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Perchè emerga il valore e il sacrificio degli I.M.I

Perchè emerga il valore e il sacrificio degli I.M.I.

Lionello Bertoldi, Presidente ANPI Bolzano

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Ci raccontava Franca Turra: “Nei giorni che seguirono l’8 settembre, da Bolzano passavano treni e treni carichi di soldati e di civili, che venivano deportati in Germania. Erano carri bestiame pieni di giovani, strappati alle loro famiglie e alle loro case. Nella sosta alla stazione ci buttavano dalle feritoie lettere per le loro mogli e madri”. Così Franca, che aveva il marito prigioniero degli inglesi, raccolse queste lettere e, come altre ragazze e donne di Bolzano, le spedì agli indirizzi. Franca non aveva ancora incontrato “Angelo” (Manlio Longon) e neppure “Giacomo” (Ferdinando Visco Giraldi). Con loro sarebbe diventata la partigiana “Anita”, un soffio di speranza per i disperati del Lager di Bolzano. Continua infatti Franca: “Ma quella sequenza di vagoni carichi di gente nostra non poteva non suscitare, in coloro che vivevano consapevolmente tale tragedia, il bisogno di reagire e di lottare per quella libertà così brutalmente repressa”. Negli occhi di molte donne e uomini di Bolzano rimase a lungo quel fiume di vagoni, che portava quei giovani lontano, in un altrove temuto. A Bolzano, l’8 settembre era passato con un fragore maggiore del primo bombardamento, che l’aveva colpita sei giorni prima. Soldati italiani, abbandonati e ormai inermi, rastrellati da tutte le caserme, furono ammassati al campo sportivo. A migliaia dormirono sotto la pioggia, accovacciati sui sassi del greto del torrente Talvera. Prima che sparissero, portati via dal serpente di fumo dei treni vocianti, altre migliaia di occhi di parenti, amici o conoscenti, avevano visto. Cominciava l’angoscia dell’attesa, che sarebbe durata quasi due anni. Il loro ritorno nel maggio del 1945, sarebbe stato sommerso dalla felicità di ritrovarsi vivi. Distratti da problemi serissimi, anche chi aveva visto li accolse con sollievo e niente altro. Io stesso, pur protestando da sempre la mia attenzione, non me ne accorsi. Uno di loro, Gino Zanin, aveva parenti nella mia stessa casa a Bolzano. Lo incontrai in ascensore o per strada, era un valsuganotto come me, ma non avemmo mai occasione di parlare della sua prigionia nel campo di Stayer in Germania. Avrei letto tutto, più tardi, nel libro della figlia Mirella “La forza della speranza”. Abbiamo raccolto molte di queste memorie, ma non sappiamo ancora quale sia stata la storia degli I.M.I. portati via dall’Alto Adige, quale sia stato il loro sacrificio e il peso che hanno avuto, il loro desiderio di pace e il rischio del loro rifiuto del fascismo e del nazismo. Non sappiamo come siano rientrati alla vita al loro ritorno. O meglio, non lo sapevamo finora.

Il dott. Hubert Gasser, direttore dell’Archivio di Stato a Bolzano, ci ha offerto una strada per la nostra ricerca. Ha consentito all’A.N.P.I. di consultare un grande deposito di documenti inediti, via via lasciati dalle migliaia di ex internati militari passati da Bolzano, al loro rientro dai campi in Germania. Abbiamo così riscoperto la storia del C.A.R. (Centro Accoglienza Rimpatriati), una organizzazione attiva ancora prima della Liberazione e identificato alcuni degli uomini che vi hanno lavorato. Il dott. Lorenzo Baratter ha esaminato migliaia di carte contenute nei metri di faldoni dell’archivio. Abbiamo l’impressione di esserci solo avvicinati a questo grande deposito di documenti, approfondendo alcuni degli aspetti. Ma il giacimento è grande e prezioso e numerose le sfaccettature delle possibili ricerche. L’A.N.P.I. e il suo Circolo culturale hanno solo iniziato. Lo dovevamo a noi stessi, all’impegno che ci siamo dati di proteggere la Memoria, ma soprattutto agli ex internati dell’A.N.E.I., e agli ex I.M.I. della provincia di Bolzano. La federazione provinciale A.N.E.I. di Bolzano è stata costretta a cessare le sue attività. I loro responsabili hanno recentemente scritto: “Abbiamo bisogno di chiedere alle istituzioni, ma anche alle donne e agli uomini di questa società, di conservare il ricordo del sacrificio di una parte importante della nostra vita, quella della nostra giovinezza, sacrificio che abbiamo fatto nella speranza che questo nostro Paese potesse ritornare libero e giusto”. Noi abbiamo letto e capito la richiesta, che veniva da Tarquinio Barbierato, da Giuseppe Naletto, da Gudrun Giovannini, e abbiamo cercato di rispondere. Ci auguriamo che altri studiosi attenti sappiano continuare queste ricerche e con i loro contributi far emergere il valore, che il sacrificio degli I.M.I. ha portato alla nostra democrazia.

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