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CAPITOLO VIII
IL SECONDO ANNO DI GUERRA
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Nonostante gli sforzi fatti negli ultimi mesi di pace, dal 1914 al 1915, e soprattutto nel 1915, dallo Stato Maggiore Italiano e da Cadorna in particolare, i mezzi necessari a imprimere un andamento accelerato alle operazioni erano pochì. Mancavano ancora e innanzitutto artiglieria e munizioni, erano deficienti i materiali del Genio ed i trasporti, poche le mitragliatrici nonostante i progressi fatti.
La povertà dei mezzi risultava ingigantita se paragonata all'ampiezza del fronte. Come accennato, l'Esercito non era preparato ad una guerra e, per di più, non lo era nemmeno mentalmente a quella di posizione. Chi aveva sperato (la Cavalleria in modo particolare, a livello operativo) nella guerra di manovra, rapida, brillante e di breve durata, fu costretto, invece, e non solo per deficienze organizzative, a combattere una guerra di posizione, oscura, monotona, triste e della quale non si vedeva mai la fine. I giorni e le notti venivano trascorsi nelle fangose trincee e negli angusti camminamenti; servivano lunghe pause necessarie per accumulare quantità enormi di uomini e di materiali, specie munizioni, cui seguivano assalti furibondi che si concludevano con poche centinaia, a volte poche decine, di metri conquistati.
Vista la diversità morfologica della zona di operazioni sul fronte alpino, l'Esercito italiano fu da subito costretto ad attestarsi sulle vette delle montagne, mentre lungo i modesti rilievi carsici veniva impresso lo sforzo maggiore. Si trattava di rilievi modesti, ma non facili da conquistare. Anche qui l'Impero asburgico aveva eretto sistemi difensivi solidi, dominanti sempre e comunque le fanterie regie avanzanti. Per necessità più politica che militare dalla classe politica fu imposta a Cadorna, e quindi alJ 'Esercito, la regola dell'attacco a tutti i costi e il divieto di qualsiasi arretramento, anche parziale.
Ora, una cosa che non è mai stata chiaramente ed esplicitamente detta, ma che accadeva in tutta Europa, o quantomeno nei Paesi Alleati, durante il conflitto, era che i militari dovevano giustificare se stessi di fronte alla classe politica. Quest'ultima a sua volta doveva farlo davanti ai propri elettori e, in Italia e Gran Bretagna, anche davanti ai propri sovrani, dai quali aveva ricevuto il mandato di governo. I militari, specie in Francia e Gran Bretagna, in quel periodo avevano difficoltà a spiegare le enormi perdite che subivano ad ogni scontro, perché in termini di territori conquistati non potevano mostrare risultati che apparissero tali da giustificare il numero di morti subiti. Questo li portava ad ingigantire le difficoltà della guerra di materiali, peraltro già abbastanza gravi di per sé, ed a magnificare ogni minimo progresso che si fosse ottenuto. Insomma, in condizioni operative che i capi militari dichiaravano senza precedenti - ed era vero - e di difficoltà inaudita ed insormontabile - e di questo però più passava il tempo e meno erano convinti i civili a casa - la conquista di una trincea, a trenta metri di distanza. era vantata come un successo consistente e clamoroso. Naturalmente però, se erano un successo clamoroso i trenta metri presi, erano un altrettanto clamoroso disastro i medesimi trenta metri persi. Non si poteva dire che le conquiste erano un valore immenso e le perdite di terreno un nonnulla, perché neanche il più sprovveduto politico l'avrebbe creduto, specie perché doveva rispondere a un elettorato. 11 corpo elettorale, per quanto ignorante, non era privo di buon senso ed era progressivamente sempre meno fiducioso nella validità della condotta politica e militare di una guerra che gli riduceva le entrate, lo privava dei sacrifici di una vita e, molto spesso, sempre più spesso, ne marchiava a sangue e per sempre la vita, privandolo anche dei figli e dei parenti più stretti. Per non perdere la propria posizione, i politici erano dunque pronti a disfarsi dei militari il cui operato non desse risultati tali da giustificarne il mantenimento in comando davanti all'opinione pubblica; era un caso di "mors tua, vita mea",
Appiedati della 1• Divisione di Cavalleria: Cavalleggeri di Roma in trincea nel I 915 ancora senza elmetto. (MCP)
Appiedati della l" Divisione di Cavalleria: Cavalleggeri di Roma in accampamento ai piedi del Carso.
il cui prezzo era pagato in tutto il Continente dalle fanterie 1anciate a massacrarsi contro i reticolati. Come French, Haigh, Joffre e Foch, anche Cadorna doveva subire una tremenda pressione politica, tanto più forte jn quanto implicita e silenziosa, con in più il problema che lui era l'unico di tutti i comandanti alleati ad avere il Capo dello Stato in prima linea; dunque al corrente di tutto quel che succedeva e, al caso, perfettamente in grado d'interferire.
Ecco dunque perché Cadorna era obbligato a non retrocedere, neanche quando la logica e l'arte militare avrebbero suggerito qualche piccolo arretramento per assestare meglio le linee. A legargli ulteriormente le mani poi, c'era la sua opera d'anteguerra,"Attacco frontale ed ammaestramento tattico", che, con la circolare n. 191 del 25 febbraio 1915 dal medesimo titolo, era divenuta il procedimento tattico cardinale del Regio Esercito.79 In simili condizioni politiche ed avendo pubblicato in tempi non sospetti un'opera con un tale titolo ed implicante tali principi opera6vi, la cui validità aveva poi confermata in pieno, adottandola come dottrina ufficiale, come avrebbe potuto Cadoma anche solo ipotizzare pubblicamente di cedere terreno per una qualsiasi ragione, senza subire delle pesantissime conseguenze? Dunque attacco, per di più frontale, anche se ciò comportava uno sbilanciamento in avanti di una parte del dispositivo, determinava la necessità di erigere a difesa i fianchi
79 Scriverà nel proprio diario (1915-1919: diario di guerra, Milano, Longanesi, L968, pag. 169) sotto Castagnevizza, il 17 agosto 1917, il tenente del Genio Lanciafiamme Paolo Caccia Dotninioni di Sillavengo: "C'è in giro, da qualche tempo, un noioso pestilenziale libretto intitolato "Attacco frontale e ammaestramento tattico": c'è scritto dentro come bisogna fare a prendere la posizione. E allora possiamo anche dimenticare che il colle obiettivo è .fiancheggiato da due valloncelli aperti e ben visibili fino in fondo, molto meno fort(ficati, che sembrano messi lì apposta per l'aggiramento."
con tutti i mezzi a disposizione e, da ultimo, non faceva contemplare la possibilità di attacchi nemici in grande stile.
La piramide di comando, necessaria per far funzionare il sistema, fu durante la guerra ulteriormente riorganizzata in senso verticistico. Chi sbagliava veniva subito esonerato. Doveva vigere il principio del merito. Se questo ebbe certamente un effetto benefico nel creare un esercito docile e disciplinato, ne ebbe anche uno negativo: l'ufficiale di qualsiasi grado non prendeva iniziative personali, anche se costretto dagli eventi, per non essere esonerato o peggio giudicato per insubordinazione e deferito al tribunale militare. Ovviamente il risultato andava nel senso opposto a quelJo immaginato da Cadoma. Ne conseguiva infatti un rallentamento delle operazioni, a tutto vantaggio degli Imperiali che, centinaia di volte sul punto di cedere irrimediabilmente, venivano salvati dall'indecisione dei subordinati italiani al comando delle unità minori di fanteria o artiglieria, colpiti dal dilemma tra procedere in avanti senza curarsi degli ordini o arrestarsi a difesa e accontentarsi del terreno conquistato. Cadorna, da fine militare qual era, come appare chiaramente dalla lettura delle direttive che impartì, intuì questo problema, ma, impegnato a gestire, compattare, riorganizzare e rinvigorire l'intera struttura militare di terra, non riuscì a risolvere la situazione. L'amara conclusione fu che la guerra l'avrebbe vinta solo chi fosse arrivato alla fine dell'ultima battaglia con più uomini e più mezzi.
Va ricordato che l'attacco ad ogni costo in un terreno come quello carsico e montano era un suicidio, le perdite per conquistare poche centinaia di metri erano talmente elevate da compromettere l'intero sistema di reazione in caso di contrattacco. Solo per motivi prettamente politici Cadoma non permise mai un arretramento, anche se dalla lettura dei suoi scritti coevi sembrerebbe averlo desiderato, per sbloccare la situazione di stallo. Per questa ragione, a partire dal 1916, decise di rinforzare il Monte Grappa80 in previsione di una possibile rotta, con il chiaro intento, nell'ipotetico caso di uno sfondamento, di invertire le parti e impantanare l'esercito imperiale nelle stesse condizioni nel quale si trovava il suo sul Carso.
Per quanto riguarda l'organizzazione tattica, il modo di procedere delle fanterie italiane si uniformò a quello più generale europeo. Il cannone e la bombarda preparavano il terreno con giorni di estenuante bombardamento, che aumentava più intenso il giorno precedente l'attacco, fino a diventare, come indicato nel gergo, distruttivo lo stesso giorno dello scatto delle fanterie. Quando si avvicinava l'ora dello sbalzo offensivo, il cannone allungava il tiro o addirittura smetteva dj sparare e le fanterie andavano all'attacco in tre, quattro, cinque ondate successive. Lo scatto deJle fanterie veniva però frenato immediatamente dal reticolato, la vera novità della guerra. Succedeva purtroppo che la maggior parte delle volte i reticolati fossero rimasti intatti; in questo caso l'assalto si trasformava immediatamente in una strage delle fanterie attaccanti.
Per quanto riguardava l'organizzazione, Cadorna conscio ormai che il confhtto non sarebbe stato di breve durata, continuò nel progetto di ampliamento e di razionalizzazione della struttura lungo tutto il corso del 1916 e del 1917.
80 Come è noto, Cadorna aveva studiato e predisposto la linea difensiva Grappa-Piave da tempo e, fin dal 1916, dall'alto d'una montagna, l'aveva indicata agli ufficiali del suo Stato Maggiore, cresta per cresta, ansa dopo ansa, soffermandosi su ogni paese e su ogni isolotto e terminando (come riporta Franco Bandini nel suo Il Piave mormorava, Milano, Longanesi, 1965, pag. 124) con le parole: "Signori, in caso di disgrazia, ci difenderemo qui."
Appiedati della 1° Divisione di Cavalleria: Cavalleggeri di Roma in trincea, notare l'uso delle mollettiere, tipiche delle truppe a piedi, al posto degli stivali e, finalmente, l'elmetto metallico. (MCP)
n sottotenente Otto Giulini del 20° Reggimento Cavalleggeri di Roma in trincea con i fanti_ del 152° Reggimento della Brigata Sassari alla Trincea delle frasche: morirà da li a poco colpito da un cecchino. (MCP)
Giugno 1916: Cavalleggeri di Roma in uincea a Plava - Canale. (MCP)
Giugno 1916: altra immagine dei Cavalleggeri di Roma in trincea a Plava - Canale. (MCP)
Giugno 19 I 6: Cavalleggeri di Roma nei baraccamenti in una dolina a Plava - Canale. (MCP)