NICCOLO' LUCARELLI
Collaboratore del periodico dal 2016
Curriculum vitae di Niccolò LUCARELLI
Niccolò Lucarelli Prato, 1983), laureato in Studi Internazionali, è critico d'arte e teatrale per Artribune e ArtsLife. Collaboratore di Rivista Militare, da storico militare ha pubblicato vari saggi e volumi sulla Prima e la Seconda guerra mondiale, fra cui Italiani in Albania 1939-1945 (2021) e Operazione Bagration. L’Armata Rossa contrattacca (2022). È inoltre attivo come curatore indipendente e, fra i vari, ha firmato progetti espositivi a Villa Torlonia e al Museo Pietro Canonica di Roma, a Palazzo Farnese di Caprarola (Vt), al Museo Archeologico di Salerno, al Pragovka Art District di Praga e alla 257 Arts Gallery di Bujumbura.
Monografile da lui curate:
- Italiani in Albania, 1939-1945, 2021 Delta Editrice, Parma - Operazione Bagration. L’Armata Rossa contrattacca, 2022 Delta Editrice, Parma - Arditi!, 2022, Delta Editrice, Parma - Luigi Capello, fascicolo di supplemento al nr. 2/2023 di Rivista Militare - Camicie Nere in Africa 1923-1943, 2023 Mursia, Milano
Articoli pubblicati su Rivista Militare 2016-n.6 la guerra nel cielo di G. d'Annunzio e l'impresa di Cattaro. 2018-n.1 La guerra del tenente Arturo Stanghellini. 2018-n.3 Una zampa alla Patria. Cani Cavalli e muli nella Grande Guerra. 2019-n.1 Missione "Alba" e la costruzione dell'Albania democratica. 2020-n.2 Nove anni nei Balcani. 2022-n.3 Da 150 anni al servizio del Paese Rivista-militare. 2022-n.4 Esploratori in terra d'africa. Vittorio Bottego. 2023-n.5 Albania, 1943 1945.
ALBANIA, 1943-1945 Il Battaglione "Gramsci" Dopo l'armistizio e la sanguinosa bat taglia di Krujè (1 ), decine di reduci della Divisione "Firenze", cui si uniro no altri della "Perugia" e della "Arez zo", ancora armati di fucili e mitraglia trici leggere, scelsero di continuare a combattere al fianco dei partigiani albanesi. Il comandante della I Briga ta d'Assalto (2), Mehmet Shehu, offrì loro di creare una propria unità e il 9 ottobre 1943 nasceva il battaglione "Antonio Gramsci" con 137 effettivi, al cui comando fu designato Terzilio Cardinali, già Sergente nel 127° reg gimento Fanteria della "Firenze". Il reparto fu organizzato su tre compa gnie: la prima al comando di Romeo Carnelutti, la seconda di Giuseppe Monti e la terza agli ordini di Giovanni Battista Cavallotto. In quei primi giorni il Battaglione fu impiegato in azioni di sabotaggio contro i convogli tedeschi e in assalti contro le caserme della milizia albanese, per impossessarsi di armi e munizioni. Dal 4 novembre fu schierato a Berat, liberata appena il 7 ottobre. Ma il 15 novembre, poten-
do contare sui caccia Messerschmitt Bf-11 0 e su potenti carri armati, i te deschi attaccarono la città; a favorire la manovra, anche il tradimento del capo partigiano Xhelal Staravecka che, in aperto dissenso con Enver Hoxha circa le interferenze di Tito nel la Resistenza albanese, rivelò l'entità delle forze italiane e ordinò al Il Batta glione (dislocato sul fiume Osum ) di abbandonare la posizione, lasciando scoperto il fianco sinistro della città Per colmo di cattiva sorte il partigiano Gjin Marku, che comandava una bat teria d'artiglieria collocata nel castel lo, ai primi colpi sparati dai tedeschi evacuò la posizione, togliendo agli italiani un'altra importante protezione. Alle 5,30 del 15 novembre cominciò l'attacco della 1ooa Divisione tedesca e, nonostante i tentativi di resistenza, gli italiani capirono subito che la situa zione era compromessa; i cadaveri si contavano a decine e dopo cinque ore di aspri combattimenti, furono costret ti a ripiegare. Fra caduti e prigionieri il "Gramsci" perse 146 uomini (3).
Pur provati dalla sconfitta, i militari ita liani decisero di continuare la lotta in sieme ai partigiani albanesi. Soltanto nel gennaio del '44, colmati i vuoti con l'arrivo di altri ex militari, il battaglione si ricostituì e il 21 prese parte alla bat taglia di Tendès sè Qypit, importante posizione montana che chiudeva l'ac cesso verso Klisura e Pèrmet. Qui, al fianco di due battaglioni albanesi, gli italiani affrontarono i Werwo/f, reparti delle SS specializzati nella repressio ne della Resistenza, ma che aveva no lasciato sguarnita quell'importan te posizione; i partigiani riuscirono a occuparla e la mantennero per quasi una settimana, fino a quando un vio lentissimo bombardamento d'artiglie ria li costrinse al ripiegamento sui vil laggi di Malind, Muzhenckè, Strènec e Qeshibes. Diverse decine di italiani persero la vita, ma non si trattò di una sconfitta perché di lì a poco, dai nuovi capisaldi, sarebbe partita l'operazione per la liberazione di Klisura, Pèrmet, Libohova e Voskopoja. Alla fine di febbraio la Wehrmacht
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lanciò un'operazione contro il mon te Tomorr, dov'erano acquartierati lo Stato Maggiore dell'Esercito di liberazione e la rappresentanza mi litare britannica. Ai primi segnali di movimenti tedeschi la I Brigata, che inquadrava il "Gramsci", mosse dalla regione dello Skrapari verso il Tomorr per portare aiuto ai compagni accer chiati. Il cielo coperto impedì all'avia zione tedesca di compiere azioni di disturbo, e questo agevolò la mano vra dei partigiani. Dai primi di marzo ai primi di aprile le montagne dell'Al bania centrale furono teatro di aspri scontri, ma i partigiani combatterono con valore e in un mese liberarono le zone di Kapinovè e Martanesh. Dopo un periodo di riposo, sul finire di maggio il "Gramsci" fu impegnato nell'attacco al presidio tedesco di Su lava per liberare i circa 400 prigionieri del campo d'internamento. L'opera zione cominciò nel pomeriggio del 28: strisciando sul terreno, nascosti tra la vegetazione, gli italiani giunsero a pochi passi dal campo e colsero di sorpresa i pochi tedeschi del presidio che risposero con un fitto fuoco di mi tragliatrici. Poi, quando cominciarono a sparare i mortai delle vicine batte rie tedesche, fu necessario ritirarsi; nell'operazione cadde il caposquadra Aurelio Storaci. Questa sconfitta fu vendicata alcuni giorni più tardi, quan do la piazzaforte tedesca di Ermenji fu annientata da un ben orchestrato at tacco a sorpresa. A seguito della riorganizzazione dell'Esercito di liberazione in Divisio-
entrò nella I Divisione, composta dalla I, IV e V Brigata. In risposta al tentato attacco di Sulova, tedeschi e nazio nalisti lanciarono ai primi di giugno un'altra operazione sul Monte Tomorr: i partigiani furono costretti a faticose marce notturne fra i boschi per sfuggi re all'assedio. Fortunatamente, grazie all'aiuto delle guide, si evitò il nemico e non si ebbero scontri. L'aviazione bri tannica provvide a rifornire i partigiani paracadutando vestiario, viveri, me dicine, armi ed esplosivo al plastico, utile per i sabotaggi dei ponti. Anche grazie alle incursioni italiane - ben quaranta i ponti distrutti in giugno dai guastatori del Battaglione nel settore Polis-Labinot-Cermonike-Dibra - la lotta di liberazione proseguiva inces sante; in luglio il "Gramsci" fu impe gnato sulle colline attorno a Gjoricè, a nord-ovest della città di Dibra, ormai accerchiata e prossima alla liberazio ne. Fu durante questi scontri, per la precisione nell'assalto al villaggio di Strelsa, che 1'8 luglio cadde il coman dante Terzilio Cardinali. Decorato di Medaglia d'Oro alla Memoria, a lui va riconosciuto il merito di aver restituito dignità militare a soldati che avevano perso tutto. Comandante del "Gram sci" divenne Giuseppe Monti. In ago sto il Battaglione fu impiegato nel set tore di Burreli, dove prima costruì una serie di sbarramenti anticarro lungo la strada verso Peshkopi, poi passò all'azione liberando, in poco più di una settimana, Gèrmeni, Rrèmulli, Shtogu, Rrèshen. Alcuni colpi di mano contro i depositi della milizia fascista albanese fruttarono mitragliatrici pesanti Fiat 35
e mitragliatori Breda; nacquero così speciali reparti di tiratori e mitraglieri che potenziarono la capacità di com battimento del Battaglione. Trascorso quasi tutto il settembre a riposo nelle retrovie, in ottobre il "Gramsci" fu trasferito a Vorè, a nord di Tirana, in vista dell'operazione di riconquista della capitale; per tutto il mese furono eseguiti i consueti sa botaggi lungo le principali strade della regione. Gli scontri più duri si ebbero fra il nodo stradale di Vorè e il villag gio di Kashar, che i tedeschi in ritirata dettero alle fiamme; e nel tentativo di aprirsi la via di fuga verso nord, can noneggiarono quasi senza interruzio ne le posizioni italiane. Il "Gramsci" resisté due giorni prima che giunges sero di rinforzo la X e la XXIV Briga ta. Due uomini rimasero feriti, mentre uno rimase ucciso; ben 13, invece, i tedeschi caduti. Ai primi di novembre il Battaglione si spostò verso Tirana, e con una brillante azione riconquistò il ponte sul fiume Erzen; poi, entro il 17 novembre, gli italiani liberarono Farka, Petrelè e Mushqetè. Alcuni reparti del "Gramsci" entrarono invece a Tirana con i partigiani albanesi, ingaggiando una furiosa battaglia strada per strada contro i tedeschi e i nazionalisti; la città fu liberata nel pomeriggio del 17 no vembre. E anche il "Gramsci" ebbe il privilegio di sfilare, il 28, per le vie della capitale. Infine, in dicembre, il Batta glione partecipò alle ultime operazio ni di rastrellamento fra Shkodèr e il confine con il Montenegro. Nel 1944 il Battaglione ebbe 15 caduti, 4 dei quali nella battaglia per Tirana.
Gli uomini del "Gramsci" sfilano nella capitale albanese liberata.
Il Paese andava lentamente pacifi candosi e il "Gramsci", trasformato in Divisione (per riunirvi tutti gli italiani che avevano combattuto a fianco de gli albanesi), fu trasferito nel febbraio 1945 a Miloti, nella regione del Mati, con compiti di controllo del territorio. Poi, a partire dall'estate, cominciarono le operazioni di rimpatrio degli ormai 2.500 effettivi, cui furono lasciate le armi e concessi gli onori militari. Se l'Italia poté salvare il proprio ono re militare in Albania, lo si deve al sa crificio di quei soldati che scelsero di affiancare il movimento di liberazio ne; non fu una scelta facile, ma era l'unico modo per riabilitare la reputa zione della Patria.
NOTE (1) A schiacciante maggioranza dei suoi effettivi, la Divisione "Firenze" co mandata dal Generale Arnaldo Azzi, aderì alla richiesta dell'Ushtria Na cional çlirimtare Shqiptar (Esercito nazionale di liberazione albanese) di occupare la città di Kruje; gli italiani vi presero posizione il 22 settembre, dopo brevi scontri con i tedeschi. All'al ba del 23, supportato dall'artiglieria, il 523 ° Reggimento Granatieri (297a Di visione fanteria della Wehrmacht) at taccò la città. Presto circondati, a corto di viveri e munizioni, gli uomini di Azzi resisterono fino al 25 settembre quan do, sopraffatti dalla maggiore potenza avversaria, furono costretti a ritirarsi, lasciando sul terreno un numero im precisato di caduti. cfr. M. Coltrinari, La resistenza dei militari italiani a/l'e stero. Albania, "Rivista Militare", Roma 1999, pp. 407- 428 (2) La Brigata era parte dell'UNçs, co stituito nel luglio del 1943 al comando di Spiro Moisiu. Enver Hoxha ricopriva invece la carica di commissario politico. (3) Marku fu espulso dal Partito Co munista Albanese subito dopo la bat taglia, con l'accusa di codardia. Stara vecka, invece, riuscì a fuggire in Italia dove fu arrestato per l'eccidio di Gu ri-i-Muzhaqit, avvenuto il 4 novembre 1943 e dove furono massacrati 131 Carabinieri catturati il 24 settembre a Elbasan. Per questo crimine scontò appena due anni di carcere dal 1952 al 1954. Tornato libero, si trasferì in Francia dove morì nel 1975.
BIBLIOGRAFIA Dokumente te Shtabit te Pergjithshem dhe te Komandes se Pergjithshme te Ushtrise Nacionalçlirimtare Shqiptare, 8 Nentori, Tirane 1976. Komiteti Kombetar i Veteraneve te LANç-it, Dosja e partizaneve te huaj (italiane), Tirane 1989. Brunetti, Da oppressori a combattenti per la libertà: gli italiani della divisione parti giana Antonio Gramsci nella lotta di libe razione del popolo, Istituto storico provin ciale della Resistenza, Lucca 1989. Coltrinari, La resistenza dei militari tfaliani a/l'estero. Albania, Rivista Mi litare, Roma 1999. Il monumento ai caduti del "Gramsci", nella città di Berat.
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Personaggi
ESPLORATORE IN TERRA D’AFRICA
di Niccolò Lucarelli
Agli albori dell’avventura coloniale italiana, fra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, diversi esploratori militari contribuirono alla conoscenza di quelle nuove terre. Fra questi Vittorio Bottego, nato a San Lazzaro Parmense nel 1860 da una ricca famiglia del ceto agrario: uomo dal carattere irrequieto e portato all’avventura, forse irrobustito anche dalla lettura di Omero, Dante, Virgilio e Ariosto, a cui la carriera militare sembrava la più adatta ad aprire le porte del mondo. Capitano d’Artiglieria presso la scuola d’equitazione di Pinerolo, nel 1887 chiese di partire per l’Africa e giunse a Massaua nel novembre dello stesso anno, inquadrato nel corpo di spedizione del Generale Alessandro Asinari di San Marzano, pochi mesi dopo la tragica battaglia di Dogali, costata la vita a centinaia di militari italiani. Agli ordini di uno dei superstiti, il Capitano Micheli, prese servizio come addetto a una batteria coloniale, inFDULFR FKH ULFRSUu ¿QR DO GLFHPEUH
Vittorio Bottego
del 1890. Vivendo a stretto contatto con gli indigeni ne studiò con attenzione la cultura e la mentalità. Ad attrarre il suo interesse, però, non era soltanto il lato antropologico dell’Africa; quei paesaggi così diversi dalla pianura del Po lo affascinavano, e quando era libero dal servizio compiva lunghe cavalcate nei dintorni dei baraccamenti per studiare da YLFLQR OD ÀRUD H OD IDXQD ORFDOL &RQ LO passare dei mesi mise insieme una vasta raccolta di vertebrati e invertebrati che inviò al Museo di Storia Naturale della natia Parma, insieme D QXPHURVL UHSHUWL HWQRJUD¿FL FRPH lance, frecce, maschere eritree (1). Nel 1890, il Governatore generale *DQGRO¿ OR LQFDULFz GL VWLODUH XQ SURJHWWR GL PLVVLRQH JHRJUD¿FD QHOOD regione del Giuba che, approvato da Baldissera (dal 1888 Comandante in capo in Eritrea) e dal Ministero degli Esteri, non ebbe seguito a causa della caduta del Governo Crispi. Tuttavia, la sorte riservò a Bottego una seconda opportunità, perché il
Marchese Giacomo Doria, Senatore del Regno e Presidente della Reale 6RFLHWj *HRJUD¿FD ,WDOLDQD JOL SURpose di organizzare l’esplorazione della costa fra Massaua e Assab, pressoché sconosciuta a causa GHOOD VXD SHULFRORVLWj FRQ¿QDYD infatti con le terre di bellicose tribù eritree, che già si erano macchiate degli eccidi delle spedizioni Munzinger, Bianchi e Giulietti. La carovana partì il 1° maggio 1891 ma trascorse appena due settimane e toccata Hache’o arrivò l’ordine di rientrare a causa del rischio di attacchi da parte di bande armate locali. Bottego raggiunse Assab il 25 maggio e, pur nella sua brevità, la missione non fu inutile perché permise di tracciare OD PDSSD JHRJUD¿FD GL TXHO WUDWWR di costa e di catalogare mammiferi e uccelli di specie sconosciute. La relazione “Nella terra di Danakil: giornale di viaggio” (2) accrebbe la reputazione di Bottego come esploratore, al punto che il Marchese Doria decise di dar seguito al vecchio
progetto di esplorare il medio e basso corso del Giuba, che la Convenzione italo-britannica stabiliva come OLPLWH GLYLVRULR WUD OD VIHUD G¶LQÀXHQza di Londra e quella di Roma. Il 30 settembre 1892 la nuova spedizione partì da Berbera, e nel corso di 11 mesi e 22 giorni attraversò la terra degli Agaden, evitò i bellicosi Arussi, che abitavano l’area montagnosa dell’Etiopia centro-meridionale, esplorò l’alto corso dell’Uebi, il medio corso del Giuba e i suoi DIÀXHQWL H SRL SDVVDQGR SHU OD FLWtà di Lugh, la spedizione terminò a Brava l’8 settembre 1893, dopo
Vittorio Bottego nel 1889. Studio IRWRJUD¿FR %DUWRORPHR %DURQL H (QHD *DUGHOOL 3DUPD
aver conseguito importanti risultati, perché chiarì come il Giuba non fosse il proseguimento dell’Omo, PD QDVFHVVH GDOOD FRQÀXHQ]D GHO Daua Parma con il Ganale Doria (a entrambi i corsi d’acqua Bottego aggiunse rispettivamente il nome della città natia e del suo mecenaWH H SHUFKp WUDFFLz O¶RURJUD¿D GL quelle valli. Il resoconto della spedizione apparve nel 1895 per i tipi di Loescher “Il Giuba esplorato”. Ma la spedizione ebbe anche un merito umanitario, perché raggiunta Lugh nell’agosto del 1893, vi trovò Emilio dal Senio e il tedesco Wilhelm Bor-
chardt, già membri della spedizione del Principe Ruspoli, che vi si erano fermati a causa di problemi di salute; divenuti ben presto prigionieri di fatto del Sultano locale, sarebbero quasi certamente morti di stenti se Bottego non ne avesse negoziata la liberazione. Al rientro in Italia, la SoFLHWj *HRJUD¿FD ,WDOLDQD OR LQVLJQu GL una Medaglia d’Oro. Il “mal d’Africa” si era ormai impaGURQLWR GL TXHVWR XI¿FLDOH FKH QHO maggio del 1894 ideò una nuova missione lungo il corso dell’Omo e nella regione a occidente del lago Rodolfo, al di sotto del 6° parallelo,
Il francobollo emesso dalla Repubblica Italiana nel 1960, per il centenario della nascita di Vittorio Bottego.
SHU HVSDQGHUH OD ]RQD G¶LQÀXHQ]D italiana; infatti, l’articolo 2 della citata &RQYHQ]LRQH SHUPHWWHYD GL PRGL¿FDUH LO OLPLWH GHOOH GXH ]RQH G¶LQÀXHQ]D ³SUHYLR DFFRUGR H LQ FRQVHJXHQ]D GL XOWHULRUL HVSORUD]LRQL FKH GHVVHUR FRQWR GHOOH FRQGL]LRQL LGURJUD¿FKH HG RURJUD¿FKH GHO 3DHVH´ La spedizione partì il 12 ottobre 1895 FRQ DOFXQL XI¿FLDOL LWDOLDQL SRUWDWRUL ORFDOL FDPPHOOL H PXOL H LQ QRYHPEUH VXOOD YLD YHUVR /XJK HQWUz VXR PDOJUDGR LQ FRQWDWWR FRQ L 5DKDQXLQ *DVVDU *XGGD XQD SRSROD]LRQH VRPDOD VWDQ]LDWD VXOOD ULYD GHVWUD GHO *LXED LQ XQ DJJXDWR ULPDse gravemente ferito il trombettiere, FKH SHUVH OD PDQR VLQLVWUD 5DJJLXQWD /XJK GRYH SHU LQFDULFR GHO *RYHUQR LWDOLDQR IRQGz XQD VWD]LRQH FRPPHUFLDOH LO GLFHPEUH Bottego riprese la marcia; la caroYDQD V¶LQROWUz LQ XQ WHUULWRULR DULGR FRVWUHWWD D UD]LRQDUH O¶DFTXD H VRIIUHQGR OD VHWH XQD VLWXD]LRQH FKH HVDFHUEDYD JOL DQLPL WDQWR FKH HUDQR IUHTXHQWL OH ULVVH IUD L SRUWDWRUL GLYHUVH GHFLQH GHL TXDOL GLVHUWDURQR 5LVDOLWL LO *DQDQD H LO 'DXD H VXSHUDWR LO YLOODJJLR GL %XUJL LO PDJJLR 1896 la spedizione avanzò in direzione dello Scioa ed entrò nel bacino 68
Rivista Militare I n. 4/2022
GHOO¶2PR XQD UHJLRQH ULFFD G¶DFTXD e dal clima mite, fertile e popolata, GRYH DEERQGDYD OD VHOYDJJLQD 4XL LO PDJJLR %RWWHJR VFRSUu XQ ODJR FKH LQWLWROz DOOD 5HJLQD 0DUJKHULWD O¶RGLHUQR /DJR $ED\D $OOD ¿QH GL JLXJQR DWWUDYHUVDWR LO WHUULWRULR GHOOH WULE 'RFz H 2URPR %RWWHJR SURVHJXu YHUVR LO .DIID H LO OXJOLR UDJJLXQVH LO FRUVR GHOO¶2PR FKH ULVDOu ¿QR DOOD IRFH QHO /DJR 5RGROIR GRSR XQD OXQJD VRVWD SHU L QHFHVVDUL ULOHYDPHQWL JHRJUD¿FL D novembre piegò verso nord-ovest e toccò le rive del Sobat, il più meriGLRQDOH GHL JUDQGL DIÀXHQWL RULHQWDOL GHO 1LOR %RWWHJR SRWp TXLQGL WUDFFLDre la mappa completa del sistema RURJUD¿FR GHOO¶(WLRSLD RFFLGHQWDOH H FKLDULUQH O¶HVWHQVLRQH 0D XQ WUDJLFR HSLORJR VHJQz OD VXD DYYHQWXUD RUPDL VXOOD YLD GHO ULWRUQR VXSHUDWR O¶8ROOHJj QHO PDU]R SHU DWWUDYHUVDUH LO WHUULWRULR $PKDUD IX QHFHVVDULR FKLHGHUH LO ODVFLDSDVVDUH DO 'HJLDF *LRWq GLJQLWDULR ORFDOH FXL %RWWHJR IHFH UHFDSLWDUH XQD OHWWHUD XI¿FLDOH VXOOH SULPH SDUYH DFFRUGDWR FRPH GLPRVWUz OD EXRQD DFFRJOLHQ]D ULFHYXWD QHO YLOODJJLR GL 6DOz 0D OH DVVLFXUD]LRQL GHO 'HJLDF si rivelarono ben presto mendaci: VXSHUDWD -HOOHP OD FRORQQD LWDOLDQD FDGGH LQIDWWL LQ XQ¶LPERVFDWD D VFRSR GL UDSLQD H %RWWHJR IX XFFLVR GD XQ DELVVLQR FKH VWULVFLDQGR IUD OD VWHUSDJOLD ULXVFu D VSDUDUJOL GD GLVWDQ]D UDYYLFLQDWD &DGXWL SULJLRQLHUL L VXRL FRPSDJQL ULJXDGDJQDrono la costa settentrionale somala VROWDQWR LQ OXJOLR H GD Ou ULHQWUDURQR LQ ,WDOLD ,O UHVRFRQWR GHOOD VSHGL]LRne, scritto dal Sottotenente di Fanteria Carlo Citerni e dal Sottotenente GL 9DVFHOOR /DPEHUWR 9DQQXWHOOL IX SXEEOLFDWR GD +RHSOL QHO VRWWR il titolo: “L’Omo; viaggio d’esplora]LRQH QHOO¶$IULFD 2ULHQWDOH´ 3RVWXPD OD 6RFLHWj *HRJUD¿FD ,WDOLDQD FRQIHUu D %RWWHJR XQD VHFRQGD 0HGDJOLD G¶2UR $QFKH LO 5HJLR (VHUcito fece altrettanto con la concesVLRQH GHOOD 0HGDJOLD G¶2UR DO 9DORU 0LOLWDUH QHO HVDOWDQGR LO VXR FRUDJJLR H OH VXH GRWL GL HVSORUDWRUH ,Q¿QH LQ RFFDVLRQH GHO GHFLPR DQQLYHUVDULR GHOOD VFRPSDUVD OD FLWWj GL 3DUPD FRPPLVVLRQz DOOR VFXOWRUH (WWRUH ;LPHQHV LO PRQXPHQWR FKH
ancora oggi troneggia nella piazza antistante la stazione ferroviaria e WUDPDQGD OD PHPRULD GL TXHVWR FRUDJJLRVR HVSORUDWRUH
NOTE (1) Ancora oggi la Sala Bottego ospita O¶LQWHUD FROOH]LRQH HWQRJUD¿FD H ]RRORJLFD GD OXL UDFFROWD IUD LO H LO 3XEEOLFDWD VXO %ROOHWWLQR GHOOD 5HDOH 6RFLHWj *HRJUD¿FD ,WDOLDQD IDVFLFROL H SUHVVR * &LYHOOL 5RPD $QWLFR UHJQR IRUPDWRVL DWWRUQR DO VL HVWHQGHYD WUD LO ¿XPH *RMHE GHO SRSROR *LPLUD QHOOD ]RQD PHULGLRQDOH dell’altopiano etiope, molto fertile e in SDUWH FRSHUWR GL IRUHVWH 7RFFz O¶DSLFH IUD µ H µ H IX DQQHVVR DOO¶(WLRSLD QHO ³'LPRVWUz VDJDFLD DPPLUHYROH QHO GLULJHUH XQD VSHGL]LRQH VFLHQWL¿FR PLOLWDUH QHOO¶$IULFD (TXDWRULDOH DWWUDYHUVR paesi inesplorati e fra popolazioni ostili e bellicose; e spiegò eccezionale coragJLR DWWDFFDQGR FRQ VROL XRPLQL XQ QHPLFR IRUWH GL FLUFD XQ PLJOLDLR GL FRPEDWWHQWL H PRUHQGR HURLFDPHQWH VXO FDPSR IHULWR DO SHWWR H DOOD WHVWD GD GXH FROSL GL DUPD GD IXRFR *REz 3DHVL *DOOD PDU]R ´
Bersaglieri a Massaua in un’incisione di ¿QH 2WWRFHQWR
Notizie e curiosità
di Niccolò Lucarelli
150
DA ANNI AL SERVIZIO DEL PAESE /·,VWLWXWR *HRJUDÀFR 0LOLWDUH
Carta della città di Tripoli, anni Trenta.
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Rivista Militare I n. 3/2022
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Rivista Militare I n. 3/2022
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BIBLIOGRAFIA &DQWLOH $ &DUWRJUD¿D XI¿FLDOH GHOO¶,VWLWXWR *HRJUD¿FR 0LOLWDUH LQ ³,WDOLD $WODQWH GHL WLSL JHRJUD¿FL´ ,*0 )LUHQ]H SS &DQWLOH $ 8I¿FLR WHFQLFR GHO &RUSR GL Stato Maggiore (1861-1872), Istituto ToSRJUD¿FR 0LOLWDUH ,VWLWXWR *HRJUD¿FR 0LOLWDUH RJJL LQ *XDUGXFFL $ D FXUD GL ³0DSSH H SRWHUH 3XEEOLFKH LVWLWX]LRQL H FDUWRJUD¿D QHOOD 7RVFDQD PRGHUQD H FRQWHPSRUDQHD VHFROL ;9, ;,; ´ QXPHUR PRQRJUD¿FR GHO SHULRGLFR ³7UDPH QHOOR VSD]LR TXDGHUQL GL JHRJUD¿D VWRULFD H TXDQWLWDWLYD´ Q /DERUDWRULR ,QIRUPDWLFR GL *HRJUD¿D 'LSDUWLPHQWR GL 6WRULD 8QLYHUVLWj GHJOL 6WXGL GL 6LHQD SS &ROHOOD & /¶,VWLWXWR *HRJUD¿FR 0LOLWDUH la produzione attuale, le tendenze e le prospettive LQ ³%ROOHWWLQR $ , & ´ Q 3HUXJL & 7D¿ & Il Database di Sintesi Nazionale (DBSN) dell’Istituto Geogra¿FR 0LOLWDUH EDQFD GDWL JHRJUD¿FD H EDVH FDUWRJUD¿FD GLJLWDOH LQ ³8QLYHUVR´ Q )RWR FRQFHVVH GDOO¶,VWLWXWR *HRJUD¿FR Militare di Firenze.
NOVE ANNI NEI BALCANI Bosnia Erzegovina 1995-2004, il contributo militare italiano di Niccolò Lucarelli
Terminata la guerra nella ex Jugoslavia, la Bosnia Erzegovina soffriva la situazione più complessa: permaneva infatti una frammentazione etnica - fra bosniaci, serbi e croati distribuiti senza uniformità sul territorio - e religiosa, essendo musulmani i bosniaci e cristiani (ortodossi o cattolici) gli altri. L’indipendenza da Belgrado non aveva, quindi, soltanto motivazioni politiche, ma anche etnico-religiose, avanzate in particolare dalla maggioranza bosniaca musulmana (44% della popolazione). Nonostante la violenta opposizione serba, la Bosnia Erzegovina riuscì a emergere dagli Accordi di Dayton (21 novembre 1995) come una Repubblica federale costituita dalla Federazione di Bosnia ed Erzegovina e dalla Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina; restavano però fondate incertezze sulla reale pacificazione etnica. Per garantire l’effettiva attuazione degli accordi, il 15 dicembre successivo fu emanata in ambito ONU la Risoluzione 1.031, in forza della quale la NATO riceveva mandato di svolgere una missione militare internazionale di peace enforcement, in sostituzione di UNPROFOR, la missione di peace keeping sotto egida ONU che aveva registrato risultati deludenti. Nacque così la forza multinazionale IFOR (Implementation Force) da schierare nella Missione “Joint Endeavour”, che rientrava nel Capitolo VII della Carta
delle Nazioni Unite, secondo cui le regole d’ingaggio del peace enforcement prevedono l’uso della forza non soltanto per legittima difesa ma anche per l’acquisizione degli obiettivi fissati. Contribuirono alla missione i seguenti Paesi NATO: Italia, Benelux, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Portogallo, Spagna, Turchia, Stati Uniti e Regno Unito, affiancati da numerosi Paesi esterni all’Alleanza, fra cui l’Egitto, l’Estonia, la Finlandia, il Pakistan. In totale, furono 36 i Paesi coinvolti. Quello stesso 15 dicembre, il Governo italiano dispose la partecipazione di un contingente dell’Esercito di
2.600 uomini, su base Brigata “Garibaldi”. Cinque giorni più tardi prendeva avvio la missione che segnò alcuni importanti punti di svolta: in ambito italiano per la prima volta si impiegavano soltanto militari professionisti impegnati in una missione che li vedeva in posizione di comando su un contingente NATO (quello portoghese) e su uno esterno (quello egiziano). In ambito internazionale, l’Alleanza Atlantica aveva facoltà d’intervento in un’area geografica non appartenente ai Paesi membri. Furono costituiti tre Comandi di Divisione Multinazionali: Nord, a guida statunitense, con base a Tuzla; Sud
“FU UNA MISSIONE STORICA!”
Parla il Generale Agostino Pedone Primo Comandante del Contingente militare italiano in Bosnia Erzegovina
Ovest, a guida britannica, con base a Banja Luka; Sud Est, a guida francese, con base a Mostar, nel quale era inquadrata la Brigata “Garibaldi”. A quest’ultima fu affidato il controllo di un settore di circa 3.000 chilometri quadrati, compreso fra Sarajevo (sede del comando), Pale e Goradẑe; i primi militari giunsero a Sarajevo il 20 dicembre 1995, ed entro la seconda metà del gennaio ‘96 fu completato l’afflusso di uomini e mezzi. La “Garibaldi”, con reparti di Carabinieri, Genio, Trasmissioni, Guerra Elettronica e con i contingenti egiziano e portoghese, formava la cosiddetta Brigata Multinazionale Sarajevo Nord, con il compito di presidiare i punti sensibili come palazzi istituzionali e snodi stradali, pattugliare il territorio, scortare i convogli degli aiuti umanitari, fornire supporto alla popolazione civile e, infine, distruggere il materiale bellico in eccesso che fosse stato scoperto negli arsenali ufficiali o meno. Il Generale di Brigata Agostino Pedone, primo comandante del contingente italiano, rievocò l’arrivo in città, che «si presentava in modo spettrale e drammatico: mancavano acqua, luce, gas; ovunque vi erano distruzioni di qualsiasi genere; negli occhi della gente, che per paura dei cecchini si muoveva ancora di corsa, traspariva una profonda diffidenza mista a rancore e odio per quanti vestivano un’uniforme militare» (1). Parole indicative di una situazione che aveva causato ai civili
Come cambiò la mentalità dell’Esercito Italiano dopo l’impiego in questa missione, sia a livello interno, per l’impiego di soli professionisti, sia a livello di rapporti NATO? Fu una missione storica. L’Esercito Italiano compì un validissimo salto di qualità. I militari volontari dettero un eccellente contributo, sia operativo sia di mentalità. Trattandosi infatti di una missione che fu l’antesignana del “Peace Keeping”, bisognava adeguarsi a svolgere compiti assai differenziati e, per questa ragione, fu necessario un cambiamento di mentalità anche a livello del singolo militare; in particolare fu richiesta una flessibilità comportamentale che prima non era prevista: ne uscì un soldato più completo, capace di essere anche un poliziotto, un infermiere, uno psicologo ed un assistente sociale. A livello rapporti NATO, con quella missione ci inserimmo in maniera completa ed operativa sul campo nell’Alleanza, aprendo anche rapporti con Paesi non NATO, prima non esistenti.
n. 2/2020 | Rivista Militare
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Fra i compiti assegnati al Contingente, quale fu quello più arduo da assolvere? Non è facile stilare una graduatoria. Però, ancora prima di cominciare, poiché all’epoca il Governo Italiano non riconosceva la Repubblica Serba di Pale, il Comando del Contingente, in prima persona, dovette reperire le strutture alloggiative e superare una serie di difficoltà anche contrattuali per accedervi. Stante il rigido inverno serbo e ovvi motivi di sicurezza del personale, non era pensabile attendarsi. Successivamente si procedette, sul campo, all’interposizione tra le varie fazioni; attività operativa delicata e rischiosa, perché continuarono per un po’ di tempo gli scontri, soprattutto di notte. L’area fra Sarajevo e Pale risultò la più difficile da controllare per la presenza costante di nuclei armati serbi.
Quale fu la risposta della popolazione civile, a livello di collaborazione con il contingente, nel ripristino di un clima di pace? La popolazione, traumatizzata da una guerra fratricida senza precedenti, all’inizio reagì alla nostra presenza con diffidenza e latente ostilità, del resto comprensibili. Ma con il passare del tempo il clima cambiò, anche grazie all’approccio dei militari italiani che, pur operando con fermezza e decisione, seppero instaurare un proficuo dialogo con i civili. Per cui ci fu comprensione del nostro ruolo, nacquero fiducia e solidarietà reciproca, anche grazie alle azioni umanitarie poste in essere dal Contingente; quali ad esempio: le adozioni a distanza dei bambini bosniaci orfani di guerra a cui parteciparono molti Bersaglieri. Molto apprezzato il provvedimento di mettere a disposizione della popolazione l’ospedale da campo per urgenze e casi gravi, nonché l’iniziativa di stampare giornali nella loro lingua che, a mo’ di fumetto, spiegassero ai bambini norme comportamentali da adottare in caso di ritrovamento di mine o oggetti esplosivi.
Cosa le rimane, a livello umano, di questa impegnativa ma fruttuosa esperienza? Senza voler peccare di retorica, mi restano un ricordo ed arricchimento profondo, sia professionale sia umano. Professionale per le difficoltà incontrate nel corso della missione che richiedevano rapide soluzioni ai tantissimi problemi; umano, perché ebbi modo di toccare con mano l’eccezionalità dei miei uomini, professionisti validi e motivati. A loro sono ancora grato e riconoscente anche perché sono convinto che un Comandante non può molto se non dispone di uno Stato Maggiore valido e Soldati all’altezza della situazione. Li porto tutti ancora nel cuore in particolare chi, purtroppo, non è tornato a casa. Recentemente sono stato a Sarajevo e ho visto finalmente una città viva e vivibile, che manifesta appieno ed in retrospettiva l’eccellente lavoro svolto all’epoca.
violenze materiali e psicologiche di ogni sorta. Si trattava quindi, in primo luogo, di ricostruire un tessuto sociale, di cancellare la diffidenza fra le etnie, di riportare fiducia nelle istituzioni, di restituire dignità a persone che per anni avevano vissuto nascondendosi per sfuggire ai cecchini e alle bombe. In giugno la “Garibaldi” fu avvicendata dalla “Folgore”, comandata dal Generale di Brigata Bruno Viva (sostituito dopo 5 mesi dal Generale di Brigata Luigi Cantone) la quale continuò nell’attività di interposizione fra le etnie del Paese, contribuendo a ristabilire un clima di concordia e di pace. Inoltre, proseguirono le operazioni di distruzione delle armi non registrate, fra le più importanti delle quali ci fu la “Vulcano”, con cui furono “neutralizzate” 300 tonnellate di munizioni stoccate nel deposito di Margetici. Fra i momenti chiave della Missione, le elezioni del 14 e 15 settembre 1996, passaggio fondamentale per confermare o meno la normalizzazione del Paese e l’inizio del percorso democratico. In un’intervista rilasciata all’epoca a Radio Radicale (2), il Tenente Colonnello Iacono, del contingente militare italiano a Sarajevo, spiegava come l’”Operazione Mercury”, in supporto alle votazioni generali, che consisteva nel controllo dell’afflusso dei votanti nell’area di competenza italiana (su cui insistevano circa 450 seggi) e nell’attività di prevenzione di incidenti fra etnie, avesse dato buoni risultati: si erano verificati solo due interventi in altrettanti seggi di Sarajevo, quando due persone non registrate avevano cercato comunque di votare (la situazione era stata sbloccata con l’intervento dell’OSCE, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). Nonostante i primi risultati positivi, sul finire di quel medesimo settembre ci fu incertezza sul prosieguo della missione a causa di un possibile ritiro statunitense ma con la rielezione alla presidenza, in novembre, di Clinton si confermò la presenza USA e il 12 dicembre 1996 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU varava, con la Risoluzione 1.088 la nuova forza multinazionale di pace, denominata SFOR (Stabilization Force), che con la missione “Joint
Guard” doveva “stabilizzare gli effetti del piano di pace, prevenire l’insorgere di nuovi focolai di tensione, ripristinare le condizioni minime di convivenza sociale e favorire la ricostituzione delle istituzioni civili del Paese” (3). La prevista durata di 18 mesi, con scadenza al 20 giugno 1998, fu più volte prolungata fino al 2004. In quegli otto anni si alternarono nel comando altrettanti Generali statunitensi, fra cui John B. Sylvester, già comandante della famosa Tiger Brigade durante la prima Guerra del Golfo, e Eric Ken Shinseki, che fu Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dal 1999 al 2003. Il 20 dicembre 1996 prendeva avvio la missione NATO riconfigurata. La partecipazione italiana fu autorizzata dal DL 31 gennaio 1997, con un primo termine al 31 dicembre 1997, successivamente prorogato fino alla sua conclusione. In una logica operativa che doveva implementare la stabilizzazione sociale e ripristinare la convivenza fra etnie, il contingente (costituito adesso da 1.700 uomini) fu investito di nuovi compiti, oltre a quelli già assunti: doveva infatti vigilare sul rientro in sicurezza dei profughi di guerra, monitorare l’ordine pubblico, addestrare le forze di polizia, contrastare la criminalità locale. Superata con IFOR la fase di emergenza, SFOR gettava le basi per la rinascita del Paese. L’attività italiana si presentava molto delicata, in particolare a Pale (ex capitale della Repubblica serba di Bosnia) e a Gorazde (enclave musulmana in territorio prevalentemente serbo). Nell’aprile 1997, poi, ebbe luogo l’evento forse più delicato dell’intera missione: la visita a Sarajevo, il 12 e 13, di Giovanni Paolo II, la cui sicurezza venne affidata all’Italia che coordinò nelle operazioni di sorveglianza la polizia bosniaca e gli altri contingenti presenti. Una visita storica, in un momento cruciale per il destino della Bosnia, che si svolse senza incidenti grazie all’efficienza del servizio di sicurezza dei nostri militari. In giugno la missione fu ulteriormente prorogata, assumendo la denominazione di “Joint Forge”, e al contempo continuò la riduzione della presenza militare in favore di un coinvolgimento sempre maggiore delle forze di polizia
locali, opportunamente addestrate, e delle istituzioni politiche e civili. Per questo, in luglio fu lanciata l’Operazione “Secure Beat”, per il controllo e il ridimensionamento di tutte le forze speciali serbe, che avrebbero dovuto avere solo compiti di polizia mentre in realtà avevano natura militare. In dicembre, il contingente italiano fu ulteriormente ridotto a 1.400 unità. Fra i reparti che prestarono servizio in Bosnia, si aggiunse anche, a più riprese, la Brigata “Taurinense”. Seguirono altre riconfigurazioni: il 15 marzo 2000 il contingente fu ridotto a 1.200 uomini e unito, nel novembre 2002, a quello tedesco nel GermanItalian Battle Group. E ancora, il 21 maggio 2004, a seguito della riduzione degli altri contingenti, nacque la Task Force South East composta dai militari di Italia, Albania, Francia, Germania, Marocco e Spagna. Con il rafforzamento dello Stato bosniaco, il 28 giugno sarebbe stata decisa la conclusione della missione SFOR alla fine dell’anno in corso, sostituita da una missione a guida UE, nella convinzione che fosse comunque necessario un supporto esterno, anche in previsione di una futura adesione della Bosnia all’UE. La NATO mantenne comunque un Quartier Generale a Sarajevo per fornire assistenza. Il 2 dicembre
2004, alla conclusione della Missione “Joint Forge”, rientrarono anche gli ultimi 810 militari italiani. Nel corso della missione l’impegno dei nostri militari aveva portato alla distruzione di centinaia di tonnellate di armi e decine di migliaia di munizioni illegali e, soprattutto, al ripristino di un discreto livello di tranquillità e legalità nel settore di competenza. Accanto a questi indubbi successi di natura “politica”, anche una concreta eredità di opere pubbliche, fra cui il ripristino delle ferrovie Tuzla-Zvornik e Tuzla-Brčko e la ricostruzione della facoltà di diritto dell’Università di Sarajevo, compiute dal Genio. Purtroppo, sono da ricordare anche i sei Caduti, quasi tutti a causa di sfortunati incidenti stradali. Il 2 dicembre fu anche il giorno del trasferimento di autorità dalla NATO all’UE, con l’inizio della Missione EUFOR, tuttora in corso, che è stata, sinora, a guida italiana nel 2006 e nel 2008. NOTE (1) Rivista Militare, Bosnia Erzegovina 1995-2015. (2) www.radioradicale.it/scheda/84649/0ggile-elezioni-politiche-in-bosnia-erzegovina. (3) Rivista Militare, Bosnia Erzegovina 1995-2015.
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STORIA E CULTURA MILITARE
La Missione “Alba” e la costruzione dell’Albania democratica DI .ICCOLÒ ,UCARELLI
Check Point italiano a Durazzo.
,E OPINIONI ESPRESSE NELL ARTI COLO RAPPRESENTANO IL PENSIERO DELL AUTORE E NON RIFLETTONO NE CESSARIAMENTE IL PUNTO DI VISTA DELLA &ORZA !RMATA .ONOSTANTE L IMPONENTE LAVORO SVOLTO DAI MILITARI DELLA -ISSIONE h0ELLICANOv VOLTA AD ARGINARE L EMERGENZA UMANITARIA IN !LBANIA
A CONTRASTARE LA CARESTIA E A RICO STRUIRE IL SISTEMA SANITARIO DEL 0AESE IL GOVERNO DI 4IRANA NON RIU SCØ A CAPITALIZZARE IL SOSTEGNO ITA LIANO E A COSTRUIRE UNA SOLIDA DE MOCRAZIA $A UN LATO LE MANCANZE DI 4IRANA NELLO STABILIRE UN CONCRETO CONTROLLO DEL TERRITORIO PORTARONO A UNO STATO DI SEMIANARCHIA DALL ALTRO LE LARGHE MAGLIE GOVERNATIVE FAVO RIRONO GLI INTENTI SPECULATIVI DELLA CRI
MINALITÜ FINANZIARIA CHE APPROFIT TANDO DELLO SMARRIMENTO DI UN PO POLO TRAVAGLIATO DA QUOTIDIANE DIFFI COLTÜ MATERIALI E PRIVAZIONI IMMISE SUL MERCATO TITOLI DI SOCIETÜ D INVE STIMENTO CHE PROMETTEVANO FACILI GUADAGNI AGLI ACQUIRENTI TITOLI CHE SI RIVELARONO BEN PRESTO hTOSSICIv E NEL QUANDO METÜ DELLA PO POLAZIONE SI SCOPRØ DERUBATA DEI PROPRI RISPARMI IL CLIMA DIVENNE VIE Rivista Militare
PIÂ INCANDESCENTE 3I STIMA INFATTI CHE DA UNO A DUE MILIARDI DI DOLLARI DAL AL DEL 0), SIANO SPARITI CON IL SI STEMA DELLA hPIRAMIDE FINANZIARIAv MESSO IN PIEDI DA SPECULATORI LEGATI ALLA CRIMINALITÜ ORGANIZZATA 4RA GENNAIO E FEBBRAIO DE CINE DI MIGLIAIA DI CITTADINI ESASPE RATI SI RIVERSARONO PER LE STRADE DA 4IRANA A 6ALONA A $URAZZO E LE MANIFESTAZIONI DIVENNERO BEN PRE STO OCCASIONE DI SACCHEGGIO DI hRI SARCIMENTO FAI DA TEv DI GIUSTIZIA SPICCIOLA E VENDETTE PRIVATE ,A RISPOSTA ISTITUZIONALE FU TANTO ENERGICA QUANTO MALDESTRA AVENDO SCELTO DI REPRIMERE DURAMENTE LE PROTESTE DI PIAZZA CON LE CARICHE DELLA POLIZIA 5N GESTO CHE AUMENTÒ L ESASPERAZIONE DEI CITTADINI GIÜ DU RAMENTE PROVATI )N MARZO LA RAB BIA POPOLARE RAGGIUNSE IL LIMITE E NUMEROSE BANDE IMPROVVISATE DI RIBELLI ASSALTARONO I DEPOSITI DI ARMI DELL ESERCITO E DELLA POLIZIA IMPA DRONENDOSI DI PISTOLE FUCILI E MU NIZIONI IL GOVERNO DECRETÒ LO STATO D EMERGENZA E DI QUESTO CAOS AP PROFITTÒ LARGAMENTE LA MALAVITA LO
CALE CHE IN UN CERTO SENSO SI SO STITUØ ALLO 3TATO CONTROLLANDO DI FATTO LA VITA QUOTIDIANA NELLA PARTE CENTROMERIDIONALE DEL 0AESE MENTRE A .ORD VIGEVA UNO STATO DI PAUROSA ANARCHIA DOVE BANDE AR MATE I COSIDDETTI hCOMITATI DI SAL VEZZA PUBBLICAv DI TRAFFICANTI E CONTRABBANDIERI TERRORIZZAVANO LA POPOLAZIONE COSTRETTA ALLA FAME )N QUESTO QUADRO DESOLATO RIPRESE CON MAGGIOR VIGORE L EMIGRAZIONE VERSO L )TALIA CONTROLLATA DALLA MA LAVITA ALBANESE !LLA FINE DEGLI SCONTRI LE VITTIME SUL TERRENO ERANO )L PREMIER -EKSI SI DIMISE IL MARZO SOSTI TUITO DAL SOCIALISTA "ASHKIM &INO E A FRONTE DEL CAOS IN CUI ERA PRE CIPITATO IL 0AESE LA COMUNITÜ IN TERNAZIONALE DECISE DI INTERVENIRE PER ARGINARNE LA DERIVA 3U SOLLE CITAZIONE DELL /3#% MA DOPO UN PRECISO APPELLO DA PARTE ITALIANA IL #ONSIGLIO DI 3ICUREZZA DELLA .A ZIONI 5NITE ADOTTÒ LA RISOLUZIONE CHE AUTORIZZAVA L )TALIA A GUIDARE LA &ORZA MULTINAZIONALE DI PROTEZIONE &-0 IN !LBANIA CO STITUITA ANCHE DA CONTINGENTI DI
&RANCIA 4URCHIA 'RECIA 3PAGNA 2OMANIA !USTRIA $ANIMARCA )N UN SECONDO MOMENTO IL "ELGIO E LA 3LOVENIA CONTRIBUIRONO CON UN DISTACCAMENTO SANITARIO E IL 0OR TOGALLO FORNØ UN VELIVOLO DA TRA SPORTO #ARGO # #OMPLES SIVAMENTE LA &ORZA -ULTINAZIONALE DI 0ROTEZIONE IMPEGNÒ MEDIA MENTE UOMINI CHE RAGGIUN SERO IL MASSIMO DELL ORGANICO CON UNITÜ , )TALIA ESERCITÒ LA SUA FUNZIONE TRAMITE IL #OMANDO /PERATIVO &ORZE D )NTERVENTO IN !L BANIA #/&)! ORGANO DI staff DELLO 3TATO -AGGIORE DELLA $IFESA 1UADRO DI RIFERIMENTO GIURI DICO IL #AP 6)) DELLO 3TATUTO DELLE .AZIONI 5NITE CHE RICONOSCE AI SOGGETTI IMPEGNATI IL DIRITTO DI RICOR RERE ALLA FORZA PER AUTODIFESA PER PROTEZIONE DELLA MISSIONE PER LA LIBERTÜ DI MOVIMENTO .ON FU TUTTAVIA UNA MISSIONE D IN TERVENTO ARMATO BENSØ EBBE CA RATTERE PREVALENTEMENTE LOGISTICO 2IENTRAVA COMUNQUE NELL AMBITO DI QUELLE MISSIONI A CARATTERE PRO PRIAMENTE MILITARE E RAPPRESENTA TIVA DEL PROTOTIPO DI UNA DELLE MIS
Bersaglieri della Brigata “Garibaldi” in attività di controllo del territorio.
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Blindo Armata “Centauro” in attività di pattugliamento.
SIONI INTERNAZIONALI PIÂ RICORRENTI OSSIA UN INTERVENTO DI PACIFICA ZIONE E DI SICUREZZA SVOLTO IN UN CONTESTO MULTILATERALE E CON UN MANDATO INTERNAZIONALE FORNITO DALLE .AZIONI 5NITE 3I TRATTAVA DI UNA MISSIONE A RI SCHIO /LTRE AI PERICOLI INSITI NEL TEN TATIVO DI RIPRISTINARE LA SICUREZZA E GARANTIRE L ASSISTENZA UMANITARIA NEL 0AESE NON POTEVA ESSERE ESCLUSA LA PRESENZA DI MINE SUL TERRITORIO $A PARTE SUA IL 'OVERNO DISCIPLINÒ LA MISSIONE CON UN APPOSITO DE CRETO IL CUI ARTICOLO PRIMO COSØ DE FINIVA LE CARATTERISTICHE DELL IMPE GNO i!LLO SCOPO DI FORNIRE IL CONTRIBUTO ITALIANO AL RIPRISTINO DELLA PACIFICA CONVIVENZA IN !LBANIA E IN PARTICOLARE DI GARANTIRE IL REGO LARE AFFLUSSO DEGLI AIUTI UMANITARI NONCH£ LE NECESSARIE CONDIZIONI DI SICUREZZA PER LE MISSIONI DELLE OR GANIZZAZIONI INTERNAZIONALI á AU TORIZZATA PER LA DURATA DI TRE MESI CON EFFETTO DAL APRILE LA PARTECIPAZIONE DI UN CONTINGENTE
MILITARE ITALIANO ALLA &ORZA MULTINA ZIONALE DI PROTEZIONE IN ATTUAZIONE DELLA RISOLUZIONE N IN DATA MARZO DEL #ONSIGLIO DI 3ICU REZZA DELLE .AZIONI 5NITE E SU RI CHIESTA DELLE AUTORITÜ ALBANESIw )L TERMINE DELLA MISSIONE INIZIAL MENTE PREVISTO PER IL LUGLIO FU SUCCESSIVAMENTE PROROGATO AL AGOSTO 3UL CAMPO L %SERCITO )TALIANO SCHIE RÒ FRA 4IRANA $URAZZO 6ALONA E &IER LA "RIGATA MECCANIZZATA h&RIULIv IL 2EGGIMENTO "ERSAGLIERI DELLA "RIGATA h'ARIBALDIv IL 2EGGI MENTO 0ARACADUTISTI DELLA h&OLGOREv E IL 2EGGIMENTO &ANTERIA DELLA "RIGATA h3ASSARIv OLTRE AGLI )NCURSORI DEL h#OL -OSCHINv E AGLI SPECIALISTI DELL !6%3 'ENIO 3ANITÜ E 4RA SMISSIONI .ELLA SUA TOTALITÜ IL CON TINGENTE ITALIANO COSTITUITO IL APRILE DEL CONSTAVA DI UNITÜ COMPRESI #ARABINIERI )L NUMERO MASSIMO DI MILITARI ITALIANI DISPIEGATI SUL CAMPO FU DI 'IÜ L APRILE ERA GIUNTO IN !L BANIA UN PRIMO GRUPPO DI MILITARI
DEL 2EGGIMENTO h'UIDEv DELL %SER CITO CON IL COMPITO DI ISPEZIONARE L AREA DELLO SBARCO DELLA FORZA MUL TINAZIONALE E LO STATO DI SICUREZZA DELLA STRADA DA $URAZZO A 4IRANA 3I PREFERØ SBARCARE A $URAZZO E NON A 6ALONA A CAUSA DELL IM PRATICABILITÜ DI QUEL PORTO ! CAPO DELLA MISSIONE IL 'ENERALE ,UCIANO &ORLANI ALL EPOCA #OMAN DANTE DEL #ORPO D !RMATA RIOR GANIZZATO DAL COME .!4/ Rapid Deployable Corps n Italy DI STANZA A 3OLBIATE /LONA 6ARESE )L APRILE SEGNÒ L INIZIO DELLA MIS SIONE CON L ARRIVO A $URAZZO DEL L INCROCIATORE h6ITTORIO 6ENETOv E DELLA NAVE DA TRASPORTO h3AN -AR COv AFFIANCATI DALLE UNITÜ SPAGNOLE h!RAGONv E h#ORTESv E DALLE FRANCESI h/RAGEv E h#HAMPLEINv )N UN INTERVISTA REALIZZATA DA !RTUR :HEJI A 'AVROSH ,EVONJA E TRA SMESSA DA 2ADIO 2ADICALE QUELLO STESSO GIORNO GIÜ SI DÜ CONTO DELLA POSITIVA E AMICHEVOLE ACCOGLIENZA RISERVATA DALLA POPOLAZIONE AL PRIMO GRUPPO DI MILITARI )N LORO OGNI AL Rivista Militare
BANESE VEDEVA UNA hFONTE DI SAL VEZZA DOPO I DRAMMI DELLE ULTIME SETTIMANEv COME SPIEGA LO STESSO ,EVONJA CHE PROSEGUE AFFERMANDO COME NELL OPINIONE GENERALE SENZA UN FORTE APPOGGIO DALL ESTERNO IL GOVERNO DI TRANSIZIONE NATO DOPO LE DIMISSIONI DI -EKSI NON AVREBBE POTUTO DA SOLO SOSTENERE LO SFORZO DELLA NORMALIZZAZIONE DEL 0AESE .ELLO SPECIFICO LA MISSIONE DOVEVA GARANTIRE LA SICUREZZA DEI PORTI DI SBARCO PER CONSENTIRE L AFFLUSSO E LA DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI UMANITARI E DELLE SEDI DELLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE CONSENTIRE ALLE MISSIONI DI /3#% E 5%/ GIÜ PRESENTI SUL CAMPO DI SVOLGERE I PROPRI COMPITI DI OSSERVAZIONE E MONITORAGGIO &INO AL AGOSTO ULTIMO GIORNO DELLA MISSIONE FURONO EFFETTUATE SOTTO IL COMANDO ITALIANO CIRCA OPE RAZIONI DI SCORTA E SORVEGLIANZA DEI CONVOGLI UMANITARI I QUALI RIUSCIRONO A DISTRIBUIRE A UNA POPOLAZIONE STREMATA OLTRE TONNELLATE DI VIVERI MEDICINALI E VESTIARIO 2ITROVATA UNA CERTA NORMALITÜ NELLA
VITA QUOTIDIANA LA SITUAZIONE NEL 0AESE ANDÒ NORMALIZZANDOSI MA AL DI LÜ DEGLI IMPORTANTISSIMI EFFETTI IMMEDIATI LA MISSIONE LAVORÒ ANCHE IN PROSPETTIVA GARANTENDO LA SICU REZZA DEGLI OSSERVATORI /3#% IN CARICATI DI MONITORARE IL CORRETTO SVOL GIMENTO DELLE ELEZIONI CHE AVREBBERO DOVUTO RIDARE LEGITTIMITÜ AL NUOVO GOVERNO E AL NUOVO PRESIDENTE SI GETTARONO LE BASI PER LA NASCITA DI UNA 2EPUBBLICA BASATA SULLA COR RETTEZZA DEMOCRATICA )L GIUGNO FU PROBABILMENTE IL GIORNO PIÂ CRUCIALE DELLA MISSIONE COME DICHIARÒ DUE GIORNI DOPO IL 'ENERALE &ORLANI ”La posta in gioco non era da poco, effettivamente. Ma quando abbiamo preso questo impegno non lo abbiamo fatto a cuor leggero, sapevamo che tipo di onori, ma anche di oneri comporta la guida di una missione di questo genere. Ed è andata bene: Vranitzky (inviato dell’OSCE, NdA) è appena stato qui al Comando per esprimere soddisfazione sullo svolgimento della giornata eletto-
rale. Non voglio autoincensarmi, pensi che mi sono persino meravigliato dei messaggi di complimenti che ci stanno arrivando da domenica. Per noi si è trattato di un lavoro poco più che normale” )L MEDESIMO CLIMA DI POSITIVITÜ LO SI RESPIRAVA LA SETTIMANA SE GUENTE DOPO IL SECONDO TURNO ELET TORALE DI DOMENICA LUGLIO 4RE GIORNI DOPO LA MISSIONE HA PURTROPPO DOVUTO CONTARE UNA VIT TIMA NELLE FILE DELL %SERCITO )TALIANO QUANDO $IEGO 6AIRA #APORALE DEL REPARTO DI SANITÜ DELLA "RIGATA !LPINA h4AURINENSEv NON ANCORA VENTENNE RIMASE MORTALMENTE COINVOLTO NEL L ESPLOSIONE ACCIDENTALE DI UN OR DIGNO A 6ALONA , ESPLOSIONE COLPØ ANCHE ALTRI TRE MILITARI IL -ARESCIALLO &RANCESCO 3EMINARA IL #APORAL -AGGIORE 0AOLO 3PAGNUOLO E IL #A PORALE 3ERGIO #HIARAMELLO CHE RI MASERO LIEVEMENTE FERITI &U QUESTA L UNICA TRAGICA OMBRA SU UNA MISSIONE CHE CONSEGUØ GLI SCOPI PREFISSATI E FU SIMBOLICAMENTE CONCLUSA IL AGOSTO CON LA CERI
Un bersagliere a difesa di un ripetitore radio.
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Un elicottero AB 205 italiano, in fase di atterraggio.
MONIA DELL AMMAINABANDIERA AL L AEROPORTO 2INAS DI 4IRANA PRESENTI L ALLORA #APO DI 3TATO -AGGIORE DELLA $IFESA 'UIDO 6ENTURONI IL -INISTRO DELLA $IFESA "ENIAMINO !NDREATTA IL SUO OMOLOGO ALBANESE 3ABIT "ROKAJ IL -INISTRO DEGLI %STERI ALBANESE 0ASKAL -ILO 'LI ULTIMI MILITARI PRESENTI LASCIARONO IL 0AESE TRE GIORNI DOPO )L RITIRO ERA COMUNQUE INIZIATO GIÜ IN LUGLIO SUBITO DOPO LE ELEZIONI CON LA NOR MALIZZAZIONE ORMAI PRESSOCH£ TO TALE 0RIMA A RIENTRARE IN )TALIA UNA COMPAGNIA DI "ERSAGLIERI #ON TESTUALMENTE ANCHE GLI ALTRI 0AESI AVVIARONO IL RITIRO DEI LORO CONTIN GENTI #ONSIDERATO L OTTIMO ESITO DELLA MISSIONE AL 'ENERALE &ORLANI VEN NE CONFERITA LA -EDAGLIA D /RO AL 6ALORE DELL %SERCITO CON LA SE GUENTE MOTIVAZIONE “Comandante della Forza multinazionale di protezione in Albania, operava con altissima professionalità, grande equilibrio, elevatissima capacità
organizzativa e consapevole coraggio, trasmettendo a tutti i dipendenti gli alti valori morali connessi alla delicata operazione di pace ed infondendo in essi fiducia e sicurezza. Grazie alla sua guida ferma, intelligente e determinata, improntata all’equilibrio anche nelle circostanze più critiche, è stato possibile amalgamare unità provenienti da Paesi assai eterogenei per precedenti militari, tradizioni e cultura. In un contesto caratterizzato da forti tensioni sociopolitiche e scarsa capacità di controllo governativo, sapeva cogliere gli aspetti fondamentali della complessa realtà locale, guadagnando per se e per l’intero contingente multinazionale l’incondizionata stima sia della classe dirigente che della popolazione albanese. La sua lineare ed intelligente azione di comando, sempre corroborata dall’esempio, ha permesso alla forza di esprimere al meglio le proprie capacità operative, facendo
si che venissero pienamente raggiunti tutti gli obiettivi prefissati entro i limiti temporali previsti dal mandato e decretando per la prima operazione a guida italiana un successo tanto meritato quanto lusinghiero, dal quale traggono rafforzato prestigio l’intera Nazione e le sue Forze armate” #/.#,53)/.) $A ALLORA SONO PASSATI OLTRE VENTI ANNI E L !LBANIA HA COMPIUTO NOTEVOLI PASSI AVANTI NEL CONSOLIDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA E NELLA MODERNIZZAZIONE INDUSTRIALE -A LE FONDAMENTA DI QUE STO PROCESSO FURONO GETTATE IN QUEI GIORNI ANCHE GRAZIE ALLA PRESENZA DELL %SERCITO )TALIANO &U UN CAMBIO DI MENTALITÜ DI PORTATA STORICA L !LBANIA COMINCIÒ A SENTIRSI OSSERVATA DALL %UROPA E DAL MONDO CAPØ DI DOVER RENDERE CONTO DELLE SUA AZIONI DI GOVERNO IN UN EPOCA IN CUI LA DEMOCRAZIA ALMENO IN %U Rivista Militare
ROPA á PARTE INSCINDIBILE DEL PRO CESSO POLITICO 4UTTAVIA L IMPEGNO ITALIANO NON VENNE MENO AL TERMINE DELLA -ISSIONE h!LBAv PERCH£ TRAMITE UN 0ROTOCOLLO FIRMATO A 2OMA IL AGOSTO DEL DAI MINISTRI DELLA $IFESA ITALIANO E ALBANESE PRENDEVA AVVIO LA MISSIONE BILATERALE $)% $ELEGAZIONE )TALIANA DI %SPERTI A SOSTEGNO DELLE &ORZE !RMATE ALBA NESI NEL PROCESSO DI ADEGUAMENTO DELLE PROPRIE STRUTTURE A MODELLI .!4/ COMPATIBILI ,A MISSIONE SI CONCLUSE IL LUGLIO E FRA LE NUMEROSE ATTIVITÜ SVOL TE ANCHE L ADDESTRAMENTO DI UNA COMPAGNIA ALBANESE CHE ENTRÒ A FAR PARTE DELLE FORZE MULTINAZIONALI DI PACE IL RIPRISTINO DI UNITÜ NAVALI L ISTALLAZIONE DI UN RADAR SULL ISOLA DI 3ASENO PER MIGLIORARE LE CAPACITÜ DI SCOPERTA E INTERDIZIONE DELLE ATTIVITÜ DI EMIGRAZIONE CLANDESTINA E LA CO STRUZIONE DEL PERIMETRO DELL AEROPORTO
DI +UCOVA 1UESTO PROCESSO DI ADE GUAMENTO E MODERNIZZAZIONE HA PORTATO NEL ALL ENTRATA DELL !L BANIA NELLA .!4/ )N RETROSPETTIVA ANCHE SE PUR TROPPO NON á STATA FATTA PIENA LUCE SULLE RESPONSABILITÜ DELLA CRISI FI NANZIARIA E I RISPARMIATORI NON SONO STATI RISARCITI DA QUEL á CO MUNQUE INIZIATO PER L !LBANIA IL PRO CESSO DI COSTRUZIONE DI UN SISTEMA DEMOCRATICO E DI DIRITTO UN PRO CESSO ASSISTITO ANCHE DALLA CO STANTE COOPERAZIONE ITALIANA *Saggista
./4% HTTP WWW LEFTCOM ORG IT ARTICLES ALBANIA LA TRUFFA DELLE FINANZIARIE SPEC CHIO DELLA CRISI DEL CAPITALE !RTAN 0UTO Osservatorio Balcani
APRILE /ROFINO ' La missione Alba EDIZIONI SPECIALI EDITE DA 2IVISTA -ILITARE PAG Ibidem /ROFINO ' , op. cit., PAG 1UERCIA 0 , L’alba delle missioni: l’Italia di fronte alle crisi albanesi, IN v,IMESv N P $ECRETO ,EGGE APRILE N CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA LEGGE GIUGNO N RECANTE PARTECIPA ZIONE ITALIANA ALLE INIZIATIVE INTERNAZIONALI IN FAVORE DELL !LBANIA $ECRETO ,EGGE LUGLIO N CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA LEGGE LUGLIO N RECANTE PROSECUZIONE DELLA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLE INIZIATIVE INTERNAZIONALI IN FAVORE DELL !LBANIA /ROFINO ' , op. cit. PAG La Repubblica APRILE La Repubblica LUGLIO La Repubblica AGOSTO La Repubblica LUGLIO
Bersagliere impiegato in una postazione fissa.
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La guerra del Tenente Arturo Stanghellini Lettere alla famiglia di Niccolò Lucarelli* Arturo Stanghellini (Pistoia, 18871948) fu scrittore, docente liceale e direttore di alcuni Istituti di Cultura all’estero, negli anni dal 1932 al 1940. Allievo di Pascoli a Bologna, si laureò in Lettere nel 1910, e sei anni più tardi lasciò temporaneamente l’insegnamento per arruolarsi volontario nella Grande Guerra. Le sue lettere inedite allo zio Alberto Chiappelli (medico e politico pistoiese) costituiscono una genuina testimonianza dell’esperienza al fronte. Appena arruolato, fu destinato alla guarnigione della Territoriale di stanza a Firenze, presso il Forte di Belvedere, dove erano custoditi i soldati austroungarici prigionieri di guerra. Di tale servizio ci ha lasciato testimonianza in una cartolina: “Carissimo zio, dopo 15 giorni di ufficialato posso darle qualche notizia sulla mia nuova vita. Sono all’ex Forte di Belvedere, addetto alla vigilanza dei prigionieri di guerra. Il servizio − meno l’aspra fatica della Costa S. Giorgio da farsi 4 volte al giorno − non è faticoso troppo. [...] Alla mezzanotte, alle due, alle tre, siamo sempre in giro a ispezionare le sentinelle ed a ricontare i prigionieri. Dio ne guardi ne mancassero! Sono entrato un po’ addentro nel meccanismo militare tutto fatto di esattezze e mi trovo abbastanza a mio agio sebbene l’esattezza e tutto quello che è soltanto meccanismo non fanno parte delle mie qualità intellettuali. Se resterò molto quassù non so dire: c’è una 58
Autoritratto di Arturo Stanghellini.
grand’aria di movimento. [...] Viene una ventata quando meno ci si aspetta e via [...]” (1). Indossata la divisa di effettivo, Stanghellini fu assegnato, con il grado di Sottotenente, alla 3 a compagnia del I battaglione del 13° reggimento della Brigata “Pinerolo”, inquadrata nella 14a Divisione che, con la 13a, costituiva il
VII Corpo d’Armata. A sua volta, il VII Corpo era parte, con il VI e l’XI, della 3 a Armata comandata dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta (2). Zona di operazioni, il Carso, con l’obiettivo di Trieste e Gorizia. Quando Stanghellini prese servizio al fronte, la situazione era migliorata. In maggio, la StrafexpediRivista Militare
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tion aveva quasi causato il crollo del fronte trentino, che Cadorna riuscì a evitare grazie a un’efficace seconda linea di difesa; il 4 giugno arrivò la Brigata “Sassari” (151° e 152° reggimento Fanteria) che, assieme alla 5a Armata appositamente costituita avviò la controffensiva. Contenuta l’avanzata nemica e scampato il pericolo di un accerchiamento, lo Stato Maggiore italiano preferì dedicarsi al settore dell’Isonzo, in particolare a Gorizia, riportando in secondo piano il fronte trentino. Nelle operazioni precedenti, il 13° reggimento Fanteria era stato fra i
più colpiti in fatto di perdite umane, e in luglio aveva ricevuto consistenti rincalzi, fra cui, appunto, si trovava Stanghellini. Il Comando Supremo stava preparando la Sesta Battaglia dell’Isonzo, che ebbe luogo dal 4 al 17 agosto; alla 3a Armata fu assegnato il compito di attaccare le posizioni del Sabotino e del Podgora, ma su iniziativa del Duca d’Aosta, l’XI Corpo, comandato dal Generale Cigliana, fu distaccato sul Monte San Michele, che riuscì effettivamente a conquistare. Nell’attesa di prendere parte alla battaglia, Stanghellini scriveva ai
Da destra, Stanghellini con il Generale Sani e il soldato Traversi in trincea a Quota 208, febbraio ’17.
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familiari una cartolina di rassicurazione: “Noi siamo non troppo lontani dalla linea del fuoco, ma per ora truppe di riserva. Ho dormito già varie volte sulla nuda terra ed ho le ossa rotte. Ma la salute regge bene, per ora” (3). Poche righe, costrette nel breve spazio della cartolina militare, sufficienti però a rincuorare i familiari che a Pistoia trepidavano per la sua sorte. Il 15 agosto, la Brigata mosse all’attacco del Pecinka e del Veliki Hribach ottenendo qualche modesto avanzamento territoriale. In particolare, il 13° Fanteria era schierato lungo le falde sud-occidentali del Pecinka. Ai costanti rischi dei combattimenti in trincea, si aggiungono le difficoltà del territorio carsico con le sue aride pietraie, come riporta Giuseppe Abate, Cappellano del reggimento: “Grandi erano le sofferenze, causate dalla sete ardente, persecutrice, crudele! [...] Alcuni per esse morivano, altri aveano quasi perduto la coscienza. [...] Per alleviare l’interno ardore si ricorreva a tutto, a tutto.... Un limone veniva diviso in minutissime parti. [...] L’amico Tenente Stanghellini bevette un sorso d’acqua trovata nella borraccia di un morto” (4). I combattimenti si svolsero furiosi, a causa della fiera resistenza austriaca, attuata con un massiccio utilizzo dell’artiglieria. Oltre agli avanzamenti del 13° Fanteria, la Sesta Battaglia dell’Isonzo si chiuse con la presa di Gorizia e delle alture circostanti, fra cui il Nad Logem, il San Michele e il Carso di Doberdò. La vittoria più importante ottenuta nel 1916 dall’Intesa. Dopo questa durissima prova, la Brigata fu inviata nelle retrovie, a Romans, per un lungo periodo di riposo, dal quale rientrò in vista della Settima Battaglia dell’Isonzo (14-18 settembre); in questa occasione, lo sforzo maggiore fu sostenuto dal 14° reggimento, che riuscì in un’avanzata di qualche centinaio di metri in corrispondenza di quota 265 (Nad Logem). Pochi giorni dopo, Stanghellini diede 59
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Lettera del 5 luglio1916.
conto ai familiari della situazione: “Quassù pioggia e vento per parecchi giorni. Abbiamo dormito nei boschi sulla terra fangosa, coperti da un solo telo da tenda, inutile dirle quanto ho sofferto. Ma la salute è ancora buona” (5). Dal 9 al 12 ottobre si scatenò l’Ottava Battaglia dell’Isonzo: l’attacco italiano venne condotto con efficacia, e nello specifico il I, il II e il III battaglione del 13° piantarono bandiera su un tratto del Veliki Hribach. Non uguale successo 60
ebbe la Nona Battaglia (31 ottobre-4 novembre), conclusasi con il solo consolidamento delle posizioni sul Veliki Hribach. Si chiudevano così, con l’autunno inoltrato, le operazioni militari per il 1916, che avevano provato anche l’animo del giovane Stanghellini: “Carissimi zii, giunga di lontano anche a loro il mio saluto e il mio augurio. [ ] Io tornerò nella prima quindicina di gennaio e sarò molto lieto di rivederli. Dopo sei lunghi mesi sparsi di durissime prove, mi
parrà di sognare!” (6). Il 1916 era stato comunque un anno positivo per le operazioni militari, e l’entusiasmo suscitato dalla campagna di Gorizia era ancora vivo nelle truppe quattro mesi dopo, come testimonia anche Stanghellini: “La mia impressione dopo cinque mesi d’onore si riassume in questo: mi par di sognare! Tutto è vittoria” (7). Le operazioni su larga scala ripresero soltanto il 12 maggio, quando, fino al 5 giugno, ebbe luogo la Decima Battaglia dell’Isonzo; la 3a Armata avrebbe dovuto dirigersi contro i monti Ermada e Stol, capisaldi del sistema difensivo austriaco lungo la direttrice verso Trieste. Sulle prime sembrò volgere a favore italiano, con le bandiere piantate sulle prime pendici dell’Ermada, e una testa di ponte oltre l’Isonzo, all’altezza del saliente di Loga. Nello specifico, il 21 maggio, il VII Corpo d’Armata fu impegnato in durissimi combattimenti nel tentativo di sfondare la linea austriaca sull’altopiano carsico, riuscendo ad attestarsi in località Jamiano, poco oltre Castagnevizza. Il III battaglione si pose a rincalzo della Brigata “Catanzaro”. Ma la violenta controffensiva austriaca, condotta con un massiccio uso di rinforzi fatti affluire dalle seconde linee, minò la resistenza italiana sulle nuove posizioni, e a quasi un mese dall’inizio dell’offensiva, negli ultimi giorni di maggio, il Regio Esercito si trovò costretto a ritirarsi sulle posizioni di partenza, con le sole conquiste della vetta del Kuk e della sella del Vodice, per merito del II Corpo d’Armata comandato dal Generale Pietro Badoglio. In quei giorni, Stanghellini dà sue notizie alla famiglia: “Carissimi zii, la bufera accenna a calmarsi. Sono ancora incolume, miracolosamente” (8). Il giovane Ufficiale si comportò valorosamente, distinguendosi in azioni rischiose che gli valsero la prima Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con la seguente motivazione: “Ufficiale di collegamento Rivista Militare
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col comando di un reggimento, dava costante prova di valore e di sprezzo del pericolo, attraversando continuamente zone intensamente battute dall’artiglieria e dalla fucileria nemica, e riuscendo ad adempiere al suo compito, nonostante gravi difficoltà. Nad Bregom, 23-26 maggio 1917”. A seguito della decorazione, il 7 luglio 1917 è nominato Tenente: “Tengo a questa proposta molto, poiché ho la coscienza d’averla meritata. [...] Oggi è un anno, io salivo per la prima volta nella trincea ove la morte e la vita stanno così crudelmente vicine. Mi sono empito, in un anno, gli occhi d’orrore, l’anima di spavento. Ho detto e ho scritto anche: basta, con il sentimento che nella mia parola cessasse l’orrore del mondo. Ma ho anche avuto la forza di riprendere quella parola. Io resto ora cogli altri [...] sorretto dalla soddisfazione di provare, di possedere la mia sofferenza poiché me la sono volontariamente imposta” (9). Fra il 17 e il 31 agosto si combatté l’Undicesima Battaglia dell’Isonzo, con l’obiettivo di sfondare le linee avversarie nel settore compreso fra Podselo e il Monte Santo, in corrispondenza dell’altopiano della Bainsizza; la 3a Armata doveva attaccare frontalmente le linee nemiche sul Carso e sospingerle indietro, verso Trieste; avviò le operazioni il 19 agosto, dopo un intenso e prolungato bombardamento, cui avevano preso parte dal mare anche batterie della Regia Marina. La resistenza nemica fu però accanita, al punto da non poter mantenere quelle posizioni raggiunte grazie al VII Corpo d’Armata sulle alture di Tivoli e all’XI e al XXV nella zona di Castagnevizza. Ma lo sforzo della 3a Armata fu funzionale all’avanzata della 2 a , e ad operazioni concluse, così scrisse Stanghellini: “Noi già fummo seriamente impegnati nella prima fase del combattimento che la Terza Armata sostenne con eroica tenacia preparando la vittoria napoleonica alla Seconda Armata. n. 1/2018
Passando da attore a spettatore ho assistito a varie fasi della grande vittoria provando una emozione così grande e terribile che non saprei per il momento descrivere” (10). Giorni amari si stavano però per abbattere sull’Italia e sul suo Esercito, con l’approssimarsi dell’offensiva austriaca su Caporetto. L’odissea del reggimento di Stanghellini è documentata ancora una volta dal Cappellano Abate: “Il 27 Ottobre si ebbero notizie certe della sciagurata infiltrazione nemica nelle nostre linee e conseguente nostro ripiegamento. Il reggimento ebbe ordine di occupare le trincee fra Romans, Villesse, S. Pietro dell’Isonzo, per proteggere le truppe della 3a Armata costrette a ripiegare per non essere tagliate fuori dalla travolgente manovra nemica” (11). Lo stesso Stanghellini ne scrisse nel suo romanzo di guerra: “Stamani hanno fatto saltare i ponti sull’Isonzo. Piove ancora e urla il vento per accompagnare il nostro martirio” (12). E nonostante le reazioni del Comando Supremo, i comandanti che si trovavano in linea conoscevano il valore delle truppe al punto da rendere loro onore. Scrive infatti Stanghellini che, al passaggio del 13°, il Generale Sani, Comandante del XIII Corpo d’Armata, tenne la mano alla visiera del berretto d’ordinanza fino al passaggio dell’ultimo uomo (13).
Dall’alto Le decorazioni della Brigata “Pinerolo”. Fotografia del Tenente Stanghellini, Chieri, marzo 1918 (Biblioteca Forteguerriana, Pistoia).
Approntata la linea di difesa sul Piave e riorganizzati i reparti, dal 28 dicembre la Pinerolo poté godere di un periodo di riposo in retrovia nei pressi di Treviso, e nell’aprile seguente, con l’intera 14a Divisione, fu trasferita sull’Altopia61
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no di Asiago, nel settore Costalunga-Val Bella; furono giorni di intensi combattimenti, nel tentativo di rioccupare le posizioni perse nel corso dell’ultima controffensiva austriaca. Dopo una decina di giorni di aspri combattimenti, avanzamenti e retrocessioni, la linea italiana si assestò a nord del Cimitero di Cima Ekar. Dopo un lungo periodo di relativa calma, si giunse alla Battaglia del Solstizio, l’offensiva austriaca che avrebbe dovuto replicare, negli effetti, l’offensiva di Caporetto. Ma questa volta il Servizio Informazioni aveva correttamente funzionato, e la risposta italiana non si fece attendere: “Alle ore 3 e 4 minuti del 15 giugno l’artiglieria nemica iniziò - come si aspettava - il suo violentissimo bombardamento (che dalle 22 del 14 alle 3 del 15 era stato prevenuto da un nostro infernale tiro di contropreparazione) con piccoli, medi e grossi calibri, con bombarde e con granate a gas lacrimogeni” (14). Sulle prime, i reparti della Pinerolo si videro costretti a sgombrare provvisoriamente la prima linea del monte Val Bella e del Costalunga. Il III battaglione del 13°, in riserva di Brigata, si dispose a difesa della terza linea. Poco dopo fu sostituito dal I e dispiegato a Cima Ekar, la cui posizione avanzata fu riconquistata, sullo slancio della controffensiva italiana.
Dopo un breve periodo di riposo nelle retrovie, la “Pinerolo” tornò in linea il 6 luglio. In quei giorni Stanghellini trovò modo di scrivere a casa, e fra quelle righe trapela l’alto morale che pervadeva il suo stato d’animo: “Anche questa prova è stata superata e non solo felicemente per me, ma - quel che più conta - vittoriosamente per le armi nostre. E l’Italia s’è così rialzata nella stima del mondo che il pensiero d’aver esercitato una sia pur modesta parte nella grande battaglia, riempie l’animo d’orgoglio” (15). Quel coraggio che Stanghellini aveva sempre dimostrato gli valse, nell’ottobre del ’18, la seconda Medaglia di Bronzo, per fatti d’arme avvenuti circa quattordici mesi prima, come riporta la data in calce: “Di collegamento fra il Comando di una Brigata e quello di un reggimento, impegnato in un aspro e lungo combattimento, con sereno sprezzo del pericolo recandosi in prima linea sotto bombardamenti di estrema violenza e trattenendosi per molte ore in un osservatorio scoperto, tenne il Comando della Brigata al corrente della situazione. Castagnevizza, 18-25 agosto 1917 ”. Fra il 17 e il 19 ottobre fu lanciato l’attacco alla linea austriaca, così ricordato dal Cappellano Abate: “In quell’attacco vittorioso si coprì di superba gloria la 3 a nostra compagnia, alla quale da tutti si
levarono inni di ammirazione. [...] E noi eravamo orgogliosi di sentire ancora lassù, nel fervore della vittoria, dai Fanti nostri ripetere «Viva la 3a compagnia»” (16). Fra il 24 e il 25, infine, fu sferrato un 1° attacco contro Monte Sisemol, e il primo novembre la linea nemica fu finalmente spezzata; la Brigata “Pinerolo” rioccupò Monte Zebio. Due giorni dopo, alla vigilia dell’armistizio, il 13° Fanteria raggiunse anche Cima Larici, compiendo la sua vittoriosa avanzata. Per queste conquiste le Bandiere del 13° e del 14° Fanteria furono decorate con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Ancora nel suo diario, Stanghellini racconta come fu accolto l’armistizio nel pomeriggio del 4 novembre: “Verso le 15 − se ben ricordo − la radio che seguiva la nostra colonna ha intercettato la notizia dell’armistizio di Villa Giusti. [...] Nessuno sul principio ha parlato, nessuno ha sorriso. Avevamo tutti gli occhi In alto Sasso Commemorativo della Brigata “Pinerolo” sul Nad Logem (Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma). A sinistra Fanti italiani in trincea durante la Grande Guerra.
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Rivista Militare
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Linea austroungarica sulla Bainsizza, 1917.
rivolti al passato, alla lunga via seminata di croci. Nessuno ha saputo sorridere. I fortunati hanno fatto questo regalo ai morti di non sorridere. In Italia cantavano, ballavano, s’ubriacavano. Lassù tra i monti del Trentino nel freddo meriggio di Novembre quelli che dalla pace avevano resa sicura la giovinezza e la vita, non hanno nemmeno sorriso. [...] Un soldato siciliano s’è messo a zufolare lievemente in un’ocarina austriaca una canzonetta del suo paese. Ecco com’è arrivata la pace tra gli uomini della guerra!!” (17). Troppi mesi erano trascorsi fra le trincee, e occorreva tempo per realizzare la portata dell’armistizio. Ma la testimonianza più bella della pace ci pare arrivi da una cartolina che Stanghellini inviò agli zii, subito dopo il Natale del 1918, dal Comando della Brigata: “Carissimi zii, in questo primo Natale di vittoria e di pace, mi ricordo affettuosamente di loro, coi più vivi auguri di ogni bene” (18). L’Unità d’Italia era stata finalmente compiuta, ma ancora dure prove attendevano il Paese. *Saggista n. 1/2018
NOTE (1) Lettera del 7 luglio 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (2) Emanuele Filiberto Vittorio Eugenio Alberto Genova Giuseppe Maria di Savoia-Aosta (1869-1931) figlio del Duca Amedeo di Savoia e cugino del futuro Vittorio Emanuele III. Durante la Grande Guerra, fu Comandante della 3a Armata. Alla sua testa, uscì vincitore dalla battaglia di Gorizia dell’agosto 1916, il primo effettivo successo dello sforzo bellico italiano. La sconfitta di Caporetto lo costrinse a ritirarsi dalle posizioni, nonostante non fosse stato coinvolto nei combattimenti. Ripiegò tuttavia sulla linea del Piave, da dove, conservato il comando dell’Armata, contribuì alla resistenza. (3) Lettera del 9 agosto 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (4) Abate G., Il 13° Fanteria (Brigata Pinerolo) nell’ultima Guerra d’Indipendenza 1915-1918, Nell’Anno della Pace, Stabilimento Arti Grafiche Bertarelli, Milano (s.d., ma 1919), pag. 64. (5) Lettera del 23 settembre 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (6) Cartolina dal Comando di Brigata
del 22 dicembre 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (7) Lettera del 27 dicembre 1916. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.1. (8) Cartolina del 30 maggio 1917. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.2. (9) Lettera del 9 luglio 1917. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.2. (10) Lettera del 5 settembre 1917. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.2. (11) Abate G., op. cit., pag. 140. (12) Stanghellini A., Introduzione alla vita mediocre, Niccolai, Pistoia, 1920 pag. 97. (13) Stanghellini A., op. cit., pag. 106. (14) Abate G., op. cit., pag. 166. (15) Lettera del 9 luglio 1918. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.3. (16) Abate G., op. cit., pag. 173. (17) Stanghellini A., op. cit., pag. 230. 18) Lettera del 22 dicembre 1918. Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Fondo Chiappelli, corrispondenza, busta 54.3.
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di Niccolò Lucarelli*
LA GUERRA NEL CIELO: GABRIELE D’ANNUNZIO E L’IMPRESA DI CATTARO In quell’estate del 1917 la situazione sul fronte italiano non si mostrava particolarmente esaltante perché le sanguinose offensive sferrate da Cadorna avevano richiesto un altissimo tributo di sangue, portando per contro modesti guadagni territoriali. La X e l’XI battaglia dell’Isonzo, da maggio a settembre (nonostante la perdita, fra morti e feriti, di circa 320.000 uomini), si erano concluse con assai modeste conquiste territoriali, e anche in Trentino la battaglia dell’Ortigara, costata circa 28.000 uomini (1), non era bastata a conquistare la strategica vetta. La guerra di posizione faceva sentire il suo peso psicologico sulle truppe in trincea, tra cui le più provate erano quelle che avevano sfiorato lo sfondamento del fronte nemico sulla Bainsizza, oltre la quale si stendeva Trieste. L’illusione della vittoria vicina e sfumata, la stanchezza per i durissimi combattimenti e lo sconforto per le ingenti perdite, influivano pesantemente sul morale dei soldati italiani. In quella metà di settembre del 1917, alla chiusura delle operazioni dell’XI battaglia dell’Isonzo, il bilancio di guerra non era particolarmente positivo, essendo le posizioni sostanzialmente invariate rispetto all’anno precedente e considerando che i due cardini della difesa austro-ungarica – la testa di ponte di Tolmino e il San Gabriele – rimanevano sostanzialmente intatti. Un’annata controversa, caratterizzata dai consueti episodi di grande valore dimostrati sul campo dalle truppe, dall’altrettanto consueta struttura centralistica voluta da Cadorna (che ingessava e in qualche caso anche limitava l’azione bellica) e dalla spietata applicazione del codice penale militare, che aveva visto comminare numerose condanne a morte per atti di ammutinamento o insubordinazione. E ancora non si era giunti a Caporetto. Intanto, oltre a pianificare gli attacchi di fanteria, il Quartier Generale stava lavorando anche sulla possibilità di effettuare missioni aeree a lungo raggio. A “dare il la” all’impresa di Cattaro fu la precedente incursione compiuta su Pola dal Capitano Maurizio Pagliano e Gabriele D’Annunzio, i quali, decollando nella notte dell’11 maggio dal campo di Pordenone a bordo di un 74
Ca.33, raggiunsero la rada istriana, vi sganciarono dieci bombe tipo “162” (ognuna da 25 chili, che danneggiarono numerose navi nemiche) e ritornarono alla base (2). Il giorno seguente, lo stesso Comando Supremo ne diede notizia sul Bollettino di guerra (3). Dimostrate sul campo le potenzialità dei bombardieri italiani in missioni a lungo raggio, sin dall’estate l’Ufficio Servizi Aeronautici lavorò per approntarne altre. Nella notte fra il 2 e il 3 agosto, trentasei Ca.33 decollarono da Aviano diretti ancora a Pola per bombardare l’Arsenale, lo Scoglio Ulivi e la banchina di ancoraggio della flotta. Una seconda incursione fu effettuata la settimana successiva, presente anche Gabriele D’Annunzio, che per l’occasione inaugurò l’eroico grido “Eja” seguito da “Alalà”. Trattandosi tuttavia di incursioni notturne (per evitare la contraerea nemica), il puntamento non era affatto agevole, e i danni inflitti al nemico furono limitati (4). Volendo rendere l’azione più incisiva, il 28 agosto l’Ufficio Servizi Aeronautici Rivista Militare
Sopra Un bombardiere Caproni Ca.33 armato e pronto per una missione A sinistra Raffigurazione grafica delle basi navali contrapposte sulle due sponde dell’Adriatico (cartolina postale dell’epoca)
presentò il “Progetto di massima per un’azione sulla costa nemica da Gioia del Colle”, particolare che faceva capire come l’obiettivo sarebbe stato la Baia di Cattaro – il porto militare più importante dell’Impero austro-ungarico –, dove stazionavano, fra le altre, le navi della classe “Erzherzog Karl”, oltre a numerosi sommergibili e idrovolanti che costituivano una spina nel fianco per le forze della Regia Marina in Adriatico. L’attacco aereo era la sola possibilità di offesa a disposizione degli italiani, perché la conformazione a fiordo di quel tratto di costa impediva l’utilizzo delle navi da guerra. Saputo, per mezzo di Pagliano, che si stava approntando un’operazione del genere, D’Annunzio chiese senza indugi di potervi prendere parte, cosa che Cadorna gli concesse subito. Gabriele D’Annunzio – l’audace e immaginifico Vate d’Italia, che a cinquantadue anni si era arruolato volontario dopo una lunga e fervente campagna interventista – in quel 1917 aveva preso parte alla sanguinosa X battaglia dell’Isonzo (12 maggio - 5 giugno), che aveva avuto per obiettivo lo sfondamento del fronte nemico, la presa del Monte Kuk e del Vodice, per giungere alle foci del Tin. 6/2016
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mavo e da qui a Trieste. L’impresa non riuscì e le truppe italiane poterono issare bandiera soltanto sul Kuk e sul Vodice, da cui si dominava la Bainsizza e il corso dell’Isonzo. Fu in questa battaglia che, il 28 maggio, cadde il Maggiore Giovanni Randaccio nel corso di un’operazione verso Quota 28 (in prossimità di Duino), concepita assieme allo stesso D’Annunzio. La missione su Cattaro prese forma nei primi giorni di settembre, con la selezione degli equipaggi che avrebbero costituito il “Distaccamento AR”, così chiamato in onore del suo Comandante, Maggiore Armando Armani (1879-1970), divenuto pilota militare nel novembre 1913 e all’inizio delle ostilità assegnato al II Gruppo aeroplani, per passare poi al III. Ai suoi ordini erano poste due squadre costituite ciascuna da sette bombardieri Caproni Ca.33, comandate rispettivamente dai Capitani Maurizio Pagliano e Leonardo Nardi. Ognuno dei velivoli ospitava quattro uomini di equipaggio, ai quali toccava una missione non certo facile, non soltanto da un punto di vista strettamente militare, ma anche dal punto di vista tecnico, considerando il tipo di aerei allora a disposizione. Il Caproni Ca.33 era un biplano da bombardamento realizzato in legno rivestito di tela, tranne le superfici di controllo in struttura metallica. Il piano di coda era di tipo monoplano, con le derive montate sopra lo stabilizzatore. Queste, collegate, erano interamente mobili, tranne quella centrale fissa. L’apparecchio, alimentato da tre potenti motori Isotta-Fraschini V4B da 150 CV ciascuno, poteva imbarcare fino a quattro uomini, che trovavano posto nella carlinga centrale: anteriormente il mitragliere, alle sue spalle i due piloti – seduti l’uno di fianco all’altro – e infine il secondo mitragliere o il meccanico; quest’ultimo posto si trovava in una torretta sopraelevata, installata appena sopra il motore, in modo da garantire una buona posizione di lavoro per il meccanico, e comunque un’ampia visuale anche al secondo mitragliere. Nella torretta era infatti montata una mitragliatrice Fiat Mod. 14 tipo Aviazione, prodotta dalla Società Metallurgica Bresciana, di calibro 6,5 mm, con una celerità di tiro pari a 450/500 colpi al minuto, raffreddata ad aria e alimentata da un cari76
Una carta austro-ungarica. Con il cerchio rosso è indicata l’area in cui era la base di Cattaro
catore a cassetta da 50 colpi. Con un’autonomia di circa quattro ore di volo e quattrocento chilometri di distanza, i Ca.33 potevano raggiungere obiettivi dislocati fino a circa duecento chilometri nel territorio nemico, distanza però insufficiente, ad esempio, per colpire le officine Skoda in Boemia, che rappresentavano il principale centro industriale dell’Impero austro ungarico. Per raggiungere Cattaro, gli aerei dovevano coprire una distanza di duecento chilometri in mare aperto e altrettanti per ritornare alla base: un particolare non secondario, considerando che, pur essendo il Caproni Ca.33 uno dei migliori velivoli a disposizione dell’Intesa, era comunque destinato a voli prettamente terrestri e in caso di ammaraggio forzato non avrebbe galleggiato per più di un minuto e venti secondi circa. Rivista Militare
Il 25 settembre tutti gli aerei si trovavano presso il campo d’aviazione di Gioia del Colle, pronti a partire per la missione, che fu però rinviata di alcuni giorni a causa del ritardo nella consegna del materiale bellico. Un ritardo che poco piacque a D’Annunzio, che non si peritò a esternare la sua contrarietà in un telegramma spedito al Generale Marieni, nei giorni immediatamente precedenti all’operazione, per sollecitare l’invio delle bombe: “Signor generale (sic) Marieni, oso avvertire signoria vostra che mancano interamente munizioni e che è urgentissimo provvedere per non perdere tempo prezioso. Ossequi, Capitano D’Annunzio”. Un testo che somiglia più a un vero e proprio ordine, che a una semplice richiesta. Traspare infatti evidente l’impazienza del Vate per il compimento dell’impresa, al punto da scrivere in quegli stessi giorni un vibrante messaggio agli equipaggi: “Dopo le ripetute incursioni su Pola che alla fama degli aggressori di Idria, di Assling e di
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Sopra Un bombardiere Caproni Ca.33 Sotto Una rappresentazione grafica di una delle fortificazioni di Cattaro, l’ex forte Punta d’Arza
Tarvis aggiunsero una gloria navale e parvero fare della nostra liscia carlinga di tela un’emula della prua rostrata, voi siete chiamati a compiere un’impresa marina di ben più alta audacia. Voi siete i primi a portare l’ala d’Italia in un cielo ostile che fu fino a oggi immune da ogni offesa aerea. Voi sarete i primi ad aggredire nel canale di Kumbur la più nascosta base dei sommergibili austriaci e il numeroso naviglio alla fonda nella baja di Teodo. Le difficoltà della rotta, la singolarità del luogo, l’importanza militare del compito, la necessità di superare la propria perizia e il proprio coraggio improvvisando nel pericolo una virtù nuova, tutto concorre a sollevare il vostro animo, che fu sempre pari all’evento e sempre superiore alla fortuna”. Qui traspare l’impeto guerriero del Vate, unito alla sua prosa elegante e immaginifica, capace di rivestire di storicismo e di un’aura intellettuale le imprese belliche italiane. Per l’occasione, aveva persino ribattezzata Gioia del Colle in Gioia della Vittoria. 77
Finalmente, il 30 settembre, il treno delle munizioni giunse a Gioia del Colle, ma si dovettero attendere condizioni meteorologiche favorevoli prima di autorizzare la missione. Fra i cinquantasei uomini della Squadra, si trovavano, oltre ai già citati Pagliano e Nardi, anche i Tenenti Giampiero Clerici e Luigi Gori e i Sergenti Cesare Baccili e Angelo Pacassoni. Seguiva l’impresa anche il corrispondente del “Corriere della Sera” Guelfo Civinini. Responsabile dell’operazione era il Comando della Marina di Brindisi, rappresentato dal Tenente di Vascello Andrea Bafile (all’epoca Comandante della torpediniera “Ardea”), il quale ebbe l’intuizione di dotare i bombardieri di bussole navali e s’impegnò personalmente nell’istruire gli equipaggi sul loro utilizzo. Infatti, per orientarsi durante la trasvolata, i piloti avrebbero avuto a disposizione soltanto le stelle. Per questa ragione era indispensabile attendere una notte senza nuvole, che il servizio meteorologico della Regia Marina dava per certa fra il 4 e il 5 ottobre. Inoltre, per facilitare ai piloti la rotta verso il mare aperto, fu predisposta una linea luminosa di proiettori posti lungo la congiungente Gioia-Polignano, e sulla costa due fasci di luce convergenti indicavano l’imminente fine della costa; poi, nelle acque territoriali italiane, erano dislocati otto cacciatorpediniere e due ricognitori che, con i proiettori, avrebbero dovuto indicare la rotta ai velivoli. Una lunga operazione tecnico-tattica che lascia intuire anche il carattere in un certo senso avventuroso della Grande Guerra, dove l’intuizione del singolo poteva sopperire alle limitazioni tecniche. Il decollo dei bombardieri fu fissato per le 23 del 4 ottobre, a distanza di quattro minuti l’uno dall’altro. Così Civinini descrive la partenza: “Un fragore assordante, un fremito violento che scuote tutto il velivolo, un momento di sobbalzi ondeggianti, poi una calma che pare un arresto di movimento: solo il fragore che continua, e il vento che sterza e percuote. Ai lati della carlinga e dietro gli scappamenti dei motori saettano lunghi pennacchi di fiamme rosso e violetto. Si guarda in giù, affacciandosi al parapetto di rame dei serbatoi. La terra è già lontana, e snoda sulla sua crosta bruna i nastri bianchi delle sue strade in giri vorticosi. È l’apparecchio che rotea per prender quota. Strade e paesi sembra che danzino, laggiù un bizzarro girotondo. Poi fermano il giro e fuggono. L’apparecchio fila dritto verso il mare” (5). D’Annunzio si trovava a bordo del velivolo “Asso di Picche” pilotato dal Capitano Pagliano, con il quale divideva il comando della prima squadriglia. A missione compiuta ne scrisse un breve resoconto sul suo diario storico, che si riporta di seguito: “Presa la rotta marina con un allineamento di 51°, passammo sul settimo gruppo di siluranti alle 11.37 a una quota di 2.200 metri. I 78
Un bombardiere Caproni Ca.33 in un aerodromo in Albania
proiettori di bordo erano visibilissimi ma in seguito non ci fu possibile scorgere le segnalazioni del VI Gruppo né quelle degli altri”. Nonostante le previsioni meteorologiche della Regia Marina, una certa foschia aleggiava sull’Adriatico. Dopo circa un’ora dal decollo, due bombardieri – il 4162 e il 4146, pilotati dai Tenenti Casimiro Buttini e Mario Muratorio –, furono costretti a rientrare alla base per problemi al motore, per cui l’impresa fu condotta dai restanti apparecchi, il cui volo proseguì senza difficoltà, anche se la foschia continuava a disturbare l’orientamento, come riporta ancora D’Annunzio: “Alle 12.45 avvistammo la costa, attraverso strati bassi di cirri che da prima ci diedero l’impressione di trovarci su l’arcipelago. Ma, poco dopo, alle ore 1.15 riconoscemmo la Punta d’Arza. Invece di contornare a levante la penisola per trovare la depressione che è fra Traste e Teodo, preferimmo di risalire la costa fino a Lustica”. L’operazione si stava svolgendo secondo i piani, “La sorpresa del nemico era evidentissima, perché i proiettori tardarono ad accendersi e non ci cercarono. Gettammo le prime due bombe su Porto Rose, le altre su Kumbur, e seguimmo gli scoppi e le fiamme”. I bombardieri italiani riuscirono tutti a sfugRivista Militare
A sinistra e in basso Rappresentazione grafica delle difese di Cattaro.
Kumbur un fumoso rosseggiare d’incendi. Sono i nostri ‘giacomini’ che scoppiano sulle stazioni dei sommergibili, delle siluranti e degli idrovolanti allineate sul canale. Quello che rosseggia è forse l’incendio di un deposito di nafta o di benzina” (6). E infatti era stato colpito uno dei principali depositi della base. I bombardieri sganciarono tutto il munizionamento caricato, ovvero ventiquattro granate-mine da 260 mm (75 kg) e settantadue granate-mine da 162 mm (25 kg), per un peso complessivo di circa tre tonnellate e mezzo. Nessuno dei bombardieri fu colpito dalla contraerea austriaca, perché difficilmente individuabili nel buio della notte e tutti poterono invertire la rotta per il volo di rientro, che si presentò più difficile dell’andata perché, a ridosso della costa italiana, si erano formati densi banchi di nebbia che complicarono l’orientamento dei piloti, al punto che alcuni si spinsero a sud fino a Brindisi e furono costretti a un lungo periplo prima di atterrare a Gioia del Colle. Anche “Asso di Picche” ebbe le medesime difficoltà, come scrisse D’Annunzio: “Anche nel ritorno non ci fu possibile scorgere le segnalazioni dei gruppi di silugire al violento ma poco efficace fuoco antiaereo avversario. Leggiamo ancora lo stesso D’Annunzio: “La baia di Teodo era in parte celata da nubi, alle ore 1.32, mentre riprendevamo la rotta del ritorno, con un allineamento di 218°, passando sopra Zabardje e Porto Zanjica. Fu allora che partì qualche colpo da una batteria antiaerea che ci parve situata sull’Obstnik”. Anche Civinini riporta l’impreparata risposta difensiva degli austriaci: “Vediamo presso la costa tre navi affiancate all’ancora, e una davanti di traverso. Anch’esse accendono un fascio di riflettori, e subito, dopo una sventagliata rapida, li spengono. Vediamo qua e là un saettio di vampe di cannonate, ma cerchiamo invano gli scoppi nel cielo. Dove tirano costoro? Vediamo invece lungo la costa delle grandi vampate e sulla costa nord dello stretto di n. 6/2016
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Gabriele D’Annunzio (secondo da sinistra) accanto ad un bombardiere Caproni Ca.33
ranti; e deviammo ad austro, verso Brindisi. Poi risalimmo la costa verso borea, giovandoci dei fuochi indicatori Coston rossi. Avvistati i proiettori di Conversano, potemmo pur nella foschia atterrare felicemente sul campo”. Tuttavia, per molti dei piloti si rivelò efficace il sistema di segnalazioni poste sulla costa, con l’accensione di tutti i fari tra Vieste e Capo d’Otranto (Manfredonia, Barletta, Bari, Monopoli, Capo Gallo, San Cataldo) e la loro identificazione con luce verde per quelli da Bari verso nord e luce rossa da Monopoli verso sud. Nei giorni seguenti, sul suo diario, D’Annunzio vergò questa frase: “Secondo me l’impresa di Cattaro è la più straordinaria che sia mai stata tentata da apparecchi attrezzati per volo su terra”. Fedele al suo ruolo di condottiero, il Vate coniò il suggestivo motto “Iterum rugit leo”, che, oltre a celebrare l’impresa, aveva anche il pregio di alludere al Leone di San Marco, simbolo della Repubblica di Venezia, le cui glorie erano tramontate a Perasto, nel golfo di Cattaro, dove l’ultima bandiera della Serenissima era stata ammainata il 23 agosto 1797 a seguito della conquista napoleonica. Indubbiamente, l’impresa di Cattaro costituisce una pagina eroica della guerra italiana, condotta con notevole acutezza tattica in mezzo a difficoltà logistiche di un certo peso: il buio della notte, la quasi impossibilità di mantenere contatti fra gli equipaggi degli aerei e il pericolo di un’avaria sul mare. A fronte di queste condizioni, desta ancora oggi ammirazione il coraggio dimostrato dagli aviatori italiani, impegnati in un’operazione tecnicamente non semplice – visti anche gli scarsi mezzi tecnologici per il volo notturno –, ma animati da una profonda volontà guerriera. Da parte sua il Comando della Marina di Brindisi risolse nel miglior modo allora possibile la difficoltà delle segnalazioni da terra. Con queste parole si concludeva il comunicato ufficiale del Quartier Generale: “Sgominati, presi alla sprovvista, fulminati da tonnellate di esplosivo, gli austriaci non seppero organizzare che una debole difesa antiaerea. La loro base navale fu gravemente danneggiata. Secondo le prime notizie pervenute, tutte le bombe scoppiarono sugli obiettivi prefissi, producendo terribili stragi”. In realtà, la situazione era assai diversa: sganciate da una quota di circa tremila metri e in condizioni di scarsa visibilità notturna, che non permettevano l’esatta individuazione degli obiettivi, le bombe arrecarono alla flotta austriaca soltanto danni superficiali, prontamente ammessi il giorno seguente dalle stesse fonti militari di Vienna. Restava comunque l’audacia 80
di un’impresa tecnicamente non facile da compiere e la sua portata psicologica, che galvanizzò non poco il morale delle truppe italiane. Al termine dell’operazione, lo Stato Maggiore della Marina conferì agli equipaggi la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con la seguente motivazione: “Su apparecchio terrestre, percorrendo un lungo tratto di mare aperto, in condizioni avverse, riusciva a raggiungere le Bocche di Cattaro ed a colpire con grande esattezza ed efficacia gli obiettivi navali, ritornando con tutti gli altri alla base, nonostante le deviazioni inevitabili nella crescente foschia”. Inoltre, per meriti di guerra, D’Annunzio ottenne la promozione a Maggiore. A posteriori, si comprende la relativa indifferenza con cui l’AustriaUngheria accolse la notizia dell’incursione italiana: se, a rigor di logica, si sarebbe dovuta avvertire una certa preoccupazione per la violazione di una base navale che si considerava imprendibile dal mare (trovandosi in una baia ben protetta) così come dal cielo (a causa della distanza da coprire con gli aeroplani), l’imminenza dell’offensiva di Caporetto, con cui lo Stato Maggiore di Vienna confidava di sfondare il fronte italiano e costringere Cadorna alla resa, rassicurava non poco l’ambiente. L’offensiva non raggiungerà l’obiettivo, ma tristi giorni si stavano per abbattere sulle truppe italiane. * Saggista NOTE (1) Gianni Pieropan, Storia della grande guerra sul fronte italiano, Mursia, Milano, 2009, pag. 315. (2) Enrico Rebora, I precedenti del volo su Vienna, Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare, Roma, 1973, pag. 12. (3) Ivi, pag. 15. (4) Paolo Ferrari (a cura di), La Grande Guerra Aerea, Gino Rossato Editore, Valdagno (Vi), 1994, pag. 216. (5) Guelfo Civinini, Corriere della Sera, 6 ottobre 1917. (6) Ibidem. Rivista Militare