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Conclusioni

Alla fine del nostro lavoro di ricerca dovremmo poter tracciare un bilancio operativo e morale dell’invio della Divisione italiana in Francia e di come questo abbia influito sullo sviluppo della coscienza nazionale tra le truppe. L’invio della Divisione Pino si struttura, fin dalla sua organizzazione, come il maggiore sforzo e preoccupazione della giovane Repubblica Italiana. L’impiego di risorse umane e finanziarie, lo sforzo della struttura statale ai diversi livelli, l’attenzione della stampa non sono giustificabili se non si comprende l’alto valore simbolico di cui viene caricata questa partecipazione militare. La creazione della Divisione, curata nei minimi dettagli, non è il frutto ne del desiderio di gloria di un singolo comandante, Pino, ne uno scotto da pagare all’alleato e protettore francese da parte di Melzi. Viene invece coscientemente creata al fine di rappresentare il meglio delle forze italiane per quella che sembrava dover essere la loro prima esperienza bellica. La Divisione avrebbe dovuto fornire un modello di successo che facesse da esempio non solo alle altre truppe della Repubblica ma, ben più importante, alle masse di coscritti che venivano di anno in anno chiamati a servire lo Stato. Purtroppo saranno le scelte di Bonaparte a condizionare il declino della Divisione ed la sua eclissi dal quadro politico e militare. Al momento della sua formazione la Divisione riunisce quasi 7.000 uomini, ovvero un terzo delle forze totali della Repubblica che, sulla carta, dovrebbero essere forti di 24.000 uomini. In realtà l’effettivo non supera i 18.000 e questo aumenta ancora di più l’importanza dell’evento. Anche dopo il rimpatrio di alcuni corpi, la forza della Divisione resta superiore ai 5.000 uomini e possiamo stimare che ogni anno riceve in media 1.000 uomini di complemento. In totale possiamo calcolare che in questo corpo sono passati oltre 10.000 uomini provenienti dall’Italia. Non trascurabili sono le perdite che, basandoci sulla differenza tra effettivi e complementi ricevuti, sono circa 3.000 nel corso di tutta la permanenza in Francia. A questi sono da sommarsi altri 3.000 uomini persi durante il durissimo assedio di Colberg nel 1807. Tali perdite sono principalmente dovute alla durezza della vita militare, alle malattie ed alla diserzione. Abbiamo visto come successivamente alla prima crisi medica dovuta alle condizioni igeniche durante la marcia la salute dei corpi si stabilizza in maniera accettabile con un lieve peggioramento dalla fine del 1805. La diserzione, vero problema delle truppe sia italiane che francesi dell’epoca, si fa sentire, in particolare durante la marcia verso la Francia. Si riduce notevolmente durante l’esperienza del campo di Boulogne e sembra decisamente ridotta durante la permanenza nel 1806 tra i veterani, toccando invece i coscritti inviati dall’Italia, i quali disertano principalmente durante la marcia.

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L’idea di inviare questo corpo in Francia servì anche da elemento unificatore delle diverse tendenze politiche interne alla Repubblica Italiana. Infatti la presa ideale che ebbe sull’opinione pubblica, aumentata dalla grandezza del progetto napoleonico di invadere l’Inghilterra, si estese anche agli ambienti dei “patrioti” più intransigenti e più reticenti a spostare la causa di un’indipendenza tutelata dalla Francia napoleonica204. Le istanze di questa parte politica si videro rassicurate dalla scelta di un personaggio come il generale Teulié, secondo in comando nella Divisione. La sua figura, infatti, sebbene ormai allineata con le posizioni di Melzi, garantiva la difesa dell’autonomia ed il rispetto della diversità italiana in seno all’armata francese. Non mancarono certo le opposizioni, ma restarono limitate ad ambienti chiusi, principalmente di ambito governativo, che non condividevano la convinzione di Melzi sul guadagno politico indiscutibile che se ne sarebbe ricavato205. Tale convinzione aveva origine nel Vice-Presidente in particolar modo a causa degli insuccessi a livello di politica estera da parte della giovane Repubblica, come dimostrano le fallite trattative con Conblenz e l’Austria nel 1803 o la questione dell’annessione del Piemonte da parte della Francia. L’idea principale è quella di ottenere meriti politici e diplomatici grazie ai successi ed al sacrificio delle truppe italiane. Le motivazioni alla base della richiesta di Bonparte sono sicuramente diverse, ma coincidono infine con gli obbiettivi. Sicuramente la necessità di truppe non era così forte da richiedere l’invio di un corpo straniero semi-autonomo dal punto di vista del comando e di dubbie capacità e addestramento. Sappiamo però che Napoleone, lungo tutto il periodo del suo governo, non rifiutò mai la possibilità di ottenere uomini, mezzi ed armamenti. Inoltre ben chiara in Bonaparte è anche la questione politica dell’indipendenza italiana. La sua azione è volta da un lato a fortificare lo spirito nazionale, dall’altro a non concentrare nelle mani del governo italiano troppe forze. Così accetta di buon grado la possibilità di addestrare, rifornire e formare le truppe italiane, conscio dell’utilità che una truppa ben addestrata può avere non solo sul teatro italiano. D’altra parte toglie al controllo nazionale un totale di uomini pari ad un terzo delle forze della Repubblica, quasi sicuramente i migliori reparti disponibili all’epoca, evitando così ogni rischio di una possibile manovra indipendentista appoggiata dall’esercito contro le truppe francesi. Tale timore, sebbene ormai assai difficile a concretizzarsi, si basa sui fatti già avvenuti intorno al generale Lahoz ed alle trame della Società dei Raggi e di come gran parte degli alti ufficiali italiani (tra cui Pino e Teulié) fossero stati vicini a tali eventi senza però prendere posizione. La partenza delle truppe da comunque un segnale dell’interesse della popolazione per l’evento, ed ancora maggiore è l’accoglienza che le truppe ricevono al loro arrivo a Parigi dalla popolazione,

204 Cfr. Umberto Carpi, Lettere e Armi, in Armi e Nazione : dalla Repubblica cisalpina al Regno d’Italia (1797-1814), a cura di Maria Canella, Atti del convegno storico tenutosi a Milano nel 2002, Milano, 2009 205 Cfr. A. Pingaud, op.cit., pag. 275

interessata dall’arrivo di truppe alleate che si caricavano dell’immaginario dell’Italia descritta dai veterani delle due campagne del 1796 e del 1800. Il bilancio positivo della marcia, delle parate ed ispezioni a Parigi e del buon ordine con cui i reparti arrivarono a Boulogne indica l’alto morale e la convinzione del valore della spedizione diffusa anche tra la truppa ed il corpo ufficiali. Sebbene i documenti restino abbastanza limitati vediamo come da parte di diversi ufficiali ci sia un reale interesse per l’apporto politico della spedizione. La testimonianza più celebre resta sicuramente quella delle lettere inviate dal capitano Ermolao Federigo, veneto e amico del Foscolo, e che ben sotttolinea l’importanza del fine per giustificare i mezzi. Ben si esprime dicendo “Che importa servire l’ambizione di questo o di quello? Il grande oggetto è quello di imparare la guerra che deve essere il solo mestiere che possa renderci liberi.”206 In questa lettera abbiamo l’occasione di trovare concentrati tutti i principi base che, sia nel pensiero di Melzi che di Napoleone, giustificarono la formazione e l’invio della Divisione e di come questi siano pienamente percepiti e fatti propri almeno dal corpo ufficiali. Infatti si cita il valore dell’addestramento e dell’istruzione militare, del peso politico dell’esercito, della testimonianza di fronte alle truppe straniere della realtà italiana anche se non completamente indipendente. Tutte queste idee, diffuse in maniera ampia tra gli ufficiali, trovano sbocco anche nellla truppa e nel corpo sottufficiali, in particolare grazie alla permeabilità della barriera tra i gradi a livello sociale e intellettuale ed alle numerose possibilità di carriera. Lo zelo dimostrato dalla truppa e dagli ufficiali nell’esecuzione del gravoso servizio sulla flottiglia e nelle batterie e nei forti della Costa di Ferro attestano la buona volontà delle truppe ed il desiderio di emulazione dei colleghi. Proprio su questo principio si basa l’attento addestramento e le numerose riviste a cui è sottoposta la Divisione, ricevendo gli elogi degli ufficiali francesi, sempre soddisfatti della tenuta e delle capacità della truppa. La soddisfazione che deriva da questi commenti positivi è ben percebile nelle ripetizioni nei documenti ufficiali e nelle comunicazioni interne tra i diversi organi italiani. Lo sforzo da parte delle truppe non diminuisce dopo la partenza della Grand Amrée alla volta della Germania nel settembre 1805 e non si nota un particolare cambiamento nel morale e nella resa delle truppe a causa dell’esclusione da questa campagna. Ciò che sembra invece pesare maggiormente in maniera negativa sul morale delle truppe ed in particolare sul corpo ufficiali è il rapporto e le relazioni con l’Italia. Un primo screzio sembra esserci stato, in realtà per semplice incomprensione, nei confronti del Ministro Trivulzio, ritenuto responsabile degli scarsi fondi e materiali destinati alla Divisione. In realtà tali limitazioni derivavano semplicemente dalle eccessive richieste formulate da

206 Cfr. E. Federigo, op.cit., pag. 17

Pino, il quale a suo volta, una volta diventato Ministro della guerra, dimenticherà presto la Divisione privandola del suo supporto ed anche dei complementi e materiali che destinerà agli altri corpi presenti sul territorio nazionale. Tale condizione, unitamente al calo dell’interesse dell’opinione pubblica, è percepibile sempre nelle lettere del capitano Federigo che si lamenta con i propri conoscenti a Milano del disinteresse generale che ormai, alla fine del 1805, circonda la Divisione. Colpo finale al morale delle truppe ed alla disciplina è sicuramente lo smembramento su diversi presidi lungo tutto le coste della Francia, il quale rompe l’unità del corpo italiano sia a livello organizzativo, sia privandolo della guida unitaria di Teulié. Volendo soffermarsi sulla questione della disciplina ci sentiamo in grado di contestare ampiamente la cattiva immagine che gli italiani ricevono da diverse opere di storia locale sviluppatasi nella zona di Boulogne e Calais. Tali testi, infatti, oltre a basarsi su un certo pregiudizio storicamente anche posteriore, non sembrano tenere conte di moltissimi altri fatti di cronaca e di indisciplina che coinvolgono un numero altissimo di altri militari francesi. Le risse sono all’ordine del giorno, come i duelli tra militari e gli scontri tra ufficiali e borghesi del luogo. La quantità di fatti censurati e puniti dai Consigli di guerra, estremamente alta visto la concentrazione enorme di truppe, non segnala una particolare incisività degli episodi concernenti gli italiani. Un fattore che influisce sicuramente su questa percezione è la questione degli alloggi, dato che la Divisione è acquartierata principalmente presso la popolazione locale o nelle caserme cittadine, a differenza della gran parte delle truppe francesi sistemate nei baraccamenti cotruiti appositamente nei campi. Punto finale della valutazione dello spirito militare e dell’orgoglio dei corpi è la loro partenza per la Germania alla fine del 1806. Se volessimo leggere nel crollo della disciplina e delle prestazioni da parte delle truppe della Divisione un processo irreversibile cominciato alla fine del 1805, non potremmo spiegarci l’ottima resa data durante la campagna del 1807. Infatti riteniamo che la notizia della riunione della Divisione ed il suo invio al fronte abbia incentivato immediatamente non solo i

quadri ufficiali, ma tutta la truppa a nuovi sforzi ed al rispetto della disciplina, soddisfatta finalmente di essere destinata ad un impiego attivo per cui si era così duramente addestrata. Purtroppo l’inserimento di altri corpi provenienti dall’Italia prima dell’ingresso in combattimento sotto Colberg non può darci la certezza che il buon risultato sia unicamente delle truppe provenienti dalla Francia, ma possiamo ben valutare che dato che oltre i due terzi degli effettivi hanno questa provenienza, costituiscano il nucleo centrale della forza della Divisione. Sarebbe stato quanto mai utile per questo studio poter valutare l’impatto del rientro della Divisione in Italia ma ciò diviene impossibile a causa del rimpatrio nel 1808 insieme alle altre truppe aggiuntesi con la brigata Severoli, il comando di divisione di Pino e la brigata di cavalleria.

Vogliamo comunque ritenere che una parte dei calorosi festeggiamenti, particolarmente quelli di Milano, sia dedicata alle truppe che dopo quattro anni rientravano in patria. Qual è l’apporto politico di quest’esperienza sull’idea nazionale? Abbiamo già visto come l’impatto sulla società civile si sia sviluppato, quasi totalmente, al momento della formazione e della partenza della Divisione. Presso le truppe questo concetto si sviluppa lentamente durante la permanenza in Francia ed ha nuovo impulso al momento del suo rientro in Italia ed il suo inserimento a fianco delle altre truppe italiane. Durante la permanenza in Francia i soldati italiani si trovano di fianco ai veterani delle armate repubblicane francesi, sicuramente più maturi e formati a livello politico, e hanno così la possibilità di sviluppare una propria riflessione politica. L’emulazione non si sviluppa solo in campo tecnico, ma anche nella partecipazione ai grandi momenti politici della Francia nel suo passaggio dal Consolato all’Impero e per l’Italia dalla Repubblica al Regno. Queste riflessioni, non sempre favorevoli al regime napoleonico, hanno comunque possibilità di mettere radici e cementarsi nella struttura militare. Al loro rientro in Italia i soldati continueranno a divulgare queste idee, a trasmetterle agli altri corpi e, in particolar modo, alle nuove leve di coscritti che continueranno a confluire nei diversi reparti che costituirono la Divisione italiana in Francia. La stessa scomparsa del generale Teulié sotto Colberg darà nuovo risalto alla sua figura, facendolo valutare definitivamente come il maggiore generale italiano per le sue capacità sia militari che organizzative e, ancor di più, per l’attenzione che sempre dimostrò verso il benessere dei suoi soldati. La figura di Teulié condensò in sé l’immagine del generale capace, fervente italiano ma fedele al regime napoleonico e ai propri soldati.

L’esperienza della Divisione italiana nella spedizione contro l’Inghilterra impiegò per quattro anni le migliori truppe della Repubblica. Risultato fu l’addestramento di quelli che furono i migliori reparti italiani, formati sia a livello militare che politico. L’ideale che si diffuse presso queste truppe mise radici in tutta la struttura militare italiana, cominciando il processo di saldatura tra le forze armate e l’idea nazionale, rendendole indissolubili l’una dall’altra e portando alla nascita di una tradizione e capacità militare che si diede prova di sé in tutte le campagne napoleoniche. Tale ideale passo integro, nonostante la tempesta ed il crollo del 1814, negli ideali del Risorgimento che animarono i moti della prima metà del XIX secolo.

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