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CAPITOLO VI L' ENTRATA IN GUERRA »
CAPITOLO VI
L'ENTRATA IN GUERRA
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Abbiamo detto che il fronte italo austriaco nella guerra del 1915-18 si estendeva per circa 600 chilometri, poco meno di 500 dei quali però correvano lungo i crinali delle Alpi, mentre solo i iimanenti erano nel territorio che dalla vetta del Canin porta al Golfo di Trieste e che quelli -il Carso - furono il teatro delle principali e più sanguinose operazioni. La ragione stava nel fatto che si riteneva possibile ed auspicabile sfondare immediatamente verso Trieste e scontrarsi coll'Esercito imperiale in una pianura lontana da difese naturali a cui potesse appoggiarsi.
U 24 maggio 1915 i fanti italiani passarono fiduciosi la frontiera ed iniziarono ad occupare le ultime propaggini del1a monotona pianura friulana davanti ai primi, dolci rilievi del Carso.
Gli Austro-Ungarici, impensieriti dall'avanzata e dalla pressione nemjca, che veniva considerata notevole, abbozzarono due piani. Il primo prevedeva una resistenza sul fronte di Gorizia, il secondo un arretramento su una linea di resistenza posta più ad est, segnata dall'allineamento TarnovaSchonpass-Lipa-Iwanigrad. Fu scelto il primo.
L'avanzata delle truppe italiane fu lenta e circospetta e coincise con la vittoria a Gorlice delle armate imperiali sui Russi del fronte orientale e, a sud, con un inspiegabile arretramento dell'esercito serbo, circostanze che permisero all'Austria-Ungheria di inviare nel nuovo scacchiere italiano altre truppe. A capo di esse fu posto il FeldleutnantmarschaJl Boroevic von Bojna, il quale diramò immediatamente alle truppe l'originale ordine, che esprimeva la sua filosofia di guerra: il fronte andava mantenuto a qualsiasi costo.
Le forze imperiali a protezione della frontiera erano state minime fino al mese di maggio, essendo costituite da due divisioni di fanteria in via di costituzione la 93a (Gorizia) e la 94a (Lubiana) formate per lo più da uomini della Landsturm, in minima parte da formazioni di marcia dei vari corpi di truppa, da un battaglione di marina, da alcune formazioni di volontari ed infine da un'aliquota insignificante d'artiglieria. Solo un paio di giorni prima dello scoppio delle ostilità arrivò sul nuovo fronte sud-occidentale dell'Impero la 57a Divisione cogli effettivi di guerra prescritti. Successivamente, con la venuta di nuove truppe, fu costituita la sa Armata, cbe, nel 1915, comprendeva il XV Corpo, con le divisioni la e 50\ ed il XVI con la 18a e la 58\ più la 48a Divisione autonoma e le forze già presenti in luogo. Queste erano le forze di Boroevic, il cui fronte fu diviso in tre settori, ripartendovi le truppe disponibili in tal modo: il XVI Corpo, comandato dal FeldzeugmeisterTurm, da Duino a Brotof, iJ XV Corpo del generale Fox da Tolmino fino alla Boinsizza, il XVI del generale di artiglieria Wurrn da Auzza a Gorizia, il gruppo del Feldmarschall Ooiginger dal Vippacco all cittadina istriana di Parenzo.
Le rocce di carattere carsico resero difficile lo scavo in profondità delle linee di collegamento della difesa, in quanto non potevano essere coperte da sacchi di terra e zolle d'erba; ma risultarono comunque micidiali sia per gli attaccanti che per gli stessi difensori, in quanto, frantumate dai proiettili, venivano proiettate in tutte le direzioni, moltiplicando l'effetto distruttivo delle esplosioni. La natura, comunque, aiutò in modo determinante l'esecuzione dell'ordine perentorio di Boroevic. I soldati austro-ungarici avevano dalla loro parte le forti posizioni montane, immediatamente a ridosso del fiume Isonzo. Tutta la sponda sinistra del fiume si prestava ad un'efficace difesa attiva ed essi continuarono a fortificarla febbrilmente. 1n due tratti del fiume, inoltre, davanti a Tolrnino, già quasi ultimata, e a Gorizia, sulla sponda destra del fiume vennero costituite due teste di ponte. Erano posizioni strategiche: da li non solo partivano le principali arterie di comunicazione verso l'interno dell'Impero, ma si garantivano anche quelle tra i vari settori del fronte, fra le montagne ed il mare.
Il colonnello Luisito, comandante di Piemonte Reale. (Archivio Dal Molin)
Piemonte Reale: in attesa della sfilata. (Archivio Dal Molin)
Sfilata di Piemonte Reale per le vie della città. (Archivio Dal Molin)
Lancieri a cavallo sfilano nel piazzale della caserma. (Archivio Dal Molin)
La tenuta di queste due te te di ponte, vere cerniere di collegamento e cardini dell'intero sistema di difesa, era fondamentale. La prima era rappresentata dalle modeste alture di Santa Maria e Santa Lucia di Tolmino, che sbarravano il passo alle truppe attaccanti in arrivo dai contrafforti dello Jeza verso la direttrice di Lubiana; la seconda, formata dai monti Sabotino e Podgora, con la cortina intermedia di Oslavia e di Peuma, fermava l'accesso alla valle del Vipacco e da questa a Trieste.
Ai fanti italiani che superarono i confini dell'Impero apparve allora nella sua splendida bellezza e imprendibile imponenza la barriera montana che dal Monte Nero passa per il Mrzli ed il Vodil, degrada verso la conca di Tolmino e risale, tra le due teste di ponte, sull'altopiano della Bainsizza. Al contempo si delineò l'ultimo settore principale dell'attacco: l'asperrimo altopiano car ico. le cui estreme propaggini meridionali toccano l"Adriatico.
L'azione italiana si basava su un'avanzata generale, in modo da non scoprire posizioni pericolose per la sicurezza delle varie armate, cosicché la 2a Armata doveva precedere la 3a nelle diverse fasi operative. Successe però che la 2u rimase inchiodata sulla sponda destra dell'Isonzo per oltre due anni, mentre la 33, avanzando, esponeva pericolosamente il proprio fianco sinistro al nemico. Con la prima ava11zata le truppe italiane raggiunsero la I inea Corrnons-Versa-Cervignano-Aquileia. La pianura era stata presa senza eccessive difficoltà, ma il primo ostacolo naturale, l'Isonzo, fece subire un immediato rallentamento. Il ponte di Pieris era stato fatto saltare dagli Austro-Ungarici il giorno dell'inizio delle ostilità e ciò fermò la Cavalleria, mandata in avanscoperta col compito di prendere i passaggi sul fiume.
Cadoma si rese conto immediatamente che l'avanzata era eccessivamente lenta ed impartì l'ordine di accelerarla, perlomeno dove gli Austro-Ungarici non si erano arroccati. L"avanzata riprese e furono raggiunte le falde del Carso. La 2a Armata, a nord, ferma tra l'Isonzo e le falde del sistema
Parata. (Archivio Dal Molin)
Dragoni a cavallo in rassegna. (Archivio Dal Molin)
Piemonte Reale schierato per la rivista. (Archivio Dal Molin)
della Bainsizza, cercò di conquistare i monti che si protendono verso la valle del Vipacco, mentre agli uomini della 3a, che passarono sulla sponda sinistra del fiume, apparivano le brulle e anonime quote del primo ciglione carsico, quote che di lì a breve sarebbero divenute tristemente famose fra i popoli dell'Italia e della monarchia danubiana.
Vista dall'alto, la parte ettentrionale del Carso di Doberdò assomiglia ad un triangolo la cui base corre parallela aJJa pianura isontina che, dolcemente, invita alla via per Trieste. La strada è chiusa in prossimità di San Giovanni di Duino, dove i rilievi carsici, seppur modesti, ne sbarrano 1 'accesso. Il secondo lato del triangolo costeggia l'intero altopiano di Doberdò, passa in quello di Comeno e forma, delimitato daJle alture di Os]avia, la valle del Vipacco, nella quale scorrono l'Isonzo e il suo affluente Vertoibiza e si eleva il Monte Fortin. A est, ai piedi del Monte San Gabriele e sulla sponda sinistra dell'Isonzo, sorge Gorizia.
Tre paesi: Fogliano (Polazzo), Sagrado e Poggio (ora Poggio della Terza Armata), sono posti alle pendici del San Michele e lo delimitano, facendogli assumere una peculiare configurazione a triangolo. Dalla sua vetta poi scendono una serie di costoni che paiono ancorarlo al suolo.
Verso sud est, in direzione di Trieste, dalla catena si staccano due speroni: il primo scende verso Fogliano, l'altro verso il Colle di Sant'Elia.
Il settore del Carso di venne il fronte principale della guerra degli anni 1915/1916. AJla 33 Armata, posta agli ordini del Duca D'Aosta ed ivi posizionata, fu affidato il compito di sfondare il fronte avversario, in pratica di espugnare il Monte San Michele e conquistarne l'altopiano. Ne furono incaricati l'XI ed il X Corpo d'Armata.
Sul versante opposto, agli uomini del Gruppo Luckachich, venne dato l'ordine di difenderlo. TI Comando imperiale notò immediatamente che gli attacchi italiani erano slegati: vi era una pode-
Gruppo di sottufficiali di Piemonte Reale; a destra, col mantello. il colonnello Luisito e, identificato dalla croce, Francesco Baracca. (Archivio Dal Molin)
rosa azione d'artiglieria, ma questa era indipendente e si sviluppava lungo tutto il fronte, creando aspettative di attacchi a fondo, che puntualmente però non avvenivano. Le truppe regie infatti venivano impiegate in azioni parziali, slegate nel tempo e nello spazio, che causavano sanguinosissime perdite con risultati scarsi. Questo pessimo impiego tattico fu un ulteriore vantaggio concesso ai difensori.
Il Comando imperiale, vista la situazione, creò dei gruppi di combattimento e concesse ai comandanti la facoltà di impiegare uomini e mezzi secondo le loro esigenze, fermo restando l'ordine di non retrocedere. Questa facoltà, negata ai comandanti italiani dall'eccessiva rigidità della struttura del1'esercito, fu indubbiamente una carta vincente. Significava, infatti, snellire la burocratica ricerca del consenso superiore, responsabilizzare gli uomini ed impiegare le forze sul momento, evitando tempi morti, che in gue1Ta possono significare sconfitte certe. Ovviamente questa tattica comportò di converso un'accesa critica all'opera di comando di Cadorna, critica assolutamente infondata, in quanto il Capo di Stato Maggiore si trovava a dover gestire un'organizzazione carente sotto più punti cli vista, con uomini al fronte e politici a casa non preparati alla guerra e non pronti ad una simile avventura.
Oltre al fronte carsico, il Regio Esercito doveva operare pure sul fronte alpino, che sarebbe giustamente stato ricordato come uno dei più difficili fronti naturali, prima che militari, dell'intero conflitto mondiale. La zona d'operazioni andava dal versante meridionale del grande spartiacque costituito dalle Alpi Retiche e dagli Alti Tauri, che degradano con una serie di allineamenti montani, fino ai luoghi propri dei combattimenti: le Alpi Trentine, la muraglia delle Dolomiti, le Alpi e Prealpi Carniche e le Alpi e Prealpi Giulie a scendere verso la pianura veneta e friulana. Per l'aspetto militare era evidente che la zona montana non si prestava a operazioni di grandi masse. Per questo, duran-
25 maggio 1915: Cavalleggeri di Roma. il colonnello Tamajo ed il capitano Fungaia vicino a uno dei primi feriti del Reggimento. (Museo Arma Cavalleria Pinerolo, da ora MCP).
te gli anni precedenti la Grande Guerra, sia l'Italia che l'Austria-Ungheria avevano eretto imponenti opere di fortificazione permanente, lasciando però gli Austro-Ungarici sempre in posizione dominante.L'Austria, infatti, con la pace del 1866, si era riservata gli sbocchi e le posizioni più importanti del confine: testate di valli, origini di comunicazioni e regioni di'raccolta, oltre ad insinuarsi pericolosamente all 'in temo delle regioni più industrializzate del Regno con il cosiddetto "cuneo" del Trentino, una vera zampa leonina in attesa di penetrare nelle vie di comunicazione verso il Veneto.
In quel settore la difesa era affidata ad un cinquantina di forti permanenti, garanzia d'arresto di possibili invasioni. Più ad est, verso il Cadore e la Carnia, questo sistema di difesa si legava ad altre opere fisse.
La conformazione orografica del terreno e la disposizione del confine facevano sì che l'Esercito italiano si trovasse nelle disagiate condizioni di dover attaccare sempre dal basso verso l'alto, trovando il soldato imperiale in ogni caso in posizione dominante, perché padrone delle testate delle valli. A questo proposito è bene ricordare le parole del Capo di Stato Maggiore austro-ungarico, Franz Conrad von Hoetzendorff, che si riferiscono al Tirolo, ma possono essere ben estese a tutta la fronte: "in nessuna altra fronte si può trovare una base di partenza che permetta, in caso di successo, di mettere il nemico in una situazione così pericolosa come quella in cui si verrebbe a trovare l' esercito italiano di fronte ad una offensiva sferrata dal Tirolo ."50 A sinistra e a destra una catena di montagne inaccessibili proteggeva i fianchi delle armate imperiali.
Il confine italo-austriaco prima della guerra.
50 Franz CONRAD VON H OETZENDORFF. relazione tenuta dal capo di stato maggiore ai comandanti d'armata, in Oesterr. Staatsarchiv.
Ufficiali di Cavalleria presso postazioni di artiglieria nei pressi delle Fornaci (Pieris) nelragosto 1915.