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LA POLITICA ADRIATICA

E IL CONTROLLO DEL CANALE D'OTRANTO

L'annosa questione d'Oriente ritornava alla ribalta internazionale nel luglio 1875, in conseguenza della sollevazione dei contadini cristiani dell'Erzegovina contro i proprietari maomettani. La nuova fase acuta coincideva con il rinnovato interesse che veniva dedicato agli affari balcanici da importanti forze politiche alle corti di Vienna e di Pietroburgo: la relativa stasi che si era determinata nella rivalità austro-russa per la penisola balcanica, dopo l'accordo dei tre imperatori del 22 ottobre 1873, dava luogo ora, con l'insurrezione dell'Erzegovina, a prospettive di movimento. I moti sembravano offrire largo campo di manovra alle ambizioni del gruppo panslavista che, arroccato dietro la figura del generale lgnatiev, ambasciatore a Costantinopoli, premeva per rendere più attiva e più aggressiva la politica estera di Pietroburgo, puntando sull'obbiettivo più immediato e più agevole: la dissoluzione dell'intero settore settentrionale dei domini ottomani in Europa. Al tempo stesso, anche qui in contraddizione con la più cauta politica del ministro degli esteri, circoli militari austriaci premevano sull'imperatore per estendere alle spalle della Dalmazia i confini meridionali dello Stato e per contendere alla Russia, fin dove fosse possibile, l'eredità balcanica del « grande malato » turco (l). Il quale malato, probabilmente, avrebbe avuto ancora forze sufficienti a risolvere sul piano militare i propri problemi interni, se in tali problemi non si fossero immischiate irreversibilmente, ormai da molti anni , le altre potenze (2).

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(l) Gr. LANGER, op. cit., pagg. 103-113. Il viaggio dell'imperatore Francesco Giuseppe lungo la frontiera turca, nell'aprile del 1875, fu la manifestazione più appariscente dcUe non troppo nascoste intenzioni austriache, che l'esercito aveva sostenuto fin dai tempi del Radetsky, dopo !a guerra di Crimea.

Il vivo interesse che le nazioni europee avevano portato al teatro balcanico fin dagli inizi del movimento insurrezionale trovava ulteriore alimento nell'estendersi della sommossa , che impegnava in misura crescente la Turchia (3 ), mentre gli Stati minori della regione- Serbia, Montenegro, Grecia- prendevano o annunziavano misure militari che potevano preludere ad un allargamento del conflitto. Inoltre, il gioco politico veniva condotto tortuosamente in un'Europa priva di punti fermi, di alleanze sicure e di intese non fluide: lo stesso accordo dei tre imperatori non costituiva un elemento definitivo di stabilità , quando nella congiuntura balcanica due dei tre contraenti tentavano di affermare , in concorrenza tra loro, una propria politica egemonica. D'altronde, l'inquieta pace del continente, avvelenata dalle reciproche diffidenze, era stata turbata nella stessa primavera del 1875 da un acuto momento di tensione francotedesca, che aveva fatto addirittura temere la guerra, preoccupando le cancellerie in misura forse eccessiva rispetto al pericolo reale. Il Foreign Office, a sua volta, era alle prese con questioni complesse e difficili, come quella dell'assetto dell'intero bacino orientale del Mediterraneo, dove la situazione si presentava in fase di peggioramento, con la pressione russa sempre più insistente, con il fermento delle rivalità di razza e delle nuove nazionalità, con le ambizioni specifiche dell'Austria e generiche di altri. La decadenza ottomana minacciava di precipitare fatalmente verso sbocchi incontrollabili e sfavorevoli agli inte· ressi britannici , e di fronte a tale pericolo non è da stupirsi se Londra preferiva l'occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina, nell'autunno 1875, alle nuove avventurose prospettive aperte dall'agitazione in corso in Serbia e nel Montenegro ( 4 ). Elementi contraddittori <:aratterizzavano la posizione italiana (5). Da un lato le aspirazioni austro-ungariche sulla Bosnia e sull'Erzegovina favorivano le fantasie dei neobalbiani, che speravano di risolvere attraverso una politica di compromessi e di compensi i problemi relativi a,i territori italiani restati sotto il dominio austriaco dopo la terza guerra d'indipendenza: queste idee apparivano senza dubbio suggestive, poiché nella situazione di debolezza militare e di sostanziale isolamento dell'Italia apparivano come le sole capaci di far conseguire al paese, senza guerra, taluni ingrandimenti territoriali, sui quali di quando in quando tornava a divampare la mai sopita fiamma irredentistica (6). Per altro, l'eventualità di una discesa dell'Austria-Ungheria nei Balcani era motivc di preoccupazioni politiche e strategiche consistenti: un consolidamento della duplice monarchia nel mondo slavo avrebbe posto probabilmente un freno alle tendenze delle nazionalità in seno all'impero absburgico e avrebbe finito con il rafforzare il vecchio nemico contro cui si era faticosamente e fortunosamente affermata l'indipendenza italiana. Sull'Adriatico, poi, le conseguenze di un aumento della pressione austriaca apparivano assai gravi e davano luogo a considerazioni economiche e militari preoccupanti, che tendevano alla richiesta di una operazione di riequilibramento sulle coste meridionali di quel mare. La ventilata occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina apriva tuttavia una prospettiva - quella della rettifica

(2) A proposito dell'insurrezione divampata in Bosnia e in Erzegovina , osservava il Bonghi: « Certo la Porta è uscita da cimenti simili vittoriosa più volte, in varie parti del suo desolato impero... e i popoli giunti a liberarsi dalla suggezione sua non vi riuscirono se non per aiuti stranieri. .. » (in « Nuova Antologia», XXX (1875 ), settembre, pag. 198).

( 3) Mentre venivano operati concentramenti di trup.[x: turche, anche la squadra navale ottomana fu richiamata da T unisi ed inviata nell'Adriatico, per essere impiegata in crociere di blocco , dirette ad impedire ogni afflusso di armi e di uomini nei Balcani per via di mare: preoccupazione, questa, accentuata dal fatto che nelle città dalmate soggette all'Austria si erano costituiti comitati a favore degli insorti.

( 4) Cfr. anche « Nuova Antologia », XXX ( 1875), dicembre, pag. 888.

(5) Si veda un'analisi retrospettiva della questione in AnRIACUS: Da Trieste a Valona. Il problema adriatico e i diritti dell'Italia, Milano, 1918.

( della frontiera nord-orientale - accarezzata da tempo anche nelle sfere governative (7), sebbene le richieste che si sperava di poter avanzare fossero molto più caute e più modeste di quelle che venivano agitate sulla stampa democratica. Ed è interessante rilevare da tutta una serie di indizi - l'atteggiamento della stampa, le confidenze riservate di taluni responsabili della politica estera, la faciloneria con cui parte dell'opinione pubblica diede credito all'ipotesi che nell'incontro di Venezia dell'aprile 1875 tra Vittorio Emanuele e Francesco Giuseppe d si fosse intesi per una rettifica della frontiera - quanto fosse diffusa in Italia la convinzione che bastasse aspettare il momento opportuno per giungere a un accordo con l'impero austro-ungarico circa le terre irredente: wait and see, aspettare e vedere, ma con l'intima persuasione che sarebbe venuto il giorno nel quale sarebbe stato possibile mettere in atto la brillante operazione politica del baratto delle regioni irredente con il consentimento all'espansione absburgica nei Balcani. Eppure, da parte austriaca una parola chiara era venuta, nella primavera 1874; con la lettera inviata dal conte Andrassy, cancelliere dell'impero austriaco, all'ambasciatore a Roma conte Wimpffen, in data 24 maggio, si era inteso da parte imperiale porre un punto fetmo alle aspirazioni irredentistiche italiane: e non si può negare che la -lettera - da leggere e da trasmettere in copia ai ministri italiani - fosse estremamente esplicita. Vi si assicurava che l'Austria-Ungheria non riconosceva alcun movimento popolare inteso a rivendicare le terre italiane recentemente perdute nelle guerre contro l'Italia, e vi si dichiarava che l'imperia! regio governo si attendeva un identico atteggiamento da Roma, visto che l'impero non avrebbe potuto accettare mai senza guerra la rinuncia a terre e a sudditi rivendicati da altre potenze in nome del principio di nazionalità ( 8 ). Nulla di più logico, del resto, data la struttura dello Stato austro-ungarico. Malgrado una tale ferma presa di posizione, però, le ricorrenti speranze dei neo-balbiani (se cosl si possono chiamare) esponenti della politica estera italiana continuavano ad affacciarsi di tanto in tanto e la rivoluzione in Bosnia-Erzegovina parve a qualcuno confortare quelle speranze (9).

6) Gli an ti-austriaci, per altro, erano ormai ridotti agli « estremi gruppi democratici ... più turbolenti che numerosi» (SALVEMINI: La politica estera dell ' Italia dal 1871 al 1915, II ediz., Firenze, 1950, pag. 25).

(7) Cfr. SALVEMINl, La politica estera della Destra, in «Rivista d'Italia», XXVII (1924), vol. III, pagg. 346-370, e XXVIII (1925), vol. I, pagg. 60-82 e 186-210. Vi si riporta come l'ambasciatore italiano a Vienna, Di Robilant, scrivesse al ministro degli esteri Visconti Venosta, in data 4 marzo 1874, che bisognava stare attenti, al fine di « giunto il momento trovarci in posizione da cavar dagli eventi quel profitto, che parrà più conveniente, e che ragionevolmente potremo rar di ottenere»; e come il medesimo ribadisse più esplicitamente il proprio punto di vista nel rapporto del 4 luglio successivo: <<Gli ottimisti sperano ... l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina .. . Io confesso che dal canto mio desidererei per molte ragioni vedere ciò effettuarsi: e principalmente perché si presenterebbe cosl la propizia ed anzi la sola desiderabile occasione, di ottenere alla nostra volta l'annessione all'Italia di quelle terre la cui popolazione è della nostra stessa famiglia, e che nessuna soluzione di continuità da noi divide».

Ma l'annessione all'Austria delle regioni insorte nella penisola balcanica avrebbe prodotto una sostanziale modifica dell'equilibrio adriatico e, quindi, prescindendo dal problema delle terre irredente, avrebbe cambiato i rapporti di peso tra .i paesi rivieraschi. La marina italiana era stata sempre cosciente di dò ed aveva pertanto seguito con molta attenzione, nella primavera del 1873 , il viaggio del generale Kuhn, ministro austriaco della guerra, lungo la costa dalmata, alla ricerca di un nuovo porto militare da istituire in luogo di Sebenico per controbilanciare la decisione italiana di valorizzare Taranto (l O). E' da rilevare che in quello stesso anno i risultati degli Studi condotti dalla commissione per la difesa delle coste presieduta dal gen. Menabrea ave,vano portato alla decisione di insistere sulla base di T aranto ( 11 ), ma di subordinarne l'armamento all'eventuale disponibilità di fondi, il che equivaleva in pratica a rimandarlo alle calende greche. La politica navale austriaca veniva seguita più con attenzione che con preoccupazione, sebbene la flotta imperiale e regia avesse ormai raggiunto una consistenza non trascurabile ( 12 ). Qualora quella flotta avesse potuto usufruire di nuove basi sulla costa adriatica orientale e le posizioni dell'impero su quel litorale avessero avuto un'ulteriore espansione, l'Italia avrebbe dovuto cercare un compenso a sud, intorno alla zona del canale d'Otrarùo, sulla sponda opposta alla nazionale, per effettuare un'operazione di contenimento. La questione della porta adriatica, del resto, era stata dibattuta negli ambienti della marina fin dai primi anni dell'unità e non erano mancati accenni all'utilità del possesso di Corfù ( 13 ). Ma negli anni '70 la marina, in Italia, non poteva avere un peso paragonabile a ·quello dell'Ammiragliato inglese sulla formulazione della politica del paese, per cui le considerazioni strategiche erano nate a restare confinate nei circoli della flotta. Pertanto, al momento in cui la rivoluzione scoppiava nei Balcani, non vi era nella politica estera italiana un'effettiva propensione a chiedere compensi nell'Adriatico meridionale, neppure come alternativa al Trentino.

(8) V. il testo completo del documento in SANOONÀ: L'irredentismo nelle lotte politiche e nelle contese diplomatiche italo-austriache, Bologna, 1932, vol. I, pagg. 106-111, il quale però dimentica di citare il SALVEMINI, La politica estera della Destra, cit., in cui era già stato riprodotto l'imponante documento a pagg. 65-66 della 23 puntata.

(9) Cfr. amb. Di Robilant a ministro Visconti Venosta in data 7 agosto 1875: «A me pare s'abbia da parte nostra a stare molto attenti a questa faccenda, poiché sarebbe per noi un'occasione forse unica di migliorare le nostre frontiere in Val d'Adige e sull'Isonzo »; e poi, il 12 suet:essivo: « potremmo più tardi pretender alla parte nostra»; e ancora un accenno, il giorno dopo, alla parte dell'Italia nello « spartimento della torta»: tutti cit. dal SALVEMINI, La politica estera della Destra, cit., pagg. 197-198 e 200 della .3• puntata.

(10) Le ragioni principali dell'iniziativa austro-ungarica, secondo il rapporto del 21 maggio 1873 dei console italiano di Fiume al ministro degli esteri, ritrasmesso dall'Arto m al ministero della marina , erano le seguenti: « l. La risoluzione presa dal governo italiano di creare uno stabilimento marittimo in Taranto. - 2. I timori che l'Austria ha della propaganda separatista slava per cui vuol essere parata ad ogni eventualità ed avere un punto dove concentrare con facilità e sicurezza le sue forze» (A.U.S .M., busta 109, fase. 1).

( ì1) Si esprimeva la speranza - così il verbale del 25 giugno - che il porto pugliese « debba prestare a noi servizi analoghi a quelli che Malta presta agli Inglesi ». I verbali delle sedute della sessione estiva (19 -25 giugno 1873) della commissione mista per la difesa generale delle coste sono reperibili in A.U .S.M ., busta l 09, fase. l: essa era presieduta ·aal gen. Menabrea e composta dai luogotenenti gen. Cosenz e Longo, dal vice amm. De Viry, dal contramm. Isola, dall'ispett. del genio navale Mattei, dal magg. gen. Parodi, dal cap. vasc. Bucchia e dal luogotenente vasc. Pescetto, segretario.

(12) Secondo quanto pubblicav a la «Rivista marittima» (1875 , IV, pag. 396 ), la marina militare austro-ungarica risultava composta da undici navi corazzate, tre fregate, otto corvette, cinque cannoniere, una .torpediniera, cinque brigantini, due avvisi, due yachts, dieci trasporti, òl.tre a due monitori fluviali del Danubio (questi ultimi per altro definiti « deformi » e « di pochissimo momento » nel cit. rapporto del comandante dell'avviso « Authion »).

« A noi bisogna la pace e la vogliamo con ogni schiettezza» affermava il Mamiani nell'agosto 1875 ( 14 ), facendo eco al ministro degli esteri: tale era la politica del governo, come era stato confermato ancora una volta, proprio in quei giorni, dal dibattito alla Camera sugli incidenti avvenuti in Dalmazia tra operai italiani e slavi (15). Era una pace disarmata, e come tale ben poco utile ad usarsi come strumento di potenza. Persino l'invio di qualche unità della flotta nel Levante - minimo atto che anche le potenze minori non mancavano di effettuare come manifestazione di presenza- veniva impedito da considerazioni di ordine economico (16), certo valide ma non tali da rendere autorevole la parola del paese. E forse non tutti i torti aveva Ludovico Cisotti - malg rado la distorsione profess'ionale che lo induceva a scagliarsi contro le « inconsulte economie » dei bilanci militari - quando lamentava: « Quella soverchia fiducia nella pace doveva pur venir meno vedendo tutte le grandi potenze militari, compresa l'Austria-Ungheria, per solito assai misurata nelle spese, attendere con istraordinaria attività e con enormi somme agli armamenti ed alle opere di difesa» (17). Tali polemiche portavano acqua al mulino dell'opposizione, che accusava gli uomini della Destra di inettitudine e di atteggiamenti dimessi in campo internazionale, trascurando spesso di tener conto delle diflìcoltà obbiettive che la situazione economica italiana portava con sé. Il governo, comunque, continuava la propria politica di neutralità e, fin dove possibile, di buoni rapporti con tutti, persino con i turchi che chiedevano aiuto nella repressione di eventuali contrabbandi dalle coste italiane in favore degli insorti balcanici ( 18 ).

(13) Cfr. GABRIELE, La politica navale, ecc., cit., pagg. 319-346.

(14) Nell'articolo Il fatto e il da farsi degl'Italiani, in «Nuova Antologia», XXX (1875), agosto, pag. 755.

(15) Il 23 novembre 1875 il deputato Manfrin aveva sollevato in Parlamento la questione, lamentando gli incidenti accaduti sul tronco ferroviario Siverich-Spalato e chiedendo una energica protesta presso il governo di Vienna, il quale, a parere dell'oratore, avrebbe avuto interesse a sostenere gli italiani contro gli slavi, invece di tollerare persecuzioni e cacce all'uomo. La portata degli incidenti era stata sufficientemente ridimensionata dall'oratore successivo, il deputato Maldini, che conosceva per· sonalmente assai bene le province dalmate e i loro problemi e che aveva colto l'occasione per chiarire che in Dalmazia, ad ogni buon conto, malgrado i trascorsi di Venezia, «nessun partito e forse neppure una qualche individualità pensa ad una unione con l'Italia». Infine il ministro degli esteri Visconti Venosta, citando il rapporto del 16 agosto dell'ambasciatore italiano a Vienna, aveva dichiarato che l'operato delle autorità austriache era stato del tutto regolare ed aveva sottolineato che « le più amichevoli relazioni» correvano tra Roma e Vienna (A.P.C., sessione 18741875, vol. VII, Roma, 1875, pagg. 4635-4643; un cenno è anche in SANOONÀ, op. cit., pagg. 115-116).

(16) «Noi in Oriente, per ragioni di economia, non abbiamo legni da guerra»: dichiarava il Visconti Venosta alla Camera il 24 novembre 1875 (A.P.C., sessione 1874-1875, cit., vol. VIII, pag. 4657).

{17) CrsoTTI: Stato militare dell'Italia nell'anno 1875, in «Nuova Antologia», XXX ( 1875), novembre, pagg. 538-564 e dicembre, pagg. 745-769. L'Autore vi denunziava, tra l'altro, i «gravissimi problemi intorno alla difesa peninsulare » che avrebbero dovuto preoccupare i respon· sabili perché condizionavano radicalmente anche le operazioni dell'esercito. In precedenza, nello stesso anno (ibidem, agosto, pagg. 911-925), il Q. sotti aveva esaminato gli armamenti di Francia, Germania, Russia e Inghilterra e delle altre potenze europee ed aveva constatato che, a parte i notevoli armamenti delle prime quattro grandi nazioni, a partire dal 1868 anche l'Austria era andata lentamente riorganizzandosi nel campo militare, mentre in Italia, dove si spendeva meno che in ogni altro paese citato, si era rimasti paurosamente indietro.

(18) Il 12 agosto 1875 il console turco in Ancona, AsChelim, aveva richiesto la collaborazione della locale capitaneria di porto, poiché « il Governo Imperiale teme che dalla costa d'Italia più prossima al luogo dell'insurrezione si cerchi di far pervenite agl'insorti armi, munizioni e

Anche il discorso della Corona del 6 marzo 1876 seguiva il solito cliché della politica governativa, imbevuto di ottimismo formale sulle possibilità di risolvere per via pacifica, attraverso l'applicazione riforme già annunziate, la questione bosniaca (19). Se non che nel frattempo nei Balcani la situazione era andata sempre più degenerando. La nota Andrassy aveva finito per essere accettata da tutti, anche se « come il male minore » ( 20 ), ma la formale adesione delle potenze garanti per la Turchia al piano di riforme proposto dal ministro viennese degli esteri non aveva sciolto l'intricato viluppo di interessi internazionali che si era formato intorno alla rivolta anti-turca: per cui all'iniziativa di Vienna erano seguite altre iniziative diplomatiche destinate ad ostacolarsi e a farsi fallire a vicenda, manifestazioni palesi di quella che il Langer chiama la «crisi del concerto europeo » ( 21 ).

Quando, in Italia, la Sinistra sall al potere, la penisola balcanica era alla vigilia di nuovi drammatici avvenimenti e tutto il Levante era in agitazione. Il nuovo governo Depretis, con il Melegari agli esteri, non dava, della situazione internazionale e degli interessi italiani, un giudizio diverso da quello preceden- soccorsi di uomini». Le istruzioni in proposito del ministro della marina, Benedetto Brin, al comandante del porto di Ancona, io data 25 agosto successivo, dicevano: « La R. Prefettura di Ancona ha già ricevuto dal Ministero dell'Interno istruzioni circa l'eventualità di imbarchi destinati a portare soccorsi alla insurrezione di Erzegovina. A detta dovrà quindi rivolgersi il Console ottomano, ove creda di avere comunicazioni in proposito e colla medesima starà . codesta Capitaneria in rapporto per quanto riguarda la sorveglianza da informando sempre il Ministero di quanto sarà per fare». In pari data il ministro degli esteri ringraziava quello della marina per i provvedimenti presi allo scopo di impedire « imbarchi d'indole sospetta, che sembrassero destinati a portare soccorsi all'insurrezione in Erzegovina» (A.U.S.M., busta 109, fase. 3 ).

( 19) Cfr. A.P.C., Discussioni generali 1876, vol. I, pag. 6. · te (22); tuttavia, dopo i fatti di Salonicco, del 6 maggio (23 ), e di Costantinopoli, del l O maggio, ritenne di dover fare qualche cosa ed inviò unità da guerra nel Mediterraneo orientale a fianco di quelle delle altre potenze (24 ). Le cose intanto, con Serbia e Montenegro inarrestabilmente lanciate verso la guerra, andavano precipitando.

(20) Cosl il redattore della Rassegna politica della «Nuova Antologia », XXXI ( 1876) febbraio, pagg. 442-446.

(21) LANGER, op. cit., vol. I, pagg. 119-132.

La presenza di unità della marina militare italiana nel Levante permetteva al paese di conseguire un minimo di affermazione di prestigio che, pur non essendo da sopravalutare, era certamente maggiore di quello che si sarebbe ottenuto con l'assenza completa. Le navi da guerra stazionarie servivano a dare maggior tranquillità alle colonie nazionali (25), a raccogliere

(22) SALVEMINI, La politica estera dell'Italia, ecc., cit., pag. 33; SALVATORELLI: LA Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912, Milano, 1939, pag. 29; ecc.

(23) A Salonicco fu spedita la fregata « Maria Pia », il cui arrivo, secondo un rapporto del console italiano, in data 16 maggio, «è stato per la colonia italiana un desiderato conforto»; detta colonia, sempre a quanto riferiva il console, « è la più importante e numerosa delle altre straniere in questa città; abbiamo qui dunque grossi interessi materiali da salvaguardare». Il rapporto è in A.C.R.M., busta 190.

( 24) « il Governo ha creduto di dare immediatamente gli ordini necessari ai comandanti le nostre divisioni navali in Oriente perché siano pronte a proteggere le colonie italiane che sono numerose in quelle contrade, gl'interessi, le proprietà, le persone dei nostri concittadini e di coloro che vivono colà sotto la protezione della nostra bandiera »: cosl il ministro degli esteri Melegari in risposta all'interrogazione del deputato Rasponi sui fatti di Costantinopoli, il 31 maggio 1876 (A.P.C., Discussioni generali 1876, vol. II, pag. 1151). Il 19 maggio, nel dibattito sull'interrogazione del deputato Massari circa i fatti di Salonicco, il Melegari aveva fatto notare che i marinai italiani erano presenti a Tessalonica insieme a quelli greci, turchi, germanici, francesi ed austriaci (ibidem, vol. I, pagg. 600-601 ).

(25) Nel suo rapporto da Kavala, in data 17 giugno 1876, indirizzato al comando della squadra, il comandante dell'avviso Authion •, E. Grandville, scriveva: « Nella città la colonia italiana si compone di una trentina di persone. Essa è la più importante dopo la greca ed in caso di complicazioni la presenza di un nostro bastimento aumenterebbe considerazione e prestigio per il nostt:o paese ... In caso di agitazione seria non credo che un bastimento avviso basterebbe ad impedire eccessi. men- notizie di prima mano (26), talvolta a facilitare rapporti di collaborazione (27): e dalla presenza di pochi bastimenti non si poteva pretendere di più. Eppure, queste misure di poco conto tre questi potrebbero esser trattenuti dalla presenza di un bastimento di una certa forza, d'una corvetta tipo « V arese » od anche tipo « Cara.cciolo ». Questa popolazione, come del resto tutte le popolazioni ignoranti si lascia piuttosto intimorire dalla punizione istantanea che da quella che può arrivare, e perciò poca influenza in un momento critico avrebbe la bandiera nostra alzata sopra l'edificio consolare o. sopra un piccolo bastimento se i turbolenti non fossero intimoriti dalla probabilità di una reazÌone efficace e subitanea» (A.C.R.M. busta 190: ibidem sono puré reperibili altri rapporti di analogo tenore, da Lemno, Volo, Salonicco, ecc., inviati dai comandanti delle singole unità sparpagliate nell'Egeo al comando squadra di Besica).

(26) Cfr., ad es., la lettera del ministro della marina al comandante della Vedetta a Costantinopoli, dell'11 maggio 1876, in cui lo si invita a raccogliere notizie dirette « sul numero delle navi dell'lmperial Marina Turca, sulla loro qualità e potenza, sulle misure adottate e sulle intenzioni manifestate dal Governo Ottomano a riguardo dei suoi armamenti navali , in presenza degli eventi ... sorti in Oriente» (A.U.S.M., busta 109, fase. 5). E' da rilevare che in precedenza le informazioni si erano avute spesso di seconda mano, tramite gli inglesi e gli stessi turchi: dr. lettera di Artom al ministero del 12 gennaio 1875, con cui si trasmettono studi politico-militari intorno ai paesi ottomani nel Mar Nero, avuti da lord Uoyd, late ambassador a Costantinopoli e del Gran Visir Alì Pascià (ibidem, fase. 3 ). Circa le valutazioni della « Kolnische Zeitung », secondo cui la Turchia sarebbe stata in quel momento la più forte potenza navale del Mediterraneo, dr. «Rivista marittima» del gennaio 1876, pag. 130, dove si obbiettava che il giornale tedesco aveva tenuto conto soltanto dei fattori materiali, ignorando affatto quelli morali.

(27) Ibidem, fase. 5: «Dopo i casi del maggio 1876 le Potenze inviarono legni delle loro marine rispettive nei porti Ottomani. Col governo germanico, poi, l'accordo ha assunto forme ancor più concrete»: nel senso che alle navi da guerra italiane venne delegato il compito di assistere e proteggere anche i sudditi tedeschi che si trovavano nei centri marittimi e nelle zone coperte dalle stazioni (il ministro degli esteri al ministro della marina, in data 17 maggio 1877 }. Sulle crociere è stazioni navali del biennio della nostra marina militare in Levante, v. A.C.R.M., busta 194: « Rapporti annuali 1876 e 1877 della Squadra permanente •· bastarono a dare il via ai moniti solenni (28), alle invocazioni di pace, alle voci allarmistiche. L'8 giugno il deputato Massari interrogava il Presidente del consiglio « intorno alle notizie che corrono di straordinari provvedimenti militari... armamenti straordinari che sarebbero progettati ed anche decretati: si parla dell'invio ulteriore di altre navi nei mari d'Oriente; si parla perfino della formazione di un campo di osservazione nelle nanze di Brindisi», e terminava auspicando una politica pacifica e dignitosa, mai azzardata. Il Depretìs smentiva, chiarendo che il solo provvedimento deciso dal governo consisteva nel distacco a Salonicco di una divisione nav ale della squadra stanziata nelle acque di Napoli; e in particolare era falsa la notizia circa il campo di il governo non aveva la minima intenzione di praticare una politica di avventure (29).

Nel frattempo, la congiura militare che aveva portato sul trono di Costantinopoli il nuovo sultano, il 29 maggio, aveva determinato una situazione di incertezza e di turbamento - non per nulla questo Murad V sarebbe stato dichiarato pazzo, e deposto, il 31 agosto successivo - che contribuì a decidere i serbi alla guerra. La nota Andrassy e il seguente memorandum di Berlino, con le nuove proposte sulle riforme dell'impero ottomano, erano riuscite ad impedire l'estendersi dell'incendio nei Balcani. Il quesito era se la Turchia avrebbe superato quest'altra prova, o se sotto la pressione di tante forze interne ed esterne il decrepito Stato si sarebbe dissolto: non era poi tanto peregrina ' l'ipotesi di un crollo generale della compagine statale ottomana, ed in tal caso le conseguenze per l'Italia, non abbastanza inse- rita nel gioco delle potenze, non potevano essere favorevoli. Purtroppo, « in politica, amico di tutti equivale spesso ad amico di nessuno » ( 30 ), e gli avvenimenti successivi si sarebbero incaricati di dimostrare la verità di considerazione) in rapporto al non splendido isolamento italiano.

(28) «L 'Italia non ha interessi né forze bastanti per immischiarsi più che tanto in tanta incertezza di avvenimenti, nelle cose della Turchia»: così il Bonghi, sulla« Nuova Antologia», XXXI (1876), giugno, pag. 421.

(29) A.P.C., sessione 1876, vol. II, pagg. 1366-1370. Il Depretis, deplorando l'allarmismo, raccontò tra l'altro che un suo amico, scrivendogli, lo « scongiurava d'impedire che il Governo assumesse l'incarico di portare un corpo di truppe nelle province insorte dell'Impero Ottomano coll'incarico di reprimere l'insurrezione; cosicché si è perfino pensato che J,lila parte del nostro glorioso esercito dovesse rimpiazzare quei famosi giannizzeri. .. » (pag. 1368).

Nell'intento di accentuare quanto più possibile la presenza 1 navale in Levante, il comandante in capo della « squadra permanente », vice ammiraglio De Viry, distribul le crociere e le stazioni tra le navi, che furono disperse in una serie di missioni tra le isole dell'Egeo e le coste dell'Asia Minore. I compiti affidati ai comandanti delle unità erano essenzialmente due: realizzare, mostrando la bandiera, una cauta presenza dell'Italia, soprattutto nelle località in cui esistevano colonie nazionali, e raccogliere informazioni di ogni genere, d'indole politica, economica e militare: compiti che furono, nella generalità dei casi, assai scrupolosamente ed intelligentemente eseguiti dagli ufficiali in comando (31).

Durante la medesima estate del 1876, poi, una molto più interessante missione fu svolta da unità della marina militare lungo le coste dell'Adriatico meridionale e dello Jonio, nell' ambito dell'area strategica gravitante sul canale d'Otranto, zona che, già naturalmente importante, diventava di giorno in giorno di crescente attualità strategica, a mano a mano che si delineava il pericolo di un ulteriore rafforzamento austriaco sulla sponda adriatica orientale. Considerando infatti secondo un'ottica mediterranea i problemi marittimi del paese, la « bocca dell'Adriatico » veniva a costituire uno dei più importanti avamposti « contro gli insulti di qualunque Potenza mediterranea o che nel Mediterraneo abbia un punto d'appoggio» (32): ed il problema centrale, per l'Italia, contro una minaccia proveniente da Levante, consisteva appunto nell'essere in grado di impedire a un nemico di risalire l'Adriatico. « Allora » scriveva nella primavera del 1876 il Vecchj «conviene sbarrargliene l'entrata, attelandosi a battaglia nel Canale d'Otranto, là dov ' è più stretto il passo, dove scorgonsi dal mare egualmente le scoscese montagne di Valona in Albania, e le armoniose linee di Capo Santa Maria ·» ( 3 3 ).

(30} CATALUCCIO: La politica estera di Visconti Venosta, Firenze, 1940, pag. 77; SILVA, Il Medite"aneo, ecc., cit., pag. 317.

(31) Tipico, oltre che interessante esempio delle relazioni compilate {>uò considerarsi il « Rapporto sull'isola di Creta », in data 24 agosto 1876, del Trucco, comandante dell'avviso Messaggero (A.C.RM., busta 190).

(32) VECCHJ: strategia navale d' Italia, in «Nuova XXXI (1876), aprile, pagg. 801-820.

Tutto ciò presupponeva l'istituzione di un grande arsenale militare marittimo a Taranto e la creazione di un'efficiente piazza navale a Brindisi: e il discorso andava integrato con la considerazione che, esaminando il problema dal punto di vista opposto, cioè dall'ipotesi di un conflitto con una potenza adriatica, il controllo del canale avrebbe significato in partenza l'imbottigliamento nel mare interno delle forze navali avversarie e la riduzione della frontiera di guerra marittima , per l'Italia, a meno di un terzo.

Tali riflessi apparivano di estremo interesse negli ambienti della marina e, sia pure con un minor grado di sensibilizzazione, in quelli militari in genere. La soluzione del problema della boe· ca dell'Adriatico portava direttamente a prendere in considerazione il controllo dello stipite orientale della porta marittima, da consegtiirsi mediante l'occupazione di determinati punti costieri e insulari. Ed è interessante notare che, un anno prima che si discutesse a livello diplomatico di un'eventuale azione italiana in Albania, sia stata eseguita l'accennata missione militare marittima mista (marina-esercito) sul litorale epirota e albanese, in relazione alla scelta dei punti più convenienti per operare uno sbarco ed effettuare un'occupazione, nonché sulle linee generali dell'operazione da eseguirsi.

Il delicato incarico venne affidato al capitano di vascello Vittorio Arrninjon, del quale si è già fatto il nome quale comandante della Magenta e al maggiore Osio dello Stato maggiore.

L'Arminjon aveva assunto il 20 luglio 1876 il comando della seconda divisione della squadra permanente, imbarcandosi sulla nave ammiraglia Castelfidardo ed avendo in sottordine le altre due corazzate Conte Verde ed Ancona. Preso a bordo il magg. Osio, egli visitò con la Castelfidardo, durante i mesi di agosto e settembre, l'isola di Corfù e i porti di Prevesa e di Durazzo, eseguendo un'accurata r icognizione di tutto quel tratto della costa adriatica orientale che interessava la zona nevralgica del canale d'Otranto ( 34 ). La relazione comune che fu redatta dai due ufficiali, dopo alcune considerazioni generali sulla ricerca dei punti più idonei a permettere la penetrazione verso l'interno, trattava diversi aspetti del problema in esame (35):

«

« Della scelta del punto di sbarco.

« In paesi come l'Albania e l'Epiro, dove le linee di co« municazione sono determinate in modo assoluto dal terreno

« stesso e dove sono affatto impossibili le comunicazioni late-

« rali, la scelta del punto di sbarco vuole essere basata anzitutto « sull'obbiettivo che si vuole raggiungere.

« Dal rapido esame che precede, è facile vedere che uno « sbarco su quelle coste non potrebbe tendere che ad uno dei

« tre seguenti punti di arrivo: Scutari, l'altipiano di Ochrida, «]annina. La posizione di Scutari, che dà accesso alle valli della « Movacca e del Drino, sarebbe la base necessaria di operazione

« per un corpo di truppe che volesse operare verso il Mon« tenegro e la Bosnia, o verso l'altipiano di Cossovo al cuore « della Turchia europea. I punti di sbarco per questo corpo sa« rebbero Antivari o Durazzo. Dall'altipiano di Ochrida pas« sava la via Egnazia dei Romani; e passano tuttora le più di-

(34) Cfr. GIORGERINl e NANI: Le navi di litzea italiane (1861-1961), a cura dell'Ufficio Storico della marina militare, 1962, pag. 62. Più particolarmente risulta che a Corfù la Castelfidardo fece scalo una prima volta il 29 agosto , insieme all'altra unità italiana Garigliano, e una seconda volta, sempre insieme al Garigliano, il 5 settembre {A.M.E.R., Grecia, Serie politica, 1° settembre 1876; A.U.S.M., busta 109, fase. 3).

(35) Il testo completo del rapporto è reperibile in A.M.E.R., Eredità Crispi: «Relazione presentata dal Capitano di Vascello comm. Arminjon e dal Maggiore di Stato Maggiore cav. Osio sulla ricognizione operata sulle coste d'Albania - Brindisi, 8 settembre 1876 ».

« rette comunicazioni tra la costa dell'Adriatico e la Macedo« nia. Durazzo ed Avlona (Valona) sarebbero dunque i . punti di « partenza di chi volesse operare in Macedonia e verso il golfo «di Salonicco. L'altipiano di Jannina è il punto dominante del« l'Epiro da dove partono le diverse strade della Tessaglia, del« l'Albania e dell'Epiro; è la chiave di tutte queste provincie; « e chi volesse rendersene padrone o mantenervisi per lo meno «qualche tempo, dovrebbe immediatamente occupare Jannina.

« Le vie più brevi pe.r giungervi partono da Avlona, Butrinto, « Gomenizza, Parga e Prevesa.

« Vi è un sentiero che lungo la costa mette in comunica« zione i diversi punti di sbarco; ma esso non è praticabile che « in estate, e si svolge attraverso montagne di difficile accesso, « oppure lungo i terreni paludosi e malsani che si stendono alle «foci dei fiumi. Ad ogni modo un'operazione qualsiasi, lungo

« la costa, non corrisponderebbe certo a nessun concetto mili-

« tare e sarebbe assolutamente da evitarsi.

« In ultimo e qualunque fosse il concetto di una spedizione

« in queste provincie, giova ricordare le seguenti parole del

« Beaujour nel suo bellissimo lavoro Voyage militaire dans l'Em:..

« pire Othoman: " .. .les troupes auraient de la peine à marcher

« qu'elles · trouveraient des obstacles à chaque pas, dans les

« montagnes des défilés étroits, dans les vallées des terrains inon-

« dés, partout des chemins très mauvais, pratiqués dans des

« gorges ou élévés sur des chaussées. Elles ne pourraient pas

« meme se procurer des vivres ... ". Né mancherebbero le posi-

« zioni difficili a conquistarsi: nella valle della Vojussa "au

« fond de chaque coude il y a des positions très fortes, qu'on

« ne pourrait emporter si elles étaient défendues ". Ma forse

«una spedizione sulle coste d'Albania e d'Epiro potrebbe essere

« ispirata da ben altro intento.

<< Le tracce che ancora rimangono lungo quelle coste del-

« l'antica. dominazione vençta; le stesse tradizioni che noi ab-

« biamo ereditato da quella grande ed avveduta repubblica; il

« bisogno che si farà ogni giorno più urgente per l'Italia di es-

« sere padrona dell'Adriatico> potrebbero forse suggerire di li-

« mitare le operazioni in Albarua od in Epiro alla presa di pos-

<< sesso di qualche punto importante del littorale. Senza dubbio, « sarebbe questo il miglior risultato che potrebbe ricavare l'Ita.

« lia da spedizioni siffatte; e lo si otterrebbe evitando tutte le

« gravi difficoltà di operazioni militari nell'interno, e tutte le

«altre più gravi che verrebbero dopo, qualora l'Italia si deci·

« desse a stendere il suo dominio su popolazioni ancora mezzo

« barbare, e così diverse dalla nostra razza, per religione, per

« tradizioni, su paesi dove tutto sarebbe a fare e che rappre·

« senterebbero certo per anni ed anni e forse per sempre un

« onere inutile nel bilancio dello Stato.

« Le posizioni che corrisponderebbero meglio alle esigenze

« della politica italiana ed a quelle della nostra futura gran·

« dezza militare e commerciale sono Prevesa, Avlona, Durazzo

« e Corfù.

« Corfù è senza dubbio la chiave dell'Adriatico e, come la «definiva H Beaujour, "l'anneau qui unit la Grèce à l'Italie ".

« Poche ore di distanza la separano dalle coste dell'Albania e

« d'Epiro; ed essa ci sarebbe assolutamente necessaria come si-

« curo rifugio per la nostra flotta, come grande scalo, come «centro a cui dovrebbero far capo i nostri possedimenti nel·

« l'Adriatico. I suoi 72.000 abitanti sono un misto di Italiani e

<<di Greci: ma il fondo vero della popolazione è prettamente

« italiano; la repubblica veneta vi è ancora ricordata con vivis-

« simo affetto; e qualora l'Italia sapesse dare al commercio del-

« l'isola uno sviluppo corrispondente alla sua posizione nel-

« Adriatico, non ha dubbio che esso riuscirebbe facilmente ed in

« breve tempo a stabilirsi solidamente. S'aggiunga a ciò che

« il governo greco non vi è troppo gradito; cospirano a suo

«danno, più che la sua stessa inettitudine, le memorie antiche

« di Venezia e le recenti della ricchezza e potenza inglese... Al

« 1864 l'isola fu dichiarata neutra, ed il governo greco ha di-

« ritto di tenere nella cittadella non più di sette cannoni, non

«più, cioè, di quanto occorre per rendere i saluti alle navi da

« guerra. Gl'Inglesi hanno distrutto, prima di partire, le belle

« fortificazioni che avevano eretto sull'isola di Vido, dirimpetto

« alla città di Corfù; i Greci non vi hanno che una guarnigione

« di 300 uomini circa, tra fanteria, artiglieria, e gendarmi; e la

« buona riuscita di attacco sostenuto da navi corazzate, sarebbe

« non solo sicura, ma facile.

<< Rimane la quistione politica, le cui difficoltà, non giova

« dissimularlo, assumerebbero certo un carattere assai grave e

« delicato, stanti le inevitabili gelosie dell'Austria e dell'Inghil-

« terra ed i diritti riservatisi da quest'ultima; difficoltà alla cui

« soluzione potrebbero tuttavia concorrere, con l'aiuto efficace,

« i grandi avvenimenti che si stanno maturando in Oriente.

« Punti di partenza dall'Italia. Forza e composizione del « corpo di spedizione.

« Il porto che dalla sua stessa posizione sarebbe indicato

« come punto di partenza della spedizione è senza dubbio Brin« clisi; ma, sia per affrettare il concentramento ferroviario delle

« truppe, :;ia per facilitare le operazioni d'imbarco , sia infine

« per rendere possibile il segreto, sarà forse conveniente stabi-

« lire parecchi punti di partenza, scegliendoli negli arsenali e

<< nei principali porti del commercio, sia nell'Adriatico che nel

<< Tirreno, e combinare le cose in modo che le diverse navi di

<< trasporto e la flotta di battaglia potessero trovarsi a giorno e

« ora stabilita in un dato punto di convegno.

« In tal caso, determinata la forza che deve prendere im-

<< barco in ciascun posto , sarebbe certamente ottima misura far-

« vi affluire per tempo il necessario materiale, stabilendosi al-

« l'occorrenza speciali depositi i quali funzionerebbero poi da

« Distretti principali di mobilitazione.

« La natura del terreno che rende difficile qualunque movi-

« mento ed impossibile un grande spiegamento di forze; la man-

« canza di comunicazioni laterali; la povertà dei luoghi , consi-

« glierebbero di mantenere la forza del corpo di spedizione nel

« minor limite consentito dallo scopo che si vuoi raggiungere.

« La mancanza di vie carreggiabili esigerebbe che l'artiglie-

« ria, destinata a seguire le operazioni nell'interno, fosse tutta

«organizzata a batterie di montagna; sarebbero poi necessarie

« altre batterie di maggior calibro per armarne qualche posizio-

« ne in riva al mare a difesa del punto di sbarco, o quelle altre,

« nell'interno, che si giudicassero utili ad occuparsi.

« Dovrebbero essere organizzate speciali compagnie di zap« patori per la costruzione delle strade. Queste compagnie do« vrebbero agire alle spalle delle truppe che avrebbero per man« dato di migliorare e mantenere le vie di comunicazione tra il « mare e l'interno

« I trasporti non potrebbero farsi che a dorso di mulo; e « bisognerebbe pensare in tempo ad organizzare speciali colonne

« di treno per tutti i servizi , compresi quelli delle ambulanze, a « provvedere il numero necessario di ed a stabilire «un conveniente modello di basto.

« In alcuni punti della costa, riuscirà forse difficile procu« rarsi acqua sufficiente; e sarebbe quindi necessario dotare il «corpo di spedizione di condensatori per la produzione dell'ac« qua distillata.

« Naviglio di trasporto. Flotta di battaglia

« Dallo Studio per trasporti di truppe per via di mare pub-

« blicato dal Ministero della Marina nell'agosto 1875 si può ri-

« levare che la nostra Marina mercantile offre mezzi acconci per

« il trasporto di un corpo di spedizione.

« Giova poi ricordare che le nostre truppe, una volta sbar-

« cate , non potrebbero fare che ben scarso assegnamento sui

« prodotti dei luochi, e che sarebbero quindi necessari conti-

« nui invii dall'Italia di bestie da soma e da macello, di viveri,

« di munizioni, di effetti d'arredamento e d'equipaggiamento; la

« condotta stessa delle operazioni richiederebbe un continuo

« scambio di comunicazioni col Governo e probabilmente an-

« che rinforzi di uomini , e converrebbe quindi noleggiare per

« tempo alcuni bastimenti incaricati esclusivamente sia del ser-

« vizio postale della spedizione, sia di tutti quegli altri servizi

« che potrebbero difficilmente richiedersi alla nostra Marina da

<< guerra, già quasi insufficiente per numero di navi alla sua

« speciale missione militare.

« In ultimo sarebbe assolutamente necessario procurarsi

«una flottiglia di cannoniere corazzate o piccole popowske (36)

(36) Queste « popowske » erano delle piccole batterie galleggianti circolari, del d iametro di 30-37 metri, così chiamate dal nome dell'inge-

« aventi da due a tre metti di immersione capaci di operare

« efficacemente su Prevesa ed in generale sui punti del litto-

·« rale ...

«Dalle pagine che precedono risulta ad evidenza che la

« prima condizione su cui vuoi essere basato l'intero concetto di

<< siffatta operazione è quello dell'assoluta padronanza del mare:

«ora, per quanto calcolo si abbia ragione di fare sul valore della

« nostra Marina, non si può certo sperare ch'essa possa, senza

« alcuna alleata, far fronte da sola a due potenze marittime, una

« delle quali di prim'ordine, collegate contro di lei. S'aggiunga

«che nessuno dei porti d'Albania e d ' Epiro presenterebbe un

« sicuro ricovero alle nostre corazzate, in quanto che sarebbe im-

« possibile stabilire in quei posti, difese atte a tener lontano il

« nemico. Le navi costrette a rimanere unite per presentare un

« corpo sufficiente di difesa, non potrebbero prestare al corpo

«di spedizione quell'operosa assistenza che gli sarebbe tanto

« necessaria; e per ultimo le sorti stesse della spedizione, prin-

« cipalmente basata sulle sue comunicazioni con l ' Italia, potreb-

« bero dipendere, pgni giorno, dalle sorti di un combattimento

« per mare. S'aggiunga inoltre la breve distanza che separa Pola

« da Venezia, e si vedrà che sulla stessa costa italiana, la nostra

«squadra non potrebbe trovare alcun punto di appoggio, né una

« buona base di operazione. Occorrerebbe quindi assolutamente

<< rendere Brindisi capace di ricoverare la nostra flotta e quella

« dei nostri possibili alleati; ed a tale scopo: sbarrare la bocca

« della gran rada tra le isole Petagne e la partenza, lasciando

« un'apertura non maggiore di 150 metri; scavare il fondo del

« porto interno e della piccola rada fino ad avere una profon-

« dità d'acqua di 10 metri; collocare all'entrata due torri coraz-

« zate armate di grossi cannoni ed acconcie batterie di siluri

« semoventi; mantenere nel posto una stazione di lancia-siluri gnere russo Popov che ne sarebbe stato l'inventore. Tali batterie erano corazzate ed erano adibite alla difesa costiera nonché usate per opera· zioni sotto costa: cfr. « Joumal of the R. United Service Insùtution >t, vol. XX, n. LXXXV; «Rivista marittima», IX (1876 ), aprile, pagg. 125133, luglio, pagg. 110-127, novembre, pag. 265.

« e di torpedini; accumularvi approvvigionamenti di carbone;

« stabilire a sufficiente distanza dal mare magazzeni per la flotta

« e per l ' esercito. Questi lavori potrebbero essere compiuti in « tempo sufficientemente breve. Siccome poi, anche dopo ciò, « il porto di Brindisi non sarebbe completamente al sicuro dai

« pericoli di un cannoneggiamento a distanza per parte dei le« gni corazzati , sarebbe indispensabile iniziare contemporanea« mente anche i lavori del porto di Taranto, stabilendovi un pie« colo arsenale di riparazione, aprendo la comunicazione col « mare interno e difendendo il passo con batterie di lancia-si« luri. Tanto Brindisi quanto Taranto dovrebbero poi esser pro-

« tette dal la to di terra ». ·

Il punto più importante del documento era indubbiamente quello riguardante la necessità « che si farà ogni giorno più urgente per l'Italia di esser padrona dell'Adriatico»: necessità che gli estensori del rapporto intendevano interpretare in chiave di controllo marittimo dell'imboccatura meridionale di quel mare , escludendo l'opportunità di un ' avventura nell'interno dei Balcani. Detto scopo poteva essere conseguito assicurandosi il possesso di alcuni punti strategicamente importanti del litorale orientale : Prevesa, Valona , Durazzo e C-orfù. Il programma massimo indicava tutti questi obbiettivi , ma tra le righe si faceva comprendere che per il programma minimo sarebbe stata sufficiente Corfù. Le difficoltà politiche che potevano provenire da Vienna e da Londra erano segnalate, ma probabilmente sottovalutate: eppure, negli ambienti della flotta avrebbe dovuto essere ben nota la regola costante di condotta dell'Ammiragliato britannico, di non permettere mai che il controllo delle due coste di uno- stesso importante passaggio marittimo fosse assunto da una stessa potenza.

In ogni modo, il disegno del nuovo sistema di basi che doveva costituire il baluardo della frontiera navale italiana alla bocca dell'Adriatico appariva interessante ed efficiente, anche se troppo ampio. Da Durazzo a Prevesa la costa albanese-epirota sarebbe stata praticamente controllata dalla marina italiana, che avrebbe trovato in Valona l'altro cardine della porta adriatica e in Corfù la grande base navale da integrare a Taranto. In tal modo non solo il canale d'Otranto sarebbe caduto in pieno nelle zone di influenza delle piazze navali di Valona e di Brindisi, ma tutti gli accessi allo stretto sarebbero stati battuti agevolmente dal raggio d'azione immediato di Durazzo, di Prevesa, di Taranto e di Corfù. Infine, la posizione italiana nello Jonio, integrandosi all'arco Siracusa-Taranto, avrebbe dato luogo ad un nuovo equilibrio navale nel Mediterraneo centrale, decisamente più favorevole per la marina italiana, militare e mercantile.

Meno interessanti risultano i cenni tattici, da cui però risulta come ci si rendesse conto che l'azione aveva bisogno di un'accurata preparazione, anche per la sistemazione delle basi per la flotta da battaglia, la quale in caso di intervento austriaco si sarebbe trovata priva di adeguati punti d'appoggio nel territorio nazionale. Minimo era invece l'accenno ai problemi ed agli insuperabili ostacoli che potevano sorgere da un non improbabile intervento britannico, a meno che uno dei presupposti dell'impresa non fosse - ma non era detto - il consenso di Londra: tanto più che proprio in quei giorni, il console italiano di Corfù segnalava al ministero degli esteri di Roma che circolavano nelle isole voci tendenziose circa le intenzioni del governo Depretis ( .3 7 ).

(37 ) V. rapporto del console italiano nelle isole Ionie al ministro degli esteri, in data 13 giugno 1876 (A.M.E.R , Grecia, Serie politica, n. 88): «Si fa qui un grande discorso della concenm.zione fra Brindisi e Bari di grosso nerbo di truppe italiane, che si fanno ascendere a 30.000 soldati: è piaciuto ad alcuno susurrare che queste truppe potessero essere colà accantonate onde trovarsi pronte, al orimo cenno, per invadere la Grecia e le isole Jonie per conto dell'Inghilterra, che si preconizza qui, senza più, amica ed alleata dell'Italia, e quest'ultima ligia all'intutto della politica antirussa. Si aggiunge che questa occupazione militare della Grecia fatta dagli Italiani per conto dell'Inghilterra, è assai vicina esecuzione e si deplora che gli Italiani dovessero rivolgere le loro armi contro la Grecia cui ci legano tanti interessi e tanta simpatia ed in favore dei Turchi. Queste voci hanno una vera consistenza e non saprei più cosa dire o fare per smentirle: qui sono avidamente letti i giornali Italiani, non sarebbe egli forse utile di inserire in uno dei nostri più accreditati periodici, qualche articolo che smentisca la voce della concentrazione delle truppe Italiane nel littorale Adriatico? Lascio questa idea alla prudente appreziazione dell'E. V .... ».

Sembra comunque che l'idea fondamentale del discorso geo-militare impostato dall' Arminjon e dall'Osio - sebbene teoricamente valida e come tale destinata ad essere più volte ripresa in seguito - al momento in cui veniva formulata presentasse un interesse secondario per la politica estera italiana. Come per il passato, nonostante le chiare prese di posizione di Vienna, ci si ostinava a continuare a sperare in una annessione pacifica di terre irredente. All'inizio dell'autunno, una ripresa delle agitazioni irredentistiche diede luogo ad una violenta polemica giornalistica. Da parte governativa si tentò invano di attenuarla ( 38 ), ché anzi, con l'intervento dello stesso Garibaldi, essa era destinata ad inasprirsi ulteriormente (39). Queste circostanze, e qualche apertura tentata dal governo italiano verso altre potenze europee per affermare che qualsiasi annessione territoriale dell'Austria-Ungheria avrebbe modificato l'equilibrio, offrirono l'occasione al conte Andrassy di ribadire duramente il proprio atteggiamento durante un colloquio avuto con l'ambasciatore italiano Di Robilant il 16 ottobre 1876 ( 40).

( 38 ) n ID10.1Stro dell ' interno Nicotera inviò ai prefetti dell'Italia centro-settentrionale la seguente circolare, datata 15 ottobre 1876: «Alcuni giornali Italiani ed altri Austro-Ungarici hanno sollevato la questione del Trentino, attribuendo al Governo del Re intendimenti che non ha ed incoraggiandolo ad atti che non sono nelle sue intenzioni. Mentre il paese s ta traendo i maggiori possib ili benefici dallo stato pacifico in cui si trova ed attende più che ad altro a migl iorare il suo interno ordinamento, è bene che non sia distratto da alcuna politica preoccupazione. Prego quindi la S. V. di sorvegliare attentamente la pubblica stampa di codesta provincia e di usare all'uopo della sua autorevole influenza, perché non si diffondano voci erronee in cosi grave e delicato argomento, riferendomi con premura su quanto sia meritevole di attenzione» (copia in A .M.E.R., Austria-Ungheria , Se rie politica 1867-1888, n. 5564).

(39 ) SANDONÀ, op cit. , vol. I, pagg. 130-140.

( 40) Il testo integrale del colloquio è reperibile in A.M.E.R., Archivi di Gabinetto, « Serie completa dei documenti confidenziali relativi alla questione dì Bosnia ed Erzegovina (17 ottobre 1876-27 ottobre 1878) >>, serie politica, n. 550; per la versione austriaca del medesimo colloquio, che sostanzialmente concorda con la relazione del Di Robilant, si veda il telegramma cifrato e segreto n. 52 di Andrassy a Gravenegg, incaricato d'affari austro-ungarico a Roma, in data 17 ottobre 1876, riportato dal

In questa fase appariva dunque chiaro che la tensione italoaustriaca era motivata sia dalla campagna irredentistica di taluni organi di stampa della penisola, sia dalla nostra pretesa di compensi per la politica balcanica di Vienna. Forse, un diplomatico più duttile o più informato del Robilant avrebbe potuto tentare di approfondire maggiormente l ' accenno sfuggito al ministro degli esteri austro-ungarico circa un consentimento, o addirittura un « appoggio» . ad eventuali compensi che ritalia avrebbe potuto trovare in Oriente o a Tunisi: in particolare, sarebbe stato interessante conoscere se per <<Oriente » si poteva intendere anche l'Albania o Corfù, o punti sulla costa orientale adriatica tra Durazzo e Patrasso. D'altra parte, almeno in quel momento, qualcosa di vero doveva pur esserci nel possibilismo di Andrassy, a patto che non si parlasse di Trento e Trieste, se tre giorni dopo, il 19 ottobre, il ministro ripeteva un'altra volta all'ambasciatore che l'Austria « non sarebbe stata contraria a secondare i desideri italiani >>, se l'Italia avesse cer-

SANDONÀ, op . çit ., pagg. 141-142. n ministro degl i e steri austriaco fu estremamente categorico : «Di Trieste, dissemi , facciamone astrazione. .. ogni discussione al riguardo sarebbe superflua. In quanto al Trentino.. . noi siamo animati dal più vivo desiderio di mantenere ottimi rapporti con voi, ma precisamente per ciò sono costretto a dichiarare che ove, per una ragione qualunque , venisse a verificarsi il caso, che spero non succederà, perché faremo quanto dipenderà da noi per evitarlo, avessimo ad acquistare qualche territorio nuovo , non perciò ci ra sseg neremo a cedervi una parcella qualunque del territorio situato al di q ua della comune frontiera stabilita dal Trattato con Voi stipulato. Neppure un villaggio cederemmo, ed ove ci vedessimo minacciati di un 'aggressione non l'aspetteremmo ». Il Di Robilant cosl continuava: « Dissigli essere autorizzatO a lealmente dichiarargli: che essendo venuto a nostra conoscenza che a Reichstadt si era convenuto eventualmente di un ingrandimento dell' Austria mediante annessione della Bosnia , avevamo informato alcuni governi amici, che noi considereremmo quell'eventualità, ove venisse a verifiçarsi, siccome contraria ai nostri interessi: poiché verrebbesi in tal maniera ad aumentarsi ancora con nostro danno la già esistente preponderanza dell'Austria nell'Adriatico. TI Conte Andrassy oppugnò questo punto di vista, dicendo di non potere capire come un aumento di territorio dietro la costa che l ' Austria-Ungheria già possiede , possa aumentare la potenza marittima. A questo ragionamento io g li contrapposi l'opinione cato un compenso « a Tunisi o altrove » ( 41 ). Da questo, però, ad affermare che nel 1876 l'impero austro-ungarico sarebbe stato disposto a concederci, a titolo di indennizzo per la propria probabile avanzata in Bosnia ed Erzegovina, un rafforzamento nell'Adriatico meridionale, ci corre molto. sempre manifestata dal partito militare qui, essere necessario pel sicuro e proficuo possesso della Dalmazia che le terre a cui essa s'appoggia facciano parte della Monarchia. Questa considerazione è stata tante volte ripetuta nei p!ù competenti circoli militari che in verità il Conte non trovò a proposito di confutarla intieramente e si limitò a dirmi: che sino a quando la Bosnia e l'Erzegovina resterebbero terre Turche, l ' Austria non avrebbe alcun bisogno di annettersele, ma che il giorno in cui dovrebbero costituire da per sé uno stato autonomo o far parte di uno stato slavo, n comincerebbe il pericolo per la Dalmazia, e l'Austria non potrebbe fare a meno di garantirsene assicurandosene il possesso». A chiusura del suo lungo rapporto, l'ambasciatore italiano concludeva: (t Primo - Non v' ba dubbio per me, che ogni qualsiasi ulteriore discussione, anche soltanto teorica, intorno al nostro diritto di ottenere, in compenso di un ingrandimento dell'Austria in Oriente, una porzione di territorio Austriaco ove si parla la nostra lingua, condurrebbe senz'altro ad una quasi immediata rottura delle relazioni. Il Conte Andrassy mi accennò di nuovo che ove credessimo ci fosse necessario un compenso, lo potremmo trovare in Oriente, a Tunisi per od altrove: e su questo terreno l'Austria non sarebbe aliena dall'appoggiare le nostre pretese. Secondo - Che ove noi intendessimo di fronte ad una qualche eventualità, da soli o con l'appoggio di altre Potenze, lasciare il campo della discussione teorica , per passare su quello della rivendicazione effettiva, permettendo la formazione di bande di volontari allo scopo di invadere territori Austriaci, od affermando in altro modo le nostre pretese, ciò sarebbe senz'altro considerato come un casus belli, «et du moment où l'Italie montrerait d'erre décidée à aJtérer à son profit la frontière actuelle avec l'Autriche, nous nous mettrions en mesure de la modifier au nOtre •: queste sono le sue testuali parole. In sostanza il Conte Andrassy ci ha posto il dilemma: o coll'Austria o contro l'Austria. Se coll'Austria, rinuncia esplicita a qualsiasi zspirazione ad annettersi nuovi territori abitati da Italiani, ed in tal caso continuazione dei vantaggi che nelle questioni generali ed in particolare in quelle che hanno tratto agl'interessi del cattolicismo, può assicurare l'alleanza sincera e leale dell'Austria. Se contro, l'appoggio dell'Austria ai partiti a noi avversi e la guerra anche, al primo momento che essa lo ravviserà opportuno per lei ».

E' certo tuttavia che il tempo non lavorava per Roma e che, se si fosse voluta tentare una politica più disinvolta, si sarebbe dovuto esser pronti ad avanzare le eventuali richieste di compensi alternativi tempestivamente, in una situazione internazionale ancora fluida. La stessa « russofilia » della Corte italiana, che nell'autunno del 1876 aveva preoccupato lord Salisbury ( 42), non avrebbe costituito un problema per Vienna, dal momento in cui le fosse stato possibile raggiungere un'intesa con Pietroburgo.

Questo momento venne nei primi mesi del 1877. La convenzione militare del 15 gennaio (trattato di Budapest), integrata con l'accordo politico del 18 marzo successivo, sanzionava una nuova intesa austro-russa per l'estensione delle rispettive zone di influenza nel Balcani ( 43 ). A questo punto, la carta italiana perdeva quasi ogni valore nel gioco di Vienna, e la grande debolezza militare dell'Italia ( 44 ), priva inoltre di sostegni nel campo internazionale, propiziava una nuova e più ferma chiusura austriaca circa eventuali ambizioni di Roma nel settore adriatico. Dopo il « no » decisissimo su Trento e Trieste, stava per venire il veto sulPAlbania. Dato che non era un mistero la valutazione data da taluni ambienti militari italiani sulla utilità strategico-navale del controllo del canale d'Otranto, e sebbene una simile aspirazione non fosse ancora stata fatta propria dai responsabili della politica estera italiana, ci si rendeva conto a Vienna di quello che avrebbe comportato, in termini dì potere marittimo, quella prospettiva: la consegna delle chiavi dell'Adriatico nelle mani della marina italiana. Ciò non poteva essere permesso e ad ogni buon conto si pensò di metterlo in chiaro alla prima occasione. ·

L'ostilità e la diffidenza che il governo di Roma si era meritato, agli occhi degli austriaci, per la pretesa dei compensi e la lunga diatriba irredentistica, ebbero modo di manifestarsi quando il ministro degli esteri Melegari, tramite l'ambasciatore Di Robilant, fece proporre a Vienna, il 20 giugno 1877, « un'azione comune» per salvare il popolo montenegrino dall'invasione turca. Subito si pensò nella capitale danubiana che la proposta nascondesse un'intenzione italiana di ingerirsi nelle questioni balcaniche e di porre a nord dell'Albania un punto d'arresto all'avanzata dell'impero sulla costa adriatica. Le reazioni furono del tutto negative: Andrassy rivendicò al suo paese « il diritto di intervenire al momento che avrebbe ritenuto opportuno» ( 45), mentre pubbliche dichiarazioni al parlamento e palesi preparativi militari diretti, a titolo precauzionale, contro le nostre frontiere, gettavano nella preoccupazione i responsabili della politica estera della penisola, che si affrettarono a ncercare i buoni uffici di Londra e di Berlino ( 46 ).

(42) SALVATORELLI, op. cit., pag. 36-37.

(43) LANGER, op.cit., vol. I, pagg. 183-185.

( 44) Anche nel discorso della Corona del 20 novembre 187 6 fu fatto esplicito cenno dell'urgente necessità di potenziare le forze armate di terra e di mare {A.P.C., Legislatura XIII, Discussioni, vol. I, pagg. 6-7).

(45) SANDONÀ, op. cit., vol. l, pagg. 167-168.

(46) Cfr. lettera del Melegari all'ambasciatore a Berlino, De Launay, in data 30 giugno 1877: Dalle recenti dichiarazioni fatte alle Camere di Vienna e di Pest, non meno che dalle informaziòni che ci pervengono da varie parti ci pare di poterei formare un concetto abbastanza esatto della posizione che quel Governo ha preso rispetto alle cose d'Oriente. Avendo avuto occasione di far conoscere questo nostro concetto al R. Ambasciatore a Londra, stimo opportuno ripetere a V. E. le istruzioni date a Londra. Lei non mancherà di esprimere in confidenziali colloqui l ' opinione che il Governo Italiano si è fatta della politica del Gabinetto di Vienna nella questione Orientale. Così non le mancherà il mezzo di far sentire che noi non abbiamo mai cercato di creare delle difficoltà alla politica del Conte Andrassy... Noi però non possiamo nascondere le apprensioni che ci ispira una politica di cui non si riesce a determinare chiaramente il programma e che può introdurre dei radicali mutamenti verso l'Italia. Non è infatti da supporsi che il Gabinetto di Vienna abbia rinunciato all'occupazione di territori turchi ... Se il Gabinetto di Vienna ... sorte dall'inazione noi sappiamo che tale sarebbe m lui la convinzione di nuocere ai nostri interessi da fargli prendere, simultaneamente all'ingresso delle sue milizie in Turchia, dei provvedimenti di precauzione anche verso l'Italia L'influenza del Gabinetto di Berlino potrebbe spendersi utilmente a sventare dei pericoli... che noi non provocheremo e che facciamo ogni sforzo per allontanare» (A.M.E.R., Germania III, Posiz. Arch. 1156).

Intanto, però, una nuova polemica giornalistica era divampata sulla stampa dei due paesi, offrendo nuova esca agli austriaci per accusare gli italiani di mirare all'Albania. Il 21 luglio, in un incontro con l'ambasciatore di Vienna, barone Haymerle, il Melegari si affannava a smentire le voci relative alle aspirazioni italiane e offriva così il destro al rappresentante austriaco di dichiarare categoricamente quale fosse il pensiero del suo governo al riguardo (47). Al chiaro veto posto dal suo interlocutore, il Melegari rispondeva negando di avere riserve mentali e çercando all'estero autorevoli avalli alla sua buona fede: e per il momento l'incidente fu chiuso. La questione doveva ormai ritenersi definita, nel senso che l'Italia, vi avesse pensato o no, non avrebbe occupato l'Albania ( 48): questo, per Vienna, era un punto fermo. Il compenso albanese all'Italia era quindi già diventato un miraggio prima ancora che se ne parlasse nei colloqui londinesi dell'ambasciatore Menabrea con Disraeli e durante il viaggio del Crispi a Berlino nell'ottobre successivo ( 49). L'offerta all'Italia di occupare quella regione - se di offerta si può parlare - era

(47) Rapp. di Haymerle al conte Andrassy, in data 21 luglio 1877: ((Tanto meglio, perché noi non potremmo ammettere un cambiamento a nostro danno nell'Adriatico. L'Impero austro-ungarico conta 36 milioni di abitanti e non ha che questo sfogo sul mare, noi non possediamo che la quarta parte delle coste, voi ne tenete la metà; non lasceremo quindi nemmeno sorgere l'idea che l'altra quarta possa passare nelle mani di una potenza che possiede già tutta la riva opposta: sarebbe tanto che strangolare l'Adriatico» (SÀNDONÀ, op. cit., vol. I, pag. 166). La risposta del Melegari era stata: « Benché a me sembri che voi austriaci coi vostri porti siate attualmente più padroni dell'Adriatico di noi, . vi ripeto che non pensiamo ad altro che ai nostri affari interni». · vanificata in partenza dall'opposizione austriaca, che rendeva imprendibile la pelle dell'orso albanese: con tali premesse, infatti, i consigli elargiti sia da Bismarck, sia da lord Beaconsfield, andavano ridimensionati nei limiti di chiacchierate astratte, visto che né Berlino, né Londra erano disposte ad impegnarsi veramente per sostenere a Vienna la rimozione del veto ad un aumento della posizione italiana nell'Adriatico.

( 48) Anzi, ad un certo punto corse la voce che l'avrebbero occupata addirittura gli austriaci. Cfr. quanto scriveva G. Di Bruno, console generale d'Italia a Trieste, al ministero degli esteri in data 2 agosto 1877: « Non devo in questa occasione nascondere a V. E. che v'ha qui chi crede che il Governo Austro-Ungarico pensi" di occupare anche qualche punto dell'Albania. Se questa opinione abbia qualche fondamento io l'ignoro, è però bene che il Governo del Re tenga presente anche la possibilità di un tale avvenimento per quanto possa parere strano » (A.M.E.R., Austria-Ungheria, Serie politica 1877-1878).

( 49) SALVEMINI: La politica estera dell'Italia, ecc. cit., pagg. 36 e 39.

Vale la pena di ricordare che il « no » dell'impero sarebbe stato ribadito nuovamente, in termini inequivocabili, nel 1878, quando Andrassy ordinò al barone Haymerle di iniziare con Roma un discorso tendente ad ottenere il consenso italiano, comunque non condizionante, all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina. Il nostro governo non aveva avuto neppure la possibilità di avanzare pretese sulla costa orientale dell'Adriatico, che queste erano state contestate e respinte prima ancora che venissero ufficialmente formulate: cd è singolare che, una volta scontata l'impossibilità di attuazione, fossero terze potenze, Inghilterra e Germania, ad indicare come sbocco delle richieste italiane l'Adriatico, coprendo in tal modo il rifiuto di sostenere le vere aspirazioni dell'Italia sulle Alpi. D'altra parte, la fragilità interna e la debolezza militare del paese rendevano assurda ogni idea di ricorso alla forza, ché anzi -lo si è visto- era proprio la prospettiva di un confronto sul piano militare ad impaurire i responsabili della politica italiana. La verità era che il paese era isolato, e questo traspariva già da una lettera dello « sciocco Melegari» (50) al De Launay in data 3 agosto 1876, nella quale si cercava di ottenere dalla Germania, visto che essa aveva degli impegni con l'Austria, almeno un benevolo intervento perché la relatività di forze nei riguardi dell'Italia non peggiorasse ancora (51).

(.50) Cosl definito dal Crispi nei noti articoli sulla « Riforma» del 21 e del 31 luglio 1878 (riportati in SANDONÀ, op. cit., vol. I, pagg. 172173 e 205-210; cfr. anche CHIALA, Pagine di storia contemporanea, cit., vol. I, pag. 290, e SALVATORELLl, op. cit., pagg. 35-37).

(51) V. lettera del Melegari al De Launay in data 3 agosto 1877: Si des engagements antérieurs du Cabinet de Be-rlin l'empechaient maintenant de prendre notre parti non pas contre l'Autriche mais pour éviter

Il Congresso di Berlino sarebbe venuto presto a collaudare la validità internazionale della formula « amici di tutti », vale a dire di nessuno. Un paese fragile e debole, esposto con le sue frontiere difficili ad ogni sorta di invasioni per terra e per mare, discorde e in crisi all'interno, disorganizzato militarmente, non poteva sperare di più conducendo una politica di isolamento. I rapporti con la Francia non erano peggiorati, ma neppure sensibilmente migliorati, e da Parigi veniva una controindicazione insuperabile, in termini di forza, alla ricerca di un compenso a Tunisi. Coloro che avrebbero approvato tale compenso, Austria e Germania, non intendevano però certamente impegnarsi a fondo per sostenere la pretesa italiana, ed è evidente che accennavano a Tunisi solo per togliersi dai piedi le incomode richieste di Roma per Trento e Trieste e per prevenire un'ipoteca sull' Albania o su punti strategici nell'Adriatico meridionale. Nominare Cipro, poi 1 come aveva fatto il barone Haymerle in una sua lettera personale e segreta all'Andrassy (52), aveva il sapore di una boutade, tenuto conto degli interessi britannici, di quell'Inghilterra cui si negava da parte italiana l'assenso al progetto di lega mediterranea nei primi mesi del 1878 (53) e che in definitiva non poteva considerare favorevolmente nessuna seria prospettiva di espansione navale dell'Italia. In una congiuntura internazionale caratterizzata per noi dalla perdita della fiducia austriaca - ossia dall'indebolimento di uno dei pilastri della politica estera di quel periodo - non restava che la poli- que l'équilibre de forces qui est déjà à notre désavantage ne soit encore troublé en faveur de notre voisin, nous devrions quant à nous ne prendre plus conseil que des circonstances... On persiste à croire à Lonàres que l'entrée des Autrichiens en Bosnia et Herzégovina a été concerté dès le début entre les trois empires et qu'elle n'a été retardée que par des raisons secondaires Tout ceci n'est donc pas clair et nous devons nous attacher à le débr ouiller afin de ne pas etre pris à l'improviste au moment où nous serions appelés à prendre notre place autour du tapis vert d'une conférence européenne » (A.M.E.R., Germania III, Posiz. Arch. 1156, Copialettere). tica delle « mani pulite » ossia, come più incisivamente la definl il Salvemini, quella dello « sciacallo debole e sciocco »(54). Ai di un'affermazione imperialistica, anche di minima portata, il risultato era lo stesso.

(52) SANDONÀ, op. cit., vol. I, pag. 194.

(53) Cfr. LANGER, op. cit., pag. 221.

Il progetto di chiusura marittima dell'imboccatura adriatica, ,di cui allo studio, che si è riportato, dell'Arminjon e dell'Osio, restava pertanto un'aspirazione, irrealizzabile quanto suggestiva, di taluni ambienti militari (55)

(54) In La politica dell'Italia, ecc , cit., pag. 46.

(55) Lo stesso Crispi, parlando a Berlino con il principe di Bismarck nell'ottobre 1877, avrebbe affermato: «Noi non sapremmo che farcene di una provincia turca sull'Adriatico» (SALVEMINI, La politica estera dell'Italia, ecc., cit., pag. 36).

CAPITOLO x

LA 1v1ARINA E LA POLITICA MEDITERRANEA

Nel momento in cui nasceva lo Stato unitario italiano, una rivoluzione di portata capitale interveniva a caratterizzarne gli impegni e le responsabilità marittime, in una dimensione nuova che ne condizionava l'avvenire. E questa dimensione era due volte nuova, nei riguardi della tradizione recente del Regno di Sardegna e nei riguardi dei grandi cicli della storia navale.

Lo stato piemontese, pur con la sua efficiente marina militare e mercantile che si muoveva nel solco delle glorie di Genova, non aveva né una politica estera direttamente connessa con i problemi marittimi, né una mentalità portata a comprendere ed a valorizzare l'opera della flotta. Teso verso le ricche pianure della valle del Po, il governo di Torino incontrava, nella sua funzione di stato regionale, limiti naturali ed invalicabili in campo marittimo, e se alcuni provvedimenti dalla realizzazione lenta - come il trasferimento della marina militare da Genova a La Spezia - poterono indicare in alcune sfere governative -e soprattutto nella persona di Cavour - una certa sensibilità per le esigenze della flotta, anche quella sensibilità non ebbe modo di uscire dalla dimensione secondaria che le questioni marittime avevano nell'economia generale della politica torinese.

Ma su tale realtà di fondo, ancora una volta provata dagli episodi della guerra navale del 1859, si era innestata, nella congiuntura storica decisiva per la causa dell'unità italiana, la vicenda garibaldina del 1860. Già la rivoluzione di Firenze aveva portato al di là degli Appennini la piattaforma politica dello stato unitario, aprendo prospettive nuove, forse impreviste; ma con l'Italia a Palermo, tutta la vecchia realtà politica regionale crollava, ' e lo stato piemontese era chiamato ad assumere un ruolo nuovo, che derivava non tanto dalle tradizioni e dalle ere- dità dei singoli stati precsistenti, quanto soprattutto dal potenziale inedito di una nuova nazione protesa sul mare e al mare indissolubilmente legata da una realtà geografica che nessuno poteva ignorare. Il nuovo stato nazionale, pur con le sue debolezze interne ed esterne, denunciava necessariamente, per il solo fatto di esistere, ambizioni notevoli e non illegittime. Esse erano nelle cose, per cui la nuova entità politica avrebbe avuto comunque una politica navale - forse nemmeno per vocazione o per libera scelta -ogni qualvolta essa fosse stata presente come nazione in un rapporto politico od economico internazionale.

Ma questa politica navale, che fu l'ultimo sogno di Cavour, non ebbe la gran ventura di venir impostata e condotta per un tempo sufficiente dall'uomo che l'aveva intuita e che forse avrebbe potuto inserirla felicemente nel nuovo grande ciclo che la imminente apertura del Canale di Suez prometteva alle talassocrazie mediterranee. Perché nel momento in cui l'Italia diveniva uno Stato unitario, la politica internazionale si muoveva di nuovo intorno ad una tematica mediterranea come intorno ad uno dei suoi principali parametri, e la situazione geografica del grande mare interno chiamava subito a compiti di responsabilità rilevanti la nuova potenza italiana (l).

L'Ammiragliato inglese - e con esso la politica di Londra - se ne era reso ben conto nel momento decisivo della crisi del 1860. E due considerazioni avevano probabilmente inciso sulle scelte britanniche: la prima, che il nuovo regno avrebbe costituito un contrappeso a levante, nei confronti dell'espansionismo francese, capace di contribuire efficacemente allo stabilimento di un equilibrio marittimo mediterraneo inedito e più soddisfacente; la seconda, che la nuova nazione avrebbe avuto bisogno per molto tempo di un appoggio navale inglese, per le sue lunghe coste aperte sul mare, e sarebbe risultata pertanto particolarmente sensibile alla presenza della Mediterranean Fleet nella base di Malta. Forse anche per questo, nel famoso telegramma di lord Russell all'ambasciatore britannico di Tòrino, Hudson, del 27 ottobre 1860, si affermava che « Il governo di Sua Maestà Britannica è costretto a riconoscere che gli Italiani sono i migliori giudici dei propri interessi », e ci si rallegrava della « .. .lieta prospettiva di un popolo inteso a costruirsi l'edificio delle proprie libertà ed a consolidare la propria indipendenza » (2).

(l) Cfr. GABRIELE, La Sicilia e il Mediterraneo nel 1860, in « n Vdtro », n. 89, agosto-settembre 1960; ID., Da Marsala allo Stretto, cit., pagg. 187-234.

Essa significava, ovviamente, la presenza di un nuovo interlocutore sulle frontiere navali di Parigi, un interlocutore che avrebbe anche potuto diventare un competitore, nella misura in cui fosse stato in grado di sostenere con forza adeguata le proprie ambizioni, fatalmente destinate a rivaleggiare, nel grande bacino interno, con quelle francesi. L'Ammiragliato di White Hall -e con esso il governo di Londra - avrebbe dovuto controllare soltanto una di quelle ambizioni: evitare che l'Italia avesse ad insediarsi anche sulla sponda tunisina del canale di Sicilia, ed ottenere in tal modo un eccessivo, anche se potenziale, peso militare marittimo nell'area nevralgica del Mediterraneo centrale, sui passaggi obbligati della rotta per Suez.

Per le stesse ragioni le prospettive navali che derivavano dall'unificazione italiana non potevano tornare gradite al governo di Parigi. Già la separazione della Sicilia da Napoli, stando a quanto pensava il generale Rouget avrebbe fatto si che « il Mediterraneo, invece di essere un lago francese, come lo vollero Luigi XIV ed i suoi successori, diverrebbe un lago inglese, protetto da Gibilterra, Malta, Corfù, Messina, Augusta, Siracusa, che sono i più belli porti d'Europa. Allora addio all'Algeria, addio ad ogni influenza sull'Egitto, sull'Arcipelago e la Grecia, sui mari di Marmara, Nero, e di Azof, ecc. » (3 ). Dal

(2) AGRATI C., Da Palermo al Volturno, Milano 1937, pag. 533.

(3) Il generale Carlo Filangieri, principe di Satriano, a Francesco II, 1° ottobre 1859, in R. MosCATI, LA fine del Regno di Napoli, Documenti borbonici del 18.59-60, Firenze 196'0, pag. 121. In relazione alle voci che correvano circa aspirazioni britanniche a basi in terra siciliana al tempo della spedizione dei Mille, si può ricordare la ferma lettera di Garibaldi agli ufficiali della crociera inglese nelle acque della Sicilia, che fu pubblicata sulla ginevrina « Espérance » il 31 maggio 1860 e dal settimanale « Fleet Times », che si evince che le naturali direttrici di espansione italiane, una volta raggiunta l'unificazione nazionale, si sarebbero comunque fatalmente scontrate con quelle francesi.

Facendo attenzione alla geografia e ponendo orecchio ai colonialisti francesi, era anche possibile prevedere quale sarebbe stata, con ogni probabilità, la prima zona di frizione diretta. Algeri era già stata definita «un impero, un impero a due giorni di distanza da Tolone » nel 1838, dalla « Revue des deux Mondes »; nel 1868 sarebbe stato lanciato il vaticinio dd grande Nordafrica francese: «Possa venire presto il giorno nel quale i nostri concittadini, troppo rinserrati nella nostra Francia africana, strariperanno nel Marocco e nella Tunisia, e fonderanno finalmente quell'impero mediterraneo, che non sarà soltanto una soddisfazione per il nostro orgoglio, ma sarà anche certamente, nella futura situazione mondiale, l'ultima risorsa della nostra grandezza » ( 4 ). L'impatto si sarebbe avuto intorno alla zona di Tunisi, proprio in quell'area nevralgica del Mediterraneo centrale, nella quale l'interesse inglese non avrebbe coinciso totalmente con quello italiano. Tra il 1864 e il 1882 se ne sarebbero viste, infatti, le conseguenze.

Ma andiamo con ordine. Il generale Menabrea, primo successore di Cavour al dicastero della Marina, aveva già indicato nel 1861 il livello delle ambizioni navali italiane. La flotta avrebbe dovuto essere organizzata su due potenti squadre, in grado organo della marina militare inglese. Garibaldi scriveva: «I nemici dell'indipendenza italiana calunniano la vostra grande nazione; le attribuiscono il pensiero odioso di speculare sulla nostra eroica impresa e di voler spigolare un giorno su questo campo di gloria irrorato dal sudore dei patrioti e dal sangue dei martiri. Se è cosl, se la Sicilia, che in questo momento è la più italiana delle nostre provincie confederate, non facesse che scambiare il dispotismo borbonico contro un protettorato interessato, l'Inghilterra non sarebbe più la sorella dell'Italia e la terra classica della libertà di fronteggiare, l'una la marina austriaca, l'altra la marina spagnola: questa avrebbe dovuto essere dislocata nel Tirreno e l'altra in Adriatico. Ciascuna squadra avrebbe dovuto essere composta da unità abbastanza numerose e abbastanza potenti per assolvere il compito ad essa affidato. L'indicazione del ministro - contenuta nelle istruzioni per il lavoro di una commissione di studio da lui nominata (5) - risentiva, ovviamente, della congiuntura internazionale, caratterizzata, pér quanto riguardava i rapporti delle predette potenze con l'Italia, dalla loro detisa ostilità e dal loro rifiuto di riconoscere i fatti compiuti che si erano svolti nella penisola; l'idea che l'Italia dovesse disporre di una potenza navale capace di fronteggiare efficacemente- anzi, di controbattere con successo - le forze marittime riunite della Spagna e dell'Austria fissava intanto un primo obiettivo preciso, destinlito a fungere da filo conduttore per la prima politica navale italiana. Tale obiettivo significava che fin dall'inizio della vita nazionale dello stato unitario si riteneva che il posto dell'Italia nella graduatoria delle potenze navali doveva essere alto, collocandosi subito dopo le grandi nazioni marittime - Gran Bretagna e Francia - che avevano impegni mondiali da sostenere ed imperi coloniali da controllare. Nel Mediterraneo, il regno d'Italia doveva puntare, quindi, ad esprimere una potenza navale ragguardevole, pari a quelle riunite di Spagna e d'Austria per comprimerne sul mare eventuali velleità sul piano dei conflitti locali se non pure di esercitare nei loro confronti una qualche potenziale minaccia ( 6 ); ma questo non era tutto: disponendo di una forza importante, l'Italia avrebbe potuto inserirsi nella grande politica, facendo pendere, volta per volta, la bilancia navale dalla parte di quella, tra le due massime potenze protagoniste e rivali, a fianco della quale si fosse schierata.

( 4) PREVOST-PARADOL, nella sua France nouvelle, Paris 1868 (riportato da SILVA, Figure e momenti di storia italiana, cit., pag. 397); quasi le stesse parole avrebbe usato nel18841'« Economiste Français »a chiusura di un articolo richiamato in « Biserta: porto militare •· su « Rivista marittima», 1885, I, pagg. 158-62.

(5) Composta dal vice ammiraglio Serra, dal contrammiraglio Mantica e dal capitano di vascello Ricci.

(6) Sarebbe stato sempre possibile, in caso di necessità e se le circostanze lo avessero consentito, riunire insieme le due squadre ed acquisire in tal modo un decisivo vantaggio sull'una o sull'altra delle flotte potenzialmente avversarie cui si faceva riferimento; questo, almeno, in teoria.

Ciò detro, corre subiro l'obbligo di sottolineare che tali discorsi avrebbero avuto senso soltanto se il potere navale in parola fosse stato davvero costruito. In realtà, come la somma degli stati regionali italiani preesistenti non dava il nuovo stato, così la somma delle vecchie marine non poteva dare una nuova grande marina, se non sulla carta. Le tradizioni vicine erano modeste, gli uomini anche, le navi eterogenee e scarsamente utilizzabili per impananti operazioni di squadra. Pur tenendo conto di qualche possibile esagerazione congeniale al tono acre di una polemica politica - in cui va inquadrato l'intervento dell'ex luogotenente di Garibaldi - non si può non ricordare che il Bixio - criticando il « quadro comparativo delle forze marittime spagnuole, austriache ed italiane», pubblica to da alcuni giornali - scriveva nel 1861 « che il quadro generale della marina presentato dal generale Menabrea non è cosa seria, e che tutto al più un ammiraglio, con tutto il materiale che il ministro dice di avere, formerebbe appena una flotta di sei bastimenti» (7).

In effetti, la prima flotta italiana. al momento dell'unificazione, disponeva sulla carta di molte unità . ma così diverse come età e concezione, che la potenza reale della nuova marina risultava assai difficile da stimare ( 8 ).

Si aggiunga a dò l'incoerente politica delle basi, che consistette in un primo tempo nell'accentramento dello sforzo principale su La Spezia, ignorando altre scelte ben più significative ai fini di una efficace presenza mediterranea.

(7) Vedi la lunga lettera del Bixio al direttore de« Il Movimento» di Genova, pubblicata il 23 dicembre 1861, riportata anche dal MALDlNI, op. cit., vol. I, pagg. 185-89.

(8) Secondo il MALDINI, cit., vol. I, pag. 86, le navi della prima flotta del regno d'Italia « potevano costituire un qualche utile elemento di difesa marittima, non mai però sufficienti al nostro paese, nè in via assoluta per se stesso , nè relativamente alle forze navali di altri paesi anche di secondo ordine». Lo stesso riporta più avanti (vol. I, pag. 145, riproducendola da Archives diplomatiques, Paris 1863, pag. 79) la sentenza con cui il tribunale di commercio di Marsiglia negò la restituzione di due unità che avevano appartenuto alla flotta borbonica, il « Sannita » e la « Saetta », definiti « l'un hors d'usage, et l'autre... un simple yacht de plaisance ».

Ad esempio, le possibilità offerte dalla base di Augusta, che avrebbe portato la marina a gravitare direttamente sui passaggi obbligati del Mediterraneo centrale e sulle rotte più importanti del bacino, furono trascurate dal Governo di Torino. Anche la base di Taranto fu considerata all'inizio quasi esclusivamente in funzione di un conflitto con l'Austria, e non di una politica estera aperta, capace di sfruttare fino ip fondo le possibilità offerte dal potere navale italiano (9).

La scelta di Spezia come stabilimento principale dello Stato, se era stata validissima per il regno di Sardegna, lo era meno per quello d'Italia. La base ligure, così periferica alla rotta Gibilterra-Levante, così lontana dalle coste dell'Africa .e dal teatro marittimo dei contrasti con l'Austria, non poteva sostituire, almeno ai fini di una politica mediterranea, né il Mezzogiorno, né la Sicilia. Ben lo si vide nel 1864, in occasione della prima azione condotta dall' I talia nello stile delle grandi potenze, quando si prospettò l'eventualità di trasportare una forza da sbarco a Tunisi e ci si rese conto che le truppe, imbarcandosi. in Liguria, avrebbero dovuto stare tanto tempo in mare che l'intera Europa ne sarebbe stat.a informata prima del loro arrivo a Tunisi.

(9) L'idea che, oltre a La Spezia ed a Venezia, occorresse un terzo punto d'appoggio per le forze navali era stata ripresa a fine 1868, durante il dibattito al Parlamento sul bilancio della marina; in quella occasione si era parlato di un « terzo arsenale... stabilito verso l'estremo confine meridionale italiano, per avere nel Jonio un porto avanzato dal quale dominare i due bacini del Mediterraneo», e il 3 dicembre il ministro Riboty aveva accettato un ordine del giorno tendente ad istituire un arsenale marittimo a Taranto, anche se si riteneva fosse « da abbandonarsi ogni idea di costruzioni monumentali, limitandosi soltanto a lavori di assoluta indispensabilità »,in« Rivista Marittima>>, 1869, pag. 603. Per Augusta, inutilmente il presidente della Società Nazionale locale, Francesco Blasio, aveva scritto al contrammiraglio Albini il 4 maggio 1861, segnalando i vantaggi della base: la lettera rimase negli archivi della divisione navale e non fu nemmeno trasmessa al Ministero (GABRIELE, La politica navale dall'unità ecc., cit., pag. 121). D'altra parte era un ex ministro della marina, il generale Menabrea, che in quei tempi esprimeva l'idea che l'Italia potesse patire dal mare gravissime sciagure, ma che non per questo avrebbe cessato di esistere: se si fosse perduta la parte peninsul are del paese, l'importante era che si conservasse l'esercito nella valle del Po, perché esso avrebbe avuto ancora la speranza di riconquistare il perduto; cfr. l'intervento del predetto in A.C.R., Carte Depretis, busta 9, fase. 25, dove sono pure considerazioni del gen. Longo sulla posizione e la rilevanza strategica de La Maddalena.

Ma nemmeno nel settore della marina mercantile, per il quale gli « elementi di forza » acquisiti nelle provincie ·meridionali non erano solo geografici (l O), si comp l, o si potè compiere uno sforzo importante. Sebbene la prospettiva ·di un collegamento diretto col Mar Rosso rilanciasse su scala mondiale l'importanza economica dell'antico mare chiuso, i porti meridionali non furono valorizzati ( 11 ), né si condusse una adeguata politica di sviluppo della flotta commerciale e dei traffici.

E tuttavia fin dall'inizio la marina ebbe un peso sulla politica estera italiana. Esso era destinato a crescere sempre più, nei decenni che seguivano l'unificazione nazionale, a mano a mano che le vicende internazionali avessero evidenziato il valore determinante degli equilibri marittimi per la vita del nuovo Stato.

E' certamente interessante il collegamento, che si cercò di stabilire fin dal 1861, tra le possibilità d'impiego della flotta e l a politica intern azionale. In un paese nel quale ancora appariva pacifico che la difesa delle coste dovesse essere affidata principalmente alle forze di terra, si concepiva già la marina come un mezzo di azione militare e politica. In questo senso il ministro Menabrea, trattando per la già citata commissione di studio il tema in tempo di guerra, faceva comprendere che le forze navali avrebbero potuto essere utilizzate per effettuare uno sbarco in un'area precisa, operazione per la quale occorreva esplicitamente. prepararsi ( 12). Ove si ponga mente che il progetto di uno sbarco italiano sulla costa orientale dell'Adriatico - un progetto ritornante, destinato ad essere ripreso più volte, ma mai attuato - veniva proprio in quel tempo trattato, a livello del presidente del Consiglio, e del ministro della marina, dal generale Klapka ( 13 ), impegnato ad organizzare con l'aiuto italiano una sollevazione magiara contro l'Austria, il collegamento appare evidente. Nel quadro di una lotta comune contro Vienna, la flotta italiana avrebbe dovuto sbarcare sulla costa croata o dalmata gli esuli ungheresi ed un corpo italiano di truppe regolari o di volontari; in tal modo lo schieramento austriaco sarebbe stato aggirato, mentre l'insurrezione avrebbe divampato in Ungheria e l'esercito italiano avrebbe attaccato gli austriaci nel Veneto; la flotta avrebbe minacciato Venezia e Pola (14 )...

(10) Cfr., per tutti, V.D. FLORE, L'industria dei trasporti marittimi in Italia, vol. II, Roma 1970.

(11) Malgrado le previsioni dell'ammiraglio Martin, comandante della Mediterrancan Fleet, che ai tempi dell'impresa garibaldina aveva scritto a lord Clarence E. Paget, all'ammiragliato londinese, che si doveva prevedere che la Sicilia, sotto un buon governo, avrebbe reso i suoi porti liberi e invitanti come quello di Malta, il quale, di conseguenza, ne sarebbe stato esautorato (vedi il rapporto n. 57 del14 giugno 1860, in P.R.O.L., Admiralty, I, 5733, fase. 470).

Certo, alla luce del senno del poi, può non essere agevole attribuire importanza a simili fantasticherie. Ma è importante notare che alla fine del 1861 esse potevano in qualche misura apparire credibili; anche le recenti esperienze italiane del1860 erano state straordinarie, e positive per la marina. Non ci si rendeva conto che esse erano state anche facili e fortunate, né si era avuta l'esperienza di Lissa: la superiorità navale italiana in Adriatico appariva pertanto un assioma, sul quale si poteva immaginare di costruire una politica comune di guerra tra italiani e ungheresi.

Ed è curioso che quando, l'anno sucoessivo, il ministero Rattazzi mostrò di rinunciare all'avventura anfibia nei Balcani, in coincidenza con il riconoscimento del regno d'Italia da parte della

( 12) «Per fissare le idee, potrebbesi prendere per oggetto l'attacco d'una posizione determinata, e dietro questa far stabilire il numero e la qualità delle navi » (A.P.S. Sessione 1861-62, vol. II, Firenze 1870, pagine 1768).

( 13) Ex Ministro di Kossuth, teneva a Ginevra le fila degli esuli ungheresi.

(14) D.D.I., Serie I, vol. I, pagg. 327 e 448-49.

Russia e della Prussia, una interpellanza· alla Camera riprende sse l'improbabile voce della cessione di porti adriatici alla Russia ( 15).

Una tale eventualità avrebbe costituito una limitazione pericolosa al potere navale italiano in Adriatico - peraltro sopravalutato- e come tale doveva venire decisamente respinta. Al contrario, avrebbe dovuto essere lo stato italiano a considerare assai presto l'esigenza di un rafforzamento della propria posizione in Adriatico ed a recepirla addirittura come una costante di lungo periodo - una volta definita con chiarezza dal punto di vista strategico navale - nella propria politica estera.

Un'altra costante per la politica estera italiana sarebbe venuta ancora dalla marina, in quello stesso periodo. Questa volta sarebbe stato di scena il Mediterraneo centrale. Durante la crisi tunisma del 1864 , di cui si è parlato, il contrammiraglio Albini, comandante della « squadra » italiana, di stazione nelle acque del beylicato, aveva ordinato che l'avviso Messaggero ( 16) compisse un viaggio di esplorazione e di informazione lungo le coste orientali della Reggenza. La nave era al comando del capitano di fregata Carlo Alberto Racchia ( 17 ), il quale a Mediah fece conoscenza con il comandante di una nave idrografica inglese, la Fire/ly, ivi ancorata in rada.

(15) 1110 luglio, da parte del deputato Massari. Vedi R. MoRI, L ' Italia e il processo di unificazione germanica, (conferenza all'8• riunione italotedesca degli storici), in Le relazioni italo-tedesche nell'epoca del Risorgimento, Braunschweig 1970, pag. 25. Per l'abbandono dell'impresa nei Balcani, cfr. ID., La questione 1omana, cit., pagg. 99-105. Si può anche ricordare, in proposito che nei documenti austriaci relativi alla guerra navale del 1866 è traccia del timore di uno sbarco sulle coste dalmate da parte di volontari italiani e delle misure assunte in proposito: cfr. Crenneville a Philippovich, teleg. 2673 del 16 giugno 1866 da Vienna (volontari sbarcherebbero in Dalmazia con navi inglesi) e Tegetthoff all'arciduca Alberto, rapporto del 18 giugno successivo da Fasana (misure di difesa contro presunti tentativi di sbarco di volontari italiani), in A. FILIPUZZI, La campagna del 1866 nei documenti militari austriaci. Le operazioni navali, Padova, 1966, pagg. 61-62.

( 16 ) Questo esploratore veloce era stato varato nel maggio dell'anno precedente in Inghilterra.

( 17) Raggiunse il grado di vice ammiraglio - il massimo concesso a un ufficiale di marina italiana tra Lissa e la prima guerra mondialee fu ministro per la marina dall'8 dicembre 1892 al 15 dicembre 1893.

In tale occasione il Racchia, oltre a poter vedere i lavori idrografici della Firefly ed a correggere in conseguenza diversi errori sulle proprie carte, ricevette interessanti informazioni dal collega britannico. Ne riferiva cosl all'Albini: « non posso a meno

« di esporre alla S .V. una osservazione deJla più alta importanza

«che quel sagace ufficiale inglese, da più anni occupato in questo

« genere di lavoro ebbe a fare sopra un punto della costa di questa

« Reggenza la quale realmente pare contenere in se tutti elementi

« di poter diventare un giorno uno stato ricco e potente.

« Se gettiamo infatti lo sguardo sopra la costa

«della Reggenza che -da Capo Farina estendesi fino alla frontiera

«Algerina, potremo facilmente osservare indicati due considere-

« voli laghi; orbene quello situato più a Greco e più vicino alla

«spiaggia di mare precisamente fra Capo Bianco e Capo Zabib

« è iaie da potere con poca spesa diventare uno dei migliori, e

« più sicuro ed esteso porto d'armata del Mediterraneo e di tutta

« l'Europa. Prendendo infatti una carta a gran scala osserviamo

« che un piccolo tratto di terra separa questo lago dal mare, per

« cui basterebbe rompere tale barriera che certamente non oppor-

« rebbe grande difficoltà essendo per la maggior parte composta

« di sostanza areno-argillosa, e farvi un canale che non arriverebbe

« a 1.000 metri di lunghezza per mettere in comunicazione il

«detto lago col Mediterraneo, orbene questo lago conta non meno

«di 8 miglia in estensione Est ed Ovest per circa 6 miglia Nord

« e Sud ed in tutta l a sua superficie anche a poca distanza dalla

« spiaggia si ha una profondità variabile di 8-7-6 e 5 braccia .

«L'acqua di questo piccolo mare interno è perfettamente salata .

«Tutto all'interno sono piccole montagne che non oltrepassano

« 1.000 piedi in altezza dal livello del mare e con dolce inclina-

« zione vanno terminando con una estesa pianura alle rive del

« lago medesimo. La terra fertile oltre ogni dire ed abbondante

«in sorgenti d'acqua dolce. A poca distanza al SO di tale lago

« salato trovasi un'altro lago ben poco inferiore in estensione

«ma .d'eccellente acqua dolce, ivi trovansi in media da 7 a 6 piedi

« di profondità d'acqua, un tortuoso e sufficientemente profondo

« canale mette in comunicazione tra loro questi due laghi, il se-

« condo dei quali sembra che sia formato ed alimentato da un

« considerevole scolo d'acqua dalle montagne che tutto lo circon-

« dano eccetto verso quel lato che appunto si unisce al primo lago

« mediante il testè indicato canale. Bacini di carenaggio e di rad-

<< dobbo scavati sui due lati del canale che metterebbe in comuni-

« cazione diretta il 1° lago col Mediterraneo, vasti magazzini, of-

« ficine, quartieri e fabbricati tutto all'interno di questo piccolo

« mare renderebbero questo il più formidabile e sicuro porto d'ar-

« mata che esservi possa.

« L'intelligente comandante del Firefly che personalmente

<< ebbe ad esaminare queste importanti località molti anni fa· mi

« ha .. assiourato che domanderebbe autorizzazione al suo governo

« per visitarlo nuovamente, ed intendend osi anzichenò della arte

« idraulica, egli mi accertò che dietro vari studi, e calcoli fatti a

« tal proposito ebbe a conchiudere che con mezzo milione di lire

« sterline, cioè dodici milioni e mezzo di franchi potrebbesi con-

« vertire· in vero porto di il suddetto lago, spesa ben tenue

« se si considerano i sommi vantaggi politici, strategici ed econo-

« miei che riceverebbe la potenza marittima, cui riuscisse un gior-

« no possedere tali località. Situata a 120 miglia dalla Sicilia, a 150

«.dalla Sardegna una flotta i vi concentrata sarebbe in possesso

« del passaggio al canale di Malta e perciò terrebbe nelle sue mani

« le sorti di mezzo Mediterraneo. Il Bey di Tunisi, preoccupato tre

« anni or sono della necessità di possedere un porto sicuro per

«le suè navi da guerra, fece appello al governo inglese, onde ve-

« nire fornito d'ufficiali e di ingegneri di quella nazione, per stu-

« diare il progetto statogll appunto presentato di convertire quel

«lago cioè in un sicuro e stupendo porto, ma non sentendosi il

« governo della Reggenza in caso di far fronte alle spese a tal

<< uopo occorrenti ne fu dimessa ogni idea. Io credo tale quistione

« così vitale ed interessante per l'avvenire del nostro paese che

« non esito punto a rendere di questo informata la S.V. persuaso

« che nella sua sagacità saprà apprezzare e misurare tutta l'im« portanza di quanto vengo ad esporle» (18).

La descrizione della zona dei due laghi, idonei a divenire una importante base navale, COJ?Sente di identificare l'area di Bisetta, su cui i francesi avevano già fin da allora mire che non potevano non preoccupare la marina italiana. E infatti il comandante della squadra d'evoluzione scriveva subito al ministro della marina - 1'8 giugno, mentre il rapporto del Racchia era del 7riportando le accuse britanniche ai francesi. Gli inglesi - scriveva l'Albini- sostenevano« che la Francia tenda ad occupare nella Reggenza dei punti importanti, a mo' d'esempio Biserta, onde essere in possesso del suo magnifico lago che vorrebbe ridurre in arsenale nello scopo di signoreggiare il Mediterraneo. Non ho certamente dati per poter decidere sulla più o meno probabilità di simili congetture, ma stimo però opportuno segnalarle a V.S., avendo il governo mezzi sicuri onde essere messo al corrente della vera posizione delle cose » ( 19).

Si può quindi affermare che due filoni di politica internazionale, provenienti da una matrice navale, venivano ad inserirsi fin dai primi anni di vita unitaria tra le ambizioni del nuovo stato. Entrambi - l'imboccatura adriatica e Biserta - nascevano da prospettive geografiche assolutamente sconosciute alla vecchia politica di Torino, ed erano il portato di problemi e di aperture nuove, che trovavano base e significato nelle propaggini estreme delle provincie meridionali. A sud est, il possesso della costa occidentale del canale d'Otranto poneva, da un lato, il problema della difesa del litorale italiano e sosteneva, dall'altro, l'ambizione ad un punto d'appoggio sulla costa orientale, con l'obiettivo di ottenere il controllo della porta marittima dell'Adriatico.

A sud-ovest, analogamente, la potenziale minaccia di un'altra potenza che potesse avvalersi di una base navale come Biserta face- va nascere il problema della difesa della Sicilia e di rutto il bacino meridionale del Tirreno, suggerendo, per contro, l'aspirazione ad una posizione privilegiata sulle due sponde del canale di Sicilia. E tale posizione , integrata al possesso diretto dello stretto di Messina, avrebbe potuto condurre ad una ipoteca navale italiana sul Mediterraneo centrale e sulla rotta Gibilterra-Suez.

(18) «Relazione del viaggio fatto lungo il litorale orientale della Reggenza di Tunisi », del comandante Racchia al contrammiraglio Albini, comandante in capo della Squadra d'evoluzione, 7 giugno 1864 (A.C.R.M., busta 2, cartella F, doc. 72).

(19) Ibidem, doc. 74.

Le reazioni negative a simili aspirazioni si delineavano subito. Ad est l'espansione marittima italiana avrebbe incontratoin tempi e luoghi diversi e per motivi diversi - l'opposizione dell'impero austro-ungarico, della Grecia , della Russia e della Turchia; ad ovest quella della Francia; dovunque, sul mare, quella britannica (20).

Negli anni intorno alla terza guerra dell'indipendenza, l'Italia incominciò a mettere gli occhi sulle coste africane e albanesi, chiedendo una base nella vicina Tunisia (Biserta) e un'altra sul litorale adriatico orientale (Valona o Dulcigno).

Il Mori ha rinvenuto nelle carte dei Savoia a Cascais un progetto del 1869, che avrebbe dovuto servire per trattare una alleanza italiana con gli imperi centrali, e che conteneva le richieste italiane: tra di esse, oltre al confine al Brennero e all'Isonzo ed a rettifiche nella valle del Roja, facevano spicco Bisetta e uno stabilimento marittimo nell'Adriatico meridionale (21). Le due basi navali, a parte la funzione di copertura sui punti più esposti dei confini marittimi del regno, avrebbero dovuto costituire il fondamento di una politica mediterranea di potenza. Sotto questo profilo, esse si presentavano in maniera assai diversa dalle altre richieste del programma che abbiamo ricordato , tutte relative ad integrazioni- più o meno legittime, più o meno moderate (22) -del territorio nazionale: Biserta e Valona erano fuori d'Italia e significavano un nuovo momento nella politica estera italiana. Del resto, l'annessione di Roma al regno aveva chiuso un ciclo. Il Risorgimento era finito, l'unità nazionale raggiunta. I motivi ideali che avevano (Ommosso le generazioni delle guerre e delle rivoluzioni italiane del sec. XIX, malgrado le frangie irtedentiste e i problemi che esse agitavano ancora, non potevano avere più il significato di prima. Con la capitale a Roma un nuovo ciclo si apriva. Nell'epoca degli imperialismi più esasperati, anche l'Italia avrebbe tentato di interpretare un qualche ruolo nuovo, cercando di fare il proprio gioco tra i giochi delle grandi potenze, in un orizzonte più vasto e più pericoloso. E in questo tentativo di recitare subito una parte nella politica mediterranea, la marina militare avrebbe dovuto avere una importanza fondamentale. Ma all'Italia mancarono le forze. Al di là delle fantasticherie e dei segni che i ricordi lontani di Roma potevano evocare dal passato , la cruda realtà di un paese povero e sprovveduto ebbe il sopravvento sull'ambizione. Per lunghi anni, la flotta italiana attraversò una crisi particolarmente grave se si riflette che furono quelli gli anni in cui essa avrebbe dovuto sostenere, nell'interesse generale del paese, la politica estera. .

(20) MORI (L'I t alia e il processo di ttnificazione germanica, ci t., pagina 30) ricorda che nel 1867 il governo di Parigi vietò alla marina italiana di vigilare sulle navi nazionali nelle acque algerine, per cui si ebbero anche passi diplomatici; il console italiano a Corfù , cav. Viviani, scrivendo il 23 agosto 1864 al ministro degli esteri, aveva sottolineato la « azione deprimente esercitata dall'Inghilterra per sostituire la marina propria alla jonia »,in« Rivista marittima», 1868, pag. 271; ecc.

(21) Cfr. l'intervento del MoRI, in Le relazioni ila/o-tedesche nell ' epoca del Risorgimento, cit., pagg. 120 e 122.

Il ministro della marina Riboty aveva già affermato nel 1868: «Non vi ha nessuno che ponga in dubbio che il nostro paese, per la sua posizione geografica, per l'immenso sviluppo delle sue coste , per le numerose e ricche sue isole. per il suo esteso commercio, e finalmente per le sue tradizioni, non sia paese eminentemente marittimo. E oggimai, che dal lato del mare più che da quello di terra devesi provvedere onde sia garantita la sua indipendenza vulnerabile in tutta l'estensione del suo litorale, c'incombe l'obbligo di mantenere una forza navale capace di raggiungere siffatto scopo tanto vitale per la nostra esistenza. Epperò potrassi compendiare il mandato della marina militare dello Stato nella seguente fonnola: proteggere gl'interessi marittimi della nazione e costituirle una giusta influenza nella bilancia della politica europea » (23 ).

Quali fossero i punti d'attacco per affermare tale «giusta influenza », lo abbiamo visto. Ma sarebbe stato impossibile sostenerla se la marina militare non avesse ricevuto stanziamenti adeguati, ciò che non era compatibile con le condizioni finanziarie del paese e con le altre necessità urgenti e gli altri obiettivi che i governi italiani si trovavano davanti. E infatti, le spese per la marina- espresse in lire 1959 affinché il confronto abbia un qualche significato - si erano mantenute in media poco al di sotto dei 20 miliardi all'anno dal 1861 al 1866, ma subito dopo avevano preso a diminuire, fino a scendere al di sotto degli 8 miliardi nel 1870 (24); dal1871 al1874 si erano mantenute tra gli 8 ed i 9 miliardi, per poi risalire gradualmente fino ai 12,6 miliardi del 1880 (25).

Gli anni '70 videro, come si è già riferito, il fallimento dell'immatura prospettiva di un'espansione strategica italiana verso Valona e la costa adriatica di fronte alla Puglia, come pure delle velleità di approccio politico-militari verso isole greche, verso Cipro, verso punti del Levante e dell'Asia Minore controllati dalla Turchia. Il periodo era destinato a concludersi disastrosamente nel

(23) Le dichiarazioni del Riboty, dell'8 febbraio 1868, sono riportate in <<Rivista macittima », 1869, pag. 591.

(24) Nella relazione al disegno di legge presentato dal ministro della marina al Parlamento il 16 marzo 1869 si fissava la forza navale occorrente a 20 navi di linea ed a 62 minori; tali indicazioni erano accompagnate da queste considerazioni: «Non giova illudersi: continuando nell'attuale ordinamento della nostra marina militare, mantenendo gli stabilimenti marittimi come sono, e conservando gli stanziamenti nei limiti attuali, le nostre forze navali sono condannate all'impotenza », A.C.R., Carte Depretis, busta 9, fase. 25. Nel dibattito il D'Amico dichiarò che «se si vuole avere una marina produttiva, bisogna spendere di più; altrimenti è meglio smettere e dichiarare al paese e all'Europa che non esiste una marina italiana, e che noi aspettiamo che le nostre finanze rifioriscano prima di ristabilire il bilancio della marina»; Augusto Riboty, il ministro, a sua volta affermò - con definizione incisiva - che « il bilancio attuale è un tisico al terzo stadio»(« Rivista Marittima •, 1869, pagg. 671 e 673).

(25) Vedi la tabella a pag. 199.

1881, con l'occupazione francese di Tunisi, che liquidava la grande speranza italiana di insediarsi sulla costa africana più prossima alla Sicilia. T ali insuccessi avevano una matrice politica e una matrice militare, l'una e l'altra legate a doppio filo con la debolezza della flotta. ·

Inutilmente nell'aprile 1873 il ministro della marina riprendeva considerazioni del Bucchia e del Mattei, già espresse anni prima, secondo le quali « in date evenienze di guerra europee l'Italia, sfornita di una marina militare, potrebbe in un'alleanza aggiungere un elemento di debolezza agli amici suoi, costituire per loro un pericolo anziché far ridondare le proprie armi a vantaggio comune» (26). Senza poter giocare la carta della flotta (27), il governo di Roma si trovava regolarmente impaniato in una situazione di squilibrio tra l'esigenza di condurre un'attiva politica mediterranea e la forza reale della marina. Sebbene durante gli anni '70 si fosse avuto l'imprevisto exploit del Duilio, esso era stato accompagnato da tali polemiche e riserve che una coda di incredulità sull'effettivo valore bellico della corazzata era pur sempre rimasta, a dispetto di talune esagerazioni strumentali (28 ); e poi, il Duilio non era una flotta. E infatti, malgrado le spesso ritornanti velleità di presenza nel Mediterraneo e nel Levante (29), malgra-

(26) A.C.R., Carte Depretis, busta 9, fase. 25.

(27) La èrisi investl anche la marina mercantile, il cui tonnellaggio complessivo si mantenne durante gli anni '70 intorno al milione di tsl, senza dinamica espansiva, prendendo poi a diminuire, nel decennio successivo, sempre più: dr. FLORE, op. cit.; E. DEL VECCHIO, Di Robilant e la crisi nei rapporti maritlimi italo-francesi, ecc.

(28) Ve n'è un'ampia crestomazia in B. BRIN, La nostra marina militare, Roma, 1882, specie pagg. 15-20; basti per tutte la citazione del senatore americano Bonjean, che nel marzo 1880, discutendo questioni relative alla marina, aveva affermato: «Il solo Duilio della marina italiana potrebbe distruggere tutta la nostra flotta». Per dati sulle corazzate della classe Duilio. cfr. G. GxoRGERINI ed A. NANI, Le navi di linea italiane, cit., 3a ediz., Roma, 1969, pagg. 155-76.

(29) Vedi le carte della squadra del Mediterraneo fino al 1878 e l'archivio della squadra permanente (crociere in Oriente) in A.C.R.M., buste 75 e 188, 189, 190, 191, 192. E' curioso, se mai, che dette velleità · non abbiano portato mai a preveder un impegno serio in Egitto, là dove do il varo del Dandolo ( 30 ), il timore della potenza navale italiana non avevà certo fermato i francesi sulla rotta di Tunisi, nell'aprile del1881. l'area del canale di Suez avrebbe dovuto costituire obiettivo primario, anche indipendentemente dalle possibilità di insediamento effettivo che poteva avere - da sola o in condominio - una potenza politica, economica, militare e navale come l'Italia.

L'impatto della vicenda di Tunisi fu assai forte in Italia . Dalle prospettive irrealistiche di affermazioni imperialistiche mediterranee, classe politica ed opinione pubblica passarono al polo opposto. Dalle coste indifese si levava minaccioso il fantasma dell'invasione dal mare, alimentato anche da talune discussioni circa il punto migliore per effettuare uno sbarco in Italia, che si svolgevano sulla stampa militare francese. Né più confortanti risultati davano le manovre navali che si svolgevano nel Tirreno e che parevano confermare l'estrema difficoltà, per la flotta italiana, di prevenire, in uno specchio d'acqua troppo ampio per i mezzi del tempo, una eventuale iniziativa anfibia francese su un punto qualunque del litorale ( 31 ).

{30) La corazzata scese in mare a La Spezia il 10 luglio 1878.

(31) Nel 1882 il capitano di vascello Martinez aveva sostenuto la necessità di potenziare Gaeta per coprire una minaccia diretta sulla capitale {G. MARTINEZ, Sopra un punto importante della difesa delle coste d'Italia, ecc., in marittima», 1882, II, pagg. 33-37 }. Le manovre del 1883 e del 1885 - le prime « a quadri e partiti contrapposti », le seconde operative con base a La Maddalena - dimostrarono l'impossibilità di garantire una copertura ad una incursione navale , o ad una minaccia di sbarco, su un arco di coste che andava da Ventimiglia a Trapani; le grandi città tirreniche - Genova, Livorno, Napoli , Palermo, Cagliari - restavano sotto la minaccia di un bombardamento. La stampa militare francese dibattev;t la capacità di invasione marittima delle forze armate francesi e se, in particolare, convenisse ·attaccare la riviera di ponente, di concerto con l'esercito, o Spezia, o non piuttosto Livorno, che avrebbe potuto aprire la via ad un grande successo strategico, ecc. (Cfr., tra gli altri, G. DI SUNI, La difesa delle coste; La difesa marittima dell'Italia giudicata in Germania; O. T., L'invasione france.se per Livorno; tutti in «Rivista marittima», 1883, rispettivamente I, pagg. 23-33; III , pagg. 85-120; IV, pa· gine E poi ancora , O. T., Appunti sulla capacità d 'invasione marittima della Francia; Mezzi di trasporto marittimo della Francia; D. Bo-

La nuova situazione aveva suggerito al Marselli un interessante articolo che comparve sulla « Nuova Antologia » del l o luglio 1881. In esso si prendeva atto di quanto era successo e, in chiave marittima, si suggeriva una linea destinata ad essere recepita subito dopo dalla politica estera italiana. Vale la pena di riportarne - per quanto già noto (3 2) - il brano più significa ti vo: « Poiché la forza delle cose trascina l'Austria-Ungheria verso Salonicco e la Francia a distendersi lungo la costa settentrionale dell'Africa, e poiché non è in potere dell'Italia di opporsi in pari tempo all'uno e all'altro fatto, a quale dei due può acconciarsi con suo minor nocumento, e però quale essa deve contrariare risolutivamente e quale aiutare persino, per assicurare lo scambio dei servigi? Basta gittare gli occhi su d'una carta del bacino del Medit erraneo per intendere subito che il pericolo maggiore che l'Italia possa correre si è di vedere la Francia stabilirsi sulla costa settentrionale dell'Africa, dirimpetto e a poca distanza da quella di Sicilia, che è la nostm sentinella avanzata, e che in caso di guerra potrebbe diventare una sentinella perduta. L'Egeo è un mare lontano, ma le acque che penetrano fra Marsala e il Capo Bon formano uno vero stretto siciliano. I pericoli derivanti dalla occupazione di questo stretto per parte di una grande potenza marittima, qual è la Francia, sono ben altrimenti gravi di quelli che potrebbero scaturire' dalla dilatazione fino a Salonicco di una potenza marittima di secondo ordine ».

Erano evidenti le conseguenze di questa scelta. Il posto dell'Italia sarebbe stato al fianco degli imperi centrali e contro la Francia ed i suoi alleati, in una prospettiva di politica internazionale di lungo periodo, nella definizione della quale si doveva riconoscere una grande importanza alla componente navale. E' agevole trovarne la conferma in due ordini di eventi: il primo riguar- da la nuova dimensione delle spese per la flotta, il secondo l'atteggiamento amichevole e accattivante di Roma nei confronti di Londra.

NAMICO, La difesa dello Stato; in« Rivista marittima», 1884, I, pagg. 5-25; III , pagg. 447-60; II , pagg. 383-405 e III , pagg. 47-81; Biserta: porto militare, ibidem, 1885, I , pagg. 158-62; ecc.).

(32) Cfr. M. GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, Roma, 1969, pag. 13; in quello stesso mese Bismarck affermava essere «il Mediterraneo sfera di espansione naturale del popolo francese (SALVATORELLI, cit., pag. 56).

Per quanto si riferisce alle spese per la flotta, i bilanci della marina segnarono una brusca impennata a partire dall'occupazione francese di Tunisi. Operando il confronto su dati omogenei espressi in lire 1959, si rileva che le spese si triplicarono, mentre tà il 1880 e il 1890 il dislocamento globale delle unità in servizio si raddoppiò, con un aumento corrispondente del personale , mentre la spesa per tonnellata di unità in servizio si incrementava di quasi un terzo: la tabella che figura alla pagina che segue, e che si riferisce a tutto il periodo di cui ci occupiamo, appare, in proposito, assai interessante ( 3 3 ).

L'aumento delle spese navali aveva un duplice scopo: da un lato quello di apprestare i mezzi necessari a fronteggiare la Francia e a coprire dal mare le minacciate coste del paese, dall'altro quello di offrire un sostegno alle manovre del governo di Roma verso la Gran Bretagna e verso gli alleati della Triplice onde avere aiuti in campo marittimo.

Preparata fin dall'anno una intesa mediterranea anglo-italiana venne ad integrare, nel 1887, il primo rinnovo della Triplice., che garantiva - entro i limiti accettabili dagli imperi centrali - gli interessi mediterranei dell'Italia {34 ). Ma l'intesa con la Gran Bretagna nasceva nell ' equivoco di una doppia interpretazione, che secondo Roma avrebbe implicato impegni assai più cogenti di quanto ritenesse Londra; nè i successivi tentativi di Crispi, divenuto presidente del consiglio e ministro degli esteri nell'agosto 1887, sortirono miglior effetto: il secondo accordo per il Mediterraneo, del dicembre 1887, riguardava soprattutto il Levante e non forniva all'Italia quelle garanzie marittime che essa così ansiosamente cercava.

(33) La tabella è tratta da G. FIORAVANZO, La marina militare nel suo primo secolo di vita (1861-1961), Roma, 1961, pagg. 52-53.

(34) Vedi GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, cit., pagine 32-43; R. MoRI , La politica medite"anea di Crispi, in «Storia e Politica »,aprile-giugno 1972, pagg. 145-79 .

TABELLA DELLE SPESE NAVALI (Milioni di lire)

Con ogni probabilità, la tendenza britannica a non impegnarsi formalmente ed a lasciarsi aperta la via per non trovarsi a dover sostenere fino alla guerra il governo di Roma derivava anche dalla valutazione negativa che si dava della situazione strategica e delle forze navali italiane. La « lunga linea delle coste italiane » apriva un problema militare marittimo di assai difficile soluzione per una flotta: l'attaccante avrebbe avuto il vantaggio di scegliere il momento e il punto più idonei per sferrare un attacco nelle condizioni migliori perché poteva raggiungere successi immediati d'ordine psicologico e militare, sia bombardando una grande città del litorale, sia sbarcando una forza d'assalto in un punto qualsiasi della costa; in più, aveva la possibilità di provocare uno scontro con la flotta italiana, obbligandola a uscire per combattere in difesa di una città costiera attaccata, ed a farlo nelle peggiori condizioni, quando l'opinione pubblica già reagisse ne_gativamente all'inevitabile sorpresa iniziale. Inoltre, l'ammiragliato Iondinese non aveva una grande opinione circa l'efficienza della marina militare italiana. A più riprese, i circoli navali britannici avevano espresso un giudizio negativo sulle capacità belliche della flotta, ritenendosi che le navi maggiori avessero sacrificato le esigenze della difesa per ottenere una maggiore velocità e che nel complesso fossero troppo poco protette e troppo diverse come tipi le une dalle altre; si prevedeva, quindi, in caso di conflitto, una lotta senza speranza da parte italiana (35). Nè le speculazioni giornalistiche e politiche imbastite intorno alle «paure navali » del 1888 - che avevano fatto sperare agli italiani una disponibilità inglese largamente sopravalutata (36) - migliorarono la situazione: l'ambasciatore britannico, nel dicembre 1888 ebbe a dichiarare apertamente al ministro della marina, Benedetto Brin, che « l'Italia faceva meglio a non contare sull'assistenza dell'Inghilterra per la difesa delle sue coste» (37).

(35) Capitano di fregata C. Candiani, addetto navale italiano a Londra, al ministro della marina, rapporto del 1° aprile 1888, A.U.S.M., busta 126, cartella 3.

(36) Cfr. GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, cit., pagine 51-67.

Intanto, nemmeno gli approcci verso gli alleati avevano successo. Troppo lontana la Germania e troppo debole ancora la flotta· tedesca, il solo aiuto in Mediterraneo avrebbe potuto venire dagli austriaci. Crispi spiegò in proposito un notevole attivismo, che però insospettì e preoccupò Vienna, la quale non si lasciò trascinare ad accordi navali. Fallito un primo tentativo all'inizio del 1888, lo statista siciliano tentò nel maggio successivo un successo di prestigio, approfittando delle cerimonie per l'apertura dell'Esposizione di Barcellona: erano state invitate rappresentanze delle marine militari italiana, inglese ed austro-ungarica, ed il Crispi propose chè le navi italiane ed austro-ungariche arrivassero a Barcellona simultaneamente, per dare un « carattere politico » alla manifestazione, cui anche gli inglesi avrebbero potuto successivamente aderire. Ma Kalnoky non fu d'accordo, e il disegno crispino fallì completamente ( 38 ). L'idea di una precisa intesa marittima con gli austro-ungarici fu di nuovo ripresa l'anno seguente, ma senza che si arrivasse a concludere nulla, anche se, mano a mano che le proposte ed i sondaggi si susseguivano, anche i particolari della eventuale collaborazione si chiarivano o - quanto meno - si approfondivano. Restava però, costante, il rifiuto a un impegno preciso, definito da una convenzione navale, da parte di Vienna. I motivi erano vari, e toccavano aspetti della politica internazionale come di quella navale: per quanto riguarda quest'ultima, restava la convinzione

(37) MARDER, cit., pag. 143.

(38) MoRI, La politica mediterranea di Crispi, cit., pagg. 157-60. Anche la «debole soddisfazione», offerta in cambio dal Kalnoky al Crispi, della visita della squadra austro-ungarica in alcuni porti italiani del Tirreno (Genova, La Spezia, Napoli) «svanì presto quando si venne a sapere che della flotta asburgica facevano parte le corazzate « Custoza » e « T egetthofl », nomi cari all'orgoglio asburgico, ma rievocatori in Italia di tristi eventi. Il Prefetto di Genova e il Comando della Spezia avvertirono Crispi che la visita di queste navi in porti italiani avrebbe dato luogo a manifestazioni di ostilità, se non addirittura ad una sollevazione popolare e richiesero in forma pressante che si disdicesse la già annunciata visita » che l'inferiorità militare e strategica della marina italiana nei confronti di quella francese non avrebbe potuto trovare adeguato compenso nell'aiuto che poteva dare la flotta austriaca; quest'ultima, per contro, avrebbe dovuto affrontare un'avventura rischiosa lontano dalle sue basi, in una condotta di guerra d'alto mare, diversa da quella di copertura costiera, ad essa congeniale per tradizione e preparazione.

Gli anni '80 si sarebbero chiusi con un nulla di fatto, per l'Italia , in tema di accordi navali capaci di assicurarle un migliore rapporto di forze nel Mediterraneo, rispetto alla minaccia francese. Roma aveva scelto - tra le sue iniziali ambizioni di espansione marittima - la linea che a suo tempo era stata indicata dal Marselli, ma in dieci anni di tentativi non aveva ottenuto nulla di concreto, nè dalla Gran Bretagna - che pure aveva interessi analoghi (39)- nè dagli alleati, con i quali pure ci si era impegnati nel 1888 a fornire importanti rinforzi di truppe per il fronte terrestre del Reno.

Gli ultimi tempi del gabinetto Crispi furono caratterizzati dalla irritazione ncn più contenibile dello statista siciliano, che lo induceva sempre più a cedere al desiderio di « rompere i piatti », col risultato di indebolire ulteriormente la posizione italiana, sia nei confronti di Vienna - se non proprio di uscire dalla Triplice, il Crispi certo pensò di affermare il concetto della reversibilità delle alleanze - sia nei confronti di Londra, che sottovalutava pervicacemente - secondo il presidente del Consiglio - il pericolo che veniva da Biserta e dal progressivo rafforzamento della base al servizio della potenza navale francese ( 40).

(39) Cfr. ibidem, pagg. 168-69. Tuttavia lord Salisbury ebbe a dichiarare all'ambasciatore di Francia a Londra, 1'11 novembre 1889: «noi abbiamo una politica ben nota e spesso affermata, quella del mantenimento della pace in Europa e dello status quo in Mediterraneo. Noi siamo con quelli che difendono la stessa politica ed i cui interessi sono simili ai nostri » (Documents politiques français, I , VII, n. 504, riportato da. G. VoLPE, L'Italia nella Triplice Alleanza (1882-1915), Milano, 1939, pag. 118).

(40) Vedi MORI, La politica meditemJnea di Crispi, cit., pagg. 168-79. In particolare, ciò che mandava in bestia gli italiani era che gli ambienti dell ' ammiragliato ritene ssero - come l'ambasciatore Tornielli comunicò da Londra il 28 gennaio 1891 - che la costruzione di un porto militare a Bisetta avrebbe addirittura indebolito, invece di rafforzarlo, il potere navale francese nel Medi terraneo, e questo perché ne avrebbe complicato gli impegni.

Nell'avvenire prossimo, gli stessi problemi sarebbero rimasti insoluti. E insieme ai vecchi nodi, nuovi ne sarebbero venuti al pettine, evidenziando sempre più il peso determinante che la situazione marittima mediterranea avrebbe avuto sulla politica italiana. Lo sforzo diretto a potenziare la flotta nazionale sarebbe andato di pari passo con quello di retto a procurarsi alleati navali . Questo motivo di fondo sarebbe stato caratteristico della politica di Roma , costantemente in ansia per la minaccia che le veniva dal mare . Nello stesso tempo , come era logico, sarebbe cresciuto ancora il peso della marina sulla politica estera dd Paese. Sarebbe cresciuto fino al punto che uomini della marina - Benedetto Brin e Costantino Enrico Morinsarebbero giunti ad assumere direttamente le massime responsabilità di governo per la conduzione degli affari internazionali.

Parte Terza

LA FLOTTA COME STRUMENTO DI POLITICA COLONIALE E DI PROTEZIONE DELLA EMIGRAZIONE E DEL COMMERCIO

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