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Capitolo lV: Italia e fronte interno
Capitolo IV
I tali a e fronte interno
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La definizione di "fronte internd' fu coniata durante la prima guerra mondiale; fu, di fatto, la più efficace "invenzione" propagandistica del conflitto, e di ogni conflitto successivo, perché essa ebbe sulle masse una presa efficacissima.
L'intuizione dei propagandisti, di etichettare come fronte anche quella parte del Paese che pur senza imbracciare le armi partecipava alla guerra, per ottenerne il consenso, l 'adesione ed il coinvolgimento, fu certamente tra le più felici che la storia della guerra psicologica annovera.
Riconoscere ai cittadini senza uniforme importanza e dignità pari a quella dei combattènti, significava infatti accrescerne il morale e potenziarne la resistenza alle fatiche, ai disagi, ai sacrifici, ai lutti. Si otteneva così quella partecipazione globale di tutta la Nazione con tutte le sue risorse, umane e materiali, in una guerra diventata essa stessa ormai totale. Una necessità pratica della guerra moderna quindi, quella del fronte unico interamente coinvolto nel conflitto, ma abilmente rappresentata dalla propaganda come imperativo categorico scaturito dalle coscienze individuali.
La nascita del fronte interno consentiva, inoltre, di raggiungere un secondo fine, non meno importante di quello della partecipazione corale alla guerra. Il sostegno morale, che la "tenuta" del fronte interno poteva offrire ai combattenti, era determinante sullo spirito combattivo delle truppe; nella certezza di avere alle spalle l'appoggio ed il consenso della propria Nazione, che sopportava con convinzione e vigore il peso del conflitto e si adoperava in ogni modo per essere vicina a loro, i soldati erano o diventavano combattenti motivati e determinati. L'intima fusione dei due fronti, in definitiva, faceva sì che l'intero Paese diventasse un blocco granitico contro il nemico, perseguendo l'obiettivo di quell'identità e unità nazionale tanto invocato nell'ottocento e in parte raggiunto attraverso il Risorgimento.
Il fronte interno tenne abbastanza nella prima guerra mondiale, e svolse quindi efficacemente il suo ruolo; agevolato dal fatto che, comunque, esso non fu direttamente e pesantemente coinvolto nei fatti d'armi, fatta eccezione per alcuni radi e limitati bombardamenti aerei, e per l'invasione di un lembo della Patria dopo Caporetto. In altre parole, se il fronte interno tenne nella grande guerra, ciò fu anche dovuto al fatto che esso restò
lontano dal fronte di guerra, in pratica "fisicamente" intoccato, e soltanto "indirettamente" scontò le conseguenze del conflitto, attraverso lutti e disagi.
Nella seconda guerra mondiale la situazione cambiò, complicandosi, soprattutto perché la separazione dei due fronti, interno e di combattimento, non fu netta come in precedenza; anzi, essi finirono con il coincidere. Infatti, la micidialità dell'offesa navale c aerea degli avversari, e la successiva invasione dello stesso territorio nazionale, portarono a diretto contatto i due fronti fino a farli identificare, per cui non fu più possibile tenerne distinti i limiti.
Le attività di assistenza e propaganda, dirette a tenere alto il morale di civili e militari, non poté, quindi, essere più differenziata di molto, tenuto conto che molti obiettivi divennero comuni. Si consideri, ad esempio, che i militari della difesa contraerea e costiera vivevano a stretto contatto di gomito con i cittadini, specialmente nei piccoli centri; che molti italiani non in armi erano inseriti nei medesimi dispositivi difensivi ( come nel caso della difesa contraerea passiva, che fiancheggiava quella attiva ed era affidata ali 'Unione Nazionale Protezione AntiaereaUNPA - le cui squadre erano composte da civili); che in genere civili e militari dividevano ogni tipo di difficoltà quotidiane, proprie dei fronti di guena, come gli allarmi aerei, i bombardamenti, ed il conteggio delle vittime causate dall'offesa nemica.
Restarono, è vero, alcune attività propagandistiche, espressioni tipiche dell'opera svolta dal fronte interno a favore dei com battenti, come era già successo nella prima guerra mondiale, quali la raccolta di materiali e di beni per la confezione di pacchi dono ai combattenti sui vari scacchieri operativi, o l'invio di lettere ai soldati per far loro sentire il sostegno del Paese. Ma, anche in questo caso, lo spirito di tali iniziative fu diverso: se nella grande guerra erano stati soprattutto una miriade di comitati, sorti più o meno spontaneamente e più o meno organizzati per proprio conto, a far sentire la loro solidarietà di fratelli ai soldati al fronte, nella seconda anche tutta l'attività del cosi detto fronte interno furono irreggimentate dal Partito Nazionale Fascista e dalle sue emanazioni. Per cui non sembra che si possa più definire il coinvolgimento del fronte interno come "associazionismo spontaneo", promotore e attore della partecipazione, ma eventualmente si può parlare di adesione e consenso delle masse, più o meno forzate, più o meno consapevoli in varia misura, ad atti orchestrati dal regime. Una risposta, inoltre, ad una sollecitazione avanzata da quasi venti anni di intensa e assordante propaganda del regime fascista, che intendeva trasformare tutto il Paese in un solo corpo armato per la realizzazione di quell'utopia definita "nazione armata", dove tutti erano combattenti e i fronti fusi in uno e soltanto uno.
La commistione di fronte interno e combattente, o di guerra, ebbe come
riflesso una continua, reciproca influenza fra militari e civili, che portò a osmosi di umori. E tale osmosi, invece di avere effetti benefici, fu presto deleteria sul morale dell'intera Nazione; poiché, non essendovi più distinzione e venendo meno quel secondo fine che abbiamo indicato n eli' importantissimo ruolo giocato dal fronte interno a sostegno di quello combattente, accadde che le lamentele di tutti gli italiani, in divisa e non, ovvero dei due fronti, finirono con l'assommarsi in maniera addirittura esponenziale.
Per questi motivi, in Italia diventò necessario unifonnare, fin dove possibile, e far convergere buona parte di tutte le attività propagandistiche, quasi allo stesso modo, sui due tì·onti.
Sappiamo già che in Italia l'opera di assistenza e propaganda fu diretta e svolta, in sostanza, dal Partito e dalle sue organizzazioni, e solo in parte dagli organi di assistenza e propaganda dell'Esercito. Ma èosa succedeva veramente al di là di tali attività, che mettevano in contatto i due fronti, attraverso le case del soldato, i posti ristori, i pacchi clono, le lettere degli alunni ai combattenti, le trasmissioni radio, gli spettacoli cinematografici e teatrali? E quanto vi era eli strumentale in alcune manifestazioni, che apparentemente sembravano finalizzate ali 'unione fra i due fronti? Pensiamo, ad esempio, al fenomeno del madrinaggio di guerra; nella prima guerra mondiale, esso era stato favorito, per il conforto che una presenza femminile, anche se sotto forma di lettera, poteva recare ali' uomo soldato. Nella seconda, invece, il madrinaggio fu perseguito e combattuto, per sospetto opportunismo - sospetto non campato in aria, perché in molti casi fu verificato- di alcune sedicenti madrine; tanto che a partire dal 1941 numerose furono le circolari che prescrissero a Prefetture e Comandi militari di vietare ed eliminare ogni iniziativa in merito. Le corrispondenze firmate da madrine eli guerra furono tolte di corso, come quelle firmate da presunte "sorelle", quando il contenuto delle lettere lasciava arguire che l'appellativo di parentela nascondesse una presunta madrina.
Grava, inoltre, su ogni altra considerazione un pesante interrogativo: se un fronte interno sia mai esistito durante la seconda guerra mondiale, o se esso fu soltanto un'invenzione della propaganda fascista.
L'ipotesi più probabile, o almeno quella che è deducibile dalle ricerche che abbiamo condotto e dagli scarsi contributi disponibili in materia, in realtà avvaJorano l'esistenza di un fronte interno soltanto nel primo anno di guerra, il 1940. Esaminiamo gli avvenimenti e vediamo il perch,é.
Durante l'anno, gli iniziali successi sui fronti operativi (Francia, Africa Settentrionale e Africa Orientale), e la relativa tranquillità sul territorio nazionale (le offese navali e i bo m bardamenti aerei non erano ancora forieri eli gravi lutti, come lo sarebbe stati invece negli anni seguenti, anche se incominciavano a causare vittime),
tenevano abbastanza sereno lo spirito della Nazione ed il consenso alla gueiTa della popolazione era in genere buono, ali.mentato dalla speranza di un conflitto di breve durata e prevedibilmente fausto. L'Italia era ancora per il Duce, le scritte propagandistiche sui muri avevano presa, slogan e discorsi a effetti potevano strombazzare ancora "l'ineluttabile vittoria finale".
Anche se si allontanavano giorno dopo giorno le speranze in una rapida soluzione del contlitto, dissoltesi a fine anno per l'apertura del nuovo fronte in Grecia e per gli infelici avvenimenti in Africa, nessuno poteva ancora immaginare che l'Italia sarebbe uscita dalla guerra dopo cinque anni e con fatali, tragiche conseguenze.
Il fronte interno, in quei frangenti, teneva c resisteva, come attestano le relazioni degli organi di polizia, quelle dci carabinieri, quelle della censura epi l 'assenza, tranne insignificanti e sporadici casi, di manifestazioni collettive di protesta e di attività sovversivè delle organizzazioni e dei partiti politici clandestini dirette a scardinarc il regime fascista, ne era la prova. Le masse non sembravano ancora scalfibili nella loro fiducia verso il potere, i capi militari, l'e ercito.
Anche in ambito militare e tra i soldati la situazione sembrava ancora rosea, almeno per quanti si trovavano all'interno del Paese; il morale era alto, la smobilitazione fatta dopo la guerra contro la Francia - smobil itazione considerata un grave errore da alcuni vertici militari - consentì a molti di ritornare a casa, non erano ancora evidenti e avvertite le cause che porteranno in seguito a gravi fratture ali ' interno della struttura militare; quali, ad esempio, la mancanza di avvicendamenti ai fronti, la spinosa questione delle licenze empre più promesse e sempre meno concesse, il fenomeno degli imboscamenti, la deficitaria assistenza alle famiglie dei combattenti e dei Caduti.
Altri problemi, eli minuta ma importante realtà quotidiana, non se m bravano, al momento, avere incidenza negativa sul fronte interno. Le carenze alimentari non erano ancora gravi, nonostante i razionamenti, e la situazione economica in genere era tenuta sotto controllo, perché il Regime al1 'entrata in guerra aveva bloccato con provvedimenti legislativi quei costi, che più pesano sull'economia di una nazione in gueiTa, avviati alla crescita nel periodo della non belligeranza: prezzi delle merci e dei servizi, canoni, affitti delle case, stipendi e salari.
Né alcuni scellerati provvedimenti e particolari fenomeni, che avrebbero potuto avere deleterie conseguenze e portare a turbamenti nel tessuto social.c (e nei rappotti con quello militare), sembravano avere avuto seri riflessi in tal senso. Ad esempio, le leggi razziali, che ebbero come effetto gravi discriminazioni sia tra i civili sia tra i militari- molti ufficiali furono epurati-, furono applicate all'"italiana", per cui gli ebrei in Italia non subirono, almeno fino al 1943, atroci con eguenze a causa di quelle leggi e potettero, pur tra
indiscutibili e gravi difficoltà, sopravvivere. Né il fenomeno degli allogeni, cioè di quei cittadini italiani di etnia diversa (tedesca, slava, ladina ecc.) dava eccessive preoccupazioni alle autorità politiche e militari, poiché le attività anti-italiane erano rade e ancora tenute sotto controllo.
Nell941, invece, l'apparente saldezza del fronte interno, come quella del fronte di guerra, come quella tra fronte interno e fronte di guerra, si sfaldò a causa degli avvenimenti e portò ad una serie di fratture non più sanabili nel Paese tra i civili, tra civili e militari, tra i militari stessi.
Nel Paese, i disagi, le sofferenze, le privazioni, le disparità dei trattamenti, i lutti, le prospettive per molte famiglie di una guerra senza fine che privava gran parte di esse dell'unica fonte di sostentamento, ovvero delle braccia valide dei congiunti alle armi, incrinarono l' idilli<:tca, effimera unità della Nazione che aveva visto masse riunite in esaltate folle oceaniche. l ceti più poveri e diseredati scoprirono, senza però ancora coglierne l 'intimo significato, la lotta di classe attraverso il confronto: "chi ha soldi trova tutto" divenne nel corso d eli' anno l'espressione più ripetuta e generò astio e rancore verso i ricchi. E, maggiormente, verso i nuovi ricchi, versQ quella nuova borghesia che stava accumulando fortune speculando con la guerra. Lo stesso significato assumevano altre frasi, riferite all'impossibiltà di procurarsi generi indispensabili, come il latte per i più piccoli o il pane quotidiano per i più indigenti.
Ma non fu solo la costatazione di una diversità prodotta da sperequazioni economiche che portò ad atti di ribellione. Nel momento in cui alcuni, sotto gli occhi di tutti, sciupavano e sprecavano, mentre moltissimi erano afflitti dalla continua riduzione del già magro sostentamento, in particolare della razione di pane; nel momento in cui si scoprivano gli imboscamenti e gli accumuli illegali, gli accaparramenti, le irregolari distribuzioni dei generi tesserati, le file sempre più lunghe davanti a negozi sempre più vuoti, avvenne che la ribell.ione si trasferì sul piano ideologico e politico intaccando lo Stato, i suoi rappresentanti, le sue istituzioni. Capo del Governo, Partito, e gerarchi diventarono l'obiettivo di accuse senza mezzi termini. Scomparsa la fiducia generalizzata nel Duce, questi divenne bersaglio di molte violente invettive.
Invettive giustificate, perché- a parte le considerazioni generali - alcune decisioni prese da Mussolini, anche se al tempo non furono note, oggi fanno riflettere molto. Tanto per citan1e alcune, nessun commento il Duce appose, nel mese di aprile, ad un appunto che gli faceva presente come, su due milioni di italiani mobilitati in quell'anno, quasi la metà godesse di esoneri, comandi o impieghi presso le industrie. Eppure egli ben sapeva quanti malumori il problema degli esoneri sollevasse tra combattenti e non, e come esso fosse motivo di rancore
generalizzato verso i vertici politici e militari. Nel mese di giugno, sempre del 1941, con inspiegabile "ritrosia" egli non volle che sulle cartoline in franchigia fossero stampate alcune delle sue frasi roboanti, che secondo l 'Ufficio Propaganda potevano essere di incitamento ai cittadini e ai soldati; a settembre disse di no alla spesa preventivata in 20 milioni per la confezione di 200.000 pacchi doni natalizi per i prigionieri di guerra italiani, costringendo i familiari a ulteriori privazioni.
La diversità di classe che si andava affermando, e che aveva ali' epoca prodotto come risultato anche una diversità culturale, si espresse anche negli atteggiamenti assunti di fronte alla guerra. I poveri, ignoranti, si sentirono impotenti di fronte agli avvenimenti e alternarono momenti di ribellione a fasi di depressione e di fatalistica rassegnazione; i ricchi, colti perché gli unici a potersi permettere gli studi, ostentarono disinteresse, indifferenza, o protervia, come nel caso degli studenti universitari, che nelle Università pretendevano la promozione agli esami (il 18 politico anti-litteram) e nelle caserme reclamavano posizioni di privilegio.
La frattura fra il Paese e i militari diventò altrettanto profonda; i combattenti avvertirono un disinteresse generalizzato per la loro sorte e per i loro familiari. L'avvertirono nell'atteggiamento delle istituzioni, che al di là delle dichiarazioni di principio non riuscivano a risolvere i problemi più minuti, come quello della carente assistenza ai familiari; nei ritardi con cui veniva segnalata la propria sorte (genitori e mogli apprendevano dai giornali di congiunti feriti o morti in combattimento, e non dall'Ufficio N o tizie); nell'indifferenza che li circondava quando rientravano al paese per brevi licenze e annotavano che i loro sacrifici non interessavano nessuno; negli egoismi, nell'ipocrisia c nella cupidigia di quanti restavano a casa e godevano di privilegi, esonerati dalle fatiche della guerra magari per essere ricorsi a imbrogli.
Nella mente semplice della massa dei soldati, diventava insistente e lancinante il pensiero che fascisti e signori restavano a casa, mentre i l peso della guerra era sopportato sempre più dai poveri; i gerarchi furono dipinti nelle loro lettere come cupi profittatori, da trattare soltanto con il plotone di esecuzione. Migliore sorte non meritavano i funzionari dello Stato, che ponevano ostacoli burocratici ai miseri sussidi spettanti di diritto ai familiari dei soldati; familiari sempre più affamati dalla guena e rimasti da soli a combattere con la propria miseria sul fronte della sopravvivenza.
Un distacco fra Stato, cittadini e militari, che denunciava come, fatta eccezione per le manifestazioni esteriori delle organizzazioni del Partito a favore dei combattenti, il sostegno del fronte interno fosse effimero; una frattura che raggiungerà l'apice quando, sfaldatosi completamente ogni parvenza di fronte interno, saranno gli stessi
parenti, amici, paesani a sollecitare ai combattenti il "chi ve lo fa fare". Una situazione che alla fine del 1942 diventerà ineversibile.
La mancanza dell'intima fusione necessaria a far "di cittadini e soldati un esercito solo", indusse il Comando Supremo, ai primi del 1943, a scrivere al Duce: " ... Se al quadro complessivo della situazione militare si aggiunge quella non meno grave della situazione all'interno del Paese, sorgono forti dubbi sulla capacità di resistenza della Nazione. l n modo particolare, le popolazioni soggette ai bombardamenti aerei. e sono quelle delle &randi città, sopportano con ma/celata rassegnazione i pericoli e i disagi ... La conclusione è dolorosamente grave. La capacità di resistenza nostra è assai debole O[?gi e lo sarà ancor di pii) domani ... ".
E ancora, sempre a proposito del consenso e delle capacità di sostegno e di tenuta del fronte interno, prendendo a spunto quello che il Paese aveva espresso per l 'Esercito nella grande guerra: '' ... Gli italiani non mancano di patriottismo, ma non si può pretendere che essi reggano oltre un certo Limite quando le speranze in un epilogo vittorioso della guerra vanno di giorno in giorno sempre pitì affievolendosi. Se dopo Caporetto l' l t alia si raccolse attorno al suo Re con una sola voce e gridò la sua volontà di resistere ad ogni costo, è perché Caporetto rappresentava il primo ed unico scacco militare della guerra e perché lajiducia si poteva vestire di panni reali e non di illusioni. Soprattutto, l' Italia non era scossa dalla guerra aerea. l l combattente o&gi non vive più tranquillo e non può compiere in piena serenità il proprio dovere di soldato perché è assillato dal pensiero che i propri cari sono come lui e più di lui esposti a mortale pericolo. E al combattente non può oggi più giungere l'incitamento alla lotta dai familiari che sono anche essi sulla linea del fuoco ... ".
E come fossero pericolose le influenze del fronte interno sui militari è dimostrato dall'esigenza sentita dali 'Ufficio Stampa c Assistenza di diramare due circolari in proposito: '' .. .l rapporti fraterni ed a,ffettuosi che. per una pii) intima j itsione di tutte le forze nazionali, devono intercorrere fra i reparti e le popolazioni civili, esigono la p iù vigile attenzione da parte dei comandanti. È ovl'iO che il tono morale di una popolazione si ripercuote ine\•itabilmente in quei reparti che, per esigenze militari, si trovano a vivere con essa in quotidiano contatto; e come può giovare al tono morale delle truppe la dimestichezza con una popolazione permeata da fervidi sentimenti di italianità e da una ferma volontà di resistenza e di vittoria, così potrebbe riuscire dannosa /' di un ambiente civile nel quale si siano inji'ltrati elementi di decomposizione morale ... Se esistono settori di "depressione", in questi i contatti con La popolazione civile siano ridotti al m muno ... " .
Una crisi altrettanto profonda si verificò all'intemo della stessa
istituzione militare. Nel Paese, le reclute chiamate alle armi dopo il primo anno di gueiTa si mostravano sempre più fiacche, svogliate, indisciplinate, tanto che fu necessario istituire anche presso i depositi un servizio assistenza e propaganda. Molti giovani ricon-evano a iutti gli espedienti per imboscarsi o per evitare il servizio militare; frequenti diventarono i casi di autolesioni mo attuati, ad esempio, con l 'estirpazione dei denti per sfuggire alla chiamata alle anni. Scarsamente sentito era l'amor di Patria, proprio in quelle classi che erano state allevate ed educate nel mito della Nazione dal fascismo. Le voci sulla qualità delle reclute, ingigantite da "radio fante" e trasmesse ai fronti, fece nascere nei veterani profondo malumore, perché essi videro allontanarsi sempre più i tanto desiderati avvicendamenti.
I richiamati, che pure avevano vissuto momenti di esaltazione eroica con la conquista del l 'Impero, si rivelarono altrettanto indisciplinati, soprattutto perché lasciavano le proprie famiglie in situazioni precarie e di pericolo; e si lamentavano di tutto, per la disparità di trattamento economico, legato al corpo cui venivano assegnati, il rancio, per l 'uniforme, per l 'equipaggiamento, per gli accantonamenti.
In continuazione fu . tigmatizzato lo stato di rilassamento delle truppe presidiarie e territoriali, e di quelle in genere dislocate in Italia. Una situazione deplorevole alla fine notata anche dagli stessi soldati provenienti dai fronti operativi; scrivevano i carabinieri di Firenze nel 1943: " .. .!ree/uri dai ''ari fl'onti ed i militari che vengono in licen:a da scacchieri operatiri hanno un eridente maggiore spirito guerriero e non fanno mistero de floro disappunto nel rilevare in territorio poco spirito militare, tenden:a generale a lasciar correre e nel constatare che la qualifica di combattente è stata estesa anche a \'arie categorie di militari che assoh·o1w le loro fun:ioni in Paese senza correre rischi e.flettivi ... " .
Una sperequazione così assurda, quest'ultima, e mai sanata, tanto che in molti casi ancora oggi trova inagionevoli ripercussioni nell'applicazione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale che hanno raggiunto la pensione.
Sui fronti operativi, dove nonostante tutto i soldati ancora resistevano e pesantemente subivano l 'andamento della guerra, la crisi diventò pericolosissima, poiché portò a fratture tra i capi militari e i quadri, all'interno dei quadri, e tra questi e le truppe.
I quadri vissero momenti di frustazione quando si sentirono impotenti a contrastare le offese nemiche; e rivolsero la loro rabbia sui capi che, con circolari minacciose contro chi non avesse fatto il proprio dovere, sembravano voler addossare a presunte incapacità dei comandanti minori la causa delle sconfitte: addebiti pretcstuosi. poiché i comandanti delle unità avevano segnalato in svariate c ripetute occasioni l'oggettiva impossibilità di combattere, di reagire, di contrastare l'avversario per
l'inadeguatezza degli equipaggiamenti, degli armamenti, dei mezzi disponibili. Neanche i rapporti fra gli tessi quadri erano buoni, per la disparità di trattamento economico e per la sperequazione nelle carriere, alcune volte favorite dalle conoscenze "giuste".
Le truppe a loro volta si ritrovarono in conflitto con i quadri; perché, ad esempio, ubivano talora trattamento diverso negli accantonamenti e nella confezione del rancio, nutrivano sensi di incomprensione derivanti da promesse non mantenute, vedevano giungere ai fronti ufficiali sempre più giovani e impreparati, avvertivano spesso disinteresse verso di loro.
Una situazione di fratture fra esercito e nazione, nell'esercito c nella nazione, che abbiamo definita, nel 1942, irrimediabile. Un 'apologetica opera di Paolo Sammarco, edita in quell'anno e dedicata al fronte interno, alla necessità di simbiosi con i fronti di guerra e alla grandezza dei risultati raggiungibili con tale armonia, risulta alla luce dei documenti quanto di più spudoratamente retorico sia stato mai scritto in materia, ai fini della propaganda.
La comunione dei fronti fu, quindi, soltanto strombazzata dalla propaganda, ma fu fallimentare; al contrario, si verificarono alcune situazioni assurde e ridicole. La propaganda, infatti, in alcuni casi fu incapace perfino di "propagandare " se stessa e finì per frustare le stesse iniziative, individuali o collettive, avviate a favore dei combattenti. Scriveva la terza classe femminile dcii 'Istituto Magistrale di ....., Pisa al Ministero della Guerra, nel novembre 1942, di aver confezionato 30 pacchi con oggetti di cancelJcria per la scrittura, libri, riviste, sigarette, dolci, indumenti di l.ana, per inviarli a soldati: ma non sapeva come procedere per.farlì giungere a destina::ione. E quello di Pisa non fu un caso isolato.
Un altro particolare problema ebbe risvolti negativi nei rapporti tra civili e militari: quello dei connazionali residenti all'estero chiamati alle armi. È da premettere che gli emigrati, e i loro figli, avevano in genere una visione abbastanza aulica della Nazione e forti sentimenti di amor patrio, non fosse altro per la "nostalgia" che sempre ha preso gli italiani ali 'estero. Il Gabinetto Guerra ebbe a scrivere, invece, nel dicembre 1942, che essi erano spesso sfavorevolmente prevenuti nei confronti del paese e dell'esercito, per i disagi morali e materiali che avevano dovuto sopportare in Patria e per le pressioni della propaganda anti-italiana che avevano subito all'estero. Ma, in effetti, le cause delle riottosità dei connazionali ali' estero erano spesso riconducibili più al trattamento loro riservato al rientro in Italia, che ai disagi e alle prevenzioni presuppo te. Lo stesso documento in questione, infatti, nel proseguire, ordinava di riservare ai connazionali rientrati dall'estero le massime cure e attenzioni possibili, e segnalava una lunga lettera di un emigrato, arruolatosi spontaneamente, che ben spiegava i motivi dei malumori di quanti rientravano in Patria per indossare
l 'uniforme. Vale la pena di riportare alcuni passi, i più significativi, della lettera: " ... Sono esattamente quattro mesi che io ho /'onore di servire sotto la bandiera tricolore. E mi è penoso, ma necessario. c011fessare che questi quattro mesi non furono che sofferenze e delusioni. La mia grande delusione fu il giorno sresso del mio arrivo al Distretto Militare ... i nos!J·i camerati non ci chiamano con i nostri nomi, ma il francese. il tedesco, svi:zero, belga ecc. Allora a me. che ho tanto lottato per l'onore del mio paese, che spesso negli ambienti comunisti e contrari al paese ho sostenuto contro chiunque la terra dei miei parenti, rincrescono certe paroLe: devo confessare che in certi momenli non desidero più 1·edere il paese al quale ho tanto sognato.
Permettete vi di citarvi una fì"ase di uno dei nostri per quelli dell'estero, punizione doppia, perché non sappiamo quali senthnenti ahhiano ... A l'rei ancora molte cose da lagnarmi: ma io mi contento di terminare dicendovi che non sarà colpa mia se un giorno rinnegherò il mio paese, poiché fino ad oggi si è fatto di tutto per uccidere in me r amore patrio, che non domandava che amare il suo paese e servir/o, a condizione di essere sostenuto e incoraggiato nella 11ia del bene e dell' onore ... Noi non domandiamo che di d .,, paese, ere etenu. . amare il nostro
Un ultimo accenno merita, infine, il progressivo sviluppo, durante i tre anni di guerra, della propaganda sovversiva e comunista. Anche se essa non ebbe, almeno fino alla primavera del 1943, effetti concreti sulla maggioranza dei civili e non influenzò per niente, o in misura non rilevabile, i militari. Fino al 1941 , le organizzazioni politiche clandestine avverse al regime fascista non avevano trovato terreno fertile per svolgere attività di rilievo, anche perché difficilmente avrebbero potuto scalfire il consenso esistente. Fu a partire da quell 'anno, prima in ordina c poi via via in misura maggiore, che esse avvi.arono azioni di propaganda attraverso manifestini, scritte sui muri, giornali editi alla macchia, opuscoli, i cui testi furono diretti, in successione, contro il fascismo e i fascisti, contro la monarchia, contro i tedeschi, e solo all'ultimo contro i vertici militari.
Ma mai invettive furono rivolte contro le truppe in senso stretto, poiché la propaganda "contro" fu diretta da un lato a svolgere opera disfattista mettendo i soldati contro gli ufficiali e i capi e invitando a deporre le armi, dall'altro a cercare adesioni tra i soldati e la stessa u[Ticialità. I vertici militari non ebbero comunque di che preoccuparsi eccessivamente per tali forme di propaganda, se non nel l943. Furono, piuttosto, forme di proteste spontanee e non politicizzate, avanzate soprattutto da gruppi di donne in numerose città d'Italia, a tenere all'erta le autorità militari locali e gli organi di polizia.
Sempre più frequenti, a partire dal 1942, erano stati infatti i cortei di
italiane che avevano tentato assalti ai forni alla ricerca di pane, o a negozi per la mancanza di generi alimentari di prima necessità. Oppure, a protestare violentemente presso le autorità locali, assalendo in qualche caso gli uffici dei comuni, per l 'indigenza in cui versavano le loro famiglie; o ad avanzare in prima fila nelle fabbriche, alla testa di cortei, per reclamare migliori trattamenti e aumenti dei magri salari percepiti.
Fu soltanto nel 1943 che le attività politiche contro il regime destarono preoccupazioni; in quel l 'anno infatti, numerose furono le circolari che trattarono i l problema della propaganda comunista e disfattista, e delle manifestazioni sovversive. A gennaio, lo Stato Maggiore R. Esercito, con una lettera riservata a firma di Ambrosio diretta ai comandanti di Armata e Corpo d'Armata, metteva in guardia del pericolo e disponeva provvedimenti contro quel tipo di propaganda. Dopo aver premesso che presso gli altri Stati svariate iniziative anti-governative erano state messe in atto presso la forze armate (sfruttamento delle correnti pacifiste, stanchezza della lunga permanenza alle armi, incitamenti a rivendicazioni sociali, diffusione di idee a carattere rivoluzionario) e che, comunque, nulla di simile era stato ancora egnalato fra i soldati italiani, il documento avvertiva che sarebbe stato "imperdonabile errore cullarsi nella rosea speranza che la propaganda comunista non voglia almeno tentare di sparf?ere il suo seme anche fra le nostre truppe.,. Si sottolineava inoltre che l'azione di propaganda avrebbe potuto trovare facile presa sull'indole honaria del soldato italiano, in territorio nazionale specialmente, dove esso prestava servizio nelle zone di provenienza o nella stessa località di nascita, frammisto alla popolazione civile, nella quale si celavano agitatori politici. All'estero, i l pericolo esisteva maggiormente in quei territori occupati largamente inquinati da elementi sovversivi, tra i quali agivano anche emigrati e fuorusciti italiani.
Accorta doveva essere l'opera di prevenzione dei superiori diretti e degli organi di assistenza e propaganda, vigile l'attenzione per evitare che i soldati abboccassero au· amo di propagandisti particolarmente attivi e intelligenti. Pertanto, il capo di stato maggiore di ogni grande unità, coadiuvato da un ufficiale scelto per l 'esigenza, doveva assumere in prima persona l 'onere della direzione dell'azione anticomunista e antidisfatti sta, coordinando apposi te iniziative tra ufficio informazione, ufficio assistenza e comando carabinieri, preparando elementi di assoluta fiducia e provata intelligenza perché fungessero da esca per i propagandisti, tenendo contatti con le autorità locali per gli opportuni scambi d'informazione e concorsi. Veniva suggerito, infine, di utilizzare per l'esigenza i militari reduci dalla Russia, particolarmente idonei a
svolgere propaganda ideologica e contropropaganda, per i forti sentimenti anticomunisti maturati e dimostrati dopo l' odissea vissuta su quel fronte.
A marzo seguiva una infonnativa dell'Ispettorato Generale di Polizia per i Servizi di Guerra, organo dello Stato Maggiore R. Esercito, che avvertiva come l'andamento invernale sfavorevole della guerra avesse risvegliato la propaganda sovversiva, specialmente nei vari centri industria] i del nord Italia e negli stabilimenti di produzione bellica. Risultava che il partito comunista avesse impartito specifiche istruzioni in materia, specialmente per la propaganda da sviluppare fra le masse operaie c fra i soldati, e che stesse tentando accordi con gli altri partiti, con le correnti pacifiste, con i socialisti, con i cattolici, e infine con i monarchici e gli stessi fascisti dissidenti, per creare un unico fronte. Al fine di concertare un'azione progressiva che, partendo dalla richiesta di miglioramenti economici, atTivasse a provocare manifestazioni di massa contro la guen·a c a richieste di pace immediata.
Nelle intenzioni degli agitatori comunisti, particolé:llmente curato doveva essere il lavoro preparatorio presso truppa e ufficiali, per la co tituzione di nuclei atmati al servizio della rivoluzione. Secondo l'infom1ativa, la dimostrazione a Torino d eli' 8 marzo 1943 era stata una specie di prova generale. Da mettere in conto, unitamente al risveglio delle manifestazioni sovversive, erano anche le numerose altre manifestazioni avvenute in stabilimenti industriali, e lo spirito pubblico ormai apertamente "diffidente" verso il regime.
A giugno e a luglio ulteriori disposizioni venivano date per maggiori controlli e per un migliore coordinamento con le forze di poLizia; venivano inoltre sollecitati i comandanti di qualsiasi livello a non temere eli segnalare eventuali atti di propaganda comunista tra le truppe e a non celarli nel timore di un malinteso senso di inefficienza che poteva essere loro addebitato, perché tacerli sarebbe stato maggiore delitto e chi li avrebbe nascosti ne sarebbe stato ritenuto responsabile.
Le preoccupazioni non ebbero, comunque, riscontri nella realtà; non vi fu presa della propaganda comunista sui militari né segnali di larga adesione. I documenti stilati dalle Armate sull'argomento confermano che, nonostante tutto, truppe e Paese restavano comunque fedeli all'ordine costituito, e che tentativi rivoluzionari erano lontani dal pensiero delle masse. L'attività sovversiva restava un fenomeno elitario a livello ideologico e politico. In particolare, per 1 'Esercito si rivelava veritiero quanto affermato sui soldati in un promemoria del Servizio Informazioni: " .. f inché l'i\'ono al reparto - bene o male- dffficilmente esploderanno in reazioni collettive, e, rarissimamente in quelle singole; come pure si può escludere, almeno .finora, che essi abbiano o
organiz:ino complotti, ccioni disfattire o sovve . " rsive... .
Né l 'attività antifascista, sovversiva, comunista ecc., svolta sui militari, ebbe effetti degni di nota. Succedeva ad esempio, che il più delle volte i soldati consegnassero • a1 pr • opn supe o • non, spontaneamente, volantini e gimnaletti di propaganda comunista, che rinvenivano nei dintorni o dentro le caserme.
L'unico segnale importante, di cui parla lo stesso documento e che va annotato e sottolineato, fu iJ "malcelato antifascismo" diffuso fra gli ufficiali: per la prima volta in un documento militare è possibile cogliere l'atteggiamento dell'ufficialità, in quell'anno, verso i l fascismo.
Maggiormente deleterio fu, invece, la fatalistica rassegnazione che si diffuse nell'Esercito dopo l'invasione della Sicilia, scaturita dali 'impotenza a poter reagire ali' offesa nemica. Rassegnazione aggravata dalla rabbia, poiché soprattutto nei quadri si diffuse la convinzione che le minacce contro chi non avesse fatto il proprio dovere di militare, contenute in alcune circolari, sottintendessero la ricerca di capri espiatori, e non tenessero conto dell'oggettiva impossibilità di reagire, di combattere, di contrastare il nemico, per la carenza di ogni tipo di mezzi c di armamenti.
Quanto al Paese, non resta altro che registrare, laconicamente, la progressiva inerzia del fronte interno e la negativa, deleteria influenza che ebbe sulle truppe, specialmente a partire dal momento in cui ne fu chiara la latitanza.