ciel Saim Uon per la Marina inglese lraeva origine eia quanto egli persona lmente aveva potuto vedere in Ingh ilterra nel 1862, durante una missione affidatagli dal ministro Menabrea.
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senso quasi generale. E dopo la fuggevole apparizione del ministro Ricci, le sue idee erano sembrate divenire la base del comune sentire sugli affari della Marina. li nuovo ministro era giovane e accreditato di un passato mi litare di tutto rispetto, avallaco da una medaglia d'oro guadagnata all'assedio di Lissa. Ideatore negli anni '60 del progecro di un ariete corazzato armato di rostro, punto di partenza per l'Affondatore, aveva collaborato col miniscro Cugia, il quale aveva orientato definitivamente le nuove costnizioni della flotta verso le unità corazzate. , on vi poteva essere quindi un cambiamento nell'indirizzo e.li fondo rispe tto al suo predecessore Riboty, per quanto riguardava le costruzioni navali per la flona. In questa politica Benedeno Brin avrebbe avuto una parte di primo piano. Cn dinamismo nuovo, una ferma volontà di far riprendere alla Marina, senza complessi, il proprio cammino e il posto che le competeva nella considernzione degli italiani furono le componenti di una politica che Saint Bon aveva annunciato nel momento in cui aveva assunto la carica ministeriale. E poichè le difficoltà finan:liarie non potevano essere ignorate, la prima indicazione fondamentale era per una flotta di qualità: "rendere grande la nostra Marina se non per numero (che la finanza noi consente), almeno per la perfezione delle singole pani, infondere nell'animo di rutti la coscienza che la forza sta nell'unione delle volontà". La politica di Saint 13on si sarebbe articolata su due scelte di fondo. La prima, nella eliminazione delle unità considerate antiquate - la '·flotta di Lissa .. - il cui costo di manutenzione e gestione risultava consistente e inutile, recuperando così risorse finanziarie dalle vendite e dai risparmi. La seconda, nella realizzazione, sia pure dislocata nel tempo, di una Marina nuova, che doveva avere lecapital sbips a livello delle migliori del mondo, sì da costituire una base concreta al potere marittimo italiano . All'inizio del dicembre 1873 il Saint Oon presentò alla Camera un disegno di legge che prevedeva l'alienazione di 25 navi super.ile, non più idonee a supportare la potenza navale del Paese: erano 7 unità corazzate, 9 di legno ad elica e 9 a vela. Il 6 dicembre il ministro dichiarò in aula: "Il materiale che noi alieniamo é un materiale inutile; il materiale che avremo, da qui a cinque anni, sarà un maceriale uti le: il disfarsi dell'uno ci dà il mezzo di ottenere l'allro ... Non si tratta di diminuire la Marina militare, si tratta di uscire dalle vie vecchie e di mettersi nella nuova: si tratta di seguire la via del progresso". Nel seguito del discorso, il pensiero del ministro si precisava ulteriormente, come quando confermava l'obiercivo di mettere la Marina in condizione di svolgere meglio la sua funzione, sia militare che politico-diplomatica; a questo proposito disse:·'perchè la nostra rappresentanza all'estero nei mari lontani sia utile, perchè sia efficace, occorre una prima condizione, che cioè il bastimento che rnppresenta il paese all'estero sia realmente una forza. Può essere una forza anche da sè solo,
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quando abbia qualcuno degli elementi di forza che sono indispensabili ad un bastimento". E insisteva sull'importanza della velocità e di una artiglieria efficace e moderna anche per le unità che venivano inviate di stazione o in missione in altri continenti, dove era invalsa l'abitudine di utilizzare navi vecchie; e ammoniva:"Queste non sono le condizioni in cui una grande nazione si debba far rappresentare all'estero".(3) Una grnnde nazione doveva sostituire alla flotta di Lissa la flotta di Roma. Far passare un provvedimento così coraggioso e antiretorico non fu un'operazione facile. Il Parlamento impiegò sedici mesi per approvare la vendita delle navi antiquate. Lo stesso Consiglio superiore di Marina espresse obiezioni e riserve, che tradivano la preoccupazione di perdere il certo per l'incerto, come sosteneva una parte della stampa. Anche l'opinione pubblica era disori entata. Ma il ministro non cedette di un pollice e il 27 febbraio 1875 demolì le ultime illusioni dei deputati, affermando: "È pur necessario che cessiate di credere di avere una gran forza marittima". Le navi di legno non potevano più essere impiegate in combattimento, mentre alle corazzate difettavano protezione e velocità: "con un materiale come questo l 'Italia non può stare; essa ha bisogno di una nuova Marina". E le navi da esitare salirono a 33. Con i fondi provenienti dalle vendite, quelli risparmiati nella manutenzione e quelli già stanziati, si sarebbe potuto disporre della notevole somma di 60 milioni da spendere in cinq ue anni. Di nuovo la politica della spesa per il naviglio militare andava a collocarsi nel quadro tipico della legge navale: un programma di costruzioni a medio termine, una copertura finanziaria pianificata su un periodo di respiro più ampio che non il bilancio annuale. Il 3 marzo enunciò alla Camera i principi della politica cli settore che conveniva adottare in Italia, dove le condizioni della finanza pubblica e degli arsenali dello Stato non consentivano di improvvisare una flotta in tempi rapidi. Il ministro affermò che esisteva un solo metodo utile da adottare: "Esso consiste nell'esaminare, quando si mette un bastimento in cantiere, dove ci conduce la curva del progresso, a prevedere al tempo in cui quel bastimento potrà essere varato, quali siano le idee che prevarranno, e per base di tale previsione assumendo l'andamento geneale che hanno seguito fino a quel giorno le idee e i fatti ... Facendo in quel modo, quando un bastimento viene ad essere varato, si ha la certezza che per un tempo abbastanza lungo rimarrà efficace, perchè al momento in cui entrerà in mare si troverà al cli sopra di quanti ve ne siano, e prima che la mossa degli al tri sia venuta a raggiungelo, quel bastimento avrà il tempo cli fare i suoi 20 anni di vita senza decadere troppo". Sottolinea giustamente il Colliva quanto i principi enunciati fossero opportuni, in un Paese che non aveva affrontato con realismo ed organicità la que-
(3) F. Leva. Storia delle campagne oceaniche della Regia Marina, Roma, Ufficio Storico della Regia Marina, 1936, I, p.169-70; Ferrante, cii., pp. 33-4.
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stione delle costruzioni navali mililari, tanto più che l'evoluzione tecnica e l'avvento di armi nuove o p iù perfezionate facevano rischiare una rapida obsolescenza alle navi progettate con gli occhi troppo ancorati al presente, quando non addirinura al passato. Le mine, i siluri, la gara continua tra cannone e corazza, le nuove apparecchiature che sostitui vano gli uomini, facevano sì che la vecchia flotta italiana sembrasse ·'quasi un ammasso di ferraglie··.('!) Per contro - ribadiva il ministro - nella costruzione dei materiali navali era necessario "ricercare la qualità piuttosto che la quantità~. TI realizzarore tecnico delle idee del Saint Bon, che pienamente condivideva, fu Benedetto Brin. Oltre ai progetti di unità minori,(5) egli fu chiamato a metter mano alla revisione dei piani per la costruzione di una unità maggiore che sarebbe poi stata il primo incrociatore della Marina Militare italiana. Originariamente impostata secondo disegni inglesi, la nave era stata concepita all'ini zio come un grande awiso ad elica, con velocità massima di 13 nodi, destinato a svolgere missioni di crociera; Saint Bon però la considerò una unità sorpassata e con la supervisione di 13rin volle che fosse riconvenita sullo stesso scalo di Venezia dove nel febbraio 1873 si era incominciato a costruirla. li 22 novembre 1874 la nave ricevette il nome di Cristoforo Colombo, mentre il motore che le era stato destinato fu trasferito all'awiso Stajfel/a - rr.1sformato anch'esso da ruote ad elica durante la costruzione - e sostituito da una nuova più potente macchina morrice costruita in Inghilterra. el 1877 il Cristoforo Colombo sarebbe stato classificato incrociatore nell'allegato aI progetto di legge organica del materiale navale del Regno, presentato al Parlamento dal ministro Benedetto Brin. Dal 22 ottobre 1874 l'ingegnere era stato promosso da direttore delle costruzioni navali di 1° classe ad ispettore del Genio Navale. Il periodo che seguì segnò il momento di massima intesa tra il ministro e il progettista, che veniva consultato su rurte le questioni che riguardavano le politiche della Marina. La prospettiva cli dotare il Paese di uno strumento militare marittimo idoneo non poteva avere uno sbocco temporale immediato, sia in relazione alle risorse disponibili, sia all'inevitabile mancanza di certezza sulle esigenze costnmive, che si precisavano in relazi one alla evoluzione politica e tecnica. Tuttavia, nel decennio dopo Lissa, occorre rilevare una concorde volontà dei responsabili della Ma,ina al fine di imboccare una strada nuova, forse anche impopolare, ma seria. AJ Parlamenro e al popolo essi dissero chiaramente che l'Italia aveva una vitale necessità - per motivi geografici, politici ed economici - di potere marittimo, ma che sarebbe stato pericolosamente illusorio preten(4) Colliva, cii., p. 45. (S) Golene Mestre e Murano, ca nnoniere Sentinella, Guardiano, Scii/a, Garibaldi.
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dere cli averlo già: pe1tanto, era necessa1io costruirlo nei tempi possibili, con impegno e costanza. È evidente che, fino a quando le nuove unità da costruire non fossero entrate in squadra, si doveva scontare un periodo intermedio di aggravata debolezza navale, ma si trattava di un rischio non esorcizzabile alla luce del giudizio negativo dato sull'efficienza della flotta esistente. E poichè tale era la verità, i ministri si rassegnavano a correre i pericoli che non potevano evitare, utilizzando il tempo per realizzare un migliore strumento marittimo nazionale. Ma anche questo presentava diffi col tà, non solo per gli inediti orientamenti tecnici che si volevano adottare con l'idea di affrontare in alto mare la d ifesa del litorale, non solo per l 'impegno senza precedenti che l'industria cantieristica nazionale andava ad assumersi, ma soprattutto per l a difficoltà cli ottenere indicazioni univoche di politica estera. Nel quadro cli un progressivo, non splendido isolamento, la politica di Roma oscillava dagli attriti con Vienna per Tremo, Trieste e i Balcani, a quelli con Parigi per gli interessi italiani in Tunisia e per i postumi della questione romana: solo nell'ottobre 1874 i fran cesi ritirarono finalmente eia Ci vitavecchia la fregata Orénoque che, con grande fas tidio italiano, vi stazionava per accogliere il papa in caso di necessità. E poi , con non minori oscillazio ni, c'erano le velleità della politica coloniale. Dopo anni di missioni navali e di progetti in Estremo Oriente e nel Sud Est asiatico, alla fine dell'inverno 1873 il governo italiano fece un passo indietro. Il ministro degli Esteri Viscont.i Venosta scrisse il 19 febbraio al console italiano di Singapore che la presenza di navi italiane aveva "risvegliato nei paesi coloniali d'Europa delle apprensioni", mentre invece l'Italia non aveva mai "formato alcun progetto che potesse in alcuna guisa ledere i diritti degli Stati che l'hanno preceduta nello stabilire relazioni commerciali e coloniali in codeste lontane regioni". TI 7 marzo informò lo stesso console che si sarebbe voluto stabilire una colonia penale a nord di Borneo, ma d'accorcio con gli inglesi e gli olandesi. Da Londra non era venuta "nessuna risposta positiva", clall'Aja " la più viva opposizione": in tali condizioni il governo prefe1i va abbandonare l'impresa.(6) Intanto però il Mar Rosso era sempre più oggetto di attenzione: navi commerciali e militari italiane apparivano frequentemente nella baia di Assab e ciò significava che l 'Italia riteneva di avere interessi da sostenere oltre il Canale di Suez. Non era azzardato supporre che in un luogo o in un altro qualche iniziativa coloniale avrebbe pocuto essere assunta. Anche dal punto cli vista della definizione delle costruzioni navali in corso e di quelle future, tali atteggiamenti e tali propensioni non poteva no essere indi fferenti e dovevano essere attentamente seguite e, quando poss ibile, anticipate. (6) M. Gabriele e G. Friz, La flotta come s111.1men10 di polllica nel primi decenni dello Staio unitàrio ilaliano, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1973, pp. 232 - 33.
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Il 1874 fu un anno importante. Venne anzitutto confermato che le corazzate in costruzione godevano della pro gettazione difensiva più aggiornata contro i siluri: il Consiglio Superiore di Marina riesaminò la compartimentazione interna e concluse che gli 83 locali stagni previsti da Brin costituivano la più efficace e soddisfacente protezione daJle torpedini del cempo. Ma il miniscro Sainc Bon volle aggiornare la potenza offensiva delle due navi, che nel 1872 era scata previsca in un armamento principale di cannoni da 35 t; nel 1873 ci si oriencò verso bocche da fu oco maggiori, da 60 t, ma non sarebbe scata la scelca definitiva. Saint Bon voleva dotare le navi della massima capacità offensiva ottenibile e decise per cannonj da 100 t, "considerando che una eccedenza di efficacia nelle artiglierie riuscisse utile sia per offendere a maggiori distanze, sia per forare il fianco di una corazzata con un pro iettile contenente una carica di scoppio molto più discruniva; sia infine in previsione di ulteriori progressi nello spessore delle corazze··. Benedetto Brin di nuovo rielaborò i progetti d i costruzione per consentire l'installazione delle nuove artiglierie. Per i cannoru da 100 t la Marina dovette scegliere tra la cedesca Krupp e l'inglese Armstrong, che erano le uniche industrie del tempo in grado di costruirli. TI 21 luglio 1874 venne firmato il contratto con la Armstrong per la costruzio ne di otto grandi cannoni ad avancarica. Insieme al calibro delle artiglierie maggiori fu aumentato anche lo spessore della corazzatura del ridotto, che fu portata a 55 cm. In tal modo il dislocamento di ciascuna delle due unità arrivò a 11.138 t - 12.265 a pieno carico - con una velocità massima di 15 nodi cd una autonomia di 3760 miglia a 10 nodi e di 2875 miglia a 13 nodi. Il costo finale per ogru nave san dai 16 milioru preventivati a circa 22. 11 progamma originario prevedeva la costruzione di tre unità della classe "Duilion, ma vennero realizzati solo D uilio e Dandolo, perchè i disegni della terza nave da battaglia vennero modificati così profondamente da dare origine ad una nuova classe di grandi unità corazzate. Le principali caratteristi che operative vennero sintetizzate dal ministro Saint Bon in tre qualità - "autonoma, veloce e fone" - che anticipavano, come rileva Gio rgerini, l'idea dell'incrociato re da battaglia. Le nuove unità "erano necessarie per il potenziamento della flotta e per l'azione politica che l'Italia aveva in previsione di svolgere nel !vfediterraneo ed oltre. Infatti tali navi vennero progettate anche per poter trasportare, a grande velocità, forti contingenti di truppe destinati ad operare in aree lontane dalle basi nazionali".(7) Sarebbero state le corazzate Italia e Lepanto, più grandi, più veloci e dotate di maggiore autonomia, anche se meno protette: il dato politico-strategico caratterizzante ern dato dalla capacità di trasportare, su ciascuna unità, una intera divisione dell'esercito completamente equipaggiata e dall'autono mia più che doppia rispetto al Duilio. Lo stesso Saint Bon intervenne sui ( 7) Giorgerini e Nani, cii., p. 178.
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disegni, ma chi ne studiò e ne reali zzò ogni singolo aspetto facendone un progetto nuovo fu ancora una volta Benedetto Brin. "Rispetto alla Duilio il nuovo tipo aveva maggiore potenza offensiva, i quattro cannoni di grosso calibro prestabiliti (431 mm) essendo piL1 moderni e a retrocarica. Ul teriore sviluppo ebbe anche la soluzione della protezione: la fiducia nella compartimentazione scagna, nella struttura cellulare e nel fronte corazzato subacqueo (a dorso di testuggine), fece limitare la corazzatura verticale al ridotto per proteggere i meccanismi delle artiglierie e agli spalti per proteggere le basi dei fumaioli e i boccaporti dei depositi munizioni" .<.8) TI dislocamento crebbe notevolmente, avvicinandosi alle 16.000 t, soprattutto a causa del maggior peso delle macchine motrici, che nei piani dovevano sviluppare una velocità di 18 nodi. Inoltre, per la prima volta, si decise di adottare l'acciaio per la costruzione degli scafi. Fu in tal modo possibile passare l'ordine della prima nave al cantiere di Castellammare di Stabia già nel 1875 e la seconda al cantiere Orlando di Livorno l'anno dopo. L'impostazione concreta delle unità sui cantieri avrebbe invece ritardato, anche per le discussioni sorte in Parlamento circa l'opportunità di utilizzare l'industria privata invece di quella statale. Ma se il Saint Bon era l'ideatore delle nuove costruzioni navali e l'ingegner Brin il realizzatore concreto che elaborava i piani tecnici, non si deve ritenere che questi non contribuisse efficacemente alla definizione della politica della flotta. I concetti della Marina cli qualità, della difesa delle coste al largo, della necessità cli mezzi navali moderni capaci di assicurare la prevalenza tattica erano stati approfonditi dal Brin durante le permanenze al Ministero, nei soggiorni di studio all'estero, nei suoi contatti personali col mondo politico, che non erano nè occasionali, nè cli poco conto, se portarono il suo nome in evidenza come nuovo ministro della Marina, quando di lì a poco la Sinistra sarebbe andata al potere. Benedetto Brin aveva lavorato così intensamente e con tale compartecipe impegno alla politica navale di Simone di Saint Bon che una sua direzione del ministero della Marina si sarebbe posta in una chiave di continuità con le grandi scelte della prima metà degli anni '70, dalle quali avrebbe avuto origine la nuova Marina italiana. Una interruzione od un riesame dei programmi in corso, già in ritardo per conto loro, avrebbero avuto conseguenze fortemente negative per la flotta e penalizzanti per il Paese, mentre la sostanziale coerenza, almeno sulle grandi linee, della politica posta in atto dai diversi ministri del tempo, consentì la nascita di un potere navale italiano moderno. Non su tutto, peraltro, Saint Bon e Brin si sarebbero trovati d 'accordo. I due, ad esempio, avrebbero dato un diverso apprezzamento della validità della programmazione di lungo periodo, il cosiddetto "piano o rganico" del materia(8) Capone, cii., p. 312.
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le navale. Saint 13on era ostile all'idea di vincolare i program mi fu turi , argomentando che il valore delle unità navali cambiava nel tempo. così come cambiava la loro idoneità a fungere eia strumento della politica dello Stato. Questa era contingente, dipendendo da molti fattori impren:dibili. con la conseguenza di rendere assai aleatoria una previsione sulle caratteristiche del potere marittimo necessario per assistere l'evoluzione di quella politica. La determinazione di un programma navale a lunga scadenza - definito dal Saint Bon "irrisori o e illusorio" - pareva quindi inutile e pericolosa. In termini assoluti. questo r<1gionamento non mancava di suggestione perch0 mcucva bene in luce i lim iti e i rischi d i un'applicazione rigida e scri teriata elci concetto di legge navale. Ma all'intelligente ministro proprio l'intelligenza faceva vdo. impedendogli di ammettere la necessità di un orientamento poliennale cocn:ntL' dclle costruzioni navali, al fine di concludere nella realizzazione di uno strumento m ilitare marittimo che corrispondesse all'idea ponante che lo a, L'\' a concepito. Procedere senza bussola, improvvisando secondo le circostanze, sarebbe stara una scelta nefasta. Occorreva invece vincolare in 4uakhe modo il Parlamenio, il governo e, per quel poco che s·interessa\'a di \la,ina. anche la Corte, che esercitava una fone influen z.a su lla politica estera e su quella militare. Bisognava evitare che i ministri e gli altri decisori nazionali andassero, come i compagni di Enea, fo rle sola sub nocte per u111bra111 {a caso nell'ombra della notte solitaria). Era questa un'esigenza di primo piano. nella imprevedibilità della caratura dei ministri e delle vicende parlamentari: diversamente il rischio non sarebbe consistito soltanto nel non disporre: dello strumento adatto alla siruazione, ma nel non averne n essuno in nessuna situazione. Ceno, era necessario appl icare la programmazione senza rigidifa, ma anzi verificando continuamente la validità delle scelte compiute in ordine agli obiettivi in rapporto agli sviluppi delle relazion i intc.:rnazionali e delle esigenze militari, al fine di aggiustare il tiro quando fosse stato necessario. Del resto, lo stesso Saint Bon durante il suo mandato aveva praticato cli fa tto questa programmazione non ouusa. Le artiglierie principali del Duilio c del Dandolo erano state cambiate due volte rispetto ai progetti iniziali e la tcrz.a nave del programma era diventata addirittura una unità completamente diversa, recependo dalla politica generale un messaggio di esigenze nuove cui si era risposto, grazie anche alle straordinarie doti tecniche di Benedetto 13rin, con una rivoluzione dei piani di costruzione talmente efficace che le nuove unità avrebbero avuto capacità nautiche migliori delle p recedenti. Ma l'obienivo strategico che era l'anima del programma non era cambiato, anche se strada facendo aveva dovuto assumere compiti aggiuntivi, perchè sia le prime navi eia battaglia che i successi vi "incrociatori strategici" rispondevano coerentemente ai concetti della Marina di qualità, della difesa in alto mare e della potenza globale come caratteristica tattica di valenza strategica.
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Un altro punto di divergenza si sarebbe manifestato sulle politiche armatoriali e cantieristiche. Fedele alle idee liberiste della Destra storica, Saint Bon era contrario ad azioni di sostegno dello Stato pur consider,mdo favorevolmente lo sviluppo della flotta e della navigazione commerciale. Durante il suo mandato ministeriale agli armatori furono erogati solo i compensi previsti per i servizi postali e l'unica volta che il Saint Bon s·indusse ad un salvataggio, concedendo una sovvenzione pubblica alla società di navigazione "Trinacria" ( L. 2622 elci 1° agosto 1875), se ne pentì perchè la "Trinacria" fallì lo stesso.C9) Anche per l'industria cantieristica, sebbene la considerasse di primaria importanza per la Marina, Saint 13on evitò interventi finanziari diretti della mano pubblica, utilizzando piuttosto le commesse come mezzo di promozione dell'industria privata, la quale si rafforzò abbastanza rapidamC:!nte dopo l'inchiesta parlamentare sulla situazione industriale italiana degli anni 1871 -1873. Ma tra Saint Bon e llrin vi furono ben altri e fondamentali elementi di convergenza, tali da superare il differente schieramento politico. Entrnmbi atrribuirono grande importanza alla formazione del personale. cl 1873 Saint l3on disse chiaramente in Parlamento che occorreva un nuovo impegno per l'istruzione e l'addestramento degli uomini della Marina, i quali non avrebbero dovuto più navigare e combanerc a vela: si ricorder;t che uno degli aspelti particolarmente innovativi del Duilio e delle altre grandi unirà che lo seguirono era dato dalla scomparsa totale della velatura e degli alberi che la sostent.:vano. Inoltre, la comune fiducia dei due uomini nella validità dell'opzione per le grandi navi li avrebbe condotti a combattere sullo stesso fronte la non breve battaglia sui tipi di unità necessari alla flotta ital iana, l'uno e l'altro schierandosi contro le idee della Jeune École. F. quando, 25 anni dopo, Simone di Saint Bon divenne cli nuovo ministro della Marina, nessuna cesura si sarebbe manifestata con l'opera di Benedetto Brin, che per tanti anni aveva avuto la responsabi lità del dicastero e che cli nuovo, successivamente, lo avrebbe retto fino al gio rno della morte. Scrivendo sulla Rivista Marittima nell'aprile 1928 Paolo Boselli accomuna i due personaggi come creatori della Marina ddl"ltalia risona, definendo Saint Bon '·il genio fervente ciel precursore, la scintilla che desta la fiamma" e Brin "il genio incomparabile dell'instauratore, edificatore cli un'opera che si affermò'·. <1o) Se queste definizioni sonanti si spogliano della retorica congeniale al tempo in cui furono scritte, rimane un 'opinione storica non controversa, che pare eia sottoscrivere. Le elezioni del marzo 1876 consegnarono il potere alla Sinistra storica, una (9) Cfr. per i r.ipf)Orti col Banco dì Sicilia in relazione alla vicenda, R. Giuffrida, PoliUca ed eco110111ia nellu Sicilia dell"Olloce-nto, Pale rmo, Scllcrio, 1980, 210- 16. (10) Cfr Ferrante, cii., p. 50.
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forza politica e parlamentare composita - e in qualche misura contraddinoria che non si poteva più identificare nel vecchio Partito d'Azione. Il primo presidente del Consiglio espresso dalla nuova maggioranza fu Agostino Depretis. Cauto, prudente - troppo per chi nutriva speranze di immediati e impetuosi sviluppi, tanto che dovelle lasciare il governo a Cairoli nel 1878 e poi nel 1879 - Depretis aveva però in mente una linea di rafforzamento della Marina, che considerava stnimento necessario all'Italia per la difesa e per la politica estera. La forte prevalenza dell'elettorato meridionale come base del successo della Sinistra lo induceva ad una considerazione attenta della condizione peninsulare del Paese. La politica di rafforzamento della flotta cm già cominciata sotto la Destra e vi aveva attivamente collaborato un grande progettista navale, dotato anche di buone amicizie politiche: Benedetto I3rin. A lui Depretis offrì il portafoglio della Marina. L'eredità cli Ribory e di Saint Bon non poteva trovare un contim1atore migliore. Le vedute di fondo dei due ammiragli erano anche sue, era lui il consigliere avveduto che aveva contribuito a formulare quella politica, il geniale progettista navale che ne aveva reso possihile una prima attuazione concreta.
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CAPITOLO III
I,a prima z:olta di B1in
Con l'avvenco al potere della Sinistra parlamentare, Agostino Depretis subentrò a Marco Minghetti nella Presidenza del Consiglio e Benedetto !3rin a Simone di Saint Bon al Ministero della Marina. Vi sarebbe rimasto sino alla fine del 1878, salvo la breve interruzione del Di Brocchetti dal marzo all'ottobre di quello stesso anno. La già impostata politica della flotta venne continuata nelle sue linee principali, cui altre se ne affiancarono, specie con riguardo alle modalità di conseguimento degl i obiettivi, che rispondevano alla diversa visione della Sinistra sul ruolo dell'intervento dello Stato nella politica economica e industriale. Pochi giorni prima che il primo Gabinetto Depretis si insediasse, l'ingegnere E. F. Reed, già Costruttore capo della Marina britannica e in fama di essere uno dei massimi progettisti navali del tempo, dichiarò il 13 marzo 1876 alla Camera dei Comuni che il progetto del Duilio era derivato da altro precedente suo, ma con l'aggiunta di errori che compromettevano la stabilità della nave: in particolare era possibile un capovolgimento della nave per effetto di colpi avversari sul ponte cornzzato, e forse addirittura al varo. Queste affermazioni provocarono una polemica sul Times, sostenuta per la parte italiana dall'ispettore del G.N. della Regia Marina Felice Mattei, il quale ribadì l'originalità della concezione del progetto e la validità dei calcoli che assicuravano alla nave piena stabilità. Le critiche sollevarono preoccupazioni nel Parlamento e nell'opinione pubblica. Il 28 aprile il ministro Brin, rispondendo all'on. Alvisi, intervenne alla Camera e fornì chiarimenti ed assicurazioni tranquillizzanti, cogliendo anzi l'occasione per ribadire la ferma volontà di insistere nella scelta politica cli progettare e costruire in ]calia le grandi unità della flotta, nonchè di promuovere nel contempo l'autonomia e le capacità dell'industria nazionale.O > A tal fine era necessario mantenersi in avanguardia nel campo della tecn ica navale, anche a costo di rischiare innovazioni sperimentali, come era stato fatto per il sistema di corazzatura del Duilio. (1) In quella seduta, parlando prima di Brin, il Saint Bon respin:.c come avventate e ingiuste le cri-
tiche del Reed e impietosamente ricordò che p roprio costui aveva approvato i piani di rimodernamento della cor.iz1.ata Capta/11 che nel 1870 era affondata per capovolgimento: era ce no un precedente che rendeva inopportune osservazioni sulla stabilità da parte del Reed.
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L'alternativa consisteva nella costruzione in cantieri esteri del le navi, che hcn difficilmente in tal caso avrebbero potuto avere caratteristiche davvero avanzate, come era invece necessario. L'8 maggio 1876, alle 12,15, la cor'&ZZata Duilio scese felicemente in mare nel cantiere di Castellammare; la Dandolo l 'avrebbe seguita il 10 luglio 1878 nell'arsenale di La Spezia. Il varo del Caio Duilio ebbe grande risonanza e fu occasione per richiamare l'attenzione sull'importanza vitale che la Marina rivestiva per la nazione e sulla necessità di affrontare i sacrifici necessari per costituire il potere ma1ittimo italiano. la Rivista Marittima scrisse:''Duole veramente come in Ital ia la pubblica opinione tanto poco si preoccupi dello sviluppo di questo valido e necessario elemento di forza nazionale. Noi più di ogni altro popolo dovremmo ricordare che Roma divenne grande e potente solo quando si creò un'armata, e con essa vinse sul mare. I Romani specialmente nella prima guerra punica, cioè quando tranavasi di creare la loro potenza navale, non indietreggiarono davanti a spese ingenti; i rovesci, gli infonunii non isgomentarono quegli arditi ed intelligenti nostri padri, essi perseverarono nel loro proposito, e l'ultimo loro sforzo po11ò il suo frurto: la vittoria e la pace. Polibio ci narra quali sagrifici s'imposero i cittadini di Roma per concorrere ad uno sforzo supremo e generale. La nostra storia ricorda il fatto glorioso che un·associazione di cittadini, dopo una guerra disastrosa, che durava già da 23 anni offrì spontaneamente allo Stato una flotta di 200 navi di linea con un equipaggio di sessantamila uomini. Richiamando alla memoria questi fatti non s'intende certamente domandare agl'lcaliani grandi sagrificii; basterebbe solo che essi seguissero con qualche interesse tutto il progresso che si è fatto, e che tuttora si fa nella nostra marina; che essi prendessero maggior cura dell'incremento di una istituzione guerresca tanto necessaria alla nostra patria ... :,.Jon v·ha in Italia chi non riconosca la preminenza della questione finanziaria su tutte le altre ma vi è motivo di credere che per la marina nostra più che di finanza, sia questione di tempo e di fede, di quella fede che è la cooperatrice necessaria dei grandi atti. Già provvide leggi hanno gettato la base della trasformazione del nostro naviglio, resa indispensabile dalla crescente potenza delle artiglierie e dalla nuova tattica navale mentre che si fa ogni sforzo per assicurare all'Italia il possesso delle armi subacquee più possenti e p iù perfezionate; ma resta a fare ancora molto per metterci al posto che ci compete fra le marine europee; e per secondare l'opera edificatrice della nostra potenza navale, la fede nell'avvenire che si richiede dagli Italiani è di gran lunga inferiore a quella che i Romani ebbero, quando si affidarono al loro primo ammiraglio per vincere la più potente nazione marittima cli quei tempi''_(2)
(2) A conclusione dì un articolo - G. Scafati, Caio Duilio, in H/11/s/c/ Mari/I/ma. aprile 1876, pp. 3351 - che rievocava il condottiero romano.
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La nave era stata realizzata da operai non abituati alle costruzioni in ferro, avendo lavorato fino ad allora su bastimenti di legno, "pummavia l'esecu7.ione è stata così esatta e perfetta in tutti i suoi particolari da meri tare encom i di persone eminentemente competenti".(3) Questa considemzione era incoraggiante per il progr.imma di sviluppo industriale propugnato dal ministro. 10 giorni dopo il varo venne isti tuita una Commissione di Studio incaricata d i definire l'insed iamento di un complesso siderurgico militare che fosse strategicamente meglio localizzato di Torino, cli Brescia e di Torre Annunziata e ne sortì l 'indicazione di Terni.<4) Nel luglio e nell'ottobre 1876 vennero impostate due nuove grandi corazzate: l'Italia a Castellammare di Stabia e la Lepanto a Livorno. Il programma enunciato andava così avanti. Ma si manifestò una carenza destinata a diventare cronica: dopo che i progetti erano stati approntati in tempi ragionevoli e che in tempi altrettanto ragionevoli cr,mo seguite l'impostazione e il varo, l'allestimento prendeva molti anni, rendendo il ciclo di costruzione troppo lungo. li Duilio fu impostato nel 1873, varato nel 1876, completato nel 1880; il Dandolo fu impostato nel 1873, varato nel 1878, completato nel 1882; per Italia e Lepanto andò anche peggio: la prima, impostata nel 1876 e varata nel 1880, fu pronta solo nell'autunno 1885; la seconda, impostata nel 1876 e varata nel 1883, terminò i lavori d i allestimento nel 1887. Le ragioni erano di verse - le eterne difficoltà della finanza pubblica, il difficile e mutevole calendario delle priorità all'interno di un programma navale generale che prevedeva la conccmpor,mca costruzione cli altre unità, le esitazioni e i ritardi nel passaggio degli ordini al fine di ortencre i migliori e più recenti prodotti<5) ma il grande motivo di fondo, ineliminabile, consisteva nella inferiorità dell'industria italiana nel suo complesso rispetto a quelle dei maggiori Paesi economicamente avanzati. L'ottimismo della volontà non poteva supplire alle carcn7.e della dimensione e del livello di maturazione dcll"apparato produttivo nazionale, ma l'Italia non aveva una strada diversa eia quella battuta: la scelta dell'autonomia nel cam po degli armamenti navali non poteva annullare cli colpo i tempi
(3) Inviati dalle Marine britannica. :lllstro-u ngaric:i, statuniten:.e e francese. Cfr F. De Angel is, li Duilio, in Rivista M c1rillfme1, maggio-giugno 1876. pp. 278-87. (4) Capone, cfl., p. 313. ricorda che Temi era già stata pmposta nel 1871 dalt'on. Breda. parlament:ire ,·icino all'imprenditore veneto Cassian Bon, anefìce in seguito di ini7Jative industriali siderurgiche i n quella citt:ì. (5) Giorgerini e .'/ani. cii., p. 165, ricordano ad e:.cmpio che i ministri Saint Bon e Brin furono criticati per non :,vere provveduto tempestivamente a passare gli ordini delle corau.e: Brin replicò che si era preferito attendere per scegliere i prodotti migliori, al fine di cvi1are il risch io di dowre le navi d i una protezione già superat:t, nel momento in cui la p roduzione di piastre per le cor.1zze era in continua evoluzione. L'argomentazione sarebbe stata dirimente solo se il progresso s1 fo)Se fennmo al momento dell'ordine.
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necessari alla crescita, però certamente li accelerava e awicinava il momento in cui anche l'Italia sarebbe diventata una potenza navale. TI fenomeno dei tempi lunghi comportò conseguenze politiche poichè il governo di Roma si trovò più di una volta invischiato in una situazione di squilibrio tra l 'esigenza - o la volontà - di condurre una politica mediterranea aniva e la forza reale della Marina. Come già nell'aprile 1873 aveva rilevato il Riboty, "in date evenienze di guerra europee l'l!alia, sfornita di una marina militare, potrebbe in un'alleanza aggiungere un elemento di debolezza agli amici suoi, costituire per loro un pericolo, anzichè far ridondare le proprie armi a vantaggio comune". Senza poter giocare la carta decisiva della flotta, qualunque ambizione espansiva era destinata a rimanere velleitaria e fru strata. All'inadeguatezza della potenza navale, specialmente in quegli anni, non si poteva owiare con qualche presenza nei porti del Levante,C6) così come non potè supplirvi il solo varo del Duilio. TI potere marittimo dev'essere un fatto reale, non si fonda sull 'effeno annuncio: il Duilio fu un successo,(7) ma non era una flotta e nell'aprile 1881, quando i francesi non esirarono a prendere la via di Tunisi, non poteva costituire un deterrente. Oltre alle unità maggiori, in questo periodo furono varati anche gli awisi Staffetta e Rapido, già impostati nel 1873 a Sampierclarena e a Livorno e nell'Arsenale di Venezia vennero posti sugli scali di costruzione due altri awisi, Agostino Barbarigo e Marcantonio Colonna, i cui piani erano stati preparati da I3enedctto Brin prima di essere nominato ministro.CS) La corazzata Duilio ospitava a poppa una piccola torpediniern, allocata "in un apposito tunnel coperto e chiusa da una porta a saracinesc.-a". li significato di questa dotazione non più ripetuta nelle successive unirà eia battaglia, è da
(6) Vedi per queste prcsenzt: le cane della squadra del Mediterrnneo fìno al 1878 e l 'arch ivio della squadra permanente (crociere in Oriente), in AUSMM, bu~te 75 e 188, 189, 190, 191, 192. Ma è utile ricordare che il ministro degli ~cri. Visconti Venosta, ebbe a dichiarare alla Camera, il 24 novembre 1875:•Noi in Orit:ntc, per ragioni di economia, non abbiamo legni'. (7) Talvolta anchc amplificato. cfr B. Brin, La no.tra Marina Militare. Roma, Bocca. 1881. specie pp. 15-20; basti ricordare che la relazione france5e al bilancio della Marina dd 1879 defìniva la corazzata 'la più fone macchina da guerra che l'arte navale abbia creato• e che il scnaton: americano 13onjean, nt!I marzo 1880, disse che "il solo Duilio della Marina ilaliana potrebbe distn1ggere tutta la nostra flotta•. (8) L., Staffe/la e il Rapido, voluti dal Saint Bon, dislocavano t 1328 t: 1523, svilupp:wanQ u na velocità di circa 12 nodi e furono classificati 'n.ave da guem1 di Ili classe". Come av\'iSi. però, non erano l'ide-Jlc e vennero usati per anivicà panicolari. 1a Staffe/la, entrata in servizio il 1° dicembre 1877. fu impiegata sopnltlutto come nave idrogrnfìca; il Rapido, consider.tto di scarso valore bellico, csplet<'J principa lmente missioni di r.ipprcsencam:a all'estero. Gli avvisi Bctrbarigoe Colonna, entrati in servizio nel 1879 e nel 1880, dislocavano 624 e 656 t, facevano 15 nodi e furono radiati solo nel 1913. F. Bargoni,Esplort//ori. fregate. con.'l!fte ed avvisi 1/alianl. 1861-1968, Roma, Ufficio Smrico della Marina Milirart!, 1969. pp. 151 -75.
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riportare all'intendimento di costruire una nave che "riunisse nel più alto grado i mezzi offensivi e difensivi".(9) Dagli anni '60, dopo le fo1tunate esperienze delle barche munite di torpedini nella guerra civile americana, veniva studiato il modo di proiettare a maggiore distanza gli ordigni esplosivi, passando dalla torpedine al siluro. Nacque così in Inghilterra la prima torpediniera, la Lightning, che dislocava 27 t, faceva 18 nodi e poteva lanciare un siluro da prua. In Italia non sfuggì che si profilava una nuova arma, sia pure ai primi passi, e poichè l'orientamento che guidava Simone di Saint I3on e I3enedetro Brin era rivolto alla ricerca della qualità e dell'anticipazione dei mezzi, parve logico prendere subito in considerazione la nuova propettiva. Ansiosa di non restare indietro, la Marina italiana ordinò così in Inghilterra i primi suoi prototipi di torpediniere costiere: la n. 1, poi chiamata Nibbio, o rdinata nel 1876 ai cantieri Tho rnycroft e varata nel 1878, e l'Avvoltoio, ordinata nel 1878 ai cantieri Yarrow e varata nel 1880. Queste navicelle avevano una funzione sperimentale ed era logico - proprio per tale loro carattere - che le commesse fossero state passate a due diversi costruttori londinesi per ottenere due diversi modelli. Dislocavano circa 26 t, ma avevano una velocità elevata per quel tempo -18 nodi il Nibbio, oltre 21 l'Avvoltoio - ed erano dotate di due lanciasiluri prodieri.OO) Ma al di là di quelle che potevano essere le loro prestazioni è importante rilevare la sensibi lità di Benedetto Brin a cogliere con prontezza e ad esplorare tra i primi qualsiasi novità nel campo dei mezzi navali. Sarà bene non dimenticarlo, quando si parlerà di polemiche su navi grandi e piccole. Nella politica estera italiana di lungo periodo esistevano due filoni principali di matrice ma1ittima: il controllo dell'imboccatura adriatica e quello del Canale di Sicilia, da realizzarsi col possesso di Biserta. Entramhi gli obiettivi fallirono nel corso degli anni '70. La spinta aust1iaca verso sud nella penisola balcanica ricevette nuovo impulso dalla riaccensione della questione d 'Oriente nell'estate 1875. Già due anni prima Vienna aveva ricercato un luogo adatto per impiantare una nuova base navale a mezzogiorno di Sebenico, confermando con ciò un proprio interesse pronunciato ad espandersi in Adriatico, anche se la decisione italiana di valorizzare Taranto vi concorse: il motivo prevalente, tuttavia, era da ricercare nella volontà ausuiaca cli avanzare in Ad1iatico, considerato che l'armamento della base pugliese era stato subordinato alla disponibilità dei fondi necessari, ossia rinviato a tempi migliori. Il governo italiano inviò in ricognizione nel Canale d'Otranto il CV (9) Dt:' Angdis. cii.. pp.
379-81.
(JO) Ft,rono consegnace entrambe nel fcbb111io 1881 e rJdiace nel maggio
1904.
I'. Pollina, Le tor-
pediniere 1/aliane. 1861- 1964, Roma, Ufficio Scorico della Marina Milicare, 1964. pp. 3-32.
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Arminjon e il maggiore Osio, i quali visitarono le Isole Ionie e il litorale orientale, individuando i punti che avrebbero corrisposto meglio '·alle esigenze della politica italiana ed a quelle della nostra furura grandezza militare e commerciale".0 n I due ufficiali esaminarono anche la possibilità di uno sbarco e ne studiarono le modalità, escludendo ognj avventura all'interno dei Balcani ma puntando al controllo marittimo della pona adriatica mediante l 'integrazione cli basi sulla costa o rientale con Brindisi e Taranto. Ciò avrebbe dato una risposta alla necessità " che si farà ogni giorno più urgente per l'Italia di esser padrona dell'Adriatico". Si sperava che l'evidente propensione austriaca ad espandersi nei Balcani avrebbe aperto la via ad una cerca comprensione per le ambizioni italiane; ma Vienna non concesse nulla, nè sulle cosce albanesi, nè nelle terre irredente. Questo avveniva nel 1876: nel giugno 1877 venne respinta anche una proposta italiana per un'azione comune nel Montenegro. Contemporaneamente andarono incontro all'insuccesso altri tentativi di approccio verso le isole greche, verso Cipro, verso località del Levante souo controllo turco. Senza uno strumento navale adeguato, quel genere di politica estera appariva senza base. Come aveva avvertito il ministro Riboty, la debolezza italiana portava all'isolamento e l'isolamento favoriva le intese tra gli altri alle spalle di Roma. Così dal Congresso di Berlino del 1878 e dalla Conferenza per l'incivilimento dell'Africa di Bruxelles del 1879 sarebbero venute le premesse per l'occupazione francese della Tunjsia. La responsabilità di questi fallimenti non può essere accribuita a Brin, nè ai suoi predecessori o successori immediati. In tempi difficili, i ministri della Marina si erano dovuti amrngiare, subendo l'obbligata politica della lesina: costretti a proporsi nel loro senore obiettivi e tempi non correlati alle pretese della politica estera. Un Paese così fragile avrebbe dovuto compensare la propria debolezza con amicizie di ferro, non ritrovarsi isolato. Crispi ne accusa lo "sciocco Mclegari", ministro degli Esteri del primo governo Depretis, ma era l 'idea di condurre da soli una presenza internazionale attiva a rendere assurda la posizione italiana. Grandi potenze maturavano le loro ambizioni - l'Austria per i 13alcani (1878-1879), la Francia per Tunisi (1881) - in anticipo sul tempo necessario all'Italia per procurarsi i primi strumenti utili a gestire i rapporti internazionali negli anru d'oro dell'imperialismo europeo. Come si poteva pensare di essere "amici di tutti'' quando intorno all'Italia unita gravava una componente di diffidenza, quando si perdeva la fiducia austriaca, quando si negava l'assenso a Londra per un'intesa mediterranea (1878), quando tuttavia si accarezzavano progetti espansionistici e coloniali? Fuori d'Italia ci si rendeva
(11) A conclusione della ricognizione, effettuata sulla corazzata Gastelfìdardo. furono indicate
Prevcsa, Valona, Duraz.w e Corfù. Vedi 'Relazione presentata dal Capitano di Vascello comm. Arminjon e dal maggiore di Stato Maggiore cav. Osio SL1lla ricogniz.ionc oper:ua sulle coste d'Albania • Brindisi. 8 scncmbre 1876•, in Archivio del Ministero degli Affari Esteri. Roma. Eredflà Crlspi.
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ben issimo conto che la politica delle "mani nette", ossia vuote, era la stessa della volpe e dell'uva e ci si regolava di conseguenza. Non tutti in Europa erano stati entusiasti dell'Unità italiana, nè avevano apprezzato le aspirazioni del nuovo Stato. Si preoccupavano coloro che temevano di essere oggetto di interessate attenzioni, si preoccupavano i concorrenti, abituati a trattare i vecchi Stati r egionali italiani dall'alto in basso,temendo di perdere nel rapporto col Regno d 'I talia i loro vecchi privilegi. A Parigi, già nel 1865, Th iers avev:a rilevato che una nuova potenza, dotata di un esercito di 300.000 uomini, poteva ora minacciare la sola frontiera rimasta sicura alla Francia. Vi era fastidio ad avere un nuovo grande Paese al confine: e poi la marcia del governo d i Torino verso i confini naturali era stata troppo rapida, quando la Francia aveva impiegato secoli. Così la Convenzione del 15 settembre 1864 fu interpretata o ltr'Alpe come un assoluto, inderogabile impegno italiano a non toccare Roma. La Revue Contemporaine del 15 dicembre 1865 ammonì: "Nel 1859 abbiamo speso 300 milioni di franchi per fare l'unità italiana, ne spenderemo il doppio per fermarne l'espansione". La città eterna era diventata una fissazione in Fr:ancia: P. J. Prouclhon era contro l 'unità d'I talia, ma l 'idea che Roma ne potesse diventare la capitale gli pareva addirittura follia. C'erano con lui i cattolici, ma dopo il 1870 e Porta Pia e l'ingra titude italia na durante la guerra franco-pmssiana, l'italofobia si alimentò anche di altre provenienze. Il sospetto che l 'Italia mirasse a sostituire la Francia nel commercio marittimo ciel Mediterraneo faceva dimenticare che la bandiera italiana copri va appena poco più di un terzo del traffico ponuale del Paese. I critici non mancavano neanche in Germania: a Magonza, nel 1871, la 21 ° Assemblea dei cattolici bollò come "vergogna del secolo" la presa cli Roma. A tale proposito Gregorovius aveva scri tto nel 1861 che "l'aria di Roma non è adatta a un regno appena nato .. .Roma abbassata al grado di capitale di un regno italiano ... perder:'i tutto, la sua aria repubblicana, la sua vastità cosmopolita, la sua tragica quiete"; tuttavia il 23 settembre 1870 considerò l'avvenimento solo come "un piccolo episodio nell'immenso dramma mondiale". Ma dopo il 1870 i pregiudizi "avuti in retaggio come vecchi mobili" ebbero larga diffusione nell'opinione pubblica tedesca.Cl2) In Italia la politica delle costrnzio ni navali concinuava intanto sulle linee tracciate, senza arresti che avrebbero compromesso il disegno di edificare passo dopo passo il potere navale italiano, senza accelerazioni che le condizioni della finanza puhblica e lo stato clell'inclustria nazionale avrebbero reso 02) Vedi P. Guillcn, L'Ila/fa nella società europea, in 1867-1887: il processo di unificazione nella r ealtà del Paese (Alti del L Congresso dì Storia del Risorgimento Italiano, Bologna, 5 -9 novembre 1980) , Roma , Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1982. pp. 3-27: P. Guc. l.'Unité ilalienne vue de France. ibidem, pp. 35-97; J. Petersen Il Risorgimento ilaliano nel giudizio della Cer mania dopo il 7860. ibidem, pp. 99-132; A. Garosci, Velleità di colonialismo ilaliano dall'Unilà alla jìne del 1rasji:>r111 ismo, ibidem, pp. 503-24.
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impossibili. TI 21 febbraio 1877 il ministro Brin prcsencò il piano organico della flona , che il 1° luglio successivo divenne legge. Con tutti i possibili difetti - in quel periodo le oscillazioni della policica esecra non aiurnvano la definizione di orientamenci stabili - il piano aveva una sua logica. Prevedeva un organico di 72 unilà, di cui 16 di 1° classe (corazzate), 10 d i 2° (incrocia cori) e 20 di 3° (cannoniere cd avvisi), oltre a 14 navi da trasporto e sussidiarie e 12 destinate ad impieghi locali. TI tempo necessario per realizzare questa flotta veniva indicalo in 10 anni; il costo complessivo in 146 milio ni, di cui 126 di spesa ordinaria - vi confluivano anche 60 milioni, parte del ricavato dalla vendita delle navi antiquate prevista dalla l egge Saint Bon - e 20 milio ni di spesa straordinaria. I n Parlamento il Saint Bo n si oppose al disegno di legge, criticandolo come insufficiente in sè e in relazione alle variabili cscem e, secondo le sue opinioni che sono già state illus1ratc. Il ministro gli rispose che primo scopo del piano era di conscncire alramminislrazio ne della Marina di organizzare i lavori e gli approvvigionamenti in base ad un programma finanziario certo, senza correre il rischio ·'cli vedere i fondi delle costruzioni navali variati ad ogni discussione di bilancio"'. La replica, diretta ad un ex-ministro che aveva ben conosciuto le angustie della finanza pubblica, era abile, ma soprattutto era giusta. Approvando il piano, le Camere si impegnavano per un arco di tempo determinato a conseguire una base minima '"cli pocenzialilà navale riconosciuta come necessità assoluta a salvaguardia con1ro le flurcuazioni parlamencari".<13> i\el programma era prevista la costruzione di sole due nuove grandi unità da battaglia, ma a fianco di queste una seri e di ammodernamenti e rinnovi doveva assicu rare alla fl otta un miglioramento qualitativo importante. Riorganizzazione e pownziamcnto interessavano cuttc le componenti del potere marittimo, dall'industria alle basi, dalla preparazione del personale alla marina mercanti le. Come già accennato le vedute della Siniscr.i in tema di po litica industriale erano molto diverse da quelle della Destra. Il conc:<:rco generale di utilizzare l'imervento dello Staco per p romuovere !"econo mia si ca ricava di maggio re significato nel caso delle costruzioni navali perc:hè entrnvano in gioco clementi legati alla sicurezza nazio nale. Si era disposti a pagare l'inevitabile scorto degli anni necessari all'industria nazionale per migliorarsi e a sopportare i costi della sua crescita, anche se questo significava accettare prezzi non competitivi con l'offerta straniera. L'inchiesta sull'industria, condotta dalla Commissio ne Boselli cm il 1871 e il 1873, pur essendosi svolta sotto il governo della Destra, concluse che le condizioni industriali del Paese erano 1almeme penalizzare da richiedere l'intervento dello Stato per essere superale. Emerse, ad esempio, che i cantieri nava(13) Capone, cii. p. 3 14.
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li italiani per le costruzioni civili in ferro dovevano competere con quelli inglesi pagando la manodopera un terzo in meno per compensare i maggiori costi dei procioni siderurgici: e malgrado ogni sforzo, lra il 1860 e il 1871 erano stati spesi all 'estero 40 mil ioni per acquistare piroscafi. E ciò mentre la produzione nazionale di ghisa cadeva dalle 25.756 t del 1860 alle 12.000 del 1879. La mancanza di bacini idonei nel Paese costringeva le navi i taliane a recarsi all'estero per la carenatura: a Marsiglia, a Trieste, a Malta. Tutta l'industria cantieristica, anche quella dedicata all'allestimento ed alle ri parazioni navali, invocava l'aiuto dello Stato "e non sotto forma d i dazi protetti vi che non erano applicabili alle navi, bensì sotto forma cli compensi per i dazi sostenuti per l 'approvvigionamento delle materi e p rovenienti dall'importazione ... Qualcuno degli stessi commissari dell'inchiesta Bosell i ritenne che bastassero le facilitazioni fiscali ed un miglioramento dei sistemi doganali per i materiali importati per far sviluppare l'industria delle costru:lion i navali; ma l'esempio della Francia che, pur godendo di una potente siderurgia e di una forte industria meccanica, aveva introdotto dei premi poderosi, induceva gli altri a sostenere che o si rinunciava a tempo indeterm inato alla cantieristica in ferro, o si doveva coraggiosamente imboccare la via del protezionismo. Fatto sta che, sia pure con l'opposizione d i alcuni autorevoli membri in numero di tre contro o tto, la Commissione 13oselli votò a a favore dei premi cli costruzione". Da un punto d i vista economico generale quindi, prima che da quello particolare della Mari na militare, "il problema da risolvere si sinteti zzava nella possibilità o meno cli realizzare una grande organizzazione industriale per la quale si ritenevano indispensabili misure di intervento diretto dello Stato". Il clima protezionistico avrebbe avuto un'affermazione decisiva nel 1878.0 4) Sviluppando alcuni timidi p rovvedi menti del 1872, con la legge 30 maggio 1878, n. 4390, che approvava la nuova tariffa doganale, veniva introdotta una restituzione daziaria forfetizzata di 30 lire al quintale per i materiali necessari alla costruzione ed alla riparazione delle navi in ferro. Un altro provvedimento del 1879 avrebbe esteso il beneficio al materiale richiesto per la costruzione cli qualsiasi galleggiante "ancorchè non adatto al trasporto di merci e di passeggeri".05) Tntanto nel 1879 veniva comp letata a Terni la Regia fabbrica di armi per l'Esercito, destinata alla gestione pubhlica, mentre anche la questione dell'impianto siderurgico faceva un passo :avanti con la costituzione della Società degli alti forni e fonderie di Terni Cassian Bo n e C., che ri levò due altiforni originariamente costruiti eia una impresa belga e successivamente fermati per i (14) V. D. Flore, l'induslria dei lrctS/XJrli ma,illimi in 1/alia. Rom:1, Bollenino Informazioni Marinime, 1970. Il. 463-68. ( 15) Legge 31 luglio 1879, n. 5014
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costi elevati. Le scelte protezionistiche non possono essere giudicate soltanto dagli errori e dalle degenerazioni cui dettero luogo. Dopotutto, quindici anni di po litica economica liberista non erano riusciti a produrre nella misura necessaria il decollo economico e industriale: soltanto lo Staio in Jralia era in grado di mobilitare i capitali occorrenti e soltanto lo Stato poteva selezionare e coordinare lo sviluppo dei seuori produttivi imprimendo loro l'accelerazione voluta. Nel campo delle cosrn1zioni navali militari, poi, la necessità di arrivare il più presto possibilè an·aut.osufficienza nazionale non era nè una novità, nè una stravaganza. Già Cavour, il 2 giugno 1860, rispondendo ad una interpellanza del deputato Pareto, aveva detto: "io lamento una grandissima lacuna nell'industria del nostro Paese; noi non abbiamo ancora alcuno stabilimento che si sia dedicato alla costruzione di navi in ferro. Questa, ripeto, è una lacuna gravissima sia per il governo, ove venissero ad introdursi le navi corazzale, sia per l'industria privata, la quale è sempre costretta di ricorrere all'estero, tanto per la costruzione, quanto per la riparazione dei battelli in ferro. TI governo desidera mollo di poter favorire quest'industria e veder modo d 'introdurla nel nostro paese; e, per quanto io non sia fautore del sistema protezionista, per quanto io sia disposto a mantenere, ad eccitare anzi la co ncorrenza fra le fabbriche interne e le estere, tuttavia io crederci che, se vi fosse mezzo d'introdurre nel nostro paese questa industria delle cosrn1zioni navali in ferro, sarebhe il caso non di accorciare privilegi ma di veder modo di secondare gli sforzi di quei capitalisti, i quali venissero a stabilirsi a questo scopo fra noi".06) Nè vi erano esempi nella storia di marine militari importanti che non avessero costruito le loro navi nel Paese: ciò aveva comportato talvolta che la fl otta venisse equipaggiata con unità inferiori a quelle avversarie, come era accaduto all'Inghilterr-a nei confronti di Olanda e Francia dt1r.inte il periodo della vela; certo , sarebbe accaduto ancora, e non solo in Italia, che il monopolio nazionale incidesse negativamente sulla qualità, o che le commesse venissero assegnate prcssochè all'indifferenza dei costi, ma queste erano le regole ciel gioco se si aspirava a diventare una potenza navale. Al Ministero Brin trovò, pronti dal 1874, i progetti d'escavo del canale navigabile e del ponte girevole di Taranto, necessari per insediare l'Arsenale in Mar Piccolo. La scelta della nuova base, ben posizionata in relazione all'Adriatico cd al Mediterraneo, pose un problema di politica industriale. Il cantiere di Castellammare di Stabia costrui va soltanto lo scafo delle navi, che bisognava poi rimorchiare a Napoli per l'allestimento. Così si fece per la Duilio, che dovette essere trasferita "prima a apoli, per l'installazione e il collaudo delle macchine (novembre/ dicembre 1877) e poi a La Spezia per il montaggio delle corane, delle torri e dei cannoni". Lo stabilimento a Taranto di un nuovo (16) Gabriele, iA poli1/ca nal'ale Ila/lana dall'Unflà, ecc., cit. , p. 93.
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Arsenale suggeriva di risparmiare tempo e costi eliminando contestualmente gli impianti di Castellammare e di Napoli, dove sarebbero occorsi interventi radicali ed onerosi al fine di insediarvi bacini di carenaggio abbastanza grandi da ricevere le maggiori unità corazzate del nuovo programma navale. L'operazione, così descritta, poteva sembrare economica e conveniente, ma c'era il problema dei tempi: il nuovo Arsenale in Puglia richiedeva almeno dicci anni per diventare operativo, quando il Parlamento aveva appena approvato il piano organico del 1877. Come privarsi delle strutture esistenti nel momento in cui veniva richiesto uno sforzo industriale straordinario per costruire la flotta e assicurarle poi la manutenzione necessaria? La scarsità delle risorse finanziarie complicava ulteriormente il problema e, mentre i programmi tarantini subivano una pausa, Brin non propose per il momento di abolire i due stabilimenti ciel gol fo partenopeo. Fu invece Enrico Di Droccherti, ministro della Marina del governo Cairoli, a proporre il 5 giugno 1878 un provvedimento di riordino degli Arsenali , che prevedeva la soppressione degli impianti di Castellammare e di apoli. Il disegno di legge però non venne discusso e quando Brin ritornò al Ministero, dall'ottobre al dicembre 1878, non lo ripresentò o non ebbe il tempo per farlo _(17) TI R.D. 1° aprile 1861 suddivideva il personale di Marina in sei corpi: lo Stato Maggio re generale, ossia gli ufficiali di vascello e gli aggregaci, tra i quali nel 1876 furo no assorbiti gli ufficiali piloti; il Genio Navale, costituito da ufficiali ingegneri, che dal 1878 comprese anche gli ufficiali macchinisti, poco numerosi e quasi tutti stranieri, prima aggregati allo Stato Maggiore; il Corpo sanitario, i cui ufficiali medici prestavano servizio anche sulle navi degli emigranti; il Commissariato, con compiti amministrativi, tecnici e contabili; il Corpo Reali Equipaggi, che comprendeva la bassa forza, suddivisa in sottufficiali, sottocapi (caporali) e marinai comuni, distribuiti nelle varie specialità ( fuochisti, cannonieri, torpedinieri, ecc.). TI Corpo di fanteria Real Marina era stato articolato su due reggimenti, allocati a Genova ed a Napoli. Sopravviveva alla marina velica, benchè scomparsa dalla nomenclatura ufficiale, la qualifica di nostromo, cui erano conferite reponsabilità importanti nelle manovre marinaresche affidate ai sottufficiali, prefigurando i futuri "nocchieri ". Gli organi di alta direzione e di amministrazione erano concentrnti nel Ministero della Marina e nel Consiglio superiore di Marina (Consiglio di Ammiragliato fin o al 1866). 11 Ministero era già stato riordinato dal Saint Bon nel 1875 ed articolato nell'ufficio di Gabinetto e in sei direzioni generali (costruzioni navali, artiglierie ed armamenti, ufficiali e servizio militare e scien(17) All'arsena le di Napoli "non mancava nè perizia, nè buona volontà, ma solo mezzi meccanici e tecnici", come confermava una relazione tecnica dello stesso Brin, redatta nel periodo in cui a Napoli si stava eseguendo l'allestimento della corazzata Italia, varata a Cascellammare, A. 1-'o rmiçola e C. Romano, La basi;! navale di Napoli dalle origini al giorni nostri, supplemento alla Ri1Jista Mari/lima, arrile 1995, pp. 62-70.
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tifico, corpo reali equipaggi, marina mercantile, servizi amministrativi). 13rin dedicò attenzione e cure alla riorganizzazione delle strutture cd alla preparazione del personale. l\el 1876 esistevano ancora due distinte divisioni del Corpo Reali Equipaggi, ciel ord e del Sud, cui nel 1866 se ne era aggiunta una terza con comando a Venezia: eredità cli assetti preunitari e di situazioni provvisorie dei primi tempi del Regno, mantenevano vivi senti menti e tradizioni certamente rispettabili, ma non coerenti con le esigenze di omogeneità che avrebbero dovuto essere il risultato del processo di unificazione. Le strutture periferiche del Corpo Reali Equipaggi vennero fuse e dipesero dal Ministero, con ovvi benefici per l 'unifo rmità della preparazione, dell'educazione e del trattamento. Fino ad allora solo gli ufficialli di vascello erano stati militari, mentre rimanevano civili con gradi assimilati ai militari i sanitari, i commissari e gli ufficiali di maggiorità. Nel 1876 i Corpi Sanitario e di Commissariato divennero militari ; piloti ed ufficiali di maggiorità furono assorbiti, rispettivamente, dal Corpo di Stato Maggiore e da quello di Commissariato, dove confluirono anche gli impiegati civili delle segreterie; i cappellani vennero soppressi. Le modifiche introdotte trovarono una sistemazione organica ne1l'importante lc.!gge del 3 dicembre 1878, che avrebbe regolato il reclutamento e l'organizzazione del personale fino alla vigilia del primo conflitto mondiale. La suddivisione degli ufficiali nei quattro Corpi citati venne completata col già richiamato passaggio dei macchinisti nel Genio Navale.!: tutti i Corpi diventarono mi litari. Mentre i decreti del 1876 avevano attribuito agli ufficiali non di vascello le medesime denominazioni in uso nell'esercito, la legge del 1878 recuperò per cuni le vecchie denominazioni già in uso nella Marina.08) li Corpo Fanteria
08) L. Ceva. Forze armate e società cftJlle dal 1861 al 1887. in 1861-1887: il processo di 11111jìcazio11e. ecc., cit. , pp. 347-55. Riponiamo alcuni da.ti relativi allo sviluppo del personale nel trentennio successivo all 'Unità: Corpo 1861 1870 1880 1890 Stato Maggiore 512 570 501 736 Genio Navale, 49 119 127 247 di cui ingegneri 37 54 49 69 12 • • macchinisti 78 178 65 Sanitario 1)1 76 117 145 Commissariato 162 177 292 235 Reali Equipaggi 11.000 15.000 12.000 20.000 che corrisponde alla crescita della Marina: Anno Uffìciali Sottufficiali e marinai
1861 1870
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N.ivi n.
15.000 11.000
97 74
1880
800 980 980
12.000
1890
1.420
20.000
73 273
Dislocamento
ForLa. macch. HP
113.000
18.000
152.000
25.000
158.000
24.000 430.000
312.0()0
Real Marina venne soppresso e le sue funzioni furono as:;orbite a bordo eia\ Corpo Reali Equipaggi e a terra dai carabinieri: eia allora le fasi critiche delle missioni anfibie vennero affidate a formazioni eia sharco tratte dagli equ ipaggi delle navi.0 9) L'annoso problema della preparazione unitaria degli ufficiali, che aveva preoccupato tutti i ministri della Marina, venne affrontato con decisione. Fino ad allora gli allievi erano stati preparati nelle Scuole di Marina di Genova e di Napoli, spesso con programmi diversi: in quelle Scuole era inevitabile che si eternassero anche tradizioni diverse, m algrado si cercasse con ogni espediente di favorire la conoscenza e il cameratismo tra gli allievi, con scambi cli esperienze e periodi cli addestramento comuni. Nel 1868 il ministro Ribory aveva deciso di concentrare a Napoli il primo biennio dei corsi ed a Genova il secondo, ma restava il fatto che continua vano ad esistere due poli distinti della Marina. Già il ministro Persano, nel lontano 1862, aveva parlato del la necessità "di formare una scuola sola di marina che avesse sede nel centro d'Italia'' e si era sp into, il 18 novembre cli quell'anno, fino a presentare in Parlamento la proposta di fondare a Livorno un'Accademia unica, ma la caduta del Ministero Ratta7.zi aveva sepolto ogni cosa. Del problema si tornò a parl are in altre occasioni che d iedero a molti personaggi la possibilità cli e:;primersi favorevolmente, ma senza che alle parole seguissero i fatti. Anzi, affiorava ogni tanto l'indicazione di una localizzazione diversa, soprattutto a La Spezia, ritenuta idonea come sede eia un'apposita Commissione, tanto che il 12 dicembre 1871 il ministro Riboty lo aveva annunciato alla Camera senza avere poi il tempo di presentare il disegno di legge. Il Brin, ottenuta nel novembre 1877 l'approvazione del Consiglio su periore cli marina, presentò al Parlamento nel marzo 1878 il provvedimento per l'istituzione dell'Accademia navale a Livorno, superando " le antiche tradizioni e i pregiudizi del passato": il 16 maggio la proposta era legge e stanziava 600.000 lire per l'adattamento ad Accademia navale del lazzaretto di San Jacopo a Livorno. Tn settembre incominciarono i lavori di demolizione, costrnzione ed adattamento che si sarebbero co nclusi tre ann i dopo.<20) L'innovazione avrebbe avuto un'importanza fondamentale per la Marina militare italiana. Furono assunte decisioni rilevanti anche nel settore della marina mercantile. Venuti a conclusione, dopo 5 anni di lavori, gli studi preliminari per il (19) Cfr G. Fior.avanzo, La Marina mlii/are nel suo primo secolo di vita. 186 1-1961, Roma , Ufficio Storico della Marina Militare, 1961, p p. 42-45. ( 20) G. Galuppini, L'Accademia Navale (1881 -1981) , Roma , Ufficio Srorico della Marina Milira re, 1981 , pp. 7-58 e 360-65.
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., nuovo Codice della marina mercantile, se ne ebbe la definitiva sislcmazione nel 1877, socco forma di un testo unico che rimase sostanzialmente in vigore fino al 1942, sia pure con successivi emendamenti ed inlegrazioni. TI nuovo Codice aveva la sLessa sistematica di quello precedente del 1865, ma lo aggiornava innovandolo e alleggerendolo, così che la sua applicazione risultò nettamente positiva, e questo sebbene gli effetti benefici rischiassero di venire limitali dal regolamento del 1879, composto da 1079 a11icoli che pretendevano di regolare rutto - anche il modo in cui si doveva tirare una linea d iagonale su un registro - e che tradiva probabilmente la nuova invaden1.a dei poceri pubblici seguita all'avvenlo della Sinistra. Nel 1877 scadevano anche le con venzioni marittime stipulate dai governi precedenti e Brin enunciò, come lince guida delle nuove, la eliminazione delle sovvenzioni alle linee ormai non più necessarie a causa dello sviluppo delle ferrovi e, l'aggiornamento e il coordinamento dei servizi con le isole, l'espansione del commercio verso le aree più promettenti e - quel che più conlava una gestione più forte e unitaria della navigazione di linea. Ciò avrebbe signifi calo l'uso dei servizi sovvenzionatn come strumento di politica marittima anche all'eslero, sulle o rme di esempi stranieri. Rafforzati i collegamenti con Sicilia e Sardegna, furono istituite nuove lince internazionali per il Levante e per Singapore, come pure per Tunisi e per Tripoli. La spesa, che nell'ultimo precedente periodo era stata in media di 7,3 milioni di lire all'anno, salì subito a 9 e dopo qualche anno a poco meno di 13: massimi beneficiari ne furono le compagnie Florio e Rubattino, che dopo qualche anno si fusero tra loro reali zzando una sorta di mo nopolio.< 21 > E' ben nota la pane avuta dalla Rubanino nell'avviare sulla costa occidentale del Mar Rosso una prima presenza italiana, come punto d'appoggio e di ri fornimento sulla rolla per le Indie. L'apertura di Suez e lo sviluppo economico dell'Europa facevano nascere grandi speranze per la partecipazione dell'Italia al commercio marinimo internazionale. Non runa però si sviluppava in senso favorevole: ad esempio, la costm zione della rete ferroviaria romena e il suo collegamento con quella austriaca, definito dalla convenzione del 1875, colpì soprammo il traffico del pono di Galati e la navigazione fluviale sul Danubio, in cui la bandiera italiana aveva raggiunto il primo posto nel 1870. La Marina militare si adoperava per far conoscere e assicurare la presenza della bandiera nazionale in tutti i mari d el mondo, effettuando campagne oceaniche e viaggi di circumnaviga7.ione. Armatori ed imprendito ri cercavano nuovi sbocchi e nascevano compagnie e società che dietro all'interesse per l'esplorazione erano portatrici di solide motivazioni economiche e commerciali . (21) Aorc , cli., pp. 76-77 e 360-65 .
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Mentre B1in era ministro della Marina, nel 1877, Manfredo Camperio fondò la "Società di esplorazioni commerciali in Africa", cui aderi rono molti esponenti della classe imprendito1iale lombarda; la Società si orientò verso la Tripolitania e l 'Africa orientale - Camperio era uomo del Risorgimento e come Bixio sognava di rinnovare oltre Suez i fasti delle Repubbliche marinare in terre lontane - quando la conferenza di Bruxelles aveva suggerito agli italiani l'Africa occidentale, forse anche per distoglierli dalla nuova rotta del Canale che appariva la più promettente. Comunque sia, i risultati dei primi affari commerciali furo no deludenti e tanto bastò - scrive Aldo Garosci - "a schierare contro le avventure d'Africa una buona parte del capitalismo più moderno, che aveva dato vita alla società del Camperio; sicchè si può dire che la politica coloniale dello Stato si fece contro il nascente capitalismo; e proprio per questo divenne cosa di Stato, soggetta alle lotte del Parlamento e della politica".C 22) Ma il problema marittimo più grave che Benedetto Brin dovette affrontare in quegli anni riguardò i rapporti con la Francia. Le relazioni mari ttime italofrancesi erano regolate dal vecchio trattato del 13 giugno 1862, stipulato in una particolare situazione politica che aveva indotto la pane i taliana ad accettare spéciales conditions, come pudicamente le definiva il Ministero degli Esteri in una circolare ciel febbraio 1863. Il processo di unificazione aveva esteso a tutta la penisola la legislazione sarda che esentava le navi francesi dal pagamento dei diritti differemiali, mentre To rino aveva dovuto accettare che i francesi navigassero liberamente tra i poni ita liani ( ad esempio, tra Livorno e Genova, o tra Livorno e Napoli) in virtù di agevolazioni concesse loro dagli Stati scomparsi, sui cui impegni non era stato possibile esercitare il beneficio d' inventario. Quindi praticamente i francesi esercitavano il cabotaggio in Italia e vi detenevano una condizione cli spiccata preminenza, se non di quasi monopolio . All'inizio della vita dello Stato unitario ciò poteva anche essere utile, a causa delle deficienze della marina mercantile italiana, ma più passava il tempo, meno la situazione diventava tollerabile, tanto più che alla questione principale ciel cabotaggio si era aggiunto nel 1876 un decreto presidenziale che minacciava la pesca italiana del coral lo in Algeria. Nè da parte francese vi era disponibil ità a compensare negli accordi commerciali i privilegi di cui i transalpini godevano nel campo della navigazione, come confermò il trattato di commercio italo-francese del 6 luglio 1877. La questione si faceva sempre più spinosa perchè con gli altri Scali il governo italiano era riuscito ad avere rapporti cli reciprocità di trattamento, mentre la Francia escludeva dal cabotaggio la marina italiana lungo le sue coste atlantiche, dove il movimento della navigazione era maggiore che su quelle del (22) r. Leva, Storia delle campagne oceaniche della R. Marina, cit., pp. 88-400; S. Delureanu, // processo di uniflcazio11e italiana e l'opinione pubblica romena (1861 -1887 ) , in 1861-1887: il processo di uniflcaZione. ecc., c it., pp. 133-53; A. Garosci, cit., p. 521.
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Mediterraneo. Turco ciò in una fase in cui l'offerta di trnspono marittimo aumentava e la domanda prendeva anche altre vie. La flotta mercantile italiana era passata dalle 654 mila t del 1862 ad 1.029 mila nel 1878, e le navi a vapore da 57 per 10.228 la 152 per 63.020 t. Una pane crescente della domanda di traspo110 interno, inoltre, veniva assorbita dalle ferrovie, la cui rete si era estesa nel medesimo periodo di tempo da km 3079 a 8650. I governi della Destra non erano riusciti a modificare la situazione. La Sinistra si impegnò a sua volta e nell'aprile 1878 il primo governo Cairoli raccolse il voto favorevole della Camera sul testo di un nuovo trattato. In giugno, però, i deputati francesi lo respinsero, sia pure con soli 6 voti di scarto. Restava prorogato il vecchio tratrato del 1862, con grave lesione degli interessi italiani: d'altra parte ciò era inevitabile perchè l'esistenza di un accordo internazionale, comunque regolasse le cose, garantiva almeno la possibilità di un dialogo. In generale, l'a pplicnione dei principi del libero scambio era stata proficua per i vicini dell 'Italia, specialmente per la Frnncia che vi aveva ampliato le proprie esportazioni industriali, aprendosi poco ai prodotti italiani. Ciò ebbe anche ricadute finan ziarie negative perchè i governi ital iani, non potendo riscuotere i diritti doganali, ricorrevano a prestiti che aggravavano il debito estero e costringevano il Tesoro a rincorrere il risparmio nazionale, sottraendolo allo svi luppo dell 'industria. La reazione protezionista fu assai meno aberrante di quanto talvolta si pretenda. La verità, come scrive Pierre Guillen, ~ che "in Francia gli ambienti economici non si rassegnano a perdere le loro posizioni di privilegio nella penisola; inoltre, la nuova Italia appare loro come una concorrente su parecchi mercati del continente, e, per molti prodotti, sul mercato francese stesso. Ed è per questo che il Parlamento francese respinge nel 1878 il nuovo trattato commerciale con l 'Italia; negli anni seguenti le negoziazioni commerciali franco-italiane si insabbiano mentre l'llalia ri esce, non senza pena, a concludere nuovi trattali, sulla base di mutue concessio ni tariffarie, con l'Austri a-Ungheria, i l Belgio, la Svizzera, la Germania, l'Inghilterra. Ci si incammina così, a poco a poco, verso la rottura". Brin, che nell'aula di Montecitorio aveva ascoltato piL1 volte parole di insofferenza dai deputati, ne sarebbe stato uno degli artcfici.< 23)
(23 ) E. Del Vecchio. Di Rob/la11t e la crisi dei rapporti mt1rltllmi italo-francesi, Milano. Giuffn::, 1970, pp. 3-13; Guillcn. cii. pp. 25-26.
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CAPITOLO IV
Ferdinando Acton
Nel dicembre 1878 Benedetto Brin fu sostituito al Ministero eia Nicolò Ferracciù, che rimase in carica fino alla costituzione del secondo Gabinetto Cairoli, nel luglio 1879, nel quale il generale Cesare Bonelli, ministro della Guerra, resse ad interim la Marina. Furono entrambi personaggi di transizione ed è probabile che a loro alluda Augusto Vittori o Vecchj quando scrive cli "pallidi ministri ... che non furono vigorosi al segno da produrre del bene o del male."0) Nel mondo mi litare marittimo internazionale si discuteva sugli strumenti navali che sarebbero stati più utili. L'avvento della torpediniera aveva scatenato la fantasia: in Francia si profilò una corrente di pensiero propensa a ritenere che i siluri e il loro potenziale esplosivo fossero in grado di sovvertire i pri ncipi della guerra e della strategia. Com1parve, nel 1869, De la guen·e maritime, un libro scri tto dall'ammiraglio Richild Grivel che, traendo elementi di riflessione nuovi dall'esperienza della guerra civi le americana, anticipava le critiche che avrebbero investito in seguito le teorie tradizionali. Alcuni successi riportati da barche torpediniere russe nel la guerra contro la Turchia ciel 1877-1878 furono assunti come conferma che si era all 'alba cli un'epoca nuova. Una ventata di entusiasmo si diffuse nel mondo navale: la torpediniera, capace di sviluppare una fone velocità, poteva affondare con i 40 kg cli esplosivo del suo unico si luro una grande unità nemica; inoltre, le siluranti leggere costavano poco e nelle marin e militari, sempre ossessionate dagli oneri finanziari per le costruzioni navali, molti sperarono di avere individuato la quad rarur-a del circolo. Sorse in Francia la jeune école, di cui l'ammiraglio Hyacinthe Aube, più volte ministro, fu l'esponente massimo. La nuova filosofia navale negava che solo la battaglia delle forze organi zzate fosse importante ed elevava a sistema il rifiuto del combattimento decisivo tra forze pesanti, enfatizzando il valore della guerra di corsa. Le tesi della jeune école tendevano a valori zzare le nuove tecnologie, la velocità, il numero dei mezzi; in tal modo la specializzazione degli strumenti e la riduzione ciel tonnellaggio unitario diventavano importan-
(1) A. V. Vecchj, Al servizio del mare italiano, Torino, Paravia.1928,
p.365.
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ti elementi di valurazione per l'evoluzione della strategia e la formulazione dei programmi navali. Secondo le nuove teorie le costose navi da bauaglia, con l'avvento delle torpediniere, sarebbero diventare unità a rischio, sul punto di venire superate. Aube, però, era un uomo intelligente che invitava tutti alla discussione, convinto che "chiunque pensa, fa pensare, chiunque scrive, fa scrivere", ed era aperto ad ogni innovazione che apparisse utile alla Marina del suo Paese, come dimos1rò con l'islituzione della scuola di guerr,1 navale che in seguiro avrebbe preso posizione contro le sue opinioni:<2) gli epigon i, come sem pre, sarebbero srati meno ragionevoli e tolleranti del caposcuola. Una polemica accesa si sviluppò in llalia riguardo alle capitai ships. Venne posto in dubbio che i colossi già varati - che costavano sempre più dei preventivi e non erano mai pronti ad entrnre in squadra - fossero stali la scelta migliore. La mancanza di corazzatura dell'Italia e della Lepanto - inutilmente Brin durante la progettazione aveva insistito col ministro Saint Bon per dorarle di una cintura corazzata - faceva nascere "molte perplessità in alcuni strali dell'opinione pubblica e no n poche critiche in taluni ambienti tecnici. Vi fu infatti chi ebbe a ridire sulla totale mancanza di corazzatura di queste navi, vi fu chi ne trovò eccessivi il dislocamento e la mole, vi fu infi ne chi rilevò che Marine ben più importanti della italiana avevano seguito criteri totalmente diversi dai nostri nella costnizione delle loro corazzate. Le Marine britannica e francese avevano, ad esempio, cercato, sì, di accrescere la velocità e la potenza offensiva delle loro navi di linea, ma senza aumentarne eccessivamente il dislocamento e, soprattu1to, fornendo sempre tali navi di adeguata prote1.ione".<3) Con l'avvento del teno Governo Cairoti, nel novembre 1879, fu nomi nato (2) Donolo. cii., p. 215, dove è riportata l'equilibr:ua esposizione del Bernoni circt l 'importanza dei nuovi mezzi nel pensiero della jeune école. "Nella p reparazione alla gU<.:rra quando non si può avere la superiorità quantitativa bisogn:i cercare di assicumrsi la supcrioriti1 qualitativa. Chi è in situazione più difficile di quella del pre~umibile avversario, per costituire a questo il massimo rischio consentito dalle sue risorse deve non p artire dal p reconcetto di non poter f:1 re altro che comb:mere ad armi egual i, ben~ì deve scegliere la via più opportuna considernndo l'importanza dei nuovi mezzi. Natur:1lmente il principio enunciato comporta di :1gire con cautela non perdendo la fiducia e abolendo i meui già esistenti sino a che non vi è la sicu rez1:1 della p iena efficacia dei m1.:zzi nuovi". Erd questa cmitela che mancava :11la jeune éco/e. Anche in Frnnci:i le nuow teorie vennero :1cc.-:1nitamente avversate da chi non le condivide,·a: quando l'ammiraglio Aube. ministro della Marina del Gabineno Ferl)•, ,iccenò nel 1884 riclu1.ioni nell'assegnazione cli fondi per le costruzioni navali i n corso, vi fu una sollcvazion1.: negli alti gr:1di della Marina. Parlando con l'addetto navale italiano. CV Mirabello. il vice ammir.iglio Pcyron disse del suo ministro ce n'est qu'un /011, mentre l'ammiraglio Duper~, capo del 3° armndissement marl/fme, affermò che Aube non era ahbascan z:i p repar:llo, incapace dal punco di vista organ izwtivo e ci rcondato da mezze figure. come il capo di S.M. 13rown. "nullo come ufficiale di marina e come istruzione". (3) Giorgerini e Nani,
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cii.,
p. 190.
ministro della Marina il vice ammiraglio Ferdinando Acton. Personaggio di levatura notevole, l 'Acton aveva idee diverse rispeno ai suoi predecessori Saint Bon, "in assoluta d isgrazia", e Brin, confinato nel suo ufficio.C4) Le critiche alle decisioni del passato si fecero più incisive e culminarono in un articolo della Rassegna settimanale in cui venivano avanzati dubbi e perplessità sulla velocità e sull'utilità del Duilio: queste riserve furono poi smentite solennemenre in Parlamento con l'approvazione di un ordine del gio rno Crispi che recitava:"La Camera soddisfatta dal successo o ttenuto nella costruzione del Duilio e nella fiducia che con esso sventolerà glo riosa la bandiera nazionale a tutela della Patria, esprime la gratitudine del Parlamento ai valorosi che lo idearono e lo costruirono". Ma questo piropo del febbraio 1880 non esprimeva il punto d i vista del ministro. Le perplessità sui programmi realizzati e previsti crescevano, dentro e fuori della Marina: era stato, sarebbe stato ancora giusto impegnarsi così sulle navi di linea? Brin intervenne per difendere la sua opera di mjnistro e di tecnico con un articolo sulla Riforma, ma le polemiche salirono di tono. Non era più sicuro che il potere marittimo italiano, come Saint Bon e Brin avevano ritenuto, dovesse fondarsi su una struttura portante di navi da battaglia molto grandi. Le unità leggere presentavano la suggesti va speranza di risolvere a buon mercato il p roblema della difesa marittima. I lo ro sostenitori speravano in una rivoluzione che annullasse il divario tra le marine più forti e quelle di secondo o rdine: "fino a che non esistevano le torpediniere era assioma imprescindibile che una forza navale non avesse mai a cimentarsi con altra soverchiamente superiore in numero e forza; ma, poichè le torpediniere entrarono in campo, sono mutate assai le condi:doni di accettazione o rifiuto della lotta. Una nazione che manda la sua flotta a guerreggiare lontano dalla madrepatri a, e quindi non possa e non voglia avventurare in alto mare un grosso stuolo di torpediniere, anche possedendo una flotta potente e numerosa, potrà forse il g io rno dell'azione pagar cara la scarsità d i torpediniere da contrapporre a quelle del nemico." L' Italia avrebbe dovuto, quindi, mol tiplicare il numero delle sue torpediniere per fondare sulla nuova arma e sul siluro la sua moderna potenza navale. Questa convinzione tr ovava una sponda in Germ ania, dove la Beihett zum Marine Verordnung Blatt sosteneva che la diffusione del siluro avrebbe condotto le Marine militari a tendere verso l 'equivalenza, annullando gran parte dei preesistenti motivi di differenziazione cli potenza. E la trovava in Inghilterra, dove la filosofia tradizionale delle unità di linea si scontrava con le opinioni di quegli ufficiali, specialmente giovani, che attribuivano un'impor(4) Così il Vecchj, riportato dal Ferrnnte, cii. , p.5,4.
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tanza fondamentale a siluri e torpcdiniere.<5) Le vedute dell'Acton, per la verità, non riguardavano tanto una opzione di impiego in massa di torpediniere, quanto un assai meno rivoluzionario cambiamento nelle caraneristiche delle capitai ships, che avrebbero dovuto risultare meno costose, più piccole e più manovriere. Accadde un incidente, che portò acqua al muli no dei novato ri. Un paio di settimane dopo l'approvazione alla Camera dell"ordine del giorno Crispi , uno dei cannoni da 100 t del Duilio, del calibro di 450 mm, scoppiò ferendo una decina cli persone. Il ministro nominò una Commissione superiore d'indagine presieduta dal Saint Bon e composta da sci membri, tra i quali il Brin, che alla fine di luglio presentò la sua relazione che forniva la spiegazione tecnica clell'awenuto - "una piccolissima ed incipiente fenditura del tubo d'acciaio, preesistente agli ultimi tiri e situata nell'angolo dove comincia il raccordamcnto della camicia con l"anima·· - e suggeriva qualche modifica per la ricostruzione, eseguita dalla dina costruttrice Armstrong senza o neri per lo Stato. J\ella seduta della Camera del 23 aprile 1880, il mi nistro Acton lanciò, come scrive il Ferrante, "i l manifesto delle nuove costruzioni navali''. Disse:" 1el momento anuale quello che ci preoccupa è la scelta delle navi che conviene mettere in costruzione per ottenere il massimo possibile d i forza nella squadra eia battaglia ... se è logico il concetto di accrescere le qualità difensive sopra navi di grande costo, è anche ragionevole l'altro concerto della proporlionata diminuzione di tali qualità nelle navi che costano meno, perciò in una nave d i poca spesa è inopportuno esagerare alcune difese contro danni poco probabili, e poi anche il numero delle navi è un fattore di p0tenza marittima ... La potenza offensiva cli una nave da guerra si compone cli due fattori: l'artigl ieria cd armi subacquce e lo sprone; e questi fattori sono considerati da runi equivalenti, seppure non si voglia dare la preminenza allo sprone. Ora è evidente che aumentando in una sola nave molla potenza cli artiglieria, cioè facendola grandissima, non si accumula in proporzione anche la potenza dell'urto, poichè lo sprone resta uno soltanto. D'altronde nessuna nave per quanto perfetta può considerarsi come unico tipo efficace per combattere. Quindi alle navi grandissime è indispensabile aggiunger e anche navi da battaglia moderate". Il ministro aggiunse considerazioni di natura finanziaria: le Duilio erano costate 22 mi lioni, se si fosse riusciti a contenere in quella cifra anche la spesa per le Italia, che pure erano più grandi, si sarebbe arrivati ad un totale di 88 milioni, che superava di 20 milioni le previsioni. Le risorse d isponibili per ogni nuova nave di P classe eia costruire scendevano cli conseguenza da 15 a 10 milioni, e con queste si potevano realizzare solo uni1à molto più piccole del (5) L. Armani. le 101pedinier<• e la guerr(I navale. in Rivista Mari/lima, 1882. I. pp. 455-70 e li , pp. 95-104; !111po11a11za del siluro sulla potenza delle ,!farine. ibidem. 1882, lii. pp: 263-69
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Duilio. L'Acton, oltre che delle polemiche nazionali , teneva conto dell'esperienza britannica e francese, le qua li avevano puntato a rafforzare Ja potenza offensiva e di fensiva delle unità di linea senza aumentarne troppo il dislocamento e fornendole di protezione adeguata. Quando ebbe luogo il dibattito padamentare del 23 aprile, il ministro aveva già incaricato l'ispettore del Genio Navale G iuseppe Micheli di progettare le nuove unità. I concetti che emergono dalla esposizione che il ministro avrebbe fatto delle sue idee dinanzi al Consiglio Superiore di Marina nell"ottobre successi vo fanno pensare ad una sorta di anticipazione delle corazzate tascabili. L'Acton le descrive come piì:1 modeste dei quattro colossi, idonee ad o perare in acque meno profonde e qui ndi capaci di estendere l'area della loro presenza operativa, essendo ad un tempo in grado di attaccare e contrastare l 'avversario e d i intervenire contro le forti ficazioni costiere. Ma queste navi, il cui · numero sarà ·'condi zione essenziale di potenza", dovranno avere tutte le qualità: pescaggio m 7,50, velocità 16 nodi , artiglierie potenti e rapide in torri girevoli, rostro, due barche torpediniere. In tal modo le corazzate tascabili di Acton avrebbero dovuto riunire tutte le qualità possibili, essendo piccole, potenti e veloci . Obiettò Brin: "l'unico difetto di quesLe navi è che non esistono".<6) Ma la battaglia cli 13rin contro le nu.ove idee, che accusava di essere molto vecchie e di tornare indietro nel passato, non si limitò a qualche battuta caustica. In Parlamento e fuori la polemica veniva condotta da entrambe le parti con toni molto duri. Brin accusò in Aula il ministro di essere responsabile della decisione grave di costruire a priori delle uniLà imper fette, con questa pretesa di applicare alle costruzioni per la flotta compitini di matematica finanziaria elementare. Nelle o pinioni espresse dal minisLro leggeva l'esiziale ritorno ai concetti superati della difesa locale affidata a piccole unità e ammoniva che non esistevano "corazzate cli destra, nè corazzate di sinjstra··. La discussione tecnica - che vedeva schierati col Brin il Saint Bon ed il gruppo <:rispino e con l'Acton il Maldini e il Depretis - veniva esasperata dallo scontro politico, che si svolgeva tra persone e gruppi, fuori dalle tradizionali linee di separazione del Parlamento, e proprio per questo era più accanita. Nel maggio 1880 il ministro lanciò un referendu m nella Marina, per conoscere l 'opinione degli ufficiali sulle caratteristiche delle nuove unità da mettere in cantiere. Ne risultò che la maggioranza propendeva per una nave corazzata eia 8 mila t, 15 nodi di velocità, autonomia cli 10000 miglia: molti inoltre consideravano con favore le commesse estere, perchè quei cantieri assicuravano una consegna piL1 pronta e quindi un aumento più immediato della potenza navale. Tale posizione era l 'evidente, esasperata conseguenza degli interminabi li allestimenri che la Marina aveva speri mentato, ma su questo piano l'Acton non li segt1ì. ( 6 ) fc:rrante, cii ., pp . 54-69 .
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Presso il Ministero fu istituito, il 22 agosto, il "Comitato per i disegni delle navi", presieduto da Benedetto 13rin e composto dall'ispettore del Genio Navale Giuseppe Micheli e dal direttore del Genio stesso Antenore Bozzoni.(7) Il Comitato riesaminò i primi disegni del Micheli in relazione alle caratteristiche decise per le nuove unità di linea, jJ cui dislocamento, secondo una legge fatta approvare dall'Acton, non doveva superare le 10000 t. Intanto però la polemica continuava, con esagerazioni e interventi acrimoniosi. Il Fanfulla utilizzò la penna di Jack La Bolina, e scrisse che le piccole navi erano "cavalleria montata su ciuchi"; l 'Arabo propose di costruire solo torpediniere di secondo ord ine che avrebbero comportato poca spesa e sarebbero state pronte in breve tempo. Simone di Saint Bon e Benedetto B1in si risolsero a scrivere due libri per di fendere sé stessi e le idee che avevano sostenuto.C8) Nel suo scritto Brin ripercorreva la storia della Marina militare italiana, rilevando l'inquietudine che si era provocata nel Paese con le critiche al Duilio ed alle altre maggiori unità, che tanto apprezzamento invece avevano riscosso fuori dai confini. Ribadendo che prima di licenziare i progetti aveva "ben riflettuto" , ricordava che sorte degli innovatori è di venire derisi e, citando i più noti costrutt.ori navali del tempo, affermava che il solo Duilio era migliore di tutta la vecchia flotta e che ritornare al passatO avrebbe potuto giocare "scher zi pericolosi ", poichè ci si sarebbe posti contro la direzione della storia. Conveniva polemicamente col Maldini, il quale aveva detto che i quattro colossi navali italiani peccavano "per eccesso di potenza" e rilevava che po11ando avanti il ragionamento secondo cui due navi da 7000 t avrebbero battuto una nave da 14000, si sarebbe arrivati a dire che per debellare l'Italia sarebbe bastato contrapporvi 4666,666 gondole di Venezia. Ricordava che invece la sola corazzata francese Gioire era bastata per scopare fuori dal Golfo del Messico i bastimenti avversari. L'accorata perorazione concludeva ribadendo la necessità di unità potenti, restando alla testa del progresso invece di farsi trascinare in coda. Anche dal punto di vista economico la nuova linea non era producente: a che pro' avere escavato Taranto e Venezia a 10 metri d i profondità se poi non vi fossero transitate le grandi navi per le quali erano stati effettuati i l avori? Si poteva star certi che "gli ufficiali e gli equipaggi, ad ogni modo, faranno il loro dovere", ma perchè chiedere che cessasse lo scandalo che l'Italia avesse navi p iù potenti ' E se, tutto sommato, si puntava ad unità meno grandi di poco, tanto che pareva volessero tutti all'incirca le medesime cose, ci si ricordasse delle navi per(7 ) G. Galuppini, il Minislero della Marina. supplemento alla Rivista Ma1illima, luglio -agosto 1970, p . 11. (8) S. di Saint Don, la quis1tone delle navi, Torino, Loescher, 1881; B. Brin, cii., 1881.
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duce a Lissa per risparmi, appunto, da poco.<9) E citava Domenico Farini, il quale aveva ricordato alla Camera, il 2 marzo 1875, come Napoleone a Sant'F.lena avesse ammonito che l'Italia "se fosse diventala una, per esistere avrebbe dovuto essere una potenza marittima··.<JO) Alla fine la montagna partorì il topolino. TI progenista incaricato dall'Acton di disegnare le nuove corazzate, dopo qualche tentativo di trovare una soll1zione originale, ripiegò sul Duilio. L'ingegner Micheli cercò di tener presenti le critiche mosse alle costruzioni precedenti e i difetti già emersi nella grande nave di linea: "per migliorare la tenuta al mare si prev,de la costruzione di un alto castello di prorc1; l'evoluzione delle artiglierie permise cli equipaggiarle con i più potenti pezzi a retrocarica sistemati in barbetta. Lo sviluppo della costruzione delle corazze rese possibile I' installazione cli più efficienti piastre coraz7.ate, inoltre tutte le attrezzature in genere furono migliorate··. Ma le corazzate tascabili o rdinate da Acton superarono tutte di oltre il 12% quel dislocamento massimo di 10.000 t che si era voluto fissare per legge. Tutte le nuove unità di linea furono costruite in Tcalia: il Ruggiero di Lauria nel cantiere di Castellammare di Stabia (impostata nel 1881, varata nell'agosto 1884, completata nel gennaio 1888), il Francesco Morosini nell'Arsenale di Venezia (impostata nel 1881, varata nel luglio 1885, completata nell 'aprile 1889 ), l'Andrea Daria nell'Arsenale de La Spezia (impostata nel gennaio 1882, varata nel novembre 1885, completata nel luglio 1891). Per la lo ro entrata in squadra fu necessario aspettare, rispettivamente, 7, 8 e 9 anni dalla impostazione. Per navi cli concezione non così originale, progettate in gran parte su modelli esistenti, non si trattava di perjormances eccezionali: evidentemente, il clife110 era cronico. Eppure uno degli elementi che avevano provocato la decisione dell'Acton di mettere in costruzione le tre unità era stata la necessità di disporre presto delle nuove corazzate per sostituire il naviglio di linea della flotta, ormai obsoleto tranne le due Duilio e le due llalia Le nuove unirà erano dotate cli un rostro sommerso di circa 3 m, di una cintura corazzata di protezione e di 4 pezzi Armstrong da 431 mm, disposti in complessi binati, che costituivano l'artiglieria principale; avevano poi 2 pezzi eia 152, 4 da 120 e 29 minori, oltre a 5 rubi lanciasiluri. L'apparato motore costruito in Inghilterra per il Ruggiero, a Napoli per le altre due - sviluppava
(9) Alia Palestro era stata esiziale l'insufficiente pon:ua di c:.irbonc, alla Re d'Ila/fa la m:mcanza di pochi metri di comzzatura del timone. (1 0) Brin, cii.. pp. 5-21 I .'la questione es.semiale del dibattito, secondo il Brin. nasceva dalla peri-
colosa tendenza .tl ritorno verso il vecchio ;.istema della marina inglese, da queMa abb-.indon:110 fìn d,11 1832. sistema che consisteva nello stabilire a priori la grandezza cli una nave, per acceuare di conseguenz.1 rarmamemo, la protezione e la velocità. come se questi non fossero im•cce gli scopi da r.tggiungere. Questo sistema em contr:irio al buon senso; bisognava prima stabilire cosa sì vuole o ttenere, e poi fare una nave in grado di soddisfare a quelle condizioni". Capone, cfl., p. 314.
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e risultò migliore di quello delle Duilio. "Queste corazzate - scrive Giorgerini - fecero perdere atrltalia la posizione di primato nelle costruzioni navali che si era guadagnata con le Duilio e le Italia, e tale primato passò all'Inghilterra che in quel periodo costruì la classe Collingwood, prototipo della nave da guerra della fìne del secolo XlX0 • Mentre le nostre navi conservarono le sistemazioni che furono già delle Duilio, le unità inglesi introdussero la d isposizione di maggior rendimento con le d ue torri di grosso calibro poste nel piano assiale, alle due estremità di un ridotto c:orazzato, che doveva proteggere in seguito, nelle costruzioni più moderne, le artiglierie secondarie. L'Italia giunse solo in un secondo tempo a questa soluzione con la classe Re Umberto". Sarebbero state, queste, navi da banaglia di concezione del tutto nuova. Nel 1883 il ministro Acton incaricò Rencdeno Brin della progettazione, colpito anche dalle critiche che provenivano dall'inquieto ambiente marinaro italiano sulle tre Laun·a in costruzione. Va rico nosciuto all'Acton, che pure non aveva una propria filosofia panicolarmente avanzata sulle navi di linea, di essersi reso conto che la flotta italiana aveva bisogno di puntare a soluzioni moderne: la sola condizione che pose per la nuova classe di corazzate, fu che non diventassero colossali . Il lavoro di progenazione, iniziato con l'Acton, continuò durante l'incarico del successore, vice ammiraglio Andrea Del Santo; sarebbe spettato poi allo stesso Brin, ritornato ministro, realizzare le nuove unità.On In quegli anni incominciavano ad essere costruiti in lnghilterrn gli "incrociatori proteni": noti in particolare quelli della classe Comus e della classe Leander. Si trattava di navi che avevano solo una corazzatura orizzontale - la cintura restava scoperta - buon armamento e buona velocità, con limilato dislocamento. Tali unità appari vano particolarmente adatte alla guerra di corsa ed al servizio coloniale, ma non per il combattimento navale di linea come allo ra veniva_ concepito, tanto che vennero definite "navi di vetro cariche di armi" . La prima nave italiana di questo tipo fu ordinata all'estero, con !"evidente intenzione d i concentrare le esperienze e le conoscenze disponibili nel prototi po, da util izzare poi come modello p er l 'industria nazionale. Il Parlamento approvò la spesa per il nuovo incrociatore - costò circa 5, 5 milioni - che fu progettato dal Kendel e costruito nei cantieri inglesi Armstrong: impostato nel luglio 1882, fu varato nel dicembre 1883 e nel maggio 1885 era pronto ad entrnre in squadra. Banezzato col nome di Giovanni Bausa n, il primo incrociatore protelto italiano dislocava 3128 t - meno delle similari unità britanniche desti nate ad o perare sugli oceani - ed aveva un armamento di tutto rispetto: 2 pezzi da 254 mm e 6 da 152 - questi di sposti sui fianchi - oltre ali 'a11iglieria mino re ed a 3 tubi lanciasiluri. Tenuto conto del teatro operativo ristretto cui (11) Giorgerini e Nani, cli .. pp. 190-202.
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era destinato, aveva un'autonomia limitata a 5000 miglia alla velocità di 10 nodi, ma poteva sviluppare una velocità massima di 17. TI Bausan, classificato "ariete torpediniere", rispondeva alla nuova impostazione data dall'Acton alla politica delle costruzioni navali e venne seguito da altre tre unità similari. Lo stesso Parlamento raccomandò che venissero realizzate nei cantieri nazionali e fra il 1883 e il 1884 vennero impostate l'Etna a Castellammare di Stabia, il Vesuvio a Livorno e lo Stromboli a Venezia. Il progettista, ispettore del Genio Navale Carlo Vigna, sostanzialmente le riprodusse dal Bausan, come il quale mediamente vennero a costare. Dislocavano però di più - da 3427 a 3530 e - ed erano p iù armate: identica l'artiglieria maggiore, disponevano però di 10 pezzi minori invece di 6, di 2 mitragliere e di 4 lanciasiluri ciascuna. Tra l'impostazione e l'allestimento presero 4-5 anni di tempo. Detti "arieti torpedinieri" furono classificati navi da baccaglia di 4° classe. Ciò confermava che la concezione della guerra navale che era stata alla base della loro scelta no n poteva essere quella dello scontro campale e decisivo era navi di linea, ma piuttosto quella, più articolata e più mobile, del contrasto marittimo a tutto campo, tipico della jeune école. I ncrociacori leggeri molto armati e poco protetti avrebbero avuto il ru olo di esplo ratori e di conduttori di flottiglia di unità torpediniere nelle acque costiere e, in alto mare, la funzione di portare direttamente la minaccia si lurante.0 2) Ci si potrebbe chiedere a che cosa servisse l'aniglieria di cui erano equipaggiati, quando non avrebbero potuto affrontare unità similari corazzate, cioè veramente pro tette. Forse si pensava ad incursioni rapide contro le coste avversarie od alla guerra al traffico: la forte dotazione di artiglieria fa pensare che dopo le corazzate tascabili lo spirito del tempo facesse immaginare anche gli incrociatori tascabili. La stella della torpediniera saliva intanto nel firmamento navale. Non pochi sperarono in Italia di risolvere con essa la questione della difesa delle coste e non mancò la tentazione d i farlo attraverso una distribuzione d i torpediniere in vari punti del litorale, così da rassicurare con qualche cosa di visibile, ma di economico, la popolazione costiera.03) Dopo le torpediniere sperimentali Nibbio ed Avvoltoio, ordinate dal Brin in I nghilterra, le commesse di piccole siluranti costiere si moltiplicarono e gra-
(12) Giorgeri ni pp. 149-60.
e
Ntini, Gli incrociatori italiani, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1971,
( 13) Er.i la stessa politica che gli americani, lrascinati dai timori degli ab itant i delle contee confinanci col mare. avevano eseguito con le gu11 boats prima della guerm del 1812: p roprio quel conflicto ne dimostrò l'assoluta inefficacia, tanto che gli i nglesi poterono sbarcare nella baia di Chesapeake e incendiare gli edi fici pubblici cli Washington. SO anni dopo in Italia !"ammiraglio Vacca proponeva di risolvere la questione della sicu rezza marinirna d istribuendo 15 corazzate in 8 p oni del lito rale. Con le corpecliniere antichi p regiudizi tornaro no cli moda, con ripetute proposte cli cl iscribu ire le silurJnti cost iere qua e là sulle sponde della penisola e delle isole maggiori.
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dualmcnte le torpediniere presero ad essere costruite in Italia, sempre su modello inglese. Tra i1 1879 e il 1883 si trattò di unità costiere o di mezzi che avrebbero dovuto essere trasportati da altre navi, cosa che in Italia ebbe luogo in un paio di casi. Il naviglio sottile fu dislocato prevalentemente nelle basi di La Spezia e di Venezia per la difesa mobile. Nel 1879 la Marina italiana o rdinò alla Yarrow di Londra due torpediniere costiere di 3° classe, lo Sparviero e il Falco, che dislocavano 40 t, sviluppavano 22,5 nodi, avevano un 'autonomia di 3 ore ed er-,mo armate da 2 tubi lanciasiluri e da un cannoncino revolver del tipo Nordenfeld. Alla Thornycrofc, pure di Londra, furono ordinate altre due torpediniere analoghe, l'Aquila e il Gabbiano (dislocamento 35 t, velocità 20 nodi, autonomia 3 ore, armamento come sopra). La prima corpediniern costruita in Italia si chiamò Clio e venne varnta a Livorno nel 1884 . Su disegno dcli • ingegnere Luigi Borghi, d iretto re del Genio Navale, era stara realizzata con "forme speciali per poter entrare galleggiante nella galleria di poppa della regia corazzata Duilio cd uscirne senza pericolo cli avarie", come recitava il catalogo dell'Esposizione generale italiana di Torino, dove la navicella fu esposta nel 1884 dopo essere stata trasportata per ferrovia : d islocava 27 t, marciava a 18 nodi e disponeva di 2 cubi lanciasiluri. Considerata ormai esaurita la fase dei prototipi, i cantieri Tho rnycroft ricevettero nel 1882 una piima consistente commessa di silurnnti: furo no le 14 torpediniere costiere della classe Eute,pe (dislocamento 13,5 t, velocità oltre 17 nodi, armamento 2 tubi lanciasiluri) e le 4 della classe M osca (dislocamento 16 t, velocità 20 nodi, 2 tubi lanciasiluri ) . La clorazione di siluranti costiere per la fl otta fu completata con 30 torpediniere della classe Aldebaran, che sviluppava e perfezionava i precedenti tipi Lightning ccl Aquila, ciel medesimo costrutto re. Le Aldebaran, modello C, dislocavano 39 te sviluppavano una velocità di 21 nodi. Meglio protette delle altre torpediniere del tempo, erano armate da 2 lanciasiluri e da un cannone revo lver. L 'industria cantieristica italiana partecipò per la prima volta in maniera impo rtante alla forniturn: su 30 unità, 11 furono costru ite in Inghilterra e varate tra il 1882 e il 1883 e 19 in Italia, dove scesero in mare tra il 1883 e il 1887: furono impegnati quattro diversi cantieri - Pattison e Guppy di Napoli, Orlando di Livorno, Oclcro cli Sestri - nelrevidente intenzione di inseminare e diffondere nelrindustria nazio nale l'esperienza e la tecnologia britanniche. E' noto che questa linea di politica industriale sarebbe stata rafforzata e accentuata col rito rno del Brin al Ministero della Marina, ma non c'è dubbio che il processo era incominciato prima. Successivamente l'evoluzio ne delle siluranti portò all'aumento del dislocamento unitario, così che le torpediniere della classe Aldebaran furono le ultime di 3° classe (da 30 a 60 t ) in Italia. (14) Benchè su una posizione diversa da quella del Saint Bo n e del Brin, ( 14) Cfr Pollina, cli., pp. 39-73.
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Ferdinando Acton dimostrò cure costanti per la flotta ed un cerco dinamismo costruttivo, anche in relazio ne al peggioramento intervenuto nella posizione internazionale dell'Italia e nella sua sicurezza marittima. Già l 'assetto balcanico e l'equilibrio adri atico, come erano usciti dal Congresso di Berlino, avevano danneggiato l 'Italia. Vienna occupava la Bosnia e l'Erzegovi na e presidiava il Sangiaccato di Novi Pazar, avanzando anche in Adriatico. La concessione del porto di Antivari al Montenegro era accompagnata infatti dalla proibizione al principato di possedere unità navali mili tari e dall'affidamento della polizia marittima e sanitaria del litorale all'Austria; in seguito a ciò, la posizione navale austriaca in Adriatico si avva leva di un avanzamento a sud, che due ann i dopo - in seguito alla cessione di Dulcigno al Montenegro - diveniva ancora più pronunciato, attestandosi alle frontiere settent1ionali dell'Albania. C'era poi la sempre dolente questione romana, che provocava fastidi ad ogni piè sospinto. Anche quando non si trattava di fatti, erano pur sempre sgradevoli preoccupazioni: nell'estate 1881, quando veramente il governo italiano non aveva bisogno di ulteriori problemi, giunsero voci di una possibile partenza della coree papale per la Corsica, sotto la protezione del la Francia; e in dicembre la stessa fonte avrebbe facto sapere che Bismarck pareva "realmente propenso ad accettare il protettorato della Santa Sede".<1 5) Ma il peggio era staro, nella primavera di quell'anno, l'occupazione francese della T unisia con la benedizione di Uismarck, il quale ancora nel luglio diceva essere il "Mediterraneo sfera di espansione naturale del popolo francese". L'occupazione di Tunisi coincideva con una fase di ri lancio della Marina francese; rispetto al 1870-1874, le spese per le costrnzioni si erano più che triplicate e a partire dal bilancio 1878-1879 toccarono il milione e mezzo di sterline, quante ne spendeva l'Ammiragliato londinese. Nei sci anni successi vi le spese francesi per la flotta si tennero al passo con quelle b ritanniche, contribuendo a mantenere accesa le tensione internazionale. L'Italia, debole e ancora isolata, guardava con ansia a simiEi pot.enziamenci navali, avendo davanti agli occhi le condizioni infelici della propria difesa costiera. Era questo il problema più drammatico e lo sarebbe rimasto per molto tem po. Nel maggio 1881 Sidney Sonnino scrisse sulla Rassegna settimanale che all'Italia occorreva l 'amicizia con l'Inghilterra e "l'accordo più stretto con i due Imperi dell'Europa centrale". Non c'era, infatti, altra via, ma non fu nè facile, nè indolore. Preventivamente Roma dovette accettare l'avanzata balcanica cli Vienna e il fatto compiuto di Tunisi; poi dovette rinunciare esplicitamente all'idea cli utilizzare l'alleanza a sostegno delle proprie aspirazioni, "neppure riguardo a quei legittimi nostri interessi, che soffrono presentemente della con(1 5) Kulczycki a Corrent i, Roma, 19 agosto ed 11 dicembre 1881 , in C. M. Fiorentino, il conclave di leone Xlii, in Rassegna storica del Risorgimento ilalicmo, 1997, 11, pp. 181 -82.
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dizione di cose esistente nel Mediterraneo~, come dovette scrivere il mm1stro degli esteri Mancini, il 29 dicembre 1881, all'ambasciatore a Vienna di Robilant. Si giunse così, il 20 maggio 1882, al primo trattato della Triplice, che non pot~va essere diretto contro l'Inghilterra e garantiva l'Italia soltanto dalla rovina estrema: in caso di aggressione non provocata, i contraenti si sarebbero consultati in tempo utile sulle eventuali misure militari da assumere. Forse anche questo contribuì nel luglio a far decidere il governo italiano che era meglio non accenare l'invito britannico di intervenire in Egitto.06) In giugno il Parlamento approvò una spesa di 16 milioni per patenziare le basi di Spezia, Taranto e Venezia; la massima parte delle risorse stanziate era destinata alla costruzione di grandi bacini, capaci di accogliere le nuove cora zzate a La Spezia ed a Taranto e ad allargare il canale navigabile tra Mar Grande e Mar Piccolo nella piazza pugliese. Per la difesa di Spezia, inoltre, vennero reperiti altri 10 milio ni. I tre centri marittimi erano gli stessi che poco tempo dopo i commentatori tedeschi del Militar Wochenblatt avrebbero indicato come quelli da fortificare. Ma questa concentrazione di sfor~i mostrava il superamento, in Italia, di vecchie tentazioni dispersive per la difesa e confermava la scelta della Marina per la difesa delle coste in alto mare, principio o rmai ben radicato, che non fu eluso dall'approvvigionamento di torpediniere costiere. Anche queste ultime, infatti, furono concentrate alla difesa di poche basi. Aumentò anche la spesa nazionale per la Marina, il cui bilancio, passando dal 1882 al 1883, compì un salto in avanti di 14 milioni - che però in lire costanti risultano mo lto meno - impennandosi poi negli anni successivi.<17) Lo sviluppo della potenza marittima e coloniale francese nel Mediterraneo occidentale manteneva acceso il timore di pericoli per le lunghe coste italiane aperte ad offese dal mare. Le manovre del! 'ottobre 1883 confermarono che la minaccia er<1 reale: ben difficilmente si sarebbe riusciti a respingere un·invasione marittima sul litorale campano. Le manovre del 1884 ebbero invece per base La Maddalena, nel tentativo di articolare una certa copertura strategica sulla rotta d'incidenza di un attacco nemico. Anche da Londra e da Madrid il potenziamento della flotta francese era visto con sospetto, ma poichè nella stampa transalpina il tema dello sbarco in Italia veniva dibattuta fn.:qucntemente, discettandosi sul punto piu idoneo, la pressione sulla Marina italiana risultava particolarmente forte. Nè contribuivano ad allentarla le osservazioni degli esperti, ché il 20 settembre 1884 l 'addetto navale a Parigi, CV Mirabello, scrisse al ministro - dal marzo precedente er<1 di nuovo Brin - che una guerra ( 16 ) Occasion~ perduta sulla quale molti si strapp arono le vesti. ( 17 ) Fior:ivanzo, cli ., p . 52.
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marittima con la Francia sarebbe stata fatale al Paese, se non si fosse aumentata la flotta e fortificate le basi.08) Quando l'Acton sostituì il Bonelli al ministero della Marina era in corso una spedizio ne navale italiana nel Mar Rosso. Composta da un modesto avviso, l'Esploratore, e dal piroscafo Messina, era destinata ad avere rilevanza politica perchè avrebbe rappresentato cli farro il passaggio allo Stato del piccolo insediamento privato della "Rubattino" nella baia cli Assab. Da allora la Marina italiana vi sarebbe stata costantemente presente, sia pure con navi antiquate e di scarso valore bellico, ponendo le premesse per il riconoscimento britannico della prima colonia italiana e della convenzione del 10 marzo 1882 tra lo Stato e la società "Rubanino". È significati vo che il movimento del porto, limitato nel 1880 a qualche nave militare ed ai piroscafi di quella società, crebbe nel 1881 a 650 natanti, nel 1882 a 860 e nel 1883 superò i 1000. Ferdinando Acton ereditò la questione degli arsenali meridionali. Per Taranto il ricordato provvedimento rese disponibili 9,3 milioni, da spendere in 8 anni per demolire le vecchie fortificazioni ed avviare concretamente la nuova piazzaforte, ma per le chiusure in Campania che avrebbero dovuto compensare i nuovi investimenti furono dolori. Il 5 febbraio 1881 l 'Acton presentò in Parlamento una proposta per "l'ordinamento degli Arsenali militari marittimin che prevedeva la chiusura di Castellammare di Stabia e di Napoli. Come era già accaduto quando il Di Bracchetti aveva avanzato la medesima idea, contestazioni e manifestazioni ebbero luogo nei due centri campani, le Amministrazioni locali intervennero e i deputati del posto si attivarono. L' Acto n tentò di indorare la pillola, spiegando che "imperiose esigenze della d ifesa e della sicurezza ciel Regno impongono che l'Arsenale di Napoli e il cantiere di Castellammare non siano tenuti in conto dello Stato", ma che l 'art. 6 della legge lasciava in dote al cantjere le attrezzature perchè potesse continuare la sua attività con una gestione privata: la Marina avrebbe continuato a dare le commesse. Il suo discorso rispondeva alla logica economica, come ugualmente rispondeva a criteri di sana amministrazione la eliminazione dell'arsenale di Napoli nel momento in c ui si attivava Taranto. Non ci fu verso. Il Parlamento approvò le spese a Spezia, Venezia e Taranto,"prevedendo di far rimanere in esercizio l 'arsenale di Napoli fin quando che la nascente struttura tarantina non fosse divenuta completamente funzionante" . Intanto la struttura foranea del complesso napoletano veniva rinsaldata e il molo di San Vincenzo prolungato da 870 m a 1160 fra il 1883 e il 1884.09) 08) M. Gabriele. le Convenzioni navali della Triplice, Roma, Uffieio Sterico della Marina Militare,
1969, pp. 9-23. (19 ) Formicola e Romano, cii ., pp. 70-71.
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In tema di politica industriale, la linea tracciata da Benedetto Brin ebbe un ulteriore sviluppo. Su iniziativa della Marina, nel maggio 1883 venne costituita una Commissione parlamentare di studio sulle industrie meccaniche e navali, presieduta dal Brio. La Commissione procedette senza esitazioni sulla via già indicata dal suo presidente quando era staro ministro: '·l'importanza delle conclusioni di questa Commissione sta nel fatto che proprio la Marina militare... avrebbe dato da quel momento in poi un notevole impulso all'industria siderurgica e ad alcune industrie meccaniche, sostiLUendo in parte la funzione di stimolo chc.. .non fu svolta dalle ferrovie e dalla costruzione navale meratntile ...<20> Lucio Ceva ricorda una vicenda, relativa all'Alto Comando militare, che giunse a conclusione mentre Acton era ministro. L'art. 10 del la legge Hicotti del settembre 1873 istituiva, accanto allo Stato Maggiore (considerato una categoria cui appartenevano i genert1li in servizio attivo) ed al Corpo di Stato Maggiore (che comprendeva gli ufficiali), il Comitato di Stato Maggiore generale, "un corpo consultivo del governo nelle grandi questioni mi litari ·', composto "degli ufficiali gcner<11i di terra e di mare che coprono i più alti impieghi militari". La teorizzata presenza cli ammiragli fa dire giustamente alrAutorc che si poteva trattare di un "organo permanente interforze~; l'osse,vazione non è p ri va cli interesse, considerando che proprio di una visione interforze dei problemi mili tari avrebbe avuto bisogno l'Italia fin da allom. E non solo l'organo collegiale avrebbe potuto esprimere una filosofia interforze, ma addiritcura, almeno teoricamente, avrebbe potuto essere presieduto da un ammira-
glio. Nei farri, nulla di questo. Non solo la presidenza del Comitato non toccò alla Marina, ma esso stesso rimase acefalo dal 1874 al 1882, funzionando in pratica quasi nulla. Era la riprova che le illazion i teoriche appena riportate su questo aspetto della riforma Ricotti, che riguardava l'Esercito, erano del tutto prive di fondamento se riferite alla realtà di quel tempo. Del resto, il 1873, benchè fossero già in programma il Duilio e il Dandolo, non segnava un momento particolarmente alto del prestigio della Marina. La legge Ferrero sull'ordinamento dclrEsercito, del giugno 1882, chia rì ogni dubbio, liquidando l'organo collegiale come lo aveva previsto la legge Ricotti: il Comitato rimaneva come organo imperniato sul capo di Stato Maggiore dell'Esercito; la presenza della Marina poteva vetificarsi quando egli stesso, o il governo, ne avessero chiamato un rappresentante a far pane di qualche commissione consultiva, unica sede nella quale apparencemente poreva svolgersi - a parre il dialogo dei venici - un discorso interforze. L'Autore spiega questo potenziale regresso della Marina nell'Alto Comando con la ,·olo ntà di riequilibrare "la potenza politica della Marina, rnpidamente crescente negli
( 20) G. Candtdoro, Storia de/l'Italia moderna, Milano. rcltrinelli, VI, 1970. p. 254.
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anni '80"'. <2 D Nel settore della marina mercantile si verificarono due fatti importanti. Una legge francese del gennaio 1881 concesse all'armamento transalpino, che già godeva cli sovven7.ioni per l'esercizio delle lince d'interesse nazionale, anche i premi di costruzione e di navigazione. Ciò penalizzava uhcriormenre l'am1amcnto italiano nella competi zione internazionale e non contribuiva a migliorare le relazioni marillime italo-francesi. Nel medesimo anno le compagnie Florio e Ruhattino si fusero, dando origine alla ravigazione Generale l1aliana , con sede legale a Roma, che rappresentò la rispos1a italiana alla pressione del gra nde armamento straniero sovvenzionato, come le Messageries maritimes ad ovest e il Lloyd austriaco ad es1. Nel marzo 1881 il Parlamento istituì una Commissione d'inchiesta sulle condizioni della marina mercantile. L'on. Carlo Uoselli l'aveva proposta nel giugno dell'anno precedente, con questa premessa: '·dirò francamente quello che non si è osato proclamare da nessuno e che per mc è una verità sacrosanta, cioè: che la nostra marineria mercantile è condannata a perire in un tempo relativamente breve, se con qualche rimedio eroico non si corre a ripararl a". Prima di allora, nel marzo, la Rivista J\farillima aveva pubblicato un importante studio di Carlo Randaccio, allorn direttore generale della marina mercantile, che postulava interventi statali in favore della costruzi o ne e gestione delle navi a vapore, l'estensione delle sovvenzioni e facilitazioni fiscali dirette ad agevolare la costituzione di grandi compagnie. In ottobre si riunì a Camogli un Congresso di armatori - ne erano presem i 323 - e di operai.Ori dei servizi connessi, dal quale vennero lagnanze e un attacco alla politica governativa di sostegno alle ferrovie, scelta che danneggiava pesantemente il trnspo110 marittimo. La Commissione parlamentare d'inchiesta fu presieduta dal senatore Urioschi, ma prese nome dal deputato Paolo Rosclli, vicepresidente e relatore. I lavori terminarono nel feblm1io 1882. dopo una vasca opera di ricognizione cd approfondimen10. Le conclusioni erano in linea con lo spirito protezionista del tempo: i 15 membri della Commissi one votarono in favore del blocco delle lince sovvenzionare esistenti, ma subi to dopo attenuarono il blocco con la riserva che le sovvenzioni avrebbero potu10 essere estese anche ad altre linee se se ne fosse dimostrata la necessità. Quanto ai premi di costruzione e cli navigazione, la Commissione non condi vise la tesi del senatore El lena, secondo cui i premi non erano necessari perchè la marineria italiana attraversava solo un
(21) Ceva, cli .. rp. 379-9l. E' possibile, però l'osscrv;izione :.arcbbe più convincente se si riferisse a qualche anno dopo, durame il settennato dominato dalla figura di Brin (1884-1891). Al tempo dell'Aaon, una ,\larina debole e non concorde sulla via da prendere inviava sopranuno messaggi di preoccupazione e cli all:mne; il follimcnto clell:i rol it i,~1 eMcra italian;i in Adriat ico e a Tunisi aggravava k sue condizioni di rel:1tivitii navale; in te rmini reali i bilanci non avevano avuto ancora gli incrementi più signifìc-,uivi (in IO anni - clal 1873 al 1882 - il bilancio in lire costami 1959 aumemò da 8.830 milioni a 14.690. ma in seguito si impennò. cfr Fioravanzo, cii .. p. 52).
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periodo di trasformazione,e si allineò al Boselli, convertitosi interventista, nelraffermare che era in arto una crisi profonda da affrontare con mezzi energici: non solo incentivi, ma anche azioni dirette a migliorare la posizione dcll'Jtalia nei trattati di navigazione. In definitiva, la relazione finale della Commissione si prestò ad essc:.:re interpretata come il manifesto del protezionismo marittimo italiano e costiruì la base di successive, ulteriori misure intc rventiste.<22)
(22) Del Vecchio. cli., pp. 22-24; Flore, cit., 11, pp. 286-%. Nel 1882 anche il cod ice d i commercio, che: regolava la navigazione, subì umi serie di innovazioni. ma non una riforma r.1dicale rispeuo al testo del 1877.
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CAPITOLO V
Sette anni ministro Dal marzo 1884 al febbraio 1891, per serre anni di seguito, Brin fu ministro del)a Marina. Fu questo un periodo intenso, segnato da processi economici interni e da avvenimenti di politica internazionale che ebbero forte rilevanza. Sembra utile richiamare sommariamente alcuni aspetti dello scenario di quegli anni. L'economia italiana da essenzialmente agricola tendeva a trasformarsi, dotandosi gradualmente di una nuova struttura industriale. TI Paese cresceva e si modernizzava, pur non senza tentennamenti e squilibri. Dal 1861 al 1887 il reddito nazionale lordo crebbe del 56, 5% a prezzi correnti e del 24,0%i a prezzi costanti. Gli investimenti lordi si erano quasi triplicati e quelli netti, produttivi di nuovo reddito, quintuplicati. L ':azione di stabilizzazione finanziaria perseguita dai governi della Destra e della Sinistra fra il 1873 e il 1887 riassorbì l 'inflazione. Nel 1881 venne abolito iJ corso forzoso, che però dovette essere reintrodotto dopo poco:<1) nmavia nella circolazione interna il biglietto di banca era entrato nelle preferenze del pubblico. La crescita del risparmio sboccava nel deposito bancario, che costiruiva un volano per lo sviluppo economico.C2) Certo, rispetto ai grandi Paesi più maturi l 'Italia accusava fragi lità e squilibri ricorrenti, ma nel complesso la strada che il Regno aveva percorso dalla sua nascita era apprezzabile. Alla scelta protezionista - che non era invenzione italiana, ma moda diffusa - il governo di Roma fu indotto non solo da considerazioni di natura econom ica derivanti dalle difficoltà dell'industria nazionale di fronte alla concorrenza, ma anche di natura politica specialmente in relazione all'atteggiamento
(I) L'abol izione fu decretata con legge del 7 aprile 1881 , con cui lo Stato dichiarò di essere d isposto a cambiare alla pari la ca rta in oro, senza tener conto che quest'ultimo faceva aggio sulla prima. Con una circolazione cartacea di 940 milioni, il governo contrasse un debito estero di 600 milioni oro, che lasciava scoperta una quota del circolante. Seguì, a causa dell'aggio, la tesaurizzazione dell'oro, con la conseguenza d i mandare in crisi il commercio estero e di fa r tornare oltre confine i 600 milioni oro, detenninando la fine dell'esperienza. Cfr A. Lanzillo, Problemi economici e sociali dei secoli XIX e XX, in AA.VV., Questioni di storia contemporanea, Milano. Marzorati, 1952, pp. 1506-07. (2) R. De Mattia, Moneta, credilo, jìnanza, in AA.VV., 1887-1887: il processo, ecc., cic. , pp. 189-96.
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francese, culminate nella decisione italiana di imporre la tariffa doganale protezio nista del 1887. La Marina ebbe una parte rilevante nei rappo rti tra potere politico e sviluppo industriale. Le relazioni tra l'industria pesante e il Ministero della Marina datavano dal decennio precedente e l e realizzazioni naval i della flona procurarono reputazione e interesse presso altre potenze. TI biogrdfo ufficiale dell'ammiraglio Fisher, Ricl,ard Hough, parla infaui diffusamente dei due Duilio e, pur criticandoli per la potenza d i fu oco 1itenuta limitata risperto alla mole, scrive ""che navi da guerra tanto arroganti non potevano no n suscitare una reazione da parte delle maggiori potenze m arittime del mondo''. La risposta inglese, come noto, fu 1'!11flexible, ma "questo capolavoro d'ingegn<.!ria navale (commissionato nel 1881), quale che fosse il suo valo re per l'Inghilterra, non pare abbia scor.tggi ato la Marina italiana dall'intraprendere ulteriori innovazioni''' .<3) Questo naturalmente compo1tava il rafforzamento del l'industria pesante e di quella degli armamenti: il ritorno cli Brin al Ministero avrebbe portalo subito al completamento della già delin eata opernzione della Terni. In politica ester.t, il settennato di Brin coincise con l"espansione coloniale italiana in Mar Rosso, auspice il ministro degli Esteri Pasquale Stanislao Mancini. Nel 1885, al comando dell'ammiraglio Caimi, la divisione navale del Mar Rosso riuniva la corazzata Castelfidardo, l'incrociatore Vespucci, la corvetta Garibaldi e gli awisi Esploratore, Barbarigo, 1'vlessaf!,B iere e Vedetta, ai quali si aggiunsero la fregata Ancona, la corvetta Vettor Pisani, il piroscafo Conte di Cavour e sei torpediniere. La Castelfidardo sbarcava a Beilul i suoi marinai, che si impadronivano della località come rappresaglia all'eccidio, awcnuto nell'o11obre precedente, della spedi zio ne Bianchi ad op<.!ra dei dancali. L'intera squadrn, schierata davanti a Massaua, otteneva il controllo del porto e della costa fìno ad Assab, area sulla quale veniva proclamato il protetto rato italiano e dalla quale veniva eliminata ogni presenza militare e amministràtiva egiziana. :,.Jacque in tal modo la colonia eritrea e la Marina vi concorse pi (:1 cli turti. Massaua divenne subito base per crociere di interdizione nel Mar Hosso, a fianco degli inglesi, contro la tratta degli schiavi che si svolgeva da secoli dalle terre etiopich<.! verso i mercati dcll'Arabia.(4) Pure nel 1885 J'aw iso Barbarigo accompagnò a Zanzibar l'csplor.ttore
(3) R. A. \Vcbster. l."lmpertaltsmo industriale Ualicmo, Torino, Einaudi, 1974, p. 72.
(4) Due anni dopo. quando si remcne, dopo Dog:.tli, che I.1 pressione etiopica investisse anche .\lassaua. 1;1 ~larina intervenne con le 12 unir:t che a\'eva in Mar Ro~so. La corvcna Garibaldi e il 1raspor10 Cillà di Genova furono adibiti a navi ospedale, mentre le altre 10 navi furono in tegrate nella difesa di Mass.tua. Le unità vennero dblocare sul litomle in modo che potc=ro b-,mcre con le aniglieric le probabili provenienze del nemico c sostenere i caposaldi cl<:lle forze d i terra: una ballcria della Marina fu sch ierata nt:ll'avamposro di Sher:ir e un terzo degli equipaggi venne tenu to promo come fon,;1 da sbarco.
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Cecchi, il quale doveva negoziare concessioni territoriali. Ma l'opposizione della Germania, che aveva già un protettorato in Africa orientale, rese possibile soltanto la stipula cli un trattato commerciale con la clausola della nazione p iù favorita. Nel 1889 il console Filo narcli ottenne dal sultano locale un protettorato italiano sui territori cli Obbia, dietro pagamento di un affitto. Jn aprile i comandanti Amoretti e Porcelli, degli avvisi Rapido e Staffetta, firmarono un analogo accorcio col su ltano dei Migiurtini, ciancio la possibi lità a Crispi cli comunicare alle potenze, il 19 novembre 1889, che l 'Italia aveva assunto il protettorato del litorale somalo, salvo il Benadir; anche questa regi o ne, nel quadro della sistemazione delle zone d'influenza tra le potenze, sarebbe passata tra il 1891 e il 1892 sotto amministrazione italiana, dietro pagamento di un canone al sultano di Zanzibar. E' da osservare che vecchie unità della flotta furono sufficienti all'Italia per mantenere una presenza navale che ile diede poi titolo per discutere con le altre potenze la propria partecipazione ad una quota d'influenza sulla costa africana. E furono sufficienti, malgrado qualche episodio dolo roso, ad assicurare la protezione degli insediamenti nazionali sul litorale, uno stretto controllo dal mare sui centri costieri e sul commercio, la lotta alla tratta degli schiavi. Il primo rinnovo della Triplice e gli accordi mediterranei italo-bri tannici, con l'accesso cli altre potenze, migliorarono nel 1887 la posizione intema:donale dell'Italia. Tn cambio fu stipulata l a convenzione militare del 1888 che stabiliva nel caso cli guerra l'impegno italiano ad attaccare la Francia sulle Alpi ed a trasferire su l Reno una quota ril evante dell'Eserci to. Alcuni interessi mediterranei italiani venivano riconosciuti dagli alleati: vi era un impegno austro-ungarico per Io statu quo nei Balcani, in Adriatico e in Egeo, accompagnato dal principio dei reciproci compensi se fosse stato impossibile mantenerlo; e vi era un impegno germanico a sostenere l'Italia con le armi se la Francia avesse tentato cli impadronirsi di Tripoli,o del Marocco senza consentire ad un compenso tripolino per l'Italia. Ma l'aspetto più interessante degli accordi del 1887 concerneva l 'ingresso dell'Italia in un sistema di intese mediterranee che collegarono Roma con Londra, Madrid e Bucarest. Gli inglesi avevano il problema di fronteggiare la Francia nel bacino occidentale del Mediterraneo e la Russia in quello orientale. In tale cornice una cooperazione anglo-italiana contro una spinta espansiva della Francia era ipotizzabile anche da parte britannica; ma pur sempre in termini elastici e non troppo impegnativi: non cerro, malgrado le insistenze italiane, in termini di rigida garanzi a militare per la difesa delle coste della penisola. Invano Roma ripetutamente cercò di rendere l 'accordo più stringente, chè la posizione di Londra rimase quella cli non escludere l 'aiuto se tale fosse stato l 'interesse inglese, ma di tenere le mani libere, anche perchè, come disse Salisbury nell'agosto 1887, "la politica è mutevole come il cl ima di queste isole".
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Tn ogni modo, anche se il sistema di accordi del 1887 non poreva essere il toccasana per lutti i problemi , l'Italia diventava, secondo la diagnosi dell'incaricato d 'affari francese a Berlino, "da semplice ausiliare ammesso a collaborare con le due alleate imperiali a titolo secondario e quasi subordinato, ...collaboratrice, a parità cli condizio ni, del gruppo delle potenze germanjche··. E l'intesa anglo-italiana, anche se aveva dei limiti, era pur sempre un elemento nuovo e importante, che rispetto al passato rnfforzava la sicurezza del Paese. Era stato Depretis a volere il ritorno di 13rin al Ministero della Marina. Dopo le battaglie parlamentari sulle navi condotte su fronti diversi durante il primo periodo dell'Accon, ad un simile risultato contribuì anche un cerco raffreddamento cli Brin nei riguardi del Crispi, personaggio che all'inizio il depurato torinese stimava molto, ma che poi prese a considerare con una certa preoccupazione in relazione alla misura dell'aumento delle spese militari connesse con la politica aggressiva.<5) E' q uesto un aspecto interessante della personalità equilibrata di Brin, che sarebbe errato considerare come un navalista esasperato, sollecito solo di espandere ad ogni costo la potenza marittima del Paese: nel 1888 ebbe a riconoscere in privato, parlando con l'incaricato d'affari britannico Go rdon Kennedy, che l'alleanza con la Germania gonfiava eccessivamente le spese militari e che Crispi rischiava di sacrificare i veri interessi del Paese alla sua ambizione personale.<6) Come si rico rderà, Benederto Brin presiedeva la Commissione per le industrie meccaniche e navali , nominata dal ministro Accon nel 1883. Essa si orientò a propo rre l'intervento dello Stato nel settore mediante l'uso delle commesse pubbliche accompagnato da anticipi; si confidava con ciò che l'induslria avrebbe migliorato il proprio livello qualitativo e onenuto la riduzione dei costi. Lo strumento della promozione pubblica rispondeva alla filosofia econo mica del tempo e teneva conto delle delusioni che il capitalismo nazionale aveva dato alla esortazione di impiegare i mezzi finanziari negli investimenti produtcivi.(7) Non appena Brin ritornò ministro avviò ad attuazione il programma utilizzando la già esistente società di Cassian Bon e C. "La novità sostanziale di quegli anni fu la fondazione nel marzo 1884 della Società altiforni acciaierie di Terni, ossia del più grande stabilimento siderurgico nazionale, grazie al concorso decisivo dello Stato sorco forma di prezzi di favore e di anticipazioni sui contratti stipulati con la Marina per la fornitura di corazze e apparecchiature navali. Veniva così a compimento il programma cli potenziamento dell'indu-
( 5) V. Cas1ronovo. Torino. 3ari, La1co.a. 1987. p. 105 (6) D. Mack Smith. I
Sawta re d'/t(l/ia, Milano, Rizzoli. 1990, p. 125.
(7) "Vt>dano i ricchi capi1:llisti di dt>dicart> parte dei loro ri~parmi a sorreggere l'industria-, scriveva la Gazzella Piemontese, vicina anche al Brin, nel ~etccmbrc 1881.
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stria bellica italiana delineato fin dal 1871 da Stefano Breda, che allora non aveva avuto successo proprio per l'avversione alla formula ibrida, melà pubblica, metà privata, da lui proposta per trasformare il piccolo centro umbro, lo ntano dalle frontiere e dal mare, in ·una città di ferro, acciaio e lignite, animata dalla forza di 6000 cavalli idraulici'. Nasceva su queste basi il primo nucleo della moderna siderurgia italiana per la produzione su larga scala dell'acciaio fuso, anche se soltanto in un secondo tempo si giunse alla realizzazione di impianti a ciclo completo dal minerale alla ghisa, dall'acciaio ai laminati. In sostanza, l'esperienza francese, che dopo il crollo dei noli marittimi aveva puntato su ll'ammodernamento dell'industria cantieristica attraverso lo sviluppo della marina a vapore, aveva fatto cesto anche in Italia. Ma il rafforzamento del naviglio e delle attrezzature portuali, che fu uno dei capisaldi del la po litica acrivamente perseguita dal ministro Oenedeno Brin in nome dell'autosufficienza economica e militare del paese, concorse anche ad un parziale rilancio della produzione metalmeccanica e a un flusso massiccio di investimenti esteri diretti nelrallività cantieristica e nella produzione d'impiego bellico. I premi di navigazione concessi dallo Stato erano riservati infatti a linee gestite con navi costruite negl i scali m arittimi italiani e i premi di costruzione (dietro particolari rimborsi e sgravi tributari a carico clelrer,irio, per il maggiore prezzo determinato dalla protezione.! doganale) soltanto a quei cantieri che si avvalessero dei procioni della siderurgia nazionalc.:".(8) La nuova società ternana nacque il 10 marzo 1884 con un capitale cli 3 milioni, che venne rapidamente incrementato anche con opemzioni di credito mobiliare. La prima co mmessa riguardè> una fornitura della Marina, per 8600 t di piastre da corazza, dell'importo complessivo di ci rca 16 milioni, di cui 3,2 furo no anticipati. Questa decisione segnò •1·aw io dell'itiner,irio protezionistico-siderurgico del modello di sviluppo industriale italiano",(9) perseguito con decisione poichè risultava da una prec isa volontà politica del governo e dello Stato, sostenuto anche dal re. Non mancò qualche concrasto parlamentare, ma tra il 1884 e il 1888 gli investimenti della Terni raggiunsero i 56 milioni, di cui 12 anticipati dallo Stato. Con coerenza, l 'azienda venne sostenuta con nuove commesse e con nuovi anticipi quando attraversò una crisi, nel 1887, a causa degli o neri incontrati per soddisfare le prime forniture e di errori di valutazione no n solo aziendali. La tariffa doganale del 1887 privilegiò il settore siderurgico a scapiLO di altri, ma non dell'industria meccanica .. Questa non era protetta come la siderurgia, ma venne favo rita con una polit.ica cl i commessc legate alla cantieristica nava(8) V. Cascronovo, Storia eco110111fw. in Storia d'Italia, Torino, Einaudi. IV, 1975, pp. 119-20.
(9) Cfr P. Bonelli. /,0 s11//uppo di una grande Impresa in /lalia - I.ti Temi dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975.
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le cd alle ferrovie, nonchè alla domanda per il trasporto pubblico urbano e suburbano e di attrezzature per l'edilizia e l'industria tessile. La Terni costituì Mia prima pietra dell"cdificio siderurgico italiano con una impresa di tipo moclerno··,OO) ma anche la fabbrica di cannoni Armstrong di Pozzuoli, il silurificio di Venezia, gli stabilimenti meccanici Ansaldo di Sampicrclarena e Guppy di ·apoli, oltre ai cantieri navali, furono sostenuti con commesse della Marina.O I) Non c'è dubbio che le spese militari abbiano influito sul primo sviluppo industriale italiano. Sono note le critiche circa la loro opportunità, che hanno tuttavia il limite di muoversi solo sul terreno economico, rilevando ex post insufficienze, errori, risultati non ottimali lispetto alle riso rse impiegate. Quell'orientamento aveva origini più complesse di natura politica (volontà di potenza), militare (autonomia nazionale), economica (necessità di accelerare il processo di crescita spontanea dell'industria), il tutto immerso nel desiderio di "correre col branco" nell'età dell'oro dell'imperialismo europeo. Nel sertennio 1884-1891 il bilancio della Marina salì rapidamente, sia in lire correnti che in lire costanti, raddoppiando tra il 1884 e il 1888 per poi scendere, come mostra meglio la serie dei dati statistici in lire costanti.< 12) In seguito, con la stabilizzazione del bilancio fra i 31 e i 35 miliardi di lire costanti 1959, il prestigio e il peso politico della Marina vissero un pò di rendita. Il p1imo atto di Blin, in tema di risorse finanziarie per le costruzioni navali, fu di proporre nell'a prile 1884 alla Camera - che l'approvò nel mese successivo - una spesa straordinaria di 30 milioni ripartiti nel triennio 1884-1887, da destinare al completamento dei programmi navali già decisi. Esaminando poi, a 10 anni di distanza, i risultati del piano organico del 1877 e lo strumento collegato della legge navale, Brin riconobbe che erano stati positivi, anche in relazione alla flessibi lità richiesta dalla rapida evoluzione della tecnologia e delle insorgenze della politica estera. Le realizzazioni infatti erano state com-
( IO) I{. Romeo. Aspetti storici dello sviluppo della grande impresa In Italia, in Storia contempora-
nea, 1970, 1, p. 8. ( 11) Cfr Capone, cii., p. 316; Castronovo, Storia economica, cic., p. 105; Ccva. cli.. pp. 366-67; Ferrante. cli., pp. 78-79, dove è pure cenno del controllo che veniva eseguito su ogni singola piaMra dall'amminis1r:1zione della i\llarina.
(12) Sp<:~c sostenute per la Marina, in milioni d i lire (1884-1891/92) Esercizio
1°sem. 1884 1884-85 1885-86 1886-87 1887-88
64
Lire correnti
29,4 n.2 83,9 95.3 114,2
Lire
1959
Eserci7.iO
9526.6 25015.4 26208,7 29701.() 36871,5
1888-89
1889-90 1890-91 1891-92
Lire
I.ire Correnri
1959
157,6 123.4 113,0 105.l
50103,0 36039,2 33659,0 31762,6
plessivamente superiori a quelle preventivate poichè, se era stata costruita una corazzata in meno di quelle previste (7 invece di 8) e qualcuna non d'avanguardia, nelle altre categorie di naviglio si era fatto molto di più: 8 navi di 2° classe invece di 4, 15 di 3° classe contro 12, 2 trasporti e 127 torpediniere invece di 1 trasporto e poche unità minori. Il ministro fu incoraggiato da simili considerazioni a presentare, inserendosi sulla legge navale del 1877, un nuovo prowedimento che modificava leggermente il quadro del naviglio, indicando una nuova esigenza di 20 navi militari di seconda classe in luogo di 1O, di 30 unità di terza classe invece di 20, di 16 trasporti invece di 14, di 26 navi per impieghi locali invece di 12, e fissando in 190 l'organico delle torpediniere. La legge comportava una spesa straordinaria di 85 milioni in 9 anni, di cui 37 milioni erano destinati alle costruzioni navali, 29 all'acquisto di artiglieria e siluri, 19 agli arsenali (9 per la Spezia, 9 per Taranto, 1 per Venezia). Il prowedimento fu approvato il 30 giugno 1887. Fu, questa, l'ultima importante legge navale italiana del secolo XIX0 • Essa consentì la costruzione di nuovi tipi di navi militari che abbracciavano tutte le categorie di naviglio: per le navi maggiori, secondo le esigenze del tempo, la tendenza generale era diretta ad un rafforzamento della corazzatura ed all'aumento della velocità. Lo strumento legislativo adottato permise di realizzare importanti investimenti per la flotta, che all'inizio degli anni '90 sarebbe stata considerata come la terza del mondo, dopo quelle britannica e francese. Se si assume una prospettiva temporale che giunga alla fine del secolo, esiste il pericolo di sottovalutare la legge del 1887, constatando che nella seconda metà degli anni '90 la Marina italiana, per quel che concerne il dislocamento complessivo del naviglio, passò dal terzo al quarto e poi al quinto posto a livello mondiale. In proposito giova richiamare, quanto meno, tre ordini di considerazioni: a) non è certo il dato statistico relativo al tonnellaggio disponibile, da solo, che può bastare a stabilire una classifica di potere marittimo tra diverse Marine militari; entra infatti in gioco una lunga serie di elementi di cui è difficile valutare il peso, come la situazione geografica e i compiti operativi, la situazione e l'efficienza dei cantieri , degli arsenali e delle basi, l'organizzazione e la preparazione del personale; b) subito dopo l'approvazione della legge navale l'Italia attraversò una lunga fase di depressione economica, aggravata dalla guerra doganale con la Francia. In campo navale può essere considerato significativo che i primi incrociatori tipo Garibaldi, impostati ne l 1893,furono ceduti all'Argentina mentre er,1no sugli scali di costruzione, postergandosene la consegna alla Marina nazionale; c) proprio mentre l'Italia si trovava alle prese con gravi difficoltà in campo economico, che la costringevano a rallentare lo sforzo, altri Paesi più ricchi,
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più gr,mcli e più potenti si affacciavano alla gara navale. Oltre alla Gran Bretagna cd alla Francia, anche la Russia si stava impegnando sul mare e a metà dell'ultimo decennio del secolo l a sua Marina avrebbe supcrnto • statisticamente- quella italana; dal canto suo la Germania, sono la spinta della politica cli Tirpitz, si apprcsta,·a a costruire una propria imponente forza marittima; inf inc, anche l'Austria Ungheria meditava d i muovere verso nuovi orizzonti marittimi e rafforzava la flona. !\on c'è quindi da meravigliarsi se, in una fase di ascesa navale delle grandi potenze, l'Italia, penalizzata dalla propria debolezza strutturale e dai propri problemi economici e sociali, pol<.!sse apparire in controtendenza malgrado la legge navale. Le costruzioni navali italiane del settennio appaiono consone "al mutamento della politica na,·ale conseguito all'urto con la Francia per Tunisi e poi alla Tripli<.:c Alleanza: abbandono dd l 'Ac.lriati<.:o all'Austria ...che vi svilupperà soprallurto mezzi per la guerra insidiosi, mentre l'Italia punterà sempre più sulle navi con grande autonomia e velocità così forte da pCrm<.!ltere di accettare o di evitare lo scontro coi francesi, a seconda delle convenienz<.!".(13) Brin affrontò questo tema con l'obiettivo di dotare l'Italia cli una flona b ilanciata. In tale cornice le sole unità di linea che furono realizzate nel periodo furono le tre corazzate della classe Re Umberto, che lo stesso Brin aveva progettato, come si ricord<.!rà, su richiesta dell' Ac"tOn. Il morivo principale della decisione era da ricercarsi ndla nec<.!ssità di dorare la tlona di num·e unità eia battaglia adeguate ai progr<.!ssi delle altre maggiori Marine. Le prime due corazzate, Re Umberto e Sicilia, furono impostate nel luglio<.! nel novembre 1884, a Castellammare c a Venezia. Terza unità fu la Sardegna, impostala a La Spezia il 24 onobr<.! 1885 . Rispetto alle unità della classe Italia, di cui I<.! nuove navi conse,vavano molti elementi, v<.!nne manccmua la suddivisione dello scafo in compa rt imenti stagni laterali trasversali, ma la protezione fu rinfor7.ata da una corazzatura più rohusta e piu estesa alla cintura, com<.! intorno alle artiglieric ed al torrione. L'armamento era costituito da 4 pezzi da 343/ 30, 8 da 152, 16 da 120, una tr<.!ntina d i bocche eia fuoco minori, 2 mitraglierc e 5 lanciasiluri. Vi erano differenze frn le ere corazzale, specie trn la prima (Re Umberto) e la p iù recente (Sardegna), dovute a perfezionamenti successivi: il dislocamento andava da 13300 t a 13860, la velocità massima da 18,6 a 20 nodi ; I ·autonomia era per tutte di 6000 miglia a 10 nodi. Queste navi, ch<.! costarono circa 30 mil ioni ciascuna, rispondcvano all'esig<.!nza di spostarsi rnpidamente in J\lecliterranco, facendo p<.!sare la minacc.:ia delle loro potenti anigl i<.!rie su un ampio teatro marittimo. Punto d<.!bolc, nel momento in cui le tre unità divennero orerarive, era forse la prowzione, non più sufficiente a garantire la difesa delle navi di fronte ai progressi realizzati clall'artigli<.!ria durante i 10 lunghi 03) Ccv:i. cli .. p. 358.
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anni che trascorsero in media tra il momento dell'impostazione e quello dcll'entrnta in squadra. Può dirsi che le loro caralleri srichc - dislocamento e p rotezione contenuti, velocità elevata, armamento potente - anticipavano gli incrociatori da battaglia. (1 ,i) Il scrcenn alO di Brin, così universalmente noto come progettista e realizzatore delle capitai sbips, fu car.iucrizzato soprnllutto dalla politica degli incrociatori. li motivo è evidente: nella edificazio ne cli un porere navale b ilanciato, gli incrociatori venivano a costituire una componente essenziale in ordine alle esigenze pol itiche cd alla strategia maritti ma dell"Ttalia . Da un lato si faceva più estesa la domanda di presenze navali lontane, dalrahro si volle portare anche in alto mare la minaccia del siluro, affidarn scmo costa a to rpediniere cli non grandi capacità nautiche; in più si aggiunse lo sperone che, accoppiato alla grnnde manovrabilità, si pensava ancora potesse costituire un'arma pericolosa. Il primo incrociatore torpediniere fu il 1ì·ipoli, costruito a Castellam mare 0885-1886). Era una piccola un ità d i 848 t, con una velocità massima di 19 nodi cd una autonomia di 1800 miglia; per la prima volta in Italia vi fu adottata la propulsione a tre assi . La nuova l ll1ità anticipava di 10 anni i conceui informatori del cacciatorpediniere: armato con 1 pezzo da 120, altri 9 minori e 5 tubi lanciasiluri, aveva una buona 111anovrahil it~1, ma i risultati che o ttenne furono inferiori alle speranze, malgmdo un rndicale rimodernamento efferruato nel 1897: finì per essere impiegato p er l'acldestramenro e la posa di mi ne. Kel 1884 il cantiere inglese Armsrrong a,eva in costruzione !"incrociatore Salamina, ordinato dal governo greco, che cloverrc poi rinunciare all'acquisto quando la nave era o rmai q uasi complcra. L'unità presentava interesse pcrchè si proponeva come un protoripo pili avanzato ri spetto agli incrociatori della classe Etna in costruzione in flalia: con un dislocamento di 2088 t, era meglio protetta, aveva una velocità pili elevata (19,5 nodi) e un armamento consistente basato su i 152/ 40. Per 156000 sterl ine la Marina italiana la acquistò nel febbraio 1887 e netraprilc successivo la nave cncrò in servizio col nome di Angelo Emo, poi Dogali, mostrando b uone capaci tà operative e funzionali nel corso elci lunghi servizi che assolse nelle stazioni navali lontane. L'espansione oltremare degl i interessi politici, economici e colon iali assorbì sempre più gli incrociatori protetti. ln .\fcditcn-aneo. per contro. aumentò !"esigenza di unità leggere capaci cl i cop rire il vuoto operativo che esisteva tra le navi di linea e le torpediniere, in particolare per quanto riguardava la minaccia del si luro in alto ma re. Sviluppando i concetti che erano già stati alla base del 7hpoli, Urin progettò !"incrociatore torpediniere Coito di 857 t, veloce (18 nodi). mocleracamente protetto e arm ato di 5 lanciasiluri e pezzi cli p iccolo calibro; veniva mantenuta la propulsione a tre assi, eh<.! dava per<> inconvenienti
( 14) Giorgcrini e Nani. Le 11a/'Ì di li11ea, cit.. pp.201-05.
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per la cavitazione sul timone dell'eHca centrale, così che sulla Confienza, ultima unità della classe, fu adottata la soluzione a due eliche. Delle quattro unità della classe, Coito e Montebello furono progeuate personalmente dal Rrin, Monzambano e Confienza da Giacinto Pullino, direttore delle cosm1zioni navali nell'arsenale di La Spezia. I quattro Coito segnarono un progresso rispetto al Tripoli e aprirono la via alla successiva classe Partenope, che venne a costare un poco di più (milioni 1,6 per ciascuna unità contro 1,5 dei Coito). Gli 8 incrociatori torpedinieri della classe Partenope furono impostati tra il 1888 e il 1891, entrando in servi zio tra il 1890 e il 1895. Costruiti in Italia Pattenope, Calatafimi, Euridiceed Iride dal cantiere di Castellammare; Aretusa e Caprera dall'Orlando di Livorno; Mineroa e Urania dai cantieri Ansaldo e Odero di Genova - dislocavano 840 t, avevano un apparato motore a due eliche con velocità massima di 20 nodi, autonomi a di 1800 miglia; rispetto ai Coito era protetto anche il posro di comando, mentre i lanciasiluri furono portati a 6, salvo che su Partenope e Caprera .. T concetti operativi erano sempre quelli individuati dal l3rin per il Mediterraneo: attacco silurante in altura e presenza navale in aree prossime. Completato il programma delle navi di questa classe, la Marina italiana non ritenne di aver bisogno di altre un ità similari che non erano idonee alle stazioni lontane, mentre l'evoluzione del naviglio silurante ne faceva immaginare non lontano l'impiego anche in altura. L'industria cantieristica militare britannica era sempre stata seguita attentamente in Italia, e più di una volta si era deciso di piazzarvi degli ordini anche allo scopo di acquisire prototipi da riprodurre nei cantieri nazionali. La Marina italiana avvertiva la necessità di dotarsi di incrociatori protetti, la cui elaborazione trovava il punto più avanzato in Ingh ilterra. Il ministro Brin decise così nel 1886 di ordinare al cantiere londinese Armsrrong una nuova un ità, che fu progettata dal Watt e realizzata in tempi brevi: impostata nel 1887, varata nel 1888, completata nel 1889. Fu l'ariete torpediniere Piemonte, che segnò un notevole progresso rispetto alle precedenti navi della categoria. Con un dislocamento di 2639 t, arrivava a 22 nodi ed aveva un'autonomia di 7000 miglia a 10 nodi; la corazzatura orizzontale copriva anche il posto di comando cd era armato con 6 pezzi da 152/40, 6 da 120/ 40, 16 minori e 3 lanciasiluri. Fino all'avvento degli incrociatori corazzati, la velocità elevata ne faceva una unità di valenza anche strategica. La buona prova dimostrata dagli incrociatori della classe Etna nelle missioni oltremare indusse alla costruzione di una quinta unità, l'Ettore Fieramosca , che Brin fece progettare dallo stesso is.pettore Vigna che aveva curato la trasposizione nell'Etna del prototipo inglese Bausan. Fedele 1iproduzione delle navi gemelle, l'incrociatore protetto Fieramosca fu impostato l'ultimo giorno del 1885 nel cantiere O rlando di Livorno ed entrò in servizio nel 1889, anch'esso con la classificazione di ariete torpediniere. Intorno al 1888 Brin incaricò il generale del Genio , avale Edoardo Masdea
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di disegnare un nuovo tipo di incrociatore protetto, in relazione alla moltiplicazione delle occasioni di impiego in Mar Rosso, in Estremo Oriente, nell'America Meridionale. In pochi anni furono impostate così le 7 unità della classe Regioni o Lombardia che risposero bene alle motivazioni per le quali erano state pensare. Due (Lombardia ed Elba) furono realizzare a Castellammare, due ( Etruria ed Umbn:a) nel cantiere Orlando di Livorno, una ciascuno negli arsenali di La Spezia (Ca!ab1·ia) e di Taranto (Puglia) e nel cantiere Ansaldo di Genova ( Liguria). Questi incrociatori leggeri dislocavano da 2281 a 3160 t, facevano intorno ai 17 nodi con un'autonomia di 4000 miglia, avevano una protezione orizzontale media - come le altre unità similari - ed erano armatj di sperone, di 4 pezzi d'a11.iglieria da 152, 6 da 120, 16 minori, 2 mitragliere e lanciasiluri. Non erano stati concepiti per sostenere una battaglia di squadra, ma alcuni di loro furono protagonisti di episodi positivi durante la guerra di Libia e il primo conflitto mondiale. Un mezzo infortunio fu invece la decisione, assunta nel 1890, di far riprodurre dall'arsenale di Venezia l'avviso-incrociatore Colombo, progettato dal Urin negli anni '70 quando l'ammiraglio Saint Bon era ministro della Marina. Lo scopo era preciso: disporre di una unità stazionaria per il servizio coloniale, con una buona abitabilità per i climi tropicali. Ebbe un dislocamento di 2560 t e un armamento principale cli 8 cannoni da 120. Costò poco (800.000 lire) perchè vi fu installato il vecchio motore inglese del precedente omonimo avviso, ma il suo valore bellico era modesto ed ebbe una vita più breve di quella consueta (12 anni). Seguì il primo incrociatore corazzato realizzato in Italia. Questo tipo di nave già sviluppato in altre Marine poteva sembrare estraneo alla politica di espansione della flona impostata da Benedetto 131in, che affidava alle corazzate mag. giori il compito operativo cli sostenere la battaglia d i squadra. rnoltre, le navi di linea della classe Re Umberto - con la loro fisionomia vicina all'incrociatore da battaglia, veloce, armato e protetto - apparivano già in grado di coprire le prestazioni dell'incrociatore corazzato nell'economia della flotta, e in condizioni di superiorità. Ma il continuo processo di sviluppo delle Marine militari e vincoli di bilancio convinsero il Brin, verso la fine del suo settennio, a riconsiderare l'incrociatore corazzato. L'ispettore del Genio Navale Vigna ricevette l'incarico di trasformare in incrociatore corazzato una unità della classe Etna che si trovava in costruzione a Castellammare. Questa decisione tendeva a risparmiare tempo, che non fu poi risparmiato perchè lo scafo rimase quasi due anni sullo scalo, dove era stato impostato nel gennaio 1890. Ne uscì il Marco Polo, una unità ibrida che richiese in seguito altri lavori , ma che tuttavia prestò utili servizi in Oriente, nella guerra italo-turca e nel primo conflitto mondiale. Come incrociatore corazzato era modesto: rispetto ad esemplari di altri Paesi era piccolo (4580 t di dislocamento), lento (un massimo di 17 nodi), non molto protetto e non molto armato (6 pezzi da 152/ 40 come artiglieria
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maggiore).05) Sappiamo che quando Benedetto Brin ritornò ministro era in corso di costruzione un gruppo numeroso di torpediniere del tipo Aldebaran. Dopo una pausa, verso la metà degli anni '80, egli dedicò molta attc.:nzione alle.: siluranti, impegnandosi anche personalmente nella progettazione. Era forse quello il mo mento cli massima fonuna della torpediniera nella co nsiderazione del mondo navale int<.!rnazionale che se ne attendeva risultati eccessivi: i primi duhbi sarehbero venuri con le manovre inglesi cl i Portsmourh del 1886, ma non avrebbero riguardato l'indiscussa necessirà per le Marine di doversi provvedere cli siluranti quanto piutcosto la loro valenza risolutiva. Continuando nella pratica cli servirsi cli costruttori stranieri per le prime unirà, che dovevano poi fungere da modello per cantieri nazionali che dovevano riprodurle su licenza, Brin commise all'Oclero di Sestri Ponenrc 4 torpediniere costiere derivate dalle Thornycrofr da 39 t, ma un poco più grandi. Le 4 unità (T 56,57,58,59) vennero impostate nel 1886 e furono consegnare nel 1888; dislocavano 44 t, facevano 18 nodi e furono clorate del primo lanciasiluri binato brandeggiabile montato in Ttalia. Tn precedenza (1885) erano state avviate altre 4 torpediniere costiere cli progettazione inglese, questa volta Yarrow, due delle quali furono costruite a Londra e due a Venezia. Queste siluranti - classe (YA 76, 77, 78, 79)YA - era.no più grandi, dislocando circa un centinaio di t, e seguendo la classificazione britannica vennero considernte idonee ad operare in alto mare, almeno in un primo tempo: arrivavano a 25 nodi cd erano dotate di un lanciasiluri poppiero binato e di due cannoni revolver. Dur.mte gli anni ·so un nuovo costruttore, il tedesco Schichau, si affermò nella produzione di siluranti di concezione originale, costruile in acciaio zincato e dotate di ottime qualità manovriere; dislocavano 80 t, facevano più di 20 nodi ed erano hene armate, specie dal tipo 111 in poi, con un lanciasiluri fisso a pnia cd uno brandeggiabile a poppa. Le Schichau classe S, considerate per un certo tempo sea going, rappresentarono il gnippo più numeroso di torpediniere costruire per la Marina italiana negli anni di Brin. La flotta venne dotata di ben 91 di queste unità, di cui 19 cosrruire nei cantieri Schichau di Elbing e 72, su licenza, nei cantieri nazionali. Dalla Schichau vennero anche 5 siluranti più grandi, d'alto mare, nel 1888. Kclla Mari na imperiale tedesca queste unità erano impiegare come capo squadriglia di torpediniere costiere: in Italia furono denominare torpediniere-avviso, ritenendosi che potessero svolgere anche compiti di ricognizione nel Mediterraneo. l n realtà, la tendenza generale all'aumento del tonnellaggio silurante le ricondusse al loro ruolo e dal 1895 divennero le prime torpediniere di 1° classe della Marina milftare italiana. Le cinque unità (Aquila, Spa1-viero, Falco, Nibbio, Avvoltoio ),costruite dal cantiere tedesco con esemplare rapidità
(15) Giorgi:rini e Nani. Gli tucroctatorl. cil., pp. 172-275.
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(impostare il 5 febb mio 1888, furono consegnate tra l'agosw e il seuembre ), dislocavano 139 t, assicumvano una velocità di 2.3, 5 nodi cd avevano una autonomia di 1900 miglia a 10 nodi, che a 17 nodi scendeva a 935. Le siluranti della classe Aquila avevano 3 tubi lanciasiluri, di cui 1 fisso a prua e 2 brandeggiabili al centro, più 2 cannoni da 37 a ti ro rapido : robuste ed efficienti, furono tra le migliori torpediniere che ebbe la flotta italiana nel secolo >-.1X0 • In precedenza Benedetto llrin aveva progettato una silurc1nte ancorc1 più grande (classe Folgore, torpediniere-nwiso) di cui vennero costruiti solo due esemplari sperimentali ( l'altro fu la Saetta.). Realizzati a Castellammare, ma dotati di motori inglesi, dislocavano 370 t, marciavano a 17 nodi e avevano un armamento di 3 tubi lanciasiluri e 6 pezzi di artiglieria, 2 da 57 e 4 da 37. L'evoluzione successiva del naviglio leggero verso to rpediniere maggiori e cacciato rpediniere fece sì che l'cspcri rncnto non venisse ripe tulo.<16) Si può aggiungere che non sempre, in tema di siluranti e indusrria, le speranze corrisposero alla realtà. La relazione al ministro delrammiraglio Acton sulle esercitazioni dell'agosto 1888 conteneva un confronto rra le torpediniere di fabbricazione estern e quelle di fabbricazione ital iana; egl i concl udeva che."dolorosamente, i risultati del confronto sono sconfortanti per l'industria nazionale··: su 15 torpediniere che avevano operato, solo 5 delle 9 costruite ad Elbing avevano accusato avarie, mentre delle 6 costruite in Italia no n se ne era salvata nessuna.Cl 7) La rassegna della politica delle costruzioni navali si completa con le scelte, non sempre felici, operate in tema di avvisi. Il vecchio Messaggiere, che aveva partecipa!O alla campagna d i Lissa, fu radiato nel 1885. ma il suo motore inglese era ancora in buone condizioni. L'ispettore del Genio J'\avale Masdca venne incaricato cli riprogeuarvi intorno la stcssa nave, ma in acciaio. Varata nel cantiere Oclero di Sestri Ponente nel 1885. la nave restò in lavori per oltre 3 anni nell'arsenale cli Spezia e finalmente la Marina ebbe, nel 1888, una unirà a ruo te di un migliaio d i t, che faceva 14 nodi, era priva di efficienza bellica cd era costata 1 milione e 40 mila lire. Gli ultimi due avvisi italiani furono l'Archimede e il Galileo Galilei: in seguito i loro compiti d i squadra furono disimpegnaci dagli incrociatori. L'ispettore elci Genio ·avalc Carlo Vigna progettò gli avvisi di questa classe, che furono costruiti a Venezia, dove tra l'impostazione e la consegna passarono circa 3 anni (1885-1888). Le loro cararreristiche le apparentavano alle cannoniere, come in seguito furono denominatc le unità analoghe. Gli Archimede avevano un dislocamento d i 784 t, una velocità che non arri vava a 12 nodi e un
(16) Pollin::i. I.e IOrJ>edlniere. cit .. pp. 76-124. (17) Come rimedio l'Acton proponev:i di far costruire solo parti da assemblare in stabilìmcnti diversi. l.:i relazione, dd I O febbraio 1889, in AUS.\1.\1. busta I 29. fase. 2.
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armamento di 4 cannoni da 120 e 4 minori.08) In Mar Rosso, come in qualunque altro luogo si manifestassero ambizioni coloniali, la presenza della Marina fu conditio sine qua non perchè fosse possibi le avviare qualsiasi iniziativa e i continui carteggi intercorsi tra il ministero degli Esteri, quello della Marina e i comandanti delle navi impiegate sulle coste dell'Eritrea e della Somalia stanno a dimostrarlo. Lo stesso può dirsi per le stazioni navali nei mari lontani, dall'Estremo Oriente alle coste dell'America Meridionale, con una varietà straordinaria di compiti, che andavano dalla tutela degli emigranti e del commercio nazionale alla presenza invasi va secondo la moda del tempo, finalizzata a creare le premesse per una partecipazione dell'Italia a nuove possibili svolte del "grande gioco" delle colonie e dei punti d'appoggio nel mondo. In tale quadro, anche se a Roma si ritenne opportuno declinare l'offerta britannica per u n intervento congiunto in Egitto nel 1882, la Marina teneva gli occhi aperti e già nel 1885 veniva considerata la possibilità di uno sba rco in Tripolitania nella eventualità di un conflitto con la Turchia.Cl9) Ma il grande problema era la Francia. L'ostilità di questa potenza creava problemi d i tutti i generi, da q uelli militari per la difesa delle coste a quelli industriali, economici e commerci ali . La massima parte delle preoccupazioni della Marina erano collegate d irectamente a qu ella sicuazio ne di tensione. Sul piano strettamente militare l'allarme era continuo e raggiunse anche punte estreme, come nel caso del concentramento della flotta francese a Tolone nel gennaio 1888, senza che si riuscisse ad individuare, malgrado ogni sforzo, una via d·uscita tranquillizzante dalla condizio ne d'inferio rità marittima cui la geografia e la minore dimensione della flotta condannavano l'Italia. Dall'inizio degli anni '80 la Marina studiava come fronteggiare la minaccia di uno sbarco nemico, ma il fro nte a mare italiano era troppo esteso e sul versante occidentale non lo si poteva coprire dalla Liguria alla Campania, dalla Sardegna alla Sicilia.<20) Ogni possibile impegno pareva inutile, mentre le nuove costruzioni navali italiane infastid ivano ulteriormente i francesi.<21 ) L'amrnirnglio df Saint Bon, tirando le somme delle manovre nava-
(18) Bargoni, Esploratori, ccc., cit., pp.177-85. (19) AUSMM, busta 118, fuse. 3. ( 20) AUSMM, busta 11 I , fase. 1 e 5. Nè dalle correnti onimistiche idee sulle siluranti veniva conforto, chè il 16 novembre 1883 il vice ammiraglio Del Santo riferiva il sostanziale fallimenco della manovra delle torpediniere che dovevano attaccare. il 25 onobrc precèdentc in condizioni generali favorevoli, le navi all'ancora a Gaeta: in panicolare, "il tentativo contro il Dandolo non fu coronato da successo", ibidem, busta 113, fase. 7.
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li del 1887, informava il ministro delle difficoltà incontrate nell'esplorazione e quindi nella possibilità di cogliere u n'occasione favorevole per intervenire su un fronte marittimo che andava da Napoli a Favignana; l'esercitazione sul litorale toscano poi "ha confermato il fatto che quando una flotta voglia eseguire un'azione offensiva sulle nostre coste entro i limiti d'importanza dell'attacco eseguito dalle forze sotto i miei ordini, e quando essa abbia la scelta del luogo da offendere, le sarà sempre faci le di trovarsi all'attacco con tali forze da assicurarsi il successo quando la flotta di difesa sia lontana od inefficace" .(22) Di questa situazione Benedetto Brin era ben consapevole e non mancava d i insistervi col presidente del Consiglio e col ministro degli Esteri. Gli accordi del 1887 e la convenzione militare triplicista del 1888 fecero intravedere la possibilità di ricercare un puntello marittimo. Nel dicembre 1888 il B1in, one of the most astute member of the Crispi government, espose all'ambasciatore britannico le sue preoccupazioni: in caso di uno con la Francia - prevedeva il ministro - la flotta francese avrebbe attaccato Napoli e la flotta italiana avrebbe dovuto intervenire, andando incontro ad un disastro perchè i francesi godevano di una notevole superiorità nel naviglio pesante; a ciò si sarebbe potuto ovviare con un rapporto più stretto con Londra, visto che per terra l'Italia era in grado di difendersi da sola. La risposta fu scoraggiante:"L'Italia faceva meglio a non contare sull'assistenza dell'Inghilterra per la difesa delle sue coste".(23) Si tentò, allora, con gli alleati. Il 9 marzo 1889 l'addetto navale a Londra, CF Camilla Candiani, segnalò che l'addetto navale tedesco aveva fatto un'apertura circa un possibile accordo tra la Marina germanica e quella italiana. A Roma però interessava molto di più una cooperazione della Marina austriaca e si cercò cli coinvolgere Vienna. Il 26 marzo il CA Raffaele Corsi trasmise a Brin uno studio - "Idee generali intorno all'ipotesi di guerra con la Francia"che esaminava le possibilità e le prospettive di una condotta difensiva od offensiva, in relazione alle varie combinazioni e situazioni politico-militari. Ma i documenti dell'archivio della Casa imperiale di Vienna dimostrano che il governo austriaco era molto tiepido, e la tiepidezza divenne freddezza quan(21) Mirabcllo riferì a Brin, il 22 seHembre 1887, che il capo di S.M. della Marina Francese, ammiraglio Alquicr, gli aveva detto brutalmente: ·'Vous nous ennuyez beaucoup avec vos constructlons·: Lo stesso addeno navale aveva segnalato a Brin, il 26 febbraio precedente, che il ministro francese della Marina, ammiraglio Aube, aveva minacciato di bombardare indiscriminatamente, in caso di conflitto, le città marittime, anche se per farlo avesse dovuto disobbedire al suo governo, AUSMM, busta 122, fase. 2. (22) I.a relazione del Saint Bon,del 2 dicembre 1887, è in AUSMM busta 125, fase. 2. ( 23) A. L Marder, 7be Anatomy o/ Britisb Sea Power. A History o/ Brilisb Naval Policy in tbe PreDreadnougbt Era, New York , Knopf, 1940, pp. 142-43.
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do nell'agosco Crispi, con una cerca prec1pnazione, mandò l'ambasciatore Nigra a proporre al miniscro degli Esteri auscriaco Kalnoky una convenzione marictima ed una militare. Non se ne fece niente. I cattivi rapporti con la Fr<1ncia avevano anche altri risvolti negativi. TI 26 agosto 1884 Uenedeno Brin scrisse al ministro degli Esteri Mancini, facendogli p resente di non essere pi i:1 in grado d i ritardare ulteriormente gli ordini per le corazze della Lepanto e del Ruggero d i La.uria, che voleva destinare alla ditta francese Schneider per la prima nave ed alle inglesi Cammell e Brown per la seconda: le trattative erano state completate. "Ma io non mi deciderò a questo ultimo passo - scriveva il ministro d ella Marina - p rima che il mio egregio Collega, esaminato il presente stato di cose politico, mi abbia assicu rato che sia possibile, senza commettere una imprudenza, affidare forniture importantissime e cli car<1rtere affatto mi litare a dine francesi cd inglesi, in altri termini prima che Egli mi abbia assicurato, nei limiti delle possibili p revisioni per un anno o circa, che non s'incorra da noi nel pericolo di alcuna complicazione dalla quale possa deri vare il sequestro della fornitura o fatto simile". L'8 settembre Mancini rispose:"Se dovessi rispondere alla Sua lettera in data del 26 agosto con l'assicurazione che nulla verrl a turbare l'attuale stato di pace per quel periodo cli un anno circa, che Ella, nella Sua lettera, mi accenna esser necessario per poter ricevere dalle Case fornitrici inglesi e francesi la consegna delle piastre da corazza che alle medesime verrebbero commesse, mi sentirci esitante e perp lesso, non già perchè in questo momento siavi il menomo indizio che giusti fìchi il dubbio, sibbcne perchè in simile materia conviene fare larghissima parte all'imprevisto. Ma se invece l'opinione che Ella mi chiede deve unicamente fondarsi sopra un apprezzamento della probabilità, debbo dichiarare che, a mio avviso, nulla si opporrebbe alla concessione delle forniture alle dine inglesi. Per quanto poi conc<:!rne la Ditta francese Schncidcr e C. del Crcusot, se non esiste altro mezzo per affrettare, come occorre, la provvista delle corazze per la Lepanto, se cioè, il non affìdarla in tutto od in parte alla Casa francese avesse per consegueza necessaria cli dover differire la fornitura fìn dopo che le Ditte inglesi abbiano condono a termine l 'esecuzio ne dei loro primi contratti, creder<:!i che si possa anzichè rnssegnarsi fìn da ora alla inevitabile perdita di tempo, affrontare l'alea di un avveni men10 così improbabile quale sarebbe quello accennato nella Sua lettera, e che solo potrebbe impedire la consegna delle piastre che fossero commesse alla Dina Schncidcr e c. ··.<25) ·on occorrono molte parole cli commento per comprendere come anche
(24) Gabriele. Le Co1wenzio11i ecc .. cit., pp. 67-6$.
(25) Archi\'io dcll'b1icu10 f)èr 1:1 Storia del Rborgimcmo itali.ino. Roma (d'ora in poi indicato con
AIRI), 866, 14 (7 e 9).
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questa vicenda contribu isse a rafforzare nel Brin la convinzione che la linea, già scelta, della Terni rappresentava la scelta migliore per L'Ita lia. La politica cli rafforzamento della Ma rina militare non riguardò soltanto le cosLruzioni . Brin assunse anche altre decisioni <li grande rilevanza, destinate a rimanere nel lungo periodo come elementi costitutivi del porere marittimo italiano. La realizzazione della base navale di Taranto, sempre più impanante per la Marina italiana, ebbe un impulso determinante. l lavori incominciarono nel dicemhre 1884. TI canale navigabile fu completato il 16 aprile 1886: profondo 12 m venne realizzato con doppi argini cli palafitte lunghi 810 m, cli cui 380 banchinati; fu inaugurato dal ministro Brin il 22 maggio 1887. Contemporaneamente fu awiata, con movimenti cli terra, la rettifica della linea costiera della rada di Santa Lucia nel Mar Piccolo, il bacino di raclclohbo Principe cl i Napoli, poi Benedetto Brin, lungo m 203, largo 27, profondo 10. Seguì, nel 1887, il ponte girevole. L'inaugurazione ufficiale ebbe luogo alla presenza di re Umbe1to I 0 , il 21 agostO 1889, quando delle opere programmate era stato avviato solo un quinto, ma era stato incamminato un processo irreversibile. In relazione alla scelta della Marina, lo svil uppo del centro abitato aveva già assunto un ritmo intenso: in 10 anni, dal 1881 al 1991, gli abitanti passarono da 34051 a 60331, in controtendenza con la crisi demografica che si profi lò in Italia a partire dal 1883; contemporaneamente cambiarono le concli:doni economiche, sociali e urhan isciche della città. I nterventi mirati ebbero luogo anc:he nelle altre basi e nei porti principali dello Staro, con un miglioramento complessivo della situazione cli d ifesa delle piazze marittime e del sostegno a terra della flotta. Passi decisivi furono compiuti nel campo della preparazione del personale. L'Accademia Navale di Livorno, che 13rin aveva proposto - come si ricorderà - nel marzo 1878, era stata inaugurata nell'ottobre 1881 , ma il ministro la considerava come una sua creatu ra e ne segu iva con grande cura l'act.ività, interessandosi anche alle piccole riforme dell 'ordinamento e ciel piano degli studi che venivano introdotte. Dd resto Brin credeva veramente nella necessità cli formare ufficiali e tecnici: fece quanto era in lui per appoggiare la Scuola superiore cli Genova per ingegneri navali e propugnò la costru zione di una vasca per esperimenti di architettura navale nell'arsenale della Spezia. Venne anche potenziato l' Ufficio Id rografico della Marina di Genova , diretto fino a quando fu promosso ammiraglio, nel 1888, dal CF poi CV Giovanni Battista Magnaghi, cui successe nell'incarico il CF Carlo Mirabello. Tn tema di organizzazione interna della Marina, un passo importante venne compiuto nel 1885, con l'istituzione dell'Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina. Pri mo capo ne fu l'ammiraglio Simone cli Saint Bon, presidente del Consiglio Superiore della Marina per gli stt1di e la preparazione alla guerra delle forze marittime; oltre al presidente, l'Uffido concava all 'inizio su 12 ufficiali, che scesero poi a 7, ma il seme era staro gettato e, sotto diverse deno-
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minazioni, l'Ufficio di Stato Maggiore avrebbe assunto nel tempo una rilevanza sempre più grande e avrebbe svolto una funzione di guida per la Forza armata. A partire dal 1888 l'incarico di capo dell'Ufficio venne affidato ad un ufficiale ammiraglio diverso dal presidente del Consiglio Superiore: per primo fu nominato il contrammiraglio Raffaele Corsi, che poteva contare su 13 collaboratori. Fin dall'inizio l'anività dell'Ufficio era articolata su due reparti, dei quali il primo si dedicava agli studi concernenti la guerra marittima, alle caratteristiche delle navi e alla difesa delle coste; il secondo soprattutto alla preparazione ed allo svolgimento delle manovre navali. <26) La marina mercantile soffriva dei guai tipici della tecnologia superata. I velieri venivano sostituiti gradualmente dai vapori, che gli armatori italiani tendevano a comprare all'estero, dove l'industria produttrice si avvaleva, specie per le navi di stazza maggiore, di una tecnica più avanzata di quella corrente nei cantieri nazionali. Il passaggio della navigazione dalla vela al vapore apriva falle nei conti con l'estero, sia per l'approvvigionamento delle navi che per il loro esercizio, dovendosi importare dall'estero anche il carbone. C'era poi il problema della qualità delle macchine motrici, che aveva riflessi sensibili, oltre che sulle costruzio ni mercantili, anche su quelle militari, limitando la tanto desiderata autonomia nazionale della Marina. Dopo l'inchiesta Boselli, Brio presentò in Parlamento, dove fu approvata il 6 dicembre 1885, la prima legge italiana sui premi alla marina mercantile, che comprendeva interventi pubblici anche in favore della navigazione. A somiglianza del regime vigente in Francia, questi premi si aggiungevano a quelli alle costruzioni già concessi, venendo a formare un complesso o rganico di misure protezioniste. La spesa per 10 anni venne prevista in 52 milioni, di cui 8 per sgravi tributari, 6 per premi di costrnzione e 38 per premi di navigazione. Veniva concesso 1 franco per ogni t di carbone importata da provenienze extramediterranee. I premi di costruzione consistevano in contributi di 60 lire a t per gli scafi in ferro o in acciaio, 15 per i velieri in legno, 30 per i galleggianti; per le macchine erano riconosciute 10 lire per ogni HP e 6 lire per quintale di peso delle caldaie. Alla navigazione erano concessi 60 centesimi per t di stazza della nave ogni 1000 miglia percorse, con una speciale graduazione. Con l'approvazione della tariffa doganale del 1887 l'entità dei premi ebbe un aumento, in relazione all 'aumento dei dazi per i materiali necessari alla costru7.ione. Nel suo complesso, tuttavia, la legge restava un provvedimento difensivo, non aggressivo, era "una legge di conservazione, non di risorgimento". Restava sempre aperto il problema dei rapporti marittimi con la Francia. L'On. Paolo Boselli preparò nell'ottobre 1885 un memorandum che fu discusso il 31 in una riunione col presidente del Consiglio e quattro ministri, tra cui (26) E. Prasca, L Ammiraglio Simone di Saint Bon, cit. , p. 198; Galuppini, Il Ministero, ecc., cit. , pp. 13-14; Ferrante, cii., pp. 82-83.
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Orin. 1el1a memoria il concerto di piena reciprocità era assunto come base di ogni possibile accordo: le navi delle due bandiere avrebbero dovuto ricevere il medesimo trattamento nei poni nazionali e coloniali dei due Paesi. Le proposte furono sosLanzialmente approvate, solo Depretis raccomandò di non eccedere in intransigenza. La questione più scortante era quella del cabotaggio. Il nuovo governo di Parigi, uscito dalle elezioni dell'ottobre 1885, contropropose l'ammissione della bandiera italiana al cabotaggio nei ponti francesi del Mediterraneo, ma limitatamente alle navi a vapore; veniva offerta, inoltre, la rinuncia francese al cabotaggio adriatico. Nell'intento di negoziare eia posizioni di forza, Parigi esercitò pressioni sui pescatori italiani in Algeria, ma con effetti controproducenti. TI 18 febbraio 1886 il Boselli propose una nuova convenzione articolata su tre punti: esclusione reciproca dal cabotaggio, concessione della navigazione e.li scalo su una base di parità, diritto di pesca reciproco nel Mediterraneo, comprese Corsica ed Algeria. Tn Francia tuuo questo non piacque e si cercò di prendere tempo; finalmente il 19 aprile Parigi aprì soltanto sul terlo punto e chiese una nuova proroga del vecchio regime. Queste proposte vennero confermate dalla presentazione di un controprogetto francese, dinanzi al quale la posizione italiana fu definita il 29 aprile in una riunione ristretta di ministri, cui prese parte Brio, e si attt!stò su una linea di intransigenza orientata a negare nuove proroghe. Il 30 aprile, ultimo giorno di validità dell'accordo in vigore, i francesi sottoscrissero a Roma il progetto Boselli, che Camera e Senato italiani ratificarono alla fine di giugno, ma in Franci a fu un'altra musica. Il ministro della Marina, ammiraglio Aube, rifiutò di firmare la convenzione, giudicandola troppo favorevole agli interessi italiani, e la Camera dei deputati la respinse il 13 luglio 1886 con undici voti di scarto. Immediatamente l'Italia applicò il regime non convenzionale, provocando all'armamento francese perdite non trascurabili. Parigi sostituì l'ambasciatore a Roma e cercò di riaprire le trattative minacciando rappresaglie contro i pescatori e i corallari italiani che operavano sulle coste algerine e francesi. Vi si oppose inflessibile il ministro degli Esteri italiano di Robilant, il quale seccamente rifiutò di avviare "negoziati inutili" e il 12 dicembre denunciò anche il trattato di commercio con la Francia che scadeva il 31 dicembre 1887. Pochi giorni prima Boselli e Brin avevano fatto votare in Parlamento l'art. 15 della legge 6 dicembre 1886, che recitava:"L'esercizio del cabotaggio lungo le cosce italiane è riservato alla bandiera nazionale. Si potranno dal Governo del Re per soli cinque anni dalla promulgazione della legge, ammettere all'esercizio del cabotaggio lungo le coste italiane navi di paesi esteri, a condizioni di perfetta reciprocità''. La linea dura sostanzialmente pagò per la marina mercantile italiana. Le misure di ritorsione da parte francese si diressero contro i pescatori e i coral-
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lari, con sempre maggiore intensità fino alla legge del 1° marzo 1888 che vieta\'a la pesca agli stnmicri nelle acque territoriali francesi e che praticamenw espulse i pescatori italiani, con particolare danno dei siciliani. La scomparsa di una parte dell'offerta provocò sul momento un aumento del prezzo del pes<.:ato, come segnalava Crispi a B1in il 18 marzo 1888. Tuttavia il bilancio della vi<.:cnda, in tema cli attività marittima civile, era largamente favorevole agli italiani, i quali avevano potuto liberarsi d i una vecchia convenzione penal izzante che aveva "fatto il suo tempo".< 27) Dal 1862 l'Italia ne aveva fatta di strada cd er.i logico si liberasse di impegni che risalivano ad uno scato di soggezione morale e di minorità ormai sorpassato. Benedetto nrin aveva una concezione unitaria del potere marittimo. come del resto ern nella tradizione del pensiero italiano. ì\'on quindi la potenza navale da sola, ma una costruttiva inrcgrazionc delle Marine militare e mercantile, cias<.:Una delle quali doveva influire positivamente.: sull'altrn in una evoluzione armonica. Ciò toccava i settori di interesse comune diretto, <.:ome le macchine motrici delle navi, e quelli complementari, come la capacità di traspono e la qua lità dei bastimenti c.:ommerciali. Anche l'istituzione elci Consigl io Superiore di Marina, nel 1885, rientrò nel quadro di una visione unitaria poichè il Consiglio er.i competente a tranare problemi attinenti a rutto il mondo marittimo, an<.:he se la sua composizione es<.:lusivamente militare poteva in qualche c.:aso non essere la più idonea ad approfondire temi di valenza prevalentemente c<.:onomica.<28)
(27) Del Vecchio. cii .. pp. 60-162. (28) l.:t sua romposizionc csclusivmncnt<: militare poteva non essere la più idonea quando si trai · t:1,·a di approfondire temi di ,·:!lenza cconomic:1, t-1orc. cfl.. Il. p. -12.
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Il 'Duilio'' in mare dopo il varo
li 'Duilio" sullo scalo
Simone di Saint Don
Benedetto Brin in divisa da Ispettore del Genio Nal/ale
Ferdinando Acton
Re Umbe,10 J0
Antonio Starabba di Rudinì
Cortile interno dell'Ac.:c.:,1denùi '\a\·alc di li\·omo.
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Livorno: Lazzaretto di Snn l.eopuldo
•
Corazzata ·caio D111lio ··.
• •
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la corazzata ''Andrea Doria" transita 11el canale navigabile di Taranto il 19 agosto 789 5
Panorama dell'Accademta Navale
Da destra a sinistra. corazzate 'Re ( 'mlx•,10 ... "A ndrea Ooria . "Rtt~iero di la uria ... a/l'ancora nel p,.mo d1 Xapoh il 9 agosto 1895
Corazzata "Ue Umbe110 • ..
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Varo dell'incrociatore corazzato·'Ciuseppe C}aribaldi"
lncl'ociatore corazzato "Giuseppe Garibaldi".
.\'twe da battag/ra "Be11edet1u Urin -.
Benedetto Brin in di,-isa da a1111111m~ho.
CAPITOLO VI
Ministro degli Esteri Caduto il governo Crispi, il 9 febbraio 1891 il marchese di Rudinì costituì il suo primo gabinetto, nel quale tenne per sé il portafogl io degl i Esteri. Dopo 15 anni, l 'ammiraglio Simone di Saint Bon ritornava ministro della Marina. Dopo i più spericolati atteggiamenti di Crispi che avevano destato preoccupazione all'estero, il nuovo presidente del Consiglio fu ben accolto, specialmente a Berlino e a Londra dove la sua interpretazione difensiva della Triplice Alleanza veniva apprezzata. Rimase invece sostanzialmente ostile Parigi, che non raccolse taluni approcci italiani rendenti ad una maggiore distensione. Ne conseguì il 6 maggio 1891 il rinnovo anticipato della Triplice, annunciato nel giugno - scrive Salvatorelli - "con un certo strepito''. Il nuovo accordo avrebbe avuto una durata di 6 anni e, se non fosse staro denunciato un anno prima del la scadenza, sarebbe stato automaticamente..! prorogato per altri 6 anni. Gli anicoli del precedente trattato italo-tedesco del 1887 vi erano ripresi letteralmente; inoltre, a tali articoli che riguardavano il Mediterraneo se ne aggiungeva uno m1ovo che prevedeva legami più stretti tra la politica tedesca e quella italiana per l 'Africa settentrionale ed impegnava più espl icitamente la Germania ad appoggiare, se necessario, quelle azioni italiane cli occupazione sulla costa africana che avessero dovuto essere intraprese per 1istabilire l'equilibrio. Sotto questo profilo il terzo tramno della Triplice avrebbe potuto essere considerato un apprezzabile successo italiano se contemporaneamente non fosse fallito il tentativo cli associare, in modo più impegnativo del passato, l'Inghilterra alle potenze tripliciste. La politica di Londra, anzi, divenne da quel momento sempre più sfuggente, pur non contestandosi da parte britannica l'esistenza di possibili convergenti interessi che avrebbero potuto condurla, in determinate circostanze, a fianco dell'Italia e degli Imperi centrali. Una di queste convergenze, forse, avrebbe potuto essere la cessione o la vendita dell'Etitrea all'Inghilterra, con la quale nella primavera 1891 venne stipul ata una convenzione o riginata dalla notificazione italiana del trattato cli l kcialli, che servì anche a delim itare i confini del Kenia e della Somalia britannica. Di Rudinì si rendeva conto che in Eritrea non c'erano prospettive cli sfruttamento economico e gli stessi militari avrebbero preferito tenere soltanto Massaua, ma dopo i morti cli Dogal i non era più politicamente possibi le.
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Comunque, l'ori entamento fu cli non assumere ulteriori iniziative militari. TI 14 luglio 1891 di Ruclinì informò gli ambasciatori a Berlino e a Vienna che il ministro della Guerra riteneva, in tema cli cooperazione marittima "che i negoziati confidenziali dovrebbero esser ripigliati sopra base più ristretta. Tratterebbesi di determinare se e in quale misura le flotte alleate avrebbero a concorrere, nelle successive e probabi li azioni terrestri, alla d ifesa delle nostre coste, p rescindendo eia qualsiasi intelligenza circa il compito delle tre flotte alleate nelle operazioni di carattere esclusivamente marittimo e eia svolgersi in alto mare". Avvertiva poi che il comandante Volpe, destinato come addetto navale alle ambasciate di Berlino e V ienna, aveva ricevuto l 'incarico di "scandagliare il terreno" e concludeva raccomandando di appoggiarlo e cli mantenere il più assoluto segreto. L'iniziativa nasceva dai ve1tici del l'esercito dove il problema era visto con un'angolazione particolare, strettamente collegato alla mobilitazione delle truppe ccl al loro trasporto ai fronti, che esigevano una difesa marittima sufficiente delle coste peninsulari dell'Italia. Il 20 luglio successivo, infatti, il ministro della Guerra, generale Pelloux, ne parlò all'addetto militare austriaco, colonnello Forstner, ponendo l 'accento sui problemi della mobilitazione e del trasporto in Gem1ania delle truppc in attuazione della Convenzione militare del 1888. Il Forstner riferì a Vienna delle preoccupazioni di Pelloux per la difesa delle ferrovie costiere, "pu11roppo così facilmente vulnerabili dal mare", e dell'idea di far intervenire la flotta austriaca per di fenderle in Adriatico e nello Tonio, mentre altre navi della stessa Marina, insieme a unità tedesche, avrebbero potuto coprire la Sicilia_(]) A questo risultato Pelloux proponeva di arrivare mediante una "amplificazione delle convenzioni militari già esistenti in base all'alleanza", realizzando cosi una "fraternità d'armi per terra e per mare". Su questa fraternità la Marina aveva vedute diverse. TI 23 luglio il ministro Saint Don scrisse a cli Ruclinì c.:he era necessario conoscere, una volta concluse le operazioni di mobilitazione e cli trasporto lungo le ferrovie litoranee, quale concorso gli alleati erano disposti a dare alla flotta i taliana "i n un'azione comune contro il nemico". Occorreva a tal fine un accorcio specifico "su tutte le quistioni che si riferiscono alla comune azione delle flotte in una guerra marittima". La Marina partiva quindi eia un punto di vista più generale e duraturo, che considerava globalmente i problemi della collaborazione navale triplicista, da definire in una apposi ta convenzione. Il punto di vista era chiaro e prevalse. Non allrettanto chiare furono invece le istruzioni verbali che l'addetto navale ricevette dal p residente ciel Consiglio, dal ministro della Marina e dal capo cli Stato Maggiore dell'esercito: "oscillavano fra un enunciato ed un'aspirazio-
( 1) Pdloux con questo vendeva b pelle dell'orso, forse anche spaventando il suo interlocutore: non c'era alcun accordo con i tedeschi.
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ne...difenavano di dati ed indicazioni per avviare praticamente la pro posta ad una forma esplicita, o meglio tangibile o più valutabile. La proposta medesima, nel suo punto di partenza, parvemi, confesso, come un po' campata in aria~.<2) L'evoluzione in corso della situazione internazionale, invece, avrebbe richiesto la massima concretezza. Il 23 luglio la flotta francese fece visita a Kronstadt e un mese dopo venne concluso un primo accordo franco-russo, premessa della successiva alleanza che avrebbe aggravato le condizioni di rela1ività marittima dell'Italia: tan10 più se a Bisena, dove si temeva la costruzione di una grande base offensiva, si fosse aggiunta una presenza navale russa. Nè poteva far piacere al governo italiano che la Santa Sede conducesse una poli1ica di ral/iement con la repubblica laica transalpina e continuasse ad accusare l'Italia d i usurpazio ne; nel 1890 nel Parlamento francese si costituì un gruppo di cattolici repubblicani, mentre con la Rerum Novamm del febbraio 1892 il prestigio di Leone xm sarebbe salito alle stelle,(3) evidenziando un confronto schiacciante col Quirinale. Venne deciso che il CV Volpe si sarebbe recato prima a Berlino. Probabilmente si riteneva più facile acquisire un consenso germanico che avrebbe dovuto poi servire da grimaldello per aprire la porta di Vienna. Anche se può apparire inappropriata l'apertura di un dialogo navale con un Paese così geograficamente lontano e cararccrizzato da interessi strategico-marittimi diversi, va pur ricordato che la Germania, tra i due alleati dell'Italia, era stata la più comprensiva e la più disponibile. Di là era passata la via maestra dell'alleanza e gli stessi interessi mediterranei avevano trovato un appoggio più concreto nella capitale tedesca che in quella aus1riaca. Inoltre, nel caso di conflitto contro la Francia, la partecipazione militare italiana era prevista sul Reno a favore diretto della Germania, e questo fatto poteva apparire idoneo a faci litare anche una cooperazione marittima. Freddamente sostenuto dall'ambasciatore de Launay, che si disse non informato e persuaso della inopportunità della missione, il Volpe avviò le trattative col vice ammiraglio von cler Goltz, comandan1e della Marina tedesca, che aveva conosciuco in Cina.C4) Alla fine di agosto, l'ufficiale italiano trasmise un
(2) Di Rudinì fu vago, ma fìducioso; Sain1 Bon scenico: il genemle Cosenz convinco che la guerra fosse vicina. Cfr AUSMM, busca 141, CV R. Volpe, Memorie, I, pp. 2-4. (3) L'arcivescovo di Algeri, Lavigerie. ricevendo i comandami della squad,.1 del Meditcmmeo il 12
novembre 1890 brindò alla Marina francese e dichiarò che l'Episcopato accenava la Repubblica senza S01tin1esi e senza riserve.G. Spadolini, lineamenti della polilica del Papa10, in Questioni di storia contemporanea, ci1., 111, pp. 553-54. (4) Ad Hong Kong, dove l'uffìciale tedesco era in comando del leipzlg e l'iialiano 2° ufficiale sul Colombo.
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documento in nove punti, la cui principale argomentazione consisteva nell'affermazione della necessità della coll ahorazione navale tedesca per consentire una condo tta di guerra offensiva: la Mari na italiana avrebbe attaccato quella francese se avesse potuto contare sull'indispensabile appoggio navale tedesco. Dopo 35 giorni giunse la risposta germanica. Assicurava che se allo scoppio delle ostilità una squadra imperiale si fosse trovata nel Meditemmeo si sarebbe schierata con la tlotta italiana, il che era ovvio, ma il nocciolo del discorso era negativo. I piani bellici della Marina tedesca prevedevano soprattutto la guerra d i corsa a breve ragg io, a causa della limitata autonomia delle sue unità. L"opposizione alle proposte italiane veniva sopranutto dal ministro della Marina, ammiraglio Hollmann, e dal capo del gahinetto navale imperiale, CV von Senden: ciò era particolarmente negativo, perchè una decisione come quella di estendere al mare la collaborazione militare non avrehbe poruto esser presa a livello tecnico, ma a q uello politico delle massime autorit~1 dell"l mpero. La reazione del Saint Bon fu molto serena. 1on si era mai illuso di contare sulla tlorta tedesca e disse che suo solo fine era di conoscere se in caso e.li guerra la Marina germanica avesse "un piano prestabilito per l'impiego delle sue for1.e"; le informazioni trasmesse dal Volpe rispondevano all"obiettivo. Intanto a Vienna !"addetto militare italiano, tenente colonnello Rrusati, aveva informato il capo di Stato Maggiore imperiale e regio, maresciallo von Beck, dell'incarico affidato al Volpe. In proposito Kalnoky, il 4 agosto, diede all'imperatore una memoria piena di riserve, ma non contraria ad ini ziare delle conversazioni "fi nchè si fosse trattato del teatro operativo adriatico··. Il comandante Volpe giu nse a Vienna il 3 novembre e simpatizzò con l'ambasciatore Nigra, che lo sostenne attiva mente. Dopo qualche gio rno l'addetto navale incontrò l'ammiraglio Sternek, capo della Marina, e riuscì a stabilire con lui un'atmosfera di comprensione e di collaborazione. La flotta austriaca come lo stesso Volpe constatò nel viaggio che compì in dicembre nelle basi adriatiche - era un complesso navale consistente; notò lo Sternck che sarebbe stata sufficiente per un ruolo difensivo del litorale austro-ungarico, ma se fosse stata dislocata altrove il vantaggio sarebbe stato tuno degli italiani. Uno dei problemi che aveva l"adderro navale era dato dalla mancanza cli precise istru zioni, che non trovò nemmeno al ritorno dal suo viaggio d i visita alle basi della tlotta. Improvvisò, e il 20 d icembre, incontrando lo Sternek. gli disse che personalmente considerava la posizione strategica di Taranto importantissima, anche come base per la flona austro-unga rica in una guerra che non fosse stata limitata alla difesa ravvicinata; si spinse poi ad affermare che se fosse stato lui il ministro della Marina avrebbe proposto di affidare all"ammiragl io austriaco il comando dell e forze navali riunite per difendere l'Ad riatico eia Taranto. Alla fine dell"anno, persistendo il silenzio di Roma, Volpe rivide lo Sternek,
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il quale gli disse che un·azione indipendente delle due flotte era preferibile all'im piego congiunto di navi cli bandiere diverse operanti insieme e che per Vienna Cor fù e Canaro erano più interessanti di Taranto, ma si di lungò a parlare della oppo1tunicà della strategia offensiva, secondato dal Volpe, e individuò a tal fine nella Maddalena la base più idonea, facendo capire che aspirava personalmente al comando in capo delle flotte riunire.(5) Non era diffici le intuire che, almeno per lui, la risposta alla proposta italiana d ipendeva in buona parte dal successo di quella aspirazione. Con questi nuovi elementi di conoscenza, ma niente di concreto in mano, alla metà del gennaio 1892 il comandante Volpe fece ri torn o a Berlino. C6) D ietro alle difficol tà che l 'addetto navale italiano aveva incontrato nelle capitali degli Imperi centrali c'era la scarsa considerazione che gli alleati avevano della potenza marittima italiana, sul punto, infatti, di entrare in una fase di declino, mentre altri Paesi, come Russia e Germania, avviavano programmi d i sviluppo delle loro flotte. Anche Salisbu1y, pur mandando una squadra a Venezia nel luglio 1891 e consentendo a man ifestazioni d i solidarietà e di amicizia (in quella occasione il re Umberto e l'ammiraglio b ri tannico non lesinarono le parole nei brindisi), considerava la collaborazione navale anglo-italiana come una soluzione estrema, tanto che il comandante della Mediterranean Fleet non sapeva nemmeno se avrebbe dovuto contare sull'aiuto italiano in caso di guerra con la Francia.m Dal canto suo la Marina italiana non faceva che studiare eia anni le ipotesi d i quel conflitto: come difendersi, come attaccare, come coordinare la propria azione con quella delle forze terrestri; lo faceva da subito dopo l'occupazio ne francese di Tunisi e avrebbe continuato negli anni '90.C8) Il ministro della Marina vedeva che le alt.re flotte europee erano impegnare nel loro potenziamento e ritenne necessario che l'Italia compisse uno sforzo nelle costruzioni navali per dotarsi d i due nuove unità eia battaglia. Ma la situazione finanziaria del Paese era talmente d ifficile che il presidente del Consiglio puntava ad economie prop1io nel settore delle spese militari entrando in collisione con la Corona, motivo principale della sua caduta nel maggio 1892. Saint Bon fu confermato ministro della Marina anche nel successi vo governo Giolitti e d iede incarico all'ispettore del Genio Navale Pullino di p ro-
(5) Il barone Massimilia no Daublcbsky von Sternek zu Ehrenstein aveva comandato a Lissa, col grndo d i CV, la fregata corazzata Erzherzug Ferdinand Max, nave amm iraglia della flotta austriaca, che aveva speronato e affondato la Re d'Italia. (6) Gabriele, Le co11uenzioni. ecc .. cit., pp. 87-124. (7) Marder, cii ., p. 173 . (8) Cfr AUSMlvl, busta 135, fase. 2 e 3: busta 139, fase. 3; busta 153. fosc . 4.
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gettare una nuova classe di corazzate veloci e ben protette, di limitato dislocamento e armamento non eccessivo, ma consistente. li ministro puntava ad un recupero di potenza della Marina nel settore delle unità pesanti, pur tenendo conto dei vincoli del bilancio. Ma mentre i progetti erano ancora in corso Saint Bon mo rì e il Pullino dovette rivedere i disegni per tener conto dei suggerimenti dei successori Brin e Racchia. Si arrivò così al 1893 cd al 1894 prima che le due navi da battaglia, Emanuele Filibeno e Ammiraglio di Saint Bon, fossero impostare sugli scali di Castellammare e di Venezia.C9) Saint Bon promosse la realizzazione di due nuove unità anche nella categoria degli incrociatori corazzati. La decisione fu assunta durante la costruzione del Marco Polo, di cui risultavano già evidenti, rispetto agli esemplari della stessa categoria in servizio presso altre Marine, la protezione scarsa e l'armamento insufficiente. TI Masdea preparò i progetti sulla base di un dislocamento di circa 6500 t e di una velocità di 19 nodi. Ne risultarono i due ortimi incrociatori della classe Vettor Pisani, ben protetti, veloci e armati con 12 pezzi da 152/40, 6 da 120/ 40, altri 20 minori, 2 mitragliere e 5 tubi lanciasiluri. Saint Bon vide solo i progetti, perchè morì il 26 novembre 1892 mentre il Vettor Pisani fu impostato a Castellammare il 7 dicembre e il Carlo Alberto alla Spezia nel gennaio successivo.00) Le dimissioni del marchese di Rudinì, nel maggio 1892, videro per un mo mento Benedetto Brin candidato alla presidenza del Consiglio con l'appoggio di Zanardelli, ma la scelta del re cadde infìne su Giovanni Giolitti che formò il suo primo governo, nel quale lo stesso sovrano sostenne la nomina di Brin agli Esteri. Giolitti, alle prese con un Pa rlamento irrequieto, ne promosse lo scioglimento, indirizzando il Paese alle elezioni del novembre 1892. Questa volta però l'elerrorato reagì con forti astensioni, tanto che anche Brin ormai trasferito dal suo vecchio collegio di Livorno alla nativa Torino - riuscì " per il rorto della cuffia a conservare il suo seggio, dopo un ballottaggio in cui era prevalso di stretta misura"_C11) La situazione internazionale non era agevole da gestire. Mentre l'allineamento franco-russo modifìcava gli equilìbri politici e militari del continente, le spese militari italiane - Guerra e Marina - diminuivano inesorabilmente eia cinque anni: nel 1888-89, 553 milioni; nel 1889-90, 422 milioni; nel 1890-91, 404 milioni; nel 1891-92, 359 milioni ; nel 1892-93, 343 milioni . Si trattava di cifre che rispecchiavano frequentemente delle forzature rispeno alle reali possibilità del Paese, ma gli alleati no n potevan o gradire questo trend, in particolare i (9) Giorgerini e Nani, le navt di linea, cit., p. 216. (10) G iorgerini e Nani, Cli Incrociatori, cit., pp. 279-80.
(1 1) Cas1ronovo, Torino. cit., pp. 127-28.
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tedeschi, tanto che il 27 novembre 1891 il cancelliere van Caprivi ebbe a definire "meramente nominale" il concorso militare italiano alla potenza della Triplice. Tra il 1892 e il 1893 la Marina italiana incominciò ad essere considerata in una fase di decadenza. Una delle cause evidenti era da riconoscersi nella contrazione dei bilanci, ma secondo osservatori stranieri dovevano esservi anche altre motivazioni che sfuggivano a una diagnosi precisa. Un alto ufficiale della Marina britannica scriveva nel 1892: "Non so cosa non funziona nella Marina italiana. Non è nelle navi; non è negli ufficiali ... non è nell'istruzione...non è nel coraggio e nel duro lavo ro; non è nella navigazione ... Eppure c'è qualche manchevolezza, qualche cosa cli cui non posso non essere conscio. E il risultato di rutto questo è che, se avessi per le mani un'impresa difficile, preferirei tentarla senza l'aiuto italiano piuttosto che con esso".0 2) In Germania valutazioni analoghe davano luogo addirittura a manifestazioni di ostilità e cli disprezzo. Nella primavera 1892 l'addetto navale italiano visitò Danzica e Kiel, ma non ebbe la possibilità cli vedere niente di interessante e reagì energicamente col Ministro della Marina Hollmann e con lo stesso imperatore, il quale gli fece dire, per rabbonirlo, di avere intenzione di mandare un incrociatore ad aggregarsi alla flotta italiana in Med iterraneo. Solo in Francia l'attenzione degli ambienti navali appariva rivolta, con qualche preoccupazione, alla Marina italiana, tanto che vennero assunti provvedimenti per la difesa mobile della Corsica e dell'Algeria da attacchi dal mare, si cercò di rinforzare i porti di Biserta e di Sfax e di organizzare una squadra di riserva a Tolone; non è da escludere che il potere marittimo italiano fosse strumentalizzato, sopravalutandolo ad arte per provocare allarme ed ottenere crediti supplementari. Dal 21 al 24 giugno la famiglia reale italiana, accompagnata dal ministro degli Esteri, compì una visita ufficiale a Potsdam. Brin cercò di cogliere l'occasione per trattare la questione della cooperazione navale tedesca. A Roma l'addetto militare germanico, colonnello Engelbrecht, aveva richiesto dal 1884 i piani di costruzione delle nuove unità della Marina italiana, e questo fece sperare al Brin di avere un argomento da usare nelle trattative. Era una pia illusione perchè nel frattempo le costruzioni navali tedesche si erano sviluppate autonomamente nel quadro del potenziale industriale del Paese, molto superiore a quello italiano: Brin strabiliò quando venne a sapere dall'ammiraglio Koestler, direttore del materiale al Ministero della Marina, che nell'anno in corso erano state già varate 3 navi per 9000 t di dislocamento e che ne sarebbero scese in mare altre 5, per 22000 e di dislocamento. Il comandante Volpe, (12) \Y/. L. Clowes, 1be Mi/istone Round the Neck of England, in Nineteenth Centu,y, 1895, marw; non diversamente W. Ea rdley \Y/ilmott, Jtaly as a Naval Power, in Uni/ed Service Magazine, 1893, aprile.
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dal canto suo, gl i confermò che dal suo arrivo in Germania - meno di un anno - la Marina imperiale aveva varato 11 unità per 55000 l. T mezzi ·'coercitivi" che il ministro aveva sperato fossero in mano italiana risultavano così inesistenti. Inoltre egli non conosceva le difficoltà incontrate dall'addetto navale e non si rendeva esattamente conto della scarsa considerazione in cui l'orgogliosa Marina imperiale, nella quale saliva la stella di Tirpitz, 03) teneva l'alleata italiana. Eppure proprio vicino al nuovo ministro degli Esteri fonti diplomatiche definivano la Triplice "un·anuale pesante necessità'' e i dirigenti tedeschi, a cominciare dal von Caprivi, "o troppo diffidenti alleati, o troppo concupiscenti usurai". unica eccezione, almeno secondo il Volpe, era l"imperatore Guglielmo II , "solo e sincero amico ... cntusiasta del nostro Paese': forse, così stando le cose, un intervento personal e del re sarebbe stato opportuno. Fll invece Benedetto Urin a trattare, in un colloquio col Caprivi, la questione della collabo razione marittima italo-tedesca, ma senza risultato. rei ricevimento che subito dopo il cancelliere offrì in onore del ministro degli Esteri italiano serpeggiava un cerco imbarazzo, favorito dalla diffidenza reciproca e dalla non perferta conoscenza delle lingue, che non favoriva l 'avanzamento della conversazione. La scarsa loquacità del Caprivi, subito dopo scambiati i brindisi concordati in precedenza, fece sospettare all'addetto navale che le cose non procedessero bene: "Circa il contegno di Caprivi verso il suo principale ospite di occasione, non posso dire che Brin fosse trattato molto meglio di mc, fatta ogni debita proporzione. E. certo che Caprivi parlò, con la sua calma abiruale, più co' suoi che co· nostri; e si mostrò alquanto più affabile o più intensamente impegnato col vecchio ambasciatore di Austria e col colonnello Steininger che col ministro per gli Affari Esteri d'Italia, o col marchese Incisa o con mc. La offerta colazione parvemi essere srata meno un mezzo per onornrc il nostro ministro; od un veicolo per proseguire conversazioni amichevoli frn il cancelliere dell'Impero cd il rappresentante del Governo italiano, che un appropriato e convenevole pretesto per far conoscere a quest'ultimo un po· cli ambiente tedesco non esclusivamente di Corte. A giudicare dal complesso dei piccoli fenomeni che notai, concludevo in cuor mio che nella conferenza a quanr·occhi avuta luogo prima elci mezzodì frn i due uomini di stato si ern prodotto uno di questi due risultati: o piena entente reciproca; od assolutamente nulla di mutato nel sistema planetario che faceva dell'ancella Italia un molto lontano tr.:1bante (attendente) ciel sole Germania".
(13) L:1 sua ascesa si sarebbe conclusa nel 189ì con la nomina a ministro. 'el giugno 1892 Tirpitz era ancora cv. ma fu presentato dal Capri,·i al Brin con quc~c parole: -E' scn7-'1 dubbio il migliore dei nostri capirnni di vascello. Fu mio collaboratore quando ave,·o l'onore di essere ministro dell:i Marina. E dobbiamo specialmente alla ~ua opera valorosa l'anuale onimo ordimum:nto del servizio delle torpedini e delle torpediniere della nostra Marina. S,ir~l. credo. altrettanto utile come ufficiai<.· ammiraglio··, AUSMM. bu,ta 141. Volpe, cii.. V. p. 91.
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L'imperdtore rese omaggio alla fama internazionale di progettista navale del ministro italiano, pregandolo di esaminare e correggere il progetto di una nave da guerra che aveva srudiato personalmente e di cui si sentiva quasi l'autore, così da ottenere, come già nel passalo era accaduto, qualche consiglio tecnico alla luce delle sue profonde conoscenze in materia. Ma questo discorso deferente e gentile non era in linea con le determinazioni politiche, come il Volpe si rese conto dal suo successivo colloquio col Brin: "Lasciai il ministro degli Esteri col convincimento noioso - dal punto cli vista patriottico - che al mio insuccesso bisognava ora aggiungerne uno molto più grosso cd assai meno giustificabile: il suo scacco, nella qualità di rnppresentante direno e autorevole del governo italiano e di un ministero di fresco giunto al potere". In realtà, come convenì il ministro della Real Casa Urbano Rattazzi ju11ior, la missione del Volpe "avrebbe dovuto precedere la conclusione e quindi la firma del rinnovanento ciel Tr,mato··; awiata dopo, quando il negoziato principale erd stato concluso, la missio ne era destinata al fallimento. Di più, l'atteggiamento germanico ·'di estremo riserbo o di sconfortante e grossolana diffidenza" rendeva la situazione "insostenibile pcrchè contraria agl'interessi ed al decoro del nostro Regno e divergente dallo spirito stesso del patto d'alleanza".04) Intanto sul versante austriaco Brin gestiva un'altra operazione di diplomazia navale, utilizzando anche il suo elevato credito personale presso il ministro degli Esteri Kalnoky, credilo di cui i l duca d'Ava rna gli aveva dato testimonianza appena formato il governo.C15) Una squadrn austriaca avrebbe visitato Genova in agosto, suscitando le "escandescenze·· francesi e qualche preoccupazione italiana a causa dei nomi delle navi.0 6> Ma il 17 agosto le conversazioni franco-russe si concludevano (14) AUSMM. bu~t.l 141, Volpe, cli., V. pp. 48 e 94-95; Vl. pp. 16. 19. 75. Nel COllCX)uio col Rattazzi. omonimo del più noto statista di cui era nip<lte, il CV non na~cose l 'irrit:1zione e l'amarezza che avev:1 pmvaco rer la cotale mancanza di riguardo dei tedeschi durance le tratcative fino al "fiasco definitivo e completo·. Lamentò "la troppo grande inferiorità nostra nella Triplice rispetto agli alleati; inferiorità ...avvi:ua a raggiungere. specialmente sotto il rappono della reciprocità dei doveri. una gradazione per noi italiani intoller.ibile. :-/ella Triplice il nostro Stato risenti\·a, in compie~. più danni che vantaggi ne· ca mpi: commerciale <agrico lo, industriale e 1mmif;1nuriero); e milit:1re (terrestre e marittimo). Risul tava, inoltre ed all 'infuori del fauo m:nerialc, che l 'Ita l ia nella Triplice ve::n iva sempre meno tr:mata sul piede di una relmiva eguagli:1n7.1; e sempre più valutata, nell:i sostanza e nella forai. :,otco l'aspetto di una assoluca. penosa e monific-,mte dipendenza e soggezione·. Ibidem. Vl. pp. - 4.75, (15) D'Avarna a Rrin. 19 maggio 1892, Archivio Storico del Ministero degli AfTari Esteri (d'ora in poi indicato con ASMAE), Carte lJrin. Corrispm1denza pri1 •a1a. busta unica. (16) Ressm:m a Brin. da Parigi 18 agosto 1892. li 9 precedente Nigm aveva scritto da Vienna ·che s;irebbe conveniente che i legni da mandarsi a Geno,·,1 non ponasscro nomi ricordanti e,enti doloro~i per l'ltali,1. Per mala ventur:1 le migliori navi austro-ungariche sono appunto il Tegeuhojj; lissa, Custoza. A ogni modo ho creduto mio dovere dì dari: quegli avvertimenti. giacchè non sono poi canto sicuro che non accada a Genova qualche incidente sgr.idcvole". AS.\ IAE . loco cii.
con una convenzione militare che modificava le condizioni di sicurezza di runa la Triplice e apriva alla Germania Io spettro dei due fronti. Fu questo l'awenimento più importante di quegli anni, destinato a proienarc la sua influenza su un lungo periodo di tempo. ·ella primavera precedente l'ammiraglio Sternek aveva farro sondare il ministro Saint Bon, attraverso l'addetto navale a Roma,TV Soltyk, per un incontro segreto da tenersi possibilmente a Venezia. Il Saint Bon non aveva chiaro il motivo dell'incontro e, dovendosi recare in licenza a Chambery, contropropose la località francese come sede dell'incontro: non si può negare che fosse una scelta curiosa per l'incontro segreto di due nemici della Francia, e non sc ne fece nulla. Lo Sternek, però, era rimasto irritato e quando nell'onobre 1892 il Volpe ritornò a Vienna non mancò di manifestargli la propria insoddisfazione. L'addetto navale cercò cli giustificare l'accaduto, ma senza grande successo. "Sternek rimase di ghiaccio; o come non fatto persuaso della mia argomentazione; o come sempre sotto una fo rte irritazione di amor proprio offeso. Ne' colloqui che avevo con l'ammiraglio austriaco mi ero abituato a subire certe scrollate di spalle non precisamente o rtodosse; le quali io scusavo con la costituzione sanguigna di quel navale, con J"enorme orgoglio personale, accresciuto da un ambiente speciale che lo inchinava profondamente; con le sue abi tudini da Don Giovanni, per metà fortunato presso le signore, e per metà deriso nella società civile; con gli anni grigi; ed in ultimo col suo molto cuore e scarso intelleno. Dissi già altrove che il capitano di vascello Lehnert era la mente attuale, robusta ed appropriata, che funzionava al ministero di Wahringstrasse, pel cervello, stato mai molto acuto, dell'uomo intraprendente che fu il braccio destro di Tegecthoff. Sternek saltò a parlare di Taranto. Questo era un altro argomento nel quale l'ammiraglio austro-ungarico si compiaceva a leggermente bistrattarmi; oppure a fare meco sfoggio di alquanto pungente ironia. Come Pola è per i navali italiani una spina adriatica, così Taranto è per gli ufficiali della Marina I. e R. un filo di paglia ncll'occhio" .(17) Tuttavia la difesa del Volpe non andò a vuoto perchè l'ammiraglio Stemck gli fece riservatamente conoscere di avere da tempo l'intenzione di ··rappresentare alle Delegazioni dell 'Impero la necessità di una sostanziale modifica nel programma da lui stesso tracciato circa il compito difensivo della Marina imperiale e regia", motivo per cui di nuovo sollecitava un incontro col Saint Bo n. Ma poichè nell'Impero danubiano la Marina dipendeva dal ministro della Guerra, cui lo stesso Sternek era subordinato, sarebbe stato opportuno che il primo passo partisse da Roma, dove il Saint Bon non aveva gli sLessi problemi. ~Lo interesse presente ed immediato dovrebbe essere il tema od il bisogno di cooperazione delle due Marine da guerra, italiana ed austro-ungarica, in (17) A USM.1"1, busca 141, Volpe, cii .. X,
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pp. 63-64.
caso di conflagrazione europea durante il periodo di alleanza ".0 8) L'apertura era quanto mai interessante, sia perchè l'insistenza dello Stemek dimostrava che era consapevole che l'aggravamento della situazione internazionale esigeva soluzioni nuove; sia perchè tali intenzioni si awicinavano in linea di principio alle richieste italiane di cooperazione navale. Ma Saint Bon morì e Btìn, che assunse l' interim della Marina per 13 giorni, rimase troppo poco per prendere decisioni. L'argomento della collaborazione marittima sarebbe stato ripreso in seguito dal vice ammiraglio Carlo Alberto Racchia, ministro della Marina dall'8 dicembre 1892. Il mondo matìttimo internazionale era in movimento. La Russia s i impegnava in campo navale e, nella valutazione corrente, a metà degli anni '90 la sua flotta superò quella italiana. La Germania sviluppava e addestrava le sue forze marittime, preparandole fin dal tempo di pace a condurre una guerra offensiva: in caso di guerra le corazzate e le torpediniere dovevano riunirsi a Kiel per attaccare nel Baltico; gli incrociatori avrebbero operato isolatamente nel mare del Nord e nella Manica partendo da Wilhelmshafen; le navi scuola avrebbero costituito una squadra ausi liaria basata a Kiel per difendere la piazza e sostenere la squadra da battaglia. Guglielmo II e van Tirpitz miravano a creare una grande Marina e tutto, nell'ambiente navale tedesco, dava segni di sviluppo e di fo rza. La decadenza della flotta italiana, in tale clima, veniva esagerata ed era oggetto di critiche severe: Tirpitz arrivava a valutarla al livello di quella spagnola. Guglielmo Il criticava la qualità dei cannonieri, il disordine operativo, gli interminabili lavori di Taranto. Ad ogni occasione, la diffidenza germanica si faceva sentire. TI 26 gennaio 1893 l'ambasciatore De Launay segnalò che van Caprivi temeva ora che l'Italia, per motivi attinenti alla sua propria difesa, non potesse mandare più le sue truppe sul Reno secondo la convenzione del 1888; e poichè il cancelliere il giorno prima era stato ricevuto a Corte, era probabile che esprimesse anche il punto di vista del sovrano quando poco diplomaticamente diceva:"a che servono le alleanze se dobbiamo sempre accrescere la nostra forza?"C 19) Per la verità, la necessità di aumentare la forza militare della Germania dipendeva meno dalla debolezza italiana che dalla nuova posizione russa, che proprio la politica tedesca aveva in buona parte provocato. Nell'aprile l'imperatore venne in visita in Italia, accompagnato dal Volpe, ed assistette ad esercitazioni navali che gli lasciarono una impressione negativa. Alla Spezia lui stesso chiese di cessare il tiro, che si era dimostrato largamente impreciso; a Napoli "non poteva andar peggio": i proiettili della Re Umberto, tutti lunghi, finirono "a casa del diavolo" e le torpediniere non condussero con (18) CV Volpe a ministro della Marina, Vienna 7 onobre 1892, AUSMM, busta 139, fase . 11. ( 19) ASMAE, loco cii.
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ordine le loro evoluzioni. Guglielmo ne dedusse che la sua Marina era certamente migliore. Intanto a Roma il capo di Stato Maggiore dell'Esercito era sempre più preoccupato, convinto com'era che le forze maritti me nazionali no n fossero in grado di respingere la minaccia francese. TI general e Cosenz argomentava che al meno nei primi 15 giorni della mobilitazione era assolutamente necessario ottenere il concorso della tlotta austro-ungarica "per coprire con quelle navi il trasporto di truppe italiane lungo le troppo insidiabili ferrovie". I ministri degli Esteri, della Guerra e della Marina si rendevano conto del pericolo, ma erano esitanti per la candidatura posta dall 'ammiraglio Sternek al comando su premo in mare. Vi fu uno stop and go. Nel maggio 1893 l'idea di continuare nelle trattative con Vienna subì un arresto, ma dopo qualche settimana Brin , Racchia e Pelloux avviarono un nuovo tentativo diretto a conseguire il consenso dell'alleato al distacco del la flotta nell'Adriatico meri dionale e nello Tonio almeno nei primi 15 giorni de! conflitto. Questa volta Brin mobilitò anche l'ambasciatore Nigra per esercitare una pressione politica e portare per quanto possibile la questione fuori dall 'ambito ristretto dei tecnici militari ; il Racchia avrebbe preferi to dagli alleati un impegno parallelo e coordinato all'azione "decisiva" della Regia Marina sul versante occidentale, ma si allineò all'obiettivo minimale sostenuto dal Pelloux, sollecito prima di tutto a garantire la radunata delle forze di terra. A Vienna però nè l'ambasciatore, nè l'addetto navale erano ottimisti . Ritenendo che il capo di Stato Maggiore dell 'Esercito, generale Beck, fosse ben p iù intluente dello Sternek, si decise d i tentare un approccio con lui: Beck era considerato il massi mo esponente militare dell'Impero e si pensava che sarebbe stato sensibile al problema della mobilitazione e che avrebbe potuto imporre il proprio punto di vista ai responsabili della flotta, se avesse voluto . Volpe lo incontrò il 29 giugno, gli espose le ansie dello Stato Maggiore dell'esercito e gli chiese cli dislocare a Taranto, ormai fortificata, la base della Marina austro-ungarica per coprire nei primi 15 giorni di guerra le coste dello Tonio, da Taranto a Siracusa; ciò avrebbe consentito agli italiani di affrontare il "grosso compito che spetterà verosimilmente alla nostra flotta nell 'Al to Tirreno, od anche meglio, con più ard imento, fra Bonifacio e Tolone." Ma Beck indicò la linea Ancona-Pola come quella riconosciuta, defin itivamente, la più adatta alla flotta austriaca ed ai compiti ristretti che si aveva intenzione di darle; fermo restando che la base principale sarebbe rimasta Pola, si poteva immaginare una copertura delle coste italiane a nord cli Ancona, o delle immediate vicinanze a sud, ma non o ltre. Quanto al litorale ionico, il problema si poteva risolvere dal mare se l'I ngh ilterra avesse concesso il proprio appoggio navale; altrimenti le coste avrebbero dovuto essere difese localmente da forze di terra, come del resto gli austriaci prevedevano di fare in Galizia.
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Il giorno successivo l 'addetto navale vide lo Sternek, il quale gli illustrò i suoi personali concetti su un conflitto navale che avesse opposto la Triplice alla Dupl ice. T teatri operativi avrebbero dovuto rimanere rigidamente separati, con gli italiani nel Tin-eno e gli austro-ungarici nell'Adriatico e nello Ionio, ciascuna delle due flotte dipendendo <la un Comando in capo "tota le ed assoluto", completamente separato dall'altro. Ma poichè la base principale della flotta imperiale e regia sarebbe stata local izzata in Adriatico, al massimo a Corfù, e non a Taranto, se ne deduceva che, pi ù o meno, ciò avrebbe p rodotto la copertura delle coste adriatiche, mentre la sorte di tutto il litorale ionico sarebbe rimasta incerta. Per ottenere una simile situazione, comunque, era necessario riconoscere al medesimo Sternek il comando supremo delle flotte alleate o, per lo meno, di tutte le forze navali impegnate nell'Adriatico e nello Ionio . Il 2 luglio si consumò la rottura. Attraverso il comandante Lchnert, l'addetto navale italiano aveva fatto pervenire allo Sternek un messaggio negativo sulla queslione del comando, argomentando che la flotta italiana era più numerosa ed aveva il compito più di fficile, per cu i era impossibile fare accettare all'opinione pubblica un comando superiore straniero. Questa volta il Volpe chiese soltanto il concorso di 20 torpedi niere per 15 giorni : le siluranti avrebbero dovuto operare alle dipendenze di un ammiraglio italiano. Il rifiuto fu "energico ed assoluto", sostenuto eia qualche fondata argomentazione tecnica, anche se si capiva benissimo - ma il capo della Marina austriaca ebbe la finezza cli non d irlo - che non si aveva nessuna fiducia nei capi italiani. L'8 successivo il generale Beck fu molto reciso. Defi nì "balo rdo il concetto vostro, italiano, di far d ifendere le ferrovie litoranee a mezzo di torpediniere" e spiegò che in Galizia egl i prevedeva cli farlo con distaccamenti mobili cl i cavalleria e cli fanteria; in caso di guerra la flotta austro-ungarica, piccola e costruita con obiettivi difensivi costieri, sarebbe stata completamente assorbita dalla copertura ciel litorale dalmata. Q uesto era un passo indietro anche rispetto al colloquio con l'ammiraglio: la missione era completamente fallita. In dicembre, a Berlino, non avrebbe avu to migl ior sorte una richiesta cli carbone per il rifornimento della Marina italiana. Le mocivazioni di così insoddisfacenti risultati erano diverse. Da un !aro, la scarsa abilità ital iana: l'accordo navale proposto fuori tempo, come una cosa che fosse venuta in mente dopo, invece di sollevare la questione al momento del rinnovo dell 'alleanza in contropartita agli impegni militari italian i su l Reno; l'insufficiente cura con cui i governi italiani avevano seguito le trattative e l'oscillazione tra l'aspirazione ad una cooperazione mari ttima cli massimo impegno e la minimalista richiesta finale di 20 torpediniere per 15 giorni; le "spiritose invenzioni " dell'addetto navale, prima facendo intravedere allo Sternek un ruolo d i comandante supremo di grande prestigio, poi ritornando indietro col 1isultato di provocare l'irritazione dell'interloct1tore. Dall'altro, la poca consi-
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derazione che l'Italia e le sue forze armare godevano presso gli alleati, come emerse con palese evidenza dalle riflessioni espresse dallo Sternek al Volpe durante la visita di congedo (17 luglio 1893): scopo della Triplice era la difesa delle tre Corone, conseguibile anche nel caso di disfatta e devastazione dell'Italia; il suo ruolo nella guerra era quello molto amaro di subire una tragedia dopo l'altra - la flotta distrutta, il paese invaso, l'esercito sconfitto, forse una rivolta nel Mezzogiorno - fino a quando i signori della guerra di lingua germanica avessero trionfato nel conflitto e - bontà loro - compensato l'Italia dei suoi disastri con un atto di volontà politica al cavolo della pace, che garantisse la sopravvivenza del Regno. Quando a Berlino o a Vienna si affermava che la richiesta cooperazione marittima sarebbe convenuta più di tutti all'Italia, si diceva una cosa vera perchè era questo Paese di gran lunga il più esposto a minaccie dal mare; ma proprio per questa ragione la proposta avrebbe dovuto incontrare la comprensione degli alleati, se Berlino e Vienna non avessero considerato Roma su un piano di minorità - "lo Stato n. 3" disse lo Sternek il 17 luglio - all 'interno della coalizione. Eppure in Italia l'Esercito e la Marina avevano studiato davvero, da anni, ogni possihilità di offensiva contro la Francia, cosa che aveva senso soltanto nel quadro di una strategia collettiva dell'alleanza. Oltre Alpe l'eventualità di un tentativo di sbarco italiano veniva discusso, specialmente con riferimento alla Corsica con provenienza dal continente ed alla Tunisia con provenienza dalla Sicilia per prendere sul rovescio Biserta. E tali prospettive destavano anche qualche preoccupazione: le manovre del 1893 dimostrarono, almeno secondo il Petit Bastiais, che la guarnigione della Corsica era insufficiente e poichè in Tun isia i lavori andavano a rilento, il triangolo marittimo strategico Tolone-Portovecchio-Biserta, tanto auspicato dall'ammiraglio Lockroy, era ben lontano dall'essere una realtà. La s ituazione marittima italiana, in ogni modo, era difficile e con l'intesa franco-russa si era aggravata: si diceva che i russi avrebbero potuto utilizzare la Corsica e Biserta per le loro forze navali in Mediterraneo. Però si diceva anche che gli inglesi non lo avrebbero permesso e questo confortava il ministro della Marina Racchia, il quale aveva una specie di fatto personale con Biserra, avendone conosciuto e segnalato per primo la rilevanza strategica, quasi 20 anni prima, ai responsabili della Marina italiana.(20) Ma questo di (20) Durante la crisi di Tunisi del 1864 Carlo Alberto Racchia , allora CF in comando dell'avviso Messaggiere, aveva saputo da fonte inglese delle potenzialità di I3iserta, che con una spesa limitata poteva diventare una base navale importante, ·'se si considerano i sommi vantaggi politici, strategici ed economici che riceverebbe la potenza marinima, cui riuscisse un giorno possedere ta li località. Situata a 120 miglia dalla Sicilia, a 150 dalla Sardegna, una flotta ivi concentrata sarebbe in possesso del passaggio al canale di Malta e perciò terrebbe nelle sue mani le soni di mezw Mediterraneo", Gabriele. La politica navale italiana dall'Unità, ecc., cit., p. 402.
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Bisena era solo uno dei fantasmi che turbavano il sonno <lei governi di Roma. Ce n'erano altri. Nell'agosto 1893 l'esito delle manovre navali non era stato confonante. La squadra permanente, agli ordini dell'ammiraglio Tommaso di Savoia duca di Genova, doveva fungere eia forza attaccante, ricercare e distruggere la flotta italiana, devastando le coste per costringerla ad affrontare il sacrificio . La squadra di manovra, al comando dell'Acton, rappresentava la flotta nazio nale che, al largo di Napoli, non riusciva ad evitare di essere raggiunta e battuta dagli avversari che conseguivano il dominio del mare. Alle manovre assistettero il Tirpitz e il principe Enrico di Prussia, i quali, al di là dell'entusiasmo ufficiale ostentato in Italia, criticarono in patria l'impreparazione degli uomini, la varietà dei tipi delle navi, la tattica insufficiente, gli errori di tiro, il cattivo uso delle torpedini, la confusione, gli incidenti, la mancanza di un piano di guerra adeguato, concludendo con un giudizio negativo per la Marina italiana. Quando si ponga mente al fatto che invece, nel mese successivo, le manovre navali tedesche rivelarono agli osservatori - per l'Italia e ra presente l'ammiraglio Bettola - l'esistenza di una nuova, consistente Marina imperiale ben preparata e addestrata a livello di unità e di gruppo, ci si può rendere conto di quanto il confronto fosse scoraggiante. Di più, mentre la Marina italiana varava ormai raramente unità interessanti, quella tedesca era tesa al perseguimento di programmi costruttivi ambiziosi. Ai fini della creazione di una buona predisposizione alleata verso quella cooperazione marittima che da pane italiana veniva tanto ricercata, tutto ciò era controproducente anche perchè alla base della divergenza d i veduce c'era un equivoco: a Roma si riteneva che la dimostrazione per tabulas della vulnerabilità delle coste italiane convincesse gli alleati ad impegnarsi di più, mentre a Berlino e a Vienna era proprio quella dimostrazione ad aumentare le esitazio ni e la volontà di non farsi coinvolgere. li 13 ottobre 1893 la squadra russa del Baltico, composta da cinque unità al comando dell'ammiraglio Avellan, giunse a Tolone, dove fu accolta da un entusiasmo frenetico che si diffuse per tutta la Francia e suscitò vasta eco negli ambienti diplomatici e nell'opinione pubblica all'estero. I russi restituivano la visita delta flotta francese a Kronstadt del luglio 1891, ma l'avvenimento non era politicamente confinabile nei termini di un cerimoniale marittimo perchè rappresentava una tappa del processo di costruzione della Duplice Intesa. Ed era una tappa impo,tante, che per l'eco suscitata assumeva una chiara funzione dimostrativa e sanciva la fine del l'isolamento francese in campo internazionale: l'alleanza franco-russa, già nell'aria da tempo, fu sottoscritta nel gennaio
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1894, anche se fu resa pubblica solo nel giugno 1895.cm L'atto di diplomazia navale aveva anche significati minacciosi che rendevano inquieti Brin e il governo italiano, i quali trovarono una sponda a Londra, dove non si attribuiva una valenza diversa al messaggio che veniva da Tolone. Il premier e ministro degli Esteri, lord Rosebery, ordinò al comandante della Mediterranean Fleet di condurla in visita ai porci italiani . Con ciò Rosebery pensava di rispondere alle sollecitazioni d i 13rin che gli confermava l'amicizia italiana e mostrare che ad un allineamento navale si poteva rispondere con un altro. Malauguratamente proprio in quel momento scoppiò un'epidemia cli colera in Italia che raffreddò una parte degli entusiasmi: tuttavia ogni perp lessità venne superata dalla considerazione politica che una cancellazione della visita sarebbe stata "uno schiaffo in faccia all'I ta lia··. L'ammiraglio Michael Seymour doveva muoversi "con la flotta più fo1te possibile" e recarsi p1ima a Taranto, dove non si erano verificati casi di colera, e poi a La Spezia. Il 16 ottobre le navi britanniche giunsero nella base di Taranto, dove ebbero luogo festeggiamenti per il loro arrivo, ma neppur lontanamente paragonabili a quelli di Tolone. Nè la stampa e l'opin ione pubblica inglese furono molto commossi dall'episodio, per cu i la visita cli Tolone fece molto più rumore cli quella cli Taranto, anche se dopo tutto lo strepito gonfiava, ma non modificava, la reale potenza marittima dell'Jntesa.<2 2) Tutto ciò consentì al ministro degli Esteri italiano, comunque, di riscuotere un dividendo: il 23 novembre, tre g iorni prima della caduta del governo Giolitti, l'ambasciatore Tornielli gli scri veva da Londra una lettera personale con la quale lo informava di avere preso parte il 9 novembre precedente, festa del lord Mayor, ad un banchetto popolare al Guildhall, brindando all'amicizia italo-inglese ecl ottenendo un'ovazione di consenso. "Tutte le pettegolezze della stampa francese e italiana non sopprimono il fatto che parecchie centinaia di commensali ciel Guildhall hanno indicato l 'Italia come l 'alleato necessario e il gabinetto ha capito l'indicazi one. Se per ottenere questo fine la mia povera persona sarà stata schiazzata dall'inchiostro dei malevoli, me ne consolerò facilmente", tanto più che rimaneva il fatto che l'Italia non aveva avuto "cla moltissimi anni" una posizione simile dinanzi all'opinione pubblica britannica; inoltre - e questo era pure importante - non si pa rlava più di 13iserta, nè
(21) li Nigr;1 scrisse a l\rin, il 2 agosto 1893, che l 'appoggio russo consentiva all a rr;mcia d i fare il suo comodo in Europa e nel Meditem1neo, spede con la flotta russa a Tolo ne. Lo stesso giorno un·altm fome diplomacica segna lava al ministro l'intenzione russa "di scabili re in un po110 della <ìrecia un deposito cli ca rlxme" per la ~quadra del Meditem1neo, ASMAE, loco cii. (22) La flotta francese non era omogenea ( usava 15 calibri, 45 cariche e 128 pmiercili d iversi) e non aveva una p recisa dorcrina str.negica, nè quella russa era tanto fone da ribalcare i nclu ccabilmence i p recedenti equilibri navali. Per quamo precede, cfr Gabriele, Le Convenzioni ecc., cit., pp. J 24-46.
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di Ajaccio come base per la stazione navale russa del Mediterraneo.C23) In questo modesto saggio di trio nfalismo c'e ra qualche esagerazione e qualche illusione, ma c'era anche una quota di verità: il "palliativo Hosebery·· <24) produsse a favore dell 'Italia un certo effetto positivo, consentendo di contrapporre alla minacciosa adunata di To lone una risposta nello stesso codice. Non era un risulr.ato disprezzabile per un ministro degli Esteri che nell'estate 1892 aveva temuto che l'Inghilterra disdicesse gli accordi del 1887.<25) Naturalmente simili vicende non favori vano un miglioramento di rapporti con la Francia, dove la malevolenza verso l'Italia si alimentava di ogni possibile occasione. Nell 'agosto 1893 il viaggio a Merz dei principi di Napoli venne considerato un affronto da parte francese. "La marea monta" scriveva a Brin il 14 agosto l'ambasciatore a Parigi Ressman: la stampa e l'opinione pubblica reagivano come se quel viaggio significasse che l'Italia garantiva alla Germania il possesso dell'Alsazia e della Lorena. Del resto - aveva avvertito il medesimo diplomatico - " la nostra situazione pohtica domina e non cesserà cli dominare tutti i nostri rapporti con questo paese, il quale sarà sempre disposto a fare un po' di male a sé stesso purchè creda d i fare con ciò male maggiore a noi".<26) Tuttavia, prima della caduta del ministero Giolitti, fu possibile concludere con i francesi un accordo,"non ottimo, ma nemmeno pessimo", sulla questione degli spezzati del debito pubblico italiano. L'ambasciatore, in una lettera personale al ministro degli Esteri, cornrnentava:"il R. Governo deve persuadersi che otteniamo già molto quando otteniamo qui il rispetto del rigoroso nostro d iritto, giacchè parlare di sentimenti amichevoli in vista della disposizione presente di questa nazione verso la nazione alleata dei Prussiani è un'amara ironia. Non posso che sorridere quando vedo che da noi , talvolta per sola abitudine, si fa appello nonchè all'a micizia, perfino alla cordia/ité francese! Contentiamoci clell'equi tà!"<27) Peraltro, la politica di Brin, d'intesa col presidente del Consiglio, tendeva a perseguire la soluzione dei contrasti in maniera discreta e concreta, ricercando accordi per la sostanza, non per la propaganda. Un esempio cli qualche interesse è dato dalla questione delle missioni cattoliche in Eritrea. ( 23) ASMAE, loco cit.
(24) Marder, cii., pp. 177-78. ( 25) Per questo motivo sperava che l{osebery mantenesse il portafoglio degli Esteri. Brin a Tornidli, 15 agosco 1892, ASJ\ME. loco cii.
(26) Ressman a 13rin, 10 e 14 agosto 1893, ASMAE. loco cii. Di quando in quando, poi, ven ivano facte circola re voci cli intenzion i aggressive italiane, cu i si contrnppo ne"a un preteso interesse russo ad una guerra difensiva, cfr Ressman a 13rin, 12 o ctobrc 1893, ibidem. ( 27) Ressman a Brin, 11 novembre 1893, ASMAE, loco cii.
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Tn questo paese l'arrivo degli italiani non aveva mutato la situazione preesistente, che vedeva le missioni cattoliche gestite quasi esclusivamente da religiosi francesi: la stessa Prefettura apostolica era stata affidata fin dall'inizio ad un prelato transalpino. Anche se non tutti erano convinti, come Crispi, che "il prete francese è francese innanzitutto e poi cristiano", non mancarono i sospetti che i religiosi favorissero gli interessi francesi a discapito di quelli italiani, così che, in un'alternanza di buone relazioni e di diffidenze, dopo Dogali i rapporti tra le autorità italiane e la missione lazzarista divennero tesi. Durante il primo governo Crispi il governatore civile e militare dell'Eritrea, generale Antonio Gandolfi, venne amorizzato ad assumere i provvedimenti necessari per "paralizzare l'influenza e l'azione deleteria" dei missionari francesi i quali "sotto l'apparenza di propaganda religiosa e di adempimento del loro ministero, cospirano a' danni nostri creando ostacoli allo svolgimento della nostra politica coloniale e destando diffidenza nelle popolazioni in mezzo alle quali vivono". Il precedente tono "impulsivo e teatrale" della politica estera crispina assunse, sotto l'abile regia di Brin, toni bassi e non gladiatori. Tra l'aprile e il giugno 1891 una Commissione parlamentare condusse un'inchiesta sull 'Eritrea e concluse, per quanto riguardava la missione lazzarista, che essa aveva ben operato in vari campi, ma che "continua ad avere finora carattere decisamente ed esclusivamente francese", motivo per cui suggeriva l'insediamento nella colonia di clero italiano, o almeno un accordo "aperto e leale" con i Lazzaristi. Approfittando del passaggio da Roma, nell'ottobre 1892, del vescovo d'Abissinia Giacomo Crouzet che si recava in Francia, Brin lo incontrò e concordò con lui, come rifen alla Camera il 3 marzo Sl,\CCessivo, "un modus vivendi in forza del quale egli promise d'introdurre religiosi italiani nella missione e d'affidare loro il servizio delle Chiese frequentate dalle nostre truppe e dalla colonia europea".(28) L'intesa tendeva ad appianare, salvando gli interessi nazionali, i rapporti locali con la Francia e il Vaticano ed era il massimo che in quel tempo era possibile ottenere agendo direttamente e solo con la più alta autorità religiosa della colonia senza compromettersi col Vaticano. Crispi in seguito avrebbe definito "pericoloso" l'accordo perchè riconosceva una missione francese in una colonia italiana, ignorando che il vero problema era di reperire missionari italiani per l'Eritrea e dimenticando che Brin aveva ottenuto il modus vivendi - implicitamente transitorio - senza pagare prezzi politici (28)
L'accordo si anicolava in cinque punti: 1) il servizio religioso per l'esercito e la colonia europea sarebbe scaco affidaco a miss ionari icaliani; 2) i religiosi impiegaci per le eruppe avrebbero ricevuto il cranamento dei cappellani militari; 3) nelle chiese costruite dal governo avrebbero o fficiato missionari ical iani; 4) vi sarebbero state celebrate le ricorrenze della fam iglia reale e le fesce civili secondo le regole in vigore in Italia; 5) religiosi italiani sarebbero entrati a far pane della Miss ione.
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significativi. (29) Va detto che una conduzione politica sojt in tema di colonie, specialmente in Mar Rosso, rispondeva alle convinzioni di Benedetto Brin, che certamente non era favorevole a disperdere le energie e le risorse limitate del Paese in avventure coloniali. In una lettera personale del 15 agosto 1892 diretta al generale Baratieri, governatore dell'Eritrea, egli scriveva: "Questa benedetta Africa, o meglio maledetta Africa, è una delle spine pii::1 pungenti nel posto che mi è toccato ad occupare ... dobbiamo sempre cercare che a riguardo della colonia Eritrea l'Italia incontri le minori responsabilità possibili, non cerchi nessuna espansione che le imponga nuovi obblighi essendo già abbastanza gravi quelli attuali, evitando tutto ciò che possa crearci complicazioni" e cercando piuttosto di restringere le spese."Pensiamo a cosa potrebbe succedere se qualche avvenimento ci obbligasse ad improvvisi e nuovi sforzi militari". Occorreva poi che l'amministrazione italiana in Eritrea, militare e civile, si gestisse da sola senza ricorrere a Roma per ogni piccola cosa.C30) I primi passi italiani in Somalia avevano attinto una certa concretezza, sia pure temporanea, con la Convenzione del 12 agosto 1892 stipulata col sultano di Zanzibar, che concedeva all'Italia i poni del Benadir. Qui la popolazione era musulmana e la scelta di politica religiosa fu di sostenere la religione tradizionale . Nel primo periodo di amministrazione furono mantenuti gli usi e le consuetudini precedenti, ma anche quando l'amministrazione passò alla compagnia Filonardi e C., il governo italiano volle che le abitudini religiose e giudiziarie della popolazione non venissero turbate. Le istnizioni cli Benedetto Brin a Vincenzo Filonardi del 15 giugno 1893 dicevano "chiaramente che l'Italia non voleva assumersi oneri nè finanziari, nè militari nella Somalia e quindi consigliavano di mantenere il più possibile il sistema politico-amministrativo preesistente", che in campo giudiziario lasciava gli indigeni, in ogni materia civile e penale, ai loro giudici naturali, i Cadì, che dovevano essere nominati dalle autorità italiane.<31) Queste sagge scelte amministrative avevano lo scopo di garantire la migliore convivenza possibile con gli indigeni al minimo dei costi; era questa la linea politica scelta dal governo Giolitti, che il ministro degli Esteri portava fedelmente avanti, convinto almeno quanto il pre(29) In seguito Crispi, per avere di più, dovette trattare col Vacicano: o ttenne una Prefettura apostolica affidata ai Cappuccini in Eritrea, ma pagò uno scotto politico pesance. Vedi C. Marongiu Buonaiuti, Politica e religioni nel colonialismo ttaliano (1882-1941) , Milano, Giuffrè, 1982, pp. 49-
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(30) Alla letter-a
Brin aggiunse u n poscritto che dava l'idea delle sue preoccupazion i: "P.S. Ho sempre un po' di timore che quella compagnia distaccata a Godafassi ( 7) possa un giorno o l'altro essere nei guai se per caso fosse anaccaia. Pensi lei cosa succederebbe se si ripresentasse qualche Dogali !", ASMAE, loco cii. (31) Marongiu Buonaiuti, cli., pp. 107--08.
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sidenle del Consiglio che fosse la migliore. L'opportunità di una politica di basso profilo che, più appropriata alle possibilità dell'Italia, non la esponesse in campo internazionale, emergeva anche in altre occasioni e da altre esperienze: quando nell 'estate 1892 l'ambasciatore Tornielli pessimisticamente rite nne possibile un abbandono inglese dell'Egitto, 13rin scrisse a Nigra che allora anche l'Italia sarebbe andata via da Massaua; e quando nella primavera 1893 il ministro degli E'itcri italiano si sentì in dovere di chiedere a Rosebety se desiderava avere unità navali italiane ad Alessandria, da Londra si rispose che in quel momento erd meglio evitare.02) C'era un'altra area del mondo nella quale gli interessi italiani non potevano essere trascurati: l'America meridionale, meta di una grande emigrazione. TI centro della presenza navale italiana era stata, fin dai primordi dello Stato unitario, la stazione navale del Placa, da dove le unità italiane si irradiavano, a sosLegno dell'emigrazione c del com mercio, su tune le costc del contincnte e nei grandi fiumi, come fece la cannoniera Sebastia110 Veniero nel 1892 per raggiungere Asunci6n. Nello stesso anno crebbe in Brasile una situazione osti le agli italian i, con ripetuti incidenti a San Paolo ed a Santos: subito la Veniero, che era in bacino a Montevideo per la carenatura, fu inviata a Rio, dove rimase fino alla composizione diplomatica della vertenza. rl Brasile in quel tempo era un paese disordinatd33) sull'orlo della guerra <.:ivile, che scoppiò il 6 sellembre quando l'ammiraglio dc Mello si impadronì della corazzata Aquibada11 nel pono di Rio e si schierò contro il maresciallo Peixoto. r torbidi che seguirono coinvolsero anche il Bausan, un marinaio del quale fu ucciso il 9 novembre. Subito confluirono a Rio il Dogali e la Veniero; c'erano in porto altre unità militari europee con le quali fecero causa comune per la difesa della vita e dei beni degli stranieri: come più elevato in grado, quando giunse sull'Etna, l'ammirdglio Magnaghi assunse la direzione degli affari della squadra internazionale. In seguito mentre la guerra civile si estendeva, gradualmente le unità italiane vennero ritirnte e la direzione della forza navale internazionale passò alla Marina degli Stati uniti, intervenuta con cinque incrociatori (Charleston, Detroit, l\leicark, New York, San Francisco) agli ordini del contrammiraglio l3enham.
(32) \'cdi Brina Nigra, 19 ago~lo 1892; Vìvi:in a Brin, 15 aprile 1893. ASMAE, loco cii.
(33) Cfr la lener:1 pcrsonal1;: dì F'crruccio Me.cola, direuorc della Gazzella di Venezia e della Ve11ezia, al Brin del 4 luglio 1893. ASMAE. loco cii.
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CAPITOLO VII
Triste intermezzo Quando il governo Giolitti cadde sulla Banca Romana, nel novembre 1893, durante le consultazioni di nuovo si parlò di Brin come di un possibile nuovo presidente del Consiglio . Er& l'esponente più autorevole della deputazione piemontese ccl aveva un curriculum parlamentare e ministeriale cli tutto rispetto. La sua personale collocazione al centro, inoltre, garantiva un orientamento equilibrato alla politica del Paese. Umberto invece si rivolse ancora una volta al vecchio Crispi - 74 anni verso il quale, secondo l'uso, slittarono inu11ediatamente molti parlamentari. "Incerto rimase l 'ex mi nistro degli Esteri Brin, che, fautore del protezionismo e dell'industria pesante, si era andato staccando da Giolitti senza tuttavia rompere completamente", scrive il Castronovo,O) ma a dividere il Brin dal C1ispi non erano tanto le questioni di politica industriale quanto piuttosto i metodi autoritari ed aggressivi dello statista siciliano, cui Brin preferiva il liberalismo e l'anticolonialismo del di Rudinì. et nuovo governo ministro degli Esteri fu nom inato il senatore valdostano Blanc, non lontano dalle idee del Crispi, che dovette subire l 'invadenza e la gestione personale della politica estera del presidente del Consiglio. Ministro della Marina fu il vice ammiraglio Costantino Enrico Morin, anch'esso destinato ad avere un incarico di ministro d egli Esteri durante il regno di Vittorio Emanuele III sebbene nell'ambiente d iplomatico non fosse tenuto in grande considerazione: come ministro della Marina, peraltro, cercò di secondare l'azione del governo e d i migliorare, per quanto le risorse lo consentivano, le condizioni della flotta e dell'ammi nistrazione. C1ispi gestì il suo ultimo governo con piglio autoritario ed ai margini della democrazia parlamentare, tra falsi e veri allarmi, agitazioni sociali e nuovi scandali. Il Parlamento non fu riconvocato dall'l 1 luglio 1894 fino al 3 dicembre e poi, dopo una breve sessione di una decina di giorni, di nuovo aggiornato al 10 giugno 1895. Nel frattempo governò con decreti legge, che un Parlamento molto docile convertì in massa alla riape1tura delle Camere. (1) To1ino, cit. , p. 1 10.
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Benchè le condizioni del Paese evidenziassero l'impossibilità di sostenere le spese militari necessarie ad una politica dinamica, Crispi avviò un'azione espansionistica in Eritrea: il re lo appoggiava, alcuni ministri lo criticavano, ma non si dimisero. Occupata Kassala nel 1893, le forze italiane si trovarono a presidiare un fronte di 600 km con 8000 uomini. Nel gennaio 1895, giunti alcuni rinforzi, incominciò l'occupazione del Tigrè e in primavera tutta la regione venne annessa, mentre il generale Baratieri si insediava ad Aclua. Le elezioni politiche italiane del maggio decimarono tutti gli oppositori, tranne i socialisti; incoraggiato dalla vittoria elettorale, il presidente ciel Consiglio si accinse in giugno ad ordinare una ulteriore penetrazione in Etiopia. Ma l'avanzata italiana aveva compattato le tribù contro gli invasori e perfino soldati delle truppe coloniali disertavano per passare con gli etiopici, i quali ormai sul fronte meridionale godevano cli una prevalenza numerica di 10:1. Il conte Antonelli, che aveva vissuto 10 anni in Abissinia, spiegò inutilmente che non si poteva vincere: il governo insistette perchè si andasse avanti. Due grossi eserciti etiopici mossero contro gli italiani, cui pervennero rinforzi insufficienti cli truppe scarsamente addestrate. A novembre ebbero inizio le ostilità, a dicembre gli etiopici vinsero all'Amba Alagi, a gennaio si arrese il forte cli Macallè e Menelik inviò proposte di pace che Crispi ebbe cura di vanificare proponendo condizioni assurde. TI 1° Marzo 1896, nel disastro di Adua, morirono più italiani che in tutte le guerre ciel Risorgimento: la calunnia che i soldati non si fossero battuti fu smentita dall'addetto mi litare britannico che era in Eritrea e scrisse a Londra che essi erano "un ottimo materiale Limano, non inferiore alle migliori tnippe di qualsiasi paese d'Europa", ma che il loro comandante aveva sbagliato tutto. (2) Nel clima evocato dalle brevi note che precedono, poco rimase della politica estera di Benedetto Brin. Debole il rapporto con gli alleati, debole il raccordo con l'Inghilterra, l'atteggiamento irrequieto di Crispi non migliorò la situazione dell'Italia nelle relazioni già insoddisfacenti e contribuì a peggiorarle nelle altre. Visti i precedenti, il campo marittimo e ra quello in cui c'era meno da perdere con gli alleati. Il ministero della Guerra-Sezione Marina di Vienna chiese il rafforzamento della flotta con un documento del 19 marzo 1894, indirizzato al conte Kalnoky. Dopo aver ricordato e lamentato che in passato le richieste della Marina "hanno dovuto rimanere accantonate o non hanno potuto essere accolte nella misura che sarebbe stata richiesta dalla situazione politica e dallo stato del materiale", contrapponeva a questo stato di cose l'intensa attività degli altri Stati nel settore marittimo, constatando che ne era derivata una grave sproporzione di forze. Veniva allegata al testo una tabella che raggruppava insieme da una parte le flotte italiana, austro-ungarica e inglese del (2) Mac k Smith, cli, pp. 143-6 I.
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Mediterraneo - che alla fine ciel 1893 e rano stimate disporre complessivamente cli 18 navi da battaglia cli 1° classe, 5 di 2° classe, 9 di 3° classe, 76 incrociatori e 149 torpediniere - e dall'altra la flotta francese ciel Mediterraneo e quelle nisse ciel Mar Nero e del Mediterraneo, accreditate di una consistenza di 11 navi da battaglia di 1° classe, 9 di 2° classe, 65 incrociatori e 122 torpediniere: no n si teneva conto della squadra francese di Brest, nè di quella russa del Baltico: veniva messo in luce però che la situazione geografico-strategica compensava l'apparente inferiorità quantitativa delle Marine della Duplice Intesa nel Mediterraneo, dove appalivano vocate a compiti spiccatamente offensivi. (3) Benchè le forze della flotta italiana venissero comprese tra quelle prevedibilmente amiche, di esse però nel pro-memoria non si parlava mai come eleme nto di una strategia comune. Il ministro della Guerra, che firmava il documento, concludeva essere "urgente e necessario che, senza p regiudizio per la costnizione dei tre guardacoste, venga intrapreso al più presto - almeno per l'anno 1895 - il completamento, interrotto per deficienza di mezzi finanziari, della divisione incrociatori e della flottiglia torpediniere, poichè queste unità tattiche costituiscono un'esigenza vitale della nostra flotta. Per realizzare questo programma, cui attribuisco massimo valore ai fini della mobilità e della capacità d'azione della I. e R. flotta, mi vedo impegnato, per le responsabilità che mi incombo no, a pretendere un aume nto dei fondi stanzia ti nei precedenti esercizi per le costruzioni navali , aumento fattosi necessario per i mutamenti politici e bellico-militari verificatisi: e mi permetto pertanto di chiedere a V. E. assistenza ed aiuto in questa g rave circostanza". Tre concetti saltavano agli occhi: a) prima di tutto veniva la difesa ravvicinata delle coste adriatiche dell'Impero, per la quale si considerava acquisita la costnizione di a ltre 3 unità specializzate; b) quanto alle unità sea going a ndava completato il programma per gli incrociatoli e con esso quello delle torpediniere, che erano anch'esse dedicate alla difesa costiera, così che la mobilità e il raggio d'azione della flotta da migliorare andavano rife1i ti soltanto agli incrociatori; c) tutto il ragiona mento si svolgeva nell'ambito di una visione strettamente nazionale della operatività della Marina. Meno che mai c'era posto per le più volte rappresentate esige nze italiane, tanto è vero che il 2 novembre dello stesso a nno il responsabile della Sezione Marina scriveva di nuovo a Kalnoky per avvertirlo dell'intenzione italiana di tornare ad insistere per una cooperazione marittima; a questo intendimento, (3) Ana liticamente, la memoria att ribuiva alla flona inglese del Mediterraneo 9 navi da banaglia di 1° classe, 1 di 2° classe, 13 incrociatori e 12 torpediniere; alla flona italiana 9 navi da battaglia d i 1° classe, 5 di 3° classe, 44 incrociatori e 90 torpediniere; alla flo tta austro-ung-arica 4 navi da battaglia di 2° classe, 4 di 3° classe, 19 incrociatori e 44 torpedin iere.Per contro, alla flotta francese del Mediterra neo erano attribuite 8 navi da bartaglia di 1° classe, 7 di 2° classe, 47 incrociacori, 100 torpediniere; alla flotta russa del Mar Nero 3 navi da banaglia di 1° classe, 1 di 2° classe, 14 incrociacori , 22 torped iniere.
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che aveva conosciuto dall'addetto navale a Roma, l'estensore opponeva un atteggiamento decisamente e totalmente negativo, adducendo l'insufficienza della flotta e '·altre considera7.ioni di natura strategica, che qui non è il caso di illustrare in particolare".C 4) Quanto ai tedeschi, lo stesso Kalnoky ebbe a dire che non c'era da far conto su di loro per le questioni del Mediterraneo, suscitando una reazione degli inglesi, che indusse il ministro degli Esteri austriaco a chiarire a Rosebe1y che con la sua dichiarazione intendeva "parlare di problemi strettamente interessanti la costa africana o gli Stretti, e non già della protezione dell'Italia contro minacce ed attacchi francesi, come sembra ritenere il Premier. Alla base della Triplice alleanza sta il concetto della difesa comune. Ne deriva quindi in modo evidente l'obbligo a tale proposito della Germania, per cui in caso di invasione francese l'Italia potdì fare assegnamento non solamente sull 'aiuto dcll'Tnghilterra, qualunque sia il moti vo che l'abbia causata, tranne hcn inteso la provocazione direua ". Tn realtà la trepidazione britannica per l'Italia era molto indiretta, essendo invece assai più diretta quella per Gibilterra nel timore di un riavvicinamento franco-spagnolo, ccl è eia rilevare che Crispi fece quanto era in lui per dar corpo a questo timore, sollecitando tr,mative per stabilire una stazione navale italiana a Mchdia - ma le conversazioni col sultano Abd cl Aziz fa llirono - e promettendo un incrociatore al Marocco. In quel momento gli accordi mediterranei del 1887 costituivano ancora un legame tra la Gran Bretagna e l'Italia, che l'alleanza franco-russa poteva rendere più stretto, come era nelle intenzioni di nrin quando aveva sollecitato la visita della Medite,ranean Fleet in porti italiani. Ma la sin1azione era in rapida evoluzione. Nel 1894 le inquietudini causate dalla formazione della Duplice Intesa provocarono in Inghilterra il varo di un nuovo corposo programma di costruzioni navali , mentre il Naval Work Bill del 1895 e quello del 1896 sLanziarono nuovi fondi per la difesa di Gibilterra. La nuova realtà inlernazionale poneva interrogativi sulla reale consistenza del potere marittimo britannico, specialmente in rapporto alle esigenze della politica imperiale; i dubbi non vennero dissipati dalle grnndi manovre navali di quell'anno, che si svolsero a Sud-Sud Ovest dell'Inghilcerm e dell'Irlanda puntando alla concentrazione della pOLenza marittima e alla distruzione ciel naviglio leggero avversario, nell'evidente proccupazionc di neutralizzare la
<4)
Questa ro~izione vea:niva ribadit:1 pur riconoscendo che alla Marina italiana "dobbiamo esser gr.ui se siamo giumi a piena conoscenza della organizzazione di quella Marina e del molteplice impiego della sua flotta in caso di guerra. Del pari il minjstero della ~larina italiano ci ha iniziato al mistero del riscaldamento a petrolio Cuniberti e del meccanismo delle mine marine italiane e da ultimo ha me~~o a nostra disposizione i dati più :ampi concernenti le fo11ifìcazion i di Tolone, pro· mcnendoci di far seguire;: ulteriori dati circ-a le fortifìc.izioni della costa mediterranea fr:incesc e di Marsiglia·.
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minaccia della Jeune école. I risu ltati furono controversi : l'Ammiragliato giunse alla conclusione che la posizione cerniera di Gibilterra era debole e nacque una disputa accesa tra i navalisti della scuola del Mediterraneo e quelli della scuola della Manica, che proponevano, per i collegamenti primari dell'I mpero, di abbandonare la rotta di Suez per il capo di Buona Speranza, compensando il maggiore percorso con l'impiego di navi più veloci. L'ep isodio delle stragi armene costituì occasione per ipotesi d i cooperazione italo-britann ica in Mediterraneo, ma fu l'ultima volta. Crispi mandò nel Levante due navi eia battaglia, Re Umberto e Andrea Daria, di rincalzo alla flotta inglese dell'ammiraglio Seymou r e fece capire di essere disposto a fornire anche truppe da sbarco per un eventuale colpo di mano sugli Stretti. Ma l 'atteggiamento entrante di Cri spi, che sperava di trascinare Londra in un accordo militare, contribuì a far riflettere gli inglesi su ll'opportunità di una condotta cauta, visto che l 'Italia, scarsamente sostenuta dai suoi alleati triplicisti nella politica mediterranea, era già fortemente impegnata in Etiopia e non poteva rappresentare per l'Inghilterra un alleato così appetibile da giustificare le alee che la Marina britannica avrebbe cor so per la difesa delle coste italiane. Da tempo l'Ammiragliato meditava altre strade. I suoi sonni non erano tranquilli perchè temeva un colpo di mano russo su Costantinopoli che avrebbe portato la flotta zarista a solo 600 miglia da Suez. TI Primo ministro Salisbury aveva ricevuro il 18 marzo 1892 un memorandum congiunto e segreto dei capi dei servizi informazioni militare e navale: vi si sosteneva che, contro il temuto e possibile attacco, la Gran Bretagna avrebbe potuto occupare i Dardanelli , "mettendo però a repentaglio il suo predominio nel Mediterraneo occidentale e anche quello in vicinanza dell 'Atlantico e della Manica ... a meno che non si agisca d'accordo con la Francia la strada di Costantinopoli per una forza lxitannica impegnata in un'operazione bellica passa attraverso la distruzione della flotta francese". Nell'ottobre 1894 una nuova memo ria redatta dal colonnello Ardagh, uno dei migliori agenti del servizio informazioni militare, ribadiva la pericolosità della situazione: "tenuto conto del grande aumento della potenza militare e navale della Francia e delle modeste guarnigioni che manteniamo a Gibilterra e a Malt.a ... noi non siamo forti abbastanza nel Mediterraneo, in navi ed uomini, per impedire con una piccola impresa, che data la natura del caso dovrebbe essere eseguita con la massima rapidità, un colpo cli mano che non mancherebbe cl i avere i più grandi effetti sul nostro dominio del mare nel mondo". Nel novembre 1895 il servizio informazioni navale fece presente al Primo ministro Salisbury che i rapporti cli forza nel Mediterraneo erano cambiati . Se i russi si fossero impadroniti degli Stretti, il Mar di Marmara e il Mar Nero si sarebbero chiusi al commercio marirtimo inglese e la stessa Suez sarebbe stata sotto scacco. Per non cedere alla fiocca russa il predominio nel Mediterraneo orientale, gl i inglesi avrebbero dovuto mantenervi una forza navale superiore
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affrontando un impegno gravoso per la lontananza dalle basi e un notevole svantaggio in caso di conflitto con la Francia. Penanto, se no n era possibile la conquista dei Dardanelli, diventava necessaria "l'assoluta e permanente occupazione dell'Egitto con la determinazione di mantenerla in ogni evento. Questo sarebbe il mezzo per conservare il controllo della nostra più importante via di comunicazione. Infatti col prendere definitivamente l'Egitto, noi ci assicu riamo quanto abbiamo per tanto tempo cercato tenendo la Hussia fuori da Costantinopoli". Questa nuova dottrina dell'Ammiragliato, che implicava la rinuncia ad una politica attiva nei Dardanelli e nei confronti delle stragi armene, no n piaceva nè a Salisbury nè al Foreign Office, ma finì per essere adottata ugualmente nei primi mesi del 1896. (5) La base primari a della Mediten·anean Fleet si trasferiva da Malta ad Alessandria per consentire agli inglesi di proteggere meglio i loro interessi nel bacino o rientale e difendere il Canale di Suez, ma per ottenere questo risultato diventava necessario avere buoni rapporti navali con i fran cesi, non con gli i taliani, e difatti i britannici lasciarono cadere gli accordi del 1887, cui Brio aveva tanto tenuto e tanto lavorato con Rosebe1y per mantenerli in vita. Da ministro della Marina e da ministro degli Esteri Benedetto Brio aveva gestito con puntualità e cautela le presenze navali italiane nei mari lo ntani, cercando di conciliare i fini della politica nazionale con l 'economia dei mezzi che le condi zio ni del Paese gli imponevano.<6) Faceva eccezione il Mar Rosso, dove g li interessi coloniali italiani richiedevano un impegno maggiore e continuativo. Morin non si discostò da quella linea fino a quando potè, ma quando l'esercito cli Menelik venne avanti verso il confine, nell'autunno 1895, anche la Marina ne venne coinvolta. Ricostituita la divisione navale del Mar Rosso, le forze sta:donarie furono rinforzate dall'incrociatore Etna e da quattro altre unità (A retusa, Caprera, Curtatone, Etruria) che furono dislocate nelle vicinanze del porto di Massaua per far fronte ad ogni eveni enza. L'Etna giunse il 7 gennaio ponando rinforzi di truppe e il CA Carlo Turi, nuovo comandante della forza navale. Per tutto il primo trimestre rimase alla fonda a Massaua e da bordo dell'incrociatore furono di retti diversi servi zi di sbarco e cli rifornimento: l'equipaggio cooperò al trasbordo delle tmppe, dei materiali e dei qua(5) F.. Serra, L'Italia e la grande Stlolta della politìca inglese nel Medllerraneo (1895-1896). in Rivfa·ta di studi politici internazionali, XXXlll 0966), 3, p p. 16-18. (6) A patte il caso dell'America Merid ionale, il Brin, recuperando precedenti frequentazioni, stabilì
durante gli anni '90 la stazione navale dell'Estremo Oriente, dove furono p resemi le ca nnoniere Volturno e Curia.Ione. Egli si rendeva conco della crescente impoctanza d i quell'area del mondo, nella quale il contrasto era la decadenza della Cina e l'ascesa del Giappo ne sollecitava curiosità e interesse. Nel 1894. il ministro Morin vi trasferì an che l'incrociatore Umbria, che vi rimase fi no alla conclusione della guerra cino-giapponese.
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drupedi ed integrò anche il servizio sanitario che rischiava gravi carenze con la partenza della maggior parte del personale militare per l'altopiano. Un nucleo di marinai fu sbarcato per presidiare i forti e dopo Adua la nave compì reiterate crociere nella zona meridionale del Mar Rosso per reprimere il contrabbando, catturando il piroscafo olandese Doelwyck, diretto a Gibuti con 45000 fucili e 5 milioni di cartuccie. Solo ad ottobre Brin, ritornato al Ministero della Marina, potè considernre superata la crisi e far rimpatriare l'Etna, rimandando le altre unità ai loro compiti ordinari. Le due nuove unità da battaglia progettate dal Pullino, di cui si è fatto cenno, furono impostate nell'ottobre 1893 (Emanuele Filiberto) a Castellammare e nel luglio 1894 (Ammiraglio di Saint Bon) a Venezia: la seconda unità sarebbe stata poi varata per prima (aprile 1894) precedendo l 'altra di 5 mesi, ma per averle in squadra sarebbe stato necessario aspettare il 1901. La configurazione final e del progetto, come venne poi realizzato, faceva di queste unità prototipi interessanti, più vicini a grandi incrociatori corazzati che a vere e proprie navi da battaglia. Costarono circa 24 milioni ciascuna, avevano una buona protezione, una velocità m<¼ssima cli 18 nodi e un armamento principale di 4 pezzi da 254/40, accompagnati da 8 cannoni da 152 e da altri 8 da 120. Erano "buone unità di dislocamento medio, anzi delle ottime unità proprio in considerazione del loro limitato dislocamento. Tuttavia esse erano da considerarsi inferiori alle contemporanee navi eia battaglia straniere, specialmente alle unità britanniche tipo Majestic e Canopus alle quali assomigliavano in scala ridotta".(7) Durante il governo Crispi fu varato il Vettor Pisani, ma non il gemello Carlo Alberto, però venne incamminato lo studio dei requisiti per due nuove unità, cui si volevano far svolgere in parte i compiti dell 'incrociatore corazzato, in parte quelli dell'esploratore. Elemento caratterinance doveva essere l'alta velocità, non inferiore ai 22 nodi. Progettati dal direttore del Genio Navale Nasborre Soliani, i due nuov i incrociatori Agordat e Coatit rappresentavano in parte lo sviluppo delle precedenti unità della classe Partenope; la protezione modesta indicava che la difesa era affidata soprattutto alla velocità e il calibro delle artiglierie (erano previsti inizialmente 4 cannoni da 120, ma poi si preferirono pezzi p iù numerosi da 76) ne faceva più dei cacciatorpediniere che degli incrociatori: sarebbero stati impostati sugli scali durante l'u ltimo incarico di Brin al Ministero della Marina e varati dopo la sua morte. Non si può dire, come per altre navi che pretendevano di svolgere compiti differenziati tra loro, che fossero un grande successo: l'aurnento cli velocità degli incrociatori corazzaci li avrebbe messi in difficoltà e furono impiegaci specialmente come esploratori.
(7) Giorgerini e Nani, Le 11avi di linea, ecc., cit., p. 220.
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Ben più significativa fu l 'esperienza degli incrociatori corazzati della classe
Garibaldi. Mentre Brin era ministro degli Esteri, da ambienti navali vennero critiche alle unità tipo Vettor Pisani, considerate poco armate e poco protette per i tempi. Brin volle approfondire le motivazion i delle critiche e in parte le condivise, canto "che raccomandò al ministro in carica, ammiraglio Racchia, e poi al suo successore, ammiraglio Morin, di studiare la possihilità di costruire un tipo di incrociatore coraaato di limitato dislocamento. Un incrociatore, cioè, dotato di rilevante armamento e di protezione almeno uguale a quella dei Vettor Pisani, estesa però a tutte le artiglie1ie. li Brin intravide la soluzione del problema ispirandosi al progeno delle corazzate classe Emanuele Filiberto, progettate dall'ispettore del 6enio Navale Giacinto Pullino. L'elaborazione del progecco del nuovo tipo di incrociatore corazzato fu affidata al tenente generale del Genio Navale Edoardo Masdea, che appunto condusse i suoi studi secondo gli indirizzi ciel Brin ed i suggerimenti dei tecnici dei cantieri Ansaldo, società alla quale venne affidata la costruzione della prima unità. I concetti che ispirarono l'elabornione del progetto cli questa nuova classe di incrociatori corazzati, si possono così riassumere: 1) Possibilità cli poter d isporre di unità capaci cli assolvere i compiti propri dell'incrociatore corazzato e quelli della nave di linea, operando strettamente con quest'ultima; 2) Eventuale impiego strategico anche in missioni isolate, disponendo di forte armamento per affrontare forma zioni di incrociatori protetti. Reggere il confronto con unità maggiori, avendo possibilità di disimpegno grazie all'elevata velocità, specie in rapporto a quella delle navi di linea del tempo".(8) li progetto fuse in maniera ottimale le caratteristiche cli base dell'armamen to, della protezione e della velocità, ottenendo una nave molto equ ilibrata che avrebbe avuto un grande successo commerciale durante l'u ltimo periodo di B1in al Ministero della Marina. La Marina italiana ordinò le prime unità nel 1893: il Giuseppe Garibaldi all'Ansaldo di Genova Sestri, che impostò la nave nell'anno stesso, e il Varese al cantiere Orlando di Livorno, che iniziò i lavori l 'anno dopo. Si è già avuta occasione di ricordare che Crispi aveva fatto delle avances al sultano ciel Marocco per una stazione navale. In quella occasione vennero intavolate trattative per costruire navi milirnri in Italia. La proposta ben si collocava nella politica cli disturbo che lo stat.ista siciliano conduceva nei confronti della Francia. E bcnchè il Marocco fosse sotto influenza francese e lo stesso sultano nutrisse simpatie personali verso Parigi, le insistenze e le proposte furono tali che egli trovò più conveniente rivolgersi alla cantieristica ital iana. Naturalmente la questione non era meramente commerciale, perchè la preferenza accordata dal committente marocchino avrebbe provocato ulteriori
(8) Giorg~rini e Nani , Cli incrociatori, ecc., Cit., pp. 291-302.
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sospetti e irritazione in Francia. Ma Crispi non aveva d i queste preoccupazioni. Così al cantiere Orlando cli Livorno, nel 1894, pervenne dal governo del sultano l'ordine di costruire un piccolo incrociatore - o grande cannoniera che fu impostato nel corso del medesimo anno. L 'unità dislocava 1220 t, faceva 18 nodi cd era armata con un cannone da 120 mm, 5 da 102, 6 da 37 e 4 cubi lanciasiluri: col no me di EL Bashir fu la nave ammi raglia della nuova Marina marocchina. Prima di allora i cantieri navali del Regno erano stati praticamente assenti dalla costruzione militare per l'estero: solo all'Ansaldo di Genova fu assegnata una commessa, tra il 1890 e il 1894, per ammodernare quattro fregate corazzate della Marina turca.C9) Durante questo periodo Brin, che dal 4 gennaio 1894 era stato iscritto nel servizio ausiliario, continuò a seguire con immutato interesse tutto ciò che accadeva nel mondo marittimo italiano. Il ministro Morin, che aveva comandato !'Accademia Navale tra il 1891 e il 1893, ritenne necessario riformarne radicalmente l'ordinamento, non più adeguato alla prepa razione degli ufficiali per una Marina moderna: il corso degli scudi fu ridotto da 5 a 3 anni, ma il limite di età per l'ammissione veniva portato a 19 anni cd era p rescricto che gli aspiranti allievi fossero in possesso della licenza licea le o d i quella della sezione fisico-matematica dell'istituto tecnico. Questo prowcdimento, che Brin considerò favorevolmente, tendeva a migliorare la preparazione general e degli allievi, allineandola con quella pre-universitaria elci giovani che si iscri vevano nelle Facoltà civili. Tale orientamento consentiva di effettuare la selezione su una base composta da elemenci pi i:1 maturi e culturalmente preparati; aveva inoltre anche una valenza sociale perchè il più lungo periodo trascorso fuori da l mondo militare ed una formazione più omogenea con quella degli altri coetanei che proseguivano gli studi nelle Università avrebbe favorito una migliore comprensione della società civi le da parte dei futuri ufficiaJi.(10) Un'altra iniziativa che Brin incoraggiò riguardava la propaganda marinara. Nel 1894 in Inghilterra era stata fondata la Naval League e l'anno successivo Augusto Vittorio Vecchj - noto scrittore di cose navali, anche sotto lo pseudonimo di Jack La Bolina, amico ed estimatore ciel 13rin - gli scrisse per proporgli di farsi promotore di un'associazione impegnata ad alimentare ed arricchire la coscienza marinara e ad influi re in proposito sull'opinione pubblica nazionale. TI Brin però ri tenne che la sua persona, tante volte e così a fondo coinvolta in polemiche politiche e parlamentari, non fosse adatta per una iniziativa che doveva stare a cuore a tutti gli italiani e porsi quindi al di sopra cli (9) Orkanfeb, Osmanieb, Mahmudieh, Azizieh, di 6400 t di dislocamento, che rima*ro in lavori a Genova dal 1893 al 1894 p<:r un non radicale ammodern;imento. Vedi E. nagnasco e A. R:melli, I.e costruzioni naualt italiane per /estero. supplemento alla l<il!iSta Marittima, 1994, dicemb re. pp. 13-14. (10) Galuppini, L·Accadem/a, ecc., cit., pp. 90-94
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ogni visione di pane e suggerì l'ammiraglio De Amezaga; non essendo però nemmeno questi disponibile, la proposta per il momento cadde e sarebbe stata ripresa negli ultimj anni del secolo. Nel campo della marina mercantile l 'osservazione spassionata dei risultati conseguiti dai provvedimenti varati al tempo della svolta protezionista forniva un panorama variato. Le convenzioni ciel 1893 avevano introdotto la distinzione tra linee a carattere postale e linee a carattere comrnerciale, utilizzando anche una manovra sulla domanda attraverso l'applicazione di noli cli favore per il commercio nazionale. Qualche linea sovvenzionata fu concessa anche ad armatori stranieri in mancanza di imprenditori italiani, come il servizio tra Vene:tia e Pano Saicl che nel 1895 fu affidato alla Peninsular and Orientai di Londra. Nelle intenzioni governative le sovvenòoni dovevano essere uno strnmento provvisorio polivalente, contribuendo anche a migliorare la qualità ciel naviglio impiegato, da costrnirsi nei cantieri nazionali; ma nel 1906 la Commissione d 'inchiesta sui servizi marittimi presieduta dal deputato Pantano avrebbe rilevato, prendendo in esame il periodo aureo del monopolio della società Navigazione Generale Italiana nei servizi sovvenzionati (decennio 1892-1902), che il progresso della compagnia era stato più lento cli qualsiasi concorrente estero, salvo le francesi Généra!e Transatlantique e Messageries Maritimes. Quanto all'armamento libero, i premi di navigazione finirono per favorire più i velieri che i vapori, tanto che nel primo decennio per i velieri furono spesi 17 milioni invece dei 15 previsti e per i vapori solo 8 invece di 23. Inoltre, poichè l'ammontare dei premi era fisso mentre quello dei no li, soggetti alle fluttuazioni ciel mercato, non lo era, accadde che i noli scesero almeno del 30% mentre gli incassi degli armatori per i premi rimasero immutati: di conseguenza l'incidenza del premio sul nolo tese ad aumentare col risultato perverso di non stimolare gli imprenditori beneficiari dei premi agli investimenti ccl alle rio rganizzazioni necessarie per uscire da una condizione economica che senza i contributi pubblici li avrebbe visti fuori mercato. Questo poi faceva sì che la politica dei premi che si era pensato di introdurre solo per favorire una fase di decollo, non potesse finire mai. L'esperienza del primo decennio mostrò che tale politica frenava la decaclem.a della vela, ma non la trasformava nella propulsione a vapore, nè riusciva a contribuire in modo apprezzabile al miglio ramento del navigl io ed allo sviluppo della cantieristica nel Paese, tanto che nel 1895 il 93% del tonnellaggio totale dei piroscafi sotto bandiera italiana era cli costruzione estera, spesso cli seconda mano, sebbene tale moti vo li escludesse dai premi . Eppure, scaduta la legge del 1885, quasi tutto il Parlamento si trovò disponibile a rinnovarla. Può stupire che i protezionisti individuassero, trovando udienza, nella limitazione dei premi erogati la causa della modestia dei risultati e sostenessero quindi l'opportunità di estendere ed aumentare ulteriormente le provviden-
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ze, ma quella era la pista sulla quale correva il branco, visto che la Francia nel 1893 aveva aumentato la misura dei premi e che altri Paesi - come l'AustriaUngheria, la Spagna e il Giappone - tra il 1893 e il 1896 istituirono a lo ro volta i premi cli navigazione. Anche la nuova legge italiana del 1896, che il ministro Morin spiegava essere dotata di maggior logica, aumentò la misura del premio (da lire 0,65 per t netta a 0,80 per t lo rda ogni 1000 miglia) e allargò le maglie ( furono ammesse anche le navi estere nazionalizzate tra il 1887 e il 1895), con le immaginabili ricadute sulla finanza pubblica. La terza linea d'intervento rigu ardava la cantieristica. elle intenzioni governative era molto importante ed oltre alle provvidenze dirette furono posti in atto anche sostegni indiretti attraverso le misure destinate alla navigazione ed all'armamento, che privilegiavano il naviglio di costruzione nazionale. Ma in 10 anni solo il 39% dei compensi erogati furono destinati alle costrnzioni vere e proprie: la maggioranza delle risorse finanziarie disponibili andarono, sotto forma di restituzioni daziarie, a favore della nascente industria siderurgica e metallurgica, la quale fu la massima beneficiaria delle leggi di sostegno alle costruzioni navali civili. Smentendo le illusioni dei sostenitori dei sussidi, non si verificò alcun miracolistico automatismo nello svi luppo della cantieristica nazionale poichè non erano stati risolti i problemi di maturazione e di organizzazione industriale che l'affliggevano. Confrontando statisticamente la situazione del 1887 con quella del 1894, si rilevava che le unità produttive del settore erano salite da 53 a 57, ma i dipendenti erano diminuiti da 17500 a 16000. In vigenza della legge in Italia non era sorto alcun nuovo importante cantiere e quelli esistenti erano caratterizzati da una marcata discontinuità della domanda cli lavoro. Facevano eccezione i cantieri Ansaldo cli Sestri Ponente e Orlando di Livorno, che durante g li anni '90 avrebbero dimostrato, lavorando anche per l 'esportazione di navi militari, cli rappresentare nicchie di eccellenza Cl 1) in un panorama industriale di settore genericamente depresso. Davanti a simili sviluppi in campi di attività economiche che conosceva bene, Benedetto Brio era costretto a riflettere. Certo, aveva sposato in buona fede, pienamente convinto della bontà della scelta, la linea dell'intervento statale come strumento per accelerare lo sviluppo e non poteva discostarsene troppo quando in Italia e all'estero la grande maggioranza mostrava di condividerla come una conquista del tempo. Però, qualche dubbio l'aveva.
(11) Flo re, cii., 11, pp. 370-71 , 471-75, 546-53.
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CAPITOLO VIII
L'ultima missione Dopo Adua un'atmosfera fosca si d iffuse nel Paese, diviso da propensioni anticolonialiste al nord e filocolonialiste al sud. Il peso delle spese militari schiacciava la debole strnttura sociale, rendendo sempre più intollerabile la povertà. Accentuata dalla recessione, la miseria colpiva strati sempre più vasti della popolazio ne, con impatti pesanti su l flusso migratorio e su lle condizioni di vi ta; di lì alla fine del secolo il malessere sarebbe divenuto sempre più pronunciato, sfociando in agitazioni sociali, disordini, repressio ni sanguinose. Troppi problemi irrisolti affliggevano l'Italia quando di Rudinì, nel marzo 1896, raccolse di nuovo l'eredità di Crispi. Nel nuovo governo Benedetto Brin fu nominato ministro della Mari na - l'incarico gli sarebbe stato confermato anche nel terzo e nel quano consecutivi gabinetti di Rudinì - ma il suo ruolo nel Consiglio fu più imponame di quello quasi tecnico di responsabile cli un dicastero prevalentemente militare. Il panorama era così negativo che perfino gli alleati triplicisti, che si erano mostrati critici in altre occasioni a causa della ri tenuta inadeguatezza degli sforzi italiani, fecero capire che l'Italia e la stessa monarchia sarebbero state più salde se avessero abbandonato l'Africa. e si fossero accontentate di un esercito più ridotto . Ma quando il generale Ricotti, ministro della Guerra, propose di ridurre l 'esercito da 12 corpi d'armata a 8, fu costretto alle dimission i. Umberto non sentiva ragioni, convinto che l'Italia non dovesse rinunciare ad una politica di forza militare e d i espansione coloniale. Che poi le recenti esperienze dimostrassero che le avventure africane erano controproducenti per il prestigio del Paese e che l'insistenza su linee di spesa che travalicavano le possibilità conduceva al disastro sociale, non erano cose che entravano nella comprensione ciel re.<O Veniva intanto a scadenza il secondo trattato della Triplice e nella primavera 1896 il governo cli Ruclinì avviò le trattative per rinnovarlo. La svolta, già in atto, della politica bri tannica nel Mediterraneo, indusse il govern o italiano a chiedere una "dichiarazione ministeriale" delle tre potenze alleate a garanzia che il patto non potesse assumere funzione antinglese. Ma i tedeschi respin(1) Mack Smith, cli., p. 167.
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sero la proposta, argomentando che era superflua e che l'alleanza triplicista aveva un carattere di difesa co ntro l'aggressione, indipendentemente dall'agg ressore che poteva essere anche diverso dalla Francia e dalla Russia. Roma dovette accettare che la dichiarazione del 1882 non venisse riproposta nel 1896, ma chiarì bene di non essere assolutamente in grado di affrontare un confronto marittimo contro la Francia e l'Inghilterra riunite. Come motivazione per la rinuncia alla propria richiesta, il governo italiano indicava l'improbabilità di uno scontro fra la Triplice e la Duplice alJeata con l'Inghilterra: ove però l'improbabile si fosse avverato, le riserve sull'impossibilità di impegnarsi in una guerra navale così difficile venivano ribadite con forza . L'ambasciatore austro-ungarico a Berlino ne scrisse al suo ministro Goluchowski, il 12 aprile 1896, in questi termini:" J ministri italiani ... non hanno voluto fare a meno di 1iconoscere sinceramente che l'Italia, per la sua posizione geografica e particolarmente per la lunghezza della sua costa estesa nel Mediterraneo non potrebbe sostenere in maritima la lotta contemporanea contro i due importantissimi avversari". Il ministro della Marina l3rin aveva convinto tutto il governo della inaccettabilità di una prospettiva simile, che avrebbe condotto a un disastro marittimo di proporzioni tali da minacciare gravemente la sicurezza e forse anche l'esistenza del Paese. Non aveva dovuto faticare molto perchè nessuno in Italia, in campo militare e politico, dissentiva su questo punto: sono significativi in proposito gli interventi pubblicati dalla Nuova Antologia e dalla Rivista Marittima tra il 1895 e il 1897. Nell'agosto 1896 si tennero le manovre navali, ancora una volta nell'Alto Tirreno, tra Capo Corso e Piombino. La forza attaccante - partito giallo - aveva il compito cli conseguire il dominio del mare per utilizzare la ottenuta preponderanza ai fin i dell'invasione marittima della penisola, puntando sulle coste ciel Tirreno e sulle isole adiacienti. Per contro, la flotta nazionale - partito verde - doveva riuscire ad impedire il cangi ungimento delle due maggiori frazioni in cui la forza avversaria era divisa.(2) Le manovre anelarono sostanzialmente bene. La relazione conclusiva al ministro della Marina, che Brin siglò e sottolineò in pii::1 punti, riferiva che la squadra verde era riuscita a raggiungere con forze preponderanti il contatto con la frazione designata del partito giallo, conseguendo l'obiettivo. La rela7.ione riconosceva al Brio il merito di avere trovato "modi e mezzi per raggiungere la forza effettiva di 22000 uomini", elemento questo decisivo di successo perchè altrimenti la consistenza degli effettivi impegnati sarebbe stata "inferiore alla modesta cifra di 13000". C'erano poi due osservazioni interessanti: la prima riguardava le torpediniere, "navicelle di ben mediocre valore", che non si potevano impegnare nei compiti di esplorazione strategica; la (2) AUSMM, busta .l 56, fase. 2.
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seconda, sulla quale i segni a matita e la sigla di Brin dimostravano l'interesse del ministro, anticipava il concetto di task force, con la proposta di sostituire alle divisioni "complessi navali capaci di costituire vere unità organiche" rispetto all'azione tattica e strategica da condurre.(3) Il teatro delle manovre, i loro temi ed il loro svolgimento le inserivano con continuità nell'ambito delle ipotesi di contrasto che prevedevano lo scontro con la Marina fran cese e solo con questa. Come era stato detto chiaramente agli alleati, in Italia non era possibile assumere nemmeno come ipotesi la prospecciva cli un conflitto che coinvolgesse anche la Marina britannica in posizione ostile. L'intesa franco-russa dava già per conto suo abbastanza problemi alla Marina italiana, specie eia quando il console a Tunisi, Machiavelli, aveva scritto a Benedetto Brin (16 maggio 1896) che "il lago di Biserta è ormai accessibile anche a grossi bastimenti da guerra, essendovi penetrate, oltre alle navi minori, le corazzate Brennus e Redoutable della squadra francese del Mediterraneo"; inoltre il canale d'accesso era stato reso praticabile di giorno e di notte e Biserta andava assumendo poco a poco un ruolo di cardine nel sistema di basi della Marina militare francese. E' curioso che sulla pericolosità di Biserta si manifestasse costantemente un diverso apprezzamento tra italiani e britannici; mentre i primi, fin dall'inizio dei lavori, la consideravano uno spauracchio permanente, i secondi ritenevano scetticamente che la base tunisina sarebbe stata piuttosto un motivo di debolezza per la flotta f,·ancese che sarebbe stata obbligata ad impegnarvi per la difesa una parte delle sue forze, nè l'Ammiragliato londinese cambiò idea quando l'ambasciata italiana di Parigi, nel gennaio 1897, segnalò che Biserca sarebbe stata messa a disposizione della squadra russa. Il governo di Roma cercò di introdurre qualche nuovo elemento di distensione nella sin1azione internazionale, rimuovendo qualche ingombrante e fasti dioso relitto del passato. Il 28 settembre 1896 venne stipulato con la Francia un accordo integrativo del Protocollo Mancini del 1884, relativo allo scanno degli italiani in Tunisia, aprendo la via a rapporti meno tesi che avrebbero condotto col tempo all'intesa segreta sulla Tripolitania e il Marocco. Si compì uno sforzo anche per regolare i contrasti con Vienna sull'Adriatico e l'Albania: nella capitale austriaca si fronteggiavano la linea del ministro degli Esteri Goluchowski favorevole al mantenimento di uno status quo che escludesse la Russia dagli Stretti e l'Austria-Ungheria da nuove avanzate a sud, e la linea degli ambienti militari disposti a concedere il controllo degli Stretti ai russi in cambio di un controllo austriaco del canale d'Otranto ai danni dell'Italia. Lo status quo conveniva finanziariamente tanto all'Austria quanto all'Italia perchè le esentava dai costi di nuove avventure e fu la base degli accordi di Milano (3) La relazione del vice ammiraglio Tommaso di Savoia al ministro della Marina, in data 1° novembre 1896, si trova in AUSMM., busta 157, fase. 1.
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del novembre 1897.<4) Nell'ottobre precedente venne firmata la pace con l'Abissinia, che previde il ritiro italiano dal Tigrè ed il riconoscimento della sovranità abissina in campo internazionale. Ma il governo italiano si ritirò anche da Kassala, nel Sudan, che con la sua posizione così eccentrica rispetto al fronte era stata una delle cause della sconfitta. Brin e cli Ruclinì avrebbero voluto andare anche oltre e liberarsi proprio della colonia eritrea. A tal fine vennero intavolati contatti col governo belga. Brin era favorevole ad un ritiro completo: ricordava certamente la sua corrispondenza con Baratieri prima del disastro e non poteva dimenticare che il governatore della colonia, in quel tempo, gli aveva risposto tratteggiando con immaginazione il panorama roseo di una Eritrea nella quale tutto andava bene, impegnata nello sviluppo dell'agricoltura e della zootecnia.<5) Nella riunione ciel Consiglio dei ministri del 25 agosto 1897 Benedetto Brin sostenne la tesi estrema del ritiro eia Massaua, altri ministri furono incerti, più numerosi i contrari; anche il ministro degli Esteri Visconti Venasca si pronunciò contro l'abbandono, pur proponendo una pol itica cli pacifico raccoglimento .C6) E' da ri levare che nel giugno precedente il ministro della Marina aveva offerto l'incarico di governatore della colonia a Ferdinando Ma1tini, che ri fiutò perchè non voleva "esser chiamato a fare la pa1tc del liquidatore della colonia".(7) Non era partito preso, ma capacità di trarre una lezione dalle cose e dai fatti. Pochi mesi prima, a confermare Brin nella sua opinione, era intervenuto anche l 'eccidio di Lafolé, vicino a Mogadiscio, dove la Marina aveva perduto i comandanti dell'avviso Staffetta e della cannoniera Volturno, otto altri ufficiali e cinque fra graduati e marinai: la strage, gratuita cd inaspettata, ebbe luogo il 26 novembre 1896 per l'improvviso scatenarsi di odio xenofobo in un territorio ritenuto pacifico e sicuro.
( 4) In quell a occasione Goluchowski smentì ai suoi interlocutori italiani che l'Austria-Ungheria avesse asp ira:doni territoriali sull'Albania e Salonicco, chiarendo però che Vienna era ben decisa a non ammenere che u na qualsiasi altra potenza v i si stabil isse. L' incontro d i Milano (6-8 novembre 1897) si chiuse con la convinzione, eia pa rte austriaca, che fosse intesa, ove lo status quo si fosse dimostrato impossibile, la concessio ne all'Alban ia d i u na indipendenza che escludesse es pansioni italiane; memre Visconti Venosta restò dell'idea c he nel caso tuHo s,t rebbe staro da discutere e da concordare.
( 5) BarJtieri a Brin, 27 febbraio 1893. in risposta alla leHem privata del M inistro del 20 febbraio. ASMA!;::, loco Cii. (6) A. Aq uaro ne, Uopo Adua: politica e amministrazione coloniale, Roma, M inistero per i Ileni cu ltu rali e ambientali, 1989, p. 122, che ciw il Ma/lino di Napoli del 27-28 agosto 1897.
7) In una lettera alla fìglia del 27 ottobre 1897, il Martini scrisse:·'il governatorato m i fu offerto d irettamente dal giugn o dal Brin, il quale, credo col consenso del Rudinì. m i fece ritastare p iù ta rd i d a Luch ino D,11 Venne: ed io rifiuta i, perchè il programma del Governo era tale che non poteva effettuars i se nza danno e vergogna", Acqua ro ne, cii.,. pp. 137-38.
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Non era la prima volta che la Marina perdeva uomini senza ragione in Somalia - già il 24 aprile 1890 erano stati uccisi il STV Carlo Zavagli e il marinaio Angelo Bertorello della Volta - e il ministro della Marina lo considerava inaccettabile; così, mentre raccomandava prudenza ai suoi uomini, (8) si confermava nell'opinione contraria a mantenere impegni gravosi e pericolosi in terre lontane. Poco dopo il massacro della seconda spedizione Bottega in Abissinia (17 marzo 1897) - in questo caso il TV Lamberto Vannutelli, messo dal 13rin a disposizione dell'esploratore, si salvò - avrebbe offerto una nuova conferma dei rischi che in quei territori comportava la sola presenza, anche se non accompagnata da vel leità d i conquista. Nel Mediterraneo la Marina aveva un atteggiamento diverso. TI 7 marzo 1897 l'ambasciatore a Parigi segnalò l'eventualità di una mossa francese contro il litorale cli Tripoli, che allarmò il ministro degli Esteri e gli fece immaginare un'iniziativa d iplomatica preventiva verso Parigi che poi, per il disaccordo tedesco, non ebbe luogo.C9) Tn quello stesso mese però !"Ufficio di S.M. della Marina diresse a Brin uno studio, intitolato "Azione offensiva contro la T1ipolicania", che indicava al ministro il ruolo che la Marina avrebbe potuto svolgere in una operazione contro la Libia. Dato come premessa politica l'isolamento della T urchia e come premessa strategica iI conseguimento del dominio del mare, il documento trattava delle modalità dell'attacco a Tripoli e cli possibili azioni collaterali a Bengasi e a Tobruk, valutando che l'azione "può faci lmente essere condotta a buo n fine". Una premessa e una raccomandazione finale sarebbero state di attualità nell 1911 . La premessa considerava gli indigeni sfruttati e "conquistati" ma non sotromessi dai turchi , verso i quali no n potevano che nutrire sentimenti ostil i: forse anche da qui si formò o si confermò a Roma la convinzione che gli arabi potessero essere usati contro gli ottomani. La raccomandazione era rivolta ad evitare "arditi colpi di mano, tentati con mezzi sproporzionati allo scopo", e certamente era volta ad evitare che in Libia, se un giorno ci si fosse andati, si ripetessero le brutte esperienze eritree.00> Lo studio non ebbe seguito immediato: ben altri erano i problem i per l'Italia nel 1896. L'l 1 aprile l'ambasciata di Berlino segnalò che " l'I mpero è sulla via di diventare una formidabile potenza marittima"; e di fatti ben presto, nel giugno 1897, il nuovo ministro della Marina germanica, Al fred von Tirpitz, avrcb-
(8) Cfr le istruzioni di Bri n del 5 gennaio 1897 al comandante Cuciniello della corvetta Governolo a Zanzibar: non poteva intmprcndere operazioni militari e dovev,1 aspertare l'arrivo dell'incrociacore Elba, previsto per il 20 successivo, AllSYIM, bu sta 156, fase. 1; Aquarone, cii., p. 295. (9) Cfr P. Pastorelli, Albania e Tripoli nella politica estera italiana durcmte la crisi d'Oriente del 7897. in Rivista di studi politici internazionc1/i, XXV II I ( 1961), 3, p p. 385-8. (10) AUSMM, b usta 158, fase. 4.
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be lanciato un primo manifesto contro il potere manrt1mo britannico, cui sarebbe seguita la legge navale tedesca del 1898. Uno sbocco di questi eventi avrebbe ponito essere proprio quel riavvicinamento anglo-francese che, stimato improbabile al momento della stipula del terzo trattato della Triplice, avrebbe aperto scenari marinimi insostenibili per l'Italia. Da 15 anni l'ipotesi di una guerra con la sola Francia turbava i sonni della Marina, sempre priva di un sostegno navale alleato ed inglese. Vienna si era ostinata sulla negativa alla richiesta di impegnarsi per un periodo limitato nella difesa delle coste italiane durante la mobilitazione dell'esercito. E le intese con Londra del 1887, pur mai precisate nei lo ro contenuti concreti, erano superate dall'evollli:ione della posizione britannica nel Mediterraneo. Uno studio dell'ammiraglio Giovanni Bettolo dell'onobre 1897 affrontava la prospettiva di uno scontro marirtimo tra l'Italia e la Francia da sole. L;elaborato, che Brio ebbe subito, era destinato ai vertici della Marina e dell'Esercito ed era intitolato "Danni che potrebbe soffrire l'Italia in una guerra contro una grande potenza navale". Le possibili azioni avversarie venivano riassunte in quattro gruppi di temi: "1°- operazioni intese a ritardare la mobilitazione dell'esercito e ad interrompere il servizio delle comunicazioni; 2° - Azioni offensive contro il commercio marittimo, contro le città litoranee, gli stabilimenti marittimi, ecc.; 3° - Presa di possesso delle isole; 4° - Operazioni di sbarco." TI Bertelo metteva in evidenza la facilità e il minimo impegno per il nemico nel perseguimento dei primi due obiettivi e sulla difesa delle isole maggiori pessimisticamente riteneva che le forze nazionali, salvo che nei punti fortificati di Messina e della Maddalena, "non potranno opporre in alcun punto un'efficace resistenza ad un nemico che si presentasse ad anaccarle con forze appena rilevanti". Più facile ancora sarebbe stata l 'impresa di attaccare l 'Elba e le altre isole. Ciò avrebbe dato al nemico grandi vantaggi politici e militari. Il più preoccupante di tutti era il quarto punto: esaminata la grande varietà geografica degli sbarchi che la supremazia marittima avversaria consentiva, lo studio concludeva che una presa di terra di forze nemiche sulle coste prossime alla foce dell'Arno avrebbe attinto la massima pericolosità strategica. In quella zona rutto facilitava l'avanzata del nemico: la pochezza della difesa, la comodità delle infrastrutture, la lontananza dell'Esercito ammassato nella valle del Po. L'effetto sarebbe stato "esiziale". La conclusione era in linea con le ipocesi descrine ed era preoccupante: "i danni che potrà subire l'Italia in una guerra contro una grande potenza navale saranno enormi, specialmente se questa potenza è la Francia. Sola, con le altre potenze della Triplice alleanza, l'Italia dovrà sopportare l 'urto della più gran parte delle forze navali francesi. Tutti gli studi e gli apprestamenti navali dei nostri vicini tendono a questo scopo; e gli scrittori militari francesi sono tutti concordi nell'esprimere l 'opinione che una vittoria navale sulla Germania cd una vircoria terrestre sull'Italia nulla gioverebbe alla Francia, se l'esercito
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francese fosse battuto dal tedesco e la flotta francese dall'italiana. E ciò senza tener conto dell'alleanza franco-russa, che getta nella bilancia a nostro danno il peso della flotta russa". Furono tempi, quelli, di vero allarme navale, cui anche l'opinione pubblica prese parte, indottavi dalla pubblicistica e dall'opera sempre più incisiva della propaganda marinara. Si è già detto perchè Brio, nel 1895, avesse ritenuto opportuno non farsi personalmente promotore di un'associazione per la propaganda, ma non per questo lesinò gli appoggi e gli stimoli all'iniziativa. Nel 1896 il comandante Mantegazza pubblicò una serie di articoli sulle condizioni della Marina militare e nello stesso anno venne rilanciata l'idea della Lega Navale. Articoli e conferenze battevano sul tasto dell'allarme: l'Italia era circondata da potenze più ricche e potenti e la sua esistenza dipendeva dalla difesa navale. Nel giugno 1896 si costituì a La Spezia, allora base principale della flotta, il Comitato centrale della Lega Navale Italiana. I primi tempi furono difficili per il clima teso di passione e per qualche polemica interna. Era tllttavia, l'inevitabile prezzo da pagare al contingente, come aveva ben intuito Brin, da politico navigato. TI primo statuto della Lega sarebbe stato approvato, dopo che già erano sorte sezioni in varie parti d'Italia, il 2 giugno 1899.Cll) Intanto il terzo ministero di Rudinì era ai suoi ultimi giorni. Già il 1° dicembre la Camera aveva accolto poco benevolmente l'esposizione finanziaria del ministro del Tesoro Luigi Luzzatt.i, giudicandola ottimistica, così che due giorni dopo, le improvvise dimissioni del ministro della Guerra, Pelloux, che si era inalberato per un emendamento secondario al suo disegno di legge sull'avanzamento nell'esercito, furono colte al volo dal presidente del Consiglio per presentare le dimissioni del governo. Il re gli rinnovò l'incarico, ma le consultazioni del presidente incaricato incontrarono tali difficoltà che nel pomeriggio del 13 dicembre egli "si recò dal sovrano con l'intenzione di rassegnare il mandato ricevuto e di indicare il piemontese Benedetto Brin quale suo successore. Ma il re, reputando Brin inadatto ad assumere il gravoso incarico", determinò il giorno successivo la formazione del quarto gabinetto di Rudinì, nel quale Benedetto Brin veniva confermato alla Marina.C12) Sarebbe stata questa la sua ultima missione ne l governo del Paese. Era già sofferente e per mesi si trascinò tra il letto e il ministero. Il momento era dif(11) I compiti fondamentali che l'associazion e si dava er.ino così defìniti:''esercitare una benefica azione a favore dello sviluppo della marina Militare e Mercantile, di ffondere in Italia il pensiero navale e l'amo re delle cose di mare e favorire qualsiasi misura che te nda a migliorare la marineria italiana". (1 2) L. D'Angelo, Lotte popolari e Stato nel/Jtalia umbertina. La crisi del 1898, Roma, Caceres,
1979, pp. 45-49.
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ficile e gli allarmi si succedevano. Il 10 gennaio 1898 il colonnello Panizzardi, addetto militare a Parigi, riferì che era stato concluso un acco rdo frnnco-russo per un'azione concorde delle due flotte nel Mediterraneo: 03) poichè una diretta e contigua collaborazione tra gli eserciti non era possibile, la cooperazione delle Marine avrebbe ri vestito anche una importante valenza politica. L'intesa avrebbe compor1ato la costiruzione a l3iserta di una base navale comune e, sul piano politico, una energica pressione francese per ottenere l 'aper1ura dei Dardanelli, da compensare con un sostegno russo alle aspirazioni francesi sul Marocco. Poichè la prospettiva di un intervento della flona nissa nel Mediterraneo era considerata realistica, 0 4) tali informazioni apparivano preoccupanti. ln una simile atmosfera di allarme marirtimo sarebbe marurata nel 1900 la prima Convenzione navale della Triplice. Quale min istro della Marina e autorevole componente del governo Brin fu sollecitato due volte, nel corso del 1896, ad impiegare la flotta in funzione della politica estera. Non pare superfluo sortolineare che il 1896 fu l'anno di Adua e che i governi di Rudinì al potere apparivano animati da un orientamento prudente ed alieno dalle avventure. ·on era però Roma che poteva condizionare le vicende del mondo e quando avvenimenti esterni si ripercuotevano sugli interessi del Paese non si poteva eludere una risposta, che poteva consistere anche in nessuna risposta, ma che poteva anche esigere un intervento. Venne dapprima la questione di Creta. li do minio turco nell'isol a, abitata in massima parte da popolazione greca d i religione cristiana ortodossa, era andato infiacchendosi, nell'incapacità dell'amministrazione locale ottomana di gestire con efficacia e consenso il governo dell'isola. Da anni si susseguivano disordini, con gli abitanti sospinti ad appoggiarsi alla Grecia . La tensione sboccò nel maggio 1896 in incidenti e massacri nelle strade della Canea. Subito Ilrin inviò l'incrociatore Piemonte che il 28 maggio si ancorò nella baia di Suda dove già si Lrovavano altre unità militari: la corazzata britannica Hood, la corazzata e l 'incrociatore francesi Neptune e Cosmac, la cannoniera turca Turmonoretz, cu i si aggiunsero nei giorni seguenti altre unità di bandiera europea. Il comandante del Piemo11te, CV Alberto Dc Orestis, riferì al ministro della Marina di aver fatto richiesta al nuovo Valì, Abdullah Pascià, di "prowedere d'urgenza ad assicurare la tranquillità nella città, 1anto nell'io03) L'intesa sa rebbe i ntervenuta, stando 11 quanto faceva sapere il Panizzardi, a livello dei cipi di S.M. delle due Marine in occ:isione della visi1a ;:i Pie1roburgo del presidente francese Félix Faure nel 1897. Nell'occasione sarebbe stata vent ilata anche la po~sibilità di cedere ai mssi pani di territorio tunisino. (14) A Londra, im·ece, se ne dubitava, Marder. cli .. pp. 283 e 307. Per mtto quanto precede. vedi Gabriele, /,e Connmziont, ecc .. ci1., pp. l 58-80.
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teresse della colonia che in quello degli abitanti. Ed egli ha risposto che spera in pochi giorni fare rientrare tutto nell'ordine. Intanto però la popolazione greca è sempre terrori zzata; teme della guarnigione e non osa avventurarsi per le strade nè riprendere i suoi affari commerciali''. Le potenze chiesero agli ottomani il ristabilimento del patto di Halepa del 1878, che avrebe dovuto garantire alla popolazione cretese i suoi diritti ed un certo grado di autonomia; l'accordo venne sottoscritto, ma al momento di attuarlo il testo turco non corrispondeva a quello greco. Intanto le presenze navali europee, soprattutto inglesi e francesi, si rinforzavano e B1in decise di formare una squadra per il Levante agli o rdini del vice ammiraglio Felice Napoleone Canevaro e composta dalle corazzate Sicilia e Sardegna, dall'esploratore Euridice e dagli incrociatori Vesuvio e Liguria, già sul posto. Il 20 settembre il ministro degli Esteri Visconti Venosta faceva sapere che la linea concordata dalle potenze sulla questio ne cretese era ispirata alla conservazione dello status quo, linea che anche il responsabile della squadra italiana doveva assecondare, così da "mantenerci col governo ottomano in amichevoli rappo11i; tenere alto il prestigio della nostra bandiera; provvedere, in ogni contingenza, alla sicurezza e alla quiete delle nostre colonie". Soltanto se vi fossero stati disordini a Costantinopoli e altre forze navali, segnatamente inglesi, vi fossero accorse, l'ammiraglio doveva seguirle.O 5) TI 4 gennaio a Suda scoppiarono nuovi tumulti e ben presto l'isola precipitò nel caos; in febbraio la corazzata ellenica Mfaulis attaccò un trasporto turco mentre partiva per Creta una forza d'invasione condotta dal colonnello Vassos e composta da soldati greci e da esuli. I responsabili delle forze navali europee costituirono un Consiglio di Ammiragli; il Canevaro ne informava il Brin con una lettera riservata personale del 17 febbraio 1897: "Appena qui giunto, mi son messo in relazione con gli ammiragli francese, russo, inglese e col comandante austriaco, i quali tuttn si sono rangés sotto la mia presidenza, essendo io il più elevato in grado, contentissimi di trovare un altro a dividere la loro responsabilità e che s'incaricasse di prendere la superiore direzione delle cose. Là per là si decise di prendere possesso di Canea in nome delle grandi potenze e vi sbarcammo di fatto una compagnia di marinai di ciascuna nazionalità (degli austriaci soltanto 30 uomini), sono il comando superiore di un capitano di vascello italiano, che fu I' Amoretti. Si piantarono le bandiere delle grandi potenze sulle mura della città, che si mise in istato di difesa e se ne avvisarono gli insorti a mezzo di parlamentari ed il comandante delle forze navali greche, nonchè il comandante delle truppe greche già sbarcate nell'isola, a mezzo di una comunicazione in iscritto, invitandoli a sostare da ulteriori
(15) E. Alberini, La questione di Crela e il molo della Marina italiana, I , in ·B ollettino d'archivio dell'(Jjjìcio Storico della Marina militare, XI, marzo 1997, pp. 153 - 99.
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operazioni nell'isola, lasciando a loro carico qualunque atto di carattere aggressivo, che conducesse a combanimenti e massacri nell'isola. Il giorno 16 ci siamo daccapo riuniti cogli ammiragli cd abbiamo deciso e subito spedite le navi per prendere sotto la protezione delle grandi potenze le altre città Recymo, Candia e Sitia, pcrchè da quelle località ci giungevano notizie di nuovi pericoli mentre si sapeva che truppe greche continuavano a sbarcare qua e là, ciò che incoraggiava i rivoltosi contro le popolazioni musulmane. Anche di questo protettorato ho dato comunicazione ai greci di mare e di terra, facendo appello ai sentimenti di umanità, perchè si regolassero in modo, là ove essi si trovano, di evitare ogni occasione di conflitto con le po polazioni turche. Ma mentre noi non perdevamo tempo, anche i greci profittavano del loro, continuavano a sbarcare eruppe qua e là, fuori la portata dei nostri cannocchiali, e bandivano proclami di presa e di annessione in nome del re degli cileni. In questa condizione di cose, a me pare, come già ho avuto l'onore di segnalare a V.E., che, se le grandi potenze no n hanno l'intenzione di lasciar passare l'isola alla Grecia, quasichè questo armeggìo nostro delle navi dovesse servire ad ottenere questo risultato evitando soltanto lo spargimento del sangue, sarebbe urgente che si premesse sulla Grecia, perchè non lasciasse più partire truppe per l'isola, e che alle squadre europee fossero dai rispettivi governi dati ordini di impedire colla forza il rinnovarsi degli sbarchi, cosa di cui nessuno ci ha parlato fino ad ora. Per conto mio personale, continuo nel parere già espresso a voce, che, malgrado l'apparente accordo di tutte le grandi potenze, ce ne sia qualcuna che soffia sotto, e forse più d'una e che diverse di queste nazioni, non volendo usare mezzi energici contro la Grecia, incoraggiano così gli cileni a fare in Candia un giuoco simile a quello che fecero i garibaldini in Sicilia, sollo l'apparente ostilità delle squadre inglese e sarda. Io credo che ormai, senza l'uso della forza, non si può più impedire che l'isola passi alla Grecia, uso di forza che anche a noi non può convenire e che ci sarebbe doloroso e che certamente produrrebbe pessima impressio ne nella opinione pubblica del mondo civile. Credo ancora che meglio sarebbe pel nostro paese farci amici gli elleni, e, data la situazione attuale, farci merito presso di loro, facendo pure un pò di necessità virtù". Pochi giorni dopo, dovendo ogni nave ammiraglia sparare un colpo sulla costa a carattere dimostrativo, accadde che quello tedesco fece disgraziatamente 15 vinime, e gli ammiragli dovenero spiegare alla popolazione "che la loro presenza nelle acque dell'isola ha il solo scopo di tranquillizzare il paese e di riportarvi la calma in anesa di una più conveniente soluzione del problema cretese". Scoppiò, tra Turchia e Grecia, la guerra che si sarebbe conclusa con la vit-
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toria ottomana, mentre i musulmani di Creta, che avevano sofferto più di tutti, erano ormai disposti, secondo quanto scriveva il 10 aprile l'ammiraglio Canevaro al minjstro, "ad accettare qualsiasi soluzione, purchè non conduca all'annessione alla Grecia". Ma alle spalle degli abitanti si muoveva la politica russa, appoggiata dalla Francia, che tendeva ad ottenere un plebiscito per sancire "il suo protettorato, se non addirittura il suo dominio". Simile eventualità, ovviamente, avrebbe leso molto gli interessi italiani evocando Io spettro di una tenaglia marittima che da Suda a Biserta ed alle basi francesi avrebbe potuto assumere un carattere di spiccata pericolosità. Non abbiamo elementi per giudicare se i sospetb del Canevaro, al dr là degli avvenimenti locali, fossero fondati, ma è un fatto che il solo dubbio giustificava il forte impegno della Marina per Creta:06) un potere marittimo ostile all'Italia che avesse potuto avvalersi dell'isola in questione si sarebbe proiettato verso lo Ionio e le coste della Cirenaica, indebolendo le condizioni strategiche di difesa della penisola italiana. Intanto però la vittoria aveva imbaldanzito il sultano che nel mese di luglio o rdinò alla squadra dei Dardanelli di fare rotta per Creta ed annunciò la nomina di un nuovo governatore. Nell'isola, a seconda del momento, una parte perseguitava l'altra, tutti peraltro concordando nell'invocare protezione: "ricevetti calde suppliche e dagli insorti e dai musulmani - riferiva Canevaro a Brin 1'8 luglio 1897 - purchè fossero posti sotto la protezione dei nostri soldati", cosa di cui l'ammiraglio si occupò personalmente trasportando a Candia con la sua nave di bandiera Sicilia e con l'Etna due compagnie del 36° reggimento di fanteria che era stato destinato a Creta. 0.7) Con l'arrivo di Gevàd Pascià, il nuovo governatore, ricominciarono puntualmente i disordini, questa volta per lo più ad opera dei musulmani. Gli ammiragli annunciarono che avrebbero aperto il fuoco contro qualsiasi nave che avesse tentato di trasportare truppe turche a Creta, e la squadra ottomana in navigazione verso l'isola invertì la rotta. Ma le indecisioni e le lentezze della diplomazia avrebbero trascinato la conclusione della questione cretese ben oltre la morte di Brin. Ciò che appare importante ai fini di questo lavoro è la tempestività della decisione iniziale. Il suo significato, come la conseguente impegnativa azione della Marina, va riconosciuto nella conferma che l'Italia era una potenza con interessi e aspirazioni nel Mediterraneo e che, a pocru mesi da Adua, perseguiva questa sua identità anche in autonomia dagli alleati triplicisti. Non e ra poco per un governo che voleva evitare avvenn1re, che era ancora privo del (16) Tra il 1896 e il 1899 furono dislocate nel Levante 7 comzzate, 2 incrociatori corazzati, 17 incrociatori , 1 ca nnoniera, 9 torpediniere, 2 trasporti e 2 cisterne, Alberini, cit.,III, in Bollettino, ecc., Xl, settembre 1897 pp. 239-40. (17) Alberin i, cii., Il, in Bolle/lino, ecc.,giugno 1997, pp.35-124.
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puntello navale. cercato per tanti anni, che avrebbe preferito forse un'esposizione minore per avere il tempo di archi viare nella tranquillità un disastro coloniale. Eppure Brin e di Rudinì per Creta si mossero subito, in sintonia con i ministri degli Esteri che si erano succeduti, Caetani di Sermoneta e Visconti Venosta. Nell'estate 1896 venne fuori un'altra questione che coinvolgeva la Marina. Come si ricorderà, spiacevoli incidenti avevano avuto luogo in Brasile prima e durante la guerra civile: disordini ed episodi di xenofobia turbavano la vecchia amicizia, anche se sul piano diplomatico tutto sembrava procedere come prima. Gli interessi di molti immigrati italiani furono danneggiati e costoro chiesero di essere risarciti, sostenuti in tale pretesa dal governo italiano. Le richieste di indennizzo scatenarono una serie di incidenti, a San Paolo, a Pernambuco e a Santos, degenerando, come scrisse il 30 agosto al ministro degli Esteri il vice console italiano di Santos, Giovanni Eboli, in "aggressioni continue, che avevano luogo giorno e notte contro chi si fosse permesso di uscire di casa".08) Già in passato nell'America meridionale erano accaduti farti del genere ed ogni volta era stata trovata, presto o tardi, una composizione nelrinteresse degli imm igrati italiani e dei locali . Ma questa volta vi fu una reazione diversa. Roma annunciò la costi tuzione, per firma reale, della squadra dell'Atlantico: in realtà sotto una tale denominazione non era compresa alcuna forza navale importante, nè poteva essere altrimenti con la flotta già impegnata nella questione di Creta. L'annuncio, tuttavia, sparse un poco di allarme nell'America meridiona le. Sulla stampa brasiliana, però, veniva alimentato un ottimismo infondato sugli esiti delle conversazioni segrete che l'inviato italiano, conte Magliano, 09) conduceva, ancora senza successo, con le autorità brasiliane. Era, per i tempi, una sorta di guerra dei nervi che non contribuiva a risolvere la questione. Fu nominato un nuovo plenipotenziario al posto ciel Magliano, il De Martino. Il 3 settembre l'incrociatore Piemonte, al comando del CF Alberto De O restis e con il De Martino a bordo, giunse a Rio: come si ricorderà la nave era stata la prima unità della Marina militare italiana a comparire nella baia di Suda al profilarsi della crisi cretese. De Oresris incaricò subito gli ufficiali di raccogliere informazioni militari, e in ottobre era pronta una interessante documentazione, corredata eia disegni, schizzi e fotografie dei forti; nessuno però (18) Giova nni Eboli, vice console italiano tica P, pacco 282.
a Samos, a V isconti Venosca, 30 agosto 1896. serie poli-
(19) li Magliano era giunto a Rio il 27 novembre 1895 a bordo dell'incrociatore Lombardia, il cui equipaggio perse tra gennaio ed aprile 1896 ben 117 uomini per un'epidemia di febbre gialla. 1.n quella circostanza i brasiliani, specie la Marina, diedero prova di grande solidarietà, F. Leva, cii., pp. 323-24 e 343-44.
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aveva chiaro che cosa si volesse fare. Esisteva l 'intenzione di esercitare una pressione su l Brasile, ma, a parte la difficoltà cli condurre una dimostrazione navale oltre oceano, c'era il rischio che un'azione militare innescasse un conflitto che poteva coinvolgere anche altre nazioni. E allora ? Benedetto Brin incaricò il vice ammiraglio Enrico Accinni di preparare uno studio preventivo che gli fu rimesso verso la fine dell 'ottobre 1896 col titolo "Considerazioni generali". In relazione ai quesiti del ministro, già la premessa collocava il problema all'interno cli un approccio pieno di limitazioni. Facendo astrazione da ogni questione cli politica generale, l'ammiraglio chiariva che si sarebbe attenuto a considerazioni "essenziali in rapporto alla difesa dello Stato. E perciò, ... dati i rischi di un'impresa lontana, su coste che anche senza essere ostili, non offrono mezzi appropriati a rilevanti riparazioni, penso che ci dobbiamo guardare bene di allontanare dalle nostre coste una gran parte delle maggiori navi, le quali non debbono essere distraete dal sacro compito cli rimanere a guardia della nostra indipendenza e della integrità della nostra patria, e dobbiamo limitarci a formare la nostra squadra di spedizione in modo da assicurare un successo, senza sguernire il grosso e più importante naviglio della nostra flotta". Nessun conto si poteva fare delle colonie italiane in loco : c'era anzi il problema cli armarle perchè potessero difo:ndersi anche se l'operazione fosse stata di breve durata. La flotta brasiliana, sebbene apparisse all'Accinni molto mediocre, aveva ufficiali dotati cli forte sentimento nazionale e cli spirito guerriero; godeva inoltre ciel vantaggio di appoggiarsi agli approdi ed alle fortificazioni locali. Da parte italiana "l'impossessarsi di una base di operazioni non dovrebbe essere certo difficile, ma grave sarebbe il compito di mantenervisi". La forza navale necessaria veniva individuata in una squadra composta da 2 navi eia battaglia tipo Italia, dagli incrociatori Fieramosca, Bausan, Etna, Stromboli, Piemonte, Dogali, Elba, Etruria, dai piroscafi armati Elettrico, Candia, Nord America, Vittoria e dalla nave ausiliaria Trinacria; più 6 torpediniere tipo Ardent e 4 Schikau d 'alto mare per fronteggiare le veloci siluranti avversarie. Occorreva poi un convoglio di navi ausiliarie per trasportare il carbone, le mun izioni e anche l'acqua. li naviglio militare indicato era piuttosto recente e la sua assenza dal Mediterraneo, pu r non venendo ad incidere sulle principali capacità operative della tlotta, poteva farsi sentire, soprattutto tenendo conto che la questione cli Creta era sempre aperta. li possibile piano operativo per la spedizione transatlantica indicava, a titolo di esempio, le coste meridionali del Brasile come possibile teatro della dimostrazione navale: ci si poteva rivolgere contro il porto di Santos, occupare la dogana, danneggiare il commercio e attendervi una sortita delle forze navali brasiliane. Un'azione più vasta avrebbe potuto coinvolgere anche Rio e San Salvador,
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previa distruzione dei forti costieri. Tuttavia, se il governo brasiliano si fosse ostinato a resistere, non c'era via di uscita, non potendo una squadra navale occupare zone di territorio importanti in un paese enorme, anche se ancora disorganizzato, e trascinandosi le ostilità c'era anche il rischio che altri Paesi decidessero di intervenire. L'impressione che se ne trae è che nè la Marina, nè il ministro Brin avessero intenzione di lasciarsi concretamente coinvolgere al di là degli studi preliminari, tanto è vero che la squadra dell'Atlantico rimase un flatus vocis. Ricevuto l'elaborato dell'Accinni, Brin commise un altro studio, sempre preliminare, al contrammiraglio Giuseppe Palumbo che comandava la "divisio ne volante" basata ad Augusta e questi disse che era necessario mettere in preventivo un impegno della durata di 5 mesi comprese le traversate di andata e di ritorno, e prevedere un fabbisogno di 40000 t di combustibile e di materie grasse, oltre alle munizioni ed ai viveri; inoltre, chiese al ministro una serie di nuove informazioni sul noleggio dei piroscafi da trasporto, sull'armamento delle unità brasiliane in servizio e in costruzione, dati tutti indispensabili per procedere nel lavoro.C20) Così alla fine di ottobre si era ancora in alto mare con la preparazione, sempre ancora a livello teorico ed allo stadio preliminare, della spedizione. Mentre De Mattino continuava a trattare, veniva dalla Marina un inve ntario di difficoltà una più grave dell'altra, cui si sarebbe dovuto aggiungerè, a studio definito, il preventivo della spesa, certo molto elevata. Realisticame nte, l'Italia e ra in grado di esercitare una propria intluenza nell'America meridio nale nei limiti in cui potevano bastare le vecchie unità di stazione nel Plata e quelle navi che di volta in volta venivano inviate dalla madrepatria, ma che potesse imbarcarsi in una guerra o quasi era fuori questione. Mano a mano che le entità nazionali s udamericane si rafforzavano, gli interessi italiani erano destinati ad essere affidati più ai diplomatici che alle navi. L'idea di realizzare veramente, nell'autunno 1896, una spedizione ostile sulle coste del Brasile era fuori dal mondo. Con i problemi che l'Italia aveva nel Mediterraneo non si poteva pensare seriamente ad un'avventura transatlantica. Ben altre basi e ben altri mezzi sarebbero occorsi. Fortunatamente il plenipotenziario De Martino pervenne col governo brasiliano ad una transazio ne la quale, se non dava piena soddisfazione alle richieste degli immigrati, costituiva pur sempre un onorevole compromesso sulla questione degli indennizzi. Essa, inoltre, superava le singolari fantasie di cui si è parlato, rendendo inutili i progetti allo studio: era questo un vantaggio concreto che l'accordo raggiunto garantiva all'Italia.C21) (20) Palumbo a Brin, 30 ottobre 1896, AUSMM , busca 154, fase. 1°. ( 21) Cfr. Gabriele, Su un progello di spedizione navale italiana contro il Brasile nell'anno 1896, in Storia e Politica, Vl, 2 (aprile-giugno 1967), pp. 329-44.
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Anche durante la sua ultima missione al ministero della Marina, Benedetto Brin si occupò intensamente delle costruzioni navali per la fl otta. Tra difficoltà finan ziarie ed organizzative andarono avanti le navi decise in precedenza,(22) ma urgevano nuove esigenze. Le nav i da battaglia in servizio nelle altre Marine avevano avuto negli ultimi tempi una evoluzione tecnica che richiedeva una risposta italiana. Brin si ispirò agli stessi concetti informatori che erano stati alla base della progettazione delle navi d i linea delle classi Italia e Re Umberto, vale a dire buon armamento, velocità elevata e protezione relativamente modesta, nella convinzione che tali caratteristiche rispondessero meglio alle specifiche condizioni geografiche ed alle esigenze strategiche italiane. Per . tenere conto della evoluzione delle costruzioni navali ed avere la possibilità di applicare soluzioni moderne il Brin si orientò di nuovo verso la grande nave corazzata di notevole dislocamento ( circa 13500 t ), anche se inferiore a quello dei prototipi britannici e francesi di quel tempo. Il ministro curò personalmente l'impostazione del progetto, la cui elaborazione completa fu affidata al maggior generale del Genio Navale Alfredo Ruggero Micheli. Ma Brin morì prima di veder completati i disegni esecutivi delle unità che aveva ideato. Restavano però sempre validi i motivi che lo avevano spinto alla nuova progettazione, come il suo successore ammiraglio Morin ribadì quando il Parl amento approvò la costnizione delle due nuove corazzate; nel medesimo anno 1898 furono commissionate al cantiere di Castel lammar e e all'Arsenale della Spezia: si sarebbero chiamate Regina Margherita e Benedetto Brin. (23) Intanto gli esiti delle manovre navali avevano confermato al ministro che le torpediniere non costituivano quella soluzione mi racolistica e nuova del combattimento navale verso cui si era sfrenata la fantasia di qualche sostenitore delle siluranti. Una flotta equilibrata tuttavia, doveva esserne dotata, sia per utilizzarle nella loro specificità, sia perchè tutte le Marine le avevano. Brin stimò sufficiente la dotazione di torpediniere della flotta italiana affinché fosse adeguatamente bilanciata anche rispetto a questo tipo di arma navale e non avviò ulterio ri acquisti o costmzi oni di si luranti. Tuttavia, nell'intento di promuovere la realizzazione cli una torpediniera costiera di concezione e costruzione nazionale, autorizzò il conferimento al colonnello Lesti ed al tenente colonnello Rota di due distinti incarichi di progettazione. Il progetto Lesti condusse all'ordinazione della torpediniera silurante Pellicano ai cantieri Odero di Sestri Ponente, dove fu impostata nel luglio
( 22) Gli ultimi anni di permanenza del Brin al ministero della Marina videro: 1896, varo del Carlo Alberto; 1897, impostazione dell'Agordat e del Coalit, varo delle corazzate Saint Bon ed Emanuele Filiherto, completamento del Calabria; 1898, impostazione degli incrociatori corazzati Varese e Garibaldi ([) e completamento del Vettor Pisani. ( 23) Giorgerini e Nani , Le navi di linea, ecc., cit. , pp.
225-26.
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1896: l 'unità avrebbe dislocato 156 t, fa tto 23 nodi e avuto un armamento cli due pezzi da 37 e di due tubi lanciasiluri, ma l 'apparato motore non riuscì bene e condizionò la riduzione della velocità massima a 20 nodi. 11 progetto Hota portò invece alla torped iniera Candore, che poteva essere considerata un esperimento riuscito di unità intermedia tra le siluranti costiere e quel le d'alto mare: dislocava 140 e, aveva una vel ocità massima cli 25,7 nodi e lo stesso armamento della Pellicano. I mpostata dopo la mo1te di Brin, non diede origi ne, come pure l'altro prototipo, ad una classe d i unità-<24) Si è già parlato dell'origine progettuale degl i incrociatori corazzati della classe Garibaldi. Con un dislocamento di 7300 t si ottenne una nave "armata con un pezzo eia 254, due eia 203, 14 da 152 ed altri pezzi minori: il tutto adeguatamente protetto e con una velocità dell'ordine dei 20 nodi ". Mentre a Li vorno e a Genova erano in corso i lavori per realizzare le due unità commissionate, il governo argentino chiese di poterle acquistare. La vendita fu autorizzata e i due incrociatori andarono alla tlotta argentina; per il Garibaldi (T) venne pagata la cifra, al lora straordinaria, di quasi 19 milioni di franchi francesi oro. Le navi, ribattezzate Genera! Garibaldi e Generai San Martin. ebbero un diverso armamento nei massimi calibri: 4 pezzi da 203 la prima, 2 pezzi eia 254 la seconda. La marina italiana rimpiazzò gli ordin i presso gli stessi cantieri, ma giunsero dall'estero nuove richieste d 'acquisto ed anche queste unità furono destinate all'esportazione: quella in costru zione a Genova alla Spagna, che la ribattezzò Cristobat Col6n., quella di Livorno ancora all'Argentina che la chiamò Genera! Be/grano. Ma questa volt.a Brin dovette affrontare in Parlamento una vivace discussione, innescata dalle interrogazioni dei deputati Santini e Farina nel marzo 1896. Il Ministro spiegò che l'operazione commerciale era conveniente, aveva valenza sociale perchè d ava lavoro agli operai ed alle imprese e non avrebbe inciso sulla forza della Marina italiana perchè le commesse sarebbero state reiterate. In quella occasione disse: "La Camera sa che, eia qualche tempo, con grandissima utili tà del nostro paese e a grande onore della nostrd industria, si è verificato il fatto che, mentre molti anni fa eravamo costretti a comprare le navi all'estero, ora molte potenze vengono ad acquistarne da noi ...quanclo la Spagna o la Repubblica argentina si rivolgono a no i per avere navi, d ico che questo equ ivale ad una specie di brevetto per la nostra industria, e ci dimostra che, se siamo poveri, e non possiamo fare tanti bastimenti quanti ne possono fare altre nazioni più ricche cli noi (e cetto il bilancio della Marina è limitatissimn) in fatto di capacità di produzione siamo uguali ad esse". Rilevò poi che era preferibi le che la manodopera italiana lavorasse nei cantieri nazionali piuttosto di mendicare lavoro all'estero e con o rgoglio riaffermò essere vero che (24) Pollina, cii., pp. 127-33
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"elemento di potenza militare di un paese non sia solo la quantità di armi che possiede, ma anche la potenzialità di produrre questi stmmenti di guerra così complicati e costosi».c25) Accadde poi che anche il terzo Garibaldi, impostaro all'Ansaldo nel 1896, ven isse ceduto al la Marina argentina ( Generai Pueyrredon), così che solamente nel 1898 Brin avviò finalmente le commesse destinate alla Marina italiana, la cui lavornzione iniziò nei due cantieri tra l'aprile e il giugno. In quel periodo, o rmai, la cantieristica naziona le aveva credito all'estero . Dopo l'incrociatore El Bashil~ il Marocco ordinò una nuova unità, una cannonier.1 di 150 e (Sidi e/ Turk), armata con due pezzi eia 76, che fu costniita a Sampierdarena da Mc Laren e Wilson; cr.1 il 1895 e il 1896 il cantiere livornese Orlando realizzò un'altra nave destinata all'espo11azione, questa volta al Portogallo: l'incrociatore Adamastor di 1765 e, dotato come armamento principale di due canno ni da 150 mm e qua11ro da 120. In un periodo breve (18951898) queste esponazioni frullarono all'Italia circa 100 milioni di lire oro.< 26) Un simile risultato econo mico, anche se non tutti approvavano le modalità con le quali era staro consegu ito, aveva d i certo un significato particolare per Brin, perchè dava un primo segno tangibile di ritorno dopo tanti o nerosi sforzi - e non poche delusioni - nell'industria della costruzione navale.<27> In campo civile, la legge elci 23 luglio 1896, n. 318, riconfermò i premi alla costruzione concessi dalla legge ciel 1885, nella misura fissata in aumento nel 1888 (77 lire per t cli scafo in ferro; 17,50 in legno; 12 lire per HP di potenza dei motori; 9,50 per q di caldaie, 11 per q di apparecchi ausiliari) . Per le navi destinate all 'estero restavano detìnitive le esenzioni doganal i per i materiali in temporanea importazione, mentre delle facilitazioni doganali già concesse si sarebbe tenuto conto nella fissazione del prezzo delle unità costruite per la Regia Marina. Il provvedimento mirava a proteggere anche rindustria siderurgica e meccanica, stabilendo una riduzione ciel beneficio ciel 10% quando venivano impiegati materiali cli fabbricazione straniera e di un altro 15% per i motori di provenienza ester.t. La legge ricalcava sostanzialmente quella del 1885, che aveva fallito i suoi obieuivi, mettendo il ministro nell'impossibilità cli appoggiarsi all'esperienza fatta a sostegno delle misure che proponeva in Parlamento. Pure, dopo un periodo di rodaggio che andò sino alla fine del 1897, la nuova legge prese a (25) rcrrantt: , cii., p. 87. (26) Giorgerini t'. Nani. Gli incrocft1torl, ecc., cit.. pp. 302-06: Uagn:isco e Ha~tclli, cii., pp. 14-18 e 100-03. (27) Il VA Ciu~cppc Palumbo, ministro della Marim1 nel 1898 e 1899. avr<;:bbc.: crit icato la vend ita d<;:gli incrociatori corazzat i, avvenuta peraltro mentre lui stt'.~SO c.:ra sottost:grctario. Cfr D. Farini. Dit1rlo di jì11e secolo, a cura di E. ~lorelli. 2 \'Oli ..• Roma, B:irdi. 1962. 11. p. I 491.
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decollare verso un successo straordinario. Si era arrivati al momento giusto : in 5 anni i cantieri italiani costniirono naviglio a vapore per quasi 150000 t, il triplo di quanto era stato previsto - e si era mancato l'obiettivo - per l'intero decennio 1886-1895. E si costruirono navi di ferro, passando dalla vela al vapore con una velocità impressionante. Solo risvolto negativo del boom sarebbe stata l'insufficienza dei fondi p reventivamente stanziati. Il Corbino e il Flore hanno messo in evidenza il dramma delle leggi protezionistiche in questo senore, le quali o non erano adeguate alle circostanze, e allora le somme stanziate non venivano usate, o lo erano e allora i soldi non bastavano più. In Italia poi la situazione era aggravata dal cartello dell'industria siderurgica che domjnava quella navalmeccanica, spingendola ad espandere la capacità produttiva e generando processi perversi di integrazione che drogavano la domanda.<28)
(28) Flore, cii., pp- 474-78.
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CAPITOLO IX
L 'uomo
Rispetto a quella pubblica, sulla vita privata e sentimenti personali di Benedetto Brin si trova molto meno. Tuttavia, un piccolo sforzo è utile per comprendere meglio il personaggio: non è senza significato che fosse nato nella Torino del Risorgimento, sotto i[ regno di Carlo Alberto. Se vi furono, nella storia d'Italia, anni ardenti, la sua generazione li visse. Quel giovane che secondo il Vecchj "sembrava vivere nel mondo dei sogni" recava nella coscienza un patrimonio di speranze e di cenezze che avevano le radici nella fase formativa della vita. Esse, speranze e certezze, disegnavano nel cuore degli italiani l'immagine di una nuova nazione, di un avvenire diverso e migliore da quello che si lasciavano alle spalle. Le delusioni non sarebbero state definitive, perchè poi l'avvenire, l'avvenire d'Italia, avrebbe fatto giustizia di tutto. Brin ebbe rapporti personali con Cavour, con Garibaldi, con Vittorio Emanuele II 0 • Cavour lo aiutò ad entrare nella Marina sarda e ad ottenere quell'iniziale periodo di perfezionamento a Parigi che tanto contribuì, per le frequentazioni e gli studi, alla sua formazione professionale, aprendogli la via ad una carriera più rapida. Prima e dopo la guerra del 1866, i maggiori ministri della Marina lo vollero accanto, pienamente convinti delle capacità e del valore del giovane ingegnere navale. Il rapporto con i ministri era ad ampio respiro e dalle questioni strettamente tecniche della tostruzione si allargava a tutta la politica marittima. La rapida progressione della carriera prova il livello e la continuità dell'apprezzamento da parte di personalità molto diverse tra loro: tre promozioni prima dei trent'anni, altre due prima dei quaranta. Garibaldi, che aveva appoggiato in Parlamento la vendita delle navi di Lissa, ebbe rapporti amichevoli col Brin quando questi divenne ministro. Appena nominato, il Generale gli chiese aiuto per avviare i lavori d'escavazione nel Tevere cui tanto teneva; il 23 aprile 1876 Brin gli confermava di avere dato istruzioni "al comandante dell'avviso Messaggiere, di stazione a Civitavecchia, perchè appena possibile, con uomini del suo equipaggio, metta mano ai lavori di esperimento d'escavazione nel Tevere con le due macchine
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esistenti a Fiumicino costruue per ordine di V.S. 11 .Cn Tn un'altra occasione Brin venne a sapere che Garibaldi desiderava un disegno che rappresentasse il Duilio, e subito gli scrisse, il 24 febbmio 1880, lamentando di non avere ancora una fotografia, ma proponendo intanto di mandare Lino schizzo "fatto in base ai piani che servirono alla costruzio ne di questa nave e che la rappresentano esattamente. Sarà un onore per mc se ella, illustre Generale, vorrà gradire questo schizzo che mi pare possa servire a persona così intelligente di cose di mare come ella è, per formarsi un'idea generale ccl abbasta nza precisa cli questa nave". E il giorno dopo, con grande premura, scriveva di nuovo:"Avendo potuto riunire alcune fotografie rappresentanti il Duilio nei suoi primi periodi di costruzione, ho pensato che forse potrebbero interessarla, illustre signor Generale, e perciò mi faccio un o nore cli unirle allo schizzo rappresentante il Duilio in mare. Unisco pure un'altra fotografia rappresentante la grande macchina di 160 tonnellate dell'Arsenale della Spezia nell'ano che solleva uno dei cannoni del Duilid'.C2> A quel tempo Brin non era più ministro cd era impegnato nella dura polemica sulle navi, nella quale ebbe l'appoggio di Garibaldi. Questi era da sempre d'accordo con la linea porcata avanti dal Saint 13on e dal Brin. Quando Saint Bon aveva presentato alla Camera le sue proposte, Garibaldi era intervenuto, dopo 14 anni di silenzio, per dare la sua adesione più convinta: "Vendere i bastimenti inutili sembrami logico nell'ordine normale delle cose; infatti, se sono inutili, perchè tencrli? ... TI secondo progetto... è quello delle corazzate. In questo sono anche perfettamente d'accordo ... invece cli tenere delle corazzate deboli, io sono d'awiso che si facciano delle corazzate forti, le piu forti che si possono trovare oggi nella Marina inglese, russa, germanica, americana; insomma in tutte le prime Marine delle grandi nazioni del mondo~. E aveva riconfermato in seguito le sue idee in una famosa lettera a Felice Manci:"To considero la nascita dei quattro colossi della nostra Marina Militare come un vero risorgimento nazionale che ci panerà al livello delle grandi potenze marittime".rn Vittorio Emanuele TI non ebbe dubbi quando Agostino Dcpretis, nel 1876, indicò in Benedetto Brin il ministro della Marina della Siniscra. Qualche volta il re ascoltava i consigli dei suoi ministri, ma in casi come questo b isognava (I) Brina Garibaldi, AIRI. SO. 3 (67). li 1° maggio scrisse di nuovo di aver sapu10 dal comandan1e del Messagglere -che le due macchine scava1rici...giunscro felicemente a Fiumicino il 28 del passalo mese e che si pordì mano al lavoro non appena saranno sistemale le pale alle barche ", ibi-
dem,
50, 3 (69 ).
(2) Brin a Garibaldi, 24 e 25 febbmio 1880, AIRI, 925. 5 (4) e (5). (3) Cfr. M Gabriele, Garibaldi marinaio, in AIJ/ del li Congresso di storia del Risorgi111e1110 1/aliano (G'enova, 10-13 novembre 1982 ), Roma , lstiru10 per la Storia del Risorgimento italiano, 1983.
pp. 183-85.
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che la sua opinione coincidesse davvero con quella del presidente incaricato perchè era in gioco la nomina cli un ministro "militare", la cui designazione era considerata prerogativa del re. Brin, per giunta, militare lo era un po' alla larga, facendo parte del Corpo del Genio Navale, che nel 1866 era stato militarizzato, ma che era composto fino al 1876 - come tutti i Corpi speciali, ad eccezione di quello degli ufficiali di vascello - da civili con gradi assimilati a quelli militari . Fino a quel momento i ministri della Marina erano stati trarti, in grande maggioranza dagli ufficiali superiori di vascello e dagli ammiragli, o dai generali dell'Esercito. Con Brin era la prima volta che un ingegnere proveniente da un Corpo tecnico diventava ministro. Per sottoscrivere la sua nomina, il re doveva avere la consapevolezza che la scelta cadeva sulla persona più qualificata, e stimarla personalmente, dato che l'equilibrio sempre mostrato dal Brin non prometteva una sponda incoraggiante se in contrasto col governo il sovrano avesse coltivato intendimenti aggressivi.C4) Quando Brio divenne ministro era già un tecnico di valore sperimentato, capace di progettare navi complete e di applicarvi concerti originali; conosciuto e apprezzato dal mondo della costruzione navale internazionale, avrebbe mantenuto anche in seguito buoni rapporti con esso, specie con la navalmeccanica inglese, la cui attività seguì sempre col massimo interesse.C5) E vi si rivolse di preferenza per ottenere modelli e prototipi nuovi da far riprodurre in patria. Anche per questa via egli cercava cli far sì che gli i taliani diventassero progettisti navali di vaglia, ma non poteva ignorare che lui stesso veniva dal niente ri spetto alle grandi tradi zi oni dei costruttori della Francia e dell'Inghilterra, dove aveva imparato molto pi i:1 che in Italia. Come aspetto fisico, da un certo punto in poi Benedetto Brio potè dimostrare più anni di quelli che aveva, a causa di una ca lvizie precoce che abbastanza presto congiunse l 'ampia fronte al cranio, in una cornice d i capelli che attraverso i favoriti si univano ai baffi folti, praticamente senza soluzione di continuità. Sul volto intelligente e severo spiccavano gli occhi, grandi, espressi vi ed acuti . Con gli anni il fisico g[i si appesantì; quando accompagnò in Germania i reali, nel giugno 1892, aveva 59 anni e la caustica penna dell'addetto navale Volpe lo descrisse così: "Brin, nel suo ampio abito di Costruttore Navale e nel suo colletto da camicia ad ali sporgenti, un po' larghe ed alte, (4) Nel novembre 1876 Salisbury venne in visita a Roma e ne riportò l'impressione che i ministri del governo Depretis fossero persone "del tutlo pacifiche", mentre il re e Umberto "sono per la guerm", Mack Smith, cii., p. 87.
(5) Anche quando, essendo ministro degli Esteri, non aveva la responsabilità diretta della Mari na: nell'ottobre 1892 si premurò che fosse ben ricevuto in Italia il costruttore sir Charles Palmer, del cantiere Yarrow , d i cu i l'ambasciatore Torn ielli gli aveva preannunciatO l 'arri vo: nell'autunno 1893 si fece procurare una documentazione dell'Ammiragliato per la perdita del Victoria e informazioni su armamenti navali inglesi nel Mediterraneo, cfr Tornielli a Brin, 2 onobre 1892 e 23 novembre 1893, ASMAF.,/oco cii.
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aveva l'aria ancora più pachidermica del consueto". Il ministro tedesco della Marina, Hollmann, si senlì autorizzato ad accostare l'ufficiale "per dirmi, semiserio e semi-sardonico, ch'egli non avea mai visto, fino allora, uomo di Stato o d i Marina con una resta insieme più grossa, più robusta e p iù calva d i quella di S.E. Brin, mentre la molto intelligente espressione della fisionomia alternava lampi come di grande bonarietà ingenua e di altrettale profonda scaltrezza ... meridionale. Fu questa la frase più lunga, complicata e semi-spiritosa mai dettami dal molto caparbio ed ostile vice ammiraglio tedesco. Aggiunsi del mio, intenzionalmente, che Brin, come von der Goltz, era padre fortunato di due belle e compitissime figlie. E bastò questa qualsiasi mia considerazione perchè l'Hollmann mi girasse le spalle, quasi disgustato".(6) TI compito di progettare navi esigeva il possesso di un bagaglio tecnico tale da permettere con sicurezza la correlazione tra i disegni e i calcoli, mantenendo sempre sono un rigoroso controllo tecnico ogni parte del progetto, per evirare che sul risultato finale pesassero incognite o azzardi. E quando il progetto non ricalcava esperienze già fatte, ma si apriva a soluzioni nuove e d'avanguardia, al limite dello sperimentale, rutto ciò era molto più difficile. È significativa in proposito la polemica col Reed sulla nave da banaglia Duilio, quando venne dimostrata la veridicità di quello che il miniscro della Marina aveva detto in Parlamento:"Io posso assicurare la Camera che i calcoli di queste navi sono stati fatti con tanta cura .. .che non vi è nessuno dei rischi cui allude il signor Reed". La vera origine di quella nave, tuttavia, non va ricercata nei calcoli e nelle leggi della fisi ca: questi erano solo mezzi e condizioni, utili e necessari certamente, ma il progetto nacque prima nella mente e nel cuore. Brin interpretò nel Duilio una èomponente di volontà e di pensiero che si manifestarono in Italia prima dell'avvento della Sinislra, ma dopo la presa di Porta Pia. Dire che gli italiani si entusiasmarono talmente della loro capitale che quando costruiro no una nave la chiamarono Caio Duilio dal nome di colui che primo aveva condotto alla vittoria la flotta di Roma, è minimizzare le cose. Il Duilio fu ben più di una nave. elrantica Urbe Orazio aveva augurato al sole di non vedere mai nulla maggiore di Roma, ma parlava della capitale dell'impero di Augusto, l'unità statuale più civile, più ricca, più potente del mondo che conosceva. Ora invece l'Italia, appesantita dalle delusioni del 1866, era andata a Roma ... di notte perchè il dottor Lanza teme i colpi di sole.. . Così inveiva Carducci, ma l'Italia di allora era un ben povero paese, con le regioni e le provincie tenute assieme dall'imperativo categorico dell'unità, ma diverse e lontane per la mentalità, la ricchezza, lo sviluppo economico e socia-
(6) AUSMM, busta 141, Volpe, cli., V, pp. 89 e 93.
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le. Nella recente memoria collettiva c'erano stati episodi esaltanti, ma la dimensione delle cose italiane, compresa una parte del Risorgimento, aveva avuto una scala più regionale o locale che nazionale. Sul mare, poi, la generazione vivente non aveva da ricordare molto all'infuori di Lissa. In una congiuntura mediterranea che viveva momenti intensi e serrati in attesa di Suez, la Marina italiana aveva dovuto improvvisarsi, tentando almeno di parere senza l'illusione di essere. Era stato ben diverso per la Marina inglese, era stato ben diverso per la Marina francese , l'una e l'altra correndo per secoli i mari mentre pezzi d'Italia passavano da una dominazione straniera all'altra. TI Duilio fu l'idea di Roma sul mare. Il giovane timido e freddo, amico del Vecchj, non lo disse, ma sapeva che l'azzardo di quella nave coinvolgeva le speranze nazionali. La temeraria scommessa italiana di costruire partendo da niente la corazzata più potente del mondo riuscì. E allora la Marina seppe di essere anche senza avere avuto il tempo di crescere, proprio come la nazione che serviva, e l'Italia si volse al Mediterraneo sapendo che avrebbe avuto un proprio potere marittimo. Disegni e calcoli vennero poi, quando lo spi rito del progetto era già staro ideato in aderenza alle emozioni ed ai sentimenti di una parte importante della classe dirigente e dell'opinione pubblica italiana dopo il 1870. Tn Parlamento il ministro della Marina Saint Bon proclamava che l'Italia era una grande nazione, altro che chiedersi come Sella, con una mano sul borsellino, se era davvero il caso di continuare ad avere una flotta. L'entusiasmo aiutava a considerare il Duilio una nave senza confronti, pressochè invulnerabile. Ma i giorni che vennero posero jn evidenza altri ostacoli alla costruzione del potere marittimo nazionale che si era sperato: da un lato la questione delle navi piccole, che avevano un senso in Francia ed uno più modesto in Italia; dall'altro la cronica, imprevista lunghezza degli allestimenti che portavano in squadra con ritardo unità che al momento del varo erano state d'avanguardia. Due p rincipi ad ogni modo sopravvissero allo scontro con l'Acton e diventarono punti fissi della politica di Brin , poi divenuta comune al mondo navale italiano: il concetto della flotta bilanciata e la scelta della legge programmatica per realizzarla. La "politica degli incrociatori" e la legge navale del 1887 sarebbero state concrete manifestazioni di un simile orientamento. Ma ritorniamo al Duilio. Brin amava quella nave, non solo perchè era sua e rappresentava la manifestazione più importante del suo ingegno, ma per tutto quello che la grande unità poteva significare. Per questo aveva voluto rintuzzare così puntualmente le critiche provenienti da oltre Manica. E quando l'8 marzo 1880 uno dei grandi cannoni eia 450 scoppiò , accorse al capezzale della sua creatura; lì, a La Spezia, in riscontro a una lettera amara, gli pervennero sentite espressioni di conforto da un autorevole amico, Domenico Farini. Rispose subito:"La mia lettera non meritava le buone, le care parole che mi
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indirizzate. Le ho lette con profonda emozione. Mi sono giunte in un momento in cui un diluvio di ingiurie mi piove in mezzo ad una veramente patriottica polemica sulla nostra marina. Parole di stima da un uomo come voi compensano largamente quelle ingiurie e ve ne ringrazio di cuore. Non mi resta più che il dolore di vedere come la nostra marina abbia ad essere periodicamente sottomessa ad un regime di lotte personali, di urto dei vari clementi che la compongono, e si utilizzi perciò con gioia anche un disgraziato accidente come lo scoppio di un cannone."(7) Lo scritto presenta interesse. Indica anzitutto l'esistenza di una sincera amicizia tra i due parlamentari. Domenico Farini, deputato di Ravenna per 8 legislature, fu nominato presidente della Camera nel 1878 ed era uno degli esponenti politici più preparati e più intelligenti del Parlamento. Kel 1886 sarebbe stato nominato senatore e dal 1887 al 1898 avrebbe presieduto il Senato. La sua ostilità alla Destra storica non gli impediva di essere, in determinate circostanze, un reazionario della più bell'acqua: tanto che una voha lo stesso re, di cui era ascoltato consigliere - quando nella c1isi seguita alla caduta del primo governo Giolitti nel 1893 pa1ve crescesse la candidatura di Zanardelli e Farini, che lo considerava pericoloso, consigliò ad Umberto di ignorare il Parlamento, di instaurare una dittatura e di impiegare i soldati per arrestare i deputati che avessero voluto resistere - ebbe a dirgli preoccupato: '' da codesto orecchio io no n odo".(8) Brin, invece, non ebbe mai tentazioni liberticide e, quanco allo Zanardelli, avrebbe addirittura concordato con lui la propria candidatura a presidente del Consiglio dopo la caduta del primo ministero Crispi. T rapporti amichevoli tra Farini e Brin durarono più di 20 anni, per turca la vita politica di Brin, che era stato elccto per la prima volta il 9 aprile 1876 nel secondo collegio di Livorno. Col passare degli anni l'amicizia si fece più stretta e più confidenziale: dagli auguri per le ricorrenze e gli eventi lieti e dalle condoglianze per quell i tristi si passò ad inviti reciproci e i coniugi Parini Domenico ed Antonietta, che si erano sposati nel 1884 - furono invitati da Benedetto e Sofia 13rin ad intervenire al matrimonio religioso della figlia Giulia nel gennaio 1896. Ma il rappor10 tra i due uomini rimase sempre su un piede di cliseguaglianza, fondato su un primo personaggio, Parini - quasi sempre presidente di un ramo del Parlmento - in posizione di forte prestigio, e un secondo, il Brin, che sempre gli si rivolge, anche quando ricopre incarichi di governo, con grande deferenza, chiedendogli consiglio e mostrando di attribuire (7) Drin a Farini, 30 marzo 1880, AIRI, 284. 38 (8). (8) Mack Smith. cli., p. 141. Non fu la sola occasione, poichè al fine di esorci,:,:are lo spl·nro del dbavanzo e scongiurare al tempo stesso la riduzione delle spese militari, avrebbe tagliato volentieri le risorse destinate alle ft! rrovie ed ai lavori di bonifica fondiaria; dopo Adua, fu dell'opinione che si dovesse continuare la guerra, ihidem.. pp. 146 e 166.
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una grande rilevanza all'amicizia ed alla benevolenza dell'altro. Spigolando nella corrispondenza privata di Brin si trovano molti esempi cli questo atteggiamento. Nell'ottobre 1879, dovendo preparare in ristrettezza cli tempo una relazione per la Camera, egli scrisse a Farini : " Supponga per un momento che ella deve pel 15 novembre p.v. presentare un progetto cli corazzata ed avrà una pallida idea delle condizioni d'animo in cui mi trovo. Avrei bisogno di un consiglio, ma a Montecitorio non ci è nessuno, ed è un terreno pieno di trappol e. La disperazione m i ha dettato un passo ben ardito , ma che son sicuro che ella mi perdonerà. Ho bisogno della parola d i un amico che mi dica francamente se l'abo1to di relazione che può sortire da me è presentabi le avuto riguardo all'estrema tolleranza che posso pretendere per avermi incaricato di un lavoro di questo genere. Ed ho pensato a lei che ha avuto sempre tanta bontà per mc, ma che non ha la debolezza di cullare nessuno con delle illusioni ... voglia scusami di tanta arditezza e<l abbia pietà di uno che la baraonda cli Montecitorio ha gettato in tanto baratro".<9) Alle elezioni del 1882, auspice il B1in, Parini si candidò anche a Torino e venne eletto. L'amico - che aveva seguito tutta la votazione e gli aveva annunciato per telegramma, congratulandosi, l'awenuta elezione - gli chiese di optare per Torino. Parini rispose con misurata corresia:"Vi ringrazio, lieto che il mio nome abbia trionfato accanto al vostro", ma poi optò nuovamente per il suo collegio tradizionale di Ravenna. Brin gli aveva scri tto:" Nella deputazione piemontese gli antichi uomini di valore purtroppo vanno scomparendo e non se ne vedono sorgere fra i nuovi. Quindi (è) vivo in tutti noi il deside1io di fare capo ad un uomo cli valore che ci guidi, ed ella sarebbe una forza per noi e noi per lei"_Clo) A metà maggio 1892 Brin divenne ministro degli Esteri, dopo che si era parlato cli lui come presidente del Consi glio. Subito scrisse a Parini:"molto riluttante ho dovuto sobbarcarmi ad un'nmpresa molto ardua per me. Ho avuto tante prove dell 'amicizia di cui mi avete onorato, che oso sperare che vorrete continuarmela ora che mi (è) più che m ai preziosa, poichè la speranza di potere in ogni occorrenza contare sul vostro consiglio è uno dei maggiori fattori per infondermi un po' di coraggio". Ma quando nel dicembre 1892 il ministro degli Esteri Brin chiese al Presidente del Senato di anticipare di un giorno la discussione del bilancio degli Esteri, a causa della concomitante discussione alla Camera cleIJa denuncia del trattato di Uccialli da parte di Menelik, Farini rifiutò, e il ministro si uniformò prontamente con uno spiritoso biglietto nel quale promctteva:"Lascerò in pace l'Europa e verrò in Senato"_o n
(9) Brin a Farini, 31 o ttobre 1879, AIRJ, 284, 38 ( 2). (10) Brin a Farini, 8 novembre 1882, AIR I, 305, 77 (3). (11 ) Brin a Farini, 16 maggio 189 2, AIRI , 305, 77 (4): id . a id., 11 e 14 d icembre 1892, AJRJ , 305, 77 (7 ) e (8 )
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Dopo Adua, da parte di Farini, il rapporto amichevole si incrinò un poco : i due erano su posizioni troppo contrapposte sulla politica coloniale. Il presidente del Senato non voleva che l'Italia lasciasse l'Africa, mentre Brin a tale proposito, non si peritava di criticare anche la sovrana: ".. .. la regina (Margherita) ha torto .... Così faceva fuoco e fiamme per la rivincita africa na". Il contrasto recuperava vecchie riserve mentali e per Farini l'amico, considerato per decenni con benevolenza, rivelava difetti inaspettati: "ho constatato una nuova dote di Brin: il livore", e lo defini va "il furbo allievo di Depretis".0 2) Forse anche per questo nel diario di Farini non c'è una parola di rimpianto per Brin, nè alla data della sua morte, nè dopo. Tornando alla lettera dalla Spezia del marzo 1880, che ha dato occasione a questa digressione sui rapporti tra Benedetto Brin e Domenico Farini, va rilevato che essa presenta interesse anche sotto il profilo personale quando esprime un sincero dolore alla vista della Marina minacciata da lotte personali e da urti disgreganti. I contrasti irriducibil i erano contrari alla me ntalità di Brin, e mano a mano che fece esperienza deila politica, la sua funzione in Parlamento fu sempre più quella del mediatore. Si collocò al centro pe rchè questa posizione gli rendeva piu agevole il compito di mantenere il collegamento con gli uo mini politici schierati dalle due parti: è stato osservato che uno degli e lementi che indebolirono il quarto gabinetto di Rudinì, nella primave ra del 1898, fu proprio la malattia di Brin il qua!e "nell'ambito del Ministero fungeva da trait d'union fra gli esponenti della Destra e quelli della Sinistra... la situazione all'interno della compagine governativa era andata progressivamente decomponendosi: la malattia prima e la morte poi, avvenuta il 24 maggio 1898, del Ministro della marina, Benedetto Brin, che in seno al gabinetto aveva sempre svolto una funzione conciliatrice e mode ratrice, avevano infatti finito col rendere sempre più acuti e freq uenti i contrasti fra Visconti Venosta e Zanardelli". Naturame nte la funzione mediatrice presupponeva autorevolezza e c redibilità: generalmente il mondo politico riconosceva a Brin doti di equilibrio e di disinteresse, tanto che Sidney Sonnino, qua ndo nell'autunno 1897 immaginò la formazione cli "un nucleo idoneo temperato liberale, senza fini personali", pe nsò subito che il ministro della Marina avrebbe dovuto farne parte.03) Peraltro, benchè il costruttore considerasse la politica con un certo disincanto, essa era piena di spine anche per chi sceglieva di stare al centro poichè non poteva sfuggire a contrapposizio ni e inimicizie,( 14) qualche volta ad amarezze. ( I 2) Farini, cii., 11, pp. 1063, 1090, 1092. (13) D'Angelo, cii., pp. 53, 90 e 182. (14) '·Brin, manco a dirlo, è stato il malefico organizzatore" di una colazione offerta da di Rudinì a Zanardelli, annotava il 4 gennaio 1897 Alessandro Guiccioli, Aquarone, cit., p. 135.
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Essendone pienamente consapevole, Brio conservava per la politica un rappo,to di amore-odio: incapace di distaccarsene davvero, ne subiva le delusioni e qualche volta accusava stanchezza. A parte gli accostamenti citati cli Montecitorio ad una "baraonda" e ad un "terreno pieno cli trappole", non sono rari i momenti di scoramento che affiorano dai suoi scritti. Nel marzo 1880 si confidava così col Farini: "Trattenuto alla Spezia dalla rottura del cannone del Duilio e da un reuma che mi ha cacciato in letto, ho assistito fuori delle correnti appassionate allo scompiglio genernle nel quale Cairoli e Depretis hanno avuto il talento di portarci... l'accanimento della sinistra di volere demolire tutto e tutti spero che in questa occasione abbia qualcosa di provvidenziale, e che abbia gettato negli elementi in fusione quello che occorreva per determinare la cristallizzazione e la produzione di un solido regolare e armonico. E così Dio voglia, che con quelli che abbiamo vi è più nulla da sperare" .05) Il primo governo Crispi attraversò un moment0 difficile nel marzo 1889: il re cercava un successore e il ministro della Marina considerò con favore la possibilità di lasciare, ma il presidente del Consiglio non era d'accordo e si fece sentire. Brio gli rispose:"Sarei desolato che tu potessi credere che non ho verso di te tutta la deferenza a cui hai diritto. Benchè mi sorridesse l'idea di essere ormai sortito da questa galera politica, pure sento tutta la responsabilità se dovessi per parte mia fare mancare la combinazione di cui mi parlò il collega Boselli, la quale farebbe cadere le obbiezioni insuperabili che ci ho esposte, e non resterebbero più che desideri di tranquillità personale che non sarebbero giusificazione sufficiente" .CI6) Pochi giorni dopo era ch iaro che Crispi voleva mantenerlo al suo posto:"Ho troppo a lodarmi della tua costante benevolenza per me perchè non sia più grande di me la tentazione di assecondare l 'invito, ove m i venisse fatto, di continuare nell'onore di servire sotto la tua direzione. Ma anche tu devi ammettere che la mia presenza nel nuovo ministero sarebbe causa di deboleza per te e poco degna per me poichè io non saprei più dove rivolgermi per sapere dove sarebbero i miei amici alla Camera. La nuova situazione parlamentare per quanto non provocata da te ma eia errori altrui, porta alla logica conseguenza che non sia mantenuto nel Gabinetto quello che proprio rappresenterebbe più spiccatamente tutt'altra condizione di cose. A tutte le antiche ragioni che tu ben conosci le quali mi consigliavano di lasciare le (15) Mentre, al contrario, la figura di Farini ·'emerge più bella e intana in mezzo a questo sprofondamemo generale di reputazioni", Brin a Farini. 30 marzo 1880, AIRI , 284, 38 (?).Quanto alla considerazione che Brin aveva dei riti politico-parl amentari, è forse utile riportare questo commento del 21 orrobre 1879 al ballerro dei rita rdi e dei solleciti tra Commissioni ed aula: "'tutto va all'unisono con la situazione politica, il resto della quale ha toccaco l 'apogeo del buffo'", ibidem. (1 6) Brin a Crispi, 3 marzo 1889, AJR1, 667, 13 ( 2) .
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cose della marina mi si aggiungono ora le nuove che mi renderebbero intoll erabile la mia permanenza al potere. So per esperienza quanto sia penoso e difficile resistere alle tue benevole insistenze, ed è per ciò che ho voluto prima di vederti farti conoscere questa mia irrevocabile decisione eiettata solo dalla profonda convinzione che il mio concorso da ministro ti sarebbe solo di imbarazzo. II mio aiuto per quanto m odesto deve essere ormai dato dal banco di deputato. Intanto prima ancora di farlo a voce ti ringrazio della costante benevolenza di cui mi hai colmato nel non breve tempo in cui ebbi l'onore di essere tuo collaboratore e di essa conserverò sempre riconoscenza e grata memoria" . Ma Crispi era prepotente ed impedì al ministro della Marina di lasciare il governo, benchè fosse evidente che vi si trovava ormai con un certo disagio. 0 7) Qualche anno dopo però il disagio e problemi di salute diedero a Brin la forza di rifiutare nuove avances. Ne abbiamo notizia da una lettera che inviò al senatore Fililppo Mariotti nel giugno 1894: "Tornando da Milano ho trovato il vostro telegramma al quale ho risposto. Spero che malgrado la brevità telegrafica avrete capito perfettamente i motivi per cui devo stare in fuori della politica. La chiamata che mi fa il Crispi e la mia venuta a Roma darebbero luogo ad infiniti pettegolezzi senza utilità per Crispi, anzi con molti inconvenienti. I maligni direbbero che mi fece delle offerte e che io le ho rifiutate, cosa sempre nociva a chi è incaricato cli fare un ministero. Se poi realmente Crispi pensasse a me, oltre ai motivi che voi conoscete ed alla ripulsione ormai incurabile (ed ammetterete che è ben giustificata) che ho per la politica, nel caso attuale poi dopo essere restato, per ragioni di salute, fuori della Camera mentrecchè si agitavano le questioni p iù importanti, venire a Roma, a crisi avvenuta, per profittare, sarebbe una cosa veramente ignobile, e Crispi farebbe un errore a pensare a me; e se io fossi tanto debole eia cedere all'attrazione, che sempre esercita il Crispi, farei un errore per lui e per me. Poichè la fortuna vuole che io sia fuori di Roma, è meglio sotto tutti gli aspetti per mc e per Crispi che io resti fuori. Anche fisicamente porterei al Crispi una carcassa sciupata".C18) A Brin non piaceva decisamente più l'avventuroso procedere del presidente del Consiglio, i suoi atteggiamenti autoritari, la sua politica estera pericolosa. Del resto non poteva non avvertire, lui torinese, quanto autorevoli settori dell'opinione pubblica piemontese - e non solo, perchè su questa posizione critica confluiva gran parte della borghesia imprenditrice settentrionale - erano Cl 7) Due giorni dopo c'era l.1 resa a discr<;:zionc: "lieto di vedere ricostituita l'Amministrazione. sensibile all'onore di farne pane. mi preme mandani un saluto ed esprimeni i sensi della mia intera devozione", Brina Crispi, 7 e 9 marzo 1889, AlRI, 667. 13 (7) e (9). (18) Brio a Mariani , 3 giugno 1894. AIRI , 667, 32 (8).
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avversi al "governo del siciliano", ciel quale non era tanto l'origine regionale a non piacere - anche di Rudinì veniva dalla Sicilia - quanto "il dispendioso tentativo cli allargare le conquiste territoriali su un litorale così lontano e inficio come quello del Mar Rosso".09) L'ex ministro degli Esteri e della Marina, come sappiamo, non attese Adua per pronunciarsi contro le mire espansionistiche in Africa orientale: "maledetta Africa" l'aveva chiamata nel Ferragosto 1892 scri vendo al governatore dell'Eritrea, e contemporaneamente rnbadì all'ambasciatore Tornielli "io non sono africanista". Era l'opinione pubblica che non voleva abbandonare Massaua, <20) ma lui e il presidente dà Rudinì lo avrebbero Fano volentieri. E compiva ogni sforzo per recuperare a Londra un credito compromesso dalle irrequietezze coloniali dell'ultimo periodo ciel precedente governo Crispi, promettendo una politica cli basso profilo, con oneri militari e finanziari minimi per l 'Eritrea e la Somalia, così eia dimostrare agli inglesi la "buona volontà di pace clell'ltalia" .(21) L'opera di Brin per la edificazione del potere mari ttimo nazionale fu vasca e complessa. Essa non rimase confinata nel campo delle costruzioni navali, anche se questa parte della sua attività viene a giusto titolo considerata particolarmente significativa e caratterizzante. La scelta strategica della base di Taranto, l'istituzione dell'Accademia navale, furono altri elementi importanti di una politica di sviluppo della Marina o rdinata e complessa. Oltre che costruirl o, egli adoperè'> il potere marirtimo i taliano, sia pure in un quadro prudente e orientato alla distensione. Creta fu il caso più appariscente, ma vi furono altre occasioni, dal Mar Rosso alrAmerica Meridionale ed all'Estremo Oriente. Fece però del suo meglio per fronteggiare con ragionevolezza le esigenze che sorgevano: ad esempio, nel luglio 1890 spiegò all'irruentc presidente Crispi, il quale avrebbe voluto distaccare immediatamente una unità della tlotca nel porto di Buenos Ayres, che non era opportuno "allontanare dal Mar Mediterraneo una nave che abbia un importante valore militare" e che meglio sarebbe stato utilizzare il vecchio Vespucci, allora al Callao.C22) La massima attenzione invece - continua, quasi ossessiva - 81in pose al Mediterraneo, teatro marittimo primario nel quale si giocavano veramente le sorti del Paese. L'ostilità continua della Francia condizionò la sua politica esce(19) Castronovo, Storta economica, cit., p. (20) Brin a Tornielli, 15 agosro
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1892. ASMAE, loco cii.
(21) Così scrisse personalmente il 16 agosto 1892 all 'ambasciatore b ritannico Vivian, che gli aveva mandato copia cli una sua letter.i confìden;,:iale a Salisbury. ringr,1ziandc> il diplomalico per avere condiviso queste valutazioni, ASMAE, loco cii.
(22) Brina Crispi, 28 luglio 1890, AIRI, 661. 14 (13) .
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ra come pure la quota internazionale della politica marittima gestita dal ministro della Marina. Il fallimento del tentativo compiuto personalmente a Berlino per ottenere la cooperazione navale dell'alleato, come pure il mezzo successo della visita a Taranto di una flotta britannica, ebbero una loro collocazione precisa nell'azione di salvaguardia degli jnteressi italiani. E la ebbe, in tema di traffici mercantili, l'affrancamento dell'Irnlia dall'ineguale trattato di navigazione con la Francia. Pure, verso questo Paese Brin non aveva ostilità preconcette. Ne parlava la lingua, ne aveva ricevuto contributi importanti di conoscenza tecnica e di amicizie personali all'inizio della carriera. Capiva che la crescita dell'Italia poteva dar fastidio a Parigi e che l'ancoraggio criplicista, di conseguenza, era necessario alla sicurezza italiana fino a quando la tensione con la Francia non si fosse dissolta. Il De Launay, triplicista convinto, gli scriveva da Berlino che Palazzo Farnese dipingeva l'Italia come il socio derelitto del sodalizio di cui faceva pa1te: "si dice e si ripete che la Triplice Alleanza non concorse per nulla a tutelare i nostri interessi in Mediterraneo che sono costantemente dannegg iaci dall'azione francese, e che questa azione per parre della Francia è giustificata dalla nostra presenza nella Triplice"; il presidente del Senato Lacour andava dicendo che l'Italia "paga le spese della Triplice, che lascia le mani libere alla Francia". Ma la Germania era la chiave del mondo e anche per fronteggiare le pressioni francesi sui confini della Tripolicania Berlino poteva aiutare, utilizzando la propria influenza a Costantinopoli per rafforzare la volontà di resistenza della Turchia.(23) Le opinioni che correvano a Parigi avevano qualche fondamento e Brin se ne rese ben conto durante il suo mandato agli Esteri, quando sperimentò la pesantezza dell'alleanza - già prima si era accorto che costava troppo - e la scarsa considerazione degli alleati. Jn queste condizioni era meglio, per quanto possibile, non esasperare i frances i in modo cli riprendere un giorno anche con loro un dialogo; cale sarebbe stato infatti l'orientamento della politica italiana dopo Adua. Ma comportava dei costi: resistere alle provocazioni, rispondere nel modo più freddo, tirarsi addosso l'indignazione degli italiani più reattivi;<24) anche questo ci fu (23) De Launay a Brin, 5 giugno 1893, ASMAE, loco cii. L'ambasciatore consigliava d i avviare un'azione concreta nella capitale turca appoggiandosi alla Germania, così si sarebbe dimostrato che la Tri plice tutelava gli interessi mediterranei dell'Italia; il console a Smirne, Bonelini, aveva g ià scritto il 19 novembre 1892 al Brin, ibidem, per segnalare la rilevanza per l'Italia di controllare comunicazioni marillime dirette per l'Asia Minore e la Turchia, come pure il servizio postale per Smirne che interessava la colonia italiana. (24) Dopo i gravi incidenti di Aigues Mortes nel 1893, Brin e il governo italiano furo no accusati di avere ch iuso la venen7.a con troppa commtezza - erano stati uccisi numerosi italiani - e di avere invece esagerato nella repressione delle manifestazioni d i protesta di Roma, nel corso delle quali, dopo tullo, erano stati rolli solo dei vetri dell'ambasciata francese, cfr la lenera aperta del deputato Raffaello Giovagnoli a Brin, AIRJ, 835, 81 (1).
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da sopportare nella gestione difficile di una politica estera capace di non sbattere le porte così forte da compromettere l'avvenire. Si afferma correntemente che in politica economica Brin propugnò l'intervento dello Stato nell'industria - viene citato il caso della Terni - e il protezionismo a favore dei produttori nazionali nei settori ritenuti strategici. Nessun dubbio che tali siano stati gli elemetnt.i caratteristici più importanti della sua azione, tuttavia un ritratto di Brin come esasperato e impenitente statalista non è esatto. Come s i è già ricordato, nel 1897 il Sonnino considerava Brin come un politico liberale e senza fini personali. A parte questo ultimo positivo apprezzamento, potrebbe stupire il termine "liberale" attribuito all'uomo che aveva fatto nascere la Terni, aveva protetto l'industria siderurgica e quella meccanica, aveva rinnovato l'anno precedente le leggi protezionistiche a favore della cantieristica navale. La verità è che Brin considerava una strada obbligata, nel contesto italiano, l'intervento dello Stato nell'economia, ma non gli sfuggivano gli inconvenienti cui tale politica dava luogo: poichè la considerava il male minore, accettava di pagarne i prezzi. Nel 1887, quando la società Terni ebbe una grave crisi, il ministro della Marina chiese a Costantino Perazzi, presidente del Consiglio di Stato, un appuntamento per parlargli del "noto affare Terni". Ma commentò: "Visto che ho avuto la disgraziata idea dell'indusitria navale, anche tu devi scontare i miei peccati".C25) Pur nel tono scherzoso, l'aggettivo "disgraziata" e il sostantivo "peccati " conservano un loro significato preciso nel resto e indicano la coscienza che la compiuta scelta di politica industriale portava con sè anche implica;doni negative. Nel luglio 1893, poi, Brin ricevette dal ministro delle finanze Gagliardo una lettera personale un po' seccata, che diceva: "quanto alla nostra politica economica contro cui, tutte le volte che ti si offre l'occasione, tiri a palle infocate, tu predichi a un convertito, anzi non sono un convertito, perchè fui sempre uno dei pochi liberali della Camera, ma quando frutto di una cattiva politica economica le leggi sono, bisogna che l'Amministrazione le applichf' .(26) Il ministro delle Finanze del terzo gabinetto di Rudinì, dunque, volle rispondere, e lo fece con una vena di fastidio, alle osservazioni critiche di Brin fatte probabilmente in Consigl io dei ministri e giustificò taluni risvolti inadeguati, che evidentemente gli erano stati rimproverati, con l'esistenza di leggi che li prescrivevano. Rivendicava poi un passato liberista per coprire la propria posizione personale dalle critiche del liberista Brin per quella "cattiva politica economica" che conduceva lo Stato italiano. (25) Brin a Perazzi, 27 senembre 1887, AJRI, 901 , 47 (6). (26) Gagliardo a Brin, 2 luglio 1893, ASMAE, lo.co cii.
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Come si è già accennato, non bisogna nascondersi che il protezionismo, dopo il fallimento della via liberale allo sviluppo tentata da lla Destra, fu per l'Italia percorso pressochè obbligato. E non è neanche vero che i risultati, pur sconcando errori cd inconven ienti, fmono così negativi. TI Paese veniva da uno stato di arretratezza talmente pronunciato che senza l'intervento dello Stato non si vede come avrebbe potuto decollare. Valerio Castronovo concorda con Rosario Romeo nel riconoscere che "il ritmo di accumu lazione del capitale industriale e finanziario venne intensificandosi, e assunse nuova importanza un settore chiave dell'industria come quello siderurgico. Si aprì infatti, grazie alle ordinazioni e ai sussidi statali, un mercato autonomo in via di progressivo allargamento. E si profilarono infine alcune condizioni favorevoli per superare - sia pure in presenza di situazioni di privilegio e di rendita monopolistica - alcuni colli di bottigl ia che avevano impacciato fino allora lo sviluppo dell'industria pesante: per coprire, in altri termini, gli oneri, altrimenti proibiti vi, che imponevano la mobilitazione di adeguati mezzi finanziari, l'accentramento degli impianti e il raggiungimento di dimensioni aziendali sufficientemente idonee per impegni a lungo termine ... Anche sotto il profilo finanziario, l'azione dello Stato ebbe a svolgere allora una parte di primo piano nell'assicurare un più alto tasso di sviluppo alla produzione di beni strumentali e nell'incrementare l'offerta di capitale in favore deil'incipiente processo di industralizzazione.. .1 1 capovolgimento dei tradizionali indirizzi liberistici e la concezione pluri ennale del bilancio comportarono, beninteso, notevoli sacrifici a carico dei contribuenti e dei consumato ri e peggiorarono comunque - per le continue emissioni di presti ti ordin ari, di titoli redimibili e di buoni del tesoro - le condizioni del debito pubblico onde la sistemazione della finanza statale richiese gravosi impegni da parte dei governi successivi. .. Eppure, ci sembra abbia ragione Giuseppe I3arone quando in un recente studio ha sottolineato come questa fosse una condizione inel imù1abile, riconducibile alla strutturale arretratezza di un autonomo mercato italiano di capitali e nella quale bisognava operare se si voleva mettere in moto un processo cli industrializzazione". A dispetto dei tempi difficili andò avanti un movimento di fondo in senso espansionistico dell'economia, con ricadute di carattere qualitativo nell'impiantistica e nella produzione industriale. Certo, il flusso degli investimenti fu danneggiato dai mancati reinvestimenti, dall'aggressività politica dei gruppi industriali, dalle clientele parassirarie. 'Tuttavia, se le spese straordinarie dello Stato e le misure doganali permisero forti lucri differenziali alle imprese protette, il rendiconto di quegli anni non si concluse semplicemente con l 'avvento cli posi zioni parassitari e o in un peggioramento della finanza pubblica, senza alcun corrispettivo concreto nella mobilitazione della ricchezza, nella dotazione cli capitale fisso, nello sviluppo delle prime grandi imprese industria.li. Di importanza rilevante, e suscettibile
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di significati vi sviluppi in futuro, fu quanto meno il ruolo istitutivo, o largamente integrativo, assunto nel frattempo dallo Stato a sostegno di un moderno processo di sviluppo".(27) Per quanto concerne la Marina, poi, la scelta non aveva alternative, se si voleva dotare di una flotta moderna l'Italia e costituire nel Paese quella componente indispensabile di potere marittimo che è la capacità di costruire le navi. Brin vi mise l 'ingegno del grande progettista, ma non poteva fare a meno dell'industria: poichè questa non esisteva, hisognava crearla, non essendo possibile prescindere dall'autonomia delle costruzioni navali militari nel quadro delle aspirazioni nazionali. Anche nel caso della cantieristica navale civile, come si è già ricordato, giunsero infine risultati positivi, nel corso degli anni '90. Troppo positivi rispetto alle previsioni di spesa: gli impegni per le nuove costruzioni tra luglio 1896 e fine 1897 furono solo di 133000 li re per i compensi di costruzione e 485000 lire per le restituzioni daziarie; l 'anno successivo vi fu il decollo, in termini impressionanti. I compensi per le costruzioni salirono di colpo a 2 milioni 53000 lire, una cifra enorme, mentre scendevano le restituzioni daziarie, rimaste a 372000 lire. Ma Brin non ebbe il tempo di vedersi proporre questi nuovi problemi: i dati finanziari citati coprivano tutto l 'anno 1898, mentre in primavera il ministro era mancato. Era stata una brutta primavera. Già durante l'inverno il malessere sociale, acuito dal disastroso raccolto del 1897 che provocò l'aumento del prezzo del pane, era sfociato in tutte le parti d'I talia in manifestazioni e incidenti con repressioni sanguinose. A febbraio un primo lutto colpì il governo con la morte del ministro delle Poste Emilio Sineo. Segu irono in marzo altre dimostrazioni violente, riprese, dopo una pausa, alla fine cli aprile per precipitare nelle tragiche gio rnate di Milano del mese cli maggio. La malattia aveva impedito a Brin di esercitare la sua benefica influen1.a moderatrice su lle decisioni del governo, che scivolava verso un'oscura fine. In tali frangenti Benedetto Brin moriva il 24 maggio 1898. Con lui non veniva a mancare soltanto il progettista illuminato e geniale che aveva costruito la flotta, ma anche il protagonista che aveva promosso la crescita del potere marittimo italiano. Era questa l'eredità maggiore che Brin trasmetteva al Paese, un lascito non passeggero perchè legato ormai non all 'uo mo, ma alla Marina. E infatti quando l'uomo scomparve, il potere marittimo rimase.
( 27) Castronovo, Ston·a economica., c it., pp. 121 -5.
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INDICE DELLE PERSO E
O)
Abd el Aziz, 102 Abdullah Pascià, 118 Accinni Enrico, 123, 124 Acton Ferdinando, 43, 45, 46, 47, 48,
Borghi Luigi, 52 Boselli Carlo, 57 Boselli Paolo, 25, 34, 35, 57, 58, 76,
49, 50, 51 , 53, 55, 57, 62, 66, 71, 93, 133 Alberini Emanuela, 119, 121, 145 Aleardi Aleardo, 12 Alquier ammiraglio, 73 Alvisi deputato, 27 Amoretti Carlo, 61, 119
Bottego Vittorio, 115 Bottelini console, 140 Boy! Gioacchino di, 8 Bozzoni Antenore, 48 Brambilla Carlo , 11 Breda Stefano, 29, 63 Brin Benedetto, 7, 8, 9, 10, 13, 15,
Angioletti Diego, 8 Antonelli Pietro, 100 Aquarone Alberto, 114, 136, 145 Ardagh colonnello, 103 Armani Luigi, 46 Armi njon V ittorio, 32 Aube Hyacinthe, 43, 44, 73, 77 Augusto imperatore, 132 Avarna di Gualtieri Giuseppe, 87 Avellan ammiraglio, 93 Bagnasco Erminio, 127, 145 Baratieri Oreste, 97, 100, 114 Bargoni Franco, 30, 72, 145 Beck mareciallo von, 82, 90, 91 Benham contrammiraglio, 98 Bertorello Angelo, 115 Bettolo Giovanni, 93, 116 Biancberi Giuseppe, 9 Bianchi Gustavo, 60 Binda Vittoria, 7 Bismarck Otto von, 12, 53 Bixio Nino, 8, 41 Blanc Alberto, 99 Bonaparte Napoleone, 49 Bonelli Cesare, 43, 55 Bonelli Franco, 63, 145 Bonjean senatore, 30 Borghi cavaliere, 17
77, 137
18, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 32, 34 , 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 54, 56, 57, 59, 60, 62, 63, 64, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 84, 85, 86, 87, 89, 90, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 102,104, 105, 10~ 107, 10~ 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135,136, 137,138,139, 14~ 141, 142, 143, 145, 146 Brin Giovanni, 7 Brin Giulia, 134 Brin Sofia, 134 Brioschi senatore, 57 Brown contrmmiraglio, 44 Brusati tenente colonnello , 82 Bruzzo Giovan Battista, 12 Caetani di Sermoneta Onorato, 122 Caimi Pietro, 60 Cairoli Benedetto, 26, 37, 42, 43, 44,
137 Campe1io Manfredo, 41 Campo Fregoso Luigi, 12, 145 Candelora Giorgio, 56, 145 Candiani Camillo, 73
(1) TV= tenente di vascello; CF • capirano di fregara; CV = capitano di vascello; CA • contrammiraglio.
14S
Canevaro Napoleone, 119, 121 Capone Antonio, 8, 13, 23, 29, 34, 49, 64,145 Caprivi Georg Leo von, 85, 86, 89 Carducci Giosuè, 132 Carlo Alberto, 12 Cassian Bon industriale, 29, 35, 62 Castronovo Valerio, 62, 63, 64, 84, 99, 139, 142, 143, 145 Carraneo Carlo,12 Cavour Camillo Benso di, 7, 9, 36, 129 Cecchi Antonio, 61 Ceva Lucio, 38, 56, 57, 64, 66 Chabod Federico, 12, 145 Clowcs W. L. , 85 Colliva Giuliano, 11, 19, 20, 145 Corb ino Epicarmo, 128 Correnti Cesare, 53 Cori Raffaele, 73, 76 Cosenz Enrico, 81, 90 Crispi Francesco, 32, 45, 46, 61, 62, 74, 78, 79, 96, 97, 99, 100, 102, 103, 105, 1o6, 107, 111, 137, 138, 139 Crouzet Giaco mo, 96 Cuciniello Felice, 115 Cugia Efisio, 8, 18 Cuniberti Vittorio, 102
Dal Verme Luchino, 114 O-Angelo Lucio, 117, 136, 146 Dc Amezaga Carlo, 15, 108, 146 De Angeli Francesco, 14, 29, 31 della Marmor,1 Alfonso Ferrero, 7, 8 Del Santo Andrea, 50, 72 De Luca Giuseppe, 11 Delureanu Scefan, 41 Del Vecchio Edoardo, 42, 58, 78, 146 De Martino plenipotenziario,_122, 124 Dc Mattia Renato, 59 Dc Orestis Alberto, 118, 122
150
Depretis Agostino, 26, 27, 32, 47, 62, 77, 130, 131, 137 Di Bracchetti Enrico, 27, 37, 55 Don Giovanni, 88 Donolo Luigi, 8, 44, 166 Duperré ammiraglio, 44 Dupuy dc L6me Sranislas, 7 Eardley Wilmott W. , 85 Eboli Giovanni, 122 Ellena senatore, 57 Enea, 24 Engelbrechc colonnello, 85 Enrico principe di Prussia, 93 Farina deputato, 126 Farini Antonietta, 134 Farini Domenico, 49, 127, 133, 134, 135, 136, 137 Faure Félix, 118 Ferracdù Nicolò, 43 Ferrante Ezio, 9, 15, 19, 25, 45, 46, 47, 64, 76, 127, 146 Ferrero Annibale, 56 Ferry Julcs, 44 Filonardi Vincenzo, 61, 97 Fioravanzo Giuseppe, 39, 54, 57, 146 Fiorentino Carlo Maria, 53 Fisher Jo hn, 60 Flore Vico Dante, 35, 40, 78, 109, 128, 146 Formicola Antonio, 37, 55, 146 Forstner de Billau C., 80 Friz Giuliano, 21, 146 Gabriele Mariano, 8, 21, 36, 55, 74, 83, 92, 94, 118, 124, 130, 146 Gagliardo ministro delle Finanze, 141 Galuppin Gino, 39, 48, 76, 107, 146 Gandolfi Antonio, 96 Garibaldi Giuseppe, 129, 130
Mack Smith Denis, 62, 100, 111, 131, 134, 146 Magliano plenipotenziario, 122 Magnaghi Giovan Battista, 75, 98 Maldini Gian Galeazzo, 47, 48 Mancini Pasquale Stanislao, 54, 60, 74, 113 Mantegazza Attilio, 117 Marder Arthur, 73, 83, 95, 118, 146 Margherita regina, 136 Mariotti Filippo, 138 Marongiu Buonaiuti Cesare, 97, 146 Marselli Nicola, 12 Martini Ferdinando, 114 Masdea Edoardo, 68, 71, 84, 106 Matcei Felice, 11, 27, 130 Mazzini Giuseppe, 12 Mecola Ferruccio, 98 Melegari Luigi, 32 Holmann F. ammiraglio, 82, 85, 132 Mello ammiraglio de, 98 Hough Richard, 60 Menabrea Luigi Federico, 9, 17 Menelik II, 100, 104, 135 Incis~ diplomatico, 86 Micheli Alfredo, 125 Kalnoky Gustav, 74, 82, 87, 100, 101, 102 Micheli Giuseppe, 47, 49 Minghetti Marco, 12, 27 Kennedy Gordon, 62 Mirabella Carlo, 44, 54, 73, 75 Koestler ammiraglio, 85 Morelli Emilia, 127 Kulczycki Ladislao, 53 Morin Costantino Enrico, 99, 104, 106, 107, 109, 125 La Bolina Jack, vedi Vecchj Augusto Vinorio Lamarmora, vedi della Marmora Lanza Giovanni , 132 Nani Augusto, 14, 22, 29, 44, 50, 51, Lanzillo Agostino, 59 67, 70, 84, 105, 106, 125, 127, 146 Launay Edoardo de, 81, 89, 140 Napoleone, vedi Bonaparte Lavigerie arcivescovo, 81 Nigra Costantino, 74, 82, 90, 94, 98 Lehnert capitano di vascello, 88, 91 Leone XIII, 81 Let.i colonnello Genio Navale, 125 Orazio Fiacco, 132 Leva Fausto, 19, 41, 122, 146 Orengo Paolo, 15 Lockroy ammiraglio, 92 Osio colonnello, 32 Luzzatti Luigi, 117
Garosci Aldo, 33, 41 Gevàd Pascià, 121 Giorgerini Giorgio, 14, 22, 29, 44, 50, 51 , 67, 70, 84, 105, 106, 125, 127, 146 Giovagnoli Raffaello, 140 Giuffrida Romualdo, 25, 146 Giolitti Giovanni, 83, 84, 94, 95, 97, 99, 134 Goltz von der ammiraglio, 81, 132 Goluchowski von Goluchowo A., 112 Gonni Giuseppe, 9 Gregorovius Ferdinand, 33 Grivel Richild, 43 Guglielmo 11, 86, 89, 90 Guiccioli Alessandro, 136 Guillen Pierre, 33, 42 Gut Philippe, 33
Machiavelli console, 113
Palmer Charles, 131
151
Navale, 125, 126 Rudinì Antonio Starabba di, 79, 80, 81, 84, 99, 111, 114, 117, 118, 122, . 136, 139, 141 Saint Bon Simone Pacorct eh, 17, 18, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 31 , 34, 37, 44, 45, 46, 47, 48, 52, 69, 73, 75, 76, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 88, 89,130,133,146 Salisbury Robert, 61, 83, 103, 104, 131, 139 Salvatorelli Luigi, 79 Sanfelice di Monteforte Ferdinando. 15 Santini deputato, 126 Savoia re d'Italia, 146 Scafati Giuseppe, 28 Schichau costmttore, 70 Sella Quintino, 11, 12, 15, 133 Sendcn capicano d i vascello, 82 Serra Enrico, 104 Sineo Emilio, 143 Soliani Nasborre, 105 Racchia Carlo Albeno, 84, 89, 90, 92, lo6 Solcyk tenente di vascello, 88 Radogna Lamberto, 8, 146 Sonnino Sidney, 53, 136, 141 Randaccio Carlo, 9, 10, 57, 146 Sevmour Michael, 94, 103 Rastelli Achille, 127, 146 Sp~dolini Giovanni, 81 Rattazzi Urbano junior (Urbanino), 87 Steininger colonnello, 86 Rattazzi Urbano senior, 39 Sternek Massimiliano von, 82, 83, 88, Reed E. F., 27, 132 90, 91, 92 Rendei ingegnere, 50 Rcssman Costantino, 87, 95 Tegetthoff Wilhelm von, 88 Riboty Augusto, 9, 10, 11, 13, 14, 15, Thiers Adolphe, 33 Tirpitz Alfrcd, 66, 86, 89, 93, 115 17, 18, 26, 32, 39 Ricci Giovanni, 17, 18 Tommaso di Savoia, 93, 113 Ricotti Magnani Cesare, 56, 111 Torniclli I3rusati d i Vignano Giuseppe, 94, 95, 98, 131, 138, 139 Robilant Carlo Felice ~icolis di, 42, Turi Carlo, 104 54 , 77, 146 Romano Claudio, 37, 55, 146 Umberto I, 75, 83, 111, 131, 133 Romeo Rosario, 64, 142 Rosebcry ArchilY.ald. 94, 95, 98, 102, 104 Vacca Giovanni, 51 Rossi Carlo, 15 Valerio Lorenzo, 8 Rota tenente colonnello del Genio
Palumbo Giuseppe, 124, 127 Panizzardi colonnello, 118 Pantano deputato, 108 Pareto Vilfredo, 36 Pastorelli Pietro, 115 Peixoto maresciallo, 98 Pclloux Luigi, 80, 90, 117 Pcrazzi Costantino, 141 Persano Carlo Pellion di, 8, 39 Pescetto Federico, 9 Peterscn Jens, 33 Peyron vice ammiraglio, 44 Polibio, 2-8 Pollina Paolo, 31, 52, 71, 126, 146 Po rcelli Giuseppe, 61 Prasca Emilio, 17, 76, 146 Proudhon Picrre Joseph, 33 Provana Pompeo del Sabbione, 9 Pullino Giacinto, 68, 83, 84, 105, 106
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Vannutelli Lamberto, 115 Vassos colonnello, 119 Vecchj Augusto Vittorio, 7, 10, 43, 44, 48, 107, 129, 133, 146 Vigna Carlo , 51, 68, 69, 71 Visconti Ve nosta Emilio, 21, 30, 114, 119, 122, 136 Vittorio Emanuele II, 129, 130
Vittorio Emanue le Ili, 99 Vivia n H. ambasciatore, 98, 139 Volpe Raffaele, 80, 81, 82, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 131, 132 Webster Richard, 60 Zanardelli Giuseppe, 84, 134, 136 Zavagli Carlo, 115
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INDICE DELL NAVI Adamastor, incrociatore corazzato, 127 Affondatore, ariete corazzato, 18 Agordat, incrociatore, 105, 125 Agostino Barbarigo, avviso, 30, 60 Aldebaran, torpediniera, 52, 70 Ammiraglio di Saint Bon, corazzata, 84, 105, 125 Ancona, fregata corazzata, 60 Andrea Doria, corazzata, 49, 103 Angelo Erno, incrociatore, 67 Aquibadan, corazzata, 98 Aquila, torpediniera, 52, 70, 71 Archimede, avviso, 71 Ardent, torpediniera, 123 Aretusa, incrociatore, 68, 104 Avvoltoio, torpediniera, 31, 51, 70
Caristobal Colon, incrociatore corazzato, 126 Cristoforo Colombo, incrociatore, 20, 69, 81 Curtatone, cannoniera, 104 Custoza, corazzata, 87
Benedetto Brin, corazzata, 125 Brennus, corazzata, 113
Elba, incrociatore, 69, 115, 123 El Bashir, incrociatore, 107, 127 Elettrico, piroscafo armato, 123 Emanuele Filiberto, corazzata, 84, 105, 106, 125 Erzherzog Ferclinand Max, fregata corazzata, 83 Esploratore, avviso, 55, 60 Etna, incrociatore, 51, 67, 68, 69, 98, 104, 105, 121, 123 Etruria, incrociatore, 69, 104, 123 Ettore Fieramosca, incrociatore, 68, 123 Euridice, incrociatore, 68, 119 Euterpe, torpediniera, 52
Calabria, incrociatore, 69, 125 Calatafimi, incrociatore, 68 Canopus, corazzata, 105 Candia, piroscafo armato, 123 Caprera, incrociatore, 68, 104 Captain, corazzata, 27 Carlo Alberto, incrociatore corazzato, 84, 105, 125 Castelfidardo, corazzata, 32, 60 Charleston, incrociatore, 98 Città di Genova, piroscafo, 60 Clio, torpediniera, 52 Coatit, incrociatore, 105, 125 Collingwood, corazzata, 50 Comus, incrociatore, 50 Conclore, torpediniera, 126 Confienza, incrociatore, 68 ' Conte di Cavour, piroscafo, 60 Conte Verde, fregata corazzata, 11 Cosmac, incrociatore, 118
Dandolo, corazzata, 13, 15, 22, 24, 28, 29, 56, 72 Detroit, incrociatore, 98 Devastation, corazzata, 10 Doelwick, piroscafo, 105 Dogali, incrociatore, 67, 98, 123 Duilio, corazzata, 13, 14, 15, 22, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 36, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 52, 56, 60, 130, 132, 133, 136
Falco, torpediniera, 52, 70 Folgore, torpediniera, 71 Francesco Morosini, corazzata, 49 Gabbiano, torpediniera, 52 Galileo Galilei, avviso, 7 Garibaldi, cannoniera, 20, 60
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Garibaldi, incrociatore corazzato, 65, 106, 125, 126, 127 Generai Belgrano, incrociatore corazzato, 126 Generai Garibaldi, incrociatore corazzato, 126 Generai Pueyrredon, incrociatore corazzato, 127 Generai San Martin, incrociatore corazzato, 126 Giovanni Bausan, incrociatore, 50, 51, 68, 98, 123 Gioire, corazzata, 48 Goiro, incrociatore, 67, 68 Governolo, corvetta, 115 Guardiano, cannoniera, 20 Hood, corazzata, 118 Inflexible, corazzata, 60 1X Iride, incrociatore, 68 Italia, corazzata, 22, 29, 37, 38, 46, 48, 49, 50, 66, 125 Leander, incrociatore, 50 Leipzig, incrociatore, 81 Lepanto, corazzata, 22, 29, 38, 74 Lightning, torpediniera, 31, 52 Liguria, incrociatore, 68, 119 Lissa, corazzata, 87 Lombardia, incrociatore, 69, 122 Majestic, corazzata, 105 Marcantonio Colo nna, avviso, 30 Marco Polo, incrociatore, 69, 84 Messaggiere, avviso, 60, 71, 92, 129, 130 Messina, fregata corazzata, 11 Messina, piroscafo, 55 Mestre , goletta, 20 Miaulis, corazzata, 119 Minerva, incrociatore, 68
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Montebello, incrociatore, 68 Monzambano, incrociatore, 68 Mosca, torpediniera, 52 Murano, goletta, 20 Neptune, corazzata, 118 Newark, incrociatore, 98 New York, incrociatore, 98 Nibbio, torpediniera, 31, 51, 70 Nord America, piroscafo armato, 123 Océan, corazzata, 10 Orénoque, fregata, 21 Palestro (1), fregata corazzata, 49 Palestro (2), fregata coràzzata, 11 Partenope, incrociatore, 68, 105 Pellicano, torpediniera, 125, 126 Piemonte, incrociatore, 68, 118, 122, 123 Principe Amedeo, fregata corazzata, 11
Puglia, incrociato re, 69 Rapido, avviso, 30, 61 Re d'Italia, fregata corazzata, 49, 83 Redoutable, corazzata, 113 Regina Margherita, corazzata, 125 Re Umbe,t o, corazzata, 50, 66, 69, 89, 103, 125 Roma, fregata corazzata, 11 Ruggiero di Lauria, corazzata, 49, 50 74 Saetta, torpediniera, 71 Salamina, incrociatore 67 San Francisco, incrociatore, 98 Sardegna, corazzata, 66, 119 Schicau, torpediniera, 70, 123 Scilla, cannoniera, 20 Sebastiano Veniero, cannoniera, 98 Sentinella, cannoniera, 20
Sicilia, corazzata, 66, 119, 121 Sidi el Turk, cannoniera, 127 Sparviero, torpediniera, 52, 70 Staffetta, avviso, 20, 30, 61, 114 Stromboli, incrociatore, 51, 123 T ( = Thornycroft), torpediniera, 70 Tegetthoff, corazzata, 87 Trinacria, nave ausiliaria, 123 Tripoli, incrociatore, 67, 68 Turmonoretz, cannoniera, 118 Umbria, incrociatore, 69, 104 Urania, incrociatore, 68
Varese, incrociacore corazzato, 106, 125 Vedetta, avviso, 60 Venezia, fregata corazzata, 11 Vespucci, incrociatore, 60, 139 Vesuvio, incrociatore, 51 , 119 Vcttor Pisani, corvetta, 10, 60 Vettor Pisani, incrociatore corazzato, 84, 105, 106, 125 Victoria, corazzata, 131 Vittoria, pirocafo armato, 123 Volta, cannoniera, 115 Volturno, cannoniera, 104, 114 Y ( = Yarrow), torpediniera, 70
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