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Cyberbullismo e responsabilità...
Emerge, in tal senso, una prima singolare vicinanza tra il multiforme fenomeno oggetto del presente paper ed il diritto all’oblio in Internet23 .
Ciò risulta addirittura testualmente, laddove nella primigenia versione del modulo Google per l’esercizio del diritto all’oblio in Internet era presente uno speciico riferimento a «reati gravi, foto imbarazzanti, episodi di bullismo o di insulti online»24 .
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È chiara, pertanto, l’avvenuta proposizione (e trattazione) di richieste di rimozione dai risultati di search engines relative a episodi di cyberbullismo, in quanto considerate rientranti nella nozione di diritto all’oblio in Internet, attualmente dilatata rispetto all’ormai consolidato approdo giurisprudenziale e dottrinale25 .
In relazione alla novità di cui al reg. Ue n. 679/2016, si invita alla lettura di: F. Pizzetti (a cura di), Privacy e il diritto europeo alla protezione dei dati personali. Dalla Direttiva 95/46 al nuovo Regolamento europeo, Torino, Giappichelli, 2016.
23 In tal senso, le valutazioni, comportanti sovente il bilanciamento tra conliggenti diritti di pari rango costituzionale, vengono in entrambi i casi operate, quantomeno in prima battuta, dai gestori dei siti internet interessati. In materia di diritto all’oblio in Internet, si rimanda ad un interessante contributo pubblicato a ridosso di Corte giust., sent. 13 maggio 2014: O. Pollicino, Google rischia di “vestire” un ruolo para-costituzionale, in Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2014.
24 Tale puntiforme citazione è peraltro riportata anche da A. Mantelero, Il futuro regolamento EU sui dati personali ed il dilemma del caso Google: ricordare e dimenticare nella digital economy, in G. Resta, V. Zeno-Zencovich (a cura di), Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma, Roma Tre-press, 2014, 136-137. Essa, inoltre, può essere opportunamente contestualizzata, riportando parte della originaria introduzione al modulo Google: «Al momento, abbiamo ricevuto richieste di rimozione per ogni genere di contenuto: reati gravi, foto imbarazzanti, episodi di bullismo o di insulti online, vecchie denunce, articoli di giornale screditanti e molto altro. Per ognuna di queste richieste, siamo tenuti a prendere in considerazione sia il diritto di un individuo all’oblio sia il diritto del pubblico di accedere all’informazione».
Si speciica che l’integrale originaria introduzione al modulo è riportata in:
R.M. Colangelo, L’esercizio del diritto all’oblio in Internet, in La Parabola. Rivista trimestrale di studi e ricerche sulla comunicazione, 2015, 35, 92-93.
Per una veriica dell’attuale assenza di ogni e qualsivoglia riferimento a bullismo e cyberbullismo nella introduzione ed in tutto il modulo Google, si rimanda a https://support.google.com/legal/contact/lr_eudpa?product=websearch
25 Cfr. M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli, Edizioni Scientiiche Italiane, 2009.
5. Atti persecutori, tra cyberstalking e cyberbullismo
Ulteriore elemento che caratterizza il nuovo testo è la previsione dell’introduzione di un nuovo comma all’art. 612 bis c.p., rubricato – come è noto – «atti persecutori». È infatti l’art. 8, comma 1, lett. b), del nuovo testo a prevedere tale novellazione:
«La pena è della reclusione da uno a sei anni se il fatto di cui al primo comma è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La stessa pena si applica se il fatto di cui al primo comma è commesso utilizzando tali strumenti mediante la sostituzione della propria all’altrui persona e l’invio di messaggi o la divulgazione di testi o immagini, ovvero mediante la diffusione di dati sensibili, immagini o informazioni private, carpiti attraverso artiici, raggiri o minacce o comunque detenuti, o ancora mediante la realizzazione o divulgazione di documenti contenenti la registrazione di fatti di violenza e di minaccia».
A tale inserimento corrisponde la prevista soppressione della parte del secondo comma dell’art. 612 bis c.p., in cui attualmente si prevede che il delitto di cui trattasi possa essere commesso «attraverso strumenti informatici o telematici»26 .
Tale ipotesi di novellazione corrobora l’introduzione di una nuova ipotesi di ammonimento, già prevista nel precedente testo.
Più precisamente, si tratta dell’estensione dell’applicabilità della procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modiicazioni, in l. 23 aprile 2009, n. 3827 .
26 Per completezza, va dato atto che l’art. 8, comma 2, del nuovo testo, prevede – sempre de iure condendo – l’introduzione di una nuova ipotesi di conisca obbligatoria, in particolare di beni e strumenti informatici e telematici, laddove statuisce che: «All’articolo 240, secondo comma, numero 1-bis, del codice penale, dopo le parole: “utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli” sono inserite le seguenti: “612-bis”».
27 Si tratta del medesimo testo normativo che ha inserito nel codice penale la fattispecie delittuosa di «atti persecutori». In ordine alla disciplina ed alle pro-
In argomento, il precedente testo, all’art. 6, disponeva quanto segue: blematiche applicative poste da tale procedura di ammonimento, si rimanda a C. Parodi, Stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla l. 38/2009, Milano, Giuffrè, 2009, 103-124.
«1. Fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 59428, 595 e 612 del codice penale e all’articolo 167 del codice per la protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, commessi, mediante la rete internet, da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, è applicabile la procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modiicazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modiicazioni.
2. Ai ini dell’ammonimento, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la potestà genitoriale.
3. Gli effetti dell’ammonimento di cui al comma 1 cessano al compimento della maggiore età».
Dalla lettura del disposto risulta evidente il riferimento a quattro determinate fattispecie delittuose, tra le quali non risulta quella di cui all’art. 612-bis c.p.
Si noti anche che la commissione, da parte di minori ultraquattordicenni ed in danno di minorenni, di uno dei reati annoverabili nel ristretto numerus clausus sopra meglio riportato, era necessariamente vincolata all’utilizzo della rete.
28 L’art. 594 c.p., nelle more dell’iter parlamentare, è stato espressamente abrogato dall’art. 1, comma 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. Al contempo, l’art. 4, comma 1, lett. a) del medesimo decreto legislativo ha introdotto una nuova ipotesi di illecito punito con sanzione pecuniaria civile, il quale riprende gli elementi tipici dell’abrogata fattispecie delittuosa. Meritevole di attenzione è l’introduzione dell’espresso riferimento alla «comunicazione […] informatica o telematica».
Tale speciica previsione non trova alcun conforto nel corrispondente articolo del nuovo testo29, ove risultano altresì totalmente soppresso il vecchio comma 3.
Nello speciico, l’art. 7, comma 1, dell’ultimo testo approvato, dispone che:
«Per i fatti di cui all’articolo 1, commi 2 e 3, della presente legge che non integrano reati procedibili d’uficio, ino a quando non è proposta querela, è applicabile la procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modiicazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modiicazioni. In caso di minore età dell’ammonito, il questore convoca, unitamente all’interessato, almeno un genitore ovvero la persona esercente la responsabilità genitoriale».
Il soggetto minore30, pertanto, non è più l’unico riconosciuto in grado di compiere atti di cyberbullismo.
Espunto ogni espresso riferimento all’utilizzo della rete ai ini della commissione di reati, risulta chiara l’intenzione del legislatore di estendere la procedura di ammonimento ai responsabili non solo di atti di cyberbullismo, ma anche di bullismo.
Ciò posto, si riconferma, nelle attuali intenzioni del legislatore, la tendenza a consacrare una sempre più diffusa dilatazione delle nozioni di bullismo e di cyberbullismo, senza preclusivi limiti di età in ordine alla qualità di bullo o cyberbullo e di vittima.
29 Si tratta dell’art. 8, il cui disposto corrisponde, con le modiicazioni che si illustrano, a quello dell’art. 6 del precedente testo.
30 Si ricorda che, in forza di quanto previsto dall’art. 97 c.p., è imputabile solo il minore ultraquattordicenne.
6. Considerazioni conclusive
Nonostante le perplessità sinteticamente illustrate, va rapidamente diffondendosi il ricorso a nozioni, più o meno dilatate, di cyberbullismo, soprattutto in riferimento a plurimi episodi di cronaca.
Il paradigma comune, spesso, è il seguente: soggetti adulti diffondono e condividono, senza autorizzazione, video intimi e riservati altrui.
Tali condotte - almeno in una prima e sommaria analisi - risultano carenti di quelli che sono i connotati più pregnanti del bullismo e del cyberbullismo, mentre emerge con maggior chiarezza la rilevanza penale delle stesse.
Inoltre, non si dimentichi che, almeno rebus sic stantibus, è lo stesso legislatore a prevedere la necessaria reiterazione dell’aggressione o della molestia da parte del cyberbullo, come si evince espressamente dall’art. 1, co. 2, del testo attualmente all’esame del Senato.
In argomento, pertanto, risulta evidente che non tutte le condotte diffamatorie perpetrate online possono integrare un atto di cyberbullismo, e viceversa; ciò può affermarsi anche in ordine alla relazione intercorrente tra atti persecutori e cyberbullismo, laddove ulteriori elementi oggettivi della fattispecie paiono coninare una possibile collimazione tre le due “qualiicazioni” solamente nei casi più gravi31 .
Non è, inoltre, pienamente accettabile il riferimento, in casi di siffatta specie e natura, al diritto all’oblio.
Occorre precisare che il diritto all’oblio è stato deinito «“mutante” nel mondo della rete»32. Tale deinizione, risalente al periodo immediatamente precedente alla ormai celeberrima sentenza Costeja González33, viene confermata dalla successiva evoluzione giurisprudenziale di tale diritto, il quale va coincidendo sostanzialmente con il mero diritto alla cancellazione, espressione del più ampio diritto alla tutela dei dati personali.
31 Infatti, a mente dell’art. 612 bis, co. 1, c.p., viene punito «chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».
32 Così F. Pizzetti, Il prisma del diritto all’oblio, in F. Pizzetti (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, Torino, Giappichelli, 2013, 37.
33 Corte giust., sent. 13 maggio 2014.
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole
Di converso, va gradatamente scemando la rilevanza, a mero titolo esempliicativo, della liceità della originaria pubblicazione della notizia o, più in generale, dell’informazione, nonché del decorso di un considerevole lasso temporale34 .
Pare riscontrabile, almeno in potentia, un’ulteriore, singolare vicinanza tra il diritto all’oblio ed il fenomeno del (cyber)bullismo, laddove entrambi, nonostante le ontologiche e manifeste differenze, subiscono una sensibile variazione in forza del loro rapporto con la Rete. Ancora una volta, l’enorme pervasività del Web si dimostra atta non solo ad ampliicare le conseguenze di un’azione, ma anche ad incidere sullo statuto ontologico di diritti, istituti e fenomeni.
34 In ordine alla rilevanza del fattore temporale, si richiama l’attenzione alla seguente recente sentenza: Cass., sez. I civ., sent. 4 novembre 2015-24 giugno 2016, 13161.
1. Internet, social network e diritto penale in evoluzione
La rivoluzione tecnologica che ha investito la società nell’ultimo ventennio ha innescato profondi cambiamenti di ordine economico, sociale, culturale e, non per ultimo, giuridico, ivi compresi, per quel che qui interessa, cambiamenti nel e del sistema penale1. Il trasferimento sul piano virtuale di un’amplissima gamma di attività umane ha, per un verso, drasticamente modiicato la dimensione del fenomeno criminale, incidendo su di esso sia in senso quantitativo che in senso qualitativo; per l’altro, ha imposto un complessivo aggiornamento del sistema punitivo, sia tramite l’introduzione di strumenti nuovi che tramite il ripensamento di strumenti già esistenti.
All’interno del mondo web, sempre più rilevanza assumono i cc.dd. social network, ovverosia le reti di interazione virtuale fra utenti portatori di uno o più interessi in comune. Come è stato rilevato, il loro impatto innovativo deriva sia dalla facilità e velocità di circolazione dei contenuti, sia dalla possibilità che questi ultimi vengano “condivisi” con cerchie potenzialmente indeinite di utenti2; tali caratteristiche, se, da un lato, consentono agli iscritti di svi-
1 Per una panoramica introduttiva, G. Pica, voce Internet, Dig. disc. pen., II agg., Torino 2004, 425.
2 L. Picotti, I diritti fondamentali nell’uso e abuso dei social network. Aspetti penali, in Giur. mer., 2012, 12, 2523.
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole luppare in modo sempre più pieno la propria personalità, dall’altro, moltiplicano le possibilità di aggressione degli interessi altrui3. Un chiaro esempio di tale ambivalenza è rappresentato dal diritto di manifestazione del pensiero: in effetti, non è chi non veda che, tramite il social network, crescono tanto le opportunità di divulgare su larga scala le proprie idee, quanto il rischio che tali idee, una volta divulgate, ledano la reputazione altrui con una diffusività – id est: un’intensità – impareggiabile rispetto ai canali tradizionali.
Breve: all’interno dei social network, la classica tensione tra libertà d’espressione e tutela della reputazione trova nuova linfa; s’impone così una rivalutazione del delitto di diffamazione (art. 595 c.p.), ipotesi criminosa che, in tale tensione, racchiude la propria cifra di disvalore.
2. La diffamazione via social network
Nonostante le iniziali, prevedibili dificoltà di adeguamento4, la giurisprudenza dà ormai per scontata la possibilità di applicare l’art. 595 c.p. – aggravato dal «mezzo di pubblicità » di cui al comma 3 – ai casi di offese veicolate tramite social network. Con riferimento alla piattaforma più nota, la Cassazione ha recentemente ribadito che «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 co. 3 c.p. poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone»5. Più in generale, merita ricordare che, per
3 Si rimanda a E. Falletti, I social network: primi orientamenti giurisprudenziali, in Corr. mer., 2015, 7, 992 per un quadro sintetico e aggiornato.
4 La diffamazione rientra nella categoria dei cc.dd. reati informatici in senso lato; reati, cioè, di per sé “pensabili anche nel mondo reale”, rispetto ai quali il dispositivo, la rete, il dato informatico etc. rappresentano un mezzo di commissione. Da questi, debbono essere tenuti logicamente distinti i cc.dd. reati informatici in senso stretto, rispetto ai quali il dispositivo, la rete, il dato informatico etc. rappresentano elemento tipico e costituiscono obiettivo dell’attività criminale.
5 Cass., sez. I pen., sent. 28.4.2015 n. 24431. Analogamente, per rimanere alle più recenti, Cass., sez. V pen., sent. 13.7.2015 n. 8328; Cass., sez. I pen., sent. 22.1.2014 n. 16712, che equipara il messaggio postato da proilo “aperto” – poiché rivolto a platea indeterminata – e da proilo “chiuso” – poiché rivolto a platea determinata giurisprudenza unanime, una volta che un contenuto sia immesso nel circuito Internet, la sua diffusione – e quindi la comunicazione con più persone6 – deve presumersi ino a prova contraria7; ne consegue che, qualora detto contenuto risulti lesivo dell’altrui reputazione8, il delitto di diffamazione (aggravata) deve ritenersi integrato.
Il delitto di diffamazione al tempo dei social network...
La trasposizione del reato de quo in un ambito radicalmente diverso rispetto a quello in cui era stato originariamente pensato, d’altra parte, ha dato luogo a molteplici questioni interpretative. Nelle pagine che seguono, tenteremo di dar conto, in modo necessariamente schematico, di alcuni aspetti problematici relativi all’impiego del delitto di diffamazione per offese trasmesse via social network, saggiando lo “spirito di adattamento” di questa vecchia fattispecie a questo nuovo mezzo di comunicazione.
2.1. Il rapporto tra diffamazione e ingiuria
Una delle questioni che si pongono all’attenzione dell’interprete è quella della delimitazione tra diffamazione e ingiuria; delimitazione divenuta ancor più importante in séguito al recente declassamento della seconda fattispecie a illecito civile (art. 4 co. 1 lett. a d.lgs. 15.1.2016 n. 7)9, fattispecie che, per espressa e opportuna scelta legislativa, può essere realizzata anche «mediante comunicazione informatica o telematica».
È noto che la differenza tra le due fattispecie s’incentra sulla presenza o meno dell’offeso; “presenza” che, specie nel nostro ambito, si declina come diretta percezione dell’espressione infamante (comunicazione, scritti o disegni «diretti alla persona offesa»)10 .
ma comunque molto ampia. In assenza di diversa indicazione, le sentenze citate sono reperibili sul portale DeJure.
6 Critica la confusione tra questi concetti, S. Seminara, voce Internet (diritto penale), Enc. dir., Milano 2014, VII Annali, 581.
7 Per tutte, Cass., sez. I pen., sent. 27.4.2012 n. 23624.
8 Da ultimo, offre una compiuta disamina sul punto G.i.p. Rovereto, sent.
19.11.2015, in Dir. pen. cont., 2016, con nota di E. Maschi, G.E. Vigevani, Ai conini della critica: dal Tribunale di Rovereto una lezione sul reato di diffamazione.
9 Su questo nuovo ibrido sanzionatorio, R. Martini, L’avvento delle sanzioni pecuniarie civili. Il diritto penale tra evoluzione e mutazione, www.lalegislazionepenale.eu, 2016.
10 In realtà, proprio l’equiparazione tra le due diverse modalità d’ingiuria porta la dottrina tradizionale a ritenere il concetto di “presenza” da intendersi comun-
Ora, se volgiamo lo sguardo all’universo social, appare evidente che, in linea generale, l’area applicativa della fattispecie di ingiuria risulta piuttosto ridotta11: dal punto di vista oggettivo, ogni post, status, disegno etc. è sempre offerto ad una platea indeinita o, comunque, ad un numero molto ampio di iscritti; dal punto di vista soggettivo, poi, è chiaro che l’utilizzo di un social network per esternare un giudizio denigratorio testimonia la volontà dell’agente non tanto di relazionarsi in via diretta con il destinatario, quanto di diffondere tale giudizio in una cerchia più o meno determinata, più o meno ampia di persone. Così, ad esempio, chi utilizza l’account di Twitter per offendere un altro utente, vista l’apertura indiscriminata delle bacheche, risponde sempre di diffamazione (aggravata), anche laddove “si sia rivolto” a quest’ultimo attraverso lo speciico meccanismo della menzione. In deinitiva, ci pare che, come da più parti sostenuto, possa integrare ingiuria soltanto il messaggio direttamente e speciicamente indirizzato all’insultato12 .
Permangono, tuttavia, alcune zone d’ombra: quid juris, in particolare, in caso di comunicazioni dirette all’offeso eppure alla presenza di altri soggetti (si pensi alle offese rivolte ad un membro di una chat plurima di Messenger oppure di un gruppo “chiuso/segreto” su Facebook)? A modesto avviso di chi scrive, tali casi, a determinate condizioni, si prestano ad essere comunque inquadrati nell’ipotesi di ingiuria, sebbene aggravata dalla presenza di più persone (art. 4 co. 4 lett. f d.lgs. 7/2016): l’ambiente circoscritto in cui avvengono gli scambi, nonché l’immediatezza di quest’ultimi mal si conciliano col carattere di diffusività che deve (rectius: dovrebbe) caratterizzare la que – vale a dire: anche fuori dall’ambito telematico – come percezione diretta da parte dell’offeso. P. Siracusano, voce Ingiuria e diffamazione, in Dig. disc. pen., Torino 1993, 38. Peraltro, si consideri che la dizione «comunicazione informatica e telematica» è stata aggiunta dal d.lgs. 7/2016; l’assenza di medesima formula all’interno del vecchio art. 594 c.p. costringeva a ricondurre le comunicazioni virtuali nel più ampio concetto di «scritti o disegni». In tema, L. Picotti, Proili penali delle comunicazioni illecite via internet, in Dir. inf., 1999, 2, 288 ss.
11 Sulle differenze tecniche tra comunicazione diretta e comunicazione indiretta, rilevanti ai ini dell’inquadramento del fatto nell’ingiuria o nella diffamazione, sempre L. Picotti, Proili penali delle comunicazioni illecite, cit., 295 ss.
12 Fra i molti, L. Scopinaro, Internet e delitti contro l’onore, in Riv. it. dir. pen. proc., 2000, 2, 619 ss.; M. Fumo, La diffamazione mediatica, Torino, UTET, 2011, 95.
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«comunicazione con più persone» alla base dell’ipotesi delittuosa13 .
Si tratta di una soluzione in contrasto con la giurisprudenza dominante14 che, tuttavia, da un lato, crediamo sviluppi in modo coerente la differenziazione tra email e siti web che alcune sentenze opportunamente operano15; dall’altro, valorizzando il dettato legislativo del nuovo d.lgs. 7/2016 e il concreto funzionamento di questi speciici strumenti, mira a ridimensionare il ruolo fagocitante del reato di diffamazione, optando a favore della fattispecie meno grave ogni qualvolta l’espressione offensiva non sia resa fruibile ad un numero indeterminato di utenti social.
2.2. La responsabilità del provider
Fra i temi più spinosi del diritto penale informatico, spicca quello relativo ai proili di responsabilità del provider. L’Internet service provider (ISP) è “l’intermediario di connessione” che, sempliicando, mette a disposizione degli utenti una determinata piattaforma web (fra cui, per l’appunto, un social network). In linea generale, ai sensi degli artt. 14-17 d.lgs. 9.4.2003 n. 70 – attuativo della dir. 2000/31/ CE – tale soggetto è gravato da una serie di obblighi di segnalazione, collaborazione con le autorità (ad esempio, ai ini dell’identiicazione di un utente), rimozione dei contenuti illeciti16; la normativa,
13 D’altra parte, come accennato sub § 2, la giurisprudenza affronta il tema Internet postulando una presunzione di comunicazione/diffusione; nulla vieta, crediamo, che, in determinati contesti – quali appunto, le chat o i gruppi chiusi – tale presunzione possa essere superata. Indispensabile, in tale ottica, è che l’autore abbia consapevolezza della presenza dell’ingiuriato all’interno di quella cerchia di persone. Analogamente, in tema di offese via mailing list, seppur in modo problematico, L. Scopinaro, Internet e delitti contro l’onore, cit., 625s. In senso diverso, da ultimo, T. Milano, sent. 11.2.2016 n. 1624, che, in un caso di commenti denigratori tramite mailing list, ha concluso per l’applicabilità del delitto di diffamazione, sebbene escludendo l’aggravante del mezzo di pubblicità.
14 Cfr diffamazione via lettera o via email: Cass., sez. V pen., sent. 15.3.2016 n. 18919; Cass., sez. V pen., sent. 16.10.2012 n. 44980. Contra, Cass., sez. V pen., sent. 10.4.2008 n. 16425.
15 Cfr. Cass., sez. I pen., sent. 21.12.2010 n. 2739, Cass. pen. 2011, 12, 4315, con nota critica di R. Lotierzo, Osservazioni a Cass. penale, 21 dicembre 2010, n. 2739, sez. I.
16 Il regime è differente a seconda che il provider offra servizi di access/mere conduit (art. 12 dir. 2000/31/CE; art. 14 d.lgs. 70/2003), caching (art. 13 dir. 2000/31/CE; art. 15 d.lgs. 70/2003) ovvero hosting (art. 15 dir. 2000/31/CE; art. 16 d.lgs. 70/2003).
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole tuttavia, esclude che questi abbia obblighi di monitoraggio ex-ante sui contenuti immessi da terzi sul sito ovvero di ricerca attiva di fatti e circostanze che indichino la presenza di attività illecite; tale statuto “privilegiato” non si applica, però, laddove l’ISP non si limiti a compiere attività automatiche di trasmissione e memorizzazione, bensì svolga una qualche attività “aggiuntiva”, quale, ad esempio, la modiica delle informazioni trasmesse17 .
In chiave penalistica, e limitando il discorso all’ipotesi diffamazione, merita distinguere tra (i) condotta omissiva e (ii) condotta attiva.
(i) Dottrina maggioritaria18 e giurisprudenza19 negano che in capo all’ISP sussista un obbligo di impedimento del delitto di diffamazione commesso dai singoli utenti: per un verso, manca una speciica posizione di garanzia20 – tanto di protezione quanto di controllo – non essendo essa desumibile né da disposizioni speciiche, né dalla norma generale di cui all’art. 40 cpv. c.p., né, inine, dagli artt. 57 e 57- bis c.p.; per un altro, mancano in ogni caso reali poteri impeditivi21 , non potendo certo il provider effettuare un controllo pieno ed eficace sull’intera massa di contenuti immessi in rete22. Ciò, esempliicando in ambito social, signiica che i gestori di Instagram non possono essere chiamati a rispondere della fotograia lesiva dell’altrui reputazione postata da un membro, non potendo e non essendo comunque essi tenuti a vagliare preventivamente ogni singola immagine caricata. Tale soluzione, con speciico riferimento ai social network, è stata recentemente avallata anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo23 .
17 Da ultimo, chiarisce la posizione dell’access provider a livello europeo Corte GUE, sent. 15.9.2016, C-484/2014, Tobias McFadden vs Sony Music Entertainment Germany GmbH.
18 Ex multis, con analisi anche di reati ulteriori, R. Bartoli, Brevi considerazioni sulla responsabilità dell’internet service provider, in Dir. pen. proc., 2013, 5, 600; D. De Natale, La responsabilità dei fornitori di informazioni in internet per i casi di diffamazione online, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2009, 519; M. Fumo, La diffamazione mediatica, cit., 53 ss.; 161 ss.; A. Gullo, I delitti contro l’onore, in C. Piergallini, F. Viganò (a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio, Torino, Giappichelli, 2015, 168 ss; A. Ingrassia, Il ruolo dell’ISP nel ciberspazio. Cittadino, controllore o tutore dell’ordine?, in Dir. pen. cont., 2012, part. 25 ss.; G. Pica, voce Internet, cit., 473 ss.; S. Seminara, voce Internet, cit., 597 ss.; suggerisce una valutazione caso per caso, indotta dall’eventuale esistenza di speciici obblighi di protezione nella materia volta volta considerata, L. Picotti, I diritti fondamentali, cit., 2544 ss.
19 App. Milano sez. I, sent. 27.2.2013, in Giur. mer., 2013, 7-8, 1577, con nota di P. Silvestre, La sempreverde tentazione di sostituirsi al legislatore; e F. Resta, Diritti individuali e libertà della rete nel caso Vivi Down. Diversamente, per un controverso caso di responsabilità diretta e monosoggettiva dell’amministratrice di blog per alcuni commenti offensivi lasciati dai lettori, G.i.p. Varese, sent. 22.2.2013 n.
116, in Arch. pen., 2013 (s.m.), 3, con nota critica di M. Minasola, Blogging e diffamazione: responsabilità dell’amministratore del sito per i commenti dei lettori.
20 Sulla necessità che, per aversi concorso mediante omissione al fatto commissivo, l’omittente debba rivestire la posizione di garante dell’impedimento dell’evento-reato, per tutti, G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2012, 629.
Il delitto di diffamazione al tempo dei social network...
(ii) Viceversa, l’ISP può rispondere del delitto di diffamazione laddove modiichi un messaggio offensivo postato da un utente, così attribuendosene la paternità, ovvero laddove riprenda un certo contenuto infamante da altri siti, così conferendogli nuova (e più ampia) diffusione. Allo stesso modo, esso è punibile a titolo di concorso con l’autore del messaggio diffamatorio quando, con piena consapevolezza (cfr. artt. 15 co. 1 lett. e e 16 co. 1 lett. a d.lgs. 70/2003), fornisca accesso, attività di memorizzazione o tecnologie all’altrui reato prima della sua realizzazione24. Più problematica, di contro, la conigurabilità del concorso omissivo con l’autore in caso di mancata rimozione del messaggio: esempliicando, possono gli apici di Facebook essere chiamati a rispondere per concorso in diffamazione laddove, pur a séguito di ingiunzione dell’autorità, un post offensivo non venga cancellato? Secondo una prima impostazione, nonostante il d.lgs. 70/2003 delinei soltanto un proilo di responsabilità civile (art. 17 co. 3), l’omesso intervento potrebbe rilevare anche come ipotesi di responsabilità penale concorsuale, seppur necessariamente a fronte di un formale provvedimento dell’autorità giudiziaria o amministrativa25; altri, invece, ritengono che l’ag-
21 Sottolinea che la responsabilità dell’ISP, prima che un problema giuridico, ponga un problema tecnico, peraltro incentivato dalla concentrazione del web in mano a pochi, giganteschi provider, G. Pica, voce Internet, cit., 473.
22 Anche a voler ammettere che l’ISP rivesta una posizione di garanzia e abbia effettivamente la possibilità di effettuare un controllo capillare, peraltro, resterebbe scoperto il problema del coeficiente doloso, da provare secondo le scansioni ordinarie.
23 Corte EDU, G.C., sent. 16.6.2015, Deli AS vs Estonia, § 116.
24 S. Seminara, voce Internet, cit., 595 ss.
25 Pur ammettendo che si tratti di soluzione ardita, R. Bartoli, Brevi considerazioni, cit., 602; M. Fumo, La condotta nei reati informatici, in Arch. pen., 2013, 3, gravamento delle conseguenze del reato derivante dal mantenimento in rete del messaggio offensivo si atteggi a mero post-factum e, quindi, non costituisca partecipazione criminosa, non potendosi inquadrare il delitto ex art. 595 c.p. nello schema del reato permanente26 .
In ogni caso, proprio in relazione ai social network, v’è chi, da ultimo, ha sottolineato che le esenzioni di responsabilità cristallizzate nel d.lgs. 70/2003 «sono state in primo luogo pensate per provider assai meno tecnologicamente evoluti rispetto a quelli che oggi caratterizzano il mercato e, in secondo luogo, che esse non si applicano nel caso in cui gli stessi ISP esercitino un controllo effettivo sui contenuti ospitati»27. Viene da chiedersi, allora, se le migliori dotazioni tecniche unite alle maggiori possibilità di controllo di cui oggi godono i gestori di social network non debbano condurre ad una generale rimeditazione della disciplina, in prospettiva interpretativa28 o, preferibilmente, de lege ferenda.
2.3. Giurisdizione e competenza territoriale
Attesa la natura di Internet quale “non luogo”29, la realizzazione del delitto di diffamazione via social network pone delicati problemi di ordine lato sensu territoriale. Anzitutto, vale la pena ricordare che il delitto
784 ss., il quale, tuttavia, aveva in precedenza puntualizzato che l’omessa rimozione di un messaggio lesivo che l’ISP ha l’obbligo di rimuovere costituirebbe una autonoma ipotesi delittuosa. Id., La diffamazione mediatica, cit., 57 ss.
26 S. Seminara, voce Internet, cit., 597, 599 ss.; A. Ingrassia, Il ruolo dell’ISP, cit., 21 ss., Ex adverso, anche T. Milano sez. VI, sent. 12.4.2010, sul punto confermata da App. Milano sez. I, sent. 27.2.2013, cit.
27 C. Melzi D’Eril – O. Pollicino, Contenuti e responsabilità sui social network che cambiano, in Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2016.
28 È quanto sembrerebbe emergere in relazione alla drammatica vicenda di Tiziana Cantone, morta suicida in seguito alla diffusione virale di un video che la riprendeva durante un rapporto sessuale: stando a quanto riportato dai giornali, il Tribunale di Napoli avrebbe sancito l’obbligo di Facebook di rimuovere il contenuto illecito (per violazione della disciplina sulla privacy), a prescindere da uno speciico ordine dell’autorità. Si veda Tiziana Cantone, il Tribunale di Napoli: ‘Facebook doveva rimuovere i video’, in Il Fatto Quotidiano, 4 novembre 2016.
29 O, meglio, di ambiente immateriale che non può essere delimitato entro conini isici o territoriali.
Il delitto di diffamazione al tempo dei social network di diffamazione è, secondo l’opinione dominante, un reato di evento, ove l’evento è inteso come avvenimento esterno di tipo «non isico ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius: dei terzi) dell’espressione offensiva»; ne deriva che il reato «si consuma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano terzi rispetto all’agente e alla persona offesa»30 . Momento e luogo di consumazione del reato hanno signiicativi rilessi giuridico-spaziali, risultando dirimenti al ine di determinare (i) giurisdizione e (ii) competenza territoriale.
(i) Il discorso relativo alla giurisdizione è relativamente più agevole: ai sensi dell’art. 6 co. 2 c.p., «il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi veriicato l’evento che è la conseguenza dell’azione o dell’omissione». Alla luce di ciò, per acquisizione ormai paciica, v’è giurisdizione del giudice italiano tutte le volte in cui nel nostro Paese vi siano soggetti che abbiano preso cognizione del carattere offensivo di un determinato contenuto, a prescindere dall’eventuale collocazione all’estero del server su cui quest’ultimo è stato caricato31 .
(ii) Maggiori dilemmi, invece, sorgono nell’individuazione del giudice territorialmente competente. Negli anni, dottrina e giurisprudenza hanno offerto soluzioni variegate, sovente caratterizzate da contraddizioni logiche e forzature ermeneutiche32. Il problema di fondo è che la diffamazione a mezzo Internet costituisce un vero e proprio tertium genus rispetto alle altre forme di diffamazione mediatica; ne deriva che, tentando di trapiantare in questo ambito i criteri adoperati per la diffamazione a mezzo stampa33 o via radio-
30 Per tutte, Cass., sez. I pen., sent. 21.12.2010 n. 2739, cit. In dottrina, per tutti, F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale, Padova, CEDAM, 2013, 253. Contra,
L. Picotti, Proili penali delle comunicazioni illecite, cit., 295 ss.
31 Cass., sez. V pen., sent. 17.11.2000 n. 4741, Cass. pen. 2001, 6, 1832, con nota di
E. Perusia, Giurisdizione italiana anche per le offese online su un sito straniero. Più di recente, Cass., sez. II pen., sent. 21.2.2008 n. 36721.
32 Signiicativa, in tal senso, la controversa presa di posizione in T. Milano sez. VI, sent. 12.4.2010, ove si afferma che la percezione dell’offesa rappresenta «un dato rilevante per la commissione del reato di cui all’art. 595 c.p., ma non direttamente ai ini della competenza territoriale».
33 È ormai consolidato l’orientamento che radica la competenza per il delitto di televisione34, l’interprete inisce per plasmare un tipo a geometria variabile, oscillante, a seconda delle esigenze, tra reato d’evento e reato di pericolo, fattispecie di danno e fattispecie di mera condotta, reato istantaneo e reato permanente.
La giurisprudenza più accreditata, nel ribadire che la diffamazione è reato d’evento, dà tuttavia atto della dificoltà, se non dell’impossibilità, di seguire precisi criteri oggettivi; esclusa l’applicabilità degli artt. 8 co. 1 e 9 co. 1 c.p.p., la scelta cade così sull’ipotesi residuale ex art. 9 co. 2 c.p.p., che àncora la competenza nel luogo del domicilio dell’imputato35 .
Per converso, la dottrina maggioritaria ritiene che, in ossequio alla natura del delitto, giudice competente dovrebbe essere quello del luogo in cui si trovano i due soggetti terzi che, collegandosi alla rete, per primi percepiscono la natura diffamatoria del messaggio: la possibilità di acquisire i iles di log che consentono di risalire all’IP del soggetto che effettua la connessione – si argomenta – renderebbe l’accertamento della «comunicazione con più persone» assai più agevole rispetto ad altre forme di divulgazione mediatica36 .
Le soluzioni prospettate, ad avviso di chi scrive, prestano il ianco a critiche di ordine, rispettivamente, logico-dogmatico e pratico. La tesi allo stato preferibile, allora, sembra quella che ritiene competente il giudice del luogo in cui l’autore ha agito caricando il contenuto offensivo sul server37; contenuto che, come noto, non “circola diffamazione a mezzo stampa nel luogo in cui ha sede la tipograia dalla quale gli stampati sono usciti per essere distribuiti e messi in circolazione. Per tutte, Cass., sez. I pen., sent. 12.6.2007 n. 25804.
34 Ai sensi dell’art. 30 co. 4-5 l. 6.8.1990 n. 223, per i casi di diffamazione commessi attraverso trasmissioni radiotelevisive consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato, il foro competente è determinato dal luogo di residenza della persona offesa.
35 Cass., sez. I pen., sent. 21.12.2010, cit.; Cass., sez. I pen., sent. 15.3.2011 n. 16307; in precedenza, Cass., sez. V pen., sent. 17.11.2000, cit.
36 E. Perusia, Giurisdizione italiana, cit., 1875 ss.; R. Lotierzo, Osservazioni, cit., 4319; anche A. Gullo, I delitti contro l’onore, cit., 174, mostra perplessità circa la «assoluta siducia [della giurisprudenza maggioritaria] nella possibilità di determinare la competenza sulla base del locus commissi delicti».
37 Seppur ammettendo che non si tratta di un criterio pienamente soddisfacente, in tal senso S. Seminara, voce Internet, cit., 583.
Il delitto di diffamazione al tempo dei social network in rete” ma rimane “immagazzinato” e a disposizione degli utenti, i quali, attingendo dal server stesso, ne fruiscono attraverso il proprio terminale. A tal ine, anche a non voler condividere la tesi che postula la rilettura del delitto di diffamazione in termini di reato di mera condotta38, crediamo sia possibile ricorrere all’art. 9 co. 1 c.p.p., che consente di determinare la competenza in virtù dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione39. Per quanto parzialmente “di ripiego”, questa impostazione ha il pregio di individuare il foro in modo preciso, senza peraltro determinare insanabili fratture dai principi generali; in effetti, nel campo della criminalità informatica, le ragioni che ispirano il prioritario criterio del locus commissi delicti – più agevole ricerca del materiale probatorio e appagamento del sentimento di giustizia della comunità (geograica) coinvolta appaiono nettamente afievolite.
In ogni caso, la complessità della questione e la precarietà delle varie soluzioni proposte palesano l’esigenza di prevedere una norma ad hoc che issi la competenza in modo univoco, magari proprio sulla falsariga della legge 223/1990, privilegiando il luogo in cui si trova il domicilio dell’offeso40 .
2.4. Il sequestro preventivo delle pagine social
Fra i principali nodi recentemente sciolti dalla giurisprudenza, v’è quello relativo alla possibilità di disporre il sequestro preventivo delle pagine web, ivi comprese, ai nostri ini, quelle ospitanti social network.
La soluzione affermativa, per vero da tempo nettamente maggioritaria, muove dalla non sovrapponibilità tra Internet e stampa, con ciò che ne consegue in punto di garanzie costituzionali in materia
38 L. Picotti, Proili penali delle comunicazioni illecite, cit., 297 ss., 320 ss. Anche la giurisprudenza, d’altronde, qualora il petitum attenga non al locus bensì al tempus commissi delicti, pare far coincidere la consumazione del reato con l’immissione del messaggio in rete. Così S. Seminara, Locus commissi delicti, giurisdizione e competenza nel cyberspazio, http://informaticagiuridica.unipv.it/ convegni/2012/SEMINARA%2023-11-2012.pdf, 9 ss.
39 In questo senso, Cass., sez. V pen., sent. 19.5.2015 n. 31667, la quale espressamente richiama il principio elaborato dalle Sezioni unite in materia di accesso abusivo (Cass., sez. un. pen., sent. 24.4.2015 n. 17325).
40 In tal senso, sul piano unionista, Corte GUE, sent. 25.10.2011, C-509/09-C-/161/10, eDate Advertising GmbH vs X – Oliver and Robert Martinez vs MGN Limited, § 48.
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole di sequestri41. Tale soluzione ha da ultimo avuto l’autorevole avallo della Cassazione a Sezioni unite. In dettaglio, i giudici rimettenti dubitavano dell’applicabilità della disciplina cautelare reale alle risorse informatiche, deducendo, da un lato, che il sequestro ex artt. 321 c.p.p. e 104 disp. att. cp.p. avente ad oggetto una pagina web si tradurrebbe non già nella “semplice” sottoposizione di una res a vincolo d’indisponibilità, bensì in una vera e propria inibitoria comportante l’obbligo di tacere; dall’altro, che applicare il sequestro preventivo a «dati informatici» comporterebbe un’indebita applicazione analogica delle disposizioni codicistiche, giacché soltanto l’art. 254-bis c.p.p., regolante il sequestro probatorio, prevede testualmente tale possibilità42 .
Le Sezioni unite43, di contro, facendo perno su argomentazioni di stampo sistematico-teleologico44 e normativo45, stabiliscono che, ricorrendo i presupposti issati all’art. 321 c.p.p., è ammissibile il sequestro preventivo di un sito web o di una singola pagina telematica, anche mediante imposizione al provider di attivarsi per rendere inaccessibile il sito o la speciica risorsa telematica veicolo di reato; si pensi, in proposito, all’oscuramento di un account Twitter appartenente ad un utente che ne abbia offeso un altro46 .
41 L’art. 21 co. 3 Cost. detta un regime “privilegiato” in materia di sequestri di stampati. Sul punto, anche per i numerosi richiami giurisprudenziali, M. Fumo, La diffamazione mediatica, cit., 46 ss.; S. Seminara, voce Internet, cit., 584 ss.
42 Cass., sez. I pen., ord. 3.10.2014.
43 Cass., sez. un. pen., sent. 29.1.2015 n. 31022. In tale frangente, la Corte si è trovata a dover decidere due questioni: quella, appunto, sull’applicabilità del sequestro preventivo ad una pagina internet; e quella, a cui la prima fa da presupposto, sulla possibilità di sequestrare una pagina web di una testata giornalistica online registrata, possibilità negata.
44 La sentenza ripercorre alcuni passi della Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988 per chiarire il signiicato della funzione sostanzialmente impeditiva attribuita al sequestro preventivo.
45 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, Budapest, 23.11.2001, ratiicata in Italia con l. 18.3.2008 n. 48; dir. 2000/31/CE, attuata in Italia col già citato d.lgs. 70/2003.
46 Per un caso di sequestro di pagine di blog, da ultimo, Cass., sez. V pen., sent. 25.2.2016 n. 12536, Dir. pen. cont. 2016, con nota di S. Vimercati, La Cassazione conferma l’inestensibilità ai blog delle garanzie costituzionali previste per gli stampati in tema di sequestro
3. Chiusa
In queste poche pagine abbiamo tentato di delineare lo stato dell’arte sul rapporto tra diffamazione e social network. In linea generale, notiamo la dificoltà della disposizione, così come attualmente formulata, ad adeguarsi pienamente al contesto social; un contesto mutevole ed in continua espansione, retto su scambi veloci e “multidimensionali” (comunicazione del tipo “molti a molti”), ove i contenuti sono caratterizzati da, al contempo, formidabile visibilità e rapida obsolescenza. All’interno dei social network, da una parte, le forme di aggressione dell’onore altrui mutano47; dall’altra, complici la possibilità di nascondersi dietro false identità e la dificoltà nel risalire a contenuti salvati su server esteri, l’accertamento può risultare estremamente complicato48 .
In questa luce, non possiamo che auspicare un intervento legislativo che non si limiti a correggere l’art. 595 c.p. ma, semmai, lo riformi alla radice, in modo da renderlo il più compatibile possibile coi meccanismi di comunicazione di Internet, nell’ottica di garantire un adeguato bilanciamento tra tutela dell’onore e libertà d’espressione anche all’interno dell’universo virtuale49. Con la consapevolezza (serena o rassegnata) che il diritto, piuttosto che accompagnare l’evoluzione tecnologica, è fatalmente destinato a inseguirla50 .
47 Si pensi soltanto alla facilità con cui un messaggio, mediante i meccanismi del retweet, dello share o dello screenshot, può diventare virale.
48 L. Picotti, I diritti fondamentali, cit., 2538.
49 Si veda A. Gullo, La tela di Penelope, in Dir. pen. cont., 2016, part. 17 ss., il quale analizza un recente progetto di riforma del delitto di diffamazione.
50 La felice espressione è di M. Fumo, La diffamazione mediatica, cit., 47.