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Le “bufale” online e l’inquinamento del public discourse Matteo

Monti

1. L’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione: i social networks e il public discourse

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La rete Internet ha radicalmente cambiato il mondo dell’informazione, come rilevato dal XII° Rapporto Censis-Ucsi (2015), stante ancora il primato dei mezzi di informazione tradizionali, il 51,4% degli italiani per informarsi utilizza anche motori di ricerca e il 43,7% si afida anche a Facebook, a cui risulta iscritto il 50,3% dell’intera popolazione e il 77,4% dei giovani under 30. La percentuale s’inverte in relazione ai giovani, fra cui Facebook è il principale strumento d’informazione (71,1%), seguito dai motori di ricerca (68,7%) e dai telegiornali (68,5%). Il ruolo dei social network nel mondo dell’informazione è quindi destinato a crescere con il ricambio generazionale. Stiamo assistendo alla costruzione di una «nuova gerarchia delle fonti di informazione», secondo le parole del Rapporto. Le potenzialità per il pluralismo informativo sono importantissime: la rete, per la sua diffusione e la sua relativa economicità (la mera connessione Internet), è in grado di valorizzare la c.d. controinformazione come nessun altro mezzo di comunicazione. Questa è favorita anche dalla presenza dei social network, che riescono a raggiungere i singoli internauti e a diffondere capillarmente le notizie, al contrario dei media tradizionali. «Questi ultimi possono certo ancora iltrare le notizie per il grande pubblico, ma la circolazione alternativa dei social network li minaccia perché raggiunge in modo selettivo esattamente quei cittadini che sfuggono all’informazione mainstream per

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole curiosità intellettuale o sospetto programmatico»1. Ovviamente anche la rete Internet ha dimostrato di non essere la terra promessa2 e fra i lati oscuri vi è sicuramente la diffusione di notizie false che orientano l’opinione pubblica: sono le c.d. bufale.

2. Fenomenologia della “bufala” e distorsione del public discourse

Dal dizionario Treccani si legge che con l’espressione “bufala” s’intende – in senso igurato – «svista, errore madornale; affermazione falsa, inverosimile; panzana». Nel linguaggio di Internet il termine ha assunto il signiicato di notizia falsa, da intendersi come descrizione di avvenimenti non realmente accaduti, ossia di avvenimenti inventati o distorti.

Non è che prima dell’avvento dell’informazione su Internet e sui social network queste pratiche non esistessero3, ma l’effetto non era paragonabile: oggi si parla addirittura di post-truth world4 (mondo post-fattuale). Per capire l’estensione globale del fenomeno5, ma soprattutto il suo caso più estremo, si può pensare all’inluenza delle bufale nell’attuale campagna elettorale americana6, in cui la creazione di false notizie è strumento di inluenza dell’opinione pubblica. In Italia il fenomeno non è senz’altro ancora così estremo, ma sta comunque assumendo dimensioni allarmanti: si pensi alle bufale diffuse sui social network nell’ultimo periodo, dalla “tassa sui condi- zionatori” imposta dall’UE, agli ipotizzati rapporti sessuali di Greta e Vanessa – le giovani cooperanti italiane rapite in Siria – coi terroristi, dai presunti casi di ebola a Lampedusa a seguito degli sbarchi di immigrati, ino alle pretese di sostegno economico inverosimili dei richiedenti asilo.

1 F. Colombo, Web 2.0 e democrazia: un rapporto problematico, in P. Aroldi (a cura di), La piazza, la rete e il voto, in Roma, Ave, 2014, 30, 33.

2 Per una ricostruzione critica del pensiero habermassiano e per interessanti riferimenti bibliograici: M.F. Murru, Le potenzialità democratiche delle nuove forme di comunicazione, ivi, 37.

3 Cfr. F. Colombo, Oscurando la verità, in Prob. Inf., 2001, 181, 187.

4 Per alcuni spunti di rilessione: Yes, I’d lie to you, in The Economist, Sep 10th , 2016.

5 Cfr. W. Lee Howell, Digital Wildires in a Hyperconnected World, in Report Global Risks, 2013, 23. F. Vis, The Rapid Spread of Misinformation Online, in Outlook on the Global Agenda, 2014, 28a.

6 F. Endres, Elezioni Usa, così Donald Trump approitta delle false notizie, in Repubblica.it, 15 settembre 2016 (consultato 01.11.2016).

Alcune di queste bufale hanno avuto una rilevanza notevole, venendo talvolta riprese anche da importanti esponenti politici o da quotidiani nazionali: sui social network hanno avuto innumerevoli condivisioni, apparendo quindi sulle “bacheche” di innumerevoli utenti di Facebook.

La diffusione delle bufale è ormai correlata anche al mondo del giornalismo a causa di una commistione di vari fenomeni: «la veriica delle fonti supericiale se non inesistente, la ricerca di visibilità e lettori sparandola grossa, l’interesse smodato del pubblico per notizie assurde, morbose o in grado di suscitare reazioni emotive, la necessità di fare i conti con sempre maggiori richieste e minori risorse in tempi di tagli e crisi del settore»7 .

Nella maggior parte dei casi tuttavia dietro alla diffusione di una bufala non vi è una motivazione politica né l’imprecisione di un giornalista, ma quelle che sono vere e proprie “fabbriche” di notizie false che utilizzano il c.d. click baiting per ottenere introiti pubblicitari. La condivisione della notizia consente infatti, mediante l’accesso al sito da parte degli utenti interessati a leggerne il contenuto, di incrementare le proprie entrate pubblicitarie. Eclatante ed esempliicativo il caso della bufala sui rapporti sessuali fra Greta e Vanessa e i loro sequestratori: la viralità della notizia dovuta alle condivisioni sui social network ha «fatto guadagnare al sito e ai suoi gestori “anche 1.000-2.000 euro al giorno”»8 .

L’inserimento di una notizia falsa all’interno della rete (soprattutto la sua condivisione sui social network) può causarne la c.d. viralità9, ossia il caso in cui un contenuto viene condiviso da più soggetti, riuscendo così a raggiungere centinaia di migliaia (a volte

7 F. Costa, Questa notizia è clamorosa (ma falsa): è la bufala bellezza, in IlSole24Ore.com, 26 aprile 2015 (consultato 01.11.2016).

8 Ibid.

9 Cfr. A.A.V.V., Collective Attention in the Age of (Mis)information, in A.A.V.V., Computers in Human Behavior, 2015, 1198.

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole milioni) di persone. Il fenomeno trova alcune spiegazioni in meccanismi cognitivi e sociologici quali la c.d. social cascade (la diffusione a cascata delle informazioni senza controllo sulla veridicità)10, la c.d. group polarization (la polarizzazione dei gruppi, che tende a favorire la diffusione e il rafforzamento di convinzioni all’interno di gruppi omogenei)11, oltre che l’inluenza delle prior convictions (le convinzioni personali) sulla lettura della notizia12 .

Dal punto di vista giuridico per affrontare il fenomeno serve innanzitutto confrontarsi con il problema della verità nell’ambito dell’informazione. Per alcuni13 essa è concetto metaisico inapplicabile al mondo del diritto, mentre dando per appurato l’«inutile mito»14 (ossia quello dell’«informazione totale e spersonalizzata», in realtà viva nello scontro ideologico e da essa inluenzato15), la verità si dovrebbe intendere come descrizione di fatti realmente accaduti, o meglio non invenzione di fatti non accaduti. Non si tratta della contrapposizione foucaultiana fra vero e falso, a livello di discorso16, ma della contrapposizione fra fatto-evento e non-fatto. Se è pur vero che i fatti non sono «pesci allineati sul banco del pescivendolo»17 , è altrettanto vero che un conto è scegliere di raccontare del tonno invece che del pesce spada (o di cercare di capire perché il tonno è avariato), un altro è raccontare di aver visto al mercato enormi draghi marini e sirene. È proprio quindi nel regime qualiicato della notizia, come oggetto dell’informazione, che la verità – o meglio la veridicità – del fatto/notizia assume un’importanza centrale per il public discourse. Non si tratta di abbracciare una teoria funzionale della libertà di manifestazione del pensiero, ma di recepire una funzionalizzazione della species della libertà di informazione, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale18: «In conclusione, l’affermato intreccio del dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e come inalità la verità e la sua diffusione»19. Nell’ambito del diritto all’informazione, che pretenda di essere tale, il falso non può trovare protezione20 .

10 Si rimanda a C. Sunstein, On Rumors, Princeton, Princeton University Press, 2014, 36.

11 Ivi, 50.

12 Ivi, 75.

13 Cfr. F. Ramacci, Cronaca e verità, in Dir. e soc., 1980, 389, 398-400.

14 A. Alessandri, Osservazioni sulle notizie false, esagerate o tendenziose, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 708, 720.

15 Si veda l’esempio del concentrarsi solo su certe notizie come l’esodo degli albanesi durante la guerra del Kosovo. F.O. Giesbert, La globalizzazione nella produzione delle notizie, in Prob. Inf., 2001, 141, 145.

16 M. Foucault, L’ordine del discorso, Torino, Einaudi, 1972, 13.

17 E. Carr, Sei lezioni sulla Storia, Torino, Einaudi, 1977, 28.

«[L]a diffusione di notizie del tutto “false” costituisce un fatto di certo non protetto dalla libertà di espressione del pensiero»21, indubitabilmente ove vi sia la consapevolezza della loro falsità, ossia siano subiettivamente false22 .

Tuttavia la fattispecie va distinta da altre tipologie di espressione che rientrano, invece, nel novero di manifestazioni del pensiero protette dall’art. 21 Cost.

In primo luogo la creazione e diffusione di bufale va distinta dal diritto di cronaca: il criterio scriminante fra legittima manifestazione del pensiero e, per esempio, lesione dell’onore delle persone è la veridicità di quanto scritto (o perlomeno il controllo delle fonti)23 .

In relazione al giornalismo di inchiesta il carattere di verità sfuma, rendendo possibile presentare fatti presunti purché in forma

18 Corte Cost. sent. n. 11/1968, 98/1968. Si vedano poi le sentenze in tema di diritto a informare e a essere informati: sent. n. 112/1993, 420/1994, 155/2002.

19 Cass pen. sent. n. 41249/2012.

20 La Corte dopo aver ripreso le dichiarazioni del Congresso internazionale dei giornalisti di Bordeaux (maggio 1954) evidenziava «il diritto di attingere notizie, pubblicarle e sottoporle al vaglio della critica deve essere conforme alla verità sostanziale dei fatti». Corte Cost. sent. n. 16/1981.

21 P. Barile, Il soggetto privato nella Costituzione Italiana, Padova, CEDAM, 1953, 121. C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, Giuffrè, 1958, 37. In particolare S. Fois (Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Milano, Giuffrè, 1957, 210) evidenzia come il principio di verità sia inapplicabile senza rischi per la democrazia, dovendosi arretrare su quello di verosimiglianza.

22 A. Pace, Commentario della Costituzione. Art. 21, Bologna-Roma, Zanichelli, 2006, 91. Il “falso soggettivo” non è dunque ammesso, il falso “obiettivo” solo ove sia stato controllo sulle fonti. Cfr. ivi, 95.

23 Ex pluribus in maniera molto chiara Cass. pen. sent. del 7.7.1987. In materia di diffusione di false notizie G.i.p. Milano sent. del 16/05/2011.

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole dubitativa, e non palesemente assurdi24. Più complessa la questione relativa alla «verità uficiale», ossia la ricostruzione degli accadimenti come accertata dagli organi di stampa «uficiale»25: una cosa è contrapporre un diverso svolgimento dei fatti come strumento di critica, un’altra è darvi rilevanza di cronaca; in questo ultimo caso, qualora non vi siano fonti o accertamenti che contestino la verità uficiale – accertata a sua volta da fonti – sembra che la condotta vada ritenuta creazione di notizia falsa.

Ugualmente le bufale vanno distinte dal diritto di critica, correlato all’«interesse generale al libero svolgimento della vita democratica»26 che «non si concreta nella narrazione di fatti bensì si esprime in un giudizio o più genericamente nella manifestazione di una opinione che sarebbe contraddittorio pretendere rigorosamente obiettiva ovvero assolutamente oggettiva»27 .

Le bufale vanno anche distinte dalle teorie “complottiste”, ossia quelle complesse costruzioni ideologiche che imputano politicamente determinati avvenimenti a determinate categorie o gruppi e che per quanto bislacche o riprovevoli rispondono all’esistenza della libertà di espressione e del pluralismo ideologico tutelato dall’art.

21 Cost28. Esula dal discorso delle bufale la diffusione delle proprie personali credenze ad esempio sull’esistenza di gruppi di pressione (si pensi alle illazioni sul c.d. Gruppo Bilderberg o sulle lobby dei vaccini).

Ugualmente le bufale vanno distinte dalle credenze religiose più recenti (Scientology, il movimento raeliano), che diffondono “informazioni” religiose rientranti nella libertà religiosa garantita dall’art.

19 Cost.: allo Stato «è vietato di dare giudizi di valore sulla verità in materia religiosa e di fede»29 .

Inine la bufala va distinta dalla satira, particolare forma di manifestazione del pensiero tutelata in base all’art. 21 e, qualora con-

24 Cass. pen. sent. n. 9337/2012.

25 Cfr. E. Bruti Liberati, Notizie false e tendenziose, in Quale giust., 1974, 122, 146.

26 Cass. pen. sent. n. 15236/2005 notata da caratteri artistici, dall’art. 33 Cost30. In comune le due fattispecie possono avere la falsità del fatto descritto: la satira spesso descrive fatti inventati. In relazione a soggetti individuati la satira non è priva di limiti, ma fra i requisiti per l’integrazione della scriminante non vi è la verità dei fatti, non avendo la satira alcuna inalità informativa nel senso di cronaca31. La differenza è nella consapevolezza che ha il lettore/spettatore di satira della totale falsità degli eventi, come descritti. Molti siti di bufale come «La Rebubblica o Il Solo 24 Ore – che diffondono notizie false ma verosimili, inventate ma potenzialmente credibili, e con un forte interesse popolare»32 si “schermano” sotto la denominazione di rivista satirica, non rilevando invece i caratteri della satira (in primo luogo l’individuabilità come tale). Ovviamente il carattere non satirico del sito può essere individuato solo a livello giudiziale.

27 Cass. pen. sent. del 16/4/1993.

28 Cfr. in tema di libertà ideologica ex pluribus Corte Cost. sent. n. 108/1974.

29 G. Dalla Torre, Immagini sacre, abuso della credulità popolare e giurisdizione ecclesiastica, in Iust., 1995, 349.

Il problema è che molte persone credono alla veridicità delle bufale, e questo inluisce sulla formazione (distorta) d’idee in materia: dall’avversione per un soggetto politico, alla cattiva opinione su una vicenda ino all’incremento del sentimento razzista. Se queste conseguenze risultano del tutto legittime e protette dall’art. 21 Cost. in quanto espressione di un pensiero e di una Weltanschauung, non legittimo risulta lo strumento mediante il quale si “generano”, ossia una distorsione del diritto/dovere di informare33. Molte bufale non hanno smentita, o la rettiica non è accompagnata dallo stesso grado di visibilità (non riuscendo a raggiungere le persone che le avevano credute vere) proprio a causa della viralità raggiunta dal contenuto originario sui social network.

30 Cass. pen. sent. n. 37706/2013.

31 «Il diritto di satira, a differenza da quello di cronaca, è sottratto al parametro della verità del fatto». Cass. civ. sent. n. 6787/2016. Tuttavia la Cass. pen. sent. n. 5065/2012 evidenzia che se nel contesto satirico ma fuori dall’oggetto della satira si veicola una notizia si rende necessaria la veridicità della stessa. Più la satira si distanzia dalla verità e da un carattere informativo più essa è tutelata, rischiando in altri casi di avvicinarsi alla cronaca e venir giudicata in quanto tale. Cfr. Cass. civ. sent. n. 5851/2015.

32 Costa, cit.

33 «Se manca questa base di lancio, se non c’è verità, ma calcolata e calibrata sua alterazione, inalizzata a disinformare e a creare inesistenti responsabilità e a inliggere fantasiose condanne agli avversari, il richiamo a nobili e intangibili principi di libertà è intrinsecamente offensivo per la collettività e storicamente derisorio, beffardo per coloro che, in difesa della libertà di opinione, hanno sacriicato la propria vita». Cass. pen. sent. n. 41249/2012.

Prima dell’avvento di Internet la diffusione di notizie era delegata principalmente a professionisti dell’informazione che per ragioni deontologiche, sanzionatorie, ma anche legate al prestigio sociale di categoria, non avevano interesse/possibilità di creare e diffondere notizie inventate. Inoltre qualora avvenisse il fenomeno non poteva svilupparsi a livello sistemico, sia per le sanzioni penali legate al mondo della stampa, che per la censura sociale che avrebbe colpito tale media34. Nel caso in cui questo fenomeno si sviluppasse attraverso altri mezzi di “informazione” come manifesti, volantini o radio esterne al circuito “professionale” giornalistico esso non poteva tuttavia avere né una grande “estensione” né una così capillare diffusione. In generale serve anche rilevare che i procedimenti di rettiica potevano essere facilmente eseguiti, raggiungendo potenzialmente lo stesso pubblico fruitore della notizia falsa. Al contrario, la diffusione di notizie tramite social network genera nuovi problemi che richiedono nuove soluzioni: la difesa della propria “reputazione” e credibilità non è certo obiettivo di siti preposti alla diffusione di false notizie35 e la rettiica sul web non sembra idonea a garantire l’effettiva correzione delle distorsioni.

Si rendono quindi necessarie forme di tutela dell’informazione, posto che sembra che il marketplace of ideas non sia in grado di “autotutelarsi”, soprattutto a causa del particolare strumento, i social network, col quale questo inquinamento avviene.

34 Non che questo fosse estraneo al mondo del passato, segnatamente connotato da un “mal costume giornalistico” di alterare l’opinione pubblica con notizie false. Cfr. G. Verrina, L’art. 656 c.p. e la libertà di pensiero, in Giur. Mer., 1977, 340, 343.

35 C’è chi segnala questo problema non solo in relazione ai siti creatori di bufale, ma anche in relazione ai giornali e siti partigiani e con lettori già orientati e idelizzati: «la reputazione di per sé non è suficiente a garantire trasparenza e correttezza dell’informazione quando altri siano gli interessi in gioco». G. Pavone, Il reato di diffamazione a mezzo Internet, in Treccani.it, 2010.

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