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ULDERICO PIERNOLI - NOME IN COD ICE K2
La dolina - scrive nel Diari-0 - è ospedale, cimitero, mensa, comando, ufficio. In dolina si telefona , s i canta, si bestemmia, ci si muore. Si va in dolina a sviluppare le fotografie, a parlar male dei superiori, a vedere per l'ultima volta l'amico che cinque minuti fa stava berussim o e parlava di andare in licenza, ma che la pallottola s perduta o la scheggia hanno fulminato mentre accendeva la pipa5 •
Nell'agosto del 1917 il Carso è teatro di assalti e contrassalti furiosi con migliaia di morti, finché gli scontri si esauriscono con un nulla di fatto.
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La notte de l 24 lo scoppio di una granata procura a Sillavengo un buco sotto il pollice della mano destra, ma è la dissenteria a portarlo ancora in ospedale dove si s ente un imboscato, come considera quanti occupano posti nelle furerie, nei comandi, negli uffici, ovunque non ci sia da menare le mani. Torna al fronte. Gli assalti si susseguono, inutili, caparbi, senza infrangere le trincee nemiche.
I bombardamenti sconvolgono il terreno , uccidono e dilaniano, disseppelliscono i caduti del mese, della settimana, del giorno prima e ricoprono quelli di oggi .
I cecchini colpiscono con ostinazione e precisione. Ogni sera la conta dei caduti fa male. Troppi.
Ho fatto quattro chiacchiere con il sergente maggiore Roncoroni, di Como - annota il 9 settembre 191 7 - uno di quegli uomini che infondono sicurezza, cosi sereno e tranquillo, sempre in moto da un buco all'altro con la maggiore disinvoltura. Ma verso le dieci di sera ha voluto cacciar fuori il capo per guardar meglio avanti, e una fucilata l'ha preso fra l'occ hio sinistro e il naso. È rimasto rigido, senza dire una parola. Lo hanno portato a Dolina N ovara6 •
I vecchi soldati, i veterani sono i più prudenti e sopravvivono, spesso senza neppure avere il tempo di istruire i rimpiazzi appena arrivati.
6. lvi, pp. 190-191.
Noi che conosciamo ogni pietra della trincea, sappiamo come ba r camenarci: ma i n ovellini de ll a Siracusa ci restano a decine tutti i giorni. Sembra cli essere tornati ai gironi del San Michele. Percentuale alta di morti, ca u sa le ferite che naturalmente sono tutte alla testa 7 .
Alle 02.00 del 24 ottobre 1917, il fuoco cli centinaia d i cannoni apre la XII Battagli a de ll 'Isonzo, passata alla storia come Battaglia di Caporetto. Nessuno si è reso conto cli quello che hanno preparato gl i au str iac i, r info rzati da truppe tedesche, nonostante numerosi d isertori abbiano fornito informazioni preziose n ei giorni precedenti.
La nebbia e il brutto tempo aiutano g li attaccanti, nella mattinata le posizioni italiane sono già i nfiltrate e superate dalla fanteria nemica.
Il 25 ottobre Paolo Caccia Dominioni annota:
Forte ha portato da Risano pessime notizie sull'offensiva austriaca in al to e medio Isonzo. Niente paura, dietro quelle posizioni abbiamo ancora bastioni formidabili: è uno de i sol iti alti e bassi della guerra. Continua anche qui l'eccezionale bombardamento delle retrovie8 • 7.
Ma le posizioni italiane cadono invece una a una, il ripiegamento diventa rotta, con tuni gli orrori e gli errori di un disastro che porta l'Esercito italiano a perdere il terreno conquistato a prezzo di sangue in due anni e mezzo di guerra.
A metà novembre la battaglia si esaurisce e la ritirata si ferma al Piave. Il bilancio è terrificante: centinaia di migliaia di caduti, cannoni , mitragliatrici e automezzi catturati dal nemico che mette le mani su un'enorme quantità di munizioni, viveri e rifornimenti, su interi magazzini che assicureranno agli austriaci la possibilità di sostenere un altro anno di guerra.
Il generale Armando Diaz sostituisce Luigi Cadorna e Paolo Caccia Dominioni scrive:
Nessuno di noi conosce Diaz ... la notizia non c i è piaciuta, e abbiamo brindato ai compagni, ma in tristezza. Forse abbiamo preso un granchio e Diaz va benissimo9 • li 29 gennaio 1918, proprio su l Cornone, con la sua sezione mitraglieri Cino anacca ed espugna una posizione austriaca per piazzare due mitragliatrici. Un soldato bavarese lo fulmina con una fuci lata. I suoi alpini lo vendicano, ma non riescono a salvargli la vita. I morti si seppelliscono e se ne serba memoria. Tutti i morti, anche se sono fratelli. Il tenente Sillavengo riprende a istruire le sezioni lanciafiamme, che finalmente sono autorizzate a fregiarsi del nodo Savoia sovrastato dal dragone dorato c h e sputa lingue di fuoco. Il piede semicongelato continua a tormentarlo e gli evita le marce. Quando la sua compagnia torna in linea sugli Altipiani, arriva provvidenziale la licenza con autorizzazione per l'estero. Con amarezza pensa che forse, postuma, l'autor izzazione è arrivata anche a Cino.
C'è un altro nome che impara a conoscere e che tornerà nella sua vita di so l dato: Pietro Badoglio. Un genera le che in poco più di un anno h a scal ato la carriera conquistando il Sabotino e poi il Vodice e il Monte Kuk. Le sue truppe, però, sorprese e sopraffane dall'offensiva nemica nella conca di Plezzo, provocano la caduta di Caporetto e l'inizio de l disastro. Quando si delineano le sue responsabilità, il 'marchese del Sabotino' è diventato l ' intoccabile principale collaboratore di Diaz. Con un piede semicongelato, Sillavengo trascorre il dopo Caporetto in uno stato di inazione, in attesa della sospirata l icenza che vorrebbe trascorrere in famiglia, a Tunisi, i nsieme al frate ll o Francesco Nicolò , che tutti chiamano Cino. Soctotenente degli alpini, Battaglione Stelvio, è stato ferito due volte in modo non grave . Paolo l'ha visto per l'ultima volta la vigi l ia di Natale, mentre erano insieme in trincea sul Cornone. Non lo vedrà più.
9. lvi , pp. 252-253.
A Tunisi riabbraccia papà Carlo e mamma Bianca, insieme piangono la perdita di Cino, con dignità, riserbo e scarse paro le . Due mesi sono lunghi o brevi, dipende dai punti di vista, e Paolo già si sente imboscato per il troppo tempo trascorso lontano dalla prima lin ea che, tuttavia, non può raggiungere. Una circolare toglie dal fronte quelli che hanno fatto parecchie giostre e in più perduto fratelli, avuto ferite, preso medaglie. E cosìquando scade la licenza - arriva la nuova dcsònazione: la Tripolitania. Sillavengo s'infuria e toglie i nastrini dalla divisa perché, afferma, un imboscato perde il diritto a portarli. Ma un ufficiale che conosce la vita, un maggiore al comando militare di tappa del Consolato, gli dice a muso duro che boccerà qualsiasi azione tesa a sottrarsi alla destinazione assegnata.