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I. Le truppe come strumento dell’unificazione nazionale nel pensiero di Melzi

L’esercito italiano e la nascita della questione nazionale.

Abbiamo fino ad ora analizzato quale fu la struttura e l’impiego delle truppe italiane, impegnate su tutti i teatri europei con un grande costo in vite umane. Il loro impegno, oltre che militare, risultò anche politico: sia da parte dei combattenti che da politici ed intellettuali. Le milizie italiane rappresentarono un punto di partenza dell’indipendenza italiana e una continuità ideologica tra le repubbliche giacobine ed il Regno dell’ideale di nazionalità, pur andatosi mitigando sotto il controllo imperiale di Napoleone.

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I. Le truppe come strumento dell’unificazione nazionale nel pensiero di Melzi

Come già citato nell’introduzione, principale sostenitore dell’idea della formazione di una forza armata come strumento fondamentale ai fini dell’indipendenza nazionale fu Francesco Melzi d’Eril, vice-presidente della Repubblica Italiana, Duca di Lodi, Grancancelliere e Guardasigilli del Regno d’Italia. Posta addirittura come condizione (ovvero la costituzione di un esercito italiano) sine qua non della sua accettazione della carica di vice-presidente a Lione nel gennaio del 1802172 . Il proposito di Melzi era quello di formare un armata nazionale completamente nuova rispetto alle truppe formatesi e messe in campo dalle repubbliche giacobine173. Tale proposito derivava dall’assoluta insoddisfazione del vice-presidente della prova di queste truppe durante il crollo del 1799, a suo avviso derivato dall’eccessiva politicizzazione delle truppe e della raccogliticcia struttura su base volontaristica, priva di un forte legame territoriale e sociale.. Inizialmente, il nuovo Ministero della Guerra, pur strettamente controllato e seguito da Melzi, non poté far altro che ristrutturare ed ampliare le truppe ereditate dalla seconda Cisalpina, introducendo la coscrizione. Di fatto, il patrimonio delle idee rivoluzionarie e nazionali, custodito da ufficiali e soldati che militavano fin dal 1796, restò intatto. Nonostante le intenzioni moderate del vice-presidente, volto in primis ad un ideale di indipendenza nazionale, principali sostenitori di queste istanze furono le masse di volontari che si presentarono ai primi appelli del 1796, pubblicati da Napoleone o dalle diverse municipalità e repubbliche. In particolare il gran numero di ufficiali non professionisti, divenuti tali per il ceto di provenienza e per il loro grado di istruzione, che costituì il nucleo fondante di quell’armata che sarebbe poi durata fino al 1814, facendo sopravvivere le idee del ’96 La formazione di reparti eterogenei che ricevettero volontari da tutte le regioni d’Italia (si contarono napoletani, veneti, piemontesi e romani) e militari degli antichi stati italiani o

172 Cfr. Del Bianco, op. cit. , pag. 190 173 Cfr. Ilari, Crociani e Paoletti, Storia militare dell’Italia giacobina

dell’esercito austriaco, il ruolo più politico che militare delle prime unità, contribuirono a legare in maniera inscindibile, sia tra i militari che tra l’opinione pubblica lungo tutto il periodo napoleonico, le truppe e l’idea d’indipendenza nazionale, con più ampio respiro di quello semplicemente “statale”, ma estesi in maniera universale tutta la penisola. La stessa classe ufficiale fu costituita in primis da uomini mossi dall’ideale patriottico quando le istanze di carriera o di ascesa sociale erano ancora lontane. Non i privilegi ma gli ideali spingevano i primi ufficiali volontari, anche in segno di riscatto in opposizione alle antiche classi sociali.

Gli stessi governi giacobini diressero tutte le loro attenzioni verso l’esercito, in quanto erano ben consci del valore politico della loro scelta, della loro esistenza politica e sociale nei confronti tanto delle truppe e del governo francese quanto di quelle austriache e degli stati regionali di ancien regime, obbligandoli a prendere atto delle loro nuove realtà governative in virtù della presenza sul territorio e sui campi di battaglia dei loro reparti armati. I sopravvissuti di queste prime formazioni, riorganizzati in Francia nel 1799 e ridiscesi al seguito di Bonaparte verso Marengo, formarono il primo nucleo della nuova armata italiana. Principale preoccupazione di Melzi fu quella di eliminare, il prima possibile, gli elementi eccessivamente compromessi con il regime giacabino o non disposti a moderare le proprie idee. Altro punto su cui esercitò la propria pressione fu quello dell’estromissione, laddove possibile, degli ufficiali estranei al contesto territoriale del nuovo stato, ovvero di tutti quelli che provenivano dal resto d’Italia e che erano affluiti nella Cisalpina nel ’96, o successivamente al crollo delle altre realtà repubblicane nella penisola (come gli ufficiali veneti dopo Campoformio o i napoletani e romani dopo l’insurrezione sanfedista). Tale proposito fu sicuramente un fattore limitante del diffondersi di un sentimento nazionale unitario ed aperto ai territori ed alle popolazioni di tutta la penisola, ma va ricordato che Melzi, politico preoccupato più di una rapida formazione nazionale all’interno dei confini della sola Repubblica (almeno per il momento), chiuse gli occhi sulla provenienza di molti ufficiali, limitandosi ad impedire successive ammissioni piuttosto che epurando i quadri dello scarno esercito. Se infatti le teorie del vice-presidente portavano ad un rapido contrarsi della classe degli ufficiali, epurata da giacobini, non “nazionali” o eccessivamente incompetenti per il grado ricoperto, la pratica vide un mantenimento nei ruoli di moltissimi di loro, più del doppio del numero necessario al primo nucleo del nuovo esercito. Li si tenne così disponibili per il prossimo rapido ampliamento con la leva, che avrebbe fornito un nuovo modello ideale e concettuale alle truppe, diluendo in grandi numeri i sentimenti giacobini. Quindi il fine ultimo di Melzi e degli ufficiali giacobini era lo stesso: la formazione di uno stato nazionale indipendente, la cui base, difensiva e propagandistica, era l’esercito. Se fra di essi non

ci fu mai una convergenza teorica, dato che quella pratica si attuò nella normale vita e funzione dell’organo militare per i secondi e nel controllo istituzionale dell’esercito per il primo, ciò derivò dall’atteggiamento intransigente del vice-presidente, uomo d’ordine al pari di Napoleone. Abbiamo già visto il pensiero di Melzi a proposito della funzione dell’esercito nei confronti della Francia. Parallelamente ai giacobini, anche per il futuro Duca di Lodi l’esercito venne ad assumere un carattere fortemente politico, ma non più solo come rottura nei confronti dell’ancien regime, che non era più necessario affermare in maniera così decisa come nel 1796, bensì come fenomeno sociale, modello di strutturazione interna della nuova società che viene formandosi sotto la Repubblica prima ed il Regno poi174 . La legge sulla coscrizione determina una vera e propria rivoluzione del costume nella società italiana, come lo era stata peraltro in quella francese, e costituisce un evento drammatico per la popolazione non adusa né preparata a simili obblighi. Ma è uno dei passi fondamentali verso la costituzione di un’idea nazionale comune, superiore ai particolarismi locali ed ai conflitti regionali. In maniera quantitativamente minore, ma simile alla coscrizione post-unitaria od della Grande Guerra, la leva napoleonica riunisce romagnoli, lombardi, veneti, marchigiani, qualificandoli come unico popolo sotto le medesime bandiere ed affratellati dal servizio in armi alla Nazione. Anticipa il valore nazionale che il servizio militare di leva assumerà dagli ultimi decenni dell’ottocento alla sua fine175, per la formazione di un’identità nazionale comune. Nel pensiero del vice-presidente, l’esercito viene a costituire, insieme alla burocrazia amministrativa statale, la base della nuova società, di cui la piccola borghesia diventa espressione. Un’armata nazionale è l’unico mezzo con cui uno stato italiano, formalmente indipendente, poteva garantire la propria, seppur limitata, autonomia e la sicurezza del proprio territorio, fornendo al governo una spada con cui governare. Ultimo punto di cui il futuro Duca di Lodi, da diplomatico oltre che politico, è conscio è la necessità che lo stato italiano ha di affermare la propria esistenza fuori dai propri confini, all’interno del consesso delle altre nazioni europee e di fronte alle antiche monarchie: essendogli di fatto negato ogni atto indipendente in materia diplomatica, dovendo il Ministero degli Esteri muoversi solo nel solco di quello francese, l’unico strumento di affermazione resta l’esercito, usato come vessillo nazionale, sia in tempo di pace che, ancor di più, durante il periodo bellico in tutte le campagne militari che attraversano l’Europa, dal Portogallo a Mosca.

174 Cfr. Del Bianco, op. cit. , pag. 198 175 Il servizio di leva obbligatorio dell’attuale Repubblica Italiana è stato sospeso con legge del 30 giugno 2005 n.115, in vigore dal 1 luglio 2005.

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