Il movimento di liberazione in Istria Per meglio comprendere il contesto politico che portò al triste epilogo del Maresciallo Farinatti e, in generale, alle tragiche giornate dell’autunno ’43, crediamo utile tratteggiare l’evolversi dell’antifascismo in Istria, in dettaglio per la zona parentina e pisinotta di nostro interesse, dare un volto agli elementi di prim’ordine del movimento insurrezionale e tra questi presumiamo i mandanti e i carnefici di quella stagione. Per fare ciò, ci affidiamo, in larga parte, a una fonte originale e qualificata quale è il memoriale di Ljubo Drndić24, edito in Jugoslavia nel 1978, dal titolo “Oružje I Sloboda Istre 1941-1943”25, nel quale l’autore delinea la sua esperienza come uno dei protagonisti della lotta di liberazione in Istria, avendo avuto a che fare con tutti i principali capi partigiani, dei quali pubblichiamo le fotografie tratte dallo stesso volume. Ma facciamo un passo indietro. L’irredentismo slavo26 - almeno quello di matrice recente - trova le sue origini sotto il dominio asburgico, quando a più riprese tenta di affrancare talune terre balcaniche dalla monarchia, con l’epilogo del noto duplice omicidio di Sarajevo del giugno 1914, senz’altro l’avvenimento più sensazionale anche per gli esiti disastrosi che si trascinò dietro. Sul finire del primo conflitto mondiale, quando era chiaro che l’impero Austro-Ungarico non avrebbe avuto un futuro, taluni reparti, inquadrati nell’esercito asburgico ma formati prevalentemente da truppe d’origine slava, si ammutinarono sul campo di battaglia anche in virtù delle riscoperte identità nazionali27, oltre alle oramai pessime condizioni di vita dopo quattro anni di terribile guerra. Ciò fu prodromo, dopo la dissoluzione del trono viennese, alla proclamazione, il 1° dicembre 1918, del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (Regno S.H.S.), uno Stato federato di nazioni balcaniche. Come accennato in precedenza, il trattato di Pace di Versailles del 1919 lasciò insoluta la c.d. “questione adriatica” ovvero la determinazione del confine italo-jugoslavo che si procrastinò fino al novembre 1920, quando i due paesi suggellarono, con il trattato di Rapallo, l’annessione al Regno d’Italia delle terre giuliane, istriane e dalmate occupate fin a quel momento, ad eccezione di talune concessioni e rettifiche in favore del vicino stato slavo, in buona sostanza ciò che all’Italia era stato promesso con il “patto di Londra” 24 Ljubo Drndić era nato a Karojba nei pressi di Pisino il 27 luglio 1919, la sua famiglia emigrò nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nel 1921. Proseguì le scuole a Orebic e Makarska, quindi a Spalato e Belgrado, dove, per le sue idee rivoluzionarie, fu arrestato e torturato dalla polizia. Dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale partecipò alle dimostrazioni di marzo 1941. Quindi fu coinvolto nell’organizzazione del partito comunista a Spalato, da dove nel dicembre dello stesso anno partì per tornare in Istria. Presto diventò uno degli organizzatori del movimento di liberazione, membro della prima direzione del KPH (Partito comunista croato) per l’Istria e del Comitato Regionale, e più tardi membro del Comitato Centrale del Partito Comunista. Lavorò presso “l’Agitprop” del partito comunista e fu redattore capo del periodico “Naprijeda”. Dopo la guerra proseguì la carriera in campo diplomatico. Fu il direttore per l’esercito jugoslavo presso il centro informazioni di New York e il Cairo, poi capo dello staff per l’Europa occidentale presso il Segretariato federale degli affari esteri e l’ambasciatore in Sudan. Dal 1964 al 1969 fu vice presidente del Comitato federale del turismo. È morto a Zagabria il 20 febbraio 2013. 25 Ljubo Drndić, “Oružje I Sloboda Istre 1941-1943” (“Armi e libertà dell’Istria”), Školska knjiga - Glas Istre 1978. 26 Ci teniamo a precisare che in questo contesto, ovviamente, il termine slavo è usato per indicare l’origine delle genti che abitano la penisola balcanica, senza che tale parola possa essere ambiguamente interpretata in modo dispregiativo verso quei popoli, come certa dialettica “di confine” ha declinato. 27 Nell’estate 1918 si contarono circa 70.000 militari disertori appartenenti ai sottogruppi etnici croati, sloveni e bosniaci.
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