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Lineamenti storici della propaganda....................................................................... Il Capitolo I: Sinte i degli avvenimenti. Tra storia e propaganda

Capitolo I

Sintesi degli avvenimenti. Tra storia e propaganda

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Alla vigilia della guerra, il 31 marzo 1940, quando ommi era scoccata "l'ora delle decisioni irrevocabili", Mussolini fissava la linea strategica da seguire nell'imminente conflitto, che - a suo dire -il Re Vittorio Emanuele III aveva trovato di una "logica geometrica". E così la esponeva ai suoi capi militari: -difensiva sulle Alpi, e iniziativa " ... solo nel caso a mio avviso improbabile di un completo collasso francese sotto /'attacco tedesco ... "; - attesa in Albania, per adeguare l'azione allo sviluppo degli eventi a nord (Iugoslavia) e a sud (Grecia); - difensiva in Egeo; - difensiva in Libia, sia verso la Tunisia sia verso l'EgittÒ, dove non era più possibile un'offensiva dopo la costituzione dell'esercito di Weygand; - offensiva nell'Impero in direzione di

Cassala, di Gibuti e Berbera.

Difensiva, e qualora necessario, controffensiva sul fronte del Kenia; - azione eventuale contro la Corsica, nella quale comunque dovevano essere preventivamente paralizzati i campi di aviazione; - adeguamento operativo della

R.Aeronautica alle varie ipotesi difensive e offensive supposte e in relazione alle particolari iniziative intraprese dal nemico; - azione a fondo della R.Marina, su tutti i mari, nel Mediterraneo e fuori.

Badoglio, Capo di Stato Maggiore Generale, nel prendere atto delle diretti ve ricevute, e nell'assicurare che gli studi per le operazioni indicate erano stati già avviati o preparati, faceva presente che erano necessari alcuni provvedimenti concreti per integrare i piani operativi predisposti. Ad esempio, occoneva completare la linea difensiva alle frontiere, in particolare quella con la Francia, quelle in Albania e in Libia; quanto ali 'Impero, un'offensiva avrebbe richiesto la messa in efficienza di tutte le forze armate colà esistenti, poiché ne erano note le gravi deficienze. L'azione contro la Corsica, infine, era stata sì studiata, anche dalla Marina, ma era ancora da esaminare e da approvare.

In sostanza, la situazione era identica a quella del maggio dell'anno precedente, quando erano state fatte le sceJ te di campo ed era stato affrontato il problema della preparazione alla inevitabile guerra tra potenze "plutocratiche" e potenze "povere".

E se in un primo tempo era stato preventivato che l'Italia, al fine di completare la propria preparazione, non sarebbe potuta entrare in guerra prima del 1943, i fatti di Danzica dell'agosto 1939, gli inaspettati, continui,

sorprendenti successi ottenuti dalla Germania fino al maggio del 1940, in Polonia, Olanda, Belgio, Danimarca e Norvegia - uniti a quelli che si andavano profilando in Francia convinsero Mussolini a riunire il 29 maggio a Palazzo Venezia i vertici militari (Badoglio, Graziani, Cavagnari e Pricolo), per comunicare loro che, a partire dal 5 giugno, tutti i giorni potevano essere buoni per entrare in scena.

A dispetto del fatto che, in precedenza e ripetutamente, fossero state avanzate riserve da gran parte di quegli stessi vertici militari convocati alla riunione, sull'efficienza dello strumento militare disponibile, e sulle precarie condizioni delle opere, degli armamenti, degli equipaggiamenti, de !l'addestramento, degli organici.

Di fronte al perentorio atteggiamento assunto dal Duce nel corso della riunione, sul fatto che la situazione non consentisse più ulteriori indugi, nessuno avanzò serie resistenze. Mussolini, benché fosse costretto ad ammettere che le condizioni, specialmente quelle del! 'Esercito, non fossero ideali per una partecipazione alla guerra, le riteneva comunque soddisfacenti per poter intervenire. Anche perché ulteriori ritardi non solo non avrebbero consentito di migliorare la situazione generale, ma avrebbero dato ali' alleato tedesco l'impressione che si volesse giungere sul campo di battaglia a cose fatte.

Il Duce concludeva con questa sua particolare considerazione la riunione, chiudendo con un'affermazione finale che si sarebbe rivelata amaramente profetica nel giudizio dei francesi e della storia: proclamava infatti di "non essere , nel nostro costume morale. colpire un uomo che sta per cadere".

Facendosi interprete anche del pensiero dcii 'intera Nazione, al fine di avvalorare (e di giustificare?) il suo operato, Mussolini proclamava la disponibilità dcgl i italiani alla guena: "Per quel che riguarda la situazione del popolo italiano. di cui hisogna tener conto. dico: il popolo italiano, sino al primo di maggio, temew1 di andare in guerra troppo presto e tendeva ad allontanare questa e1•entualità. Ciò è comprensibile. Ora due sentimenti agitano il popolo italiano : primo. il timore di arrivare troppo tardi in una situa:ione che svaluti il nostro inten•ento; secondo, un certo stimolo alla emula:ione, di potersi lanciare col paracadute, sparare contro i carri armati ecc. Questa è una cosa che cifa piacere perché dimostra che la stofla della quale è formato il popolo italiano è soda".

Almeno in questo, il Capo del Govemo sembrava, al momento, di aver ragione; le sue deduzioni erano basate verosimilmente sui rapporti informativi che gli provenivano dalle varie fonti politiche e militari, non ultime quelle ricavate dal.le relazioni della censura epistolare, che riteniamo le piLt importanti per determinare lo stato d'animo del popolo e dei combattenti. A leggere tali documenti, infatti, sembrava che la stragrande maggioranza della

Nazione avesse un morale altissimo, nutrisse fiducia nelle iniziative del Duce, fosse pronta ad accettare una guena imminente perché ritenuta necessaria, riponesse stima nei capi militari.

Qualche dubbio veniva avanzato sugli inevitabili riflessi che la guerra avrebbe avuto sulle già difficili condizioni finanziarie ed economiche della Nazione: ma il prevedibile sacrificio sembrava accettato come male fatale e necessario, alla pari dei dolorosi costi in perdite umane che un conflitto avrebbe ineluttabilmente portato con sé.

Probabilmente, nelle masse era ancora vivo il ricordo della vittoriosa campagna in Etiopia, che aveva avuto costi, ma anche ricavi, almeno nell'immaginario collettivo. Ricordo al quale si assommavano le inarrestabili vittorie della Germania, che pertanto offriva certe garanzie come alleata. Il favorevole clima, ip definitiva, alimentava ogni speranza per ulteriori vittorie, che avrebbero avuto positivi ritorni, in termini di prestigio e sul piano economico, per l 'Italia ed il suo Impero.

Ma, ancora di più, sullo stato d'animo del popol.o ita.liano e sul consenso dato, dovette pesare più di tutto la ingannevole, illusoria certezza di una guerra di breve durata. Una convinzione questa, largamente diffusa, nei vertici al potere come nell'ultimo dei cittadini, avallata anche dalla propaganda.

Non fu difficile, quindi, per il Duce affacciarsi a Piazza Venezia e proclamare davanti alla solita folla oceani ca l'ora dei destini, dichiarando guerra alla Francia e alla Gran Bretagna.

Quella dichiarazione, sul piano militare, metteva subito in luce il primo, assurdo paradosso strategico di Mussolini: egli, infatti, entrava in conflitto sulla base di un piano strategico che prevedeva in gran parte un atteggiamento difensivo e di attesa, quando invece sarebbe stato opportuno assumere subito l'iniziativa, almeno sul fronte occidentale e nel teatro d'operazione africano; dove, specialmente in quest'ultimo, come annota opportunamente Luigi Goglia in un suo contributo, si potevano condurre operazioni di non grande costo, che potevano essere affidate a esperti comandanti coloniali, conoscitori del terreno e delle popolazioni locali, sfruttando a pieno le caratteristiche di aggressività e mobilità delle truppe indigene inquadrate nel nostro Esercito.

Le forze italiane finirono, così, per subire le prime azioni belliche proprio dalle due Nazioni alle quali il Duce aveva dichiarato guerra, dimenticando che una guerra è fatta di azioni violente condotte dallo strumento militare, e non da mere dichiarazioni di "principio": le guerre si fanno - piaccia o meno - con le armi e la parola, al più, se utilizzata acl arte, può diventare un utile ed efficiente supporto.

Non sarebbero servite neanche le accondiscendenti affermazioni del Maresciallo Graziani che, in risposta ai timidi accenni alla impreparazione militare avanzati dai partecipanti alla

riunione del 5 giugno, così suonavano: "quando il cannone sparerà, tutto si sistemerà automaticamente''. Il cannone tuonerà di n a pochi giorni, ma le cose non si sarebbero sistemate affatto, e sol.tanto illusoriamente sarebbero andate, per breve tempo, nella direzione desiderata.

Fronte Occidentale.

"Sei entrato in terra di Francia sen:a sparare un colpo di jitòle. A nessun cannone è stata tolta la cuffia di volata, e nessun aereo ha volato nel cielo. Le strade si sono aperte davanti sen:a interru:ioni, sen:a sharramenti, sen:a

Così recitava, in apertura, un opuscolo di propaganda edito dalla 4" Armata nel 1943; pubblicato tardivamente, quando gli eventi ormai precipitavano, esso aveva il fine eli mettere in guardia, eli destare l 'attenzione dei soldati perché fossero sempre vigili.

La chiosa iniziale, quindi, attesta quanto la propaganda fosse venuta meno ad uno dei suoi principali canoni: quella di essere aderente alla realtà c di costruire comunque su fatti concreti, possibilmente veritieri, i messaggi da comunicare, specialmente nei momenti difficili, come potevano essere quelli dell'inizio del 1943, quando ormai gravavano nell'animo di molti pesanti dubbi su !l'esito favorevole della guetTa.

La campagna al fronte occidentale non era stata, infatti, una passeggiata come l'opuscolo cercava di accreditare. I pochi giorni di combattimento contro la Francia- le operazioni erano iniziate l' Il giugno cd erano terminate il 25, dopo 14 giorni - erano costati ali 'Esercito 4.879 uomini in perdite (665 morti, 2590 feriti, 670 dispersi, 954 congelati). Costi elevati, se si considera che i combattimenti veri e propri si erano esauriti nel giro di pochi giorni deUa già breve campagna (21-24 giugno).

Gli scontri, infatti, erano avvenuti principalmente in uno dei più difficili teatri eli guerra, quello di montagna; ed alle asperità del terreno, che oltre ad essere naturalmente fortificato era disseminato eli opere e fortificazioni permanenti e campali francesi, si erano assommate le difficoltà derivate dalle proibitive condizioni meteorologiche di quei giorni. Senza contare le generiche deficienze già menzionate sulla preparazione militare, quali i limiti dell'addestramento, dell' annamento, dell'equipaggiamento; e, fallo più importante, fu determinante sulla condotta della lotta l 'improvvisazione della manovra, che dovette essere adeguata al momento, per il passaggio repentino dello strumento militare da uno schieramento difensivo a quello offensivo.

L'attacco ebbe inizio, infatti, il 21 e 22 giugno, quando soltanto una parte delle artiglierie aveva raggiunto le nuove posizioni e le fanterie erano già stanche, a causa delle marce compiute per assumere il nuovo schieramento. Le principali azioni furono sviluppate dal

Gruppo di Annate Ovest (l", 4" e 7" Armata) al Piccolo S.Bernardo, al Moncenisio, al Passo della Maddalena e sulla Riviera.

Le truppe francesi che gli italiani si trovarono di fronte, inoltre, non si mostrarono così scosse come poteva far pensare la pesante sconfitta che esse stavano subendo ad opera dei tedeschi; al contrario, l' Armée des Alpes, contrapposta alle unità del Gruppo di Armate Ovest, dimostrò notevoli capacità combattive, anche grazie al reclutamento regionale, che motivava fortemente gli uomini di cui era composta.

Al termine dei combattimenti, il Nucleo dello Stato Maggiore R.Esercito, distaccato presso il Gruppo di Armate Ovest, in un promemoria del 6 luglio diretto all'Ufficio Operazioni, segnalò tutte le manchevolezze riscontrate o raccolte presso le unità di l a schiera che avevano sostenuto' i principali combattimenti: la reazione del nemico era stata violenta e precisa, specialmente quella degli elementi a presidio delle fortificazioni, e si era addirittura intensificata il giorno precedente l 'armistizio; gli effetti delle artiglierie italiane erano stati complessivamente modesti, come quelli dei bombardamenti aerei contro le opere campali avversarie; più efficaci dei tiri d'artiglieria e dei bombardamenti aerei si erano rilevati gli attacchi diretti e le manovre di aggiramento delle truppe; i rifornimenti erano stati difficili, come lo sgombero dei feriti, tanto che in alcune località era stato necessario ricorrere alle prestazioni di portatori civili; l'equipaggiamento era risultato inadeguato; in particolare le scarpe, qualitativamente scadenti, erano state la causa principale di numerosi congelamenti. Benché, infine, lo spirito delle truppe era stato e continuava a mantenersi alto, tra i soldati grandi proteste si erano levate contro l'inefficienza del servizio postale, che aveva reso instabile e saltuario il legame affettivo, rappresentato dalla corrispondenza, con parenti ed amici.

Una campagna, quella condotta al fronte occidentale, non proprio epica, tanto che la Commissione Militare Consultiva Unica, istituita per esaminare le proposte di ricompense al valor militare alle bandiere di alcuni reparti, fu cauta e parsimoniosa nelle concessioni: infatti, dopo aver esaminato le relazioni dei fatti d'anni, ridusse 6 proposte di medaglie al valore a più modeste croci eli guerra ed espresse parere contrario per altre 26 proposte di concessione.

Più generosa fu la commissione nelle concessioni al valor militare individuali: 13 medaglie d'oro di cui 12 alla memoria, 165 medaglie d'argento eli cui 95 alla memoria, 294 medaglie di bronzo di cui 54 alla memoria, 603 croci di guerra di cui 18 alla memoria, a testimonianza che il soldato italiano aveva supplito con il proprio valore alle incapacità militari dei vertici. Una storia che si ripeterà su tutti i fronti.

Durante la campagna al fronte occidentale, non solo gli italiani in uniforme, ma anche quelli che non la indossavano, i comuni cittadini, conobbero subito i lutti della guena portata in casa. Nella stessa notte dell' 11 giugno Torino conosceva in anteprima la tragedia dei bombardamenti aerei e contava le prime vittime, 15 morti e 38 feriti; mentre altre città, come Milano, apprendevano dal suono delle sirene che da quel momento sarebbero cessate le teatrali esercitazioni di sfollamento e di addestramento antiaereo dell 'UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea); e sarebbero incominciate, invece, le drammatiche paurose attese e le frenetiche corse nei rifugi per pone in salvo la pelle. Genova, infine, l'antica repubblica marinara, subiva l'onta di una dura offesa portata dal mare da un bombardamento navale.

Da annotare anche i notevoli disagi sopportati dalle popolazioni residenti lungo la linea di confine, teatro della guerra; esse furono infaui costrette ad evacuare le proprie case, molte delle quali ritrovarono distrutte quando, al termine dei combattimenti, potettero ritornare.

Nonostante, comunque, i bombardamenti, i lutti, i disagi e le rovine subite, e nonostante la campagna d'odio condotta dalla propaganda per giustificare la guerra contro i francesi, incentrata sulla necessità di "spezzare le catene" nel Mediterraneo e di salvaguardare le colonie e l'impero, già nel mese di luglio molti italiani, a distanza da un mese appena dal conflitto, mostravano di non serbare rancori verso i "cugini" francesi e di aver perso ogni convinzione sulla necessità di aggredire la Francia.

Sorice, capo di Gabinetto alla Guerra, il 19 luglio scriveva su questo argomento allo Stato Maggiore R. Esercito e ai Comandi di Grande Unità in Francia, segnalando un telegramma inviato dal Duce ai prefetti del Piemonte, della Liguria, della Lombardia, che recitava testualmente: "Mi risulta da varie fonti che va diffondendosi tra popolazione codesta provincia senso di commiserazione per sorti che attendono Francia. Considero tale pietismo come mamfesta:ione di obliquo et bisogna combatterlo con la pùì grande energia in tutti gli ambienti, in tutte le gerarchie, in ogni circostanza.

Primo- Francia ha \'oluto la guerra. Secondo -In caso di l'ittoria francese l'Italia sarebbe stata umiliata. mutilata nelle metropoli, depredata in Africa. Terzo - A!feggiamento governatori Impero co/oniale.fi·ancese est quanto mai sospetto et può dare tutte le sorprese. Quarto - La cosiddetta rivoluzione di Petain est sino ad oggi un episodio di carattere anuninistrativo elaborato da uomini del vecchio regime. Est quindi un dovere assoluto stroncare questa pietista sia pure talvolta fatta in sordina, perché non si può decentemente nutrire nessuna pietà per coloro che non ne avrebbero avuta nessuna per noi. Spero di essere letto anche fra le riga: " .

Ost11i si rivelarono, in effetti, i francesi

verso gli italiani, sia per la dichiarazione di guerra e per l'invasione subita dagli italiani, che sempre considerarono un tradimento, sia per l'occupazione, che mal sopportarono dal primo momento fino ali 'ultimo giorno. La 4'' Armata, rimasta a presidio del territorio francese occupato, ebbe più volte a segnalare il contegno persecutorio assunto verso i nostli connazionali, residenti nei territori della Francia non sottoposti all'amministrazione italiana. Ostracismo e vessazioni furono messi in atto anche dal Governo di Vichy, teoricamente alleato.

Attiva fu la propaganda degaullista e degli oppositori di Petain, sostenuta dagli inglesi, che teneva vivo in mille modi il sentimento nazionalista dei francesi, con manifestazioni, azioni e provvedimenti, che contrastavano anche con le condizioni di armistizio. Come la chiamata alle armi di giovani nei "Chantiers de Jiunesse" la cui ' costituzione era stàta vietata dalla Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (C.l.A.F.).

Le notevoli difficoltà cui andarono incontro gli italiani in Francia, furono rese possibili anche dal fatto che mancò, in quei tenitori, qualsiasi attività di propaganda che potesse lenire, presso la popolazione civ i le, le ferite provocate dali' occupazione.

Fronte Afi-·ica Settentrionale.

In contemporanea alla campagna delle Alpi Occidentali, un altro fronte di guerra, dove la lotta si sarebbe protratta per tre anni con alterne vicende, si aprì sul suolo africano. Quì gli inglesi presero subito l'iniziativa: a partire dal 12 giugno, con una serie di successive offensive, raggiunsero i dintorni di Bardia. Dai primi scontri, fu subito evidente come la guerra in quel continente si sarebbe sviluppata soprattutto sul fronte dei materiali e degli armamenti. Ad esempio, fu chiaro che i carri leggeri italiani non sarebbero stati in grado di sostenere lo scontro neanche con le autoblindo inglesi: le loro sottili corazzature infatti si rivelarono insufficienti contro i proiettili perforanti delle autoblinde.

L'efficacia dell'esplorazione e della sorpresa, fattori basilari in una guerra di movimento e negli scontri fra unità corazzate (come era prevedibile sarebbe stato lo sviluppo della lotta nelle sterminate distese africane, che rappresentavano l'ambiente ideale per tali combattimenti), veniva così a mancare, a causa dell'inadeguatezza dei mezzi bellici da utilizzare proprio in tali compiti.

Gran peso, più che altrove, avrebbe avuto inoltre, su questo fronte, l'organizzazione logistica sulle sorti del contlitto; perciò fu presto evidente che, al di là degli effimeri successi detem1inati dal moto pendolare delle operazioni, dovuti ora alle capacità dei capi ora al valore delle truppe, la guerra in Africa sarebbe stata principalmente una guerra di convogli, da vincere con il dominio dei cieli ed il possesso dei

mari, per l'alimentazione della battaglia. Una guerra che, alla fine del 1941, poteva dirsi già perduta per gli italo-tedeschi. E con essa, poteva considerarsi perduto già da allora anche i l fronte africano. l tre anni di guerra si possono riassumere nella serie di offensive e controffensive che videro protagonisti quasi tutti i popoli coinvolti nella seconda guerra mondiale, come su nessun altro fronte. Ali 'attacco britannico del giugno 1940, fece seguito la controffensiva di Graziani del settembre, che portò le truppe italiane a Sidi El Barrani. Una vittoria amplificata dalla propaganda del fascismo, ed esaltata a tal punto da essere presentata come determinante sulle sorti del conflitto. In un articolo giornalistico, però, bloccato dalla censura perché un realistico diario di quelle giornate, c che fu posto in visione al Duce il 22 ottobre, i combattimenti furono così descritti: ·· ... Ma/etti ... tentara di raggiungere Sollum la mattina del 12. La libica, del generale Pescatori, si smarrl. .. Lo stesso il raggruppamento Ma/etti. Non avendo queste unità raggiunto /' obie!th•o loro assegnato, /' a::ione non si potéfare:fallì in pieno. Sifece la mattina del 13 ... La conquista di Sollum è stata ww bella passeggiata militare con qualche scaramuccia ... L' a:ione su Si di El Barrani ... ha potuto proseguire senza incontrare seria e decisa resistenza da parte del nemico ... Combattimenti \'eri e propri non ce ne sono stati. Battaglie neppure. l o, che per tutta la durata della marcia sono stato a contatto con le truppe eli punta, non ne ho veduti .. .Anche quella su Si di El Barrani è stata una interessante marcia militare. ma assai pitì movimentata e ostacolata di quella di Sollum ... Duefatti mi hanno soprattutto colpito: primo, la del comando. !\Imeno una 1•entina di \'o/te bersaglieri motociclisti mi hanno chiesto "Do"' è il comando ?'' .. .A causa soprattutto della confusione si sono m ·uti in diversi punti degli ingorghi paurosi. Se gli inglesi avessero avuto 20 hatterie ... ci m •rehhero massacrati. Ma per fortuna non a1•evcmo nulla di tutto questo ... , non accettavano battaglia,· con le loro 3 o 4 batterie molesta1•ano e poi 1·ia di corsa. Il secondo fatto è stato il contegno del nemico. Poteva benissimo distruggere le strade, mentre le ha danneggiate soltanto per hre\'Ì tratti; poteva fare un impiego maggiore di autoblindo; pote1•a impegnare una ventina di aerei. Gli aerei bombardavano in quelle stesse ore Bardia e altri punti, e non bombardal'ano la colonna in marcia che avanzava a stento per i continui i nsabbian1enti ...

Le uniche parole di compiacimento espresse cl ali' estensore de li' arti.colo furono rivolte agi i uomini impiegati nei combattimenti: .. .Le truppe sono state superiori acl ogni elogio. Hanno resistito alla polvere e al caldo ... " .

Non sappiamo come il Duce abbia reagito ali 'articolo, non abbiamo trovato annotazioni o documenti in merito.

Certamente non fece salti di gioia; la stessa azione, invece, fu descritta agli italiani, dalla stampa e dalla propaganda, in veste di versa, quasi che l 'Egitto fosse ormai a portata di mano c di facile conquista. Mal si conciliò tutto il clamore sollevato intorno all'avvenimento con l' immediata, successiva reazione britannica, che portò di nuovo gli inglesi di Wavell fino a El Agheila.

L'offensiva, unitamente ad altre difficili situazioni che l 'Italia stava vivendo in Patria c sugli altri fronti, prostrava i combattenti fino alla primavera del 1941, epoca in cui Rommel riusciva a condurre le forze dell'Asse di nuovo a Sollum. Soltanto per pochi mesi le sorti del conflitto sembrarono risollevate; a novembre, una nuova offensiva degli inglesi guidata da Cunningham e Ritchie costringeva gli italo-tedeschi ad arretrare di nuovo ali 'altezza di El Agheila.

L'ultima controffensiva italo-tedesca vide Rommel guidare nella primavera del 1942 le forze cieli ' Asse fino ad El Alamein, estremo limite est verso l'Egitto mai raggiunto prima. La certezza di poter raggiungere Alessandria d'Egitto fu così forte, che la propaganda si ingegnò di emettere perfino una cartolina illustrata per l'evento (il disegno rappresentava un carrista sporgente dalla torretta, che leggeva a pochi passi da lui una tabella segnaletica indicante Alessandria). Ma ancora una volta la vittoria si rivelò quanto mai effimera, perché nell'ottobre le forze britanniche, coadiuvate di lì a breve scadenza da quelle statunitensi, incominciarono la loro lunga marcia senza più ritorno, che li avrebbe portato nel gennaio 1943 a Tripoli e nel mese di maggio, con un 'azione congiunta di Montgomery e cieli 'americano Clark, fi no in Tunisia, dove avvenne la re a dcii 'ultima grande unità italiana, la J·• Armata del Maresciallo Messe. Ultima, fra le unità italiane e tedesche, a cedere le armi con onore sul suolo africano, davanti alle straripanti forze alleate.

In Africa Settentrionale, gli italiani avevano profuso tutto il loro impegno, fino allo spasimo; lo attestano le perdite, elevate e non ancora definitive, che costarono soltanto all'Esercito 20.765 morti, 7.624 feriti e 17.058 dispersi.

Lo scacchiere africano fu l 'unico fronte dove le truppe mantennero, sino alla fine, inalterato o quasi un alto spirito combattivo cd un elevato morale: a dispetto della scarsa efficacia della propaganda (di cui i soldati stessi ebbero spesso a lamentarsi perché annotarono come essa non riuscisse a valorizzare gli sforzi bellici c gli atti di valore da loro sostenuti e compiuti), e nonostante le inefficienze e le carenze di ogni tipo e in ogni settore che divennero sempre più gravi con il tempo, specialmente quando fu persa la battaglia dei convogli e il dominio dell'aria passò definitivamente agli anglo-americani.

Sintomatico fu il ratto che i soldati criticarono anche alcune attività

propagandistiche svolte a loro favore, che pure esaltavano le loro gesta, come le retoriche radio-trasmissioni "Cronache della Guerra" e gli articoli contenuti nella rivista "Fronte" , tanto da far chiedere un mutamento di indirizzo del periodico. Di quegli avvenimenti e di quegli uomini Paolo Caccia Dominioni avrebbe scritto il più bell'epitaffio, a quota 32 di El Alamein: "Mancò la fortuna, non il valore. ".

Fronte Ajì·ica Orientale.

"Ritorneremo" fu lo slogan più proposto dalla propaganda di regime a partire dal maggio 1941, quando l 'Impero si dissolse sul massiccio cieli' Amba Al agi, nonostante l'eroismo dei difensori italiani e indigeni. E quel ·'ritorneremo" veniva attribuito allo stesso Duca d'Aosta, che in un telegramma diretto al Duce avrebbe assicurato il ritomo in quelle terre "irrorate di sangue italiano per la grandezza della Patria" . Esemplare, come sempre, la rappresentazione grafica dell'evento realizzata da Gino Boccasile, che vede un Duca d'Aosta, anzi il suo ectoplasma, giganteggiare sulla scena del ridotto dell'Amba Al agi disseminato di caduti, e allo stesso tempo sovrastare la figura di un combattente coloniale ancora in piedi con il fu ci le imbracciato, gigante anche lui, sicuro e determinato a rispettare la consegna del ritorno.

Un elemento di rilievo quello della rappresentazione della monarchia in un atto propagandistico, perché oltre a dare credibilità al messaggio, in quanto trasmesso e sostenuto da una delle figure di comandanti più amate dai com battenti, il Duca d'Aosta, esso coinvolgeva sibillinamente e direttamente Casa Savoia nelle responsabilità di una sconfitta, come qualcuno ha affermato. In verità, anche in passato altri Savoia erano stati raffigurati aulicamente in situazioni riferite a sconfitte, senza intenti dietrologici.

Le operazioni nel! 'Impero erano iniziate con l 'occupazione di alcune località oltre confine, e fra queste Cassala; n eli' agosto, si svilupparono alcuni combattimenti per la conquista della Somalia Britannica. Le prime avanzate erano state possibili per la forte prevalenza numerica delle truppe italiane e indigene (255.000 uomini, di cui 74.000 nazionali e 181.000 coloniali); ma a settembre, la situazione si rovesciò rapidamente, poiché nel Sudan e nel Kenia affluirono molte unità britanniche, che facevano prevedere una duplice offensiva sui due fronti dell'Eritrea e della Somalia, come di fatto avvenne.

Sotto una serie di attacchi successivi, le unità italiane furono costrette prima a ritirarsi e poi a subire la sconfitta. A nulla valsero la disperata resistenza sull'Amba Alagi, e gli ultimi atti di eroismo entrati a far parte della leggenda nella memorialistica celebrativa con i nomi delle località dove avvennero, come Gondar, Culquaber, Debra Tabor, Uolchefit.

L'ultima bandiera italiana in Africa Orientale fu ammainata il 28 novembre 1941, ma la data della sconfitta segna soltanto l'atto finale di una guerra persa di fatto già n eli' agosto dell'anno precedente, se non prima.

Sono note, infatti, le disastrose condizioni di abbandono militare in cui versava l 'Impero ancor prima che venissero aperte le ostilità. A nulla erano valse le richieste di adeguamento e di potenziamento dei mezzi e degli armamenti, nella previsione che al momento della lotta l'Africa Orientale sarebbe rimasta certamente isolata dall'Italia e nessun rifornimento, di nessun tipo, sarebbe stato più possibile.

Il generale Claudio Trezzani, capo di Stato Maggiore del Governo Generale dell'A.O.I., nell'agosto del 1940 non era stato il primo- e non sarà neanche l 'ultimo - a fotografare la disastrosa s . . ituazi "• one in cui versava l'Impero. Scrivendo a Soddu, Sottosegretario alla Guerra, e ricordando .l'arduo compito che gli era stato affidato, metteva a fuoco le difficoltà non solo militari, ma anche quelle logistiche e disciplinari che aveva incontrato. Pur leggendo con le dovute riserve, perché nel documento il Trezzani elogia il proprio operato, macina errori altrui e distrugge presunte ambizioni ed arrivismi anche di personaggi che poi avrebbero dimostrato sul campo il proprio indiscutibile valore e ben altra levatura di quella loro attribuita-, e tenendo presente che alcune considerazioni contenute nel documento furono esternate prima che gli inglesi facessero affluire le proprie forze, quanto scrisse il Trezzani è, nelle linee generali, condivisibile: ..... qui tutti vivevano nella profonda convinzione che la guerra non ci sarebbe mai stata. So io come ho dovuto lottare per indire immediatamente la nwbilitazione e passare sul piede di guerra.' Partendo da questo concetto quelli che erano i bisogni imprescindibili urgenti e vitali dell'Impero divennero pratiche di ordinaria burocrazia. Le gomme furono messe sullo stesso piano dei preservativi ... Hai visto l'azione di Berbera? È bene tutto quello che jznisce bene ma avrebbe anche potuto costarci di meno (4.500 m.orti, l .400 feriti e soprattutto un immenso consumo di benzirw e di gomme) ... E qu.esto episodio mi mette in mente un quesito che devo porti da parte del Duca . Per l'azione di Cassala (eravamo 19 contro l e questo uno aveva l'ordine di tagliare la corda alla prima schioppettata) .fzorirono le proposte per promozioni per merito di guerra. Per conto mio ho dato parere nettmnente contrario a tutte; per una sono saltato dalla promozione alla croce di guerra! ... "

A riflettere su quanto fu scritto, sembrava proprio destino inevitabile degli italiani aflrontare i conflitti impreparati e per caso, per finire tragicamente ma comunque valorosamente su una quota 32 o su un Amba Alagi.

Fronte Orientale (Greco-Albanese-Jugoslavo).

La guerra alla Grecia, che fu anche all 'origine dell'estensione del conflitto nei Bal.cani, resta a testimonianza di quanto possa rivelarsi risibile uno slogan propagandistico improntato soltanto sulla ricerca del sensazionale: "SpeEeremo le reni alla Grecia", aveva proclamato Mussolini con il suo solito verbalismo irruente e focoso deJle grandi occasioni. Se non fosse per il rispetto che dobbiamo ai Caduti di quella campagna, ai dolorosi lutti e alle nefaste conseguenze cagionate dali' apertura dell'ulteriore fronte, ci sarebbe ancora da sorridere alle improvvide parole ad effetto del Duce.

Fu così che, a causa di pretenziosi presupposti, il 28 ottobre 1940 le truppe italiane iniziarono le operazioni verso l'Epiro e il Pindo, utilizzando come base di partenza l'Albania, dove erano state fatte affluire le forze. L'attacco non trovò i greci impreparati, anche perché esso era stato preceduto da una martellante campagna di stampa in Italia cd in Albania, che aveva consentito quindi ali 'avversario la mobilitazione delle proprie forze.

Gli apparenti successi iniziali, nonostante i l terreno difficile e le avverse condizioni atmosferiche, furono presto frenati dai greci, che costrinsero le unità italiane ad una difficile manovra di sganciamento e di ripiegamento. Soltanto il sacrificio ed il valore dei reparti, arroccati sulle linee di difesa con dispera.ta tenacia, consentirono di aiTestare la controffensiva greca, che tendeva a respingere gli italiani verso l'Adriatico.

Intanto, avveniva il colpo di stato in Iugoslavia, ed i greci, sicuri di poter raggiungere Valona con l'aiuto degli slavi, si attestarono sulle proprie posizioni, contro gli italiani, facilitando così l'azione di penetrazione delle truppe tedesche nel loro territorio. Alle truppe italiane fu allora possibile passare di nuovo all'offensiva e costringere i greci a ripiegare, mentre le colonne tedesche provenienti dalla Iugoslavia e dalla Bulgaria completarono la penetrazione e li annientarono.

A dimostrazione dell'asprezza della lotta, ricordiamo che la campagna di Grecia costò ali 'esercito italiano, dall'ottobre 1940 all'aprile 1941, 13.755 caduti, 50.874 feriti e 12.368 congelati.

Abbiamo intanto accennato che gli avvenimenti in Iugoslavia (il 25 marzo il Govemo iugoslavo aveva aderito al Tripartito ma fu rovesciato dopo pochi giorni da una congiura militare) avevano offerto alla Germania il pretesto per avviare, il 6 aprile, l'occupazione del Paese. Stretto da ogni Jato, incluso dagli italiani moventi dali 'Italia e dall'Albania, l'esercito iugoslavo il 18 aprile fu costretto alla resa.

Come in Africa, anche nei Balcani si levarono fra i soldati forti proteste, per il disconoscimento del proprio valore e del proprio operato in quella guerra, dovuto soprattutto all'inefficacia della propaganda; al contrario, gli organi di

stampa e propaganda tedeschi seppero accaparrarsi tutti i meriti della campagna, screditando contemporaneamente quelli degli italiani.

Con la cessazione delle ostilità, nei territori ex-iugoslavi soprattutto, si scatenò una diffusa e sanguinosa guerriglia contro gli occupanti italiani e tedeschi, che causò molte perdite e rese gli scontri durissimi. Inoltre, si innestarono nella lotta, fra gli stessi vinti, vecchi rancori ideologici, etnici e religiosi, mai sopiti, che ebbero come conseguenza veri e propri tentativi di genocidi, contrastati con molta, e a volte inutile, fatica dalle autorità militari italiane di occupazione.

La complessità della situazione costrinse gli italiani a spiegare una articolata e molteplice attività propagandistica, anche nei territori annessi; che, per il frazionamento dei temi da spiegare e per la diversità degli obiettivi da raggiungere, fu molto difficile da attuare. Come era possibile, infatti, accattivarsi le simpatie dei serbi, senza attirarsi il rancore dci croati, o degli sloveni, e viceversa? E come rivolgersi ai cattolici, senza inimicarsi i musulmani? E come potevano essere messi in atto messaggi propagandistici verso i nazionalisti, senza suscitare l 'ira e l'odio di monarchici e comunisti?

Né si rivelò facile l'occupazione della Grecia, dove acquistammo la spiacevole fama eli "armata sagapò", e la lotta propagandistica dovette essere viluppata molto, per contrastare l 'attività svolta dai britannici, notevole e molto efficace in quei territori. Va comunque annotato che l'occupazione dei territori greci e delle isole d eli' Egeo non conobbe mai l'asprezza della lotta feroce e crudele condotta in Iugoslavia, anche se su quel fronte si risvegliarono, come altrove, sonnecchianti rivalità ideologiche ed etniche.

L'occupazione dell'Albania si rivelò altrettanto difficile, poiché qui i cittadini del Regno annesso, ipotetici al lcati, portarono avanti una malcelata, quando non subdola, opposizione. Tanto che nel marzo del l 943, Pariani ebbe a scrivere a Mussolini che I 'unica corrente piLI vitale di tutte fra gli albanesi era l' "ita!qfohia", per l'innato individualismo di quel popolo, per la ricerca di una via nazionalistica della borghesia in poli ti ca, per l 'opportunismo messo in atto da molti, che cercavano facili ricchezze, senza timori di ruberie e sperperi.

Inutili, insomma, si sarebbero rivelate le particolari attenzioni che il Governo fascista ebbe a riservare all'Albania e le cospicue risorse economiche che in quei territori furono investite, nell'illusoria convinzione che in tal modo si poteva conquistare l'amicizia del popolo albanese e che le sue truppe avrebbero potuto fornire un valido concorso a quelle italiane.

Fronte Russo.

Il 22 giugno 1941 iniziava l 'attacco tedesco all'Unione Sovietica. Nonostante

il parere contrario dei vertici militari, c nonostante le riserve avanzate dagli stessi alleati tedeschi alla partecipazione italiana- essi avrebbero infatti preferito che il compito primario delle forze loro alleate restasse la conduzione della guerra nel Mediterraneo c la tenuta ed il rafforzamento del fronte in Africa Mussolini volle che anche i soldati italiani partecipassero alle operazioni su quel fronte. Una decisione che provocò il malcontento dei quadri impegnati negli altri scacchieri operativi, che videro le proprie unità depauperate di uomini e mezzi fondamentali per l 'alimentazione delle battaglie.

La campagna di Russia assunse negli intenti del Capo del Governo la finalità di una guerra dalle forti tinte ideologiche. Essa rappresentava la conduzione della lotta armata al in altre parole, era la continuazione della lotta contro qucll 'ideologia politica, il comunismo, che era diventata il vessillo dell'identità del fascismo, dalle sue origini alla partecipazione alla guerra civile spagnola. Un a vera guerra d i propaganda fatta per propaganda.

Per l 'esigenza, fu costituito ed inviato in Russia il CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia), che incominciò a prendere parte alle operazioni tra il l O ed il 12 agosto. Acl ottobre, le unità italiane portarono a compimento la conquista del bacino minerario del Donez, e ai primi eli novembre completarono l'occupazione eli Stalino, Gorlovka, Nikitovka. Il CSJR concorse n eli' inverno 1941-1942 a contenere un'offensiva sovietica e ad eliminare la pericolosa sacca di Izijum, formatasi a seguito dello sfondamento del fronte tenuto dalla 17'' Armata tedesca.

All'inizio dell'estate del 1942 le forze italiane subirono un profondo rimaneggiamento ed un notevole per il fronte russo fu costituita l '8" Armata ed il CSJR fu riordinato c trasformato in XXXV Corpo d'Annata; le due grandi unità vennero denominate ARMIR (Armata Italiana in Russia).

Dopo alcuni combattimenti di rilievo, le unità italiane, schierate sul Don con alcune unità tedesche, sostennero i l primo grosso attacco russo, tra la fine dell'agosto e i primi di. settembre; attacco che, nel piano sovietico, aveva lo scopo di far divergere da Stalingrado il maggior numero possibile di unità avversarie. Nell'ultima fase delle operazioni, l' ARMIR ricevette rinforzi dalle prime unità (Divisione Tridentina) del Corpo d'Armata Alpino, costituito in Italia, al quale era destinato la difesa di un settore del Don.

A dicembre, vinta ormai la battaglia di Stalingrado, i russi avviarono la definitiva offensiva sul Don, che avrebbe portato alla rottura del settore tenuto dagli italiani ed alla conseguente, tragica ritirata. Forze preponderanti sovietiche, con una schiacciante superiorità numerica di uomini e mezzi, investirono le Divisioni "Ravenna" e "Cosseria", costituenti illl Corpo d'Armata.

Durissima e indicibile fu la lotta per l'apertura di una breccia, che doveva

servire allo sganciamento delle unità italiane, chiuse in una sacca, e a consentire .la ritirata. Dolorosissime e ingenti le perdite, calcolate in circa 80.000 caduti e dispersi c 43.282 feriti e congelati. Soltanto la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell'impero sovietico ha consentito, negli ultimi tempi, l'avvio del recupero delle salme di parte dei Caduti italiani in Russia, unitamente ad un approfondimento della conoscenza della sorte da loro subita.

Nell'animo dei reduci dalla Russia, oltremodo segnati dalle sofferenze patite, un ricordo in particolare pesò e restò indelebile: l'atteggiamento crudele tenuto nei loro confronti dall'alleato tedesco durante la ritirata; i "camerati" non mostrarono alcuna pietà verso gli italiani e adoperarono in alcuni casi addirittura le armi per affermare il proprio "diritto" esclusivo alla sopravvivenza, a qiscapito dell'alleato.

Le relazioni dei comandanti dei campi di riordinamento, istituiti in Italia per accogliere i reduci, furono concordi nel segnalare l'odio, specialmente degli alpini, nato verso i tedeschi in quell'occasione. Allo stesso tempo annotarono che, nonostante i provvedimenti assistenziali messi in atto a favore dei reduci e nonostcmte le assicurazioni che nulla dei loro sacrifici sarebbe andato perduto, un "diaframma psicologico" si frapponeva ad ogni tentativo di rieducazione.

Generalmente favorevole fu invece il

' ,

ricordo che i soldati italiani conservarono della popolazione civile sovietica. A dispetto dell'occupazione subita (che ad ogni modo i russi avevano potuto paragonare a quella tedesca, molto più dura), in molti casi i civili tennero un atteggiamento protezionistico verso gli italiani in ritirata, e ne salvarono molti dal freddo, dalla fame, dalle ire dei propri militari e partigiani. Il "demone sovietico" rappresentato dalla propaganda si rivelò, alla fine, un essere umano capace anche di nobili sentimenti di carità e di pietà.

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