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Alcune note conclusive
Gli studi oggi esistenti sulla storia della propaganda nella seconda guerra mondiale sono inadeguati alla vastità e al la complessità dei problemi che la materia suscita, e non è pertanto possibile fare una seria analisi conclusiva, né considerazioni approfondite. Perciò limitiamo la chiusura di questo contributo a poche e concise annotazioni, nella speranza che esse siano anche stimolo a ricerche e approfondimenti futuri.
Abbiamo cercato di tracciare, nella prima parte del volume, la storia della propaganda di guerra, con la sua organizzazione, i suoi organi, le finalità, gli obiettivi, tenendo presenti i limiti in cui eravamo obbligati a muoverei, per il taglio scelto: propaganda militare e in particolare quella svolta dali 'Esercito e per l 'Esercito. Soltanto per una migliore comprensione della materia abbiamo toccato anche la propagandapolitica, supposto che si possa parlare di due tipologie di propaganda.
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Sorge, quindi, la prima necessità di studiare anche il versante politico della propaganda; che, finora, non ha avuto contributi di largo respiro, perché soltanto marginalmente ne è stata toccata l'organizzazione, o ne sono stati esplorati particolari aspetti, come quello della propaganda alla radio, nelle cartoline, nela stampa, o attraverso il teatro ed il cinema. L'opera di Philip Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, pur valida nelle linee generali, è datata e necessita di ampliamenti e aggiornamenti.
Ma anche gli aspetti relativi alla propaganda militare vanno completati, con contributi analoghi e relativi a quanto accadde presso le altre Forze Armate, Marina, Aeronautica e, in particolare, Milizia. Soltanto in questo modo si potrà avere una visione completa della propaganda e della sua storia, ed avviare una lettura critica sull'argomento.
Quanto all'interrogativo, legittimo perché dovrebbe rispondere alla naturale conclusione dell'opera, se la propaganda militare abbia funzionato o meno durante la seconda guerra mondiale e se i provvedimenti adottati per farla funzionare siano stati efficaci o inutili, ci sembra di aver fornito già qualche risposta nel corso del l 'esposizione. Riassumendo, possiamo affermare che la propaganda fu in gran parte fallimentare negli obiettivi che si era prefissi per la condotta della guerra psicologica, anche se qualche volta furono messi in atto provvedimenti che ebbero effetti positivi sulle truppe.
Qui, però, il discorso si allarga a dismisura. Non è sufficiente infatti, affennare che la propaganda fallì la sua azione, ma bisognerebbe analizzame a fondo i principi che la mossero e i metodi che essa utilizzò, per comprendere i motivi del fallimento. Argomentazioni e riflessioni che devono essere materia di studio e campo d'indagine anche degli esperti in tecniche di comunicazione e degli studiosi di sociologia, e non soltanto dello storico.
Per quanto ne sappiamo, l' m1icolazione della propaganda, le attività teorizzate, gli strumenti utilizzati, alla luce delle conoscenze possedute in materia durante la seconda guerra mondiale, appaiono ben studiati "a tavolino", e quindi, almeno in teoria, nessun addebito potrebbe essere avanzato a coloro che si occuparono della guena psicologica. Gli altri stati belligeranti, sempre a quell'epoca, si rifacevano agli stessi principi inf01matori, utilizzavano le stesse tecniche ed usavano gli stessi mezzi, con fini ovviamente diversi e opposti.
Forse mancò, nella fase di attuazione pratica, quell'aderenza agli avvenimenti che rese inutili i progetti c controproducenti gli strumenti utilizzati. O forse furono gli stessi eventi, in gran parte nefasti per l 'Italia, che resero inefficaci le attività di propaganda.
Certamente- e azzardiamo - non vi fu corrispondenza, adesione dei reccttori dell'azione propagandistica; in altre parole, a rendere in parte fallimentare la propaganda furono gli stessi soggetti ai quali essa intendeva rivolgersi, quelli ai quali era diretta la sua opera di persuasione: i militari. Almeno a partire dalla fine del 1941.
Ipotesi che pot1a a riflessioni ancora più complesse; perché, in definitiva, si tratta di stabilire se la propaganda può essere efficace su soggetti che non sono per niente disponibili a recepirla, ovvero se nessuna propaganda può essere efficace se non vi sono soggetti disponibili e pronti a riceverla. E, per contro, se invece è proprio una cattiva propaganda, malamente condotta, la causa principale che impedisce ai recettori di essere sensibili all'opera di penetrazione psicologica e di persuasione.
Noi non crediamo che la propaganda possa funzionare sempre, anche quando sia ben orchestrata e condotta. Riteniamo, infatti, come abbiamo già sostenuto in più occasioni, che la propaganda funziona soltanto quando altri fattori, da essa indipendenti, predispongono gli individui a riceverla. Riducendo al minimo tali fattori, in estrema sintesi e semplificazione di termini, si può affermare che un soldato, in guerra, è disponibile ad accettare la propaganda quando è sereno e sicuro. Sereno per la sorte dei propri cari, ove per sorte deve intendersi la certezza che i propri congiunti, anche se esposti ai rischi della guerra, siano tutelati in tutte quelle esigenze quotidiane che consentono loro di vivere e sopravvivere. Sicuro di avere alle spalle uno Stato, una Nazione che lo sostenga e che non disconoscerà mai i duri sacrifici che egli, da combattente, sta
sostenendo e sopportando. Uno Stato che, inoltre, al termine del conflitto, oltre ad essere garante di riconoscimenti conquistati e meritati, saprà essere altrettanto implacabile verso quanti sono venuti meno al proprio dovere o hanno tratto illeciti profitti dalla guen a.
La dimostrazione di tale tesi è ricavabile daUa storia stessa della propaganda durante le guerre. Se facciamo un confronto, pur tenendo presenti tutti i "distinguo" del caso, notiamo come, nella l" guen a mondiale, la propaganda fu "accettata" nel 1918, dopo Caporetto, momento in cui i soldati sentirono i propri cari almeno in parte tutelati (ricordiamo, ad esempio, l'istituzione del la polizza dei combattenti, che assicurava ai beneficiari designati dai militari un minimo di sopravvivenza in caso di morte dei contraenti) e avvertirono di avere lo Stato e la Nazione con loro (attraverso il Commissariato Generale di Assistenza e Propaganda, le Opere Federate e la miriade di comitati sorti per assisterli e sostenerli). Grande importanza ebbe, poi, il fatto che i combattenti stessero vivendo il momento più critico di tutta la guerralo abbiamo già scritto -; per paradosso, furono gli avvenimenti stessi ad agire come strumento propagandistico per eccellenza sul morale del soldato.
Nella seconda guen a mondiale questo non accadde, perché, a patti re dali' anno successivo all'entrata in guerra, il combattente restò solo e si sentì tale, abbandonato da uno Stato che non gli offriva sicurezze, di nessun tipo, e da una Nazione che, colpita direttamente dalla guerra, ne aspettava soltanto la fine e niente le importava dei sacrifici e delle preoccupazioni dci propri figli in armi. A poco valsero i provvedimenti di assistenza e benessere messi in atto, provvedimenti che avrebbero dovuto anticipare la propaganda per aprirle la strada, e che si tradussero invece in interventi non mirati c caotiche distribuzioni, a dispetto di ogni tentativo di pianificazione, diventando in molti casi moltiplicatori di situazioni di malessere.
In tale contesto, andrebbe quindi approfondito anche l'aspetto più interiore del combattente: il suo morale. L'analisi sistematica delle relazioni compilate dai Comandi militari, dal.la censura, le stesse lettere scritte dai militari, potrebbero fornire un quadro chiaro ed esauriente sul morale del soldato, di cui è stato possibile dare soltanto accenni. E potrebbe essere forse data una definitiva risposta ad un mistero ancora tutto da chiarire, questo sì un interrogativo che finora non ha trovato spiegazioni, se non di comodo o strumentali: nonostante il fallimento dell'assistenza e della propaganda, nonostante l'abbandono e l'isolamento in cui venne a trovarsi, nei momenti cruciali dei singoli combattimenti, delle battaglie e della guerra nel suo complesso, il soldato italiano tenne sempre alta la sua dignità di combattente, sull'Amba Alagi come a El Alamein, nei Balcani come sul Don, nelle transitorie vittorie come nelle definitive sconfitte.