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LA LOTTA ALLA TRATIA DEGLI SCHIAVI
Sono note le origini della tratta degli schiavi nell'età moderna. Il fabbisogno di manodopera a basso costo da parte di talune economie arretrate o fondate su colture estensive, l'aggressiva intraprendenza dei negrieri, gli scarsi scrupoli degli acquirenti, i pregiudizi di religione e di razza e - soprattuttoil lucro che il losco traffico procurava ai commercianti spregiudicati di uomini, avevano fatto fiorire per secoli, specialmente in alcune zone del mondo, la tratta degli schiavi. Per molti anni, malgrado i progressi delle nazioni europee più avanzate, l'attività schiavistica fu tollerata sui mari; due erano soprattutto le grandi aree in cui operava la tratta: l'America, settentrionale, centrale e meridionale, e l'Arabia. Il grande vivaio cui attingevano i negrieri era l'Africa, avendo come punti di ,riferimento le coste occidentali per le destinazioni americane e le coste orientali per le destinazioni arabiche, ma spingendo traffici e razzie fin nel cuore del continente nero. Episodicamente, poi, si verificavano casi di tratta in altre zone, come ad esempio sulle coste della Cina per l'emigrazione forzata di .manodopera locale in direzione dell'America, attraverso il Pacifico. Il primo stato europeo ad abolire la tratta degli schiavi fu la Francia rivoluzionaria, nel 1791, ma il divieto dovette essere revocato in seguito, per cui il primo paese che proibì definitivamente i traffici schlavistici fu la Danimarca, nel 1792, con una legge che ebbe effetto dal 1802. Nel 1807 il commercio degli schiavi divenne illegale in Gran Bretagna e l'anno successivo si ebbe la prima crociera di repressione contro la tratta condotta da due unità inglesi, il Solebay e il Derwent, mentre anche negli Stati Uniti detto traffico diventava illegale. Seguirono, via via, altre proibizioni, più o meno rispettate, finché col congresso di
Vienna del 1815 la tratta fu bollata da una generale condanna (1).
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La marina britannica, che aveva incominciato nel 1811 un servizio regolare di crociere condotto da una forza navale composta da cinque unità, ebbe una parte centrale nella lotta contro la tratta. Naturalmente, il problema principale da affrontare per condurla con successo era - dal punto di vista dei rapporti internazionali - quello di poter procedere al controllo in mare dei bastimenti sospetti senza che ciò desse luogo a complicazioni tra gli stati, di cui i bastimenti stessi battevano la bandiera. A tale scopo, a mano a mano che col passare degli anni le mag· giori potenze marittime si allineavano sul fronte antischiavista, furono stipulati accordi per consentire alle unità militari in servizio contro la tratta di procedere al controllo delle navi sospette, anche se queste alzavano la bandiera di un'altra nazione.
Nel1828 anche la marina francese iniziò un'attività di pattugliamento marittimo e di crociere contro i negrieri, ciò che condusse alle convenzioni anglo-francesi di Parigi del 30 novembre 1831 e del 22 marzo 1833, che autorizzavano le unità militari delle due marine, in regime di reciprocità , a fermare e controllare le navi sospette di entrambi i paesi. Il regno di Sardegna accedette a tali convenzioni 1'8 agosto 1834: l'accordo stabiliva che « incrociatori appartenenti a ciascuna delle potenze contraenti, devono essere autorizzati, conformemente alle istruzioni speciali ... a visitare e .arrestare nell'ambito dei limiti fissati, navi mercantili delle due altre nazioni che si dedicano alla tratta dei negri, o sospettate di essere armate per tale traffico» (2).
Detto accordo, che definiva il diritto di visita e poneva quindi una limitazione - condizionata a particolari aree geografiche - al diritto di sovranità degli stati in vista di conseguire uno scopo di particolare valore civile, veniva applicato at- traverso l'emissione di appositi mandati, generalmente richiesti dalla rappresentanza diplomatica della nazione interessata a condurre le crociere e concessi dall'autorità marittima dello stato che autorizzava la visita alle proprie unità mercantili ( 3 ).
(l) Cfr. W. E . F. WARD: The Royal Navy ant the Slavers, Londoo , 1969, pag. 229.
( 2) Vedi il testo completo della formula negli originali dei mandati, A.C.R.M., buste 12, 62, 203.
Realizzatasi l'unificazione politica italiana, il nuovo regno subentrò a quello sardo nel rispetto delle stesse convenzioni. Intanto, la lotta contro il .commercio marittimo di schiavi si sviluppava sempre più, con il trattato anglo-americano del 1862cui seguì nel 1865 il famoso XIII emendamento della costituzione americana, che proclamava la cessazione della schiavitù negli Stati Uniti- e con il nuovo accordo anglo-francese del1865: sia l'uno che l'altro autorizzavano gli incrociatori dei paesi contraenti impegnati contro la tratta a perquisire le navi mercantili sospette degli altri stati firmatari (4 ). La necessità di tali accordi tra i paesi marittimi appare evidente, ove si ponga mente alle conseguenze che eventuali azioni avventate o non autorizzate avrebbero potuto implicare in un ambiente internazionale nel quale sempre più - con la corsa alle colonie e il trionfo dei nazionalismi - si affermava la politica di potenza.
Gli anni '60 videro concludersi positivamente la campagna contro il commercio degli schiavi in Atlantico. \La grande protagonista di tale successo era stata la marina militare britannica. Chiuso nel 1853 il mercato brasiliano degli schiavi (5), si verificò anche nelle altre zone critiche di importazione un rapido declino del sordido commercio: il mercato di Cuba, che aveva importato nel1860 ancora ben 18.000 schiavi, crollò a 3.000 nel 1864 e nel 1869 fu chiuso, mentre la pratica della tratta veniva assimilata alla pirateria ( 6 ). Il potere navale e la flotta britannica avevano praticamente abolito il traffico degli schiavi attraverso l'Atlantico ( 7 ), con la collaborazione di quasi tutti gli altri paesi. Tra questi, non in posizione attiva, chè la sua marina non era in grado di impegnarsi nell'oceano in servizi regolari di crociera, ma purtuttavia presente in posizione di collaborazione passiva, era l'Italia ( 8 ).
(3) Cfr. ad esempio, la nota del 2 settembre 1851 del Serra Cassano, responsabile della marina a Torino, al comandante generale della regia marina in Genova, con cui si trasmettono tre mandati di visita per altrettanti comandanti di unità inglesi, che erano stati richiesti dalla legazione britannica, A.U.SM., busta 102.
(4) Cfr. S. O. CALLAGHA."': Le schiave, Milano 1962, pag. 230; WARD, op. cit., pag 220·28.
(5) A questo risultato non si giunse senza contrasti e incidenti: ad esempio, nel 1845 il governo brasiliano chiuse la commissione mista di Rio de Janeiro e protestò contro le interferenze della marina inglese nei confronti degli armatori brasiliani, dò che diede luogo a cinque lunghi anni di inutili trattative, finché l'ammiraglio Reynolds, nel 1850, prese a dar la caccia alle navi negriere nelle acque del Brasile, incendiandole e affondandole quando riusciva a raggiungerle, WARD, op. cit., pagg. 163·66.
Ma il traffico di schiavi verso l'America non proveniva solamente dall'Africa, anche se da questo continente si era fondamentalmente sviluppata e se il fenomeno aveva interessato in maniera centrale le sue coste occidentali e le rotte atlantiche. Dall'altra parte, attraverso il Pacifico, per un certo periodo prosperò, specie durante gli anni '60, un analogo commercio verso l'America, anche se di proporzioni talmente modeste che un confronto con quanto avveniva in Atlantico non è possibile. « La
« tratta dei coolìes, quale è praticata in Macao, nulla ha in co-
« mune con la libera emigrazione cinese, quale la si pratica in
« Hong Kong e nei porti aperti della Cina per la California e le « colonie inglesi ed olandesi dell'estremo oriente. Essa concerne << i cinesi, che per propria elezione contrattano a pronti con« tanti, o con more di pagamento, il loro prezzo di passaggio
(6) Ibidem, pagg. 224-27.
(7) W. CHURCHILL: A History of the English-speaking Peoples, vol. IV, The Age of Democracy , London, 1958, pag. 123.
(8) Come chiaramente emerge dai numerosi mandati concessi ad unità britanniche, i quaU, per la maggior parte, si riferiscono agli anni '60 per autorizzazioni ad operare nelle acque antistanti il continente americano, sia nell'area settentrionale, che centrale e meridionale: ad esempio, dr. i mandati concessi - rispettivamente - il 20 aprile 1873 al Pert per il Brasile e il 27 luglio 1879 alla stessa unità per l'America del nord e le Indie occidentali; i mandati restituiti per ultimata missione, sempre nel 1879, dal V alage, dal Contest, dal Rover, dallo Zephyr, dal Rifleman, dal Druid, che li avevano utilizzati nelle zone di mare dell'America settentrionale, centrale (Indie occidentali) e meridionale: A.C.R.M., buste 12 e 62.
« verso i porti in cui, godendo della loro piena lil: d'azione,
« potranno secondare la propria inclinazione nella scelta di un la-
« voro rimuneratore delle proprie fatiche.
« Il traffico dei coolies, quale lo si in M.acao, deve, a
« mio avviso dirsi tratta, giacché riflette uomini che, schiavi della
« miseria loro fruttata dal vizio, mancando di ogni altro mezzo per
« soddisfarlo, cedono alle lusinghe degli agenti della tratta, ac-
« cettando il premio loro offerto contro la piena rinunzia in loro
« favore del proprio libero arbitrio e volontà nello impiego delle
<< loro forze. T ale tratta è diretta verso la Havana ed il Perù, o ve
« i coolies, succedendo agli schiavi africani sono considerati e trat-
« tati siccome tali per la durata del loro impegno. Mfinché ad
« un tale traffico si potessero riconoscere gli attributi di ciò che
«generalmente chiamasi emigrazione, converrebbe ch'essa fosse << liberamente voluta alla partenza dalla Cina; e liberamente pra« ticata all'arrivo a destino, ciò che non è, come basta a provarlo <<l'esame dei contratti imposti ai coolies ... » (9).
La manodopera cinese veniva irretita dai sensali, che prestavano somme modeste, ma sufficienti - una volta fatti dilapidare gli anticipi alle loro vittime -a porre i disgraziati lavoratori nella condizione di dover accettare l'emigrazione forzosa per sfuggire al carcere per debiti. Ogni capo, pagato 65 dollari al sensale, fruttava all'agente che li rivendeva a Cuba o in Perù 450 dollari e utili molto elevati ai vettor-. (l Oi .
In proposito , una drammatica testimonianza anonima pervenne al ministro della marina, in Italia, nei primi mesi del1867. L'autore, egli stesso implicato nella tratta, descriveva la situa- zione ( 11) e lamentava poi che la bandiera nazionale italiana fosse adoperata per il trasporto dei coolies: «Varie case del Perù, che « speculano per questo ramo, per la guerra con la Spagna sono « state obbligate a cambiare bandiera ai bastimenti. Disgraziata« mente si sono servite della bella nostra bandiera italiana. La In« ghilterra, gli Stati Uniti di N. America, la nera aquila prussa, « e perfino l'autocrate russo, hanno proibito ai loro bastimenti « questo traffico. Che uno o due oscuri italiani, per circostanze, « siano addetti in questo brutto traffico, poco importa; però che
( 9 ) G. LovERA DI MARIA: Sulla tratta dei coolies in Macao, in « Rivista marittima», maggio 1872, pagg. 565·66.
( lO) «I capitani delle navi coolies hanno paga di 150 dollari al mese, regalia di 2000 dollari per viaggio, qualunque ne sia l'esito, e di altri 5 dollari per coolie, che consegnano salvo a destino. Le spese di esercizio della nave durante il viaggio sono coperte dalle spese di alimentazione del carico. Ciò spiega siccome un capitano di nave coolie possa, dopo pochi anni di traffico, essersi ritirato a Quarto, sua patria, disponen.lo di un capitale di 45.000 franchi», ibidem, pag. 567.
( 11) La lettera, senza data, era indirizzata al ministro della marina e si trova in A.U.S.M., busta 102. Essa diceva: « Signor Ministro, se questo scritto arriva ad esser letto da Vostra Eccellenza, strano ha da parergli non veder firma, però V.E. potrà anche conoscere che vi sono circostanze, che obbligano l'uomo a far ci6, che in altre non farebbe. Suddito italiano, e già da qualche tempo addetto per impiego a fomentare la emigrazione chinese in Macao, e per contratto obligato a seguire in questa, ho osservato minutamente il modo per cui si conseguisce emigrante, e quantunque i procedimenti legali in Macao sono osservati con rigore, dononpertanto io ritengo si commettano atti ingiustissimi e barbari. Mi spiegherò. Macao è, come troppo è noto, una piccola colonia. Barche chinesi, equipaggiate da chinesi, si armano qua, vanno per la costa, e quantunque le autorità chinesi le perseguano come pirati, la poca vigilanza di queste ci permette, con lusinghe, cibo e qualche scudo, convincere i poverissimi abitanti, che accozzati dalla miseria e fame, trovando a bordo di quelle barche riso, carne e pesci (mangiar di lusso) s'imbarcano per la Terra degli Europei, che gli viene presentata un paradiso terrestre; giungono a Macao. Presemati alle autorità, varii seguono di buon animo la sorte che gli si presenta; altri, alla vista di un mundo nuovo, si spaventano e non accettano il contratto. Dunque, si dirà, la emigrazione è libera Sl, Eccellenza, però il povero diavolo che resta n, che ha ricevuto qualche piccolo avanzo dal sensale che l'ha condotto, che si trova a centinaia di miglia dalla sua terra, cosa farà? Lavoro non ne trova, mezzo di rimpatriare non ne ha, il sensale vuole il ritorno del piccolo avanzo {anticipo) che ci ha fatto, la fame lo stordisce, e le minacce di quello e la forza invincibile di questa, entra in altro dei tanti stabilimenti di emigrazione; dopo sei giorni, è di nuovo anti la autorità per firmare il contratto, lo stomaco è già soddisfatto, ritorna a ricusare; per due o tre volte ci riesce, poi le stesse autorità lo rimarcano, lo prevengono che la cosa è in due, o andarsene per i fatti suoi e non fastidiare, o imbarcarsi, e se lo riprende, bastonate sulle mani e prigione. Finisce la pena, ricomincia la istoria e per fine s'imbarca voluntariamente!!! Facile sarà a V.E. ricavare dallo esposto che molti e molti, la ciurma della canaglia, fanno questa commedia a bella posta, per nego.zio, per mangiare qualche mese , cuando (sic) poi sono a bordo, ed banno due mesi di avanzo, cercano di scapparsene per cominciare di nuovo; e di lì le rivoluzioni, ecc. In questi due anni poi la domanda di dunesi per la Havana e per il Perù è così aumentata che si arrivano a pagare 70 pezzi forti (385 franchi) per ogni uomo che il sensale provede ( noti S.E. che per un chinese equivale ad un capitaletto: un facchino che guadagna 15 franchi al mese vive bene). .Disgraziatamente, a misura che la domanda di chinesi fu aumentando.{lé disposizioni praticate per le autorità portughesi e chinesi hanno ristretto di molto il circolo di operazioni dei e:: questi (che a mio giudizio sono tutto quello che si può ideare di perverso e vizioso), adescati dal doppio guadagno, fatta la legge, studiata la malizia, credo commettano più ingiustizie di prima, e la prov11 ne è che negli anni anteriori non succedeva tante rivoluzioni a bordo de' bastimenti che trasportano i chinesi, mentre che ora la maggior parte, chi più, chi meno, hanno sofferto sanguinose tragedie, e qualcheduno orribili massacri, e non si creda che queste cose succedano per malvagità e mal trattamento dei capitani, nò; il bastimento guadagna il nolo per quelli soli che consegna vivi; però, Eccellenza, da una massa di p'<lssaggieri , la cui condizione è o ladri, o pirati, o rivoluzionari scappati dalle scinUtarre dei Mandarini, ovvero rachitici, distrutti dalla miseria, affamati, cosa si potrà aspettare? O peste o baruffe. Se poi mi fisso sulla sorte dell'emigrato chinese credo, e sono convinto, che arrivando al luogo del suo destino, migliora la sua condizione, visto lo stato di miseria spaventosa in cui viveva ... ».
<< una bandiera, simbolo di libertà ai popoli oppressi, cuopra 'tru« cidazioni incendi, bastonate, eccetera- oh sì, Eccellenza, que« sto mi tocca al cuore, che benché per un po' di tempo mi trovo « imbruttato in questo vil mestiere, non è ancora indurito . E non « si dica che si toglierebbe un lucro ai bastimenti italiani, perché « è falso. I 7 od 8 bastimenti che con bandiera italiana sono addetti « al trasporto annuale per il Perù, non sono di proprietà italiana, « no, almeno la maggior parte; altri poi sono bastimenti inglesi « ed altri , che noleggiati per Perù o per Havana diventano italiani « per 6 o 7 mesi... » ( 12).
(12 ) lL'anonimo insinuava anche che ciò avvenisse con la connivenza dei rappresentanti consolari: v. A.U.S.M. , busta 102, dove è pure la lettera che il ministro della marina, Pescetto, inviava il 30 aprile 1867 al collega degli esteri, allegando una copia della lunga denuncia proveniente dall'oriente e pregandolo di considerare l'opportunità di assumere le oppq(tune informazioni e se del caso, i provvedimenti necessari ad impedire abu:. si nell'uso della bandiera italiana.
Ma subito dopo la fine della guerra ispano-peruviana - durante la quale navi con bandiera italiana « figurarono largamente » ( 13) nel trasporto dei coolies -i vettori passarono preferibilmente sotto bandiera peruviana. Ed è significativo che il Lovera, scrivendo della tratta dei coolies nel 1872, riporti i giudizi relativi ad ammutinamenti avvenuti, ad opera di coolies, su navi francesi e americane - giudizi che avevano dato luogo a sentenze miti ( 14)- ma non citi alcuna nave italiana: ove si ponga mente che nel 1865, su 13.674 emigranti partiti da Macao, ben 6.284- pari al46% -erano stati imbarcati su bastimenti italiani , tanto che la questione rischiò di creare ostacoli all'Arminjon durante le trattative per l'accordo con la Cina, sembra· si possa affermare che il fenomeno si esaurì, per quanto riguardava le navi italiane, rapidamente, forse anche per l'apparizione in estremo oriente di unità della marina militare, la cui presenza, pur prevalentemente determinata da altri motivi, poté contribuire a dissuadere i trafficanti, nazionali o no, dall'impiego della bandiera italiana per la tratta dei coolies.
L'altra grande area del mondo in cui il problema della schiavitù e della ttatta era viva, era costituita dall'Africa orientale, dal• l'Arabia e dall'oceano indiano occidentale. Il Bravetta, nelle sue note relative al viaggio compiuto intorno all'Africa con l'avviso
(13) LovERA, op. cit,, pag. 567.
( 14) Le navi coolies hanno un ampio corridore, diviso in parecchi compartimenti da forti griglie di sbarre di ferro, ed in cui a poppa stanno due cannoni, tenuti carichi a mitraglia. Lungo il corridore stanno disposti numerosi sbocchi di pompe per ovviare agli incendi , con i quali di frequente avviene che i coolies tentano di porre fine alle loro sofferenze. Gli equipaggi stanno costantemente armati, ed ognuno fra di essi si ritiene arbitro della vita del gregge umano trasportato, che è difficile contenere tosto le terre patrie si perdono di vista, e l'ignoto dell'immensità del mare, congiunto al rammarico dell'esilio, addolora dapprima ed inferocisce di poi quei miserabili. Da ciò le sanguinose catastrofi, a cui molte fra tali navi andarono soggette, e nel giudicar le quali, parmi, non si dovrebbe dimenticare che chi tratta l'uomo quale bestia da soma o da serraglio deve aspettarsi che esso si faccia tale per rivendicare la propria oltraggiata dignità e libertà ». Cosl scrive il Lovera, citando poi, in particolare, la sentenza relativa alla sommossa sulla Nouvelle Pénélope ( « i coolies erano trattenuti ... contro il loro volere ed avevano perciò diritto di cercare di ripristinarsi la libertà con ogni mezzo in loro potere ») e quelle relative alle rivolte sulle navi americane Armstead e Cayalti: v. ibidem, pagg. 567-68.
Staffetta, ne parlava in questi termini: « La schiavitù e la tratta,
« per quanto ripugnino al sentimento morale dei popoli civili e
« siano in contraddizione con le idee umanitarie del nostro se-
« colo, sono di origine troppo antica e cosl radicate nelle idee,
« nel modo di vivere e nei bisogni di una razza di uomini sparsa
«su tanta parte del mondo, per poterle sopprimere con qualche
« considerazione filantropica o impedire coi trattati. La schia-
« vitù è diffusa in rutto, o quasi, l'oriente, ed è una conseguenza
« inevitabile delle condizioni di quei popoli, del loro stato sociale
«e della coltura della terra. La poligamia, la difficoltà del libero
« lavoro agricolo, il disprezzo in la casta dominante tiene alcune
« occupazioni ed alcuni lavori, ed il fanatismo religioso concorrono
« potentemente a mantenere la schiavitù, come vi concorre il
« fatto che, non potendo il lavoro libero sussistere accanto al la-
« voro servile, laddove questo viene introdotto l'aumento del nu-
« mero degli schiavi è condizione ineluttabile di un aumento di
« prosperità. Ove si potesse di un sol colpo sopprimere la schia« vitù si metterebbe a repentaglio la sussistenza di intiere po« polazioni: conviene perciò procedere lentamente e con tenace « costanza per ottenere l'alto scopo umanitario, e sperare più ll fenomeno, però, era grave, e il commercio di schiavi non si riusciva a stroncare; la marina inglese, che aveva ottenuto cosl decisivi successi in Atlantico, incontrava invece lungo le coste orientali dell'Africa difficoltà, sia nel mar Rosso che nell'oceano Indiano. Tra il 1856 e il 1873, di conseguenza, le nazioni europee - e soprattutto la Gran Bretagna - condussero una « politica di restrizione » della tratta e dello schiavismo. A fianco degli inglesi operavano occasionalmente anche unità di altre nazioni, e tra queste le navi della marina militare italiana che, dopo l'apertura del canale di Suez, si trovavano a navigare nel mar Rosso ed al largo della Somalia.
« nel lavoro delle idee che nella forza dei cannoni » ( 15 ). Presso gli arabi le condizioni degli schiavi erano migliori che non in America, poiché in qualche modo- per ragioni religiose o per interesse - gli schiavi erano considerati come esseri aventi qualche diritto elementare e facenti parte, sia pure in posizione subordinata, della famiglia.
(15) E. BRAVETTA: Intorno all'Africa. Note di un viaggio a bordo del regio avviso« Staffetta», in« Rivista marittima», marzo 1893, pag. 473. Il viaggio della Staffetta, su cui l'autore era imbarcato, si era svolto nel 1888. Il resoconto fu pubblicato a puntate dal Bravetta, allora tenente di vascello, sulla «Rivista marittima » dal dicembre 1890 al m.arzo 1893.
In un primo tempo , soltanto gli inglesi impiegarono navi da guerra per la repressione della tratta dall'Africa verso il mar Rosso e l'oceano Indiano, cui davano incremento, oltre ad elementi locali, anche qualche negriero portoghese e francese (16). Pur non riuscendo a stroncare il traffico , la presenza navale inglese ebbe l'effetto in qualche caso di deviare il traffico delle carovane di schiavi che attraversavano il mar Rosso ( 17).
Un interesse diretto italiano al problema incominciò alla fine del 1872. La missione inglese Frere , diretta a Zanzibar e sulle coste africane orientali per studiare la repressione della tratta, si fermò a Roma , nel dicembre e fu ricevuta dal Papa, che la incoraggiò e mostrò ogni simpatia per il compito della missione. Successivamente , Frere compl un passo presso il governo italiano. Il ministro degli esteri, Visconti Venosta lo ricevette ed apparve colpito dalle prospettive che si sarebbero potute aprire al commercio marittimo italiano sulle coste orientali dell'Africa una volta che il traffico schiavistico fosse stato distrutto. Poiché Frere, dai suoi precedenti contatti col governo francese. aveva tratto l'impressione che la cooperazione che si sarebbe ottenuta non sarebbe stata cosi attiva come si era sperato, si impegnò per interessare gli italiani ed offrì al Visconti Venosta - che lo trasmise al Sella, ministro del commercio e delle finanze - un promemoria sul « probabile incremento del commercio italiano con l'Africa orientale ». In tale documento si rilevava che esisteva una potenziale domanda di manufatti europei in tutta l 'area africana in questione, cui faceva riscontro una domanda complementare di materie prime tropicali in Europa. Frere accennò anche alle possibilità di un traffico bananiero più conveniente di quello che, al momento, veniva assicurato dalla linea mensile di piroscafi che collegavano i porti europei con Aden e Zanzibar. Visconti Venosta aveva trovato interessante questa « nuova idea per l'Italia »; Frere riteneva che se una commissione commerciale italiana avesse visitato l'Africa orientale, certamente il suo rapporto avrebbe evidenziato che era auspicabile lo sviluppo « di un commercio diretto, utile all'Italia e all'Africa, e capace di aiutare in maniera determinante (18) i nostri sforzi per impedire la rinascita del commercio degli schiavi » ( 19 ).
( 16 ) Cfr. G. L. SuLLIVAN: Dhow charing in Zanzibar water, and on the Eastern Coasts of Africa. Narrative of five years in the suppression o/ slave trade, London 1873.
(17) Ibidem, pag. 384.
Da quel momento, sia pure in misura modesta, la presenza navale italiana nel mar Rosso e nell'oceano Indiano contribuì al successo della lotta contro la tratta. Mentre per il passato, da parte italiana, ci si era affidati solo alla marina inglese (20), a mano a mano che cresceva l'interesse, dopo l'apertura di Suez, per il mar Rosso, si ebbe anche un atteggiamento diretto di cooperazione che in varie occasioni portò navi militari italiane a crociere e pattugliamenti lungo la co5ta. Questo servizio fu espletato, ad esempio, dalle unità che sono state citate, nei capitoli precedenti, di stazione lungo le coste dell'Africa orientale o in transito per crociere.
Tuttavia, per quanto si operasse, specie da parte inglese, per la repressione, il traffico di schiavi continuava ancora, sia attraverso il mar Rosso, sia lungo il litorale centro-meridionale dell'Africa, che si trovava sotto la sovranità nominale del sultano di Zanzibar. Ma nel 1873 si ebbe la svolta: dalla politìca di contenimento si passò alla politica dii abolizione, che avrebbe condotto nel 1876 il sultano di Zanzibar ad ordinare la cessazione del traffico degli schiavi nei suoi domini (21).
( 18) « very essen ti al ly ».
(19) R. CouPLAND: The Exploitation of East Africa 1856-1890 The Slave Trade and the Scramble, London 1939, pag. 184.
(20) Cfr. in A.C.R.M., busta 12, i mandati concessi ad unità navali inglesi.
Il maggiore impegno della marina inglese, come pure la collaborazione che anche altre marine- e soprattutto quella italiana, che si avvaleva di punti d'appoggio sulla costa eritrea e, poi, somala - le prestavano direttamente, oltre che con la concessione dei mandati richiesti (22), ottennero risultati positivi. Già nel1875 la situazione era migliorata sensibilmente (23 }, e nel decennio che segul il traffico dei negrieri andò sempre più declinando lungo tutta la lunghissima linea delle coste orientali africane. Gli insediamenti coloniali - inglesi, francesi, italiani, portoghesi, tedescru- non favorivano la continuazione della tratta, contro la quale si ebbe, alla conferenza coloniale di Berlino del 1885 , una dichiarazione unanime di condanna da parte delle potenze partecipanti.
Poco dopo, nella primavera del1885, lo stabilimento italiano in Somalia (24 ), allargò la sfera di responsabilità della marina militare italiana nella lotta contro i negrieri. Contemporaneamente, la collaborazione navale italo-britannica contro la tratta si intensificava più a nord, nel mar Rosso, dove la presenza italiana appariva ormai abbastanza consolidata. I Lords dell'Ammiragliato impartirono disposizioni esplicite alle navi inglesi perché fornissero ai comandanti delle unità italiane, ove richiesti, ogni e qualsiasi indicazione utile per la repressione della tratta dei negri (25). L'insediamento italiano a Massaua e le azioni delle unità militari che gravitavano su quel porto ebbero una fondamentale importanza per stroncare una delle vie principali del traffico di schiavi dall'Africa interna - e soprattutto dall'Etiopia - verso la penisola arabica, dall'altra parte del mar Rosso ( 26 ). La tratta declinava sempre più, anche se non mancavano episodi, talvolta cruenti, di attività negriera (27); la tendenza di fondo però era diretta alla liquidazione del triste fenomeno, sia per il crescente controllo dei mari interessati al traffico di schiavi da parte delle marina dei paesi coloniali , sia per il sempre maggiore impegno dell'opinione pubblica occidentale contro la schiavitù.
(21) Cfr. «Rivista marittima», luglio 1876, pag. 146; CouPLAND, op. cit., pagg. 224-26.
(22) In A.C.R.M., buste 12 e 62.
( 2 3) « Le operazioni della marina, che miravano a sopprimere il commercio degli schiavi sulla costa est dell'Africa, dettero buoni risultati, e si può dire che se si continuerà nel sistema tenuto fin qui, gli stessi risultati si potranno ottenere con la stessa efficacia sulla costa occidemale, e allora si potrà affermare che la schiavitù sia finita, o per meglio dire sarà finito il traffico della carne umana per via di mare»: LA marina inglese sulle coste d'Africa durante il 1875, in «Rivista marittima», febbraio 1876, pagg..370-71.
(24) CoUPLAND, op.cit., pagg. 444-45.
Esso culminò nella Conferenza antischiavista di Bruxelles del1890: l'atto generale del 2 luglio che la concluse implicava impegni precisi da parte delle potenze per impedire la tratta ed assicurare la vigilgnza nei paesi di reclutamento degli schiavi, specie lungo le coste dell'oceano Indiano; si trattò di « un atto efficace perché dava la possibilità di sovraintendere alla sua applicazione» (28).
( 25 ) Vedi lettera del segretario generale del ministero della marina al comandante delle forze navali nel mar Rosso ed alla direzione generale della marina mercantile, n. 2690 del 13 febbraio 1885 (A.C.R.M., busta 203).
(26) Si sono già richiamati più sopra, a proposito delle azioni dirette ad assicurarsi un primo insediamento in mar Rosso, i servizi di pattugliamento marittimo che le navi della marina militare italiana svolsero in quel periodo nel bacino in questione.
(27 ) Il BRAVE'ITA cit ., pag. 475, cita ad esempio il seguente episodio accaduto nel 1888: «Durante il nostro soggiorno a Zanzibar, il 2 di aprile la corvetta britannica Garnett catturò tra Pemba e Zanzibar tre grosse barche negriere, ad onta della loro resistenza accanita. Quando le imbarcazioni delle navi inglesi le avvicinarono per la visita furono accolte con una viva fucilata . I negrieri, armati di carabine Snider, erano per fortuna tutti pessimi tiratori, e non fecero male ad anima viva, nè riescirono a fermare i marinai inglesi che li abbordarono con quella tranquilla audacia che li distingue. Intanto il Garnett proteggeva le sue lancie a colpi di cannone, uccidendo cinque negrieri, uno dei quali ebbe la testa portata via di netto da una granata. Gli altri si arresero e furono portati a Zanzibar per esservi sottoposti a giudizio, e le barche, non appena dichiarate di buona presa, furono affondate. Qualche tempo dopo la nostra partenza, una lancia del Garnett fu meno fortunata: i negri eri la lasciarono avvicinare lungo il bordo, e quindi, tagliata la drizza, le lasciarono cader sopra la loro grandissima vela. I marinai, rimasti impigliati nelle pieghe della vela, e perciò impotenti a difendersi, furono tutti trucidati sotto gli occhi dei loro compagni, i quali affondarono il dau negriero a colpi di cannone ».
In effetti, sebbene il triste fenomeno fosse costantemente perseguitato dai litorali dell'Africa orientale controllati dagli italiani (29), esso non era stato ancora stroncato del tutto. L'atto conclusivo della conferenza di Bruxelles del 1890 prevedeva al capitolo III misure precise per la repressione della tratta sul mare; la zona interessata comprendeva il mar Rosso, il golfo Persico, le coste dell'Arabia, quelle di Madagascar e quelle africane fino al canale di Mozambico; le navi militari delle potenze firmatarie avevano diritto di fermare i bastimenti sospetti inferiori a 500 tonnellate ed a controllarne l'attività, con particolare riguardo ai passeggeri neri; ove fossero stati trovati a bordo schiaVI, questi sarebbero stati liberati e protetti e se il bastimento vettore avesse usurpato la bandiera, sarebbe stato catturato (30). Le unità navali italiane della stazione del mar Rosso furono incaricate ufficialmente della repressione della tratta degli schiavi per mare; esse dovevano, facendo base a Massaua e ad Assab, sorvegliare il movimento marittimo dei bastimenti indigeni e di quelli - sotto le 500 tonnellate - che battevano la bandiera degli stati firmatari della convenzione di Bruxelles ( 31 ); le navi da guerra che esercitavano tale servizio di sorveglianza potevano arrivare, in caso di disobbedienza o di tentativi di fuga, fino all'affondamento a cannonate dell'imbarcazione sospetta (32).
(28) CALLAGHAN, op. cit., pag. 250, dove riporta le dichiarazioni di lord Schackleton alla camera dei Lords dell4 luglio 1960. La convenzione di Bruxelles fu firmata da Germania, Austria-Ungheria, Belgio, Danimarca, Spagna, Stato indipendente del Congo, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Russia, Stati Uniti d'America, Svezia e Norvegia, Persia , Tur· chia, Zanzibar e Francia, quest'ultima però solo parzialmente. Giova ricordare che alla conferenza del 1889-90, tenutasi nella capitale belga, altri incontri seguirono, anche a livello non governativo: importante quello dell'aprile 1891, tenutosi pure a Brt}xelles, tra i rappresentanti delle società antischiavistiche nazionali, che vide l'intervento di personalità, esploratori, filantropi, ecc. Il marchese Filippo Crispolti, membro del comitato antischiavista di Roma, nell'illustrare il contributo del proprio paese alla lotta contro la tratta, rilevò che gli approdi controllati dagli italiani nel mar Rosso non venivano usati dai trafficanti perché le autorità e la marina italiane facevano buona guardia tra Massaua ed Assab; il Crispolti faceva voti perché gli italiani potessero contwllare anche la costa di Tripoli. Cfr. Les Conférences antiesclavagistes libres données au Palais des Académies de Bruxelles- Avril 1891, Bruxelles 1892, pagg. 28-31.
(29) Cfr. ibidem, pag. 80, l'intervento ·dell'italiano Paolo Longo, pastore evangelico, membro della società d'esplorazione commerciale in Africa.
La presenza navale italiana nel mar Rosso riceveva da questo nuovo impegno un ulteriore rafforzamento. Al di là dell'impegno civile, l'incarico assunto dalla marina implicava importanti risvolti politici, che forse non furono estranei a ralune riserve mantenute una delle potenze aderenti alla convenzione: la Francia. Nell'ambito internazionale, nel quadro di una lotta comune al triste fenomeno della tratta, il regno d'Italia era ancora una volta presente con la propria marina, la cui opera, a pochi decenni dalla nascita dello stato unitario, garantiva al governo di Roma nuovi elementi di sostegno per le sue ambizioni in Africa. La stazione navale del mar Rosso, come si è già detto più sopra, non era costituita certamente dalle navi migliori della flotta; tuttavia, anche poche e antiquate unità potevano essere sufficienti a ricoprire un ruolo più politico che militare , ed è per questa ragione che è parso necessario ricordare questo compito poco conosciuto che fu loro affidato. Per anni, vecchie navi col tricolore d'Italia, coperte più o meno da accordi bilaterali, avevano, mostrando la bandiera, affiancato nei limiti delle loro possibilità l'opera di marine più forti nella lotta alla tratta degli schiavi africani là dove la politica dello stato indicava un obiettivo territoriale, al di là di Suez, uno dei pochi ancora possibili per la nazione ultima arrivata in tema di colonie. E non è senza significato che col 1890 un gruppo importante di potenze riconoscesse all'Italia un ruolo nella polizia del mare in quel settore del mondo sul quale si appuntavano le modeste ambizioni coloniali del nuovo stato: ciò, ancora una volta, era stato possibile grazie alla esistenza della marina, alla presenza della marina, all'impegno della marina. È questo- al di là della minuta e scarsamente interessante descrizione delle singole crociere e dei singoli e mai molto importanti episodi della lotta italiana sul mare contro la tratta- che importava sottolineare in questa sede.
(30) Cfr. il capitolo III (Rép,-ession de la traite sur mer) dell'Atto generale della Conferenza di Bruxelles, in MINISTERO DELLA MARINA: Manuale sz11la ,-epressione della tratta degli schiavi - Ist,-uzioni e notizie per gli ufficiali della R. Marina , Roma 1893, pagg. 61-79.
(31} « Nel caso che il bastimento da visitare inalberi i colori di una nazione che non abbia aderito all'atto di Bruxelles, tale verifica deve limitarsi ad accertare che non vi sia usurpazione di bandiera. Si prenderà in esame perciò il solo atto di nazionalità, o quell'altro documento che secondo la legislazione interna delle varie potenze, lo rappresenta. Verso tali bastimenti non è permessa la rassegna dell'equipaggio e dei passeggieri, nè la verifica del carico»: cosll'articolo 21 delle «Istruzioni», ibidem, pag. 13.
(32) L'articolo 27 delle «Istruzioni» (ibidem, pag. 16) recitava: «Se il bastimento invitato ad alzare la bandiera non risponde all'invito o tenta di fuggire, il comandante della nave da guerra che lo insegue appoggia l'intimazione con un colpo di cannone in bianco, e ripete dopo alcuni minuti un altro colpo a polvere qualora il bastimento continui nella fuga. Ove nemmeno in seguito a quest'ultima intimazione inoffensiva, il bastimento si arrenda all'invito, si procede con la forza alla sua cattura tirando a palla nelle vele e nell'alberatura prima, ed in ultimo sullo scafo a fine d'impedirgli la fuga ».
Conclusione
Dalla proclamazione dello stato unitario alla guerra del '66 la politica dei successori di Cavour fu condizionata in gran parte dalle preoccupazioni collegate al nuovo conflitto con l'Austria, che appariva inevitabile, e da incertezze e velleità che si riflettevano sulla marina. Da un lato, lo squilibrio pesante tra la reale potenzialità marittima disponibile e quella che sarebbe stata necessaria per condurre adeguatamente azioni di presenza e di pressione navale poneva in difficoltà, nei confronti verso l'esterno, le forze navali incaricate di far valere la politica di Roma. Dall'altro, all'interno stesso del mondo militare marittimo italiano, polemiche accese- e non originate soltanto da contrasti tecnici sul tipo di nave da adottare - nascevano e si sviluppavano, talvolta in tono acre, col risultato di bruciare talvolta i protagonisti stessi di dette polemiche e di mantenere l'incertezza sulle opportune decisioni di fondo, disturbando così ogni prospettiva di evoluzione coerente (l). Rivalità e limitatezza di uomini, ancora incapaci di superare la mentalità e la matrice provinciale, caratteristica dei vecchi stati regionali scomparsi, fecero il resto, impedendo allo strumento navale italiano di nascere forte. Come in numerosi altri campi della vita nazionale, era mancato il tempo per una maturazione graduale dei problemi che la nuova dimensione storica imperiosamente poneva, e la marina - come si è già rilevato - dovette improvvisarsi all'altezza delle esigenze dello stato.
E quali esigenze! All'interno, esso non era ancora consolidato; anzi, non comprendeva ancora nè le terre venete, nè la sua capitale naturale, mentre le impazienze di coloro che volevano risolvere attraverso rischiose avventure i problemi territoriali ancora aperti si scontravano con i sogni di rivincita dei sovrani spodestati , agitando le coscienze e il paese. Anche la marina ne visse le vicende più gravi, prima e dopo Lissa, dall'Aspromonte a Palermo, impegnata a fronteggiare con la propria mobilità necessità logistiche derivanti da improvvise emergenze o a difendere da reali o supposte minacce l'integrità dello stato ed il suo ordine interno. Così fino a Roma, nel 1870, in quella che, più che una guerra, preferiamo considerare un'operazione di polizia interna.
(l) Si passò cosl dai piani di irrobustimento della flotta con i vascelli di legno al trionfo dei sostenitori delle navi corazzate, dopo il famoso e significativo episodio di Hampton Road nella guerra di secessione americana. Ma lo sforzo finanziario si esaurl nelle navi, e gli uomini non ricevettero una preparazione adeguata, specialmente alla vigilia del conflitto.
Ma anche in questo primo tempo la flotta fu impiegata come strumento di politica all'estero. In Grecia e nel Levante, dove al desiderio di riprendere una parte dell'antica influenza italiana si univa l'aspirazione di contrastare- nel quadro di un disegno più vasto -l'espansione marittima e commerciale della bandiera asburgica e il prestigio che le unità austriache cercavano di procurare a Vienna, la marina assicurò al paese una presenza competitiva e costante ( 2 ), sia pure entro i limiti ad essa consentiti dalle cose.
Fu a Tunisi nel 1864- con una stazione navale di grande impegno, a fianco degli inglesi, dei francesi e dei turchi - che la flotta italiana si produsse per la prima volta come attrice di primo piano in una vertenza internazionale complicata da arrembanti ambizioni, col tono e il piglio della marina di una grande potenza. Era, in un periodo già caratterizzato dall'affermazione degli imperialismi, il ruolo cui l'Italia ambiva nel Mediterraneo, considerandolo a sè congeniale, già chiara premessa e non equivoco accennarnento a precise prospettive coloniali, da riprendere non appena le preoccupazioni politiche, derivanti dall'ancora non completamente raggiunta unità nazionale, e quelle finanziarie, derivanti dalla crisi di crescenza dello stato, lo avessero consentito (3 ).
(2) Cfr. gli arch.ivi della squadra dell ' Adriatico in A.C.R.M., busta 75; per altro episodio, relativo all'ingerenza per repr imere la pirateria a Zante nel 1869, vedi ibidem, busta 12.
La prima protezione agli italiani che lavoravano all'estero ( 4 ), in Tunisia come al di là degli oceani, doveva essere assicurata dalle unità navali, secondo gli usi del tempo. E questo era un altro difficile problema da risolvere per una marina che aveva già tante incombenze - non ultima la guerra - da affrontare contemporaneamente, in una situazione di particolare deficienze di mezzi. E tuttavia fu costituita la stazione navale del Rio de la Plata , divenuta poi divisione dell'America meridionale, che nelle turbolente vicende sudamericane fu un sostegno concreto ed un aiuto per i connazionali e in genere per gli europei, oltre che un osservatorio politico di primaria importanza, dal quale si poteva avere una visione generale non solo degli intrighi locali, ma qualche volta anche delle manovre sotterranee a largo raggio che nascevano dalle maggiori potenze.
Ma vennero i tristi giorni di Lissa, e con essi il processo Persano, che implicò una generica svalutazione della marina, per fattori emotivi e per non sempre chiare manovre di ricopertura politica. Furono giorni amari, nel corso dei quali si giunse a chiedere- in un paese come l'Italia! -l'abolizione della marina da guerra (5). Il contraccolpo delle delusioni del '66, dopo tanti for- tunati miracoli del passato, non potè trovare compenso nella « povera pace » che ne segul, perché restarono aperte - forse addirittura enfatizzate - le ferite inferte all'orgoglio nazionale; di qui l'accanita caccia al perché dell'infortunio di Lissa, che parve travolgere ad un certo momento le basi stesse del potere marittimo italiano .
( 3) Può essere interessante ricordare che -a causa o col pretesto di un mancato pagamento - nel gennaio 1867 si progettava di inviare in Tunisia 2 f regate , l avviso e 1.500 uomini, per occupate, se non Tunisi, almeno Gerba. Vedi lettera del ministro degli esteri a quello della marina del 30 gennaio 1867 in A.U.S.M., busta 51.
( 4) Negli anni ua il 1870 e il 1885 l'emigrazione crebbe considerevolmente, soprattutto quella ttansoceanica. Cfr. L. BoDIO: Sul movimento dell'emigrazione italiana e sulle cause e caratteri del medesimo, Roma, 1886.
(5) Se ne fece cenno sulla stampa e in qualche acceso dibattito in Parlamento. E' in reazione a tale prospettiva che va posta la netta presa di posizione di Carlo DE CESARE, estensore della Relazione seconda della Commissione d'inchiesta sullo stato del materiale e sull'amministrazione della regia marina (Firenze-Genova 1867), il quale nell'ultima parte della sua relazione- firrnàta a Firenze il 18 aprile 1867 - scriveva (pag. 63 ): « La navigazione e il commercio fioriscono insieme e decadono insieme, e la sicurezza dell'una e dell'altra non dipende che dalla Marina da guerra.
Il momento della riscossa venne dopo il '70, quando con l'Italia a Roma un nuovo ciclo di speranze rinverdl gli ideali del paese . Dopo il '70 in ogni campo della vita nazionale il fascino eterno della missione di Roma, in una interpretazione ancora romant ica prima che imperialista, si impose ed orientò i nuovi pro· grammi. Al di là delle sempre ricorrenti ristrettezze finanziarie, l'Italia cercava da Roma una nuova forza morale alla quale abbe· verare lo spirito e la fiducia nell'avvenire ( 6 ).
In campo navale, dimenticata Lissa, dimeaticato il triste settembre di Palermo, rifiorì la letteratura e l'impegno fiducioso in un grande futuro. La « Rivista marittima », nata nel 1868, raccoglieva gli scritti di coloro che si battevano per il « nuovo corso »; ma anche all'esterno degli ambienti militari scrittori ed uomini politici incominciarono ad interessarsi di più -e più benevolmente - ai problemi della marina. Fu, dapprima, una letteratura soltanto, che richiamava i giorni del primato italiano nel Mediterraneo, quando le insegne delle Repubbliche marinare avevano dominato il mare e reso prospere le città per i commerci navali (7); si ristudiò poi la grande lezione dell'Inghilterra e si stimò necessario metterla a frutto, nella geografica che interessava l'Italia (8). Mentre esperimenti nuovi aprivano alla tecnica vie sconosciute nel passato (9), ci si rese conto che problemi fondamentali per la difesa del paese incombevano sulle coste ( 10). E parve finalmente giusto che l'Italia si desse una politica in campo navale. Un provvedimento coraggioso, antiretorico e, certamente, non popolare, costitul la base per il rinnovamento della marina: la liquidazione della flotta di Lissa ( 11 ). Era la premessa alla ricostruzione, che doveva portare verso la fine del secolo l'Italia ai primissimi posti nella graduatoria dei valori mondiali. Un aspetto è particolarmente interessante di quel decisivo periodo: malgrado la polemica sulle navi grandi e piccole, che oppose l'Acton Ferdinando al Brin, malgrado accese rivalità personali tra gli stessi ministri, malgrado pause ed apparenti cambiamenti di direzione, tuttavia il potenziamento navale italiano fu perseguito co- stantemente per decenni, con tenacia e con passione, dagli uomini che governarono la marina ( 12).
Chi vuoi disperdere questa, disconosce i primi elementi dell'economia italiana. Napoleone I che ne sapeva un tantino di più dei moderni politici invece diceva: ' Se un giorno più o meno lontano la penisola italiana diverrà una nazione, la prima sua condizione sarà quella di diventare una grande potenza marittima, poiché l'Italia ha 17.3 leghe di costa più della Spagna e della Francia, e signoreggia tre mari'. Non siamo ancora una grande potenza marittima e ci si vuoi vendere la flotta! ».
(6) Cfr. F. CHABOD, op. cit., pagg. 179-323.
(7) Cfr. C. DE AME.zAGA: La marina e le tradizioni, in «Rivista marittima», 1868, novembre, pagg. 615-19; L. di CAMPO FREGOSO: Del primato italiano sul Mediterraneo, Roma-Torino-Firenze 1873; ecc.
(8) «Abbiamo voluto una patria e una patria l'abbiamo. Abbiamo risposto alla famosa ironia che riduceva l'Italia ad un pleonasma geografico. Ora conviene trovare il modo che ella diventi una potenza geografica, convien ch'ella si muova... Il mare ci abbraccia da ogni parte, il mare ci chiama, il nostro mare che noi potremmo prestare ai nostri vicini di oltr'Alpe. Il mare ci chiama. Gli è quello che hanno fatto le nostre repubbliche nel Medioevo. Mercanti e marinai, questa fu la politica degli italiani»: cosi il Correnti, citato in« Rivista marittima», 1874, IV, pag. 671.
(9) Il 24 agosto 1871, ad esempio, la «talpa marina» dell'ingegner Toselli compi un esperimento sottomarino scendendo a 70 metri di profondità nella baia di Napoli, cfr. A.C.R.M., busta 33; «Rivista marittima», 1871 settembre, pagg. 1407-8.
(10) Il problema è richiamato continuamente nella stampa militare e politica dopo il 1871; soprattutto la « Rivista marittima » e la « Nuova Antologia» ne trattarono, talvolta in polemica tra loro, come nel 1872.
( 11) Il materiale navale era ormai antiquato, superato, e come potenziale effettivo era ben lontano dal mantenere nella realtà quello che prometteva sula carta. La rapida evoluzione tecnica che si era avuta nel settore delle costruzioni navali e la stasi che si era verificata nell'incremento della flotta dopo la terza guerra d'indipendenza avevano reso sostanzialmente inutili molte unità della flotta. Per esse, come noto, il Saint Bon presentò in Parlamento un provvedimento apposito nel dicembre 1873; e malgrado opposizioni e polemiche tra « il passato e l'avvenire)) riusd a farlo approvare nel febbraio 1875. Vedi PRASCA E.: L'ammiraglio Simone de Saint Bon, Roma-Torino 1906.
Il limite costituito dalle disponibilità di bilancio impose ritardi e ridimensionamenti di programmi, ma il valore dei tecnici consentì all'I tali a di primeggiare nel campo delle costruzioni navali. Il cambiamento di direzione politica del 1876 - la famosa « rivoluzione parlamentare» che portò la Sinistra al potere - non incise sulla continuità d'attuazione dei progetti in corso. La Caio Duilio - dal simbolico nome augurale che richiamava il ricordo dei fasti navali di Roma - studiata, decisa , impostata sotto il governo della Destra, scendeva trionfalmente in mare nell'aprile 1876, un mese dopo l'avvento della Sinistra al potere. La Caio Duilio fu l'emblema della nuova marina: soluzioni audaci che lasciavano scettici e perplessi prima, poi ammirati e scossi, costruttori di razza come gli inglesi, dovevano diventare quasi una tradizione felice nei cantieri militari italiani.
Malgrado le difficili condizioni dei bilanci - causa prima della impostazione «finanziaria » data dal Saint Bon alla programmazione delle costruzioni navali - queste non impedirono che fosse costantemente e con successo preseguito il primo, tradizionale obiettivo della politica militare marittima italiana, già indicato dal Consiglio d'Ammiragliato e pubblicamente enunciato in Parlamento nei primissimi anni dopo l'unità: la parità con le potenze marittime riunite della Spagna e dell'Austria.
Tutto questo, naturalmente, non fu e non poteva essere senza conseguenze . II paese disponeva - pur nella sua povertà - di uno strumento indispensabile per la propria politica. Sebbene modesta e certamente inadeguata a condurre le imprese che tuttavia affrontava; la flottà assicurò nel periodo che abbiamo esaminato la protezione del commercio e dei connazionali all'estero, aprì nuovi contatti politici ed economici, condizionò ogni iniziativa coloniale. Dal mar Rosso all'Estremo Oriente, dai porti del Levante mediterraneo a quelli dell'America meridionale, la presenza delle unità di bandiera italiana costituì un im- portante ed apprezzabile contributo alla esplicazione della politica nazionale. Tanto importante che dalla stazione navale del mar Rosso germogliarono le prime concrete realizzazioni coloniali. Nè delle cento occasioni perdute in quei tempi, caratterizzati da politiche imperiali condotte spregiudicatamente da stati più forti, può farsi colpa alla marina , chè le condizioni obiettive del paese ponevano troppo spesso l'Italia ben fuori dal gioco. Piuttosto, nella formazione della politica nazionale, si andò avvertendo sempiù la componente navale. La sensibilità a determinati problemi marittimi , nel Mediterraneo, in Adriatico, nel mar Rosso ( 13 ), proveniva naturalmente dagli ambienti della flotta , che si sforzava no di introdurli e di farli pesare nelle scelte del paese, consci del grande valore che avevano tali problemi per l'avvenire della nazione (14 ). Col passare del tempo, infatti, essi avrebl-- J pesato sempre più sulla storia d'Italia.
(13) Cfr. A.C.R.M. , busta 75, dove sono gli archivi delle squadre dell 'Adria tico e del Medite rraneo fino al 1878; A.C.R., Carte Depretis, busta 28, fase . 10 3 e 104 ; « Riv ista marittima» , passim.
( 14 ) « II tridente di Nett uno è uno scettro al quale, volenti o nolenti, debbono ren dersi tributarie tutte le nazioni del mondo»: CtBRARIO in « Rivista marittima», 1875, III, pagg. 388