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CAPITOLO XI I PRIMI PROGETTI DI STABILIMENTI COLONIALI
Pervenuta per ultima, tra le nazioni europee, al conseguimento dell'unità e dell'indipendenza, l'Italia fu conseguentemente anche l'ultima ad accostarsi ad ambizioni coloniali. Alla fine degli anni '60, tuttavia, tra aree direttamente o indirettamente occupate dalle potenze colonizzatrici e territori dichiarati sfere d'influenza dei maggiori Stati mondiali, non era rimasto molto da spartire; né esisteva nel nuovo regno una diffusa consapevolezza del problema coloniale. D'altronde, gran parte della penisola stessa si trovava in condizioni tali, che ogni sforzo del paese, piuttosto che alla colonializzazione di terre lontane, avrebbe dovuto concentrarsi nel miglioramento di quelle regioni, dove «cominciava l'Africa», come ebbe a dire alla Camera dei deputati Giustino Fortunato, parlando del Mezzogiorno. In effetti, una volta scomparso Cavour, per l'intero decennio seguente la politica fu condizionata da due scopi territoriali immediati: l'acquisizione del Veneto e di Roma, a completamento del ciclo risorgimentale. Soltanto quando quelle due mete essenziali fossero state raggiunte, si sarebbe potuto parlare seriamente di colonie.
Mancava poi completamente, nell'Italia di recente unita, una classe sociale che assumesse l'iniziativa di intraprese coloniali o i cui interessi fossero tali, da spingere lo Stato su quella via (l). Mancavano anche tutti quei presupposti economici che erano stati - ed erano ancora in quegli anni - strumenti di propulsione delle potenze coloniali (2}: l'economia non
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(l) Cfr. R. CIASCA: Storia coloniale dell'Italia contemporanea, II ediz., Milano, 1940, pagg. 27 e segg.
(2) Tra la copiosa bibliografia esistente in argomento, si vedano: P. LEJlOY-BEAULIEU: LA colonizzazione presso i popoli moderni, Torino, 1897; era sviluppata, l'agricoltura era arretrata e non in grado di esportare, l'industria era insufficiente allo stesso fabbisogno interno e non richiedeva neppure ingenti quantità di materie prime, salvo forse il carbone di cui era tributaria della Gran Bretagna. Anche l'attività commerciale era modesta , scarsamente sostenuta da una marineria mercantile dedita soprattutto al cabotaggio a vela. Mancava infine un potenziale migratorio qualificato, capace di crearsi oltre i confini una nuova patria in terre g iuridicamente vacanti; l'emigrazione italiana appariva piuttosto desiderosa di trovare all'estero mercati già costituiti e una sicurezza di impiego delle proprie braccia che non poteva avere in patria.
Negli anni '70, del r·esto, appariva già in fase decrescente la spinta che aveva mosso nei decenni precedenti gli Stati grandi colonizzatori: « la ricchezza cresceva » con moto rapido e generale. La via al mare era libera ed aperta a tutte le nazioni; la teoria prevalente del libero commercio non chiudeva all'attività umana nessun territorio ... » (3 ): e tra Bismarck che dichiarava nessuna colonia valere le ossa di un granatiere di Pomerania, il partito di Gladstone che riteneva l'Inghilterra giunta al limite della sua espansione mondiale, e infine la Francia che si dibatteva nel disordine conseguente alla disfatta ( 4 ), sembrava che per i tre grandi paesi fossero venute meno le ragioni che in passato li avevano sospinti all'occupazione di territori in ogni parte del globo. Solo più. tardi il movimento avrebbe ripreso vigore: ed allora anche per l'Italia, dopo un faticoso avvio del consolidamento interno, con l'enorme dilatarsi dell'emigrazione sarebbe venuto il momento di tentare le vie della conquista. Prima ancora dell'unificazione, si erano avuti in Italia progetti per fondare colonie (5): il regno delle Due Sicilie aveva aperto trattative con il Portogallo per esaminare la possibilità di trovare oltre oceano un luogo di deportazione per i propri condannati; il regno di Sardegna, sollecitato dalla sua amministrazione carceraria, era stato indotto fin dal 1852 a prendere in considerazione l'eventualità di stabilire una colonia penale ( 6 ); tra il 1858 e il 1860 erano state avanzate proposte al Cavour (7) per l'acquisizione di basi sulla costa occidentale del Mar Rosso e per la costituzione di una colonia agricola sarda nella regione dei Bogos, da parte di missionari quali mons. Massaia e il padre Stella ( 8 }. Due anni più tardi, al tempo dell'alleanza dinastica della casa Savoia con quella di Braganza con il matrimonio tra re Luigi di Portogallo e la principessa Maria Pia figlia di Vittorio Emanuele II, il governo di Torino, riprendendo il progetto borbonico di alcuni anni prima, aveva avviato dei contatti con Lisbona al fine di ottenere una concessione nell'Africa australe, contatti che non portarono ad alcuna conclusione per il levarsi allarmato dell'opinione pubblica portoghese contro la pretesa italiana di conseguire non soltanto il possesso, ma anche la piena sovranità su un'eventuale enclave nell'Angola o nel Mozambico. Come si vede, alla base di tutte le proposte del tempo in materia coloniale era l'intento di stabilire oltremare un luogo per deportarvi buona parte dell'esuberante popolazione carceraria (9), sull'esempio di Roma antica, dove la deportatio e l' exilium erano stati utilizzati per colonizzare regioni spopolate e barbare, e più ancora sull'esempio contemporaneo della Gran Bretagna e della Francia: la novità dell'iniziativa italiana consisteva soprattutto nel fatto che al governo di Torino e di Firenze, poi di Roma, era assolutamente indifferente l'ubicazione del territorio da occuparsi e la sua natura, cosl che, successivamente, vennero intavolate trattative a tale scopo relative alle isole Nicobare (lO), alle Maldive e a Socotra ( 11) nell'oceano Indiano, a località varie dell'Indonesia, della Nuova Guinea, delle Fi- lippine, delle Antille (12), e addirittura della Groenlandia, delle Aleutine e delle Falkland.
C. DE LANNoY, VAN DER Histoire de l'expansion coloniale des peuples européens, Paris, 1907-1911; G. MoNDAINI: Storia coloniale dell'epoca contemporanea, 1916; N. NALDONI: LA politica economica coloniale dell'Europa nell'età moderna, Roma, 1930; DE CAT ANGELINO A.: Le problème colonia!, 's-Gravenhage, 1932.
(.3) CIASCA, op. cit., pag .31.
(4) Cfr. A. ZIMMERMANN: Kolonialpolitik, Leipzig, 1905; J. R. SEELEY: L'espansione dell'Inghilterra, Bari, 1928; P. GAFFAREL: Notre expansion coloniale en Afrique del 1870 à nos joùrs, Paris, 1918; G. HANOTAUX, A. MARTINEAU: Histoire d es colonies françaises et de l' expansion française dans le m onde, Paris, 1929.
(5) V. il cit. volume del CIASCA, pagg. 16-17.
(6) Molti particolari al riguardo in G. GoRRINI: I primi tentativi e le prime ricerche di una colonia in Italia (1861-1882), pubblicato in appendice a BRUNIALTI: Le colonie degli italiani, nel IX vol. della « Bibl. di scienze politiche e amministrative», s. II, pagg. 521-545; così pure presso G. MoNDAINI: Manuale di storia e legislazione coloniale del Regno d'Italia, vol. I: Storia coloniale, Roma, 1927, pagg. 5-11.
(7) L'interesse del governo sabaudo per quella regione africana si era già manifestato sin dal 1854 con l'istituzione di un vice-consolato a Khartum: dr. Ant. Brun Rollet e i primordi del consolato sardo a Chartum, in «Rivista coloniale», 1926.
(8) C. CESARI: I nostri precursori cÒloniali, Roma, 1928; A. BLESSICH: Lineamenti di storia missionaria contemporanea in Africa orientale, in« Atti del III Congresso di studi coloniali», Roma, 1937, vol. IV, pagg. 377 e segg.; R. TRUFFI: Precursori dell'impero italiano, Roma, 1937; ed altri. Sul Massaia in particolare, cfr. L. DEI SABELLI: Storia di Abissinia, Roma, 1938, vol. III, pagg. 104-108.
(9) Sul problema, allora di attualità, della deportazione dei criminali, cfr. M. BELTRAMI ScALIA: La deportazione e il codice penale, in appendice al volume di L. CARPI: Delle colonie e dell'emigrazione d'Italiani all'estero, sotto l'aspetto dell'industria, commercio, agricoltura, con trattazione d'importanti questioni sociali, Milano, 1874; Io.: La riforma penitenziario in Italia, studi e proposte, Roma, 1879; ed F. SARRI: La questione coloniale, Milano, 1935.
( 10) Nel 1864, il ministro dell'agricoltura, industria e commercio, Luigi Torelli, propose l'acquisto delle isole Nicobare, appartenenti nominalmente alla Danimarca, per destinarle a colonia penitenziaria: il progetto venne però abbandonato con la caduta del gabinetto Minghetti. Quattro anni più tardi, avendo la Danimarca rinunciato al possesso di quelle isole del golfo del Bengala, salvo il diritto di prelazione da parte dell'Inghilterra, furono iniziate trattative a Londra e a Copenhagen: ma il governo italiano finì per rifiutare definitivamente l'offerta, adducendo a motivo la lontananza e l'insalubrità delle Nicobare, così che queste vennero poi occupate dalla Gran Bretagna nel 1869.
( 11) Una commissione nominata nel 1871 sotto la presidenza del Negri sconsigliava ogni stabilimento di colonia penale in Oceania e scartava anche il territorio di Assab, acquistato due anni prima dal Sapeto per la Compagnia Rubattino: si raccomandava invece l'isola di Socotra allargo del capo Guardafui nell'oceano Indiano, sulla quale per altro, per motivi strategici, aveva già messo gli occhi l'Inghilterra, che finì con l'occuparla nel1876.
Fra tali progetti, la maggioranza dei quali rimasero allo stato di semplici ipotesi, il primo che sembrava partire da basi abbastanZa fondate fu quello relativo a Sumatra. Venne formulato da im singolare tipo di viaggiatore ed esploratore, tale Cesare Celso Moreno, che il 15 febbraio 1865 indirizzava una lunga relazione ( 13) al ministro del commercio, nella quale proponeva che l'Italia occupasse, per mezzo di lui , la parte di Sumatra ancora non sottoposta alla dominazione olandese, precisamente la regione di Achin, che copre l'estremo nord dell'isola e fronteggia la penisola di Malacca, estendendosi « fra l'equatore ed il 5o grado di latitudine nord e fra il 90° e il l 02o « meridiano ad est di Greenwich >>. Il. Moreno raccontava diffusamente i suoi precedenti viaggi nella zona, narrando come in seguito ad avventurose circostanze fosse divenuto l'uomo di fiducia del rajah di Achin, Siry Rajah Alaidin Sardar, dal quale aveva ottenuto un'isola in perpetuo dominio e la formale promessa di cedere territori all'Italia ove questa inviasse truppe e coloni.
Appoggiata dalla Cameta di commercio di Genova nell'aprile del '65 e considerata abbastanza favorevolmente dal ministro del commercio Torelli (14), che il 24 aprile 1867 invitava il suo
( 12) Trattative furono intavolate con la Danimarca per ottenere S. Croce o qualche altro isolotto delle Antille danesi, che quello Stato stava sul punto di cedere agli Stati Uniti, e con la Svezia relativamente all'isola di S. Bartolomeo, di cui intendeva liberarsi: fallirono per la palese ostilità degli Stati Uniti nei confronti di qualsiasi potenza volesse stabilirsi nell' America centrale.
{13 ) Testo in A.C.R.M., busta 10.
(14) Si veda, ibidem, la lettera che il ministro Torelli inviava al ministro della marina: « Il secondo le fatte intelligenze, ha preso in esame il progetto del Sig. Cesare Moreno ed è venuto nelle seguenti considerazioni, che ha l'onore di sottomettere : Il progetto Moreno solleva tre ordini di quistioni che è d'uopo esaminare partitamente e che io farò colla maggior possibile: Primo, se l'Italia deve pensare a stabilire colonie all'estero, e qual è la parte che spettar dovrebbe al Governo; Secondo, se l'isola di Sumatra sia opportuna per uno stabilimento di tal natura; Terzo , se ed in quanto i mezzi proposti dal Sig. Cesare Moreno collega alla marina, gen. Pescetto, a spedire in loco un'unità da guerra (15), la proposta Moreno veniva in seguito sottoposta aldi un'apposita commissione di studio, di cui faceva parte siano accettabili dal Governo italiano ... Gli è evidente che, al costituirsi della nazione in un corpo solo, essa debba cercare relazioni commerciali dirette coi paesi transoceanici ed espandere all'estero la sua forza per accrescere le proprie risorse e dare un campo nuovo alla propria attività. Come principio, il Governo deve cercare di promuovere e di aiutare con ogni mezzo qualunque impresa che avesse una tendenza simile, imperocché il commercio, il quale si opera dietro grandi navigazioni, ha bisogno di luoghi di deposito, di stazioni, di punti di . convegno, ove possa agglomerarsi un nucleo di connazionali interessati a mantenere vive le comunicazioni colla madre patria Stabilimenti quali l'Italia abbisogna per estendere i suoi commerci ed avviarne di nuovi, non potrebbero in via ordinaria aver vita se non per la volontà e il concorso del Governo. E come il sottoscritto è d'avviso che esperimenti di stazioni commerciali e di colonie, bene ideati nei loro primordii e continuati con perseveranza, debbono in breve mutare essenzialmente ie condizioni dei nostri commerci, e dare alla nostra marina mercantile un obbiettivo più grande ed un successo non dubbio, opina in massima doversi accogliere e studiare progetti che tendano al conseguimento di tale scopo e di cui, dopo ponderato esame, il Governo stesso abbia a farsene iniziatore».
(15) La lettera in parola, dopo aver sommariamente esaminato l'opportunità dei luoghi scelti dal Moreno, e dopo aver accennato alla complessità dei problemi internazionali che l'iniziativa avrebbe potuto creare, concludeva asserendo che, pu:r avvalendosi dell'opera del Moreno stesso, sarebbe stato bene affidare il prosieguo delle trattative ad ufficiali della marina militare, inviando nella Sonda un'unità da guerra: « Il Sig. Moreno ha visitato l'isola e le notizie che egli ci dà sulle condizioni sue naturali concordano con quelle che ci offrono i geografi. Niun dubbio che la conoscenza personale delle località, della lingua, dei costumi degli abitanti, ed i rapporti che può aver incontrati con qualche capo lo farebbero un utile strumento per iniziare un'opera di questo genere... Il Governo non può confidare in lui in modo assoluto ed è costretto a fare le necessarie riserve, e può giovarsene come un utile intermediario in una prima esplorazione dei luoghi e quale ausiliario nei negoziati che saranno per intavolarsi col Rajah a nome di S.M. il Re d'Italia. Tale è il concetto concreto che il sottoscritto si è formato di questa pratica e la proposta che conseguentemente ne fa ai suoi colleghi. Giova che la nostra Marina da guerra abbia ad intraprendere frequenti viaggi d'istruzione. E' necessario scegliere un ardito ufficiale che sappia all'uopo trattare una diplomazia nuova a noi qual è quella con i capi dei Suo uffizio sarà visitare e ri- il Bixio, e da questa era respinta come vaga, incerta e contraddittoria (16 ).
Le prime attuazioni dell'idea di far eseguire da navi della marina militare la ricerca di un territorio adatto allo stabilimento di una colonia penitenziaria si ebbero quando, nel 1867, il ministero della marina, d'intesa con quello degli esteri, inviò in Mar conoscere le località, entrare in rapporti col re di Achin, profferirgli l'amicizia dell' Italia, chiedergli , dietro compenso di aiuti e di denaro, una zona di territorio sufficiente a fondare un primo stabilimento. In questa sfera il Sig. Moreno può prestare i suoi servigi. Questa prima spedizione è necessaria a preordinare l'opera della colonia, alla quale poscia è da sperarsi concorreranno le forze tutte del paese ». Il ministro Pescetto, nella sua immediata risposta, dopo essersi assodato pienamente all'esposizione, alle giustissime riflessioni ed alle conclusioni del collega, co'sl continuava: che il progetto della colonizzazione di Sumatra sia da prendere in seria considerazione e debba essere sottoposto, come già deciso in Consiglio dei Ministri, allo studio di una Commissione che ne riferisca formulando nette e pratiche proposte. Io bo già invitato le Capitanerie di Porto di Genova , Napoli e Palermo a vedere se sianvi dei Capitani marittimi che abbiano approdato in qualcuno dei punti di quell'isola... per riferie sulle condizioni dell'isola e p:micolarmente sui punti sopra citati. Propongo fin d'ora per la Commissione suddetta il Deputato Luogotenente Generale Bixio il quale naufragò a Sumatra appunto e rimase per qualche tempo prigioniero di quegli indigeni».
(16) Cfr. verbale del 19 giugno 1867 (ibidem): «La Commissione, creata con decreto del 24 maggio 1867 del Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, con l'incarico di riferire sulla proposta del geometra Signor Cesare Moreno da Mondovì di colonizzare una patte dell'isola di Sumatra, visto il progetto medesimo, udito nella seduta del 18 corrente il Signor Moreno stesso, udito in quella di questa sera il Signor
G. B. Beccati, presa cognizione dei documenti forniti dal Ministero e delle relazioni scritte e verbali del Commissario Capitano La Mattina e del Commissario Capitano Ghigliazza, sentiti i ricordi verbali del Generale Bixio, opina che i] progetto e le esposizioni fatte dal Signor Moreno abbiano basi troppo vaghe 1 incerte e contraddittorie tra loro, e contraddette dai membri della Commissione che visitarono quei luoghi, e qOJindi non meritino di essere raccomandate dalla Commissione al Governo. F.to M. Cesaretto, delegato del Ministero del commercio; Barbolani, rappresentante del Ministero degli esteri; Bixio, rappresentante del Ministero della marina; La Mattina, Capitano Marittimo; Gbigliazza, Capitano Marittimo; M. Padova, Segretario
Rosso il cap. freg. Bertelli, comandante della corvetta Ettore Fieramosca, affinché ne studiasse il litorale africano, e quest'ufficiale concluse i suoi rapporti sconsigliando assolutamente le regioni a sud di Suez per il clima torrido e la mancanza di acqua che le rendono inabitabili agli europei, nonché per l'assenza di buoni porti, esprimendo il parere che, se mai, sarebbe stato più idoneo allo scopo una qualche località oltre Bab-el-Mandeb sulla costa della Somalia, ricca di merci preziose; e quando, due anni dopo, quella medesima corvetta venne spedita sulle coste atlantiche del Marocco ed il suo nuovo comandante , Raffaele Noce, fu sollecitato ad esaminare se vi fossero su quelle spiagge posti atti a stabilirvi una colonia di deportazione: il Noce esplorò nel corso di una brevissima crociera il tratto di litorale compreso tra il capo Ghir e il capo Nun, allora assai poco conosciuto, senza trovarvi alcun punto suscetibile di divenire un sicuro ancoraggio ( 17 ).
In quello stesso pe:iodo veniva compiuto il primo periplo del globo da parte di un'unità da guerra del nuovo Stato nazionale: il famoso viaggio di circumnavigazione della pirocorvetta Magenta (18), al comando del cap. freg. Vittorio Arminjon, im-
(17) Cfr. LEVA, op. cit., vol. I, pag. 173.
(18) La spedizione era stata progettata fin dal 1862 (A.C.R.M., busta 8, cart. 11). Tuttavia, fu soltanto nel 1864 che cominciò l'effettiva preparazione del viaggio: in un primo momento il Presidente del Consiglio Minghetti ed il Ministro della marina Cugia pensarono di inviare con una nave da guerra in Estremo Oriente il capo dei consolati al ministero degli esteri, Cristoforo Negri , per stipulare a Yeddo e a Pechino delle convenzioni commerciali simili a quelle che vari paesi occidentali avevano già stretto con il Giappone e con la Cina: il 7 agosto il Cugia impartiva istruzioni sulla scelta dell'equipaggio, che doveva essere bello e militare aspetto» (il che non impedl che diversi marinai cosl selezionati disertas· sero a Montevideo nel gennaio '66: dr. A.C.R.M., busta 8, pacco 66). La nave avrebbe accolto a bordo anche alcuni padri missionari; gli interessi commerciali dell'I tali a dovevano costituire lo « scopo essenziale che si ha in vista eli raggiungere con tale viaggio ,. ; in secondo luogo si sarebbero compiute rilevazioni scientifiche nei settori idrografico e delle scienze naturali; la data della partenza venne stabilita per l'ottobre del 1864. Questa fu poi rinviata e se ne riparlò con il Presidente Lamarmora e il nuovo presa alla quale si è precedentemente accennato. La nave, varata a Livorno nel 1862, dislocava 2.540 tonn., era armata con 20 cannoni in batteria e munita di un apparato motore della potenza di 500 HP circa. Partita da Montevideo, dov'era stazionaria , il 2 febbraio 1866, la Magenta fece rotta verso est, passando molto al largo del capo di Buona Speranza e risalendo l'oceano Indiano in direzione delle isole della Sonda, dove giunse alla fine di aprile avendo navigato per tre mesi senza toccar terra ed essendo scampata a due violente tempeste. Da Batavia, per Singapore e Saigon, la corvetta arrivò a Yokohama il 5 luglio (19 ). ministro della marina Angioletti l'anno successivo: scelta definitivamente la Magenta come l'unità più adatta alla missione, il comandante Acton, designato in un primo tempo all'impresa, venne sostituito con il cap. freg. Arminjon, che fu mandato a Parigi a prendere contatto con una missione giapponese allora in Europa; si rimaneggiò lo stato maggiore, cosl che degli ufficiali prima scelti non ne rimasero che due, il sottoten. vasc. Arese e il guard. Guevara-Suardo (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 85); si riconfermarono gli scopi pacifici della crociera (A.C.R.M., busta 7, cart. NeutraJ.ità della Magenta ). Per il viaggio venne stanziata la somma di 300.000 lire, che sembrò eccessiva al ministro delle finanze. Intanto la corvetta era stata inviata fin dall'aprile del 1865 al Rio de la Plata per prendervi il posto della Fulminante, e mentre era stazionaria colà ricevette l'ordine di attendere il suo nuovo comandante, che l ' avrebbe raggiunta con la Regina, portando rifornimenti e casse di regali per le autorità giapponesi e cinesi. Una volta iniziata la crociera, le finalità scientifiche della circumnavigazione venivano ancora sottolineate nelle istruzioni supplementari che il ministro Angioletti fece pervenire all'Arminjon a Singapore, il 23 marzo 1866: ·« ...non dubitando che la missione avrà quell'esit<> felice che il Governo si attende dal noto zelo ed abilità di V. S non dubita il sottoscritto che la parte scientifica sarà accuratamente studiata dallo Stato Maggiore della Magenta e sotto la sua direzione ... è fuor di dubbio ch'Ella presenterà al suo ritorno dei lavori importanti per l'idrografia e le scienze naturali ... »
(A.C.R.M., busta 6, cart. Magenla -Pirocorvetta - Viaggio alla Cina e al Giappone; altri particolari sono reperibili ibidem, cart. 11, Magenta - Viaggio di circumnavigazione, e pacco 66; anche in A.U.S.M. cassetta 1334, fase. 6; ed una dettagliata narrazione presso il LEVA, op. cit., vol. I, pagine 60-86).
(19) Particolareggiate descrizioni dei luoghi visitati nel corso della biennale missione sono contenute nella relazione pubblicata, al ritorno, dallo scienziato dott. Giglioli, che partecipò alla crociera in qualità di na- turalista quale assistente del senatore prof. De Filippi, purtroppo deceduto a Hong Kong nel febbraio 1867 (E. H. GIGLIOLI: Viaggio intomo ai mondo della R. Pirocorvetta "Magenta" negli anni 1865-66-67-68 , Milano, 1876). Ulteriori dettagli si leggono nelle memorie del protagonista dell'impresa diplomatico-marinara (V. ARMlNJON: Il Giappone e la missione della" Magenta", Genova, 1869) e negli articoli di C. NEGRI: Il viaggio della" Magenta", in« Bollettino della Società geografica italiana», I (1868), pag. 71 e segg., e VII (1872), pagg. XXVIII e 167-169.
Quivi giunto, l'Arminjon, munito delle credenziali di mmtstro plenipotenziario, si accin->e ad intavolare trattative con il governo shogunale, conformemente alle istruzione ricevute, che lo incaricavano di stabilire relazioni diplomatiche con il Giappone e con la Cina, paesi con i quali fino ad allora l'Italia non aveva avuto alcun rapporto ufficiale. Purtroppo in quel momento lo ShogOn era assente (20), impegnato in una lotta con il daimio ribelle Nagato: cosl che soltanto un mese più tardi si ottenne la sua approvazione di massima ed il trattato, redatto in una serie di incontri tra il comandante italiano e il governatore degli affari esteri (all'incirca direttore generalt) dello shogunato, Shibata Hingano Kami, non fu pronto per la firma che il giorno 25 agosto (21 ).
(20) Il potere shogunale, come è noto, stava volgendo al suo termine. Un anno dopo la visita della Magenta, l'ultimo degli sbogiìn, il « taikun » Yoshinobu, fu costretto a dimettersi dalla dittatura che la famiglia Tokugawa esercitava da 265 anni e consegnò il potere nelle mani dell'imperatore Mutsuhito (Meiji).
(21) Il testo integrale del trattato è in AM.E.R., pos. l Giappone, busta 25; è anche riprodotto in ARMINJON, op. cit Aveva la forma di un patto di amicizia (art. l: « Vi sarà pace perpetua ed amicizia costante tra Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà il Taikun del Giappone, i loro eredi e successori, come pure tra i loro soggetti rispettivi, senza eccezione di persone e di luoghi»); oltre a concedere agli italiani libertà di residenza e di attività mercantile nelle città e porti di Yokohama, Nagasaki e Hakodate, libertà di religione e di cultq e garanzie giuridiche, assicurava alle parti contraenti le condizioni della nazione più favorita; conteneva infine un regolamento commerciale simile a quelli già in vigore tra il Giappone e le altre potenze (con liste dei prodotti ammessi, ammontare dei diritti doganali, modalità per gli scambi, ecc.). L'Italia accettava - era stata questa la condizione pregiudiziale posta dallo shogiìn - che si omettesse nel trattato ogni accenno ad un'eventuale apertura avvenire di altri porti oltre quelli menzionati, ma le veniva assicurato il diritto di godere libera-
Durante la sua permanenza nel paese del Sol Levante, la Magenta fu accolta ovunque con cordialità e cortesia, non soltanto dai pochi italiani ivi residenti, ma dalla popolazione indigena: « questa constatazione » scrive il Leva (22) « insieme al « modo come le trattative si svolsero, stanno a testimoniare il sen« no politico ed il tatto di cui il Comandante Arminjon dette pro« va. Egli riuscì in un momento delicato della politica interna giap« ponese ad ottenere in pochi giorni quanto il Governo italiano
« desiderava, mentre geloso custode dell'onore e del prestigio del « nostro paese, si adoperava in pari tempo ad infondere quel ri« spetto che egli voleva prendesse subito buona radice in quelle
« popolazioni che ancora non ci conoscevano ». Da Yokohama la nave italiana procedette il 1° settembre per la rada di Taku, donde l'Arminjon si recò a Pechino. Il trattato che riuscì a concludere il 6 ottobre 1866 con il governo imperiale ( 23) superando non lievi difficoltà dovute soprattutto alla questione dei « coolies » che avvelenava in quel momento i rapporti dei cinesi con gli occidentali (24 ), conteneva, al pari di quello italo-giapponese, la clausola della nazione più favorita ed apriva all'Italia nove porti, concedendo alla nostra futura rappresentanza di poter risiedere nella capitale, come quelle della Francia e della Gran Bretagna , anzi che a Tien Tsin, come quelle di tutti gli altri paesi. Nel lungo e lento viaggio di ritorno, la Magenta si fermò sulla costa del Kuang Tung per eseguirvi delle esplorazioni scientifiche, quindi a Hong Kong, a Batavia, dove riparò alcune avarie , ed infine a Melbourne e a Sidney, festeggiatissima dalla co- mente di qualsiasi immunità, privilegio o vantaggio che venisse accordato in futuro per qualsivoglia motivo a qualunque altra nazione. lonia italiana in Australia. Attraversato poi senza soste il Pacifico, arrivò in 49 giorni al Callao, il 12 agosto 1867: alla fine del mese ripartì per le coste cilene, restò un mese a V alparaiso e poi per il canale di Magellano ritornò in Atlantico: durante il passaggio, vennero effettuati rilevamenti e triangolazioni di alcuni punti mal conosciuti del Canale (English Narrows ). A fine anno raggiunse Montevideo donde era partita, accolta con entusiasmo dagli equipaggi della divisione italiana dell'America meridionale. La sera del 28 marzo 1868, dopo aver attraversato per la terza volta l'Atlantico, la corvetta gettò l'ancora nel porto di Napoli, ricevuta con indifferenza dall'Italia ufficiale (25). Eppure, quella nave aveva portato per la prima volta nell'Estremo Oriente, pochi anni dopo la nascita dello Stato unitario, la voce della nuova, lontana entità nazionale europea: ed appariva già come la voce di un contraente credibile, quella che veniva dal comandante di un'unità della flotta, giunta nella baia di Tokio tredici anni soltanto dopo l'arrivo della squadra americana di Perry (26 ).
( 22) Op. cit. , vol. I, pag. 70.
( 2.3) Se ne può vedere il testo integrale in ARMINJON: La Cina e la Missione Italiana nel1866, Firenze, 1875. Accompagnavano il trattato nove regolamenti commerciali e le tariffe delle importazioni e delle esportazioni.
( 24) Si trattava della tratta della mano d'opera cinese verso alcuni porti occidentali del Sud America e verso Cuba, svolto in parte con navi battenti bandiera italiana: aveva come centro il porto di Macao e lo scopo di sostituire gradatamente nell'America latina la mano d'opera indigena e nera con quella gialla.
(25) «Non si creda» scrive il GIGLIOLI (op. cit.) «che io parli per sentimento personale, tutt'altro: come individuo, sono alieno dalle feste e dal rumore, né mi posso lagnare certo del trattamento èhe ebbi personalmente al compimento del viaggio, ma parlo per quel bravo equipaggio il quale sia sotto i raggi cocenti del sole equatoriale, sia in mezzo ai miasmi letali della Cocincina e della Malesia, o tra i ghiacci, le pioggie e le nebbie della Patagon ia, fece sempre alacremente il proprio dovere: il quale nei porti dove ancorammo si fece sempre notare per l'ordinata sua condotta sugli equipaggi delle altre marine. Cosa ci voleva a dire due parole d'encomio a quei bravi marinai, a far loro una festicciola, e mandarli contenti alle loro case dove molti andavano definitivamente, avendo compiuto il tempo del loro ingaggio? Fu male, lo ripeto, che i primi marinai italiani che fecero il giro del globo fossero accolti senza un saluto, fossero licenziati senza una parola di lode ».
(26) All'Armiojon, per altro, non vennero lesinati riconoscimenti ed elogi: dopo la crociera, promosso capitano di vascello, venne chiamato a far parte dd Consiglio di ammiragliato e a dirigere la Scuola di marina di Genova. Lo si è visto poi prendere imbarco sulla Castelfidardo (dal 20 luglio al 16 ottobre 1876) per la ricognizione delle coste albanesi e tenere il comando della seconda divisione della squadra permanente fino all'aprile del 1877, quando fu collocato a riposo con il grado di contrammiraglio (dr. G. RoNCAGLI: Il Contrammiraglio Vittorio Arminion, in «Bollettino della Società geografica italiana», XXXIV (1897), pagg. 65-69).
Un mese dopo il ritorno della Magenta partiva da Genova la corvetta ad elica Principessa Clotilde (27), al comando del cap. freg. Carlo Alberto Racchia. Tra i compiti affidati a questa unità, destinata principalmente come stazionaria in Estremo Oriente allo scopo di completare l'opera dell'Arminjon e di stipulare altri accordi diplomatico-commerciali con altri paesi di quell'area, rientrava quello della ricerca di un territorio, nell'arcipelago della Sonda o nelle regioni finitime, per la fondazione di una colonia penale. Questo incarico secondario aveva dato luogo a discussioni fra il Menabrea, presidente del consiglio e ministro degli esteri, e il ministro della marina Riboty, sottolineando il primo l'importanza e l'urgenza dell'acquisizione del territorio per la colonia penitenziaria, ed obbiettando il secondo che le difficoltà di bilancio non permettevano di destinare appositamente un'unità a tale esclusiva ricerca e proponendo che se ne occupasse il Racchia, se e quando la sua nave avesse potuto assentarsi dalle acque cino-giapponesi (28).
(27) Costruita alla Foce nel 1864, aveva un dislocamento di 2.180 tonn. ed era armata con 14 cannoni in batteria; la macchina aveva una potenza di 400 HP. Essendo una nave mista, cioè a vapore e a vela, non era particolarmente efficiente né come veliero né come bastimento a vapore, specialmente perché la provvista di carbone che era possibile accogliere a bordo non era sufficiente che per un ristretto numero di or_e di navigazione ( 100 ore a tutta forza: op. cit., vol. I, pag. 88).
(28) Cfr. in A.U.SM., busta 105, fase. 3, la lettera del Menabrea al Riboty in data 10 agosto 1868: «E' gran tempo che il Governo del Re riflette ai vantaggi che molti fra i rami della Pubblica Amministrazione, e segriatamente quello della punitiva giustizia, risentirebbero dalla possessione di un territorio oltremare, situato a ragguardevole distanza dalla madre patria, dove possa aver sede sicura e salubre una colonia penitenziaria. Né andrà molto che siffatto possesso diverrà pur anche un bisogno assoluto, quando cioè fosse introdotto il nuovo codice penale italiano, di cui già si conosce il progetto, essendo in esso stabilita qual pena principale la deportazione. Gli sforzi fatti insino ad ora per scegliere una località conveniente all'oggetto indicato non riuscirono ad utile effetto... perché considerazioni politiche od alue di varia natura posero ostacolo all'attuazione... E' perciò necessario che si ponga mano, quanto più presto sarà possibile, al compimento di tale disegno. A questo scopo, il provvedimento più vantaggioso ad esser prescelto sarebbe quello di un viaggio di speciale espio-
La Principessa Clotilde, toccata Gibilterra, circumnavigata l'Mrica, fatto scalo alla Colonia del Capo, mise la prua su Singapore, dove giunse il 27 settembre 1868; dopo brevi soste a Labuan, Manila e Hong Kong, arrivò finalmente il 24 dicembre a Yokohama (29). Avendo svernato in quel porto, la corvetta fu chiamata nell'aprile seguente a Shanghai, per disposizione del ministro italiano in Cina e Giappone De La Tour; quindi fece ritorno a Yokohama per restarvi sin verso la fine dell'anno. Fu nel corso del 1869 che il ministero degli esteri completò le istruzioni impartite al Racchia circa i compiti esplorativi che avrebbe dovuto assolvere quando fosse giunto il momento di distogliere la nave dalle acque del Giappone (30): cosl che il comandante razione, intrapreso da una nave della R. Marina, al cui Comandante fossero impartite particolari istruzioni riflettenù l'oggetto, compilate di comune accordo fra i vari Dicasteri interessaù... »; e la pronta risposta del ministro della marina, del 12 agosto: « Lo scrivente è oltremodo dispiacente che le condizioni del bilancio della Marina gli vietino in modo assoluto di destinare una nave appositamente per la spedizione di cui è caso. Come è già noto a codesto Ministero, se gli avvenimenù ultimi in Giap· pone non avessero influito a dar ordine alla Principessa Clotilde di recarsi direttamente in quella contrada, al Comandante di detto R. Legno dovevano darsi istruzioni nel senso che ponesse ogni cura alla ricerca di un sito per stabilirvi una colonia penitenz.iaria. Se pertanto codesto Ministero crede che per qualche tempo la presenza della Pr. Clotilde nelle acque del Giappone non sarà più necessaria, lo scrivente, nel far proseguire al detto Legno il viaggio che era in progetto, sarà ben lieto di dargli istruzioni nel senso che sarà stabilito per lo scopo che fa oggetto della nota a cui si risponde ».
(29) I particolari del viaggio sono descritù nei rapporti del Racchia (A.U.S.M., busta 105, fase. 3 ); dr. anche LEVA, op.cit., vol. I, pagg. 8ì-124.
(30) Mentre in tutto il carteggio interministeriale svolrosi sull'argomento nell'anno 1868 non veniva mai esattamente definita la posizione geografica in cui avrebbe dovuto trovarsi la località da destinare a colonia di deportazione, con l'anno seguente si cominciò ad orientare la scelta sull'isola di Borneo. Cosl, in una lettera del ministro degli esteri, a quello della marina, in data 6 gennaio 1869, si legge: «L'importanza dell'argomento, segnatamente per ciò che concerne la possibilità di fondare uno stabilimento sulle coste di Borneo, ha deciso il sottoscritto a scrivere direttamente al Comando della Pr. Clotilde per avere dal medesimo una relazione dettagliata... Sin d'ora, ed anche soltanto dietro le informazioni della . Principessa Clotilde, nel salpare da Hong Kong il 13 gennaio 1870, poteva precisare in una missiva al suo ministro quale sarebbe stato l'itinerario della sua crociera: Manila, Balambangan, costa nord di Borneo, Labuan, Molucche, costa sud di Borneo, Makassar, Nuova Guinea e ritorno (31 ). Effettivamente la avute, sembra a chi scrive che il R. Governo dovrebbe frapporre il minor indugio possibile ad inviare a Borneo un Legno della Marina per esaminare minutamente ogni cosa ed anche per entrare in trattative positive e concrete per l'acquisto del territorio che è necessario allo stabilimento ... Se l'invio di altra nave dello Stato dovesse essere molto ritardato, converrebbe forse che la Pr. Clotilde ricevesse istruzioni di recarsi di nuovo a Borneo ». Nella stessa data, infatti, il ministro degli esteri aveva scritto al Racchia: « Dal Ministero della Marina mi vennero comunicate le osservazioni interessantissime che Ella ha fatto al suo passaggio a Borneo. Bramerei che quelle osservazioni fossero ora da Lei completate ed esposte in una relazione a questo Ministero circa la facilità che presenterebbe lo stabilimento di una colonia penale sulle coste di quella isola. Il rapporto che le domando dovrebbe contenere una descrizione della località che si vorrebbe scegliere e ciò avutO riguardo tanto alle condizioni geografiche ed idrografiche che alla situazione politica attuale del territorio e alle difficoltà che si dovrebbero vincere a mantencrvisi. Lo stabilimento ... dovrebbe essere capace di almeno 10 a 15 mila deportati e dovrebbe per la fertilità e per altre produzioni naturali del paese fonire alla numerosa colonia i necessari mezzi di sussistenza ... ». Più tardi, quando la missione della corvetta nelle acque cino-giapponesi volgeva al termine, il ministero della marina precisò ulteriormente al Racchia gli obiettivi cui doveva mirare nel viaggio di ritorno, come risulta da una lettera del 28 settembre 1869: <<Il Comandante della Clotilde dovrebbe eseguire la missione ordinatagli, cioè la perlustrazione del vasto gruppo di isole che si estendono all'Est di Borneo e della parte Nord dell'isola medesima, allo scopo di trovarvi un'isola o un territorio atto a fondarvi una colonia penitenziaria. Qualora l'esplorazione a Borneo ed isole adiacenti non desse il risultato che se ne ripromette, l'unica altra zona interessante da esplorarsi con speranza di successo sarebbe quella all'Est dell'Australia» (A.U.S.M., buste 105, fase. 3 e 108, fase. 2).
(31) «Partendo da questa rada (Hong Kong) farò poi vela per Manilla, ove debbo raccogliere interessanti ed indispensabili informazioni sulle pretensioni del Governo spagnolo a proposito delle parti settentrionali di Borneo e delle isole adiacenti. Di là muoverò per lo stretto di Mindoro e, navigando lungo la costa est di PaJawan, ho intenzione di approdare alla isola di Balambangan che travasi a poca distanza dalla estremità settentrionale di Borneo e che fu molti anni addietro per qualche tempo nelle mani degli in- missione si svolse, nello spazio di cinque mesi, sul percorso stabilito, con soste nell'isola di Gaya, a Pontianak nel Borneo occidentale, a Giava, a Makassar, a Mindanao e all'isola di Sandakan, terminando il viaggio a Saigon, come previsto. Dei primi risultati della sua esplorazione il Racchia informava il ministro della marina con un lungo rapporto da Batavia in data 23 marzo 1870, patrocinando la scelta dell'isola di Gaya o di quella di Banguey, che si sarebbero potute ottenere dal sultano di Brunei e dal sultano di Sulu, a condizione per altro che il governo britannico desse la sua approvazione (32). glesi. Visiterò minutamente quest'isola che sembra presentare molte risorse, e trovasi in posizione importantissima a cavaliere fra il mare della Cina e quello dell'arcipelago di Sulu. Navigando lungo la costa ovest di Borneo, visiterò Ambong, Labuan e quindi la importante isola di Grande Natuna. Da qui, per recarnù nel mare delle Moluccbe farò una breve apparizione a Batavia dove potrò munirmi di nuove e recenti carte dei mari e dei passaggi che dovrò attraversare ed attingere importantissime ed indispensabili informazioni circa la estensione reale dei possedimenti e del protettorato olandese nell'arcipelago indiano (scil indonesiano ). Toccherò Bandjermassin sulla costa sud di Borneo, quindi Makassar, Aroboina e, se favorito dal tempo, mi spingerò fino a toccare qualche punto della Nuova Guinea, Ternate, l'ancoraggio di Kema, Zamboanga, Sulu nell'arcipelago che porta questo nome , e forse anche Sandakan, centro del traffico di questa grande isola ( Borneo ) con l'arcipelago di Sulu; quindi ripassando per lo stretto di Balabac visiterò una seconda volta, se sarà necessario, l'isola di Balambangan e, favorito dal vento di est, farò vela per Saigon dove calcolo potrò trovarmi verso la metà di aprile. Senza dubbio, molti ed interessanti saranno i risultati di un simile viaggio ma non conviene dissimulare che i climi .in cui dovremo soggiornare sono tutt'altro che salubri né molto propizia l'epoca dell'anno in cui ci troveremo in quei paraggi» (A.U.S.M., busta 105, fase. 3 ).
(32) Dopo aver riferito che l'isola di Balambangan, pur essendo sita in posizione strategica eccezionalmente favorevole, risultava però « non essere che una vasta palude, inadatta alla colonizzazione europea», il Racchia de. cantava Gaya con la descrizione seguente: «La vasta baia è il più bello e sicuro ancoraggio di tutta la costa di Ambong, e di facilissimo accesso. La parte settentrionale dell'isola di Gaya è libera da qualunque pericolo, e l'isola è coperta da elevate e grosse piante, con un terreno però eminentemente adatto alla coltivazione, solcato qua e là da rigagnoli di buona acqua potabile. In complesso dunque la baia di Gaya è certamente da considerarsi come il sito più importante della costa di Borneo: accessibile a navi di qualsiasi
Ritornata a Yokohama il 18 luglio, la corvetta continuò ad espletare le funzioni di nave stazionaria in quelle acque fino al 17 novembre, quando lasciò definitivamente il litorale nipponico. Nel viaggio di ritorno, l'unità raggiunse dapprima Bangkok, per attenervi la ratifica del trattato tra l'Italia e il Siam stipulato due anni avanti (3 3 ); appianate rapidamente le difficoltà insorte e ratificato il patto da parte siamese, il Racchia, sempre in veste di plenipotenziario, si recò con il suo bastimento a Rangoon, donde, risalendo l'Irawaddy con un piroscafo birmano, arrivò a Mandalay ( 3 4) e in breve tempo stipulò un tratta t o i taio-birmano simile a quelli precedentemente conclusi con gli altri paesi dell'Estremo Oriente. Infine, tornato a bordo della sua nave, per Calcutta, Ceylon, Aden e il canale di Suez, il comandante Racchia rientrava in patria nel luglio del 1871.
Presso che contemporaneamente al viaggio della Principessa Clotilde, aveva esecuzione un altro tentativo di esplorazione delle isole della Sonda effettuato da un civile. Il progetto, ideato dal gen. Menabrea sempre inteso ad assicurare all'Italia un territorio pur che fosse, ove fondare la colonia penitenziaria, si concretò in una convenzione segreta stipulata 1'11 agosto 1869 tra il governo italiano e il noto esploratore Giovanni Emilio Cerruti, con cui quest'ultimo si impegnava a trovare, entro quattro mesi, dimensione, esse vi si trovano a riparo in ambedue i monsoni; le coste tutto all'intorno elevate e sane e di più contenenti carbon fossile in gran copia». Circa l'altra isola sullo stretto di Balabac, Banguey, per la cui posizione geografica valevano le medesime considerazioni fatte per Balambangan, il giudizio del Racchia era pure favorevole, reputandola « sotto ogni rapporto infinitamente superiore a Balambangan come terreno colonizzabile da europei »: ed aggiungeva: « avrei desiderato di poter ottenere la cessione dell'isola di Banguey ma il solo fatto che, dipendendo essa in parte dal sultano di Sulu, trovavasi in certo modo sotto l'alta sovranità nominale della Spagna ... mi trattenne dal far menzione dell'isola suddetta » (ibidem). una località nella Nuova Guinea o nelle sue vicinanze capace di accogliere e sostentare circa 20.000 persone, dotata di clima salubre, abbondante di acqua potabile, ed avente almeno un porto ed un sicuro ancoraggio, accessibili a grossi bastimenti; era data facoltà al Cerruti di prendere possesso del territorio io nome proprio, dopo averne ottenuta la concessione dai potentati indigeni locali, a condizione che fosse ben certo che tali capi erano effettivamente indipendenti, cosl che non venissero lesi i diritti di altre potenze; l'atto di cessione doveva esplicitamente prevedere l'abbandono della sul territorio ceduto in favore dell'Italia. Munito di un rimborso-spese di 100.000 lire, somma rilevante per l'epoca, il Cerruti partiva immediatamente per Singapore, in compagnia di un suo fratello e del capitano del genio Di Lenna, incaricato dei rilievi topografici; colà giunto, si imbarcava sullo schooner britannico Alexandra appositamente noleggiato e faceva rotta per le Molucche il 13 novembre 1869 (35). Makassar, le isole Baciane, poi diresse per il Mare di Banda e visitò gli arcipelaghi delle Key e delle Aru a circa l 000 km a sud-est delle Batiane, poco sotto la Nuova Guinea. T ornando in Italia nella primavera seguente, l'esploratore portava con sé tre trattati, stipulati con il sultano di Salawatti, con il rajah di Duan e con i rajah di Samma e di Wogier, contemplanti la cessione all'Italia, rispettivamente, dell'arcipelago delle Baciane e di parte di quelli delle Key e di Aru (36 ). Sorse nel governo italiano un
(33) Cfr. in proposito, anche A.C.R.M., busta 10.
(34) Favolose furono le accoglienze tributate dai birmani all'inviato italiano: al suo sbarco a Mandalay, il Racchia venne ricevuto da un imponente corteo formato da otto elefanti e mille uomini di scorta, che insieme a numerosa folla accompagnarono la missione alla residenza assegnatale (LEVA, op. cit., vol. I. pag. 117).
(35) Sul viaggio del Cerruti, cfr. G. Po: Il giovane Regno d ' Italia alla ricerca di una colonia oceanica, in « Nuova Antologia», LXXXIII ( 1928), pagg. 516-528.
(36) Il sultano di Salawatti, con la convenzione firmata il 20 dicembre 1869, cedeva al Cerruti ogni diritto di sovranità sul gruppo delle isole Baciane, con la sola riserva del rispetto delle proprietà private del sultano e dei po--;sidenti indigeni, contro il pagamento di una pensione mensile di 2.000 gilders olandesi d'argento; il Cerruti si obbligava inoltre a difendere il sultano da ogni molestia, da qualsiasi parte provenisse, e ad adoperarsi affinché una nave della marina italiana venisse a prendere possesso delle isole entro quattro mesi. La convenzione con il rajah di Duan, stipulata il 16 gennaio 1870, per la cessione delle isole Key, era simile alla precedente, salvo che per la pensione mensile, che era di soli 100 gilders. Simile era anche la convenzione con i rajah di Samma e di Wogier, firmata il 29 gennaio 1870, in fondato dubbio sulla validità di quelle convenzioni; per quanto la giurisdizione olandese nella Sonda fosse mal definita, tuttavia non ci si poteva nascondere che i Paesi Bassi si sarebbero strenuamente opposti a che un nuovo rivale comparisse nei territori che giudicavano appartenenti alla loro sfera di influenza. E poi il ministero Menabrea, che aveva preso l'iniziativa, nel frattempo era caduto: il ministero successivo, quello del Lanza, non ritenne opportuno dar corso ai trattati dd Cerruti. cui per altro non era contemplata la corresponsione di alcun pagamento mensile ai potentati cedenti. In tutti i documenti sopra citati al Cerruti veniva conferita la facolrà di imporre tasse e tributi, di vendere, cedere o alienare i territori in questione o di disporne in qualunque modo, di amministrare il paese e la popolazione secondo le leggi italiane, con l'obbligo, però, di consultare i capi indigeni per ogni affare concernente i nativi e di lasciare ai consigli degli anziani di ciascun villaggio l'amministrazione interna, come sempre era stato fatto. Circa l'estensione dei territori ceduti, non si reperisce alcuna precisazione, per le isole Batiane, tuttavia, si può dedurre dal contesto della convenzione che essa si riferisse all'intero arcipelago (2.367 kmq), mentre per le Key e per le Aru la cessione doveva senza dubbio essere soltanto parziale e riferirsi unicamente a qualche punto di approdo, come è dimostrato dalla tenuità o nullità del canone. Questi ultimi due gruppi di isole vennero poi nuovamente esplorati, nel dicembre del 1872, dalla corvetta Vettor Pisani, al comando del cap. freg. G. Lovera Di Maria, che le fece oggetto di dettagliare relazioni pubblicate nel volume Dall'Italia alla Nuova Guinea, edito nel 1873 a cura della<< Rivista marittima».
All'infuori dei tentativi del Moreno e dd Cerruti, ogni altra iniziativa di quel periodo vide in azione unità della marina militare. Certo, la ricerca di territori idonei all'eventuale fondazione di colonie fu soltanto uno degli scopi delle crociere delle navi da guerra, alle quali eta principalmente affidato il compito di presentare nel mondo la bandiera del nuovo Stato, di svolgere missioni scientifiche e diplomatiche, soprattutto di esercitare una protezione degli interessi materiali delle comunità italiane all'estero e di sollevarne il morale confermandone i legami sentimentali con la madre-patria: l'importanza di tale funzione crebbe nell'ultimo ventennio del XIX secolo, di pari passo con il notevole aumento dell'emigrazione.
A questi fini era unicamente ispirata la missione dell'unità destinata a succedere alla Principessa Clotilde in Estremo Oriente, la corvetta mista V ettor Pisani ( 3 7 ), al comando del cap. freg. Lovera Di Maria. Le due navi da guerra. si incontrarono a Suez il 21 giugno 1871: quindi la Vettor Pisani toccò Assab, da poco acquistata dalla Compagnia Rubattino, poi Aden e Singapore e giunse a Yokohama a metà agosto. La sua stazione nelle acque cino-giapponesi durò fino al l o novembre 18 7 2: nel viaggio di ritorno ebbe l'incarico di ricercare sulle coste della Nuova Guinea due esploratori italiani, il Beccari e il D'Albertis, che rintracciò e prese a bordo alle Molucche (38); indi, toccando l'Australia, la Nuova Zelanda e l'Uruguay, rientrò a Napoli il 10 settembre 1873.
Intanto era partita dall'Italia (16 novembre 1872) la fregata Garibaldi (39), al comando del cap. vasc. Del Santo, con destinazione Sud-America e Giappone e ritorno lungo le coste americane del Pacifico e riattraversando l'Atlantico: e due altre unità della marina militare, la corvetta a ruote Governolo e l'avviso a vapore Vedetta, si accingevano a salpare per i mari della Cina ( 40), la prima agli ordini del cap. freg. E. Accinni e la seconda al comando del cap. freg. F. Cassone. Alle due navi era stata affidata una missione segretissima: la presa di possesso di un territorio oltremare per fondarvi una colonia, precisamente l'isola di Banguey, di fronte all'estremità settentrionale di Borneo, sullo Stretto di Balabac che divide l'arcipelago indonesiano da quello delle Filippine e mette in comunicazione il mare della Cina con il mare di Sulu.
{37) Dislocava 1.960 tonn., era armata con quattro cannoni da 16 F.R.C. (di ferro, rigati, cerchiati), con dieci da 12 e con tre pezzi di bronzo da 8 cm; era fornita di un apparato motore ausiliario della potenza di 300 HP; aveva lo scafo in legno ed era stata recentemente costruita nell'arsenale di Venezia. Teneva bene il mare ed aveva a bordo comode sistemazioni che la rendevano idonea a lunghe navigazioni; per a1tro poteva imbarcare una scarsa provvista di combustibile e nel suo primo armamento rivelò ulteriori lievi difetti che in seguito fu agevole eliminare (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 125).
(38) Si veda il resoconto delle avventure dei due esploratori in Dal Giappone alla Nuova Guinea e alle Molucche, in « Rivista marittima », 1873, aprile.
(39) Era una nave ad elica costruita nel 1860 in Inghilterra per la marina del regno delle Due Sicilie e radicalmente trasformata dieci anni dopo per ridurne l'equipaggio e renderla utilizzabile in lunghe campagne senza eccessive spese di armamento: pertanto la sua stazza originaria era stata ridotta da 3 .680 a 3.440 tonn, le era stato tolto il casseretto e la murata superiore era stata rasata allivello del trincarino; infine, i precedenti 28 cannoni in batteria e i 4 di coperta erano stati sostituiti con 8 pezzi moderni da 16, rigati. Nella nuova sistemazione, aveva conservato le sue buone qualità nautiche e con il suo sistema velico ben equilibrato, con le sue immense vele di strallo, superava facilmente con mare moderato quasi ogni altro veliero, eccetto naturalmente i clippers. L'apparato motore aveva la potenza di 1.040 HP; l'equipaggio era stato ridotto da 452 uomini a 350 (LEvA, op.cit., vol. I, pagg. 152-153 ).
( 40) La Governolo era una vecchia nave, di oltre 23 anni di età: costruita in Gran Bretagna nel 1849 per conto della marina sarda, dislocava 1.7 00 tonn. e l'apparato motore a ruote sviluppava teoricamente la forza di 450 HP; con lo scafo di legno e l'alberatura a brigantino, era armata con 8 pezzi da 16. Dotata sotto vapore di una velocità modestissima, aveva buone qualità nautiche, a giudizio del suo comandante Accinni. La Vedetta era la prima nave con scafo metallico costruita in Italia (1866); aveva una stazza di 828 tono. e un motore da 660 HP; attrezzata a brigantino, sotto vela era meno veloce della corvetta a ruote sua compagna di missione, mentre a mac· china la sua autonomia si aggirava sulle l.OOO miglia nautiche; era armata con un cannone da 7,5. E' probabile che anche a queste due unità pensasse l'amm. Saint Bon, ministro della marina, il 6 dicembre 1873, quando, par· lando in Parlamento sulla necessità di rinnovare il naviglio da guerra, affermava: « Perché la nostra rappresentanza all'estero nei mari lontani sia utile, perché sia efficace, occorre una prima condizione, che cioè il bastimento che rappresenta il paese all'estero sia realmente una fotza. Può essere una forza anche essendo piccolo, quando si trovi distaccato da una squadra vicina o da un possedimento coloniale non lontano. Può essere una forza anche da sè solo, quando abbia qualcuno degli elementi di forza che sono indispensabili ad un bastimento. Noi invece mandiamo a fare il giro del mondo, all'estremo emisfero, bastimenti del tipo Clotilde (la quale per altro era ben più efficiente della « Governolo »)... Altro difetto di queste navi è la mancanza di velocità sufficiente. Se venisse il caso di una guerra un bastimento di quel genere abbandonato lontano sarebbe certo in posizione ben difficile; i suoi cannoni non valgono a fronte degli Armstrong moderni, la sua velocità è poca ... La protezione implica forza, ed il giorno che questa occorresse sarebbe impossibilitato tanto a battersi, quanto a fuggire per portare la notizia dell'avvenuto. Queste non sono le condizioni in cui una grande nazione si debba fare rappresentare all'estero» (LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 169-170). Come mai, per l'importante, riservata e rischiosa missione di occupare, più o meno di forza, un territorio coloniale in Estremo Oriente, fossero state scelte appunto due unità così deboli e tra le ultime della flotta, è difficile spiegare: forse si volle non dar nell'occhio alle potenze interessate con l'impiego di navi più efficienti, e questo motivo sarebbe stato valido qualora si fosse mantenuto realmentè il segreto intorno all'impresa.
Come il governo italiano fosse giunto ad una tale decisione, è presto detto: dopo il ritorno in patria della Principessa Clotilde, il ministero Lanza, attribuendo più credibilità alle trattative svolte dal Racchia di quanta non ne avesse attribuita a quelle del Cerruti, spedì subito il Racchia stesso in missione a Londra, con l'incarico di chiedere al governo britannico l'assenso all'occupazione italiana di una località nei pressi della costa nord di Borneo ( 41 ); tale consenso, che si sperava giungesse sollecitamente, tardava però ad arriv:1re, malgrado le pressioni esercitate dal Racchia e dal rappresentante diplomatico italiano a Londra (inizialmente il ministro Cadorna, poi l 'inca ri cato d'affari Maffei), i quali tra l'altro riuscirono anche ad interessare favorevolmente alla questione H direttore del « Times »: così che, andando le cose per le lunghe, il Lanza e il ministro degli esteri Visconti-Venosta deliberarono di rompere gli indugi inviando in Oriente una forza di sbarco da aver pr-onta sul luogo per il mo- mento in cui finalmente giungesse il nulla-osta dell'Inghilterra. Pertanto le due unirà salparono da Napoli il 19 dicembre 1872 dirette a Singapore, con l'ordine di mettersi colà a disposizione del comandante Racchia, che era stato mandato come inviato plenipotenziario in Birmania, nel Siam e a Johore.
( 41) «La pena di deportazione» - era detto nella nota presentata al Fore ign Office - «è una ne<:essità generalmente riconosciuta in Italia, e perciò il Governo italiano sta cercando una località adatta per deportarvi i condannati. Come è già noto a codesto Governo, l'Italia ha già fatto ricerche e tentativi sulle coste dell'Abissinia, alle isole Nicobare, all'isola di Socotra, ma senza risultato. Perciò il Governo italiano ha affidato al Comandante della R. Corvetta Principessa Clotilde, trovantesi in crociera nei mari delle Indie, della Gna e del Giappone, Capitano di Vascello Racchia, l'incarico di segnalare le località più adatte allo scopo. Il Comandante Racchia ha riportato che la costa N O dell'isola di Borneo risponde a tutti i requisiti desiderati e che il Sultano di Brunei da cui dipende sarebbe disposto a farne cessione, previa intesa col governo inglese. Il Governo italiano, facendo sue le proposte del Comandante Racchia, chiede al Governo inglese le sue vedute al riguardo con preghiera di manifestarJe il più presto possibile, dovendo il Comandante Racchia entro un mese far ritorno in Oriente» (A.U.S.M., busta 108, fase. 2).
Tutta la faccenda doveva essere « top secret »: naturalmente, invece, la stampa italiana cominciò a discutere senza reticenza sulla missione riservata delle due navi da guerra in Malesia e sull'imminente occupazione di un'isola indonesiana, che per di più era posta in una importante posizione strategica ( 42): con la conseguenza che, quando nel marzo 1873 la Governolo arrivò à Singapore, la stampa locale aveva già ampiamenle discusso e disapprovato le intenzioni italiane ( 4 3) ed i maggiori Stati che avevano interessi nella zona, Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti e persino la Spagna avevano cominciato a mostrarsi nettamente ostili ( 44 ).
( 42) Cfr. S. ANGELINI: Il tentativo italiano per una colonia nel Borneo (1 870-73}. Firenze, 1965. L'ing. Giordano sottolineava nella sua relazione la vantaggiosa posizione di Banguey: «Ciò che non può mancare di colpire anzitutto l'occhio si è la splendida posizione di questa isoletta o gruppo, centrale fra le grandi isole di Borneo, di Celebes e delle Filippine: posizione che le darebbe una certa importanza strategica e commerciale» (F. GIORDANO: Una esplorazione a Borneo, in «Bollettino della Società geografica italiana», VIII (1872), vol. XI, pagg. 188 e segg.).
( 43) La presenza prolungata del Racchia a Singapore, la notizia che due unità della marina militare italiana erano in arrivo, e soprattutto le indiscrezioni della stampa italiana avevano fatto comprendere a chiunque che l'Italia si disponeva ad agire per procurarsi un territorio nel Nord di Borneo o nelle isole adiacenti, come era da tempo sua ben nota aspirazione e come era stato dimostrato dai viaggi della Principessa Clotilde e dell'esploratore Cerruti La stampa locale cominciò ad occuparsi diffusamente della questione. Il quotidiano« Hong Kong Daily Press >>del 10 febbraio dedicava all 'iniziativa italiana un lungo articolo, ripreso nei giorni seguenti dallo « Straits Times » e dalla « Penang Gazette », e si può ritenere che le notizie ivi pubblicate fossero esatte, poiché più tardi il comandante del Governolo lamentò nei suoi rapporti che le istruzioni segretissime da lui ricevute fossero di dominio pubblico.
( -1-1) L'Inghilterra mascherò la sua opposizione facendo ufficiosamente sapere che, mentre sarebbe stata favorevole allo stabilimento di una base
Il Racchia, che aveva atteso a lungo a Singapore l'arrivo delle navi italiane ( 45), ritardato dal mal tempo nell'oceano commerciale, non avrebbe potuto approvare l'installazione di una colonia penale; del resto quesro atteggiamento era sicuramente suggerito al Foreign Office dagli ambienti coloniali, sempre ostili alle colonie penitenziarie europee, tanto che fin dal 1866 il «Calcutta Englishman )) aveva pubblicato articoli contro un'eventualità del genere, già allora ventilata: «il governo di Vittorio Emanuele ... si trova in negoziati per una cessione di territori nell'isola di Sumatra. Questo acquisto territoriale avrebbe il doppio scopo di impiantare degli stabilimenti commerciali e di fondare delle case di pena Tale notizia, se è esatta, dovrebbe attirare l'attenzione del nostro governo indiano, in quanto, per desiderabile che potrebbe essere di avere per vicini commerciali gli italiani, non sarebbe però affatto vantaggioso per le nosue colonie di Singapore, Hong Kong, Malacca, India ed Australia il veder condurre i criminali dell'Italia- in generale i più grandi bricconi del mondodavanti alle nostre porte, con la prospettiva di vederceli entrare in casa quando fossero messi in libertà alla fine della loro pena. I coloni d' Ausualia si sono lamentati giustamente delle conseguenze cattive e pericolose derivate dallo stabilimento di una colonia penale francese nell'isola della Caledonia, ad est del loro continente: ed ora dovrebbero avere un vivaio di criminali italiani, e i lodevoli sforzi del governo del Quee.o.sland per instaurare una linea di navigazione a vapore tra Batavia e Brisbane dovrebbero facilitare l'esportazione dei cattivi soggetti italiani da Sumatra in Australia?»; l'articolo concludeva deplorando «l'inondazione dell'Oriente per mezzo dei rifiuti della popolazione criminale dell'Occidente>). E' ovvio che gli australiani avevano dimenticato in fretta di discendere essi stessi per la maggioranza dai criminali inglesi deportati. Quanto all'Olanda, questa nazione, già in precedenza urtata dalla mancanza di tatto con cui aveva proceduto il Cerruti nelle sue trattative con i capi indigeni delle regioni appartenenti alla sfera di influenza dei Paesi Bassi, non aveva mai visto di buon occhio l'installazione degli italiani nel cuore dei loro domini; contrari erano anche gli Stati Uniti, prevalentemente per ragioni commerciali, e per appoggiare le concessioni che l'americano Torey aveva in corso nella zona; infine, la Spagna rivendicava l'alta sovranità su Banguey, come facente parte per diritto di vassallaggio dei possessi del sultano di Sulu, a sua volta vassallo della corona di Castiglia, e teneva tanto ai suoi titoli teorici che nel febbraio 187 3 il console spagnolo a Singapore rendeva nota un'ordinanza del governo delle Filippine con cui si vietava l'accesso delle navi a tutti i porti dell'arcipelago delle Sulu e dipendenze e si avvertiva che le autorità locali avrebbero fatto rispettare tale divieto anche con l'uso della forza, se necessario.
(45) «L'Eccellenza Vostra» scriveva il Racchia al Riboty «di leg-
Indiano (e dalla scarsa agibilità dei natanti), vide la situazione deteriorarsi rapidamente ( 46) e il 14 febbraio il governo di Roma rinviò l'operazione, telegrafando: «Parta appena pronto col Go« vernole Borneo lasci Vedetta Singapore aspettare istruzioni spe<< dite posta non occupi definitivamente né ufficialmente Banguey « limitandosi compiere studi se conveniente fondarvi colonia com« merciale o penale ritorni Italia lasciando istruzioni minuziose «comandanti- Ministro Riboty » ( 47). A questo punto il Racchia, dopo essersi consultato con il console italiano a Singapore e con l'ing. Giordano, destinato atl imbarcarsi anche lui sulla Governolo per condurre a Borneo una campagna di ricerche scientifiche ( 48 ), decideva di proporre telegraficamente al ministero della marina il proprio immediato ritorno in patria, poiché giustamente riteneva che la sua presenza a bordo, dopo la rinuncia all'occupazione sarebbe stata dannosa al prestigio italiano, confermando implicitamente i sospetti sorti circa la missione affidata gieri capirà la mia sorpresa ed il mio rincrescimento allorquando, all'arrivo qui, trovai che ancora non erano giunti nè Vedetta nè Governolo, ed il giorno dopo ricevevo un telegramma da Galle ( Ceylon) col quale mi si annunciava che dette navi vi erano giunte soltanto il l O corrente (febbraio 187 3) e che probabilmente non sarebbero qui che per la fine del mese. Questo ritardo è ben spiacevole sotto ogni rapporto ... » (A.U.S.M., busta 108, fascicolo 2). alle navi ( 49). Il Riboty fu d'accordo e il Racchia partì da Singapore con il vapore postale il 6 marzo, lo stesso giorno in cui entrava finalmente in porto la Governolo.
(46) Ibidem; .. ,io non mancai di ripetere che l'esito della nostra progettata spedizione sarebbe dipeso in gran parte dalla segretezza e celerità con cui sarebbe condotta. Qui, come a Batavia ed in Hong Kong, si è già parlato e parlasi di detta spedizione, essendo state riportate sui pubblici fogli varie fra le più esagerate ed imprudenti notizie che videro la luce sui giornali italiani. Io temo che le Autorità inglesi, tanto qui che a Hong Kong e a Labuao, abbiano ricevuto ordine di sorvegliare i movimenti delle nostre navi, fatto che potrebbe recard dei gravissimi imbarazzi; in generale si ritiene che io abbia missione di occupare l'estremità Nord di Borneo, sicché la mia prolungata dimora a Singapore dà luogo ai commenti più strani ».
(47) Ibidem.
( 48) Se ne vedano risultati in GIORDANO: U 11a esplorazione a Borneo, cit.
I motivi che avevano spinto l'Italia alla rinuncia, che poi da momentanea diventò definitiva, sono chiaramente illustrati in due lettere che il ministro degli esteri Visconti Venosta indirizzò al console italiano a Singapore tra il febbraio e il marzo 1873.
« Il viaggio del Com. Racchia » si legge nella prima lettera, datata
19 febbraio « e dei due bastimenti posti sotto il suo comando ha
« risvegliato nei paesi d'Europa delle apprensioni che,
« per essere infondate, non sono meno apprezzabili da noi che
« vogliamo assolutamente astenerci dal dar ragione a quelle po-
« tenze di sospettare le nostre intenzioni. L'Italia non ha mai
« formato alcun progetto che potesse in alcuna guisa ledere i
« diritti degli Stati che l'hanno preceduta nello stabilire relazioni
« commerciali e coloniali in codeste lontane regioni. Tale essendo
« il nostro intendimento, Ella comprenderà che tutto ciò che è
« di natura da destare sospetti nella nostra condotta ... deve essere
<< evitato ».Nell'altra missiva, del 7 marzo, così era detto: «Ebbi
« già occasione ... di intrattenere la S.V. circa i progetti del R.
« Governo, relativi allo stabilimento di una colonia pePitenziaria
«nell'Estremo Oriente, e delle circostanze che erano venute da
« ultimo a sospenderne l'esecuzione ... Come Ella saprà, gli sguar-
« di nostri si erano rivolti su alcune isole a Nord di Borneo, e
« su un territorio ... che i rapporti del Comandante Racchia desi« gnavano appropriati allo scopo .. Si sperava che l'Inghilterra e « l'Olanda, padrone di altri territori di quelle regioni, non avreb« bero fatto opposizioni allo stabilimento progettato. Non è me« stieri che io segnali a V.S. come questa ultima circostanza fosse
« essenziale per noi. Egli è infatti evidente che, date le condizioni « attuali, una colonia nascente in un paese così lontano ed inospi<( tale non solo non potrebbe solidamente attecchire a dispetto
( 49) Il tenore del dispaccio era il seguente: «Giunte navi agirò conseguentemente però trattandosi fare soltanto studi credo conveniente affidare tale incarico ingegnere Giordano perché mia posizione resa difficile per imprudenze stampa » (A.U.S.M , busta 108, fase. 2).
« dei più importanti vicini, ma neppure quasi lo potrebbe senza
« il loro concorso volonteroso ... Egli è perciò che, prima ancora
«della partenza del Comandante Racchia per l'Oriente, noi ave-
« vamo più di una volta fatto interpellare il Governo britannico
« sulle sue eventuali disposizioni a riguardo del possibile stabi-
« limento di una colonia italiana a nord di Borneo. Sennonché
« nessuna risposta positiva ci venne dato di ottenere in proposito
« da Londra , tanto che noi dovevamo interpretare cotale riserva
« in senso sfavorevole ai nostri desideri. E per di più il Governo
<< neherlandese, che noi non avevamo creduto di dover interpel-
« lare, si espresse di maniera, sia col R. Ministro alla Aia, sia
« per mezzo del suo Rappresentante a Roma, circa i progetti co-
« loniali attribuiti all'Italia e dei quali si era forse esagerat:a l'im-
« portanza, da farci chiaramente comprendere che la esecuzione
«delle prime istruzioni impartite al Comandante Racchia avreb-
« bero incontrato presso quel Governo la più viva opposizione.
« In tale stato di cose, il Governo del Re. il quale è alieno non
« solo da procurarsi imbarazzi internazionali per questo affare
«delle colonie ma desidera invece procedere in esso d'accordo
« con le Potenze amiche interessate, ritenne non conveniente ad« divenire a nessun atto di natura tale da pregiudicare la questione «prima di aver scambiato in proposito le sue idee con le Potenze « stesse ».
E' facile osservare che tutte le ragioni addotte dal ViscontiVenosta per giustificare l'abbandono dell'impresa erano note o facilmente presumibili ancor prima che fosse stata decisa la spedizione: e ci si chiede perché allora sia stato dato l'ordine di effettuare ugualmente tale spedizione, senza tener conto, come scriveva il Racchia, del « pessimo effetto che produrrebbe in «questi paesi il vederci ritornare senza aver nulla concluso ».
Si può ipotizzare che il piano iniziale del governo Lanza doveva esser quello classico di occupare Banguey con un colpo di mano e mettere così le potenze interessate dinanzi al fatto compiuto: scoperto ormai il nostro intendimento, ancor prima che avesse un inizio di esecuzione, i rischi di complicazioni internazionali diventavano troppo forti per osare di correrli. I movimenti delle nostre due unità erano ormai già sotto la sorveglianza delle marine inglese, olandese ed anche statunitense (50) e non è azzardato supporre che, una volta giunte nelle acque di Banguey, esse vi avrebbero trovato delle navi da guerra pronte ad impedire un nostro sbarco sull'isola. Chi da tutta questa faccenda usci amareggiato e depresso fu ovviamente il Racchia, che aveva dedicato tanti sforzi alla sua missione e la vedeva concludersi in maniera cosl ddudente (51).
(50) La Governolo era seguita da lontano dalla corvetta britannica Zebra, dall'americana Hart/ord e da un'unità olandese (LEVA op. cit., vol. I, pag. 184).
(51) In una lettera , scritta alla moglie poco prima di rimpatriare , il Racchia così si esprimeva: «Piuttosto che compromettere il Governo in spedizioni costose e pericolose io preferisco ritirarrni e lasciare al solo Comm. Giordano di procedere a studi botanici ... ciò che non provocherà attitudini minaccievoli da parte di nessuna potenza. Questa sera giunsero i giornali di Hong Kong: sopra uno di essi, il «China Mai! ,., vi è un violento articolo contro le supposte, e purtroppo vere, intenzioni nostre circa la occupazione di un'isola nelle vicinanze di Borneo. E' questo il secondo articolo che in pochi giorni si pubblica dai più autorevoli fogli inglesi della Cina Il successo della missione, che come io sempre dissi, dipendeva dalla segretezza e celerità con cui doveva essere condotta, trovasi grandemente compromesso. Tutto questo è frutto in gran parte della negligenza dei nostri uomini in Italia, e della imperdonabile leggerezza della stampa italiana ... Certamente io avrei desiderato esser stato fortunato nella missione a Borneo ma mille fatali circostanze contribuirono a mandarla a vuoto tanto va· le fare una onorevole ritirata prima che in un modo qualunque sia impegnata la responsabilità del Governo e la dignità della bandiera ... Dal telegramma che mi spedl Riboty vedo chiaramente che il Governo non vuoi far nulla che possa comprometterlo» (A.U S.M., busta 108, fase. 2). E' il caso di ricordare che il comandante Racchia, in seguito, continuò la sua brillante carriera ricoprendo alte cariche civili e militari: presidente del tribunale militare marittimo di La Spezia nel 1875-76, addetto navale all'ambasciata italiana di Londra nel 1880-81, fu poi promosso contrammiraglio ed ebbe ]a presidenza della Commissione esperimenti d'artiglieria; nel 1884 divenne segretario generale del ministero della marina; ebbe anche il comando della squadra attiva e del dipartimento marittimo di La Spezia; sottosegretario di Stato alla marina nel 1887-88 nel primo gabinetto Crispi, fu ministro della marina nel 1892-93 con Giolitti; deputato per Grosseto nelle legislature XV, XVI e XVII, venne nominato senatore nel 1892; morì nel 1896 , a bordo della Lepanto su cui alzava insegna di vice-ammiraglio (v. nota 17 a pag. 188).
Prima di partire, il Racchia aveva disposto, come egli stesso aveva suggerito ed il ministero aveva approvato, che le due unità si separassero: la Governolo avrebbe dovuto dirigere su Borneo per il proseguimento della sua missione diventata ormai esclusivamente scientifica, mentre la Vedetta avrebbe dovuto recarsi sulle coste birmane (52): così fu, e le due unità, che erano giunte presso che insieme a Penang e ll attendevano ordini, si avviarono alle loro destinazioni. La corvetta del comandante Accinni, giunta a Borneo, risali un tratto del fiume Sarawak e rese visita al rajah bianco Charles Brooke, nipote e successore del famoso avventuriero sir James Brooke fattosi sovrano di quello Stato trent'anni innanzi; toccò poi Labuan e Gaya, eseguendovi rilievi idrografici intanto che l'ing. Giordano, sceso a terra con il guardiamarina Bove e con il medico di bordo Bocca, esplorava la sconosciuta montagna Kini-Balu (53). Dopo aver incrociato in seguito tra
(52 ) Il primitivo progetto del Racchia contemplava un allontanamento solo temporaneo della Vedetta: «Per allontanare sempre di più ogni sospeuo >> aveva serino al Riboty « circa lo scopo dell'arrivo su quella rada (Singapore) dei due R. Legni, considerando come sui primi giorni sia superflua la presenza sulla costa nord di Borneo della Vedetta ed anche per dare meno apparato alla gita del Governolo, d'accordo col Comm. Giordano, pensai che sarebbe bene che la Vedetta dapprima si recasse invece, senza toccare Singapore, a visitare i porti della Birmania, almeno Rangoon, dove attualmente già trovansi molti bastimenti nazionali, con ordine però di trovarsi a Singapore il 20 prossimo marzo al più tardi da dove, dopo rifornitasi di carbone, procederebbe per Banguey per raggiungere il Govemolo I due Regi Legni avranno ordine di coadiuvare in ogni guisa i lavori di esplorazione terresue che il Comm. Giordano riterrà conveniente di intrapendere, recandosi benanco in quei punti del litorale di Borneo e delle isole adiacenti ... onde attingere quelle informazioni di qualche interesse per farci conoscere la situazione politico-giuridica di quel paese. Il Governolo resterà specialmente incaricato di lavori idrografici attorno all'isola di Banguey, mentre la Vedetta esplorerà le isole adiacenti e particolarmente la costa nord di Borneo ... » (ibidem). Ora, invece, mutata la situazione e cambiati i programmi, l'avviso al comando del Cassone fu fatto proseguire da Penang di· rettamente per la Birmania, per ritornare poi nel mare cinese, né toccò più le terre dell'Indonesia , dove si recò, senza il Racchia, la sola Governolo.
(53 ) L'ing. Felice Giordano, con i suoi due compagni bianchi , Giacomo Bove e Paolo Bocca, prese terra nel golfo di Gaya il giorno 8 aprile: essi
Gaya, Balambangan, Banguey e Sulu, la Governolo fece rotta per la Cina e il Giappone e vi rimase come stazionaria sino alla fine del 1873, rientrando a Napoli il 18 febbraio 1874. Con il fallimento del tentativo su Borneo, il governo italiano accantonò in un primo momento e poi abbandonò definitivamente l'idea di fondare una colonia penitenziaria in Oriente, anche perché, verso la metà degli anni '80, terminarono gli studi preparatori del nuovo codice penale Zanardelli, nel quale l'istituto della deportazione non venne più adottato (54). Ciò non pertanto, continuarono in quel decennio le crociere di unità della Botta nei mari dell'Estremo Oriente e intorno al globo, per la protezione degli interessi nazionali e per l'affermazione del prestigio della marina. La corvetta Vettor Pisani compì una seconda circumnavigazione negli anni 1874-1877, al comando, dapprima del cap. freg. A. De Negri e poi del parigrado A. Ansaldo (55), ed una terza campagna oceanica nel 1879-1881, agli ordini del duca di Genova, alla quale impresa il prestigio dinastico del comandante diede particolare rilievo (56); due viaggi intorno al iniziarono la loro spedizione alpinistico-scientifica quattro giorni dopo, accompagnati da 34 portatori indigeni. L'ascensione del Kini-Balu (4.100 m} non potè essere completata, perché, raggiunti i 2.800 m. di altitudine. dove scomparivano le ultime tracce di vegetazione, le cattive condizioni meteorologiche con nebbie persistenti, il freddo non eccessivo ma insopportabile ai portatori ridottisi in uno stato di debolezza estrema, e soprattutto la ristrettezza del tempo concesso, obbligarono l'ing. Giordano a rinunciare alla vetta e a ritornare indietro. Durante la discesa ci si dovette premunire contro gli attacchi di tribù selvagge che insidiavano la marcia; il reimbarco avvenne il 27 aprile (si veda la relazione compilata dal guard. Bove, riprodotta in LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 201-230). Il guard. Bove, partecipe e relatore di questa impresa, è lo stesso ufficiale che cinque anni dopo prese parte lodevolmente alla spedizione polare Nordenskiold-Palander alla ricerca del passaggio di nord-est (dall'Atlantico al Pacifico per la rotta settentrionale oltre la Siberia), tentativo che fu coronato da pieno successo (dr. BovE: Spedizione artica svedese (1878-79), Roma, 1880). mondo compì pure l'incrociatore Cristoforo Colombo (57), nel 1877-1879 al comando del cap. vasc. N. Canevaro (58) e nel18801883 agli ordini del cap. vasc. F. Labrano; mentre la Garibaldi, declassata a corvetta (59), conduceva a termine la sua seconda crociera oceanica circumnavigando la terra in senso anti-orario nel 1879-1882 , comandata dal cap. vasc. E. C. Morin (60). Negli stessi anni si registrò un viaggio in Australia del trasporto Europa, in occasione dell'Esposizione internazionale di Melbourne del 1880: il piccolo piroscafo ( 680 tonn. ), agli ordini del cap. freg. C. Romano, imbarcò alcuni ufficiali di marina in soprannumero, ai quali la campagna servì per istruzione ( 61 ). Non molto dopo
(54) Il codice Zanardelli entrò in vigore nel 1889.
(55) Cfr. L. GRAFFAGNI: Tre anni a bordo della« Vettor Pisani», Milano, s.d.: l'autore aveva fatto parte dello Stato Maggiore della nave con il grado di ten. vasc.
(56} LEVA, op.cit., vol. I, pagg. 307-339.
(57) Era una delle navi più moderne della flotta, essendo stata varata nel 1875. Aveva lo scafo ancora in legno, ma i bagli in ferro; la prua, impostata dapprima sul tipo di quella della Vettor Pisani, era stata modificata per renderla più adatta ad una maggi ore velocità, ma nella poppa, per ragioni di economia, erano state conservate le vecchie forme, malgrado non fossero suscettibili di far dare al nuovo apparato morore tuttto il rendimento di cui sarebbe stato capace. Il Cristoforo Colombo dislocava 2.316 tonn. e le macchine avrebbero dovuto sviluppare 4.000 HP ; la velocità raggiunta alle prove fu di nodi 16,3 , con le otto caldaie a tutta pressione. L'armamento principale era costituito da pezzi da 120 A.R.C., su affusti automatici (soltanto in numero di cinque, però, sempre per motivi di convenienza economica). La velatura, divenuta ormai sussidiaria delle macchine, comprendeva tre alberi, il rrinchetto a vele quad.re, gli altri due a vele auriche (LEVA, op.cit., vol. I, pagg. 273-292 e 371-400).
(58) Raggiun se poi il grado di vice-ammiraglio; fu ministro della marina nell 'effimero ultimo gabinetto Di Rudinl e ministro degli esteri nel primo ministero Pelloux ( 1898-99).
(59) Dopo la trasformazione subita (v. nota .39 a pag. 226 ), la Garibaldi, pur conservando il dislocamento della classe delle fregate, non ne possedeva più l'armamento, così che, nel 1879, secondo logica, fu modestamente ascritta fra le corvette nel quadro del naviglio (LEVA, op. cit., vol. I, pagine 340-370).
(60) Varie relazioni concernenti questo viaggio sono reperibili in A.C.R.M., busta 195. Degli ufficiali inferiori di vascello imbarcati in questa missione, ben cinque giunsero poi fino al grado di ammiraglio, tra i quali il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel.
(61) LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 401-430) la corvetta Caracciolo ( 62 ), che era stata a lungo stazionaria nel l'America meridionale, essendo stata nuovamente inviata in quelle acque ed essendovi rimasta, al comando del cap. freg. C. De Amezaga, per tutto il1882 ed il primo semestre del1883, ritornò in patria per la via di occidente con una lunga crociera nel Pacifico e nell'Indiano, durante la quale ebbe modo di esplorare varie zone poco note della Patagonia, della Polinesia e dell'Indonesia ( 63 ). Intanto la Vettor Pisani, veterana delle navigazioni nelle più lontane regioni, compiva, al comando del cap. freg. G. Palumbo, la sua quarta ed ultima missione transoceanica, prima di essere adibita a nave-scuola dell'Accademia navale ( 64 ).
(62) Trealberi ad elica, di 1.660 tonn., varato a Castellammare di Stabia nel 1869; nave assai poco adatta a lunghe missioni per l ' assoluta mancanza di qualsiasi minima comodità a bordo, aveva inoltre un valore militare molto scarso, essendo armata di sei vecchi cannoni da 16 ad avancarica (LEvA, op . cit., vol. I, pagg. 248 e segg., e vol. II, pagg. 3 e segg. ).
( 63) Si veda la narrazione del viaggio da parte del comandante C. DE AMEZAGA (Viaggio di circumnavigazione della R. N. « Caracciolo », 4 voll., Torino, 1886) e da parte del medico di bordo dott. F. RHo (Note di geografia medica durante il viaggio di circumnavigazione della « Caracciolo » , Roma, s.d.). Per le rilevazioni scientifiche espletate nei paraggi del canale di Magellano, cfr. Estudios hidrogrJficos sobre la Patagonia occidental ejecutados por el Comandante y 0/iciales de la Real Corbeta Italiana « Caracciolo » en 1882, Santiago, 1883.
(64) Il comandante Palumbo fu poi vice-ammiraglio e ministro della marina nel primo gabinetto Pellou.x (1898-99). Per il resoconto della campagna si vedano: G. DEL DR.Aoo: Cenni sull' ultimo viaggio della corve/la « Vettor Pisani» ( 1882-83-84-85), in «Bollettino della Società geografica italiana», 1885, agosto; e Comand. E. SERRA.: Riassunto generale del viaggio di circumnavigazione della « Vellor Pisani» , in « Rivista marittima », 1885, II-XII.
Capitolo Xii
Il Piede A Terra Nel Mar Rosso
Quando, l'11luglio 1871, la corvetta Vettor Pisani in rotta per l'Estremo Oriente gettò l'ancora nella baia di Assab (l), sulla spiaggia inospitale e deserta il comandante Lovera non trovò che una capanna di recente ricostruita , con la scritta « Proprietà Italiana », fiancheggiata da un'asta sulla quale era stata innalzata l'anno precedente la nostra bandiera. Era tutto ciò che restava della presa di possesso di quel lembo di terra africana da parte del prof. Sapeto per conto della Compagnia di navigazione Rubattino. Negli otto giorni durante i quali la corvetta restò sul posto attendendo a lavori di rilevamento topografico e idrografico della zona, l ' equipaggio ebbe modo di constatare l'inabitabilità del luogo, calcinato da una temperatura torrida , senz'acqua, senza vegetazione, senza tracce di presenza umana all ' infuori di quell'abituro e di quell'asta di bandiera: bastò quella settimana perché tra i marinai insorgessero numerosi casi di insolazione e di lichene e si diffondesse una pericolosa forma di dissenteria , onde fu con sollievo di tutti che il 18 luglio la V ett or Pisani abbandonò quel litorale desolato.
Quella baia squallida costituiva all'epoca tutto ciò che l'Italia possedeva -e nemmeno ufficialmente - fuori dei suoi confini: e per piccolo e malsicuro possedimento che fosse, era costato sforzi e trattative ed aveva causato complicazioni internazionali di vasta portata. Gli è che quel lembo insignificante di terra, nemmeno appartenente allo Stato ma ad una società privata per stabilirvi un deposito di carbone, significava l'inserimento dell'Italia nella sfera coloniale, « cominciando dal poco >> ( 2) ed iniziando un'azione che con l'andare del tempo avrebbe potuto risultare incomoda per Francia e Inghilterra, intente a spartirsi anche quella zona.
( l ) Cfr. G . LoVERA Dr MARIA: Monografia del Mar Rosso, in « Rivi sta mari ttima », 1872, I.
Promotore di tale inizio di espansione era stato il padre Sapeto ( 3 ), l'italiano che in quegli anni meglio conosceva la regione. Fin dal 1846 egli aveva più volte sollecitato il governo sardo ad istituire una rappresentanza consolare a Massaua per proteggere gli interessi dei connazionali ivi stabiliti; nel 1863 aveva indirizzato al ministro della pubblica istruzione, Michele Amari, la famosa « Relazione politico-commerciale sulle sponde del Mar Rosso » ( 4) che può essere considerata l'atto di nascita dell'espansione coloniale italiana: in essa sosteneva la necessità che l ' Italia mettesse piede sulle coste dancale e dimostrava le possibilità di
(2) Tale sarà il saggio suggerimento del Racchia a proposito della progettata colonia in Indonesia: « mi ero convinto che ci conveniva sotto ogni rapporto cominciare dal poco... per poi allargarsi .. . » (dal cit. rapporto del 23 marzo 1870 da Batavia, in A.U.S.M. , busta Principessa Clotilde ) riuscita esistenti per noi al momento in quei luoghi, rivelando i retroscena della acuta rivalità anglo-francese nella zona ed assicurando l'appoggio britannico ad ogni passo del genere, in odio :alla potente rivale. Ma le insistenze del Sapeto non trovarono risposta: né ebbe alcuna eco la serie di proposte da lui fatte nel congresso della Camera di commercio di Genova del 1868, sempre al medesimo scopo (5). Fu nel 1869 che il Sapeto, amareggiato dall:a constatazione dell'inutilità dei suoi sforzi e deluso per aver dovuto operare fino ad allora a favore di altre nazioni mentre soltanto il suo paese gli opponeva la più ottusa sordità, scrisse direttamente al re. Vittorio Emanuele II fu vivamente colpito dalle idee che il Sapeto esponeva con tanto fervore e segnalò favorevolmente il progetto al Menabrea.
(3) Il prof. Giuseppe Sapeto nacque a Carcare (Genova ) nel 1811 e morl il 25 agosto 1895. Era dell 'ordine dei Lazzaristi, appartene\·a cioè alla Congregazione della Missione , fondata da S. Vincenzo di Paola nel 1624. Avendo precedentemente insegnato lingue orientali a Genova, si trovava in Egitto per ragioni di studio nel 1837, quando i francesi Antoine e Arnauld d'Abbadie. di passaggio colà diretti in Etiopia, ebbero a conoscerlo e, colpiti dalla sua cultura di oriemalista, gli proposero di aggregarsi alla loro missione in qualità di cappellano. Fu così che il Sapeto sbarcò per la prima volta a Massaua nel 1838, donde prosegul per Adua alla corte di Ras Ubiè: dimorò a lungo nel Tigrè e nello Scioa, entrò in relazioni con le tribù dei Bogos, degli Habab e dei Mensa, allora presso che ignote agli europei, e nei molti anni in cui restò in quei luoghi divenne profondo conoscicore di tutto il retroterra del litorale africano del Mar Rosso, delle lingue, dialetti e usanze delle popolazioni, conquistando in pari tempo alto prestigio e grandissima aurorità presso i capi indigeni abissini e dancali. Pitt tardi, dal 1851 al1860, S\'Olse inc:uichi per conto di Napoleone III presso i1 Ras Negussiè , ribellatosi al negus Teodoro: e per l'Inghilterra, accompagnando in una esplorazione il gen . Coglan. Sulla vita e l'attività del Sapeto, si Yedano: A.
COPIGNOLA: Rubattino, Bologna, 1938, pagg. 322 e segg.; GIACCHERO BISOGNI: Vita di Giuseppe Sapeto. Firenze, 1942.
(4 } Reperibile in B.N.V.E.R., fondo manoscritti orientali, Carte Sapeto, cart. 153.
Il momento appariva favorevole: l'apertura del canale di Suez, che da parecchi anni aveva attirato l'attenzione di tutti coloro che nel prossimo rivolgimento delle rotte del commercio ( 6) avevano intravvisto la possibilità di risollevare dalla crisi la marina mercantile italiana (7), era imminente e ne veniva un
(5) Il Sapeto vi propugnò l'urgenza di stabilire una colonia africana in Mar Rosso, di completare la rete ferroviaria nazionale al fine di agevolare il commercio con l'Oriente, di istituire agenzie consolari in Etiopia, di agevolare i traffici con l'Abissinia stessa e con Io Yemen.
(6) Cfr. M. BARATTA: L'Italia e il Canale di Suez, in« La Geografia», 1930, fase. 5; Il canale di Suez nella storia, nell'economia e nel diritto, a cura dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano, 1935; A. ANcHIERI: Il Canale di Suez, Milano, 1937; C. BoNACOSSA: Il canale Ji Suez nella storia e 11ella economia, Milano, 1937; R. CrASCA, op. cit., pagg. 73-78.
(7) Si vedano: C. VIMERCATI: Il Canale e l'istmo di Suez. Sua influenza di pace per l'Europa e di rigenerazione per l'Italia, Livorno, 1854; T. ToRELLI: Dell'avvenire del commercio europeo ed in modo speciale di quello degli Stati italiani, Firenze, 1859; BoccARDO G., PATRONE L.: Il canale attraverso l'istmo di Suez e gli interessi dell'Italia, Genova, 1865. Altre testimonianze dell'epoca in A. TEso: L'Italia e l'Oriente. Studi di politica commerciale, Torino, 1900. Lo stesso Sapeto aveva scritto nel 1865: « L'evento del taglio dell'istmo, contemporaneo all'evento maggiore della nostra unità nazionale e al varco della vaporiera nel seno delle Alpi, è tale un avvenimento, che la sola Provvidenza può aver operato per assodare la nostra giovane unione di famiglia, indicandoci la via che seguire dobbiamo, se vogliamo incrollabile la nostra indipendenza, potente il nostro regno, pro- potente richiamo: « prendere pos1z10ne sul mari e in terre disponibili: solo a questo patto l'Italia sar à q ua lche cosa » esortava l'Amat; e il Negri: «le grandi nazioni ci h anno dato l'esem« pio, e la storia apertamente ci mos tra che le nazioni fonda« rono commercio e colonie non nelle epoch e di prosperi tà fi.nan« ziaria e di quiete interna, ma invece p rep ara ro n o la grandezza « futura nelle epoche delle commoz ioni interne, quando la stessa « corte era povera, quando il loro paese era tutt o diviso o popo« lato di masse appena agglomerate e tuttora convu lse ». E tra gli antesignani dell'espansione coloniale , mentre pochi credettero realmente all'occupazione di lontane terre d'Asia , i più erano affascinati dall'Africa vicina e impenetrabile: << l 'Africa » è il Correnti che lo afferma « ci attira invincibilmente. E ' una predesti« nazione. Ci sta sugli occhi da tanti secoli questo cont inente sug« geliate, onde pur ci venne primamente la civil tà e che ora ci « esclude dai grandi Oceani, ci rende semibarba ro il M editerra« neo, e costringe l'Italia a trovarsi sugli ultimi confini d el mondo « civile ».
Il Menabrea, presidente del co nsi glio e ministro degli esteri, cui si è veduto non mancare f iducia nelle in traprese coloniali, aderì di buon grado ad assecondare il des iderio del re. Già si è accennato ad una prima, fu gace esplorazione di cui in quegli anni era stato incaricato il co mandante Bertelli della Ettore Fieramosca: il quale, lasciata la sua nave ad Alessandria, era pervenuto per via di terra a Suez e di lì per mare a Massaua , spera e ricca la Nazione. Nei giorni che precorsero la perdita dei commerci italiani che alimentavano l'industria delle nostre città , facevano ricchi i cittadini e l'Italia padrona del Mediterraneo e delle derrate d'Oriente, intestine discordie e indomati rancori laceravano i cuori dei padri nostri, malvage signorie si dividevano la patria italiana e monti di armi nemiche ci accerchiavano i confini: invece, ai nostri giorni, alla concordia dei cuori, al bando di stranieri signori, al laceramento di momi alpini tien dietro il r itorno del commercio di quell'Oriente che già i nosti antenati fece splendidi, industriosi, agiati e commendati. E' cieco chi r ispetti simili non vede: è fatale all'Italia chi nella propria sua cerchia no n si s t udia di seguitare l'in vi to de ll a Provvidenza, mettendo in opera i mezzi ru tti e provvedim enti che la possano ricondurre all'antico festino ori en t ale » ( SAPETO: L'Italia e il Canale di Suez, Torino, 1865, pagg. VI e segg. ). giungendovi il 15 marzo 1868. Era accompagnato da un guardiamarina e da due marinai: visitò le isole Dahlac e avrebbe dovuto estendere le sue ricognizioni a sud, ma, richiamato ai primi di aprile, dovette rientrare: e probabilmente questa fretta fu non ultima causa della sua relazione del tutto negativa. Ma, un anno dopo, la situazione era notevolmente mutata: quel che poteva apparire fino ad allora un vago progetto, si concretava nella volontà del governo di procedere ad un'azione diretta, e c'era soltanto da organizzare l'impresa in modo accorto, tale da non urtare le suscettibilità anglo-francesi ( 8 ). Perché il piano di metter piede in Mar Rosso avesse qualche probabilità di riuscita, era indispensabile che si partisse in sordina, senza che lo Stato italiano comparisse ufficialmente e mettendo avanti, come prestanome, una società privata.
La più adatta allo scopo appariva la compagnia di navigazione Rubattino (9), già nota in campo internazionale per la
(8) E' appena il caso di ricordare che la corsa all'accaparramento delle basi nel Mar Rosso- accentuatasi nel1857 per le esplorazioni del Lambert, console francese a Aden, sulla Costa dei Somali, e per le evoluzioni della flotta francese, nello stesso anno, oltre Bab-el-Mandeb, poi con l'occupazione di Perim da parte della Gran Bretagna nel1858- era proseguita negli anni successivi con l'installarsi della Francia ad Obock e dell'Inghilterra a Zeila.
(9) Nata il t• settembre 1838 dalla trasformazione della Compagnia marittima di assicurazione fondata l'anno prima da Raffaele Rubattino, Lazzaro Rebizzo e Giuseppe Gavino, la Società di navigazione De Luchi-Rubartino, con un capirale di 500.000 lire, ebbe difficili inizi. Scomparso nel 1841 il De Luchi, la società, attraverso varie peripezie, scioglimenti e ricostituzioni, malgrado avesse a subire delle perdite disastrose, come il naufragio del Polluce, continuò ad affermarsi progressivamente nel campo nazionale, essendosi costituita ormai, nel 1846, una flotta di sette unità a vapore per 1.187 tonn. complessive, sotto la denominazione di Società dei vapori sardi. La convenzione del 1851 con il governo sabaudo, con cui alla Rubattino venivano affidati in concessione i collegamenti marittimi tra la terraferma e la Sardegna, assunse un'importanza capitale per l'incremento dei commerci e per la rinascita dell'economia dell'isola e dava alla compagnia di navigazione un prestigio notevole, che si sarebbe accresciuto con la progettata estensione delle sue linee fino a Tunisi. Nuove traversie doveva poi affrontare il Rubattino, sia per i cattivi esordi di una, in parte sua, Società transatlamica, creata, con l'apporto di capitali inglesi, per il collegamento sua attività abbastanza ed entrata nei fasti risorgimentali con la fornitura a Garibaldi delle navi dei Mille, la quale appunto allora si accingeva ad estendere le sue linee fuori del Mediterraneo in direzione del Medio ed Estremo Oriente. La versione ufficiale dei fatti, che rimase stereotipata nella storiografia scolastica, fu, presso a poco, che nel 1869 la società Rubattino, in previsione di istituire linee regolari di piroscafi che percorressero il Mar Rosso alla volta delle Indie, incaricò il Sapeto di cercare sulle sponde di quel mare un luogo idoneo a farvi un deposito di combustibile e di materiale, da attrezzare come base di appoggio e di rifornimento. Le cose non andarono precisamente così: fermo restando l'interesse della compagnia di navigazione nell'impresa (l O), le trattative tra essa e il ministero Menabrea, e poi quelle con il successivo gabinetto Lanza, vennero condotte cosl segretamente, che il Sapeto stesso non ne venne a conoscenza: « io so » egli scrisse più tardi « che il Go« vemo anticipò le spese della perlustrazione del Mar Rosso , ma « ignoro per quale processo occulto io mi trasformassi in agente con i porti al di là dell 'oceano, sia per la perdita di due piroscafi, l'uno affondato e l'a!tro sequestrato dal governo borbonico, sia infine per la privazione dell'appoggio governativo. Messa in liquidazione la società transatlantica e venduti all'incanto i suoi vapori ( 1859), la compagnia Rubattino riuscì a sopravvivere e a riprendere i servizi con la Sardegna, prima interrotti. Messi a disposizione di Garibaldi il Piemonte e il Lombardo e venuta cosl alla ribalta dell'epopea risorgimentale, la società , nel decennio seguente, stabill linee regolari con l'Egitto e si preparò ad iniziare, non appena l'apertura dd canale di Suez lo permettesse, i collegamenti con le Indie: attività che la vedrà giungere rapidamente, alla metà degli anni '70, ad una flotta di 29 piroscafi per complessive 19.867 tonn. e per un valore di oltre venti milioni di lire (dr. G. BoccARDO: Il problema della marina mercantile in Italia , in Antologia», 1880, III; G. CHIESI: Raffaele Rubattino , cenni biografici, Genova, 1882; A. COLIN: La navigation commerciale au XIX siècle, Paris, 1901; M.W. VAN DER VELDE: La Marina Mercantile Italiana- Evoluzione e Avvenire, Roma, 1933; A. ComGNOLA, op. cit.).
(lO) «Caro Croceo» scriveva nel 1868 il Rubattino ad un suo amico siamo già alle porte del 1869 e pare certo che il canale di Suez sarà aperto alla navigazione. Tutte le nazioni ci saranno, compresi i turchi e i russi, e non avremo noi a comparire? Sarebbe proprio desolante» (I.M.G., Carte Rubattino, lettera n . 5427).
« del sig. Rubattino » ( 11 ). La perlustrazione in parola venne condotta dal Sapeto e dal contramm. Acton, i quali concordemente decisero in favore di Assab (12) e stipularono, il 1.5 novembre 1869 , un contratto con i sultani locali Hassàn ben Ahmed e Ibrahim ben Ahmed per l'affitto decennale della baia al prezzo di 6.000 talleri di Maria Teresa ( 13 ), della qual somma ne venivano dati in anticipo 250, promettendo il versamento del saldo al momento della presa di possesso.
Al ritorno in Italia dei due emissari, il governo Menabrea cadeva. Il successore, il Lanza, meno propenso ancora del Menabrea ad esporsi ufficialmente, strinse, sempre ad insaputa del Sapeto, un contratto con la compagnia Rubattino, in base al quale questa avrebbe fatto da prestanome all'acquisto, con l'intesa che lo Stato avrebbe versato i fondi occorrenti e la società si sarebbe riservata « una porzione di terreno conveniente per « l'impianto di una stazione commerciale da retribuirsi in ra« gione del prezzo originale di acquisto » ( 14 ). La Rubattino mise a disposizione il suo piroscafo Africa, sul quale il Sapeto riparù il 14 febbraio 1870, accompagnato questa volta dagli esploratori Odoardo Beccari e Arturo Issel ( 15): 1'11 marzo, a bordo del bastimento, si perfezionava il contratto con i sultani ( 16 ), si completava lo stabilimento con l'acquisto della rada
(11) SAPETO: Assab e i suoi critici, Genova, 1879, pag. 316.
( 12) L'altro punto proposto, la rada di Kuhr Ameira sulla costa orientale presso Bab-el-Mandeb, risultò essere stato nel .frattempo già occupato dagli inglesi.
( 13) Equivalenti all'epoca a oltre 40.000 lire italiane.
(14) La pattuizione fu rogata in Firenze il 2 febbraio 1870, contraenti il ministro degli esteri Visconti Venosta, i ministri della marina, dell'agricoltura e dei lavori pubblici e il sig. Grandoni procuratore del Rubattino: A.U.S.M., cass. 53, fase. 2, sottofasc. «Vedetta» sul Mar Rosso - 1870.
(15) Si veda, nell'ultima ediz. del volume Viaggio nel Mar Rosso e nei Bogos, dell'IssEL, Milano, 1885, l'appendice contenente, fra l'altro, la cronistoria completa degli avvenimenti del 1870.
(16) Controparte dell'atto di cessione risultano il prof. Sapeto stesso e il cap. Buzzolino, entrambi in veste di rappresentanti della Società Rubattino & C. L'originale del trattato non è stato reperito: il testo si può di Buia - con che la superficie complessiva presa in possesso raggiungeva i 100 kmq- e con l'affitto per dieci anni, al prezzo di 100 talleri, dell'isola di Darmahié che chiude lateralmente l'insenatura di Assab e che apparteneva al sultano di Raheita. Due giorni dopo, il 13 marzo, il Sapeto innalzava la bandiera italiana, cominciava a determinare sul terreno i confini e faceva porre in loco targhe con la data dello sbarco e l'indicazione dei proprietari. Le operazioni vennero seguite da un'unità della marina militare, l'avviso Vedetta, che eseguiva anche nel frattempo rilievi idrografici e topografici della baia e degli approdi. Ma il 26 aprile, reimbarcati gli agenti della Rubattino, le provviste e gli utensili portati a terra e il prof. Sapeto stesso, la Vedetta ripartiva diretta in patria.
L'improvvisa partenza nascondeva un meschino retroscena. Con piccolo esborso ( 17), l'Italia si era assicurata in Assab una base modesta ma vantaggiosa, per la facilità dell'approdo, per la vicinanza allo sbocco meridionale del Mar Rosso e per la prossimità dei porti di Hodeida e di Moka nello Yemen di fronte, per cui si poteva avere qualche possibilità di attirare le carovane dell'Etiopia interna recanti prodotti dèstinati all'Arabia. Se non che il ministero Lanza ebbe paura di aver avuto troppo coraggio: aveva comunicato all'Egitto ( 18) il suo indiretto interessamento all'impresa, dimostrato dall'intervento di una nave da guerra nelle operazioni, ma quando il ministro de- leggere in Trattati, convenzioni, accordi, protocolli ed altri documenti relativi all'Africa, 1825-1906, a cura del Ministero degli esteri, Roma, 1904· 1906, vol. I, pag. 25. gli esteri egiziano Sherif Pascià espresse le più vive rimostranze per l'asserita violazione della sovranità del suo paese, non aveva osato assumere un atteggiamento energico. Il ritiro del personale e del materiale evitò di stretta misura uno scontro, poiché tre giorni dopo che la Vedetta era salpata giunse ad Assab con l'avviso Khartum un contingente di truppe egiziane inviate dal governatore di Massaua, che, trovata deserta la località, si sfogarono a demolire la capanna che recava la scritta « Proprietà Italian2 ». Ne seguirono proteste e passi diplomatici, finché il governo khediviale fu costretto a ritirare i soldati e a far ripristinare lo status quo ante, ricostruendo la casetta.
(17) Si spesero in tutto 104.200 lire: 41.200 per i pagamenti ai sultani, 51.000 per il noleggio del piroscafo Africa e 12.000 al prof. Sapeto come competenze dei due viaggi del 1869 e del 1870.
(18) Cfr. d.ispaccìo del Visconti Venosta al R. Console Generale in Egitto: « Il Governo del Re, col consenso del quale la Compagnia Rubattino ha proceduto in questo affare, ha dato istruzioni al Regio Piroscafo Vedetta, di proteggere la fondazione di quello stabilimento italiano, destinato, fra le altre cose, a somministrare uno scalo alla nostra navigazione per i suoi com· merci nel Mar Rosso» (Po G., FERRANDO L.: L'opera del R. Marina in Eritrea e Somalia daWoccupazìone al 1928, Roma, 1929, pag. 24).
La questione rimase così impregiudicata e si trascinò per tutti gli anni '70, mentre vaste polemiche si scatenavano in Italia pro e contro l'iniziativa ( 19 ). Poi, nelle agitate vicende politiche del primo decennio del regno unito con Roma capitale, si stese l'oblio su quell'angolo remoto di terra africana. Ci vollero dieci anni perché Assab tornasse di attualità: durante tale periodo, due sole navi da guerra italiane vi approdarono: la Vettor Pisani di cui si è detto e la 1 Scilla nel 1877 (20).
Fu nel 1879 che le cose cominciarono a cambiare. Per dieci anni la Rubattino non aveva preso alcuna iniziativa, per non provocare più violente reazioni egiziane e per non creare difficoltà al governo italiano, cosl che il territorio in questione, sebbene rivendicato a parole in via di diritto, restò di fatto inoccupato. Ma nel frattempo la compagnia di navigazione, che, avendo ottenuto fin dal luglio 1873 una sovvenzione statale per la linea delle Indie , aveva reso mensile il collegamento GenovaBombay, estendendolo nel 1876 fino a Singapore e a Batavia, ampliò i suoi interessi nel Mar Rossù istituendo nel 1878 un servizio di cabotaggio tra Suez, Gedda e Hodeida in Arabia, e
(19) Cfr. L'Africa italiana al Parlamento nazionale, riassunto delle discussioni, interpellanze, disegni di legge, documenti, ecc. riguardanti le colonie italiane in Africa, Roma, 1907.
(20) FIORAVANZO G., VITI G.: L'Italia in Africa, a cura del Ministero degli esteri, vol. II: L'opera della Marina (1868-1943), Roma, 1959, pag. 2.
Suakin nel Sudan (21}, in collegamento con i piroscafi da e per l'Estremo Oriente. Quando poi, nel marzo 1879, il Parlamento bocciò la proposta di accordare al Rubattino un'altra sovvenzione per il prolungamento nel Mediterraneo della linea d'Egitto fino a Cipro e alla Siria; l'armatore decise di concentrare la sua attività nelle comunicazioni con l'Estremo Oriente e ripropose al governo la necessità di porre fine al modus vivendi tacitamente stabilito con l'autorità khediviale e di riaffrontare con decisione la questione di Assab. Effettivamente, a questo punto la pressione del Rubattino fu determinante: egli sapeva che in dieci anni di polemiche e di critiche il nome di quella località era tornato troppo di frequente sulle labbra degli italiani, perché l'opinione pubblica se ne fosse dimenticata; inoltre alcuni avvenimenti, quale il recente sviluppo di una colonia geografica a Let Maregià, la missione di Menelik, le continue esplorazioni dello Scioa e la politica un po' più decisa del terzo ministero Cairoli, avevano riportato alla ribalta politica il problema dell'insediamento italiano sul Mar Rosso (22) : Il 3 marzo 1879 il Rubattino scriveva al segretario generale del ministero degli esteri, conte Tornielli, la nota lettera, nella quale veniva proposto che la nave da guerra, che di li a poco avrebbe trasportato a Zeila una spedizione di esploratori diretti allo Scioa, riprendesse e ultimasse nella baia di Assab i rilievi idrografici e topografici più volte iniziati e mai condotti a termine (23 }. Il suggerimento
(21) Cfr. C. CEsARI: Storia militare della Colonia Eritrea, a cura del Minist7ro della guerra, vol. I (1869-1896), Roma, 1935, pag. 35.
(22) A rinfrescare nella pubblica opinione il ricordo di Assab il Rubattino aveva operato anche facendo stampare a sue spese, nel 1878, presso l'edit. Pellas di Genova, il volume polemico del Sapeto: Assab e i suoi critici, cit.: dr. I.M.G., Copialettere Rubattino, vol. IV, Rubattino a Lombardi e a Sapeto, Genova 23 aprile 1879.
(23) Ibidem, vol. IV, Rubattino a Tornielli, Genova 3 marzo 1879: « Egregio commendatore, sta per partire un piroscafo che condurrà a Zeila la spedizione verso lo Scioa, non sarebbe dunque questa una buona occasione perché quel bastimento facesse una breve sosta in andata nella baia di Assab? ... Ella conosce che quella baia è proprietà italiana, perché sotto il mio nome è proprietà del governo italiano, e credo che esso non debba fu accolto dal Cairoli, il quale autorizzò il comandante De Amezaga, che avrebbe dovuto prendere a bordo del suo Rapido la spedizione Giulietti, a fare scalo ad Assab e a redigere un rapporto sulle prospettive economico-strategiche della baia (24). Tutto doveva però rimanere segreto: invece, la notizia trapelò, così che un giornale, « Il popolo romano», diede in un editoriale l'annunzio della decisione del governo di prendere effettivo possesso di Assab, dopo averla ricomprata dal Rubattino. n timore che nuove polemiche di stampa si scatenassero, dando l'avvio ad una speculazione negativa agli effetti della riuscita di quanto si progettava, costrinse il Cairoli a correre ai ripari, richiedendo all'armatore, per il tramite del prefetto Casalis, di pubblicare una recisa smentita alle illazioni contenute nel quotidiano della capitale: smentita che, il 17 novembre 1879, appariva sul «Corriere Mercantile» di Genova. Con ciò parve che le acque tornassero tranquille, tanto che la notizia suscitò scarse reazioni nell'ambiente politico britannico: non così però in Egitto, dove, a detta del console generale De Martino, si era già al corrente « da varie settimane » dei compiti della spedizione. L'esito, tuttavia, venne salvato dalla concomitanza della blanda reazione inglese con l'attrito insorto nel frattempo tra volere, o farebbe male, abbandonarla Mentre ferve la lotta sulla preferenza a dare al miglior punto per fissare l'attenzione del governo, non sarebbe utile che il comandante e gli ufficiali del piroscafo coi compagni che si recano a Zeila visitassero Assab, e ne portassero al governo una relazione spassionata sulla utilità o no di farne un punto di approdo per il libero commercio e che forse, più facilmente di un altro potrebbe divenire lo sbocco al mare dei commerci che si tenta di iniziare al centro dell'Abissinia? Non giova dimenticare che la Francia non diminuisce le sue tendenze verso quelle regiorù. Abbandonare quella proprietà senza aver esaminato o no la sua utilità, mi parrebbe un'esagerazione... perciò sembrami che anche il viaggio del piroscafo che reca la spedizione a Zeila potrebbe arrecare qualche maggior nuova su questo proposito. Faccia, signor conte, di questo mio suggerimento quel che meglio crede. Non è dettato da alcuna mira interessata, ma solo dal desiderio di giovare ai tentativi che l'Italia fa in vista di migliorare la sua espansione in quei luoghi».
( 24) T aie relazione è reperibile in « Rivista marittima », 1879, ottobre (C. DE AMEZAGA: R. Avviso «Rapido» nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden).
Egitto e Abissinia , nonché da una inaspettata manifestazione di astuta perseveranza da parte del morituro gabinetto Cairoli: infatti, quando giunse notizia a Roma che la Gran Bretagna aveva deciso di inviare una sua unità da gu e rra nel po rto di Massaua, la spedizione italiana era già partita e il governo troppo manifestamente impegnato ormai per poterne decentemente uscire. Le carte erano scoperte: una sola via restava ed era quella di andare avanti. Intervennero poi anche fatti di ordine politico - la costituzione del nuovo ministero Cairoli con l'amm. Acton alla marina in sostituzione del Bonelli che ne aveva retto l'interim negli ultimi undici mesi - di ord ine diplomatico , come il giusto timore che una spedizione organizzata a regola d'arte destasse preoccupazioni in Inghilterra, e persino eventi di ordine meteorologico - una violenta tempesta che mise a dura prova la corazzata V arese destinata in un primo tempo a far parte della missione - i quali tutti cooperarono a far sì che la spedizione partisse in sordina, con un modesto avviso, il piccolo tore, ed un piroscafo di non grandi proporzioni , il Messina, in luogo dell'importante unità da guerra e della nave di linea in precedenza designate. Il trascurabile convoglio non diede nell'occhio a nessuno, passò inosservato per il canale di Suez e giunse alla fine dell'anno in Mar Rosso. Una dimostrazione di forza navale non vi era stata: ma, quel che più conta , la spedizione era stata compiuta.
L'avviso, che era stato posto al comando di quello stesso cap. freg. De Amezaga che pochi mesi prima aveva perlustrato la zona con il Rapido, gettò l'ancora nella rada di Assab il 25 dicembre 1879, subito seguito dal trasporto Messina che recava a bordo materiali, maestranze e tecnici della Rubattino; il 10 gennaio giungeva in rinforzo anche la Ischia . Della spedizione facevano parte il prof. Sapeto e gli esploratori Odoardo Beccari e Giacomo Doria. All'arrivo degli italiani, i capi locali, come fece notare il comandante De Amezaga nel suo rapporto, manifestarono la loro soddisfazione, contando « sulla protezione del no« stro Governo contro le eventuali scorrerie degli Egiziani, fieri « nemici dei Dankali »: ed approfittando di queste buone disposizioni, il Sapeto completò gli acquisti per conto della Rubat- tino, comperando il 30 dicembre 1879 l'isola Darmahiè, già presa in affitto, e le rimanenti isole della baia, e il 15 marzo 1880 tutto il litorale tra Ras Synthiar e Ras Lunah, che chiudono l'insenatura a sud e a nord, per una profondità entroterra variabile da due a quattro miglia; più tardi (15 maggio) acquistò l'isola di Sennabor e la terraferma tra Ras Lunah e Ras Darmah con l'interno per una profondità di sei miglia, ed altri modesti appezzamenti di terreno a nord di Assab. Il 20 settembre dello stesso anno, infine, stipulò un trattato di amicizia con il sultano Berehan di Raheita, estendendo cosi la sfera di influenza italiana a sud sino ai confini del possedimento francese di Obock.
Durante questi mesi, gli equipaggi delle due unità della marina militare si prodigarono intensamente (25), al fianco degli operai della Rubattìno, a costruire le prime ipstallazioni portuali e a creare un minimo di abitabilità nella zona inospitale e selvaggia: sorsero le prime baracche, un pontile di sbarco, uno scalo d'alaggio, un forno , un distillatore, vennero scavati pozzi di acqua dolce, mentre nella baia erano completati i rilievi idrografici dei fondali; furono eseguite ricognizioni in tutta l'estensione del territorio occupato ( 26 ). Per la prima volta, con la discesa a terra di un esiguo drappello in armi. Assab ebbe un, sia pur minuscolo, presidio, che destò preoccupazione negli am- bienti inglesi, al punto che il De Amezaga dovette dichiarare per iscritto al governatore di Aden di aver sbarcato elementi militari non per procedere ad una occupazione ufficiale del luogo, ma soltanto per « proteggere la fattoria Rubattino » ( 27 ). Nel luglio del1880, due unità più importanti, la corvetta Ettore Fieramosca e la goletta Chioggia, presero il posto dell'Esploratore e dell'Ischia, il che permise di intensificare i lavori della stazione marittima, potenziandola con nuove installazioni.
(25 ) Gr. rapporto del comandante De Amezaga: «Quanto di serio, di faticoso e di veramente utile fu fatto in Assab in tempo piuttosto breve, come lo sbarcatoìo di 60 metri, ]o scalo di alaggio, l'installazione del forno e del distillatore, lo scavo dei fossi di acqua dolce, tutto devesi esclusivamente all'opera indefessa degli equipaggi dell'Esploratore e dell'Ischia che durante l'atuale stagione diedero in ogni istante prove convincenti della potenza di abnegazione e dell'ottima indole del marinaio militare italiano ... » (Po-FERRANDO, op. cit ., pagg. 44-45).
(26) Ibidem: « ... mi propongo di organizzare in questi giorni una piccola spedizione accompagnata da buone guide e composta dal Sig. Giulietti, dal Guardiamarina Colombo e da tre marinai volontari per un viaggio di ricognizione tutto attorno ad Assab, dentro un raggio di circa 40 chilometri. Da codesto viaggio si avrà prescindendo dai risultati scientifici, un criterio delle condizioni di sicurezza in cui lo stabilimento di Assab può vivere rispetto al suo vicinato... ».
L'attività degli italiani ad Assab, le opere compiute al fine di attrezzarvi uno scalo, e soprattutto la nomina di un commissario civile, che manifestava la volontà del governo di sostituirsi alla privata amministrazione Rubattino, non mancarono di destare apprensione ed irritazione in Egitto e in Turchia, provocando rimostranze da parte del Khedivè e della Porta, spalleggiati questa volta dalla diplomazia britannica. L'Italia, mentre invitava il CairÒ a produrre, a nome proprio e del Sultano, i titoli dimostrativi della presunta violazione di sovranità da parte nostra, chiedeva agli avversari e al Foreign Office l'impegno a non aggravare la situazione (28) mentre perduravano le discussioni diplomatiche: ma due gravi avvenimenti intetvénnéro ad inasprire il dissidio.
Il primo dei due deprecabili eventi fu il massacro di Beilul. Questa località, situata sulla costa del Mar Rosso a una cinquantina di km, in linea d'aria, a nord di Assab, era in possesso del sultano dell'Aussa, Mohamed Anfari, ed era nelle mire del governo italiano di estendere la protezione su quel potentato indigeno, come si era fatto a sud con il sultano di Raheita. A tale scopo, nel maggio del 1881, una spedizione si diresse a quella volta, capeggiata dal segretario del commissariato di Assab, Giuseppe Maria Giulietti, e dal sottoten. vasc. Giuseppe Biglieri, e composta da dieci uomini del Fieramosca, due connazionali civili e due guide indigene. Il 25 maggio la piccola comitiva, sor- presa nel sonno da armati dancali, venne totalmente sterminata (29). Negli stessi giorni cadeva, a Roma, il ministero Cairoli e ritornava al potere il Depretis, con P. S. Mancini agli esteri e conservando l'amm. Acton alla marina. Venuto a conoscenza della strage, il governo non pensò minimamente ad una azione energica, quale sarebbe stato suo dovere intraprendere trattandosi di un fatto accaduto in una regione giuridicamente vacante, ma commise addirittura l'ingenuità di affidare l'inchiesta sul luttuoso avvenimento proprio agli egiziani, i quali, non essendo affatto contenti della nostra presenza laggiù, afferrarono subito, come era logico immaginare, l'occasione di sminuire sempre più di fronte alla popolazione indigena il prestigio italiano. Nel contempo, il Mancini sollecitava lamentosamente il Foreign Office a voler tollerare che l'Italia rimanesse ad Assab (30).
(27) Ibidem.
(28) Cfr. Libro Verde. Documenti diplomatici, Assab, 1870-1882, Roma, 1882, pag. 21; L. UJIALA: La spedizione di Massaua. Na"azione documentata> Torino, 1888, pagg. 13-15.
(29) Si vedano: CHIALA, La spedizione di Massaua, ecc., cit., pagg. 30 e segg.; M. BARATTA: G.M. Giulietti, 1847-1881, Roma, 1927; A. MARCHESE: G. M. Giulietti, Milano, 1938.
(30) Cfr.la lettera che in quell'oççasione il nostro ministro degli esteri indirizzava all'ambasciatore italiano a Londra (riportata in Pc-FERRANDO, op. cit.): «Al nord di Assab a brevissima distanza dal nostro confine sta Beilul. Gli Egiziani vi hanno, in questo momento, una guarnigione di 50 uomini circa. Trattandosi di un punto vicinissimo ad Assab, ed il più importante di quel tratto della costa, è là soprattutto che ci premerebbe di prevenire l'occupazione di un'altra potenza. E' certo che dopo quanto è occorso alla spedizione del nostro infelice Giulietti, l'eccidio della quale non potè avere finora la giusta punizione, il nostro prestigio, la nostra stessa sicurezza in Assab, subirebbe irreparabile iattura, qualora a Beilul si inalberasse un'altra bandiera o ivi si ritornasse allo stato di completo abbandono che preesisteva parecchi anni or sono alla venuta colà di un presidio egiziano. Raheita, al sud di Assab, già riconosce il nostro protettorato: analoga potrebbe diventare la posizione di Beilul, di modo che dall'una all'altra parte il nostro possedimento avrebbe un'appendice di territorio soggetto all'influenza, se non al dominio dell'Italia, giovando cosl alle sue condizioni di sicurezza, come all'ulteriore svolgimento dei traffici che ivi si possono attirare. Il presente argomento è tale che ci preme anzitutto di avere la certezza di poter procedere di pieno accordo col Gabinetto di Londra. Ci asteniamo quindi da ogni definitiva risoluzione prima di conoscere il pensiero circa questo definitivo progetto. Prego V.E. di voler tosto che Le si presenti occasione propizia e possibilmente senza soverchio indu- gio , richiamare la benevola attenzione di Lord Granville, su queste nostre considerazioni, ed informarsi delle accoglienze che esse saranno per incontrare. Se contro l'aspettativa nostra, il Governo Britannico si mostrasse poco favorevole a questo nostro concetto, ci lusinghiamo quanto meno, che risponderà alla nostra, con pari franchezza facendoci note le sue obiezioni le quali saranno da noi tenute in quel conto che si addice agli intimi rapporti dei due Governi ed al nostro desiderio di mantenerci uniti al Gabinetto di St. James , in tutto ciò che ha qualche attinenza con la questione egiziana ».
L'altro incidente non fu tragico, ma non meno grave. Poco dopo firmato il patto di amicizia con il sultano di Raheita, gli egiziani avevano esercitato pressioni su quest'ultimo, perché recedesse dall'alleanza con l'Italia: tentativo che fu sventato dalla immediata azione del cap. freg. Frigerio, comandante del Fieramosca (31). Nel giugno 1881, essendo subentrata alla Fieramosca la Cariddi, al comando del cap. corv. Resasco, giunse notizia ad Assab che il sultano Berehan era gravemente ammalato, che era fatto oggetto delle insistenze degli egiziani, sbarcati a Raheita con un reparto armato, e che chiedeva aiuto alla potenza protettrice. Intervenuto prontamente con energia, il Resasco scacciò i soldati del Khedivè e sventò il tentativo: ritornò poi a Raheita nel novembre successivo, alla morte di Berehan, per accertarsi che il successore rimanesse fedele all'Italia (32).
( 31) Il governatore egiziano, a bordo della Diaafariah, era andato appositamente a Raheita: ecco quanto narra il Frigerio nel suo rapporto (ibidem): « Sul Djaafariah, per facilitare le relazioni con le tribù Danakil, il Generale Egiziano aveva condotto il figlio del noto Abu-Beker, Pascià indigeno di Zeila. Questi ebbe un abboccamento con Berehan a terra e tentò con ogni maniera di lusinghe e di promesse di indurlo a recarsi dal Governatore, ma tutto invano. Successivi messaggi ebbero lo stesso risultato negativo. Berehan si teneva continuamente in contatto con noi avvisandoci di quanto stava accadendo e confermando che non avrebbe obbedito agli ordini del Pascià a meno che io non glielo avessi comandato. TI che certamente non era nelle mie intenzioni ».
(32) Si veda, ibidem, il resoconto del comandante Resasco: « ...il 20 giugno u.s. alle 6 antimeridiane, imbarcato il R. Commissario ed il medico della Colonia Dott. Nerazzini, muovevo da Assab per Raheita, ancorandovi alle 10,30 antimeridiane. Inviai a terra una lancia con l'interprete arabo. onde annunciare il nostro arrivo, e ricevevo quindi la visita del figlio del Sultano assieme ai principali notabili del paese. Mi diede notizie preocol- panti sulla salute del padre, e mi riferì che il giorno innanzi era giunto in r ada un sambuco egi..dano, da quale era sba rcato il figlio del ben noto AbuBeker con un seguito di 15 soldati regolari completamente armati. Scopo della visita sembrava essere quello di indurre il Sultano Beheran a domandare la protezione del Go\·erno Fgiziano ed alzare la bandiera Kediviale, rinunciando così all'amicizia e protezione del Governo Italiano. Il Sultano si era rifiutato a uli domande, però stava in seria apprensione e riteneva provvidenziale la venuta dello stazionario nella rada. Rimandai subito a terra il figlio del Sultano onde prevenire il padre che alla sera mi sarei recato ad ossequiarlo e che nel frattempo mi sarei interessato della q uestione. La sera scesi a terra insieme al Regio Commissario, alcuni Ufficiali e due medici. Alla spiaggia trovammo una scorta armata c dei cavalli messi a nostra disposizione per fare il tragitto dalla costa a Raheita. In poco tempo si giunse al paese, scendemmo direttamente alla casa del Sultano. Fatti i saluti d'uso domandai, col permesso del R. Commissario, che mi fosse narrato il fatto occorso. Feci chiamare quindi Abu-Beker e gli domandai categoriche spiegazioni L'Egiziano espose subito abilmente e sotto un punto di vista ben diverso, la ragione della sua presenza a Raheita. D isse di aver cercato semplici spiegazioni, ma non volle venire al lato principale della questione. Vedendo che poco si concludeva, pregai il R. Commissario di dire all'Abu-Beker: - Il Comandante della Regia Nave Cariddi non vede documenti onde poter riconoscere in voi alcun carattere ufficiale e quindi non trova nulla a dire circa la vostra visita al Sultano. Trova però strano e sconveniente che voi siate sba rcato assieme a soldati arm ati in un territorio il cui capo gode l'amicizia e la protezione del Governo It alìano. Ciò produce impressioni spiacevoli in paese e potrebbe dar lu ogo a gravi inconvenienti. Vi invito quindi a far cessare questo stato di cose e vi accordo 24 ore di tempo per lasciare Raheita. Nel caso che l'ordine dato non venga eseguito, si regolerà a norma delle istruzioni avute, !asciandovi solo ed interamente responsabile di quanto potrà succedere.Sembra che Abu-Bcker abbia ponderata bene la cosa, poiché nella giornata del 21 imbarcò acqua e viveri disponendo torto per la partenza che, stante il cattivo tempo, ebbe luogo solo alla mattina del 22 ». Ritornata la Cariddi ad Assab per il normale servizio di ricognizione e sorveglianza, il 22 novembre, giungeva un corriere da Raheita annunziando la morte del sultano Beheran: il comandante Rcsasco vi si recò di nuovo, ufficialmente
Fu dunque soltanto la tempestiva azione della marina, in quella circostanza, a salvare la situazione: il governo, anzi che farsi valere al Cairo, non seppe che confidare umilmente nei buoni uf. fici dell'Inghilterra, confermando così negli indigeni la convinzione della debolezza del nostro paese.
I due episodi non mancarono di irritare in patria la pubblica opinione: violenti attacchi furono portati contro il Depretis e il Mancini, accusati di fiacchezza e di mancanza di dignità (33 ). Cosl pungolato, il governo trovò il coraggio di aprire un dibattito diplomatico, non tanto con l'Egitto e la Porta , quanto con Londra, con la quale si arrivò, dopo lunghe trattative , a stringere una convenzione (1882): in questa, come contropartita del riconoscimento britannico della nostra sovranità su Assab, l'Italia si impegnava a non crearvi alcuna fonificazione e a non permettere che vi passasse attraverso alcun traffico d'armi diretto in Etiopia (34). La convenzione sembrava per noi vantaggiosa, e non era. Vi era riaffermata la sovranità della Pona, e quindi dell'Egitto, su tutto il litorale a settentrione di Assab, e questo sarebbe bastato a precludere qualsiasi ulteriore espansione. Ciò non bastava a Turchia ed Egitto, che continuarono a rimostrare: ma il governo italiano, fone dell'approvazione inglese, chiuse la discussione rifiutando ogni ulteriore trattativa con il Cairo ( 3 5) e gli avversari finirono con il lasciar cadere la questione .
Nel frattempo, Assab era diventata ufficialmente una colonia italiana Con la convenzione del 10 marzo 1882, lo Stato subentrava alla Rubattino nell'amministrazione del territorio, corrispondendo alla compagnia di navigazione un indennizzo pagabile in tre rate annuali e stanziando in bilancio una somma di 250.000 lire per le spese di organizzazione del possedimen- per presenziare alle onoranze funebri dello scomparso amico fedele dell'Italia, e riferiva: « ... mi recai quindi a trovare il futuro Sultano e lo tovai benissimo di:>posto a nostro favore. Visto che tutto procedeva bene e che l'ordine regnava ovunque, la mattina del 24 ritornai ad Assab ». to ( 36 ). Del rapido sviluppo della stazione marmuna in quei primi anni di vita sono prova le cifre del movimento del porto, ancora deserto nell'BO, salvo che per la presenza delle unità della marina militare e dei trasporti della Rubattino: nel 1881 vi giunsero e ne ripartirono 650 natanti, nella quasi totalità piccoli bastimenti da cabotaggio approdati per rifornimento; nel1'82, salirono a 860, mentre arrivavano dall'interno le prime tre carovane; nel 1883, il movimento superava le 1.000 unità (37). Ma nessun segno dimostrava che l 'Italia, sistemata bene o male la questione di Assab, intendesse proseguire in una politica coloniale. Erano quelli, tra il 1880 e il 1885, gli anni del rilancio dell'espansione francese, di cui Tunisi fu per noi l'episodio più amaro, dell'inesorabile allargarsi del controllo britannico su tutte le arterie delle grandi comunicazioni mondiali e su immense regioni dei continenti extra-europei ( 38 ), dell'arrogante ingresso germanico nell'arengo coloniale(39), e per noi, invece, gli anni del « sano realismo », delle « mani nette », delle « economie fino all'osso >>, del timore di tutto e di tutti e del complesso di inferiorità verso la Gran Bretagna potente, verso la Francia minacciosa vicina, verso i nuovi alleati della Triplice ( 40 ). Furono poi le mutate circostanze ad annullare per l'Italia gli svantaggi che comportava la convenzione italo-britannica dell'82 ed a sospingere il nostro paese, più nolente che volente, ad allargare la sua influenza ed il suo diretto dominio sulla sponda africana del Mar Rosso.
(.33) Larghi resoconti delle discussioni che si ebbero in Parlamento sono riportati dal CmALA, La spedizione di Massaua, ecc. , cit., pagg. 50 e segg.; si veda anche E. PASSAMONTI: Dall'eccidio di Beilul alla questione di R.aheita, Roma 193 7.
(34) Libro Verde, ci t ., pagg. 19, 56 e 62.
(35) Libro Verde, cit., doc. CCXXVIII, pagg. 194-195.
La grave crisi egiziana del 1882, nella quale la politica manciniana oppose il noto «gran rifiuto » all'invito di Lord Granville a che l'Italia cooperasse con la Gran Bretagna in quella zona (41), e nel biennio seguente l'insurrezione mahdista con la guerra nel Sudan e l'intervento etiopico implicante una minaccia sulle coste del Mar Rosso, e infine l'improvviso riaccendersi dell'interesse francese per l'Abissinia, fecero sì che l'Inghilterra cambiasse atteggiamento nei nostri confronti e che il Mancini si decidesse, mutando politica di colpo, a prendere l'iniziativa in Africa. Già il 29 ottobre 1884 il ministro degli esteri scriveva al Nigra, ambasciatore a Londra, che non avrebbe permesso fosse innalzata a Beilul altra bandiera che non fosse quella italiana ( 42): e mentre ferveva il lavorio diplomatico, era sopravvenuta, ad eccitare l'opinione pubblica, la notizia che negli stessi luoghi, dove era stato massacrato il Giulietti con i suoi compagni, un nuovo esecrabile eccidio era stato commesso dai dancali nella notte tra il 7 e 1'8 ottobre, contro i membri della spedizione Gustavo Bianchi di ritorno dallo Scioa ( 43 ). Il 15 gennaio 1885 il Mancini dava formale assicurazione alla Camera che quel nuovo atto di barbarie non sarebbe rimasto invendicato: e dieci giorni dopo il comandante della corazzata Castelfidardo, il futuro ammiraglio Trucco, sbarcava a Beilul un reparto della marina che, disarmato il piccolo presidio egiziano, prendeva possesso della località ( 44 ).
(36) Si veda CESARI, op. cit., vol. I, pagg. 50-52 (Convenzioni fra il R. Governo e la Società Raffaele Rubattino & C.) e 55-56 (Legge 5 luglio 1882 n. 857: Provvedimenti per la Colonia italiana di Assab).
(37) Cfr. A.C.R.M., busta 200.
(38) Cfr.]. BRIDGE: L'impérialisme britannique: de l'ile à l'empire, édit. franç., Paris, 1910; e SEELEY, op. cit.
(39) Si veda A. ZIMMERMANN: Kolonialpolitik, cit., e Geschichte der deutschen Kolonialpolitik , Berlin, 1914.
( 40) Cfr. GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, cit.
( 41) « Il governo del piccolo Piemonte» scrisse in quell ' occasione il Crispi, contrapponendo al pavido Mancini l'audacia del Cavour «ebbe quel coraggio che oggi manca al Governo d'Italia» (CRISPI: Po litica estera. Memorie e documenti, Milano, 1912, pag. 118) e con tali parole si faceva interprete della maggioranza dell'opinione pubblica italiana ( CHIALA, La spedizione di Massaua, ecc., cit. , pagg. 101-103).
( 42) CHIALA, La spedizione di Massaua, ecc. , ci t ., pag . 130. Non era trascurabile il contrasto con quanto lo stesso Mancini aveva dichiarato al Senato cinque mesi prima, il 22 maggio 1884, sostenendo che era « imprudente e dannoso consiglio l'eccitare l'Italia... a slanciarsi in avventure dispendiose e perigliose in lontane regioni».
( 43) Cfr. C. ZAGHI: L'ultima spedizione africana di Gustavo Bianchi, 2 voll., Milano, 1930.
(44) Nel rapporto del comand. Trucco si legge: «Deciso dunque ad agire, feci scendere a terra all'alba del 25 gennaio 1885 la compagnia ed artiglieria da sbarco, circa 150 uomini, comandati dal Tenente di Vascello Caputo, al quale rimisi le istruzioni opportune; consegnai io stesso la bandiera nazionale a queste forze a terra , che dovevano, occorrendo,
Ma già erano pronti 1 piani per una più vasta ed importante operazione: avendo ottenuto, verbalmente dapprima ( 45) e poi per iscritto ( 46 ), il consenso inglese, era stato approntato un corpo di spedizione al comando del col. Saletta, composto di 800 bersaglieri con 40 ufficiali, che era partito da Napoli il 17 gennaio sul piroscafo Gottardo per destinazione ignota al comandante stesso, il quale apprese soltanto il giorno 31, a Suakin, di dover occupare Massaua. Lo sbarco, effettuato il 5 febbraio, non incontrò resistenza: il comandante egiziano della città, Izzet Bey, si limitò ad una protesta verbale e, per mutuo accordo, la bandiera italiana venne innalzata a fianco di quella egiziana.
Cospicuo fu il contributo che la marina militare. diede alle operazioni. All ' inizio del 1885 essa aveva presenti, riunite in « Divisione navale del Mar Rosso » ( 4 7 ), agli ordini del contramm. Caimi, la corazzata Castelfidardo, l'incrociatore Amerigo Vespucci, la corvetta Garibaldi e le minori unità Esploratore, Barbariga, Messaggero e Vedetta, alle quali si aggiunsero subito dopo la fregata Ancona, la corvetta V ettor Pisani, il piroscafo Conte di Cavour ed una squadriglia di sei torpediniere ( 48 ). Lo schieramento della flotta dinanzi al porto, con le artiglierie puntate sulla città e sulle colline circostanti, fu certamente uno dei principali fattori del pieno risultato conseguito senza spar- essere pronti a difendere, in nome del Re e della Patria, e quindi li feci marciare avanti. Alle ore 9,30 antimeridiane, quando col mio Stato Maggiore ridiscesi a terra per recarmi al porto, ebbi dal Comandante delle truppe il seguente biglietto: - Accoglienza cortese promettente minore diff icoltà di quanto a partenza. Alzo immediatamente l'asta della bandiera e dò il rancio alla gente. Fto Caputo » (Po-FERRANDO, op. cit ., pag. 74). gimento di sangue. In analoga maniera vennero occupate le località viciniori: Arafali, in fondo alla baia di Zula, il 10 aprile con azione dell'avviso Esploratore , Archico nel golfo omonimo il 21 aprile per mezzo della fregata Ancona e 1'8 giugno le isole Dahlac con le torpediniere Procione e Canopo. Venne quindi la proclamazione del protettorato italiano su tutta la costa da Massaua ad Assab, dopo che l'Esploratore ebbe visitato tutti gli approdi del litorale ed ebbe portato a buon esito le trattative con i capi indigeni. La partecipazione della marina fu essenziale in tutte le fasi dello svolgimento del piano di occupazione, non soltanto nell'azione diretta, ma anche e soprattuttO nell ' organizzazione logistica delle operazioni , per cui in quella occasione funzionarono ottimamente tutti i vari servizi, trasporto delle truppe, munizioni, viveri e materiali, protezione dei reparti sbarcati, rifornimento, collegamento delle unità tra loro e con la terraferma e tra i diversi reparti operanti.
( 45 ) Il 20 ottobre 1884, per tramite del rappresentante generale britannico in Egitto sir Evelyn Baring (CIASCA, op. cit , pag. 132).
( 46 ) Blue Book, Egypt, 1885, n . 14, pag. 40, doc. 115: nota di Lord Granville al governo italiano in data 31 dicembre 1884, in cui era detto che il governo inglese satebbe stato lieto se ci fossimo insediati a Zeila, Beilul e Massaua prima di qualsiasi altra potenza.
( 47) Cfr. A.C.R.M., busta 202 e 203.
( 48) Sirio, Sagittario, Pegaso, Canopo, Procione e Centauro: tutte da 39 tonn. con apparato motore della potenza di 450 HP, di recentissima costruzione nei cantieri britannici.
A dicembre , giunto dall'Italia il gen. Genè ad assumere tutti i poteri civili e militari, fu eliminata completamente la residua presenza egiziana con l'allontanamento dei funzionari e soldati del Khedivè rimasti a Massaua ( 49). La funzione della marina militare, nell'assenza di minacce imminenti contro la città e i presidi italiani della costa , fu rivolta al pattugliamento del Mar Rosso, principalmente allo scopo di reprimere la tratta degli schiavi dalle terre etiopiche verso i mercati dell'Arabia, che da secoli vi si svolgeva indisturbata.
A concorrere alla difesa attiva della colonia la marina fu chiamata ancora due anni più tardi, quando , dopo Dogali, nonostante i tentativi inglesi di pacifìcazione (50 ), si venne a delineare una situazione di pericolo e si presero le precauzioni dettate dall'emergenza. In tale occasione, delle dodici unità della flotta presenti in Mar Rosso, la corvetta Garibaldi e il trasporto Città di Genova furono adibiti a navi-ospedale ed ancorati nella rada; le rimanenti navi vennero dislocate tutto intorno alla costa, affinché fossero in grado di battere il terreno circostante alla città a sostegno dei forti e dei centri di resistenza stabiliti dall'esercito ad interdizione delle probabili provenienze di colonne assalitrici abissine (51). Una batteria della marina fu armata nell'avamposto di Gheràr e a bordo di tutte le unità si tennero pronti, qualora ve ne fosse bisogno, reparti da sbarco nella proporzione di un terzo degli equipaggi.
(49) CIASCA, op cit., pag. 150.
(50) A.C.R., Carte Depretis, busta 22, fase. 73, 74 e 75.
Tuttavia la minaccia su Massaua non si attuò e le navi da guerra poterono ritornare ai loro compiti ordinari di perlustrazione e di sorveglianza.
Furono ancora le unità di passaggio nel Mar Rosso o ivi dislocate le prime a prendere contatto con i territori somali sui quali in seguito si sarebbe stabilita una sfera di influenza italiana (52) . L'avviso Rapido del comand. De Amezaga (53) mostrò per la prima volta la nostra bandiera sul litorale oltre Babel-Mandeb nel 1879, quando, dopo lo scalo a Berbera (54) del 23 aprile, sbarcò a Zeila i tre esploratori (55) diretti allo Scioa, e visitò Tagiura; più oltre si spinse nel maggio e giugno del medesimo anno la Vettor Pisani al comando del duca di Genova, diretta in Estremo Oriente (56); e nel 1885 l'avviso Barbariga, dopo aver partecipato alle operazioni di sbarco a Massaua, fu inviato a Zanzibar, con istruzioni di negoziare con quel sultano un accordo commerciale e di esplorare la foce del Giuba, incarichi che furono ambedue condotti a termine soddisfacentemente dal cap. freg. Fecarotta e dall'esploratore Antonio Cecchi, console italiano a Aden (57).
(51) La distribuzione delle forze navali nei settori di difesa fu la seguente: la corazzata Dogali e la cannoniera Scilla nella baia di Dachilia, a nord della penisola di Abd-el-Kader che protegge a settentrione la città, donde le artiglierie di bordo potevano sostenere i forti di Otumlo e della penisola; la cannoniera Andrea Provana nel seno di Taulud, a protezione del litorale fino alla grande diga che unisce Massaua alla terraferma; l'avviso Marcantonio Colonna e i piroscafi Conte di Cavour e Mestre in fondo all'insenatura a sud della diga per proteggere l'imbocco da terra, in appoggio al forte di Taulud; la corazzata Giovanni Bausan con la torpediniera Cariddi e H piroscafo Calatafimi dinanzi alla spiaggia di Archico, per sostenere il trinceramento colà costruito a difesa del paese, tenendo sotto tiro i due sbocchi dai quali si sarebbe potuto presentare il nemico. Il brigantino Miseno, ancorato all'imboccatura del porto, stava in riserva (FIORAVANzo-VITI, op. cit., pag. 4).
(52) Cfr. A. CoRTINOIS: La Somalia italiana, Milano , 1913; G. PIAZZA: Il Benadir, Roma, 1913; A. GArBI: Storia delle Colonie italiane, Torino, 1934.
(53) DE AMEZAGA: R. Avviso «Rapido», ecc., cit.
(54) A Berbera il De Amezaga, agendo energicamente, costrinse il go.vernatore egiziano a restituire ad un italiano ivi residente, tale Marconi, le armi indebitamente confiscategli (FIORAVANzo-VITI, op. cit., pag. 6).
(55) G iulietti, Antonelli e Martini.
(56) Toccò Berbera, Durduri, Bender Marayeh, residenza del sultano dei Migiurtinì, Ras Filuk, l'Elefanta degli antichi romani, e Alula, tristemente nota negli annali marittimi per esser sede delle bande di predoni somali che saccheggiavano le navi naufragate al capo Guardafui. Nel suo rapporto (riprodotto in Po-FERRANDO, op. cit , pagg. 11 e segg.), il duca di Genova scriveva tra l'altro: « ... ammessa l'utilità di una colonia, cosa indiscutibile, se questa dovesse essere al Somal, non sarebbe certo nelle vicinanze del Capo Guardafui, come alcuni vorrebbero, che si dovrebbe mettere il primo piede. Quella parte di costa è rutta orribilmente arida, pietrosa e direi quasi composta di roccie orribilmente sconvolte, ed è infine completamente fuori mano dal resto del paese. Inoltre non vi sarebbe alcun vantaggio a stabilirsi in un punto dove non si potrebbe profittare del commercio dell'interno. Io trovo che il solo punto che realmente sarebbe conveniente di possedere, perché riunisce molti vantaggi, si è Berbera che può dirsi la chiave di rutto il Somal, che fornisce di molti generi Aden, che è il miglior porto dello Scioa e che offre infine una buona via per internarsi in Africa. L'essere Berbera occupata dal governo egiziano non costituisce forse una difficoltà insormontabile ».
(57) Il famoso esploratore, noto per i suoi viaggi in Etiopia e per la lunga prigionia sofferta tra gli abissini, si era imbarcato alla fine del1'84 sulla Garibaldi, quando a questa corvetta doveva essere affidato l'incarico di perlustrare le coste africane. Modificata poi la missione della Garibaldi, dopo la presa di Massaua il Cecchi trasbordò sul Barbariga, comandato appunto dal Fecarotta, per recarsi sul litorale somalo, esaminare, come dicevano le istruzioni suggerite dal Negri, «la condizione politica della regione e la possibilità che il Giuba servisse come via di penetrazione verso l'interno», ed infine trattare con Zanzibar. L'avviso giunse all'isola del sultano alla fine d'aprile, ottenne l'approvazione e l'apl'appoggio del potentato indigeno, poi toccò Lamu, Bur Gabo e Chisimaio, dove i due italiani risalirono il tratto terminale del corso de1 Giuba, raccogliendo informazioni sul regime del fiume; ritornati a Zanzibar, conclusero ad ottobre un trattato di amicizia, commercio e navigazione con il sultano Said Bargash, preludio ad ulteriori trattative per la cessione all'Italia di parti della costa somala sotto la nominale sovranità zanzibarese.
Capitolo Xiii
LE STAZIONI NAVALI ALL'ESWARIO DEL PLATA E NELL'AMERICA LATINA
Nell'estate del 1866, mentre si combatteva in Italia la terza guerra di indipendenza, la divisione navale dell'America meridionale , una volta partita per rientrare in patria la fregata Principe Umberto, era rimasta costituita- come si è visto- dalla vecchia Regina, dalla decrepita e ancor più malridotta Ercole e dalle cannoniere Ardita e Veloce, alle quali si aggiungeva qualche piccola unità noleggiata ed armata di volta in volta sul luogo, come il piroscafo Principe Oddone. Il compito che dovevano svolgere queste poche, superate e inadatte unità era immenso: il comandante della divisione, contramm. Riccardi, non sempre era perciò in grado di rispondere alle numerose richieste di intervento né di far fronte a tutte le eventualità. La situazione era tanto più grave, in quanto continuava , sempre più accanita ed inumana, la guerra tra gli Stati della regione del Plata , quella cui fu dato il nome di « guerra della triplice alleanza » (l), che desolò per vari anni un estesissimo territorio, coinvolgendo le pacifiche popolazioni tra le quali erano cosl numerosi gli immigrati italiani (2). Questa guerra paraguayana, cui si è già accen-
(l) Cfr. al riguardo R. CoRSELLI: Della guerra americana della triplice alleanza, Modena, 1938.
(2) Il VIRGILI, nel suo volume Delle emigrazioni transatlantiche degli italiani, ed in specie di quelle dei Liguri alle regioni del Plata - Cenni economico-statistici, Genova , 1878, pag. 176, calcola che nel 1867 gli italiani in Argentina avessero oltrepassato il numero complessivo di 110.000, su una popolazione totale della repubblica di poco superiore al milione; quelli residenti in Uruguay, su una popolazione molto minore dell'Argentina , erano tra i 50 e i 60 mila. In quegli anni si incrementò grandemente il traffico marittimo tra Genova e le repubbliche del Plata: da una relazione della Camera di Commercio si rileva che tra il 1866 e nato, vide in campo il Brasile, l'Argentina e l'Uruguay, con forze terrestri e navali di assai diversa entità (3 ), coalizzate contro il piccolo ma bellicoso Paraguay del maresciallo Francisco Solano Lopez ( 4 ), e si svolse con alterne vicende tra il 1864 e il 1870, terminando con la completa vittoria dei tre alleati, che devastarono e mutilarono il paese debellato. Ai problemi derivanti dallo svolgersi delle operazioni militari che spesso implicarono le popolazioni civili e con esse le comunità italiane viventi nei centri lungo il Rio Paranà e i suoi grandi affluenti, si sovrapposero quelli originati dai moti rivoluzionari che agitarono l'Argentina e più tardi anche l'Uruguay, fomentati spesso dalle repubbliche andine (Cile e Bolivia} avverse al Brasile e favorevoli al Paraguay: a tanti mali si aggiunse infine anche il colera serpeggiante in tutta la regione. In tali frangenti, la divisione il 1867 le navi partite per il Sud America salirono da 53 a 90 (da 18.500 a 30.500 tonn.) e quelle in arrivo a Genova dal Plata da 42 a 51 (da 12.000 a 15.500 tonn.): tra tali bastimenti, quelli adibiti al trasporto degli emigranti furono certamente non meno di una dozzina nel '66 e di una quarantina nel '67.
( navale italiana operò, con i pochi mezzi disponibili, come meglio poteva.
3) Il Brasile forni costantemente una forza oscillante fra i 30 e i 40 mila uomini e tutta la sua flotta (9 unità con 59 pezzi, aumentata in seguito fino a 18 unità: 7 cannoniere, 7 corvette e 4 corazzate, tra le quali la Bahia di costruzione inglese, armata di cannoni da 150 in torre binata); l'Argentina arrivò raramente a mettere in campo 20.000 soldati; quanto all'Uruguay, le sue forze giunsero talvolta a 5-6.000 combattenti, ma si aggirarono in media sui 1.500.
( 4) Era figlio del defunto Carlo Antonio Lopez, dittatore del Paraguay dal 1844 al 1862, il quale a sua volta era nipote del dott. Francia, che aveva governato con poteri assoluti il paese dal1814 al 1840. La lunga dittatura di questa famiglia fu illuminata e valse a liberare il Paraguay dall'oppressione delle classi privilegiate, la nobiltà di discendenza spa· gnola, il clero onnipotente e l'alta borghesia filo-argentina. Ma l 'ultimo dei tre dittatori, trascinando lo Stato nella guerra contro avversari enormemente più potenti, anche se meno bellicosi, lo condusse all'estrema rovina, al punto che la popolazione, da 1.350.000 anime che contava nel 1863, tra perdite militari, eccidi, carestie e pestilenze, discese a meno di 400.000 abitanti nel 1870: gli uomini adulti si erano ridotti da 300.000 a 28.746 (L. GoMEZ DE TERAN y P. PEREIRA GAMBA: Compendio de Geografia y Historia del Paraguay, Asunci6n, 1879).
A giugJ;lo del 186 7 prese il posto del Riccardi il contramm. Anguissola l- giunto a Montevideo dopo un avventuroso viaggio con il piroscafo Conte di Cavour (5), che tenne il comando per un anno, durante il quale ·la Regina andò per tre mesi in cantiere a Rio de Janeiro per riparazioni e la divisione si trovò ridotta alla cadente Ercole e alle due stanche cannoniere ( 6 ), che alternavano la stazione nei porti di Montevideo e di Buenos Ayres con le crociere lungo i grandi fiumi (7).
(5) Questo bastimento, acquistato dalla marina militare per essere adibito a trasporto, era al comando del cap. freg. Burone Lercari. Sulla rotta da Bahia a Montevideo, si incagliò di notte presso la spiaggia di Coronella a 80 miglia dal Capo S. Maria; dopo l'insuccesso di vari ten· tativi di disincagliarlo., l'amm. Anguissola si decise a sbarcare e a continuare il viaggio per via di terra. Ma il comand. Burone Lercari, restato a bordo con due ufficiali e 60 marinai, approfittò di \lfla mareggiata e, spiegando tutte le vele, aiutandosi con il motore e distendendo ancorotti, riuscl alla fine a far galleggiare la sua nave. Cosl riprese a bordo l'ammiraglio e il resto dell'equipaggio e giunse in ritardo, ma incolume, a Montevideo (LEVA, op. cit ., vol. I, pag. 44).
(6) In A.C.R.M., busta 37, si reperiscono vari documenti di quell'anno e posteriori, nei quali si lamentano le pessime condizioni di manutenzione in cui versavano le due unità sottili: cfr., ad esempio, il ral>' porto del Dehigecoso., comandante della V eloc.e, da Asuncion, in data 26 febbraio 1869: in esso è detto che a bordo della cannoniera, tutto il materiale versava « in condizioni pietose », dalle vele ai bozzelli, ai cavi, alle «munizioni avariate», poiché, purtroppo, la nave non era stata quasi mai rifornita delle sue competenze trimestrali. « Vi sono qui due legni » proseguiva la lettera «uno inglese e l'altro degli Stati Uniti, che risplendono e rivaleggiano in pulizia e bella tenuta. La Veloce potrebbe non umiliarsi al confronto, se avesse non altro che quei mezzi assegnati dalle tabelle delle consumazioni ».
(7) Tra le missioni fluviali delle cannoniere, importanti furo.no quella della Ardita a Mendoza nel gennaio 1867 per la rivolta ivi scoppiata dietro sobillazione del Cile e della Bolivia; quella della stessa unità nel secondo semestre del '67 a Corrientes, nei cui dintorni imperversava la guerra paraguayana; quella della medesima Ardita e della Veloce a Rosario nei primi mesi del '68 durante l'epidemia di colera. Anche a Motitevideo, nello stesso periodo, vi furono torbidi e moti popolari, culminati nell'uccisione del presidente Flores, così che le unità italiane, d'accordo con le altre navi da guerra ivi stazionanti (una fregata e tre cannoniere britanniche, tre fregate spagnole, una fregata e una cannoniera francesi, quattro cannoniere brasiliane e tre statunitensi), misero a terra reparti da sbarco per salvaguardare l'ordine pubblico (A.C.R.M., buste 34 e 35, Archivio Divisione navale dell'America meridionale).
Il peggioramento delle relazioni diplomatiche tra l'Italia e l'Uruguay avutosi nell'ultimo periodo della presidenza Flores indusse il Provana, ministro della marina nel gabinetto Menabrea, e il suo successore Riboty a rinforzare la divisione dando il cambio alle unità più vecchie: così, alla fine del '6 7, venne deciso di inviare in Sud America, al posto della Regina e della Ercole de stinate a rientrare per essere radiate, le corvette Etna ad elica e Guiscardo a ruote, le quali partirono all'inizio del 1868 ma arrivarono a Montevideo non prima di giugno, a causa di vari incidenti, trasportando il nuovo comandante designato della divisione, contramm . Del Carretto {8). Fu nel secondo semestre di quell'anno che l'azione delle unità della marina militare italiana dovette intensificarsi, per la piega pericolosa che avevano preso gli avvenimenti: le due cannoniere, dopo la conquista di Humaità da parte dei tre alleati, ottenuto àai belligeranti il permesso di passare la linea del fuoco, raggiunsero le nuove posizioni su cui si erano attestati i paraguayani ed ottennero, sostenendo le richieste del console generale italiano ad Asunci6n, Chapperon, la liberazione di un centinaio e più di connazionali imprigionati ( 9 ).
(8) Manifestatasi una via d'acqua nello scafo della Etna poco oltre Gibilterra, la nave dovette fermarsi a Cadice per riparare le avarie. I rinforzi inviati nell'America meridionale comprendevano anche la vecchissima ex fregata sarda Hautecombe, declassata nel 1831 a trasporto col nome di Des Geneys e sul punto ormai di essere radiata. L'antico veliero venne destinato a fungere da magazzino, officina e deposito personale: ormeggiato nel porto su bassi fondali, grazie al suo ridotto pescaggio, servl per vari anni anche da ricovero agli ufficiali ed alla bassa forza, tutte le volte che le cattive condizioni meteorologiche impedivano a costoro di raggiungere le proprie unità in rada (LEVA, op. cit., vol. I , pag. 49).
(9) Sulla Veloce aveva preso imbarco il cap. freg. Antonio Sardi, comandante della Guiscardo, il cui rapporto è reperibile in A.C.R.M., busta 37.
Cinque mesi soltanto dopo aver assunto il comando, il contramm. Del Carretto venne sostituito dal cap. vasc. Cesare Yauch. Era per una misura di economia che il Riboty aveva deciso di preporre alla divisione un ufficiale di grado inferiore: e per gli stessi motivi si richiamò inoltre in patria la Guiscardo, che, nel viaggio di ritorno, effettuò una lunga crociera sulle coste del Brasile.
Tra la fine del '68 e i primi mesi del '69, volgendo al temune la guerra del Paraguay, si verificarono nuovi dolorosi avvenimenti nella regione; il Lopez, abbandonando la sua capitale, aveva lasciato dietro di sé devastazioni e cadaveri, tra cui alcuni di italiani; e i vincitori, avanzando, si davano a stragi e saccheggi indiscriminati. La Veloce, al comando del ten. vasc. De Liguori, si adoperò quanto poté per appoggiare l'operato del console Chapperon a protezione dei connazionali ed anche dei sudditi prussiani, su richiesta di quel governo (10). Intanto l'altra cannoniera, la Ardita, operava sulle coste dell'Uruguay dilaniato dalle lotte nuovamente insorte tra « blancos » e « colorados »: azione che dovette abbandonare nell'agosto del 1869, essendo costretta ad accorrere ad Asunci6n per nuove, gravi complicazioni di cui stava per essere vittima il console italiano, salvato in extremis dall'intervento della marina e sottratto alle minacciate rappresaglie del governo provvisorio installato in Paraguay dai vincitori ( 11 ).
(10) Cfr. Ibidem, messaggio del mtmstro italiano a Buenos Ayres, Della Croce, al comandante della Veloce, in data 11 gennaio 1869: «Un dispaccio che mi giunge in questo momento mi annuncia che il governo prussiano ha chiesto la protezione e l'appoggio delle forze navali italiane in favore di tutti i tedeschi della Confederazione del Nord che sono nelle regioni del Plata e segnatame.nte di quelli che potessero trovarsi al Paraguay. Se quindi si presentasse la circostanza, Ella vorrà trattare que· sti ultimi al pari dei R. Sudditi e açcordare loro la medesima protezione e i medesimi favori >>.
( 11) Gli alleati ritenevano che la marina italiana appoggiasse l'odiato « cacique Soiano Lopez e non temevano di formulare le più assurde accuse: dr., sempre in A.C.R.M., busta 37, rapporto del Dehigecoso, cqmandante della Veloce, al cap. vasc. Yauch, del gennaio 1869: «Le do un pezzo di giornale che ho tagliato dal " Federalissa "... Si accusava
Dopo la conclusione dell'infausta guerra settennale, essendosi ristabilita nelle regioni del Rio de la Plata una situazione abbastanza calma (12), anche la divisione navale italiana ebbe un periodo di relativa stasi.
Durante tutto questo periodo, quasi nulla fu la nostra pre· senza sulle coste americane del Pacifico. La Magenta, reduce dall'Estremo Oriente, aveva fatto scalo al Callao dal 12 al 23 il Comandante Manfredi (della Ardita) di intelligenze col tiranno dd Paraguay e si diceva che aveva ricevuto a bordo della nave al suo comando una forte somma di quel mostro, somma che doveva essere messa in salvo nelle banche straniere ... con in più il fatto aggravantissimo che le armi e munizioni dell'Ardita erano state cedute al tiranno». Anche il ministro d'Italia a Buenos Ayres chiedeva ragguagli in merito al comando della divisione navale con una lettera del 16 gennaio (ibidem); « è quindi necessario che Ella voglia, Signor Comandante, procedere ad un'inchiesta ... Al che il cap. vasc. Yauch rispondeva immediatamente, con una recisa smentita del 22 gennaio (ibidem): « ...Risultami in modo esplicito come gli stessi (comandanti delle cannoniere italiane) mai ebbero ad infrangere quei doveri di neutralità che la loro posizione in Paraguay imponeva ».
Effettivamente, le simpatie dei nostri andavano più al Lopez che agli avversari: dr. rapporto del Sardi, cit.: marchese Caxias oltre ad essere molto vecchio, mi ha prodotta l'impressione di essere un uomo ben al di sotto della sua posizione di Comandante in Capo Così il Vice Ammiraglio potrà essere un buon marinaio, ma non credo che sia all'altezza intellettuale che esigesi a coprire l'alta carica ... Nell'accampamento degli Alleati regnano il disordine e la mancanza di vigilanza, la demoralizzazione dei costumi la più sfrenata, il furto il più esteso ed il più sfacciato che comincia dai Capi, primi interessati in tutte le imprese di provvigionamento dell'esercito e della squadra Ciò che è ammirabile nel Paraguay è la disciplina ed il valore dell'esercito ... Certamente che per le Repubbliche del Plata, che sono sempre in uno stato di disorganizzazione sociale, e dove convengono i demagoghi d'Europa, insofferenti di ogni ordine e di ogni governo, uomini rovinati di fortuna e di reputa.Zione, lo spettacolo che offre il Paraguay di uno Stato ordinato e tranquillo, con strade ferrate, telegrafi, fonderie, e che fabbrica nel proprio territorio tutto ciò che gli occorre per la guerra... non è certamente tale da non destare invidie e timori e perciò si grida alla tirannia». Ma, simpatie a parte, non fu possibile dimostrare çhe in alcuna occasione la marina italiana avesse portato realmente aiuto al Lopez.
( 12) Si verificò, per altro, in pieno quanto era stato previsto dal Sardi nel suo cit. rapporto: « O io mi inganno a partito, o parmi che ri- agosto 1867 ed aveva trovato in Perù una pericolosa tensione; quindi, arrivata in Cile, ricevette le ultime notizie da Lima, che indussero il comandante Arminjon a prolungare la sua permanenza nel porto di Valparaiso e a segnalare l'aggravarsi delle agitazioni peruviane ( 13 ). All'infuori di questa nave, dopo la manendo vincitore il Brasile, le Repubbliche del Plata, Paesi disorganizzati, subirebbero la padronanza dd Brasile, e non dubito punto che in allora i molti interessi italiani se non sarebbero compromessi, non eserciterebbero più quella influenza determinante sull'avvenire di questi Stati D ' altronde il Brasile stabilirebbe su queste fiumane, arterie del com· mercio delle Provincie del Plata, una corrente commerciale a detrimento del commercio italiano».
( 13 ) Rapporto del cap. freg. Arminjon al Comando della Divisione navale dell'America meridionale in data 25 ottobre 1867 da Valparaiso (A.C.R.M., busta 36): «La rivoluzione è scoppiata in quella Repubblica e sono quasi due mesi che il generale Canseca si pose in Arequipa a capo del partito ostile al governo dd Presidente Prado, il quale partito ha l'appoggio dd clero. Un battaglione di truppe regolari che aveva le stanze in Arequipa passò ai rivoltosi, dopo di avere ucciso a tradimento e nel modo più vile il colonnello e parecchi ufficiali e il sig. Canseca diede fuori un proclama nel quale chiama il colonnello Prado l'Erostrato del Perù, accusandolo di aver calpestato le leggi del paese, tenuto nessun conto della rappresentanza nazionale, ecc. Dal canto suo il Presidente Prado prese subito le misure più urgenti per frenare il moto il quale minacciava di estendersi con rapidità . .. Non avrei esitato al primo avviso dd pericolo a recarmi a Callao e pormi a disposizione del signor Garron nostro incaricato di affari in Lima ma non credo per ora la situazione abbastanza seria da indurmi ad uscire dalle mie istruzioni. E' quindi mia intenzione partire dopo l 'arrivo dd postale che si aspetta il 27. Rimarrò soltanto se nuove complicazioni sono accadute. Non è però da dissimularsi che la rivoluzione del Perù possa avere nel tempo conseguenze di qualche importanza . Il colonnello Prado è l'anima dell'alleanza delle repubbliche americane contro la Spagna e l'energia di quell'uomo efficacemente seconciata bastò per mandare a vuoto la spedizione marittima che doveva distruggere Valparaiso e Callao e fiaccare l'orgoglio degli antichi coloni separati dalla madre Patria. Se il Governo del Colonnello Prado cade, l'equilibrio sarà scosso dovunque in questi Paesi e gli altri Stati proveranno gli effetti della rivoluzione che principia adesso ad Arequipa. Credo che la presenza di una nave da guerra stazionaria in queste acque sarà indispensabile, per dare ai nostri agenti diplomatici e consolari quella influenza di cui abbisognano in tempi di anarchia crociera della Principe Umberto nel 1865, nessun'altra unità militare italiana mostrò la bandiera in quelle acque fino al maggio del '74, quando la fregata Garibaldi, nel suo viaggio di circumnavigazione di cui si è parlato, ancorò al Callao per 15 giorni e a Valparaiso per una settimana. D'altra parte, non si poteva certo pretendere che la divisione navale di Montevideo, con le scarsissime forze a sua disposizione, potesse distaccare anche per breve tempo un'unità in Pacifico, per quanto ve ne fosse bisogno ( 14).
Se al principio del 1871 era _giunta in rinforzo dall'Italia un'altra vecchia cannoniera, la Confienza ( 15), e se poco dopo era stata spedita anche una moderna corvetta, la Caracciolo, per sostituire l'anziana Etna, per altro nel settembre di quell'anno il Riboty, tornato al dicastero della marina nel gabinetto Lanza, sciolse la divisione navale, retrocedendola a semplice stazione, qual era stata prima del 6 maggio 1865: rimpatriato il cap. vasc. Yauch, a capo della stazione fu posto il cap. freg. Sarlo, comandante della Caracciolo. Era il previsto epilogo di una politica che già da parecchio tempo considerava la divisione navale come un inutile sovraccarico per Io striminzito bilancio della marina e che non riteneva le nostre colonie nei paesi del Plata abbastanza importanti perché si dovessero armare per loro delle costose navi da guerra, concedendo al massimo l'assistenza di piccole unità, parche consumatrici di combustibile nelle crociere fluviali. Si diceva pure che la situazione era mutata nell'America meridionale e che la ritrovata tranquillità delle regioni del
(14) L'inquieta situazione nel Cile e nel Perù era causata in parte, come si desume dal rapporto dell'Arminjon cit. nella nota precedente, dalla strana guerra non guerreggiata che oppose dal 1864 al 1871 quelle due repubbliche sudamericane alla Spagna e che registrò come unici eventi bellici i bombardamenti della flotta spagnola sui porti di Valparaiso e del Callao. Per quanto concerne i rapporti italo-peruviani di quel periodo, è da rammentare che nel 1869 venne stipulato tra Italia e Perù un trattato di navigazione e di commercio (A.C.R.M., busta 11).
( 15) Unico vantaggio di questa antiquata unità era il pescaggio mi: nimo, che la rendeva manovrabile facilmente nelle navigazioni fluviali (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 248).
Plata non giustificava più le spese che la divisione comportava: era vero il contrario, per l'aumento fortissimo della nostra emigrazione, per il suo estendersi a zone limitrofe che prima contavano pochi italiani, come il Brasile meridionale, e per la pochissima fiducia che si poteva nutrire nella stabilità dei regimi degli Stati sudamericani, cronicamente effervescenti ed endemicamente agitati. Si sarebbe potuto piuttosto obbiettare che, di fronte alle nuove flotte createsi in quelle acque, soprattutto di fronte a quella brasiliana fornita di efficienti e moderne corazzate, non molto avrebbero potuto fare, in caso di emergenza, le nostre malandate cannoniere: ma ad un problema del genere era ben difficile trovare una soluzione nel quadro delle modeste risorse disponibili in Italia per la marina.
Per la prima metà del 1872, essendo la Ardita in cantiere a San Fernando per riparazioni, la stazione rimase con la sola Veloce sul fiume Uruguay, la Confienza ad Asunci6n ancora tenuta dalle truppe di occupazione e la Caracciolo alla base: tuttavia la corvetta lasciò anch'essa Montevideo per una crociera di due mesi a Rio de Janeiro (16). Nel gennaio del 1873, giunto l'ordine di rimpatrio per la Caracciolo, questa partl a marzo per l'Italia , ma la solita Guiscardo, che avrebbe dovuto sostituirla, non arrivò che a maggio ( 17 ). Nel 187 4 la Guiscardo venne rilevata dalla Ettore Fieramosca - sempre un'unità a ruoteche per altro, malgrado le sue mediocri qualità nautiche, non impiegò che 64 giorni a raggiungere l'America. Prima al comando del cap. freg. Ruggiero, poi del pari grado Accinni, la Fieramosca tenne la stazione fino al 1877 , quando fu spedita a darle il cambio l'ancor più vecchia Governolo, anch'essa a ruote. Durante il quinquennio, le tre cannoniere in forza restarono sempre le stesse, ormai prossime alla radiazione per limiti di età: si alternarono instancabilmente, arrancando su e giù per l'estuario del Plata e lungo il corso dell'Uruguay, del Paranà e del Paraguay, facendo la spola (18) tra Montevideo, Buenos Ayres, Rosario, Santa Fé, Corrientes, Asunci6n, Paysandù, Salto, Concepci6n e gli altri centri minori in cui dimoravano nuclei di italiani: sorvegliando il traffico fluviale, tenendo d'occhio i moti rivoluzionari ( 19), reprimendo episodi di pirateria (20), contribuendo ovunque al mantenimento dell'ordine e della tranquillità pubblica ( 21 ). Era il massimo che si potesse fare ( 22 ).
( 16 ) Un'ispezione effettuata nel mese di giugno dal contramm. De Viry trovò tutto in ordine, salvo l'appunto di scarsa istruzione militare e marinaresca degli equipaggi delle cannoniere (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 252).
(17) Nave inadatta ai percorsi oceanici, a causa di diverse avarie impiegò non meno di 152 giorni per attraversare l'Atlantico: A.C.R.M., busta 29. Per i movimenti delle unità negli anni successivi, vedi, ibidem, buste 31, 35, 36, 48 e 51.
(18) Questa continua attività delle cannoniere, che del resto costituiva la principale ragione di essere della stazione navale, poneva spesso in difficoltà il comando di Montevideo, combattuto com'era tra le istru:lioni del ministero, che raccomandavano la più rigida economia, e le continue richieste dei consoli, in base alle quali si doveva ordinare alle cannoniere di muoversi e quindi di consumare combustibile: il che causò a volte una certa freddezza nei rapporti tra la marina e la legazione italiana di Buenos Ayres. Alle cannoniere non era possibile risalire i fiumi alla vela o bordeggiare, salvo che nei rari casi in cui il vento favorevole aveva tanta forza da imprimere ai natanti una velocità superiore di due o tre miglia almeno a quella del fiume; quanto ad alimentare le caldaie a legna, espediente a cui ricorrevano i comandanti non di rado per risolvere il problema apparentemente insolubile di navigare contro corrente senza consumare carbone, si veda quanto scriveva in un suo rapporto il comandante Gregoretti della Ardita nel 1874: «L'esperienza dimostrava che per portare la pressione a 20 libbre con sola legna necessitavano tre ore di tempo, e muovendo, la pressione scendeva a 5 libbre e si era impossibilitati quindi a proseguire. Aggiungendo in media tra 80 e l 00 kg di carbone la pressione si manteneva a 16 libbre pennettendo 72 giri. Con tali condizioni potevasi superare la corrente normale, ma in molti luoghi dove questa corre più rapida tra banchi, il bastimento non vincendola, indietreggiava, e per progredire era forza lasciar da parte totalmente la legna e bruciare solo carbone non raggiungendo con ciò che una velocità utile di tre miglia all'ora. n tagliar legna a terra coll'equipaggio oltre ad essere molto faticoso, è limitato a sole poche ore della giornata, il caldo e le zanzare rendendo penosissimo quel lavoro, che ha inoltre l'inconveniente di impossibilitare al lavoro marinaresco tutti coloro che con buona volontà maneggiano l'ascia e la sega. Ben cinque marinai ebbero le mani ferite e necessitarono cure e riposo,. (A.C.R.M., busta 31).
(19) In Argentina si ebbe nel 1873-74 un movimento separatista nella provincia di Entre Rios appoggiato dal gen. Lopez Jordan; nel settembre del '74 scoppiarono moti a Buenos Ayres sedati soltanto alla partenza del gen. Mitre che si rifugiò a bordo della Veloce e con essa abbandonò il paese; in Uruguay arse nel 1875 e nel 1876 la lotta tta le fazioni, dopo la fusione del « blancos » con i « colorados » e la susseguente nuova scissione dei politicanti in « principistas » e « caudomberos »; nel Paraguay, infine, cessata nel maggio 1876 l'occupazione militare da parte delle truppe brasiliane e argentine, si placò in parte la guerriglia che aveva covato durante l'invasione nemica.
(20) Come quando uomini del partito di Lopez Jordan, imbarcatisi in qualità di passeggeri sul piroscafo Portena a Montevideo, se ne erano impadroniti e l'incaricato di affari italiano a Buenos Ayres, sollecitato dal ministro degli esteri argentino, chiese alla Ardita di mettersi alla ricerca dei pirati (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 258).
(21) La situazione rimase tuttavia, in complesso, abbastanza calma, quasi che guerre, ribellioni e moti non alterassero sostanzialmente il modo di vivere delle ormai assuefatte popolazioni: «Dopo 11 anni da che fui qui » - osservava in un suo rapporto il comandante Accinni, che era già stato io America meridionale nel 1866 come secondo ufficiale della Fulminante e quindi era molto al corrente della situazione locale - « ho trovato le condizioni politiche se non per lo meno sullo stesso stato... Ma quello che mi è grato poter assicurare si è che gli stranieri sono lasciati in pace, né essi si mischiano nelle lotte di partito. I nostri connazionali danno prova di saggezza rimanendo estranei alle gare locali ... » (A.C.R.M., busta 51). Il LEVA però (op. cit., pag. 264), giudica l' Accinni troppo ottimista, osservando che «molti erano gli Italiani arruolati come soldati od impiegati governativi, e molti gli interessi che li stimolava.1o a parteggiare », come in effetti era avvenuto più frequentemente nel precedente decennio durante la guerra della triplice alleanza. Questo comportava difficoltà e conflitti di competenza con i governi delle repubbliche del Plata, tanto che, nelle istruzioni alle unità della stazione navale, i rappresentanti diplomatici ribattevano continuamente su questo tasto: dr. lettera del ministro Della Croce in data 22 febbraio 1870:
« L Operare sempre di concerto, per quanto è possibile, coi comandanti degli altri legni da guerra europei che si trovassero in porto;
2. Limitarsi a contribuire al mantenimento dell'ordine in generale ed alla protezione in particolare del consolato italiano e degli interessi nazionali;
3. Astenersi scrupolosamente da qualunque misura che potesse essere in- terpretata come favorevole o sfavorevole ad alcuno dei paruu m lotta;
Non vi è dubbio che nel corso del decennio '70 la situazione in Sud America avesse subito radicali mutamenti, con la nascita delle flotte locali, con l'affermarsi del sentimento nazionale, con la consapevolezza dei progressi compiuti da ciascuna compagine statale e con un•aspirazione, viva in ciascuno Stato, ad un aumento del proprio prestigio. In tali condizioni, le deboli e antiquate unità che l'Italia manteneva laggiù potevano ispirare nelle popolazioni simpatia e amicizia, ma non rispetto della potenza italiana.
4. Non rifiutarsi però di assumere la protezione e la difesa materiale di banche, istituti di credito ed altri pubblici stabilimenti particolarmente stranieri, onde impedire il possibile saccheggio, previo sempre anche in questo caso un accordo coi comandanti degli altri legni; 5. Ipculcare agli italiani di tenersi estranei alla lotta dei vari partiti rendenJo responsabili delle conseguenze coloro fra essi che violassero questo principio di neutralità; 6. Agire di concerto col Regio 7. Infine non ricorrere ad operazioni di sbarco se non è urgente la necessità ed unanime l'accordo dei comandanti» (A.C.RM., busta 37).
(22) L'Accinni, nel suo cit. rapporto, chiedeva esplicitamente se quelle inadeguate navi costituissero una rappresentanza degna della nazione: « Le tre cannoniere » scriveva - « per il loro armamento, per la loro velocità e per il tonnellaggio sono ben lungi dal sembrar navi da guerra, e l'Ettore Fieramosca armato di cannoni di antica fabbricazione ba sublto prove crudeli nel confronto colle navi stazionarie delle altre nazioni, e non dico come fosse maggiormente penoso il confronto con le coraz.. zate argentine. Nel 1865 come rappresentanza di forze al Plata le cannoniere e le corvette a ruote potevano valere qualche cosa, ma oggi che la Repubblica Argentina ha corazzate, la forza della nostra Stazione navale sta soltanto nelle fiamme e nelle bandiere che sventolano sui nostri legni, ed essa è troppo esposta a contestare gli arbitrii della forza maggiore. Il caso per fortuna non è avvenuto, ma potrebbe non tardare. Le Repubbliche del Plata sono ben diverse da quello che erano quindici anni or sono. Allora si chiedevano a gueste repubbliche indennità, trattati, pubbliche sottomissioni colle minaccie: oggi sono forti del diritto moderno ed anche ne abusano. Chi osa più chiedere loro ciò che non assolutamente esige la dignità nazionale? L'Inghilterra si è contentata solo di rompere le relazioni diplomatiche con la Repubblica Orientale (dell'Uruguay) quando i suoi reclami sono rimasti insoddisfatti: quindici anni or sono non avrebbe fatto cosi poco ... La Stazione d'America ba missione
La Governolo, partita il 16 maggio 1877 con le solite severe raccomandazioni di navigare a vela quanto più possibile, riuscì, per le felici condizioni atmosferiche, ad arrivare a Montevideo in soli sessanta giorni: il che avrebbe dovuto rendere il suo comandante, cap. freg. Gonzales, fiducioso di poter compiere quanto dal ministero gli si comandava, di recarsi cioè in crociera nel Pacifico, dove, nello spazio di dieci anni, soltanto due navi di passaggio (23) avevano mostrato la bandiera italiana. Purtroppo, ministro e comandante erano stati ambedue troppo ottimisti: la corvetta a ruote tentò sl, con ostinazione, di passare lo stretto di Magellano, ma fu inesorabilmente costretta, come la Ercole dodici anni prima, a rinunciare e a tornare indietro (24 ). Passò, invece, pochi mesi dopo, l'avviso Staf- come ogni altra nave da guerra all ' estero di proteggere il nostro commercio ed i nostri connazionali, far mantenere inviolati i patti conclusi dai trattati e rispettati i principi del diritto internazionale marittimo. La sua missione, che non ha un carattere speciale, può divenire efficace nelle circostanze di rivoluzione od in caso di guerra; diversamente non ha grande interesse. E' ben vero che l'apparizione di una nostra cannoniera nelle local i tà secondarie dell'Uruguay, del Paraguay e del Paranà desta entusiasmo nelle nostre colonie, ma ci costa qualche cosa, e sarebbe lo stesso se le visite delle no stre navi da guerra vi fossero meno frequenti. Cosicché io credo che si possa lasciare per qualche tempo il rio de la Plata durante l'anno, dal momento che queste navi possono accorrervi in pochi giorni: poiché facilmente le Legazioni possono prevedere l'imminenza di un bisogno qualunque per richiedere l'appoggio della Stazione. D'altra parte vi sono sulla costa del Brasile altre colonie che meritano la nostra assistenza. Un capitano di una nave proveniente da Paraguanà mi diceva che ivi si trovano parecchie centinaia d'italiani miseri e absono questi , a preferenza dei nostri connazionali che abitano Rosario e Pa ysandù, che debbono avere dalla Stazione navale qualche assistenza, se non altro per sollevarne il morale».
{23) La Garibaldi nell874 e la Vettor Pisani nel1876.
{24) Sulle qualità nautiche della. trentenne unità cosl si pronunciava il Gonzales: «Nelle diverse navigazioni su questa costa d'America dove sempre vi è corrente, mare grosso e straordinaria variabilità di venti, con un bastimento come il Governolo si potranno fare molte esercitazioni alla vela per istruzioni dell 'equipaggio, si potrà esser fortunati tanto da fare una corsa in poppa alla vela, ma il bastimento, non stringendo che malamente a sette quarte dal vento, con almeno una quarta di deriva, fetta, al comando del cap. freg. Frigerio, destinato ad una campagna di circumnavigazione, ma richiamato non appena giunto a Valparaiso, dove si era incontrato con l'incrociatore Cristoforo Colombo del comandante Canevaro: così che dovette ripercorrere in senso inverso il canale di Magellano e ritornare a Montevideo, donde più tardi, facendo rotta verso l'Italia, risallle coste brasiliane fino a Pernambuco.
In luogo della stanca e malridotta Governolo il ministro mandò, nel settembre del 1879, la corvetta Archimede, sempre a ruote, al comando del cap. freg. Carabba: lo stesso mese le cannoniere, che tanto avevano operato in condizioni così difficili nella zona del Plata, venivano disarmate, radiate e poste in vendita. Successivamente, giunse dall'Italia ancora una cannoniera di limitata efficienza, la Scilla, con l'ordine al Carabba di far partire per il Pacifico (25) quella delle due unità che apparisse in condizioni migliori. In realtà, c'era poco da scegliere: ambedue le navi, l'una per vetustà, l'altra per difetti di costruzione, erano parimenti inidonee a lunghe missioni oceaniche (26): co- non solo non guadagnerà nulla sui bordi, ma anderà indietro. Se poi è alla cappa non potrà mai mettere le mura al mare e rimarrà traversato con grave pericolo di avarie se non si abbia acqua da correre, o non si possano ingranare le ruote per prendere l'unica cappa adatta per questo bastimento, cioè macchina a piccolo moto e rande terzarolate ». In pessime condizioni era soprattutto l'apparato motore che, sebbene sottoposto a continue rettifiche e riparazioni, ormai non ce la faceva più: i traversoni delle ruote erano marci, i cuscinetti si riscaldavano troppo, le caldaie perdevano e minacciavano di cedere da un momento all'altro, persino gli ingranaggi dell'argano erano così consumati che la catena vi slittava sopra e occorrevano da tre quarti d 'ora a un'ora per salpare l'ancora; si aggiunga che si aprivano in continuazione vie d'acqua nello scafo vetusto e che , per completare il quadro, le pompe funzionavano male (LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 431-439).
(25) A causa della guerra tra Cile e Perù, era già stata dislocata in quelle acque la corvetta Garibaldi, interrompendone il viaggio di circumnavigazione.
(26) La corvetta a ruote Archimede, ex borbonica, mostrava tutti i suoi 35 anni di età; la Scilla, abbastanza recente, aveva una velatura utilizzabile soltanto con vento in poppa e un apparato motore difettoso e munque, il Carabba stabill di recarsi in Pacifico con la corvetta, così che la Scilla restò la sola unità stazionaria a Montevideo. Con la destinazione in America meridionale di bastimenti siffatti, il ministero dimostrava di voler persistere nel criterio di mandare laggiù soltanto navi di scarso o nullo valore militare e di qualità nautiche scadenti. Solamente quando avevano preso imbarco, e soprattutto una volta giunti sul posto, gli ufficiali in comando constatavano fino a che punto fosse arduo, con mezzi simili, perseguire gli scopi proposti agli stazionari. Se l'Accinni aveva fatto presente, nei suoi rapporti, la necessità di poter disporre di unità moderne e ben armate, con zona di azione molto ampia, adibite a frequenti navigazioni ,soste brevi e ripetute, e che intervenissero soltanto nei casi più gravi, il Grandville al contrario, avendo comandato a lungo la Scilla rimasta unica rappresentante della marina militare italiana sulle coste orientali del Sud America, .riteneva che per un buon svolgimento dei compiti assegnati alla marina stessa nel Plata occorressero, come minimo, una corvetta e due cannoniere, da usarsi con i criteri seguenti:
« Lo scopo delle stazioni dovrebbe essere considerato sotto
« i due aspetti separati , di utilità materiale e di utilità morale.
«E' illusorio credere che gli stazionari debbano servirsi del can-
« none: a quest'ultima decisione si deve ricorrere soltanto nel «caso di uno sfregio diretto alla bandiera del bastimento, op-
« pure operando di concerto con altre nazioni... L'utilità mate-
« riale degli stazionari si riduce quindi a missioni quasi sempre
« pacifiche, che sono in generale: squilibrato: dr. rapporto del Carabba al riguardo: « Supponevo la Scilla in più favorevoli condizioni dell ' Archimede per eseguire quella traversata, ma dagli uniti rapporti del Comandante si rileva come quel bastimento non sia in grado di poter proseguire sia per le cattive condizioni della macchina, che per le limitate risorse della sua velatura. L'Archimede non può certo dirsi in favorevoli condizioni non tanto per le sue qualità marine come bastimento a ruote, per il limitato carico di carbone in confronto del considerevole consumo, quanto per la sua età, per la poca velocità e perché impossibile di far uso esclusivamente delle vele come mezzo di locomozione» (A.C.RM., busta 22).
« l ) Assumere informazioni in località distanti dalla sede « delle nostre autorità.
« 2) Coadiuvare le Legazioni ed i Consol2ti nella pro« tezione dei sudditi che si rifugiano presso di essi.
« 3) Facilitare le comunicazioni in caso di agitazioni o « rivoluzioni che impediscano le comunicazioni normali di po« sta e di telegrafo.
« Basandomi sul criterio generale che la nazione più consi« derata è quella che mostra più spesso la propria bandiera, « credo che l'utilità morale consista:
« l) Aumento di considerazione per jl nostro Governo « sulle masse di tutte le nazionalità che in questo paese sono « piuttosto ignoranti e credono a ciò che vedono.
<< 2) Maggiore considerazione nell'opinione pubblica per «l'autorità dei Ministri e dei Consoli, perché con gli stazionari «hanno maggiori mezzi di influenza.
« 3) Influenza sull'autorità delle provincie che devono « comprendere che gli stazionari in numero si mandano dove è « poca stcurezza.
« 4) Incoraggiamento e fiducia per i nostri connazio« nali lontano dalla patria.
« 5) Necessità dell'Italia di trovarsi in prima linea in « qualunque dimost razione pacifica o di avviso di tutti gli sta« zionali esteri» (27).
Purtroppo, l'una e l'altra opinione, sostenibili entrambe e scaturite da una buona conoscenza delle condizioni locali, restavano allo stato di pii desideri.
Nel Pacifico infuriava intanto la guerra del Cile contro la Bolivia e il Perù, che da quell'oceano prese il nome: conflitto accanito, nel corso del quale non .mancarono episodi di terrore e di crudeltà, coinvolgenti a volte cittadini stranieri (28). La corvetta Garibaldi che stava circumnavigando per la seconda volta il globo veniva trattenuta, come si è accennato, al Callao e restò nelle acque· peruviane, teatro della maggior parte della guerra del Pacifico, per più di 18 .mesi; da Montevideo la raggiunse la Archimede, impiegando 83 giorni a passare per lo stretto di Magellano e a risalire le coste occidentali dell' America del Sud. Il comandante della Garibaldi, Morin, protestò più volte presso il ministero perché le due deboli unità rappresentavano assai malamente l'Italia in quella zona di operazioni e ben poco potevano operare in difesa della vita e degli averi dei connazionali in Perù (29). Finalmente il ministro Acton spedl in rinforzo l'incrociatore Cristoforo Colombo che, al comando del cap. vasc. Labrano, si trovava nei .mari settentrionali d'Europa, e l'arrivo di questa moderna unità rese abbastanza efficiente la forza navale italiana al Callao. Ma, sia quando la Garibaldi agiva da sola, sia dopo che le giunse il modesto aiuto della Archimede, sia nella fase finale della guerra con le tre navi riunite, l'azione della marina fu instancabile e preziosa, trasportando profughi, salvando naufraghi, rifornendo viveri, proteggendo navi mercantili, comunità neutrali e connazionali iso- lati, impedendo saccheggi, svolgendo opera sanitaria, cercando insomma in ogni modo di lenire i mali della guerra nei confronti di chiunque, italiano o straniero, chiedesse protezione ed aiuto.
(27) Relazione del cap. freg. Grandville al ministro d'Italia a Buenos Ayres in data 2 giugno ' 1881 (A.C.R .M., busta 64).
(28) Come quando, a Chorillos, il 14 gennaio 1881, dopo la battaglia vinta dai cileni, questi fucilarono un gruppo di cittadini neutrali, tra i quali undici italiani.
(29) «La presenza di due nostre navi sul litorale del Perù nelle attuali circostanze ,. - scriveva in un suo rapporto il Morin - « non solo è utile ma rimane tuttavia inferiore ai bisogni; sicché non devo nascondere a V. E. che i suoi ordini sono giunti completamente a proposito. Solo è da deplorare che l'Italia, la quale ha al Perù la colonia più impor· tante, non possa farvi rappresentare le sue forze marittime più degna· mente »; e in un altro messaggio: « se ad onta di tutte le previsioni dovesse presentarsi l'eventualità deplorevole di dover reagire con fermezza , consideri V. E. in quale condizione si troverebbe un ufficiale, a cui incombe l'alto dovere di tutelare il decoro ed il prestigio della bandiera italiana nella difficile condizione creata dalla guerra del Pacifico, e che dispone per questo scopo della vecchia Garibaldi, alla quale avrà poi l'umiliazione di vedere aggiunto il rinforzo dell'Archimede?». Quando poi arrivò la corvetta a tuote, il Morin amaramente commentava in un terzo dispaccio: « Non devo nascondere a V. E. in aggiunta a quanto ho già scritto su questo soggetto che la presenza dell'Archimede in Pacifico non solo desta la meraviglia e l'ilarità a bordo dei bastimenti da guerra delle altre nazioni, ma provoca i sarcasmi dei giornali,. (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 354).
Con la conclusione della guerra del Pacifico stava per terminare anche il periodo in cui l'Italia era rappresentata - con patetica volontà degli uomini ma con manifesta inadeguatezza dei mezzi - da preistoriche navi. Quando (luglio 1884) alla Scilla subentrò il moderno avviso Staffetta (30), la marina militare italiana mostrò la bandiera in condizioni di inferiorità alquanto attenuate e con un minimo di autorevolezza che fino ad allora era mancato. Se non che, richiamato l'avviso nel maggio del 1885 affinché compisse una crociera nel golfo di Guinea, la stazione di Montevideo rimase abbandonata per diversi mesi: in verità fino dal gennaio il ministero aveva deciso di ricostituire la divisione navale dell'America meridionale ed aveva scelto a farne parte gli incrociatori gemelli Amerigo V espucci e Fl..ivio Gioia (31 ), insieme al Garibaldi e allo Staffetta, ma, per i sopravvenuti avvenimenti d'Africa e per l'invio delle due unità maggiori a Massaua con il conttamm. Caimi, il provvedimento non potè essere attuato che nei primi mesi del 1886. A quell'epoca, il Vespucci ed il Gioia, uniti al Cristoforo Colombo, che dall'Estremo Oriente era stato chiamato sulle coste peru- viane, ed alla cannoniera Sebastiano Veniero (32), costituirono in Sud America un complesso di forze navali rispettabile, efficiente e adeguato (33 ). Tuttavia,, a causa degli eventi successivi, la permanenza della divisione nel settore assegnatole non durò a lungo. Due anni dopo, infatti, non restava più alcuna unità italiana nelle acque sudamericane. Il ,richiamo nel Mediterraneo di tutte le navi dislocate all'estero fu imposto forse dalla minaccia di una guerra con la Francia: non si può tuttavia non osservare che i criteri di distribuzione del naviglio armato mutavano bruscamente troppo spesso, e non sempre in relazione alla situazione politica (34 ). In realtà accadeva frequentemente che le valutazioni personali dei ministri della p1arinacome pure motivi contingenti non raramente sopravalutatifinivano per prevalere sull'esigenza di definire e mantenere organici programmi fondati sulle esigenze di medio e di lungo periodo derivanti dalle effettive necessità di protezione degli interessi italiani nelle varie zone del .globo.
(30) Sebbene non dotato di grandi qualità veliche e non molto adatto a campagne oceaniche per la limitata autonomia di macchina, tuttavia lo Staffetta, varato nel 1876, era nettamente superiore come efficienza alle unità che lo avevano preceduto al rio de la Plata, come è dimostrato anche dal fatto che riusd a trasferirsi oltre Atlantico in un mese soltanto di effettiva navigazione.
(31) Varati nel 1881 il Flavio Gioia e nel1882 l'Amerigo Vespucci, ambedue con un dislocamento di 2.700 tono. ed un motore da 4.000 HP, non avevano una velocità eccezionale, ma erano armati ciascuno con otto modernissimi cannoni Armstrong da 150 su affusti articolati. Erano attrezzati a brigantino a palo e rappresentavano un modello di bastimento intermedio tra le vecchie corvette ed altri incrociatori costruiti di n a poco, più veloci, meglio armati e privi di vele; pertanto, ritenuti ben p::esto sorpassati, non entrarono mai in squadra, ma prestarono ottimamente un lungo servizio in campagne nei mari lontani; più tardi, vennero adibiti a navi-scuola.
(32) Progettata appositamente per essere destinata a navigare sui fiumi del bacino del Plata, la cannoniera era di recentissima costruzione (maggio 1884); aveva una stazza di 650 tonn., una macchina della forza di 1.000 HP e quattro pezzi da 120.
(33) Nelle istruzioni del ministro della marina Benedetto Brin al contramm. Mantese posto al comando della divisione era detto: «Con tal numero di navi, si ritiene siasi provveduto per ora in modo sufficiente alla tutela dei nostri importanti interessi commerciali nell'America meridionale ... Alla S. V. è noto quanto sia numerosa ed influente la popolazione italiana sparsa in quel vasto continente, donde apparisce l'importanza dell'azione vigilante e protettrice che le nostre navi da guerra devono esercitare lungo quei lidi».
(34) Cfr. LEVA, op . cit., vol II, pag. 184.