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3.2 2 Un breve excursus sulle città italiane

avviene in Europa, nel 1892 la Conferenza centrale dei rabbini americani, aderendo

alle tendenze dei riformisti, autorizza per i correligionari la pratica dell’incenerimento (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998, 31).

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Per quanto riguarda più da vicino le cifre sull’appartenenza religiosa (Conti, Isastia,Tarozzi: 1998,94) i dati non hanno rigore scientifico visto che gli autori ci

segnalano solo l’appartenenza per 1457 nomi con sproporzioni numeriche tra una realtà e l’altra. Ad ogni modo se scopriamo che l’89,1% dei cremati è di fede cattolica, il sincretismo italiano fa si che in questo panel ci sia anche un nutrito 5,7% di ebrei e un

5,2% di protestanti. Cifre significative visto che la loro presenza in Italia non è che

minima. In particolare su base regionale le minoranze religiose appaiono in Liguria,

dove i protestanti raggiungevano addirittura il 18,8% e gli ebrei il 5,9% (la Liguria

diverrà una zona portuale strategica con l’avvento dell’Unità d’Italia che fa declinare Livorno come città di libero scambio), eppure in Liguria l’unica città a dotarsi di un crematorio prima del Novecento fu Sanremo (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,47); in

Veneto, dove i primi si attestavano al 10,3% e i secondi al 10,9%. Gli ebrei in Emilia

raggiungono il 7% e in Friuli il 6,1%, mentre la quota dei protestanti tocca un livello

ragguardevole in Umbria (7,5%). Anche in Piemonte e in Lombardia, rispettivamente

con il 5,5% e il 5,7%, i membri delle comunità evangeliche sopravanzavano gli

israeliti, che costituiscono il 3,7 % e il 2,3% del totale. Purtroppo, appare decisamente

il dato riguardante la Toscana, poiché la mancanza di riferimenti relativi a Firenze e

Livorno, dove le due minoranze religiose avevano insediamenti cospicui, fa si che la

componente cattolica risulti di gran lungo più elevata in ambito nazionale con un poco

realistico 97,4% dei cremati. Ma avremo modo di approfondire più avanti il caso

toscano che soprattutto con Livorno rappresenta un’anomalia, non solo italiana ma

europea.

3.2 Un breve excursus sulle città italiane.

In questo paragrafo, lungi dall’essere esaustivi dalle casistiche specifiche, tracciamo in

linea generale alcune informazioni di base sull’andamento della cultura cremazionistica nelle diverse città italiane, prima di concentrarci su casi specifici a noi

più congeniali ed interessanti.

Partendo da Milano come motore caso leader del movimento, tra i followers notiamo

che a differenza dell’élite laica e progressista meneghina, certe frange aristocratiche e la possidenza terriera, schierati politicamente su posizioni più conservatrici

sceglievano la cremazione come una spinta verso una modernizzazione della società

che prevale su quella della laicizzazione come nel caso di Lodi, Cremona e Udine.

(Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,36)

A Torino nel 1881 il finanziere e politico israelita Cesare Goldmann promuove un

comitato per la concessione di un terreno comunale da adibire ad ara crematoria.

L’iniziativa è accolta l’anno successivo con il riconoscimento in ente morale della

associazione. Viene nominato presidente il senatore Ariodante Fabretti. Entro la fine

del 1900 i cremati sono 227. Si tratta di una delle associazioni più influenti a livello

nazionale, avvallata anche dalla presenza di tre logge massoniche cittadine e la

presenza di lasciti cospicui da parte dei soci. Presto la propagazione della cremazione

raggiunge anche Novara (1892), Asti (1883) e Intra (1894).

Bologna, che nei primi del Novecento è la città con più soci è una città che riesce ad

apportare un allargamento della base sociale degli iscritti sotto la correlazione tra

l’associazionismo popolare di matrice laica e matrice democratica-socialista aperta

soprattutto al ceto operaio. Per questa esigenza, la quota associativa può avere per gli

operai una forma di pagamento rateale dilazionato fino a cinque anni, ovvero, deve

essere pagata una quota di 30 lire anche in piani rate fino a 30 o 60 mesi. (Conti, Isastia,

Tarozzi: 1998,41). Eppure, l’onda bolognese di associazionismo cremazionista non

sempre viene accolta in regione: c’è una netta differenza tra Emilia e Romagna (quest’ultima più conservatrice) e non mancano fallimenti anche a Carpi, Parma e

Reggio Emilia (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,42). Questo fenomeno non è legato alla

ruralità. Si nota infatti che sebbene la cremazione riesce ad attecchire anche in qualche

centro agricolo della Padania di maggiori dimensioni, indifferenti saranno il mondo

socialista e repubblicano che conducono la prima costruzione di organi di civicness

(sindacati, partiti, associazioni mutualistiche). (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,95). Per

questi partiti l’ostacolo non sta tanto nel disincanto del mondo in senso classico, quanto

in quello di smaterializzare la loro religione sostitutiva affidata alla politica che nel

moto crematorio non avrebbe trovato, per così dire, un mantra filosofico (Mengozzi,

2000: 113). La cremazione, nota ancora Mengozzi rischia di annullare la pedagogia

della morte che secondo i socialisti - : rischiava di ridurre l’apparato funebre, riducendosi a sfida puramente anticlericale. La Chiesa l’aveva vietata nel 1886 per

ragioni che paradossalmente potevano essere condivise da molti socialisti. La messa

in mora di tutto il simbolismo legato alla morte avrebbe nuociuto non meno alla

“morte rossa”. Ma l’intima “necessità” del simbolismo funebre risiedeva probabilmente nell’autofondazione dell’ideologia materialista, che tronava nella

morte quell’aspetto metafisico di cui era sprovvista in quanto ideologia secolare. La morte rappresentava l’esperienza provata dalla non mondanità assoluta dell’esistenza e costituiva un’esperienza metafisica, che faceva uscire l’ideologia della pura materialità, ma restando nell’orizzonte della storia. (Mengozzi: 2000,117-118)

In Veneto, un importante polo delle idee cremazioniste sarà Padova e non potrebbe

essere altrimenti visto che nel 1857 Ferdinando Coletti, titolare della cattedra di

farmacia dell’Università di Padova è il primo sostenitore della cremazione

(Sonetti:2007,11). È il simbolo di un’avanguardia che in Veneto raccoglie un discreto successo e costituisce una delle aggregazioni più tangibili del laicismo di matrice

liberale in contrasto alla crescente egemonia delle organizzazioni cattoliche. Anche a

Venezia, dal 1882 sarà fondata un’associazione pro-cremazione. (Conti, Isastia,

Tarozzi: 1998,44).

La Liguria, anche essendo geograficamente vicina alla Provenza entro la fine

dell’Ottocento vede spuntare solo un crematorio. Si tratta della città di Sanremo. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,47) Un dato anomalo se pensiamo alla vocazione portuale

di questa regione e alla presenza fitta di ebrei e protestanti (di cui anni prima fece parte

anche il poeta Shelley). Eppure il fermento c’è, a Genova il garibaldino ed esploratore

Luigi Maria D’Albertis costituirà un’associazione nel 1897 e nel 1903 sarà inaugurato

il crematorio. Nell’associazione confluiranno vari esponenti dei circoli mazziniani.

Secondo i dati riportati dall’Enciclopedia della cremazione, nei tempi attuali Genova gode di un’associazione con 15.000 soci e un buon tasso di partecipazione femminile (ben il 37%). Le cremazioni sono aumentate dalle 380 del 1985 alle 1938 del 1995.

(Davies, Mates: 2005, 158, 216-217).

Un laboratorio interessante è la Toscana soprattutto da un punto di vista gestionale.

Qui molti crematori passano dalla gestione associativa a comunale, la partecipazione

popolare si allarga e addirittura a Livorno ci si accolla la cremazione degli indigenti.

Vediamo qualche traccia.

A Firenze la loggia massonica Michelangelo (rito scozzese) richiama anche la

comunità ebraica e la componente femminile è significativa. L’associazione garantisce la gratuità dell’operazione per i propri “ascritti” ed esigeva dal 1890 il pagamento di 100 lire per i non soci.

A Livorno l’associazione raggiunge circa 200 soci e nel giugno 1885 inaugura il tempio crematorio presso il cimitero La Cigna, il bilancio dei primi nove anni fu

l’incenerimento di 141 cadaveri, 120 uomini e 21 donne. Dal 1893 si decise di cedere

impianto dall’associazione al municipio con l’impegno da parte del Comune di Livorno

di accollarsi l’onere di cremare gratuitamente tutti i membri effettivi dell’associazione esistenti a quella data, di esigere una tassa di 40 lire per i nuovi soci e di 50 lire per i

non iscritti su richiesta del consigliere socialista Ezio Foraboschi e in più, il comune si

impegnò a mantenere la prassi introdotta dal sodalizio labronico di effettuare la

cremazione gratuita dei cittadini indigenti che non potevano permettersi spese per la

sepoltura. Un elemento nuovo nella nostra lettura che non fa che allargare la

cremazione ai ceti più bassi della società.

Anche a Pisa nel 1897 il crematoio innalzato nel 1882 passò sotto l’amministrazione comunale per iniziativa di un comitato guidato da Apollonio Apolloni e Giuseppe

Collodi.

Una soluzione diversa a Siena dove la spesa per la costruzione del tempio crematorio,

inaugurato nell’ottobre 1896, venne infatti sostenuta per metà dal Comune, che si riservò la proprietà dell’impianto e ne concesse l’esercizio all’associazione. (Conti, Isastia, Tarozzi : 1998, 48-50).

La costante presenza di una presa in carico da parte delle amministrazioni comunali

cosa rappresenta? È un fattore positivo perché diventa una prassi acquisita o il declino

di una certa capacità del capitale sociale dell’associazionismo che viene meno?

All’inizio del Novecento, in 15 città i templi crematori appartengono alle

amministrazioni municipali: il valore di questa operazione è ambivalente:

 è positivo constatare che l’incenerimento dei cadaveri è di fatto parificato all’inumazione e considerato come uno dei servizi essenziali che il governo locale deve fornire alla cittadinanza.

 il passaggio all’esercizio municipale che vede un passaggio di testimone dell’associazionismo cremazionista, può essere interpretato come una sconfitta

o quantomeno un ripiegamento, segno che non si è raggiunta la stabilità

organizzativa necessaria per sostenere l’onerosa attività.

 L’ingresso sulla scena dei comuni comporta poi il rischio di attività di proselitismo effettuato delle associazioni, che in certa misura è determinato dalla

percezione del rito crematorio, come pratica entrata nella routine e sottoposta al

pari di altri servizi urbani, alle lentezze e alle vischiosità della burocrazia

municipale.

Esiste anche una federazione nazionale: nel 1906 nasce la Federazione italiana per la

Cremazione con sede a Torino. Essa decise di includere fra gli enti federati anche quei

municipi che avevano assunto in prima persona la gestione del servizio di cremazione,

nel 1909 gli impianti in funzione in Italia risultavano essere 31 e 6.404 le cremazioni

complessivamente eseguite a partire dal 1876. (Sonetti, 2007:14). Questa Federazione

ammette anche il principio di reciprocità per la cremazione dei soci di altre città

consorziate.

Nel nord e nel centro Italia, la cremazione ha i suoi risvolti, ma cosa ne è dell’Italia

meridionale? L’agitazione culturale non manca nelle città portuali, ma è soprattutto la

mancanza di un inquadramento burocratico rapido e di un vertice a segnarne

l’immobilismo sul piano pratico. Il sud è quello che fino a ieri era Regno delle Due Sicilie che ha vissuto l’annessione al regno unitario anche in maniera più passiva e con

meno tracce di anticlericalismo. Un’occasione mancata (o una mancata elaborazione del lutto) se si pensa al fatto che la questione igienica sarebbe di impellente attualità:

l’ondata di colera del 1884-85 ha rapido diffondersi di malattie gastro interinali che

uccide 8 mila vittime a Napoli e 3 mila a Palermo meno dei 120 mila morti degli anni

1865-68 che ne fecero 160 mila e delle malattie precedentemente debellate come

vaiolo, morbillo e tifo.

Non ci sono crematori al sud, Napoli fu tra i pochi cimiteri a dar vita a un’associazione e impiantare un tempio crematorio nel cimitero di Poggioreale. Una “società anonima cooperativa per la cremazione dei cadaveri” viene infatti costituita nel 1888 e raccolse

in breve l’adesione di oltre 500 persone, fra le quali figurano molti esponenti della

locale comunità medica e scientifica. Ottenuta nel maggio 1892 l’erezione in ente morale, indizio implicito anche di una certa solidità patrimoniale che nel frattempo è

raggiunta, si adopera inutilmente per strappare al comune la concessione per un’ara crematoria. Ma l’immobilismo burocratico la fa da padrone né valsero a sbloccarne l’iter i numerosi ricorsi presentati anche al consiglio di Stato. Scendono così gli iscritti,

nel 1907 siamo a quota 273. Costretta a chiedere ospitalità per le sue riunioni ad altre

associazioni, l’ “anonima cooperativa” napoletana si limita ad un’opera di proselitismo e di diffusione degli ideali cremazionisti. Si pensi che a Napoli il crematorio vedrà

finalmente luce, ma solo nel secolo successivo, addirittura nel 2016. (Conti, Isastia,

Tarozzi: 1998, 53)

A Taranto, un comitato promotore interclassista sociale raccolse tra il 1891 e il 1892

ben 279 proseliti in pochi giorni. In Sicilia, solo Messina prese posizioni sul tema con

il favore dell’amministrazione ma non si arriva a risultati concreti. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998, 53)

Non dimentichiamo poi che questo excursus non è che un puntellamento dei casi più

noti di cremazione, ma lo scenario italiano, invaso nell’Ottocento dall’obbligatorietà delle sepolture individuali voluto dall’editto di Saint Claude ai tempi di Napoleone trova ancora criticità emergenziali notevoli.

Trasferiti fuori dalle città, i cimiteri sono da quasi un secolo direttamente passati sotto

il controllo pubblico. Certo, in molti casi la sorveglianza dei luoghi è malferma e

distratta; le tombe sono maltenute, specialmente nei villaggi e nelle zone arretrate, le

prescrizioni sanitarie non sono sufficienti e, a volte, non vengono eseguite. Come

risulta dall’inchiesta Bertani, nel 1885 vi sono ancora in Italia 815 comuni senza un

regolare cimitero: c’è ancora l’uso di fosse comuni e 258 cimiteri si trovano ancora all’interno del centro abitato. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,116).

Dopo questo sommario excursus cerchiamo di inquadrare da vicino le realtà più

significative.

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