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CAPITOLO III

L'INTERMEZZO OLTREMARE

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Da molti anni l'Italia stava svolgendo un'azione diplomatica per impedire ad altre Potenze di occupare la Libia, che considerava di suo interesse esclusivo. Dopo l'incidente di Agadir del 28 luglio 1911, iJ ministro degli esteri, marchese Antonino di San Giuliano aveva inviato al presidente del consiglio Giolitti un promemoria segreto, dal quale si potevano desumere i motivi essenziali della decisione italiana di conquistare la Libia in quel momento. Erano una valutazione, sostanzialmente esatta, della situazione internazionale, che offriva all'impresa coloniale italiana un'occasione propizia, ma irripetibile: bisognava agire subito.

Il 24 settembre Giolitti chiese telegraficamente al re, che si trovava a San Rossore, il consenso all'invio di un ultimatum al governo turco; il sovrano lo concesse immediatamente. Il 26 l'incaricato d'affari turco disse a San Giuliano che il suo Governo era disposto a concessioni economiche pur di evitare la guerra. Pressioni perché si iniziassero negoziati su questa base furono fatte, lo stesso giorno ed il successivo, da parte tedesca sui rappresentanti italiani a Berlino e a Costantinopoli. Nella notte tra il 26 e il 27 partì però da Roma l'ultimatum con cui si chiedeva al governo turco di acconsentire entro 24 ore all'occupazione italiana della Tripolitania e della Cirenaica. I motivi addotti dal governo di Roma erano lo stato di abbandono in cui erano tenute quelle regioni e l'ostilità dell'autorità ottomana alle iniziative italiane. All'ultimatum fu data, come ci si aspettava, risposta negativa, sicché il 29 settembre 1911 l'Italia dichiarò guerra alla Turchia. Tra il 5 ed il 21 ottobre i principali centri costieri della Libia -Tripoli, Homs, Bengasi, Dema, Tobruk- furono occupati dalle truppe italiane. Le operazioni più importanti avvennero a Tripoli, conquistata e difesa per alcuni giorni da un contingente di 1.700 marinai, comandati dal capitano di vascello Cagni, che rimase sul posto fino all'arrivo dei reparti dell'Esercito, e a Bengasi occupata dai reparti del generale Arneglio, che incontrarono subito forte resistenza e dovettero lottare duramente per assicurarsi il possesso della testa di ponte.

Entro J' 11 ottobre si concentrò a Tripoli il corpo di spedizione incaricato de1la conquista della Libia, forte di 35 .000 uomini e al comando del generale Caneva.

L'occupazione fu tutt'altro che facile. I Turchi iniziarono una guerriglia, impegnando i soldati italiani in qualcosa a cui non erano abituati ed apparve subito chiaro che molto difficilmente la guerra poteva essere vinta sul territorio libico. L'occupazione italiana intorno a Tripoli, nonostante qualche successo, come la presa di Aio Zara del 4 dicembre 1911, procedeva molto lentamente, mentre in Cirenaica le truppe furono subito costrette alla difensiva. Si configurava uno stano, che al1a lunga avrebbe avvantaggiato i Turchi e messo gli Italiani in condizioni difficili dal punto di vista militare ed economico . 36

Va sottolineato che - e non sarebbe stata l'ultima volta - in quell'occasione la classe dirigente italiana decise la guerra senza consultare preventivamente il Capo di Stato Maggiore, che pure era il responsabile primo, oltre che l'uomo su cui comunque sarebbe ricaduta pubblicamente tutta la responsabilità dell'azione.

La campagna africana, sotto il profilo dell'incidenza sull'organizzazione e sull'efficienza dell'Esercito, ebbe gli indiscutibili vantaggi di accelerare l'ammodernamento tecnologico e dei materiali. Fu certamente un salasso per il bilancio dello Stato, ma costituì un fattore propagandistico di indubbio valore, perché la vittoria, rapida e precisa sulle forze dell'impero ottomano rivalutò le qualità militari italiane gU occhi della comunità internazionale.

6 Gioachino VOLPE, L'Italia Moderna 1910/1914, Firenze, Sansoni, 1973.

Per quanto riguarda la Cavalleria, la Guerra di Libia segnò una certa rinascita, almeno a livello di valore d'impiego.

I Libici avevano attuato da subito la guerriglia, che è, tra le forme di guerra. la più totale, spietata e feroce. Per batterla, un esercito regolare, all'epoca come in seguito, doveva essere mobile; e quale Arma più delle altre poteva effettivamente partecipare con successo all'azione militare?

Vere battaglie non ve ne furono. ma la Cavalleria fu impegnata totalmente. Arrivò in Libia agli inizi di ottobre in due contingenti, il primo costituito dalla 1 a Divisione e truppe suppletive, includeva il Il squadrone del 15° Reggimento Cavalleggeri di Lodi. Poi. alla fine di ottobre, con la 2a Divisione arrivarono il Hl e IV squadrone del 18° Cavalleggeri di Piacenza, assegnati alla Brigata del generale Ameglio. Questi due squadroni, agendo individualmente o in collaborazione coi reparti di altre Armi, furono subito impiegati in ricognizioni e permisero di sequestrare affusti di cannoni. bardature, armi e munizioni nascoste un po' dovunque dal nemico nelle campagne.

Le ricognizioni proseguirono per tutto il mese di novembre ed il primo combattimento si ebbe il 24, quando lo squadrone al comando del capitano Molari fu seriamente impegnato contro bande beduine a Koefia.37

Negli scontri seguenti la cavalleria fu impiegata in avanguardia ed a supporto della fanteria. Raggiungeva l'obiettivo, smontava, combatteva e rimontava a cavallo.

La sua mobilità fu altamente apprezzata. Nelle guerre coloniali ed in quelle similari, l'uso ottimale della forza in campo tattico è molto difficile, perché la situazione è resa di più difficile soluzione da un numero d'incognite maggiore che nella guerra normale: lo spirito, il numero. l'ubicazione, l'armamento, il munizionamento e il modo di combattere dell'avversario; il terreno, che, considerato nei suoi particolari topografici, ostacola la marcia, impone soste frequenti, il più delle volte non permette il transito dei mezzi e delle artiglierie e. all'epoca, rendeva difficoltoso pure quello dei cavalli e difficile il foraggiarli.

Numerosissimi furono gli scontri coi ribelli arabi, che attuavano la tattica del "mordi e fuggi" e la cavalleria fu impegnata sia a tenere il collegamento fra le unità impegnate, sia in combattimento, dovendo identificare ed attaccare anche le carovane nemiche di armi e rifornimenti, come fece nel dicembre del 1911 il sottotenente Fede, che disperse i ribelli e prese parecchie armi.

Nell'insieme le operazioni dimostrarono che, almeno in quel contesto, la cavalleria, se impiegata razionalmente dava risultati più che positivi, cosicché, proprio in dicembre, il contingente di caval1 .eria fu ulteriormente aumentato coll'arrivo del Il[ squadrone dei Cavalleggeri di Lucca, seguito poco dopo, dal 10° Reggimento Lancieri di Firenze, mobilitato su quattro squadroni e al comando del colonne11o Vittorio Litta-Modignani. Appena arrivati, i Lancieri di Firenze furono impiegati contro l'oasi di Zanzur: la raggiunsero all'alba, la circondarono all'improvviso, ne tagliarono le comunicazioni e catturarono parecchi prigionieri. 38 Poi, prima della fine dell'anno, arrivò in Libia anche un mezzo reggimento dei Cavalleggeri Guide.

Questo invio a spizzico di reparti di cavalleria non organici rispondeva ad una ben precisa e meditata volontà del comando italiano, applicata del resto a tutte le Armi: quasi tutti i reparti dell'Esercito dovevano inviare proprie aliquote per guadagnarne una diretta esperienza di guerra, visto che ormai da decenni non erano più abin1ati a combattere. Di conseguenza ben 24 dei 29 reggimenti di cavalleria parteciparono alla campagna di Libia, inviandovi propri contingenti e, oltre ai già citati Firenze, Lodi, Guide, Lucca e Piacenza furono impiegati: Nizza Cavalleria, Piemonte Reale, Savoia Cavalleria e Genova Cavalleria; i Lancieri di Novara, Aosta, Milano, Vercelli, Mantova e Vittorio Emanuele II; i Cavalleggeri di Foggia, Saluzzo, Monferrato, Alessandria. Caserta, Roma, Padova, Umberto T, Aquila, Treviso e Udine.

" .. Rivista di Cavalleria ... anno XV. fascicolo I, 1° gennaio 1912. '" .. Rivista di Cavalleria'·, anno XV, fascicolo m, 1° marzo 1912.

Il fatto poi che in Libia il consumo dei materiali fosse notevole, si spiegava con la volontà cli rinnovare i magazzini, resa possibile dal considerevole aumento, avutosi in quell'anno, del bilancio della Guerra.39

L'impiego di materiali e uomini, tra reparti, complementi e magazzini, coinvolse praticamente tutte le divisioni dell'esercito, di ognuna delle quali almeno un reggimento partecipò direttamente alle operazioni coi propri uomini, sostenuto dagli altri con derrate, complementi, materiali e ripianamenti. Questo consentì all'Esercito di rimodernare il suo armamento coi mezzi più moderni che la tecnica metteva a disposizione e di migliorare la propria struttura aumentandone l'efficienza.

Già nel novembre del 19 I 1 era stata ordinata la sollecita ricostituzione di tutte le dotazioni di mobilitazione consumate in guerra, in base al criterio di massima di sostituire indistintamente, in Italia, tutti i materiali inviati nella nuova Colonia con altri più perfezionati, in modo che non se ne verificasse alcun decremento in quantità e se ne avesse invece un incremento in qualità.

Furono pertanto ordinate mitragliatrici leggere e fucili '91, approntate unità carreggiate e altre someggiate che vennero dotate di materiali moderni e si accelerò la distribuzione delle nuove uniformi grigio-verde e dei materiali di riserva per la mobilitazione.

Dal punto di vista operativo i cavalieri furono impegnati sempre di più nel pattugliamento quotidiano conto i beduini, imparando sul terreno nuove tattiche d'attacco e difesa. Infatti i beduini a cavallo erano sempre sostenuti da altri a piedi e, con capacità innate, le due aliquote agivano in perfetta armonia.

Le loro tattiche di disimpegno erano poi talmente specifiche ed efficaci che, spesso, un reparto cli cavalleria si trovava di essere stato inviato contro un singolo individuo. Ne derivò un ripensamento della tattica adottata: le evoluzioni della cavalleria italiana erano, a confronto con quelle dei cavalieri arabi, lente e pesanti; ma la nuova guerra imponeva mobilità, iniziativa personale e ardimento. Erano tutte caratteristiche che, a causa della brevità dell'occupazione iniziale, non erano state pienamente acquisite. Per questo, oltre a perfezionare la caval1eria nazionale nella nuova tattica, sotto il comando del capitano Piscicelli dei Cavalleggeri di Lodi fu organizzato pure un reparto di cavalleria indigena, che fu il nucleo dal quale, dopo la Grande Guerra, sarebbe scaturita la cavalleria indigena della Libia.

Nel gennaio del 1912 restava comunque il problema dell'impossibilità dell'azione risolutrice ed i reparti finivano col logorarsi nella guerriglia, forma di combattimento alla quale non erano preparati. Così, nel febbraio, venne mandato in Libia il comando de] Reggimento Cavalleggeri di Lucca, col comando del proprio secondo mezzo reggimento ed uno squadrone. Nello stesso mese alcuni reparti formarono un Reggimento Cavalleggeri della 2a Divisione, costituito dal comando di reggimento, dal secondo mezzo reggimento di Lucca e da uno squadrone, dal comando del secondo mezzo reggimento e da due squadroni di Piacenza e da uno squadrone di Lucca, mettendo il tutto al comando del colonnello Carlo Borsarelli di Rifreddo.40

Tra gli scontr.i successivi, di varia intensità, va soprattutto ricordato quello del 12 marzo che prese il nome delle Due Palme. Agli ordini del colonnello Borsarelli, tre squadroni di cavalleggeri comandati dai capitani Ajrolcli, Pastore e Anselmi, partiti dalla Berka per l'Oasi deJle Due Palme come parte dell'ala destra delle truppe del generale Ameglio, staccarono pattuglie per il controllo della zona, notarono un forte contingente nemico di fanteria e cavalleria, l'attaccarono e lo distrussero dopo un violentissimo combattimento. La lezione era stata appresa bene e da quel momento la campagna di Libia della Cavalleria seguì un itinerario fatto di attacchi e contrattacchi, eseguiti sempre con la stessa tattica ed effettuati da reparti sia a cavallo che a piedi.

39 Bovro, op. cit. "') '"Rivista di Cavalleria' · . anno XV, fascicolo IV. 1° aprile 1912.

Le ultime azioni di rilievo furono lo scontro dell'oasi di Guesciat, il I 3 maggio 1912, a cui prese parte tutto il Reggimento Cavalleggeri della 2a Divisione e, il 20 maggio, la ricognizione fatta nei dintorni di Tripoli dal Reggimento Lancieri di Firenze al completo, agU ordini del comandante colonnello Litta-Modignani.

La pace, finnata il 18 ottobre 1912, non comportò la fine delle operazioni, continuate ad opera di forze turco-arabe beduine che non riconoscevano la sovranità italiana. I combattimenti pertanto non cessarono ed i reparti di Cavalleria furono impegnati a proteggere le ridotte, i posti di guarnigione e la popolazione. Per meglio sopperire a queste incombenze, fu deciso di affidarsi a reparti di cavalleria indigena, la cui prima unità, dopo quella formata dal capitano Piscicelli, fu quella denominata V squadrone. Costituito negli ultimi mesi del 1911 nella località bengasina di Sabri, agli ordini del capitano Bonati, comprese alcuni gregari di un plotone di savari arrivati dalla Tripolitania col Piscicelli, rinforzati da elementi della popolazione costiera bengasina e combatté negli anni dall' 11 al '13 dimostrando un "fiero spirito bellico"41 sin dai primi scontri. Seguendo l'abitudine locale, le sue nuove reclute venivano portate all'attacco senza arrni per dimostrare il proprio coraggio; e a quelle che mostravano paura o anche solo titubanza non era consentito rimanere nel reparto. Il V Squadrone nel 1912 partecipò agli scontri di Suani Osman, Fuehiat, Mohamed Scetuan, Hauari e Gariunes ed in seguito, ulteriormente accresciuto con nuovi squadroni, rimase a presidio della Libia fino alla seconda guerra mondiale.

1 Capitano Ademaro TNVREA. La cavalleria libica in Cirenaica, s.i., Libia, agosto 1938. La Cavalleria jjbica si formò in quest"ordine: 1912, banda a cavallo del capitano Giuseppe Maroni, zona Bengasi; 1912. banda a cavallo del capitano Secondo Diana Crispi. zona Bengasi; 1912, banda a cavallo del capitano Maurizio Piscicelli De Vito, zona Bengasi; J912, 5° Squadrone Savari del capitano Maurizio Piscicelli De Vito, zona Bengasi; 1913, l O Squadrone Sa vari del capitano Luigi Guarini Matteucci. zona Tripoli; 19 I 3, 2° Squadrone Sa vari del tenente Ultimo Grilli, zona Tripoli; 1913, 3° Squadrone Savari del capitano Carlo Orero, zona Tripoli; 1913, 1° Squadrone Meharisti (quindi cammellato su cammelli Mehari) del tenente Ettore Galliani, zona Tripoli; 1914. 4° Squadrone Savari del tenente Vittorio Berio, zona Bengasi; 1914, 2° Squadrone Meharisti (quindi carnrnellato su cammelli Mehari) del capitano Alberto Pollera, zona Tripoli: 1914, 3° Squadrone Meharisti (quindi cammellato su cammelli Mehari) del capitano Roberto Penicone, zona Tripoli: 1916, Gruppo Spahis del tenente Francesco Navarra Viggiani, zona T1ipoli.

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