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Epilogo
EPILOGO
A fine agosto, Piero Calamandrei saluta Carlo Levi:
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mi dispiace e insieme mi fa piacere che tu ti trasferisca a Roma, all’Italia libera. Mi fa piacere per il nostro partito che avrà finalmente un giornale vivo, variato, intelligentemente appassionato; mi dispiace per Firenze, della quale sei stato nel «periodo eroico», un elemento così essenziale
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Non è un commiato definitivo. Come si è detto, questioni private e pubbliche continuano a tenere Levi legato a Firenze ancora qualche mese. Negli anni successivi altri impegni con quei compagni degli anni di guerra riguarderanno proprio “Il Ponte” e Calamandrei. Levi partecipa ai numeri monografici dedicati al Piemonte, alla condizione carceraria, agli anniversari della marcia su Roma e della Liberazione di Firenze
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. Nel 1955 realizza la copertina per una raccolta di scritti e discorsi di Calamandrei, Uomini e città della Resistenza
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Conoscendone l’esito, nel 1950 Levi faceva intendere che la bella stagione fiorentina era finita molto presto, già quando la delegazione del CTLN aveva lasciato Roma, nel novembre 1944.
Quel giorno i dieci bollivano di sdegno, e ripartirono per la loro città con animo disposto alla battaglia. Ma qualcuno di loro rifece la strada di Roma, e in pochi mesi entrò a sua volta tra i capi dei partiti, acquistò sempre maggiore esperienza e potere, e dimenticò del tutto i furori giovanili di prima. Gli altri tornarono alla loro vita privata e al lavoro di ogni giorno: e […] diedero il nome di Roma alla loro delusione e al loro sdegno
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1 ACS, FCL, b. 7, fasc. 218, Piero Calamandrei a Carlo Levi, 29 agosto 1945. 2 Si vedano rispettivamente “Il Ponte”, a. V, n. 3, marzo 1949; a. V, n. 8-9, agosto-settembre 1949; a. VIII, n. 10, ottobre 1952; a. X, n. 9, settembre 1954. 3 P. Calamandrei, Uomini e città della Resistenza. Discorsi scritti ed epigrafi, Laterza, Bari 1955; per le notizie sulla copertina, si veda la corrispondenza in ACS, FCL, b. 7, fasc. 218, Piero Calamandrei a Carlo Levi, 19 gennaio e 26 febbraio 1955; per le vicende editoriali del volume, cfr. P. Calamandrei, Lettere 1915-1956, a cura di G. Agosti, A. Galante Garrone, La Nuova Italia, Firenze 1968, II, passim, in part. pp. 433-434. 4 Levi, L’Orologio cit., p. 191.
La crisi istantanea della Resistenza è un ricordo comune a molti. Come già ricordato, Riccardo scriveva al fratello all’indomani dell’insurrezione del nord: “siamo già nella fase critica in cui le forze reazionarie tentano di riaversi”
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Eppure, gli articoli scritti da Levi per “La Nazione del Popolo” sostengono ancora per molti mesi quell’esperimento di autonomia e di autogoverno rappresentato dal CTLN, e mantengono vivo il progetto di un autentico rinnovo delle vite, delle forme dell’impegno politico, e della democrazia. Le minute vicende politiche, su cui si è indugiato per ricostruire la vita quotidiana di Levi in quegli anni, forse non sono all’altezza delle aspirazioni, ma questo non intacca il valore di quelle proposte.
Tra 1944 e 1946, Vittorio Foa si era impegnato sugli stessi temi e per gli stessi obiettivi. Ripensandoci a distanza di molti anni, alla luce di nuovi dibattiti sulle riforme costituzionali, ha concluso che la ricchezza di simili discussioni sta proprio nella loro capacità di trascendere “la piatta quotidianità della politica”, e dunque di tenere vive prospettive diverse.
Per costruire il futuro bisogna in qualche modo presagirlo. Nel corso degli anni mi sono chiesto più volte perché non ho continuato nell’impegno sull’autonomia e sul suo rapporto con la democrazia rappresentativa e mi sono invece concentrato sull’impegno sindacale. […] Forse perché nel 1946 io sono diventato deputato alla Costituente e quindi un granello di una macchina politica
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Nel 1961 Torino ospita le celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia. Levi contribuisce con alcune grandi tele per il padiglione della Lucania. Tra le manifestazioni previste c’è anche una sfilata di partigiani; Carlo la descrive a Linuccia Saba:
bellissima e imponente. C’erano forse 150.000 persone. Anch’io ho sfilato, con la Toscana, e il Comitato Toscano di Liberazione: la gente mi riconosceva e applaudiva
5 FL, Firenze, Riccardo Levi a Carlo Levi, 20 maggio 1945. “Il Ponte” dedicò un fascicolo del 1947 alla Crisi della Resistenza (“Il Ponte”, a. III, n. 11-12, novembre-dicembre 1947). 6 V. Foa, Lavori in corso 1943-1946, a cura di F. Montevecchi, Einaudi, Torino 1999, pp. XIII-XIV; parlando di “macchina politica”, Foa si riferisce al suo articolo Le autonomie e le macchine politiche, “Comunità”, n. 6, ottobre 1946, ora ripubblicato in Id., Lavori in corso cit., pp. 131-144.
gridando Levi Levi viva Levi! La Licia Ragghianti badava a dire a suo marito “Guarda come è popolare Levi, bisogna farlo Presidente della Repubblica”
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Nel corso di queste ricerche mi è sembrato che il racconto della Resistenza fiorentina abbia dedicato sempre poco spazio a Levi e al ruolo che egli ebbe in città per circa diciotto mesi. Come si è detto più volte, il racconto di quel periodo – anche quando era opera di compagni e di compagne che furono vicini a Levi – fu da subito molto impreciso sul suo conto. A queste imprecisioni, se ne sono aggiunte altre nel corso degli anni, e lo stesso Levi diede il suo contributo.
Mi sono chiesto di continuo quali fossero le ragioni di questo silenzio, a volte interrotto solo da sviste. Forse fu il risultato del complicato processo di costruzione della memoria dell’azionismo fiorentino; oppure il risultato del rapporto tra Levi e Firenze, in cui – visti i continui spostamenti dell’uno e le caratteristiche dell’altra – poté prevalere un senso di provvisorietà e di reciproca sopportazione. Può darsi che abbia contato il destino “periferico” di Firenze dopo la guerra, e pure il riserbo degli amici sulle vicende private di Levi. C’è pure il fatto che L’Orologio è segnato dal suo incipit, e si ricorda soprattutto per le sue pagine su Roma: la notte in cui ruggiscono i leoni, la Garbatella, la conferenza stampa in cui Ferruccio Parri annuncia le dimissioni del suo governo, la passeggiata sotto il Traforo, il frenetico lavoro per impaginare i numeri de “L’Italia Libera”. Così si finisce per mettere in secondo piano il racconto della missione del CTLN, dell’agguato in Piazza Pitti e il ricordo angosciato dei cecchini fascisti che sparano dai tetti di Firenze
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7 Levi, Saba, Carissimo Puck cit., p. 429. Il lavoro di Levi per l’esposizione di Torino e i suoi ricordi fiorentini si intrecciano anche nell’articolo Iniziative popolari, “ABC”, 19 marzo 1961, ora in Levi, Il bambino del 7 luglio cit., pp. 153-154: partendo da alcuni fatti di cronaca legati ad azioni di stampo neofascista, tratteggia un ricordo di Enzo Enriques Agnoletti: “ho visto l’immagine di Enzo Enriques Agnoletti, ritto su un’automobile a mostrare le sbarre di ferro e i manganelli che gli squadristi vi avevano nascosto. Quel suo nobile volto malinconico, quell’aspetto di un animo singolarmente alto e puro, è ancora quello, dopo molti anni, del tempo della battaglia di Firenze, di quei mesi vissuti insieme, quando tutta la città viveva in un’aria sublime, al di sopra di se stessa: e il ricordo improvviso di quel tempo mi costringe, mio malgrado, a scrivere.
Ora Enzo è vice-sindaco della città: allora era membro del suo governo clandestino, il Comitato toscano di liberazione, e, nell’unità del suo popolo, conduceva coi compagni una lotta piena di coraggio, di tragedia e di dolore” (p. 153). 8 Tra l’altro, Levi raccontò l’agguato partigiano contro un fascista, in piazza Pitti nel luglio 1944, prima nel suo articolo Firenze libera, “NdP”, numero unico per l’anniversario della Liberazione di Firenze [11 agosto 1945], quindi lo riprese – con minime modifiche – ne L’Orologio cit., pp. 33-36.
L’11 agosto 1975 Tristano Codignola apre il suo discorso per l’anniversario della Liberazione di Firenze col ricordo di alcuni compagni che “ci hanno lasciati da poco”. Tra questi, da appena otto mesi, “Carlo Levi, che portò – non fiorentino – alle nostre lotte un contributo originale di umanità e di sensibilità critica”. Codignola propone di conferirgli la cittadinanza onoraria alla memoria
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Io ho la fortuna di lasciare Levi mentre, a poco più di quarant’anni, si trasferisce da Firenze a Roma. Forse partì con un bagaglio leggero, come avrebbe fatto qualche mese dopo per raggiungere uno zio malato a Napoli:
era stata la guerra a insegnarci questa speditezza, un felice disprezzo per le cose più necessarie. Come mi parevano lontani i tempi, così prossimi tuttavia, nei quali ad ogni partenza, usavo giovanilmente ingombrare le valige di cose inutili, dalle quali non mi pareva possibile staccarmi! Si potevano lasciare a casa le lettere, o i propri scritti, e gli appunti di un lavoro in corso, e i libri più cari, e tutti gli oggetti a cui si è uniti di affetto? Le cose soffrono a restar sole: e, senza di noi, tutto può succedere: il fuoco, il terremoto, una invasione di topi o di polizia. Bisognava aver tutto con sé, essere pronti a tutto: solo allora ci si sente sicuro. […] Con il pesante bagaglio si cercava di portare con noi la nostra vita: ormai avevamo imparato a buttare ogni cosa senza eccessivo rimpianto, e a ricominciare ogni giorno
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Partendo da Firenze, Levi lasciò nello studio dell’amico Giovanni Colacicchi una scatola piena di lettere di familiari, amici intimi e semplici conoscenti, di documenti personali, appunti suoi e di altri, disegni, manoscritti per “La Nazione del Popolo”, inviti, convocazioni di partito, circolari, cataloghi di mostre: quelle carte accumulate a Firenze dal 1941 al 1945.
9 Codignola, discorso pubblicato ne “Il Ponte”, a. XXX, n. 9, settembre 1975, e ora in Id., Scritti politici cit., II, pp. 734-746. Levi era morto il 4 gennaio 1975. 10 Levi, L’Orologio cit., pp. 246-247.