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Flavio Russo - Ferruccio Russo
79
D.C. ROTTA SU
POMPEI La prima operazione di protezione civile
STATO MAGGIORE DELLA DIFESA
G li affreschi di pag. 6, 9 e 10 provengono dagli scavi dell'ing. Matrone in località Bottaro, Torre Annunziata, N apoli e sono custoditi presso il Museu m of Fine Art cli Boston. I diritti sono riservati. Nessuna parte di q uesta pubblicazione può essere riprodotta, archiviata anche con mezzi informatici, o trasmessa in qualsiasi form a o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, con fotocopia, registrazione o altro, senza la preventiva autorizzazione dei detencori dei diritti.
ISBN 978-88-95430-83-6 E.S.A.
Ed izioni Scientifiche e Artistiche
© 2013 Proprietà letteraria, artistica e scientifica riservata W\Vw.edizioniesa.com - info@edizioniesa.com
all'Ammiraglio Plinio e alla sua Fortuna
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PRESENTAZIONE
Ho aderito con vero piacere all'invito di redigere una mia prefazione a questo interessante volume che, pur affondando la propria ptmtuale e scientifica ricerca in un evento ormai lontanissimo dai nostri tempi e dalla nostra più prossima memoria storica, offre la ricostruzione, certamente ipotetica ma sensibilmente plausibile, di un nùgido atto di valore militare e di esemplare responsabilità etica. Dalla coinvolgente narrazione lasciataci da Gaio Plinio Secondo, detto il Giovane, redatta tuttavia con finalità apologetiche tma trentina di anni dopo, desumiamo, quasi istante per istante, le tùtime ore dello zio, il celebre Plinio il Vecclùo in occasione della catastrofe vesuviana del I secolo. Da un singolare rinvenimento archeologico assumiamo pertinenti indicazioni che sembrano dar corpo alla verità storica anche se·nessuno storico può, con certezza, stabilire la piena attendibilità di una ricostruzione ma, ipotizzarne esclusivamente la congruità con le prove e gli indizi. E mai come in questo caso gli indizi sono numerosi. Stando al nipote sappiamo che l'ammiraglio Plinio, comandante della prima flotta imperiale di stanza a Miseno, in una bella e calda giornata autunnale del 79, allibito ed incuriosito da uno straordinario fenomeno, che poi si seppe vulcanico, decise di studiarlo più da vicino, da scrupoloso naturalista qu~e era. Ma mentre organizzava l'armamento di una veloce unità, un disperato e tragico dispaccio lo raggiunse: in esso s'invocava proprio dal luogo dove intendeva dirigersi, l'intervento delle sue navi, unico scampo dalla furia della natura. Capì istantaneamente la tragedia ed alla curiosità dello scienziato subentrò la razionalità dell'ammiraglio: centinaia, forse migliaia, di persone terrorizzate si dibattevano sulla spiaggia percossa da un mare sconvolto. Speravano ormai in un improbabile soccorso, in un miracolo che, come intuiva, soltanto lui ed i st1oi uomini avrebbero potuto compiere. E decise sull'istante di tentare un'impresa
fino ad allora priva di qualsiasi precedente, una missione, la prima, di protezione civile condotta da una forza armata con mezzi complessi e costosi, squisitamente destinati al combattimento! Capì, infatti, che soltanto le sue potenti navi potevano con la forza dei loro remi sconfiggere il vento contrario che inchiodava tante imbarcazioni alla riva e capì, ancor più, che soltanto la disciplina e l'abitudine ad eseguire gli ordini da parte dei suoi coraggiosi equipaggi gli avrebbe consentito di affrontare quelle ire ignote. Comprese che le navi da guerra, per quella volta almeno, potevano rivelarsi portatrici di vita e non di morte, di gioia e non di paura. Al riguardo, piace ricordare che quando nel 1944 lo stesso Vesuvio si produsse in un'ennesima eruzione, minacciando le popolazioni sottostanti, il comando alleato organizzò un piano di evacuazione con l'impiego delle navi da guerra al momento a disposizione, ritenendo che quella fosse, verosimilmente, l'unica soluzione adeguata. Gaio Plinio salpò al comando di una squadra di quadriremi, forse una dozzina, le più potenti unità di cui disponeva e la diresse con decisione e sprezzo del pericolo stando a bordo di una di esse, forse nave Fortuna, sul cui nome giocò la celebre frase volta a risollevare il morale del suo atterrito equipaggio: 'La Fortuna aiuta gli audaci!' Ma quella volta la Fortuna non lo aiutò, poiché perse la vita sulla sabbia di Stabia. E proprio laddove la spiaggia di Stabia si univa a quella di Pompei, all'inizio del secolo scorso avvenne un singolare rinvenimento: una settantina di scheletri, senza dubbio vittime del vulcano, tornarono alla luce nel corso di scavi archeologici autorizzati. Tra essi ne spiccava uno con vistosi ornamenti d'oro ed un gladio al fianco di pregevolissima fattura. Subito si ipotizzò che potesse trattarsi dei resti di
PRESENT,17.lO~E
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Plinio, e così del resto recita ancora l'etichetta del relativo teschio custodito nel museo dell'Arte Sanitaria a Roma. Quanto può esserci di attendibile in quella identificazione? Qui si entra nell'ambito delineato in apertura che, a fronte delle prove e degli indizi sia pure molteplici e concordanti, non consente a nessuno storico di asserirne l'attendibilità con assoluta sicurezza, ma neppure di rigettarla con analoga presunzione. È bello, però, al termine dell'indagine puntigliosamente proposta dal libro di Flavio e Ferruccio Russo, credere che quei miseri resti siano stati effettivamente quelli di un uomo che, per andare in soccorso ai suoi simili, non badò alla propria incolumità; di uno scienziato che, indossando i gradi di ammiraglio, diresse le sue navi là da dove tut-
ti cercavano di fuggire. Un'impresa umanitaria capace di anticipare con i fatti quello che il Cristianesimo suggerirà con la dottrina e quello che le Forze Armate hanno fatto e continuano a fare per portare aiuto e sollievo, in Italia e all'estero, alle popolazioni afflitte dalle catastrofi naturali, dai conflitti e da tutte le drammatiche emergenze umanitarie che da esse, inevitabilmente, discendono. È emozionante dunque pensare che ieri come oggi, dall'antichità ai giorni nostri, l'impresa di Plinio il Vecchio e il suo intrinseco significato di perizia, ardimento, coraggio e spirito umanitario si rinnovi nel tempo, attra,,~rso l'impegno quotidiano dei nostri uomini e delle nostre donne "con le stellette", fedeli alle tradizioni e ai valori che da sempre ispirano l'agire militare.
Il Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli
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o.e. ROTTA su
POMPEI
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PREMESSA
Non é detto che tre indizi siano una prova, né che una prova in storiografia sia la conferma assoluta di una ricostrnzione. Quando, però, gli uni e le altre si moltiplicano, concatenandos~ la rendono plausibile: condizione necessaria ma non suffiàente. Purtroppo la sufficienza non può mai considerarsi un traguardo stabile, per cui una ricostruzione plausibile resta soltanto uno stimolante punto di partenza, senza alcuna presunzione di certezza.
La ricerca che segue indaga sulle ultime ore di Plinio il Vecchio, prendendo in esame oltre alle solite fonti i livelli tecnici di cui disponeva la marina da guerra romana, di cui era praticamente il capo di stato maggiore, le ricostruzioni vulcanologiche più probabili della catastrofe nonché i più significativi rinvenimenti archeologici effettuati nel corso dell'ultimo secolo, su quella che fu la spiaggia dell'epoca, dell'arco di costa coinvolto. Dal momento che le fonti storiche sono inevitabilmente sempre le stesse, arcinote, che i ritrovamenti archeologici sebbene progressivamente più importanti e ricchi di dati non aggiungono gran che all'indagine, le vere novità possono scaturire soltanto dalla valutazione meno scolastica della vigente tecnologia, a partire dalla famosa richiesta di aiuto inoltrata a Plinio dalla matrona Rectina. Se ormai, stando alle sue parole, non vi erano più vie di fuga come gli fece pervenire quel messaggio? Perché poi attendere un esito estremamente incerto e non compiere lo stesso tragitto del messaggero? Perché poco dopo Plinio invece che su di una liburna imbarcherà su una quadriremi, trascinan·dosene dietro l'intera squadra? Quale
poteva essere il suo piano e quali i rischi sottesi? Quanto ne sapeva, lui massimo naturalista, di una eruzione vulcanica? Quale fu l'esito della missione? Quanti potettero essere salvati e come? Una serie lunghissima di interrogativi che solo una accorta valutazione di archeo tecnologia può contribuire a dipanare, fornendo una serié di probabili risposte. Probabili non certe perché quale che sia il metodo la ricostruzione storica resta sempre una ipotesi, più o meno plausibile ma mai sicura: la sicurezza appartiene soltanto all'ambito della negazione-dei fatti, come tutti ben sanno. La ricerca, proprio per forn ire un efficace strumento di valutazione di quanto ipotizzato, si sviluppa in due sezioni: nella prima si indaga sulla vicenda mentre nella seconda si illustra il repertorio delle risorse tecnologiche al momento disponibili, ed in seguito dimenticate, che in man iera più o meno rilevante, ebbero un ruolo nella missione anche quando apparentemente ne sembrano estranee. Perché a ben riflettere l'ambito della tecnologia è totalizzante, dove una singola realtà coinvolge l'intero settore.
PIU :MESSA
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PROLOGO
79: alba di mezz'autunno alla foce del Sarno Solo il cadenzato frangersi della rùacca sulla spiaggia svela l'adiacenza del mare. Per il resto una innaturale notte grava alla foce del Sarno, da tempo adattata a porticciolo mercantile di Pompei. Agli" inizi di ottobre in zona il sole sorge alle sei; per cui intorno alle sette dovrebbe già sovrastare i monti Lattari, stagliando nel terso cielo autunnale il profilo della lunga tettoia antistante la teoria di magazzini sul molo. Al suo posto, invece, una terrificante oscurità scandita, verso settentrione, da frequenti riverberi rossastri seguiti da cupi boati. Una mesta processione di un centinaio di derelitti; avanza a tentoni in quella fitta caligine, tra gemiti sommessi e singhiozzi disperati. Avvalendosi delle indicazioni di un autorevole uomo di mezza età, preceduto da un nero gigante munito di una curiosa lanterna a forma di testa di cavallo, sembra dirigersi verso una grossa barca. Questa, faticosamente, tenta di accostare vincendo la contrarietà del vento, manovrando i remi nell'incerto bagliore delle torce. Non sono anime sulla sponda del/i"ume z"nfernale in attesa di essere traghettate da Caronte. I cuscini che lutti stringono istericamente sul capo testimoniano l'appartenenza al mondo dei vivi e la strenua volontà di restarci.' Altrettanto concreta anche la loro guida, sebbene, a dir poco, singolarmente eccentrica. Un cinturone militare gli cinge ifi"anchz; esaltandone impietosamente la pinguedine. Da esso pende zl fodero di un tozzo gladio dalla vistosa elsa d'avorio, decorato con bÒrchie dorate a forma di conchiglie. Un'arma chiaramente da parata, un'arma simbolica, inconcepibile in quel frenetico contesto, come del resto assurdi sono pure ifastosi monz'li che circondano le dita, i polsi ed il collo dello strano personaggio. Forse un effeminato patrizio, che non sa staccarsi da quella volgare collana e dai quei pacchiani braccz"aletti a forma di se,pente, per non parlare dei diversi enormi anelli: tra oro e ferro un insieme comico, se non fosse per la tragicità del momento.'
Paradossalmente i continui barbagli delle armille che sottolineano ogni gesto dell'uomo, non tradùcono un'imbelle viltà ma, al contrario, evidenziano una salda volontà, una lucida determinazione ed un fredda risolutezza, doti precipue di chi è abituato a comandare in qualsiasi circostanza. L'impartire ordini, l'afa stagionale e quella minuta cenere che continua a cadere lo costringono spesso a bere lunghe sorsate d'acqua, da una mzza brocca che un servo gli porge. Nella pagina a fianco: Pierre Hemy de Valenciennes, Eruzione del Vesuvio accaduta il 24 agosto dell'anno 79 d.C. sotto il regno di Tito. PtJrticolare. 1813. Olio su tela cm 147 x 195 Toulouse, 1\;JuséedesAugustins. Sotto: affresco raffigurante un porto, probabilmente simile a quello di Pompei.
.Con un colpo sordo la barca, finalmente, accosta alla banchina per allontanarsene qualche istante dopo stracarica di gente, svanendo di nuovo nelle tenebre. I tanti rimasti, vinti dalla stanchezza e dal!'emozione, si accovacciano sul soffice strato di cenere, che continua ad innalzarsi~ aguzzdndo lo sguardo per percepire, dal più minuto .sfavillio, il ritorno della barca. Qualcuno, esausto, vi si sdraia addirittura, tentando di assopirsi per recuperare le forze o per fuggire dalla realtà. Anche l'uomo con il gladio ne imita l'esempio e dopo aver spiegalo la tunica, come una sorta di lenzuolo, vi si corica sopra appoggiando la testa ad un pilastro della tettoia. I:oscun'tà non gli consente di leggere il graffito incisovi da una mano ignota: naute, al marinaio' Uno strano tanfo, un fetore che ricorda quello delle uova marce, è improvvi'samente avvertito dai più vigili; sensazione che, al pan· della conoscenza, in breve si dùsolve. Il vento che ha diffuso la micidiale nube di anidride carbonica ed acido solfidrico, tra.1/ormando l'affranto riposo dei/uggiaschi in riposo eterno, riesce a diradare per qualche istante l'impenetrabile caligine. Agli uomini della barca che si accingono ad attraccare nuovamente, non serve più alcuna torcia per ravvisare con raccapriccio, nelle tuniche svolazzanti al suolo, altrettanti corpi inanimati. Comprendono con orrore che pure l'uomo appisolato col capo appoggiato al pilastro è ormai un cadavere, vegliato per sempre dall'inconfondibile gigante nero riverso ai suoi piedi con la lanterna ormai spenta. Sconvolti· attribuùcono l'inspiegabile strage, senza spargimento di
sangue, ad una entità malignà ed ignota che magari ancora si aggira sulla banchina, tra i magazzini di cui se ne avverte ancora il lezzo, ben noto a chi è di stanza a Pozzuoli, nei pressi dell'ingresso degli inferi.' Subito z'l terrore ha il sopravvento nella mente dei superstiziosi marinai: nessuno più osa sbarcare. Forzando sui rerm; guadagnano rapidamente la grande nave che li aspetta ansiosa, al riparo della Pietra di Ercole. A bordo, dopo un laconico rapporto, alt'angoscia di quanti attendevano i propri cari subentra lo strazio, apprendendone la misteriosa /i'ne. ' E mentre il cielo torna velocemente ad oscurarsi, la nave, salpata·l'ancora, al ritmo cadenzato dà suoi tanti vogatori, fa rolla per Miseno. 1900: mattino di fine estate, in contrada Bottaro Nell'afa di luglio, nel fondo dell'ingegner Gennaro Matrone, in contrada Bottaro ad oltre un chilometro dalla foce del Sarno, un drappello di operai sta riportando alla luce dei ruderi romani. Quella in corso, avviatasi il 25 giugno .l900, in/atti, è la seconda campagna di scavi archeologici privati; ovviamente autorizzata. Diretta e fi:nanziata personalmente dallo stesso tecnico si protrarrà per altri sette mesi e non sarà l'ultima, poiché una terza la seguirà, dopo un intervallo semestrale, concludendosi agli inizi del 1902.
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79
n.c. RO rTA su
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Sopra: Località Bottaro, Torre Annunziata, 1901, scavi dell'ing. Matrone.
Nella pagina a fianco, in basso: ripresa satellitare del!'area degli scavi. Nella pagina a fianco, in alto: bracciale a corpo di se1pente, argento con riporti in oro. inv. 6131. Pompei (a sinistra); tzjJica armilla pompeiana in oro, un bracciale snodato a forma di se,pente (a destra). I reperti sono di gran lunga più leggeri di quelli rinvenuti a Bottaro.
Tanta costanza per un'impresa cosi' onerosa, tradisce dei signì/içativi ritrovamenti: le numerose analoghe iniziative coeve, infattz: mirano abitualmente al recupero di preziosi reperti. Emblematica la scoperta di appena cinque anni prima del cosiddetto Tesoro di Boscoreale, rz:uenduto dai fortunati scavatori al barone Rothschdd per oltre un milione di franchi e da quest'ultimo ceduto, parzialmente, al Louvre. In pratica tali n·cerche non furono quasi mai disinteressate operazioni culturali ma delle vere cacce al tesoro, in cui non difettano gli indiz~ le intuizioni e, forse, le soffiate. E di notizie su ruden· più o meno
igr.wti ne circolano a iosa sui cantieri del!'area vesuviana in quel!'inizio secolo, in particolare a ridosso della foce del Sarno, dove .1pe.1·so gli' sterri intercettano macerie ed otri d'inusitata grandezza. Si spiega forse cosi' l'immediato riaffiorare nel fondo del Matrone, dopo pochi colpi di vanga, di antiche mura rornane, sepolte sotto un metro appena di soffice terriccio. La vera dzf/icoltà, però, si manz/esta non appena scavano a profondità appena maggiori: non deriva dalla terra ma dall'acqua, la cui falda permea il sottosuolo ben al di sopra del piede dei ruderi. Si lavora pertanto con alacrità, in corsa contro la sua inesorabile risalita, con la certezza che qualcosa di sensazionale si celi proprio lz'. Del resto i ruderi già liberati lasciano immaginare che si stia nelle immediate adiacenze del porticciolo di Pompei: da dove molti residenti tentarono ' vanamente di.fuggire. Il 20 settembre, in/attz; appena rimossa la coltre di sedimenti vulcanici: uno sgradevole ed inconfondibile fetore di
PRO LOGO
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ma supz·no, con il cranio appoggiato ad un pilastro, uno dei tanti: sui quali, a giudic01'e dalle macerie, poggiava la tettoia antistante la lunga teoria dei magazzz'n i portuali. Le ossa tradiscono un anziano, gli ornamenti un facoltoso: al suo collo una massiccia collana d'oro di ben 75 maglz'e disposta in triplice giro ed ai suoi polsi; sempre in triplice gfro e sempre in oro, due pesanti armille et forma di serpente. Nell'insieme oltre un chilogrammo di prezioso metallo, senza contare i tre anelli alle dita, anch'essi d'oro massiccio, uno dei quali di 36 grammi; con effigiate due teste di serpente affrontate.' Rimossa altra cenere riaffiorano al suo fi'anco un gladio ed una brocca di coccio: usuale la seconda quanto eccezionale il primo. La sua elsa, infatti, è d'avorio mentre il fodero è decorato nella parte bronzea con borchie dorate a forma di conchiglie: pz'ù che un'arma, un emblema onori/z'co, ovviamente connesso al mondo militare in generale ed a quello navale i·n particolare. Qualche metro discosto uno scheletro enorme, appartenente ad un colosso di oltre due metri di altezza, dai tratti negroidi: nella mano sini'stra scarnificata stringe ancora una strana lucerna a forma di' testa di cavallo. 2001: pomeriggio di primavera nel Museo dell'Arte Sanitaria, in Roma
Sopra: collana a maglie da indossare a bandoliera. Oro. inv. 3411; anello in oro a teste di serpente affrontate. Oro. inv. 3403. Oplontis. In basso: Museo Storico Nazionale delL'/l.rte Sanitaria sito a Roma sul Lungotevere in Sassia, scorcio di una deLLe sale.
morte aggredisce gli scavatori. Nessuno da tempo ne ignora più l'origine, ma almeno in quel caso tutti ne ignorano la tragica entità. Poche ore di lavoro e riaffiorano ammucchiati: ben 73 scheletri. Appartengono, è chiaro, a sfortunati pompeiani; raggiunti dai gas del vulcano, laddove il fiume entrava pigramente nel mare. Alcuni di quei miseri resti sfoggiano ancora i gioielli che indossarono nell'ultima uscita, tentando così di porre in salvo quanto di più prezioso possedevano. Alcuni altri continuano a serrare fra le dita delle piccole borse colme di monete. Alcuni, infine, appena discosti; non restituiscono nulla, né preziosi né denaro: /acile ricavare da tanta dùparità l'eloquente testimonianza della rigida suddivisione sociale, mai come in quel contesto ignorata dal destino. Nulla di strano e nulla di nuovo, essendo già avvenuti al di fuori delle mura di Pompei analoghi ritrovamenti. Qualche passo più innanzi; però, riappare uno scheletro isolato. Non giace riverso o raggomitolato come i precedenti,
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79 D. C. RO rTA Sl I POM PU
Nove ampi localiforniti dal Pio Istituto di Santo Spirito di Roma, per cornplessivi 840 mq compongono il Museo Storico Nazionale dell'Arte Sanitaria. Nella Sala Flaiam: che commemora il rinomato chirurgo vissuto tra il 1739 ed il 1808, già primario del S. Spìrito ed archiatra di Pio VI nonchéfondatore del primo nucleo del museo, numerose e magistrali' preparazioni anatomiche scandiscono gli ampi scaffali. Nessuna traccia di decadimento, nessuna alterazione formale ne infi'àa la perfetta conservazione, riprova della notevole pen'zia dei lon-
e
tani realizzatori. Tra i tanti reperti si distinguono alquanti pezzi di anatomia patologica, nonché delle ossa variamente detut7Jate da orrende malattie. Teste mummificate, collezioni di calcoli e riproduzioni anatomiche in cera completano la raccolta. In una teca isolata spicca un cTanio con a fianco i resti corrosi di un gladio romano. Sebbene incompleto non si tratta di· un ennesimo esempio di rnutilazione patologica: l'etichetta, infàttz; in/orma il visitatore che quello è il teschio di Plinio il Vecchio, rinvenuto nel 1900, presso la foce del Sarno nel corso di uno scavo privato, condotto dall'ingegnere di Boscotrecase Gennaro Matrone. Improbo stabilire il percorso compiuto dal macabro reperto per finire nella suddetta teca e più ancora immaginare le ragioni dell'identificazione. Di certo però, se mai fosse soltanto plausibile o, per meglio dire, non si rivelasse del tutto assurda, fornirebbe finalmente una netta testimonianza sulla tragica conclusione della prima operazione di· protezione civile della storia. Ed, in tal caso, le ultime ore di Plinio sarebbero state quelle del!'anziano personaggio autorevole, ricostruite sulla base dei ritrovamenti archeologici alla foce del Sarno. Essendo purtroppo impraticabile qualsiasi confronto osteologico e qualsiasi valutaziòne del DNA, la congruità delta suggestiva ipotesi può insùtere esclusivamente sulla stretta compatibilità fra la rievocazione delle fonti, la morfologia dei luoghi e i rinvenimenti archeologici. Condizione senza dubbio necessaria, ma in nessun modo sufficiente per una certa ed indiscutibile identificazione; più che sufficiente, invece, per il suo assoluto rigetto nel caso contrario. Una complessa indagine comparata per far luce sulla scomparsa di un ammiraglio romano, comandante della Flotta Pretoria di Miseno.
In alto: scorcio esterno del Museo dell'Arte Sanitaria in Roma. A fianco : dettaglio del reperto custodito presso il Museo dell'Arte Sanitaria ed etichettato come "teschio di Plinio il Vecchio".
PROLOGO
J7
a
PARTE PRIMA
LA FLOTTA PRETORIA DI MISENO
Criteri d'impiego della marina imperiale Se si sfoglia un qualsiasi libro di storia militare si ricava, con facilità, l'interminabile sequela di battaglie, di campagne e di guerre sostenute dall'esercito romano nel corso degli ultimi quattro secoli della sua esistenza1. Campagne, in ultima analisi, tese prioritariamente a preservare l'integrità territoriale dell'Impero minacciata da crescenti pressioni esterne. Neppure un anno di quel lungo arco cronologico, andò esente da battaglie su un limes o l'altro e, spesso, su diversi contemporaneamente2 . Nulla del genere, stranamente, per la coeva marina da guerra del Mediterraneo, che trascorse lo stesso periodo fornendo per lo più un supporto logistico, scadendo perciò sotto il profilo operativo, a mero mezzo tattico. Un possente strumento che non ebbe modo di essere impiegato concretamente, mancando ormai qualsiasi nemico con cui confrontarsi o flotte barbare da respingere. Per molti studiosi del settore fu questo il paradosso della marina da guerra romana: per
trovare un vero awersario avrebbe dovuto combattere contro se stessa, suddividendosi per una nuova guerra civile come ad Azid. In realtà, però, osservazioni più condivisibili ravvisano in quell'apparente marginalità la precipua connotazione di tma moderna marina da guerra, almeno quale oggi la concepiamo. > In merito cfr. J. MORDAL, Venticinque secoli di guerra sul mare, Torino 1973, p.21. Circa il contesto, assicurato dal dispositivo m ilicare romane, dal I secolo d.C. cfr. J. F. C. Fuu.ER, Le battaglie decisive del mondo occidentale, ristampa Roma 1988, voi I., pp. 229-248. Sempre per una connotazione generale dell'epoca, cfr. H. A. L. FrsHER, Storia d'Europa, ristampa 1964, vol.I, pp. 119-150. Nella pagina a fianco: veduta satellitafe del promontorio di Capo Miseno, Pozzuolt, Napoli. Sotto: il territorio dell'impero romano alla sua massima espansione.
1 Una interessante ricostruzione della basilare funzione del dispositivo militare in epoca imperiale è proposta da E. N . LunwAK, La
grande strategia dell'impero romano dal I al III secolo d.C., Nhlano 1981. Per il periodo degli eventi trattati pp. 75-170. 2 Una esposizione, sia pure schematica, delle operazioni belliche compiute dalle diverse legioni in epoca imperale è tracciata da A. M. LIBERATI , F. Smmmo, Legzò Storia dei soldati di Roma, Roma 1992, pp.11.3 -144.
PARTE PRIMA - Lt\ FLOTT,\ PRETORJA l)J MISJ::--10
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L'estendersi del dominio di Roma all'intero perimetro del Mediterraneo, col conseguente controllo dal grande p01to alla minuscola cala, non concedeva ad alcun potenziale nemico il più misero anfratto, dove nascondere qualche legno. Un impero anulare, che presto trasformò quel mare interno nella sua principale via di comunicazione. Questa, confermandosi di gran lu11ga la più rapida, in quanto diretta, la più comoda, in quanto priva di pendenze, la più valida, in quanto priva di limiti di carico e di sagoma, doveva risultare però anche la più sicura, cioè libera dall'endemica vessazione della pirateria. Stando ai più attendibili storici romani, la parassitaria organizzazione era stata drasticamente debellata già negli ultimi anni della Repubblica, per cui da allora la marina si limitò ad un'azione preventiva, tipica di una polizia navale. La sola presenza delle sue navi, in autonoma crociera o al fianco dei mercantili, bastava a garantire la loro libera navigazione. Non di rado quelle stesse unità trasportavano grossi contingenti dell'esercito direttamente nei siti dove si manifestavano i prodromi di una rivolta, stroncandoli sul nascere. Compito che con l'andar del tempo si istituzionalizzò al punto da assurgere a impiego primario della flotta. Una forza armata dell'Impero, capace di proiezioni in ogni angolo del bacino, nel giro di pochissimi giorni! Al contempo un sicuro mezzo di trasporto per lo stesso in1peratore in grado di condurlo, altrettanto velocemente, dovunque. Questa singolare evoluzione della marina da guerra attinta sul finire del primo secolo a.C., spiega l'adiacenza delle basi campane, Lucrino prima e Miseno poi, con il palazzo di Baia e con le ville imperiali di Capri, senza però minimizzare il costante impegno profuso per la sicurezza delle rotte. Ma: "non si crea una marina, arma costosa e tecnica, per compiti di polizia terrestre. Dal fatto che una truppa, organizzata eminentemente per un impiego bellico in un teatro esterno sia, occasionalmente, utilizzata per ristabilire l'ordine interno non significa affatto che sia stata istituita per questo scopo, visto che la sua fedeltà non è, a priori, più certa di quella delle legioni: peraltro più idonee a simili impieghi. Quest'O è confondere incresciosamente la causa e t' effetto. Se è vero che la marina 1·omana potette essere uno strumento del potere personale nelle mani di alcuni imperaton: dubitiamo fortemente che sia stata prevista per questo scopo, non di più almeno, che le legioni dei lin1es, che giocarono nella vita interna dell'Urbe un ruolo movimentato, ma la cui mis-
sione essenziale e fondamentale non era quella di effettuare colpi di stato. Uintervento della marina nella vita politica dell'Impero è stata limitata ed occasionale; la flotta doveva adempiere ad altre /unzioni più importanti... "4 . Prima fra tutte, l'estirpazione di qualsiasi minaccia alla navigazione, pur essendo la pirateria considerata ufficialmente estinta. Affermazione chiaramente propagandistica che .lascia, motivatamente, notevoli perplessità: non si mantengono tanti uomini e tante navi per un compito tanto moLa citazione è tra tta da M. REDDÉ, Mare nostrnm. Les i11frastructureJ~ le dispositi/ et l'histoire de la marine militare sous l'empire romttnan, Roma 1986, p. 324. La traduzione è dell'A.
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Nella pagina a fianco: Cttpri; panoramica aerea di Villa Jovis. Sotto: stele del classiario Cassio. Ravenna.
P,IRTE PH.IMA - LA FLOTTA PRETOR IA D I M ISl: :--;O
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desto e aleatorio! È presumibile, pertanto, che i suddetti predoni del mare fossero molto meno sparuti e pavidi di quanto tramandato: razziatori non degni della qualifica di nemici ma non perciò meno pericolosi ed irriducibili! La pirateria mediterranea, for ma di criminalità organizzata sviluppatasi contestualmente alla navigazione, non fu mai realmente annientata prima del XIX secolo, ma soltanto contenuta e contrastata! Anche in età imperiale dovette essere costantemente combattuta sul mare e lungo le coste, rigenerandosi dop o ogni sconfitta5• E se ad Augusto fu ascritto il merito di aver bonificato l'intero Mediterraneo, si trattò a ben vedere di: "una pace armata, e di sicuro s Per un accenno alla logica della pirateria antica e moderna cfr. F. Russo, Guerra di corsa, Roma 1997, voi. I, prefazione. Più specificatamente cfr. P. GossE, Storia della pirateria, Bologna 1962, pp.11-19.
precaria: in molteplici occasioni, in/atti; sentiamo parlare di riprese della pirateria, che, ad onta delle repressioni abbastanza rapide, costitui'scono non di meno i segnali certi che la sicurezza dei mari dipendeva soltanto dall'esistenza di una flotta Poderosa... "6. Compito talmente logorante e sfuggente da giustificare la bipartizione del bacino, affidando il settore occidentale aUa flotta tirrenica e quello orientale all'adriatica. L'entità dei reparti da combattimento della marina, da definirsi piuttosto fanteria di marina che truppe trasportate via mare, ammontava originariamente a due legioni. Tali unità vanno considerate di pronto impiego, di proiezione immed iata, in missioni d i soccorso militare in circostanze fortemente critiche: non a caso furono denominate Legio I e II Audiutrix, di stanza a Miseno e a Classe, verosimilmente in strutture analoghe ai grandi castra centro europei. Successivamente entrambe finirono dislocate altrove, verosimilmente avvicendate da unità in formazione. Del resto, incrementandosi la presenza militare lungo i lùnes del Reno e del Danubio, furono i legionari della marina a doversi far carico della protezione degli approvvigionamenti e dei commerci.
Dislocazione delta marina imperiale Istituzionalmente l'intera marina da guerra romana nell'ultimo quarto del I sec. a.C. , come accennato, venne distinta in due flotte, la prima con giurisdizione sul Mediterraneo occidentale e la seconda sull'orientale. In pratica si destinarono alla difesa della stessa Italia e delle sue rotte commerciali tirreniche ed adriatiche. Le rispettive basi navali furono insediate a Nliseno e a Classe, fregiandosi entrambe, da Domiziano in poi, della designazione di Flotte Pretorie con premiJ'lenza della misenense. Per conseguenza il suo comandante potrebbe riguardarsi come l'antesignano capo di stato maggiore della marina imperiale, ovviamente con le limitazioni che la carica coeva contemplava. Dal punto di vista cronologico la formazione di una marina da guerra stabile avven<,
M. REDDÉ, Mare nostrum ... , cit., p. 327. Tradu-
zione dell' A.
A fianco : statua di Giulio Cesare, Torino. _,
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7') D . C. RO I I A SLI POM PI:)
e
Il primo problema che dovette affrontare e risolvere per quell'immane compito, fu l'individuazione dì un adeguato sito, morfologicamente suscettibile di trasformarsi in una ideale base navale. Secondo un assodato archetipo, simile a quello di Carragine9, e rimasto immutato fin quasi al XIX secolo10, doveva articolarsi su due bacini interconnessi, dei quali il più esterno comunicante col mare. Dopo una minuziosa indagine la scelta di Agrippa cadde sul complesso Lucrino-Averno, quasi ali'attaccatura della penisola di Miseno.
La penisola di Miseno
ne sotto Augusto e ad opera di Marco Agrippa (63 -12 a.C.), valente comandante e valentissin10 tecnico'. Di modeste origini iniziò la sua carriera militare sotto Giulio Cesare ed, in seguito, condusse vittoriosamente la flotta di Ottaviano Augusto contro quella di Pompeo a Milazzo e a Na1Ùoco nel 36, replicando il successo nel 31 contro le navi di Antonio ad Azio8. Seguì una parentesi trascorsa come governatore in Gallia, dove le sue doti di geniale organizzatore ed integerrimo amministratore trovarono pieno apprezzamento. Forse fu proprio la sua straordinaria sintesi di idoneità al comando, di prontezza esecutiva e di onestà dirigenziale che gli valse l'incarico di ricostituire o, per meglio dire di formare una vera marina da guerra imperiale, del tutto inedita per criterio d'in1piego, mezzi navali, militi e marinai. 7
Una dettagliata ricostruzione della figura di Marco Vipsanio Agrippa è esposta da D. CARRO, Classica. Storia della Marina di Roma. Testimonianze dell'antichità, ristampa Roma 1999, volume VIII. 8 Circa la battaglia di Azio dr. M. A. LEVI, I.:impero romano, ristampa Verona 1967, vol. I, pp. 9-96.
In alto: veduta aerea del porto di Cartagine: ben evidenti i suoi due bacini.
Osse1vando un'immagine satellitare del golfo di Napoli, balza evidentissima la connotazione vulcanica della sua parte centro-settentrionale. Un coacervo di antichissimi crateri contigui, variamente commisti fra loro, ne rendono la superficie simile a quella lunare. Di essi, alcuni col tempo finirono per riempirsi d'acqua, trasformandosi in laghetti costieri separati da strette lingue di sabbia dal mare aperto. Altri crollarono parzialmente, divenendo delle minuscole insenature di discreta profondità e ben protetteu. In particolare quelli che saranno il porto di Lucrino e di Miseno, vanno riguardati come altrettanti crateri primari di grappoli di crateri minori. Ruderi v1Ùcanici veri e propri, dei quali i più evidenti sono appunto la Conca di Bacoli e la Conca di Mi seno: un frammento di luna lambito ed eroso élal Una interessante ricostruzione del porto cli Cartagine è fornita dal Ministero della Difesa della Tunisia. I.:Eseràto tunisino, Tunisi 1996, pp. 17-33. 10 È significativo osservare che il porto di Civitavecchia, la prima base navale dello Stato Pontificio, fosse strutturato secondo la medesima concezione. Tale connotazione è ancora visibiJe attualmente. In merito dr. F. Russo, La difesa costiera dello Stato Pontificio dal XVI al XIX secolo, Roma 1999, pp. 77 -125 . 11 Una sintesi di larga massima sulla storia del vulcanesimo nel golfo di Napoli è fornita da A. PESCE, G. ROLANDI, Vesuvio .l944. I.:ultima eruzione, Scafati 1994, pp.15-18.
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PARTE l'R IM1\ - LA FLOT'IA PRETOR IA DI M ISENO
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Sopra: ripresa satellitare radar del Golfo di Napoli.
mare! All'origine del fenomeno la scarsa durezza delle relative rocce, tufo trachitico compatto sormontato da tufo grigio incoerente e banchi di leucite: prodotti delle remote eruzioni dei Campi Flegrei, incapaci di frustrare omogeneamente l'azione demolitrice delle onde. Dal che il tormentato ayvicendarsi di alte falesie e raccolte cale, con alle spalle specchi lacustri per lo più salmastri e variamente modificati. Una penisola butterata da crateri e caratterizzata da un vistoso vulcanesimo secondario, per gli antichi l'accesso agl'Inferi. Agrippa ravvisò nei due laghi Lucrino ed Averno, al centro della penisola, il sito ideale per la sua base navale. Bastava col-
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79 D.C. ROTTA SU POM PE I
legarli fra loro e con il ma.re, intervento non particolarmente difficile dal momento che il Lucrino, separato da uno stretto braccio di terra dall'Averno, era quasi lambito dalle onde. Quale potesse essere l'aspetto della località all'epoca, ormai, possiamo soltanto dedurlo dalla descrizione del Beloch. Scriveva, infatti, lo studioso, sul finire dell'800, che l'Averno: "come si presenta oggi; non è tanto diverso da quello che si offrì
allo sguardo dei Greci quand.o essi; 3000 anni /a, per la prima volta misero piede su questa sponda. Ancora il verde dei boschi ricopre i pendii; ancora vi regna una 'profondissima quiete', ancora il lago sottostante sembra che donna, come una volta, in una calma di sogno, senza che un solo alito di vento ne increspi la superficie, sebbene esali' vapori malarici... Il carattere del luogo fu completamente mutato dai lavori portuali di Agrippa.
e
,¡
Sopra: la Solfatara di Pozzuoli; in una tavola realizzata da Pietro Fabris
e tratta dal volume di Sir ĂŹVilliam Hamilton, Campi Phlegraei, 1776.
Sotto: un'altra tavola tratta dallo stesso volume e raffigurante i laghi Averno e Lucrino.
PA RTE PRI M ,\ - LA FLOT TA PRETORI A D I M ISENO
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Il Portus Iulius
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BAIAE I
1, 12,5011 .
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Una sia pur breve digressione merita il Portus Iulius, se non altro per essere l'archetipo di quello di Miseno. Dw1que: "lungo la linea di costa da Pozzuoli alPortus Iulius si stendeva la famosa ripa puteolona, sprofondata in mare in seguito al bradisisma di età altomedi·evale. Il porto di P uteali e il porto Giulio costz'tuivano un ecceziònale sistema integrato di strutture portuali a fini commeràali~ reso necessanò dal contemporaneo enorme svz'fuppo del traffico marittimo di merà e derrate che confluivano nella città flegrea, con destinazione finale, per lo più, Roma In effetti il Portus Iulius, costruito.. . nel 37 a.C. da Agrippa e Ottaviano per le necessità contingenti della guerra contro Sesto Pompeo, conservò solo per pochi anni la /unzione militare per la quale era nato; prima del 12 a.C., dz/atti, la flotta fu definitivamente spostata a Miseno e la struttura portuale del Lucrino convertita a scopi commerciali. I rinvenimenti' di questi ultimi anni hanno dimostrato una continuità di vita fino al tado impero (N sec.) sia della ripa che del P ortus Iulius.
Per togliere il dominio del mare a Sesto Pompeo, ebbe bùogno di un porto che fosse protetto da ogni auacco proveniente dal mare e abbastanza grande per armarvi una flotta numerosa addestrata in tutte le manovre navali... La via Herculanea fu riattivata, e così il Lucrino restò chiuso dal mare e garantito da attacchi nemici. I canali che già nell'antichità collegavano il Lucrino con l'Averno furono ampliati, fu abbattuto il bosco che si stendeva tutt'intorno al lago, furono costruiti cantieri e magazzini sulla sponda ed infine l'intero i·mpianto fu collegato a Cuma per mezzo di una galleria (3 7 a. C.). È questo i'/ «portus Iulius» che Wrgilio celebra nei ben noti versi... " u_ I lavori, dopo un'iniziale verifica topografica circa la compatibilità delle quote, secondo la prassi romana, vennero rapidamente condotti a termine, trasformando in massiccia diga foranea il braccio sabbioso tra il Lucrino ed il mare. Le navi della flotta ebbero così il loro sicuro ancoraggio.
Non è ancora possibile una precisa n·costruzione delle vicende edilizie del!'area. Da rilievi aerofotogrammetrici se ne sono tuttavia identificati alcuni nuclei: tra cui il canale d'accesso al lago Lucrino... terminante verso mare con grosse pilae; bacini e darsene siti all'interno del porto lagunare e separati da un molo... un'eccezionale serie di horrea, magazzini: e tabernae posti· lungo le due strade parallele (la più interna delle quali proseguiva rettilinea verso l'interno e probabilmente serviva come asse principale di disimpegno di questa zona portuale e di collegamento sia con la città che con la grande viabilità esterna). Infine, due grandiosi complessi su cortili rettangolari, il secondo dei quali d'impianto decisamente più tardo, con un orientamento del tutto diverso dalle costruzioni di epoca precedente; al suo interno si nota una grande struttura semicircolare di funzione incerta ... forse ... In alto: planimentria storica di Baia da Beloch. Nella pagina a fianco: rtjJresa satetlitare del Lago di Lucrino. Ben
Da J. BELOCI I, Campania. Storia e topografia della Napoli antica e dei suoi dintorni; ristampa Napoli 1989, p. 196. 12
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o.e.
ROT T I\
su
POM PEI
evidente il cono vulcanico di MOntenuovo, formatosi net 1538 che ha stravolto la morfologia del sito.
sede di quei collegia e stationes di mercatores e navicularis d'origine peregrina di cui sono rimaste numerose testimonianze epigrafiche" 13 . Più precisamente si è potuto stabilire cbe: "l'impianto portuale sommerso - rivelato per la prima volta (7 giugno 1958) da fotografie aeree... era se-rvito da un canale (A) largo circa 42 m e lungo oltre 400 m. Il bacino prinàpale disponeva di varie darsene, due della quali(C e D), erano separate da un molo (B) lungo circa 140 m. Sulle banchine(E), oltre agli edifici strettamente funzionali quali magazzini, tabernae, horrea (H,L,M) ecc. sorgevano un grande complesso rettangolare (F) d'incerta identificazione e un complesso (G) nato in una fase successiva all'impi·anto portuale, in cui sembra di vedere un edificio absidato (piscina?) fronteggiante un edificio semicircolare (teatro?). Ad oriente le infrastrutture D
Da P.
AMAL FITANO,
G.
C.'IMODECA,
del Portus Iulius si riallacciano ad altre strutture sommerse, anch'esse rilevate dalla fotografia aerea ... " 14• Anche per stabilire le trasformazioni subite dalla zona il rilevamento aereo si è dimostrato efficacissimo . Sappiamo pertanto che: "in epoca romana il Gol/o di Pozzuoli (Sinus Puteolanus) presentava un panorama assai diverso da quello attuale. Lungo tutto l'arco costiero, allora notevolmente più avanzato, si distendevano senza soluzione di continuità gli impùmti portuali di Puteali e del Portus Iul ius, il quartiere marittimo e gli approdi di Baia, le strutture di sontuose ville patrizie che si addentravano nel mare con portic( moli e piscine. Ma com'è noto un complesso fenomeno bradisismico, in atto nella regione sin dalt' antichità, ha gradatamente provocato la sommersione di queste opere, mentre l'improvviso erompere nel 1538 del vulcano del Monte Nuovo ha ridotto l'estensione del lago Lucrino
M. MEDRI (a cura di), i campi 14
Flegrei, Venezia 1990, p.164.
La citazione è tratta da G. SCliMrEDT, Atlante aereo/otografico della antiche sedi umane in Italia, Firenze 1970, parte seconda, scheda
Sotto: la galleria di collegamento con Cumc1.
CXXXVI.
e
che allora occupava tutta l'insenatura fra Punta Caruso e Punta dell'Epitaffio e costituiva il bacino fondamentale del Portus Iulius. Di conseguenza la rz·costruzione dell'antica linea di spiaggia e dell'immediato retroterra costituisce un problema che solo la fotografia aerea e l'archeologia sottomarina possono contribuire a risolvere. La fotograf·ia aerea ... ha rivelato strutture sommerse fra il Porto di Puteali ed il canale di Porrus Itùius e sui fondali antistanti l'antica Bauli (attuale Bacolz). Varcheologia sottomarina ha permesso invece di determinare sui fondali di Baia, impenetrabili alla fotografia aerea, i limiti della città sommersa, che all'altezza della Punta dell'Epitaffio, si possono collocare a 16-18 mdi profondità e ad 800 m dalla riva. In particolare, l'antica linea di costa è apparsa indicata da una serie di enormi· blocchi in muratura, mentre intorno a Punta dell'Epitaffio sono state individuate una strada romana porticata con strutture in opus reticolatum e in opus latericium. Le squadre dei sommozzatori utilizzate in tali ricerche hanno iniziato la prima campagna sistematica nel settembre del 1959, sotto la guida di N. Lamhoglia e con l'appoggio della nave da guerra 'Daino' .. , Per quanto riguarda le strutture sommerse rivelate dalle fotografie aeree suz/ondali antistanti la Punta delle Cento Camerelle non ancora esp/,orati con i metodi dell'archeologia sottomarina si può solo ipotizzare che si tratti di una banchina d'approdo, strettamente legata alla grandiosa villa romana che sorgeva sull'altura di Bauli... [che] secondo Maiurz; si può forse identificare con quella dell'oratore Quintus Hmtensius ..." 15 • 15 La citazione è tratta da
G . ScrnvUEDT, Atlante... , cit., scheda CXXXV.
In alto e a lato: vedute subacquee del Portus Iulius.
Nel giro di pochi decenni, per la verità non molti dalla sua ultimazione, il Portus Iulius iniziò a manifestare i primi sintomi dell'irreversibile perdita di profondità per il rapido sedimentarsi della sabbia sul fondo, o, più verosimilmente per il sollevarsi dello stesso a causa di un bradisisma negativo. Le grosse navi della flotta non riuscivano più a manovrare con sufficiente sicurezza, per cui nonostante l'ideale co.Uocazione e funzionalità delle
t P,\RTE PRI MA - LA FLOTTA PRETORIA D I .\•(ISENO
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strutture accessorie e degli impianti navali, il complesso dovette essere abbandonato. I due laghi: "non più turbati
dal frastuono e dai rifiuti dell'arsenale, servirono di nuovo ai piaceri della vita mondana. Come il Lucrino già prùna, cosz' ora anche l'Averno servì di vivaio per pesci e ostriche. I: eruzione del Monte Nuovo nel 1538 dùtrusse le opere portuali di Agrippa, e di esse oggi non rimane null' altro che la galleria che collegava l'Averno con Cuma ... " 16. È verosimile supporre che fosse lo stesso Agrippa a farsi carico dell'indjviduazione di un nuovo sito, con caratteristiche similari, il più vicino possibile al precedente. Fu allora che si ravvisò nella parte estrema della penisola, DaJ. B ELOCH, Campania .. ., cit., p . 197. In alto: Ambrogio Brambilla, Explicatio aLiquol locorum quae/Puteolù spectantut; 1586. Napoli, Certosa di San Martino, fondo Ditta Lang (1913), inv. 73435. 16
appena pochi chilometri più ad ovest, un altro gruppo di crateri allagati idonei allo scopo. Di essi il primo, già naturalmente aperto sul mare, era il lago di Miseno, o Maremorto, preceduto dall'insenatura di Miseno. La più vistosa differenza rispetto al Porto Giulio nella sua interezza si ravvisa nelle dimensioni del nuovo Porto di Miseno, di gran lunga minori. Dei due bacini, separati da un istmo sabbioso. Quello interno, lacustre, venne adibito a cantiere navale ed a luogo di stazionamento invernale delle unità. Quello esterno marittimo, lo si riservò all'ancoraggio corrente delle navi ed alle loro quotidiane esigenze. A metterli in comunicazione fra loro un canale artificiale, sul quale sarà costruito un ponte di legno girevole, pons versatilis. Suo tramite si garantì il collegamento viario fra il municipio di Misenum, la città imperiale di Baiae ed il porto commerciale di Puteali.
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79 D.C. ROTTA SU J>().\.H>E!
e
Il porto di Miseno Paradossalmente, nonostante il sensibile incremento della flotta, la contrazione della base non costituiva una grave deficienza, essendone mutato il criterio informatore. Infatti, se: "a suo tempo Agrippa aveva prescelto quei due laghi per-
ché aveva bùogno oltre che di un porto, anche di uno specchio d'acqua per l'addestramento invernale delle navi... [dopo] Azzò, non essendo più necessario tale specifico requisito, la soluzione portuale adottata per zl porto Giulio venne integralmente replicata in un'area attigua... più idonea ad accogliere una base navale permanente. «Vicino a Cuma si trova il promontorio Miseno e, in mezzo, la palude Acherusia [lago di Fusaro] una specie di espansione acquitrinosa del mare. Chi doppia capo Miseno trova subito sotto il promontorio, un porto» naturale e un altro lago costiero: il lago di Mise-
no (odierno Maremorto); e questo, come si era /atto per il Lucrino, venne messo in comunicazione con il mare. Questo complesso portuale, allestito con tutte le necessarie opere marittime e strutture logistiche, divenne la base navale delta
maggiore flotta militare dell'Impero, che verrà poi chiamata «Flotta pretoria di Miseno»" n. Miseno era un valido porto già molti secoli prima dell'inte1vento di Agrippa. Per i maggiori storici classici la potenza di Ctm1a fu dovuta in buona parte proprio alla sua validità nautica: la devastazione provocata da Annibale nel 214 a.C. ne conferma indirettamente la rilevanza. Da allora occorsero quasi due secoli perché quella splendida penisola tornasse in auge, ricoprendosi di vi.lle di svago del patriziato romano. Il porto, invece, non tornò più alla sua antica rinomanza, essendo troppo distante da quello di Napoli, il principale centro economico, e paradossalmente troppo vicino a quello di Pozzuoli. Per w1a ragione o per l'altra non se ne awe1tiva, ormai, alcuna esigenza. Difficile, peraltro, anche l'itinerario costiero tra Pozzuoli e Miseno. Le fonti lasciano immaginare che la men17
Da D. CARRO, Classica ... , cit., vol.VIII, p . 236.
Sotto: veduta aerea obliqua del Porto di Miseno da Est. In primo pia-
no il braccio di Punta Pennata .
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Sopra: "Veduta a volo d'uccello dal Convento dei Camaldolz; il punto piĂš
Sotto: "Il golfo di Pozzuoli al tramonto" dipinto di Jacob Phztipp Hackert,
elevato vicino a Napoli". Pietro Fabris dal volume di \Villzam Hamilton.
XVIII sec.. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
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7<J D .C. Rt1 I I A !,U POMl'l : I
e
zionata Via Herculea fosse in realtà un rozzo terrapieno artificiale, forse la sommità della diga foranea del Lucrino. Per contro, almeno un paio e valide le vie di comunicazione interne che univano Miseno all'intera Regio Baiana e quindi al complesso Lucrino-Averno. La prima girava intorno all'abitato di Bauli pervenendo alla Sella di Baia, mentre la seconda seguiva la riva nord del lago Miseno per raggiungere Cuma e le ville del Fusaro.
Da riparo per barche a prima base navale La trasformazione di Miseno in prima base navale dell'Impero ne alterò drasticamente le caratteristiche, persino dal punto di vista giuridico. Le sue adiacenze, infatti, vennero distaccate da Cuma formando una entità autonoma, una sorta di enclave extraterritoriale, in cui si insediò la nuova colonia marittima. Difficile stabilire con precisione la data dell' evento che, per analogia con la fondazione di altre colonie, è stata supposta intorno al 31 a.C., sebbene sembri verosimile una data più recente. In pochi anni il piccolo centro divenne una dinamica e popolosa cittadina militare, dove conversero e si stabilirono i tanti ufficiali ed i tantissimi marinai della flotta, con le rispettive famiglie. Sotto questo aspetto anticipa la connotazione delle odierne grandi basi navali statunitensi, anch'esse simili a città autonome in una regione straniera. Nonostante tanta rilevanza e tanta vitalità, caratteristiche peculiari della base di Miseno che permarranno pressoché immutate per i successivi quattro secoli, l'identificazione di Monte Miseno con l'attuale Capo Miseno non è priva di dubbi. Ad ogni buon conto Capo Nliseno si erge sul mare con pareti tufacee a picco, concludendosi in sommità con una breve spianata e restando collegato alla terraferma tramite l'istmo sabbioso di Miniscola, estremo inferiore del porto stesso. A settentrione degrada, con una serie di piccoli rilievi, sino a Punta della Salparella, protesa nel porto, ed appena più ad est sino a punta Terone, che con la simmetrica punta Pennata ne forma l'imbocco. I lavori della nuova base navale di Miseno vennero avviati intorno al 15 a.C., di certo fra la battaglia di Azio del .31 a.C. e la morte di Agrippa nel 12 a.C. Nel medesimo scorcio storico, del resto, anche presso Ravenna si avviò la costruzione della seconda base navale. Stando sempre al Beloch, il porto di: "Mùeno forma una insenatura lunga circa 2 km e larga da
500 a 250 m; la profondità in nessun punto supera i 14 metri. Il porto si divide in due grandi bacini quasi della stessa ampiezz.a; uno esterno, l'attuale porto di Miseno, ed uno interno, il Mare Morto. Oggi sono separati da una diga di pietre su cui corre la strada... Cosi' il Mare Morto è diventato una laguna costiera che di anno in anno si va sempre più insabbiando...
Dall'alto: odierno canale tra Mare Morto e Porto di 1vfiseno; vedute
dello specchio di Mare Morto.
PARTE PRIM A - LA FLOTTA PRETORI A DI M I SEl'-:0
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che pilae. Inoltre La Punta di Pennata e la Punta Scarparella sono state traforate, così che Le si può attraversare in barca. Scopo di queste opere, evidentemente, era quello di evitare L'insabbiamento del porto. Le sponde del bacino esterno del porto sono per la maggior parte rocciose e scoscese, e solo a sud-ovest, nel luogo detto <<Chiaioletla», Le imbarcazioni possono essere tirate a secco. Il Mare Morto invece ha rive del tutto piatte, e non può esservi alcun dubbio che qui essenzialmente stava alla fonda La flotta da guerra romana. Infatti intorno al Mare Morto dovevano essere ancora visibili resti di edifici facenti parte di arsenali e magaz· · "18 zznz... . Attualmente quasi nulla è rimasto ad indicare tante costruzioni e tanta attività. In particolare: " ... degli impianti portuali misenati poco resta: dove è oggi· il
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ponte in muratura che scavalca il canale tra la rada e il Maremorto era un ponte di legno costruito da Augusto e restaurato nel 159 d.C Il bacino interno del Maremorto, poco profondo, suita cui costa dovevano essere sistemati i cantieri navali~ era utilizzato come bacino di allestimento e di riparazione delle navi:· la rada esterna divisa in due specchi d'acqua dalia punta della Sterparella, costituiva invece il vero e proprio porto, il cui imbocco, tra punta Pennata e punta Terone, era ristretto da due linee di moli/armati da arcate su piloni> della doppia fila di pilae antistanti punta Terone se ne vede solo una, e nessuna più di quelle di punta della Pennata ... Degli arsenali e delle caserme... non restano tracce, e abbiamo per il resto solo resti sparsi, riferibili per lo più a ville; quelli sulla punta della Sterparella potrebbero appartenere alla residenza del prefetto della flotta, da dove Plinio il Giovane osservò l'eruzione vesuviana del 79 a.C Nel nome della spiaggia di Miniscola si conserva il ricordo della militum schola, il campo d'esercitazione, ricordata come schola armaturarum in una iscrizione del IV sec. d.C ivi rinvenuta." 19 ,Il i,.•J i.' villl,1•
Non era così nell'antichità quando il Mare Morto comunz·cava con il bacino esterno tramite una Larga apertura. Un ponte di legno (pons ligneus) occupava il posto deti'attuate diga e assicurava il collegamento tra Misenum e Baiae. Per trasformare t'ù1senatura di Misenwn in un porto militare, la prima condizione era la chiusura deli'accesso. Pertanto Agrippa fece costruire due moli che partivano dalle rive del porto, la settentrionale e La mendwnale. Il molo 1neridionaie è il più lungo,· esso consta di due serie di pilae di.lposte secondo il modello puteolano, in modo che le pilae della prima fila corrispondano agli intercolunni della seconda. La lunghezza. dell'intera costruzione è di circa 180 m, ma le ultime piiae, verso la punta della Pennata, probabilmente sono andate distrutte; nell'antichità zl varco d'accesso era più stretto. Le arcate che indubbiamente un tempo collegavano le pilae sono completamente distrutte e gli stessi pilastri sono interamente sprofondati sott'acqua, tanto da far appena affiorare la loro estremità superiore, contro cui le onde vanno ad infrangersi. In ogni pila si vedono gli anelli per l'ormeggio delle imbarcazioni. Molto più piccolo è il secondo molo che dalla penisola di Pennata va verso sud,· esso consta soltanto di una fila di po-
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Da J. Bt::LOCH, Campania ... , cit., p . 225. Da S. DE CAHO, A. GRECO, Campania, Bari J 981, p. 67.
In alto: planimentria storica di Mùeno da Beloch. Nella pagina a fianco: uno dei tra/ori scavati in Punta Pennata.
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PARTE PRI M A - L;\ Fl.()TTA PR ET<l R IA D I .\<\ ISEN O
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Dov'era l'abitazione di Plinio?
l'area interessata da questi/enomeni doveva essere di almeno due volte più vasta di quella attuale... "20•
Per quanto possa sembrare incredibile quasi nulla è rimasto non solo della base, ablazione che può, in certa misura, attribuirsi al suo abbondo, ma anche della città che sopravvisse fino ali' acutizzarsi delle incursioni saracene, intorno al X secolo. Quasi certamente la principale concausa di quella così radicale distruzione va ravvisata nei devastanti e reiterati eventi bradisismici di cui l'intera zona fu vittima a partire appunto dal IV secolo. Dai dati di un recente studio, infatti, si può evincere che: "nel periodo di
Si spiega forse così la domanda, che già si pose Beloch, su dove fosse situata Misenum rispetto al porto o, per meglio dire, su quale suo lato, non reputandosi credibile che l'abitato di una base navale sorgesse .lontano dallo stesso. Una serie di deduzioni, suffragate da rinvenimenti archeologici purtroppo esigui, porta a concludere che la colonia venne in1piantata da Agrippa sLille sponde meridionali del porto dove esiste oggi l'omonimo abitato, con una trama urbanistica spaziante da Miniscola fino al monte di Misenum . In tal caso anche la supposta residenza del comandante in capÒ sarebbe rientrata nelle immediate adiacenze del centro abitato, ma sempre sulla sponda meridionale, in prossimità di pu;;ta Sterparella. Emergenza da cui si distingue benissimo sia il Vesuvio che la costa ad esso sottostante, fino a Sorrento e Ca-
massima ingressione marina, avvenuto tra la fine del VII sec. e il IX-X sec., l'intera area misenate ha registrato un abbassamento massimo valutabile nell'ordine di 11-12 m causato dai moti bradisisrnici, i quali nel momento di massimo sollevamento hanno recuperato solo parzialmente (5-6 m circa) questo valore. Anche il livello del Collegio degli Augustali di Miseno, recentemente indagato, si trova a circa 1.20 mal di sotto dell'attuale livello del mare... Sempre nello stesso circondario misenate numerose altre strutture edilizie di epoca romana, costruite in terra/erma, sono oggi dominio dell'ambiente costiero e, a luoghi, sedimenti e palustri le ricoprono ... perciò, contrariamente a quanto registrato recentemente per il solo Gol/o e la città di Pozzuoli,
20 A. CINQUE, F. Russo, M.. PAGANO, La successione dei terreni di età post-romana delle Tenne di lvfoeno (Napolz): nuovi dati per la storia e la stratigrafia del bradisisma puteolano, in Boli. Soc. Geol.It.,110
(1991),231-244.
In alto: scorcio del promontorio di Miseno e del bacino di Maremorto. Nella pagina a fianco: scorci di Punta Pennata.
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Nelle due pagine: panoramica da Punta Pennata al Vesuvio. Ben evi-
dente la perfetta reciproca visibilità ideale per un collegamento ottico con eliografo.
pri, dettaglio fon damentale poiché esplicitamente ricordato nella seconda lettera di Plinio il Giovane, che così recita: [A Miseno] il sole si era ormai levato da un,ora ma la luce
era ancora fioca e come smorta. Siccome gli edifici che ci circondavano appat-z'.uano già malconc~ anche se eravamo in un luogo senza copertura -che però era angusto- si paventava da temere che, qualora crollassero, ci arrecassero
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conseguenze gravi e irreparabili. Soltanto allora ci sembrò opportuno uscire dalla cittadina; dietro di noi segue una folla sbalordi'ta, la quale ostentando quella contra/fazione dell'avvedutezza che è tipica dello spavento, preferisce l'opinione altrui alla propria e con la sua enorme ressa ci incalza e ci spinge mentre ci allontaniamo. La descrizione inizia intorno alle sette del mattino. Stando alle prime indicazioni, l'abitazione dell'ammiraglio non era isolata ma circondata da altre costruzioni, piuttosto ravvicinate e fitte. Probabile perciò che fosse ubicata ali' estremità della stessa Misenum.
Una volta fuori dall'abitato ci/ermiamo. Là diventiamo spettatori di molti/atti sba/,orditivz~ ci colpiscono molti particolari che incutono terrore. Cosz' i carri che avevamo fatto venire innanzi, sebbene la. superficie fosse assolutamente lzvella.ta, sbandavano nelle più diverse direzioni e non rimanevano /ermi al loro posto neppure se venivano bloccati con le pietre. Il riferimento ai carri e ad una pista orizzontale sembra confermare che i protagonisti si trovino alla periferia di Misenum all'imbocco di una strada. L'intensità delle scosse è ormai tale da rendere instabili persino i carri con le ruote bloccate: e la zona dista oltre 25 km dal Vesuvio!
Senza dubbio il litortzle si era avanzato e teneva prigionie--ri nelle sue sabbie asciutte una quantità di animali marini. Dall'altra parte una nube nera e terrificante, lacerata da lampeggiamenti e soffi di fuoco che si e.1plicavano in linee sinuose e spezzate, si squarciava emettendo delle fiamme dalla forma allungata: avevano l'aspetto dei fulmini tna ne erano più grandi... Assodato che il litorale avanza soltanto se la terra sprofonda, abbiamo il primo dato del repentino bradisisma che investì e coinvolse l'intera penisola di ìvliseno. Una visione tanto dettagliata del litorale, sia che fosse quello verso Baia
t PARTE PR I MA - LA l'I.OTTA l' ltETORI.A D I MLSENO
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che quello verso Cuma, si può godere soltanto salendo verso la sommità di Capo .Nliseno, che sembra perciò essere la destinazione dei fuggitiv i. Scelta logica essendo il luogo più lontano dal Vesuvio.
Le ind icazioni geografiche si fanno più precise: la densa coltre di cenere del Vesuvio, tenebrosa per la sua straordinaria densità, sembra dilatarsi. In pochi istanti, propagandosi come un'onda circolare nell'acqua, raggiunge Sorrento allargandosi ancora fino a Capri ed, ovviamente, fin o alla stessa Miseno. I fuggitivi, ormai all'estrem ità del promontorio, vedono perciò l'oscurità avventarsi minacciosa, finché non li fagocita.
Poco dopo quella nube calò sulla terra e ricoperse ii mare: aveva già avvolto e nascosto Capri e aveva già portato via ai nostri sguardi il promontorio di Mùeno ... Incomincia a cadere la cenere, ma è ancora rara. Mi volgo indietro: una fitta oscurità ci incombeva alle spalle e, riversandosi sulla terra, ci veniva dietro come un torrente...
Avevamo fatto appena a tempo a sederci quando si/ece notte, non però come quando non c'è luna o il cielo è ricoperto da nubi; ma come a luce spenta in ambienti chiusi. Avresti potuto sentire i pianti disperati delle donne, le invocazioni dei bambini; le urla degli uomini: alcuni con le grida cercavano di richiamare ed alle gri-
Sopra: promonto,-io di Capo Miseno, dettaglio del Ja,-o. Verosimilmen-
te si tratta del luogo da dove Plinio il Giovane ricava i dati che riporterà, successivamente, nella sua cronaca degli eventi.
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da cercavano di rintracciare i genitori altri i figli~ altri i coniugi rùpettivi; gli uni lamentavano le loro sventure, gli altri quelle dei loro cari taluni per paura della morte, si auguravano la morte, molti innalzavano le mani agli dez~ nella maggioranza si formava però la convinzione che ormai gli dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l'ultima del mondo. Ci furono quelli che resero più gravosi i pericoli effettivi con notizie spaventose che erano inventate e false. Arrivavano di quelli i quali riferivano che a Mùeno la tale costruzione era crollata, che la tal altra era divorata dal!' incendio: non era vero ma la gente ci credeva.
Nei minuti successivi sopraggiungono anche i più lenti fuggi tivi, che diffondono come in tutte le situazioni analoghe, le ultime notizie. Si tratta di informazioni terrificanti quanto assurde, reputate subito attendibili per la disperazione del momento. Per molti, infatti, era il prodromo della fine del mondo, per cui nulla sembrava esagerato.
Sopra e sotto: vedute del!' eruzione del Vesuvio del 1944 eseguite dalle forza alleate.
Cifu una tenue schiarita, ma ci sembrava che non fosse la luce del giorno ma un preannuncio dell'avvicinarsi del fuoco. Il fuoco c'era davvero, ma si fermò piuttosto lontano; poi di nuovo il buio e di nuovo cenere densa e pesante.
Il fuoco osservato dal giovane Plinio deve attribuirsi al frettoloso abbandono delle abitazioni. Assurdo immaginare un'ondata ardente capace di viaggiare per una ventina di chilometri sulla superficie del mare, provocandone l'evapo_razione di grandi masse d'acqua, senza raffreddarsi! E se mai un simile prodigio si fosse verificato le navi di Plinio, ormai dinanzi alla costa vesuviana, sarebbero arse istantaneamente, senza alcun superstite e senza alcun testimone dell'intera vicenda.
,. P,I RTE l' RIM,1 - LA FLOT TA PR liTO RIA D I M ISENO
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Finalmente quella oscurità si attenuò e parve disszj>arsi in /umo o in vapori~ ben presto sottentrò il giorno genuino e rùplendette anche zl sole, ma livido, come suole apparire durante le eclissi. Agli occhi ancora smarriti tutte le cose si presentavano con forme nuove, coperte di una spessa coltre di cenere come se fosse stata neve.. . "2 1• La visione panoramica dell'intero abitato di Miseno, con[erma la fuga sulla sommità di Capo Miseno e per conseguenza la sua contiguità con l'abitato. 21
Seconda Lettera di Plinio il giovane, Ep. VI, 16. Traduzione dcli' A.
In alto: il Vesuvio nel 1758. Tavola di Pietro Fabris dal volume di '\Ylitliam Ilamilton. Nella pagina a fianco: scorcio interno della Piscina Mirabilis.
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La Pisàna Mirabilis Tra le poche grandi infrastrutture pervenuteci della base di Miseno, spiccano la grande cisterna ed il basamento di un edificio interpretato come faro. Ubicate a poche centinaia di metri l'una dall'altro, ostentano condizioni di conservazione estremamente divergenti, esito delle diverse vulnerabilità sismiche, esigua per l'una incassata nella collina e praticamente intatta, al punto da poter essere riutilizzata in qualsiasi momento; forte per l'altro svettante su di essa, devastato al punto da renderne ipotetica l'identificazione strutturale, dimensionale e frmzionale. Volendo dettagliare meglio le caratteristiche deJla cisterna, va preliminarmente rilevato che dalla sua capacità dipendeva in ultima analisi, se non l'autonomia della base almeno il suo benessere. Una colonia di oltre 40.000 abitanti, secondo .lo standard
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Da S. DE C ARO, A. GRECO, Campania .. . , p. 68.
1n alto: piano della Piscina Mirabile a Baja, di Filippo Morghen, 1769. Nella pagina a fianco: resti di pompe di Ctesibio per impiego navale rinvenuti in un relitto nel Golfo del Leone e restituzione di un elemento della stessa pompa.
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spigoli arrotondati. L'evacuazione dell'acqua di lavaggio avveniva attraverso un pozzetto centrale, profondo circa un metro e munito di un piccolo condotto di scarico. Il foro d'immissione dell'acqua è ben evidente sulla som mità della parete prossima all'ingresso occidentale, ma nessuno se ne scorge di emissione che avrebbe dovuto trovarsi prossimo alla base, assenza che induce ad ipotizzare l'adozione di sifoni aspiranti, innescati da adeguate pompe a doppio effetto. La soluzione, sebbene macchinosa, assicurava una migliore decantazione dell'acqua, un a pressione d'esercizio stabile e, soprattutto, l'assoluta indipendenza fra le diverse utenze. N on mancano, tuttavia , sulla destinazione della grande cisterna, alquante perplessità, secondo le quali: "è
probabile che la Piscina Mirabile, malgrado la tradizione, non ha niente a che vedere con l'impianto della /lotta, da cui era separata da una zona cimiteriale: in effetti è molto improbabile che le istailazioni militari/assero state disperse, tenendo conto di quanto sappiamo sulla consuetudine della costruzione degli accampamenti romani: a Miseno come a Ravenna, a Douvres o a Boulogne, vi era senza alcun dubbio un campo, costruito secondo le regole dell'arte, che molto probabilmente non era stato protetto da una cerchia. Sembra allora inconcepibile che la riserva d'acqua principale, che si dice fo sse la Pt'scina Mirabile, fosse stata collocata a pz'ù di
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700m a volo d'uccello dal canale che unisce il Mare Morto al mare, ovvero ad oltre un chilometro dalle z'stallazioni della base ben collocata all'innesto della penisola di Miseno o sulla rada di Miniscola. Più verosimilmente, bisogna riconoscere nella Piscina Afrrabile la cisterna di una delle numerose ville della regione di Bacoli/Bauli.. . "23 . La critica, apparentemente sensata, presenta tuttavia almeno un paio di vistose incongruenze: era certamente possibile che una villa di notevoli dimensioni disponesse di una cisterna tanto grande, ma nessuna villa, in nessuna parte dell'Impero dispose mai di un acquedotto di 100 km per riempirla, né le sarebbe stato consentito l'allaccio! Meno che mai avrebbe adottato un sistema di svuotamento tanto complicato in luogo di un unico condotto di prelievo sul fondo, con relativa valvola Ed è certamente emblematico ritrovare una identica cisterna ad Albano 24, peraltro ancora in funzione. Capace di oltre 10.000 mc, suddivisa in cinque navate mediante quattro file di pilastri cruciformi, serviva ali'approvvigionamento idrico della Legione II Partica.
Il faro di Miseno Una base navale per quanto piccola, in qualsiasi contesto storico, dovrebbe disporre di un discreto faro . Nessuna spiegazione potrebbe giustificarne l'assenza, meno che .,,,,· <:111r,v· mai a Miseno, tanto più che ' I i Romani ne costruirono in gran numero in diverse parti dell'Impero. Non sfuggiva al loro senso pratico il basilare ausilio fornito alla navigazione da quelle gigantesche torce. Ovvio, quindi, che per esaltarne la prestazione si collocassero stilla sommità delle alture a picco stÙ mare o immediatamente adiacenti, indi-
pendentemente dalla loro contiguità con il porto o con il suo imbocco, per cui non meraviglia trovare pure sulla sommità del Poggio, a ridosso di Punta Pennata, da dove si scorge liberamente Ercolano, Sorrento e Capri strani ruderi, interpretati da molti studiosi come la base di un grande faro . Probabile pure che quella controversa struttura fungesse anche da torre di controllo e segnalazione dell'ammiragliato: in tal caso, distando circa un chilometro dalla supposta abitazione privata di P linio, avrebbe richiesto almeno un quarto d'ora per essere raggiunta, e poco meno per recarsi alla banchina, dettagli di fondamentale interesse per la ricostruzione dell'evento. Per grandi linee il rudere consiste in un corpo a pianta quadrata, di oltre 20 m di lato, con compartin1entazioni interne ortogonali, che, a loro volta, appaiono congrue a sostenere un secondo corpo quadrato di soli 10 m di lato, sormontato da un terzo ottagonale o circolare sorreggente la lanterna. In definitiva una torre simile al mitico faro di Alessandria d'Egitto, ma più piccola. Attualmente quei resti murari sono inglobati in una masseria, stravolgimento che non ne ha però cancellato del tutto l'originario aspetto, potenziato nel corso del I secolo d.C. con l'incremento degli spessori delle murature, circa un metro all'interno e oltre due lungo il perimetro. Non essendo una fortificazione il
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Da M. REooÉ, Mare Nostrum ..., cit., p.192. Traduzione dell'A. 24 In merito cfr. G. LUGU , Studi minori di topografia antica, Roma 1965, pp. 404-415 .
A fianco: il Golfo di Napoli, di William Heathe1; Londra, .18.lO. Nella pagina a fianco: ticostruzione virtuale dell'intera pompa di Oeszbio.
PA RTE PR IMA - I.A l'I.O T TA PRETOR IA 0 1 M ISENO
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non era questo massiccio quadrato di mura d'inusitato spessore, fatto più per sostenere una torre in altezza che un edificio in estensiòne; e se to"e era non poté, in vista del porto, essere altro che la torre del Faro, posta in luogo dominante visibile dai due versanti e deliberatamente contrapposta all'altra torre del Faro che Tiberio fece costruire sul promontorio orientale di Capri; alt'i'ngresso di Villa Jovis, sua residenza prediletta, st' che servisse di/aro ai naviganti e di specola di segnalazioni e di messaggi· da lanciare e da raccogliere con le /umate di gzòmo e con le fiammate di notte. Le due torri dei Fari di Capri e di Miseno /ormavan°'dun que il sistema di collegamento fra le estremità del golfo di Napoli;- necessaria garanzia per un imperatore che governò Roma e l'impero da Capri e per il quale la f lotta misenate rappresentava, oltre tutto, l'arma più sicura di cui poteva servirsi. Gli storici moderni che molto si preoccupano di accusare o di scagionare Tiberio del suo volontariò esilz"o a Capri: possono trovare in questo rudere la spiegazione di come /unzzònassero i servizi delle cancelleria imperiale fra l'isola e la costa... "26•
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provvedimento va ricondotto ad una sopraelevazione. Del resto anche i quattro piccoli volumi parallelepipedi innestati agli spigoli del corpo centrale, quasi certamente, nella stessa circostanza, appaiono destinati sempre ad accrescere la stabilità complessiva della costruzione, sebbene alcuni studiosi la reputino semplicemente w1a villa panoramica, come sembrerebbero confermare rinvenimenti limitrofi di frammenti di sculture25 . Non sarebbe, però, tanto azzardato immaginare che intorno ad w1a specola vi fosse pure W1'ala residenziale destinata al personale di servizio. Osservava, infatti, il Mai uri che: "villa romana certamente Cfr. L. A. SCATOZZA, Le sculture del vallone di Punta Pennata (Bacoli), Napoli 1976, pp.43-44.
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In alto: rilievo dei ruderi del faro di Mùeno tratti dal Belloch: le diverse coloraz.ìoni evidenziano due distinte fasi di costruzione. A fianco: l'ubicazione del faro di Miseno su uno stralcio di foto satellitare. Nella pagina a fianco: tiJotesi ricostruttiva del faro diMiseno.
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Grazie alle numerose raffigurazioni pervenuteci di fari di epoca romana è possibile stimare, in funzione del loro Iato di base, tanto l'altezza del primo livello quanto quella del secondo e dell'eventuale lanterna. Nella fattispecie avremmo un edificio di circa 90 m, ovvero 40+40+10, che sommandosi alla quota d' impianto, nel I secolo di almeno 50 m, porterebbe la fiamma a svettare a quasi 140 m sul livello del mare. Dando p er scontate le affermazioni de21 •
Da A.
MAIUR1,
Passeggiate Campane, Firenze 1950, pp. 45-46.
gli storici coevi secondo le guali il fa ro di Alessadria, alto poco meno di 150 m, si scorgeva da oltre 50 km cli distanza, torna plausibile che quello in questione fosse visibile da ogni angolo dell'intero golfo di Napoli, isole comprese. Ma, come accennato, non tutti gli studiosi ravvisano nel grottone i resti di w1 faro. Infatti: "l'identificazione di quest'insieme come faro solleva delle diff,:coltà: non soltanto, come ha sottolineato A. levi-Gallina, questo 'faro', che non si trova all'imbocco del porto, ed è coperto verso sud, ed anche verso ovest (dunque verso il Largo) per Capo Miseno è assai m al posto. Inoltre, la sua pianta, come riconobbe lo stesso A. Maiurz; è piuttosto quella di una tomba, non corrispondendo a quanto possiamo sapere circa i fari antichi; ed in particolare dei due che si sono ancora conservati su qualche altura: quello di Leptù Magna e quello di la Carogne. 1\1anca prioritariamente a questo faro ' di Miseno una rampa d'accesso verso l'alto, ed è proprio questo che non ci consente di identificarlo come tale" 27 • D unque le critiche fondamentali posson o ridursi a due: la collocazione sbagliata del supposto faro rispetto all'imbocco del porto di Miseno e la mancanza in esso di una rampa di servizio. Ci rca la prima va ribadito che i fari romani non segnalavano, magari con una luce rossa o verde, l'imbocco del porto, ma semplicemente la costa: poiché le navi dell'epoca, militari e mercantili, salvo pochissime rotte, navigavano a vista, cioè di giorno, il faro non serviva ad indicare un p reciso punto della costa ma, la cosca stessa! E ciò avveniva per i rari piloti notturn i con la sua fiamma11te lanterna e, soprattutto, per i tanti diurni con la relativa altissima colonna di denso fumo nero, visibile da molco più lontano del raggio luminoso. P er cui la loro collocazione era determinata dalla guota massima idonea per l'im pianto e non già dall'adiacenza del suddetto accesso. Circa l'orientamento occorre precisare che non scaturiva dalla visibilità da sud o da ovest ma soprattutto da est e da nord, ovvero da Capri e da Baia e dalla costa vesuviana, essendo oltre che faro anche corre di controllo e segnalazione. Quanto poi alla mancanza della rampa, lungo cui si sarebbero dovuti arrampicare i muli carichi cli legna da ardere, la riserva scaturisce dal non prendere in considerazione l'alimenta:tione della lanterna a combustibile liquido, di gran lunga più probabile. In molti fari medievali, dalla Lanterna di Genova alla Torre del Serpe ad O tranto, il combustibile era l'olio, per l'esattezza quello lampan te,
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e la nafta nel Vicino Oriente: è probabile cbe anche quelli romani bruciassero olio, garantendo così alla lanterna l'autonomia di una intera notte, consentendo per la sua regolarità l'adozione di una lamiera lucida rotante fungente da specchio riflettore. Agevole, infine, l'approvvigionamento con catene cli secchi simili alle norie. Del resto i fari del tipo di quello di Alessandria, tramand ano delle strutture a pianta ottagonale, sormontate da una statua e in alcune monete di Domiziano appare: "che questo piano ottagonale era in realtà costituito da un colonnato, coperto da una piatta/orma sulla quale insisteva la statua. Il fuoco doveva, dunque bruciare al centro del colonnato, sistema che consentiva oltre alla fuoriuscita dei/umi la visione delle fiamme . . . "28. 28
Da M. Reddé, Mare Nostrum ... , cit., p. 868.
Sotto: lucerna di epoca romana riproducente il/aro di Alessandria. Nella pagina a fianco : ricostruzione virtuale di lanterna da faro.
Da M. REDDE, Mare Nostrum .. ., cit.,p. 196. Dello stesso autore
cfr. La ,·eprésentation dei phares à l'epoque romaine, ìn Mélanges de l'école /rançaise de Rome, tome 91, Roma 1979, 2, pp.845-872.
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PARTE SECONDA
ASPETTI OPERATIVI DELLA FLOTTA
Le telecomunicazioni~ un'esigenza, della navigazione Secondo una tradizione antichissima e consolidata il promontorio di Miseno deve il suo nome allo sfortunato trombettiere di Enea, perito in quei paraggi ed ivi sepolto da qualche parte. Per inciso, va osservato che la qualifica di trombettiere mal si attaglia alla effettiva specializzazione militare del personaggio, da non confondersi con un musicante ma, se mai, da equipararsi ad un segnalatore, un antesignano marconista1. All'epoca, infatti, il suono emesso da appropriati strumenti a fiato costituiva il più efficace sistema di trasmissione a distanza degli ordini, in condizioni di scarsa o nulla visibilità. Forse questa curiosità toponomastica, molto più di una strana coincidenza, costituisce w1a sorta di filo conduttore che lega Miseno, dall'inizio della sua trasformazione in base navale, a Roma, a Capri ed alla costa vesuviana. Ancora nel XVI secolo veniva evidenziato che dalla terrazza del tempio di Giove Anxur, sovrastante Terracina si:
" ... scopre per la sua erninenzia dalla parte di levante sino alle bocche de capre... "2 . In altre parole che una direttrice ottica, lunga circa 120 km e passante fra Capo Miseno e Procida, collegava Capri con l'acropoli di Terracina collegata, a sua volta, a Roma con una seconda direttrice di altri 100 km. Forse fu proprio questo il percorso seguito dai segnali luminosi mediante i quali Tiberio, a Capri, si teneva in costante contatto con Roma ed, owiamente, con la base di Miseno. AA. Vv., Le trasmissioni dell'Esercito, Roma 1995, pp. 5-14. In merito cfr. F. Russo, La difesa costiera dello Stato Pontificio ... , cit., p. 204. La notizia è tratta dal manoscritto di Giulio Cesare Grillo, provveditore generale delle Fortezze di mare e di terra delJo Stato Pontificio tra il 1616 ed il 1624. 1
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A fianco: ruderi della torre-faro di Villa Jovis a Capri. (foto Centro Documentale dell'Isola di Capri). Nella pagina a fianco: bassorilievo con unltà della marina imperiale romana rinveulo in Sussex, Inghilterra.
' P,\ llTlè SECOKDA - ASl' lffTI OPl,R 1\T I VI DELI.A rl.OTTA
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Di certo, come accennato, sulla sommità di Capri si individuano ancora i resti di una grande torre-faro di epoca romana, utilizzata quasi certamente per quel collegamento. In particolare la turrz's Phari, costruita contemporaneamente alla Villa ]ovz's, consentiva: "con messaggi luminosi (fuochi e fumate)
raccolti da altn· osservatorii piazzati alla punta della Campanella e a Miseno, rapide comunicazioni tra l'isola e la costa. Posto in poszzzone dominante sul crinale tra i due versanti dell'isola ... il faro è una massiccia costruzione quadrata di àrca 12 metri di lato, alta in origine più di 20 metri, dei quali .Z6 sono tuttora in piedi. La struttura, a nucleo pieno, è in opera a getto di calcare rivestita da un paramento in opera latenzia; il pilastro e i resti di un arco nell'angolo nord-occidentale della costruzione, appartengono alla rampa d'accesso al primo ripiano della torre, sopra il quale doveva essere la vera e proptia camera di segnalazione... "3 . 3
Da S. DE CARO, A.
GRECO,
Campania ... , cit., p. 115.
Nella pagina a fianco: veduta di Capri dai Camaldoli di Torre del Greco (sopra); il tempio di Giove Anxur a Terracina. Sotto: i ruderi di Villa Jovis a Capri.
Stando a Svetonio, Tiberio che soggiornò nell'isola dal 27 al 37 d.C.:
"stava di continuo a spiare da un'altissima rupe i segnali che aveva ordinato difargli da lontano, per sapere quello che stava accadendo senza dover attendere dei messi."4
In pratica Tiberio aveva, in qualche modo, perfezionato il collegamento semaforico già attivato, magari in maniera rudimentale da Ottaviano Augusto, tra la sua residenza isolana la costa vesuviana e la base di .N.liseno, verosimilmente collegata a Roma. Appare, anzi, estremamente probabile che la linea utilizzata da Tiberio fosse appunto una diramazione di quella della marina tra Miseno e Roma, sulla quale già gravava il palazzo imperiale di Baia. La torre-faro crollò in seguito ad un terremoto, pochi giorni prima della morte di Tiberio. Per la sua importanza fu rapidamente
La citazione è tratta da C. S\7ETONI0 TMNQUTLLO, Le vite dei dodici cesari, traduzione di A. Vigevano, Milano 1972, pp. 107, lib. III, 6.3. 4
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PARTE SECON DA - ASPETTI OPERATIVI DELLA r-LOT T A
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79 D.C. Rc)TTA SlJ POMPE I
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fatta ricostruire, forse da Domiziano, tant'è che Stazio così la ricordava:
"le case dei Teléboi [mitici colonizzatori di Capri] dove un /aro emulo della luna che vaga di notte, innalza la sua luce benigna a favore dei trepidi· navi·ganti... "5
In definitiva esistono motivate ragioni per ritenere che l'insediamento della maggiore base navale dell'impero, a Lucrino prima ed a Miseno poi, sia da ascrivere non solo alla vicinanza con Baia, ma alla idoneità d' entrambi i siti al collegamento ottico con Roma via Terracina. Augusto si prodigò affinché lungo le strade militari fossero scaglionate, a brevi intervalli, giovani staffette per recapitare con la massima celerità i dispacci. Per migliorare il servizio introdusse in seguito veloci carri sui quali viaggiavano i corrieri, da un punto all'altro dell'impero. Ovvio, pertanto, cbe lo stesso Da P. P. Srn.zro, Silvae III, 5, 95-104: "Teleboumque domos, trepidfr ubi dulcia nautfr Lumina noctivagae tollit Pharus aemula lunae... ".
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Nella pagina a fianco: lo stretto tra Capri e Punta della Campanella.
Nei cerchi rossi il faro romano (sopra) e la specola di Villa Jovis (sotto).
Sotto: ricostruzione virtuale di una veloce diligenza romana elaborata partendo da un bassorilievo di epoca imperiale.
imperatore si dimostrasse fortemente interessato a qualsiasi innovazione in grado di abbreviare i tempi morti delle comunicazioni a distanza. Assurdo supporre che, in un sistema politico assoluto come quello imperiale romano, il vertice del potere avrebbe potuto soggiornare a lungo a Capri, rendendosi virtualmente irreperibile ogni volta che le avverse condizioni del mare ne avessero reciso i collegamenti navali! Altrettanto assurdo immaginare che la prima flot ta imperiale, con le sue fanterie da sbarco per proiezioni immediate, fosse rimasta placidamente agli ormeggi fino a quando una trafelata staffetta non fosse pervenuta al suo ammiragliato, ignorandosi ciò che accadeva al di là dell'imbocco del porto. Assurdo, infine, credere che le stesse navi in perlustrazione di polizia non potessero in alcun modo comunicare al comando quanto, di giorno in giorno, rilevavano o compivano, e magari chiedere rinforzi. È necessario ricordare, in merito a questo delicatissimo e vitale aspetto dell'organizzazione militare romana, peraltro fondamentale per l'esatta ricostruzione degli eventi indagati, che la saggistica storica acclarata è largamente deficitaria. Essendo, infatti, esito di ricerche e d'interpretazioni squisitamente umanistiche, ha sistematicamente ignorato la tecnologia vigente e disponibile. Le conclusioni appaiono, perciò, frequentemente assurde ed enigmatiche, pur nella stretta aderenza alle rievocazioni. Unica alternativa per delineare un ambito operativo meno convenzionale, è fornire una breve sintesi delle diverse modalità di comunicazione a distanza da stazioni fisse e da stazioni mobili.
' PART E SEC<)ND1\ - ASPETT I O PER ATIVI DEI.I.,\ PLùT TA
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Torrette semaforiche Plinio parlando della sfericità della terra menziona le cosiddette turris Hannibalis, torrette semaforiche usate in Spagna per lanciare, a grande distanza, i segnali d'allarme, a fuoco di notte ed a fumo di giorno affermando che:
"si è controllato da molte esperienze:in Africa e in Spagna, le torri di Annibale,· in Asia simili osservatori di difesa furono ùtz'tuitz' sotto la spinta del terrore per i pi'rati, e cosi ci si accorse più volte che i fuochi di allarme appiccati alla sesta ora del giorno {intorno alle 12] erano scorti alla terza ora notturna [intorno alle 21 in estate] da chi si trovava nel punto più arretrato... "6 Essendo l'intervallo di trasmissione di circa 9 ore, quali che fossero i tempi di rilancio di ciascuna torre, la linea doveva attingere una rilevante estensione. Interessante, inoltre, osservare che nella generica definizione di turris Hannibalis non si deve leggere l'inventore del sistema, di scarsa reputazione per la mentalità romana, ma il fruitore, il personaggio cioè che ne aveva deciso l'impianto. È sensato immaginarle simili a quelle della Colonna Traiana, raffigurate con una grande torcia lungo la sponda del Danubio. Immaginando una catena di torrette, ciascuna di esse per evitare confusioni, avrebbe dovuto inoltrare il segnale soltanto in un senso. Se, ad esempio, fosse stato diretto a destra, sarebbe bastato portare la torcia sulla balconata di sinistra e farla apparire ed eclissare dietro il suo corpo. Soltanto la torretta di destra avrebbe perciò osse1vato quell'alternarsi di fuoco e buio, il segnale convenzionale, provvedendo a ripeterlo nella medesima maniera. Per quella di sinistra, invece, la torcia non si sarebbe mai oscurata e, restando sempre accesa e oscillante, avrebbe notificato la efficienza di linea. Va da sé che il verso prescelto era quello del più vicino acquartieramento militare. Sostanzialmente analoga la trasmissione diurna a fumo: a ridosso di ogni torretta si scorgono, infatti, oltre alle cataste legna per il fuoco anche eloquenti covoni di paglia, proprio per il fumo.
6 Da G . P LINIO SECONDO, Storia Naturale, lib. II, 73: "Multis hoc cognitum experimentis in Africa Hispaniaque turrium Hannibalù~ in Asia vero propter piraticos terrores simili specularum presidio excitato, in quis preanuntios ignes sexta hora diei accensos saepe compertum est termia noctis a tergo ultimis visos''.
A fianco: torrette telegrafiche raffigurate ed evidenziate sulla Colonna Iì·aiana e loro ricostruzione realizzata lungo i limes in Germania. Nella pagina a fianco: ricostruzione virtuale di torretta semaforica romana.
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79 D .C. ROT'IA SU POMPEJ
Telegrafo ad asta Di gran lunga più moderno e funzionale il dispositivo così ricordato da Vegezio Flavio:
"alcuni sui castelli o sulle torri cittadine collocano delle travz; con le quali tenendole a volte perpendicolari a volte orizzontali; indicano quanto accade))7. Quindi, ben in vista su apposite torri delle città, stavano collocate due assi, capaci di ruotare intorno ad un ft.ùcro. Facendone variare l'inclinazione, si poteva trasmettere w1 preciso dispaccio. Che l'idea fosse ottima lo confem1erà il telegrafo ad aste di C'happe, che in iziò a collegare tutte le città francesi dal 17948• Va osservato che ali' epoca, per la maggiore lin1pidità dell'aria le assi, munite forse di banderuole, con il cielo di sfondo risultavano distinguibili fino a una decina di chilometri. Manovrandole indipendentemente l'una dall'altra, a scatti di 45°, fornivano una ventina di configurazioni una per ogni lettera dell'alfabeto. Una linea di oltre duecento chilometri richiedeva al massin1o una trentina di operatori, organico esiguo p er collegamenti vitaU come tra Rom a e le sue grandi b asi navali. Plausibile che proprio alla linea di Miseno fosse allacciata la Villa Jovis di T iberio a Capri. Stilla Colonna Traiana si scorge qualcosa che non potendosi interpretare in alcun altro modo deve riferirsi ad un telegrafo ottico siffatto.
; F. R VEGEZ!O, L:arte militare, lib. III, 5: "Aliquanti in ct1stellorum, aut urbium turribus appendunt trabes.· quibus aliquando erectù~ aliquando depositis indicant quae geruntu1'. " Per la verità che le telecomunicazioni costituissero rnùnvenzione di rivoluzionario interesse, lo percepì distintamente anche Leonardo, che inunaginò ed esaltò, un dispositivo di trasmissione a tubo sotterraneo con relè umani. Così in merito nel cod. B, f 23 c del 1489: "Puossi/are 8
in ciento miglia ciento case, ne le quali stia cento guardie che !faranno per sotterranei condotti, sentire una novella in quarto d'ora ... " Quanto al telegrafo di Chappe, detto anche telegrafo a semaforo, compa1ve nel 1793, e fu adottato a partire dal 1840 per trasmettere le segnalazioni ferroviarie, restando in servizio, in quel contesto, fino ai giorni nostri. In merito cfr. T. K. D ERRY, T. I. Wn.,uAMS, Tecnologia e civiltà ocadentaLe, Torino 1968, pp. 438-39. Sappiamo, tuttavia, che già nella seconda metà del XVIl secolo i fisici Schott e Becber, idearono un sistema di trasmissione che impiegava dei corpi opachi di giorno e dei fari di notte, facendone variare la posizione in funzione deUe lettere. Merito del Chappe, un ecclesiastico francese (1763 -1806), fu pertanto quello di aver introdotto in un sistema già noto l'utilizzo del cannocchiale.
1i alto, a destra: telegrafo ad aste su torre, Colonna Traiana, Roma. A fianco: una stazione del telegrafo ottico di Chappe. Nella pagina a fianco: ricostruzione virtuale del telegrafo ad aste di epo-
ca romana. o 60
79 D.C. ROTTA SU PùMPl.' I
Telegrafo ad acqua Il telegrafo a dispaccio fisso, o ad acqua, stando a Polibio, (X.44), fu inventato da Enea il Tattico intorno al IV secolo a.C. I.:apparecchio da lui tramandatoci era estremamente semplice e del tutto uguale per la trasmissione e la ricezione. Consisteva in un contenitore cilindrico di discreta capacità munito alla base cli un rubinetto ed, all'interno, cli un galleggiante con asta graduata9. Ad ogni sua tacca corrispondeva un p reciso messaggio convenzionale e predefinito, per cui disponendo due apparecchi distanti fra loro anche una sessantina cli chilometri bastava sincronizzarne la simultanea apertura dei rubinetti con ~n lampo cli luce, magari riflessa da un grande specchio, per avviare la trasmissione. Il livello dell'acqua contemporaneament~ scendeva in entrambi i contenitori e allorquando, in quello fungente da trasnuttente, raggiungeva la tacca del messaggio prescelto, un secondo lampo ordinava la duusura dei rubinetti. A quel punto suUe due aste si leggeva la medesima cifra ~. perciò il medesimo testo. Così per esempio, volendone rievocare praticamente l'uso, supponiamo un vaso cli 30 cm di diametro per 100 cli altezza, suddiviso in 10 tacc~e, una ogni 10 cm, delle quali le prime quattro, siano associate ai seguenti dispacci:
l Il III
IV
NULLA QUESTIO AU>-.1LIA NAVALIA .i'vlrLITES DEFICIUNT NON HABEMUS PANEM
Con un rubinetto da 101/nun il passaggio di ciascuna tacca richiede circa 80 secondi, 12 minuti per l'ultima. Sicché, per trasmettere "III .i'vlrLITES DEFICIUNT", occorrevano appena 4-5 minuti! In particolare l'apparecchio descritto da Enea il Tattico, vissuto ai tempi di Alessandro il Grande, implica, inconsapevohnente il principio della trasmissione sincrona. Per quanto è dato conoscere sembra che fosse stato inventato dai Cartagmesi e conosciuto da Polibio. Si sa ancora che l'apparecchio fu perfezionato da Elexeonte e Demolite, ingegneri di Filippo Ill il Macedone (morto nel.317 a.C.), che idearono la trasmissione, per mezzo di fuochi, di lettere dell'alfabeto anziché di frasi prestabilite. Sistema che fu in seguito tÙteriormente perfezionato da Polibio (205-120 a.C.).U sistema, tuttavia, risultava troppo lento per trovare concreta applicazione, per cui sembra che se ne escogitò una variante, ottenuta dalla integrazione di entrambi. Cfr. A.A. Vv., Le trasmissioni... , cit., pp. 10-11. 9
In alto, a destra: ricostruzione dell'utilz'zzo del telegrafo ad acqua. Dal Museo OTE. A fianco: modello del telegrafo ad acqua descritto da Enea il Ta.ttico, custodito presso il Museo Storico delle Comunicazioni. Nella pagina a fianco: ricostruzione virtuale del telegrafo ad acqua di Enea il Tattico,
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Posta aerea Le navi militari quotidianamente comunicavano alla base la situazione, awalendosi di colombi che trasportavano in razionali colombaie portatili, e che le prime nell'antichità fossero sistematicamente dotate di torri colombaie lo conferma, tra l'altro, la p ermanenza di tale designazione per costruzioni particolarmente antiche, quali per tutte quella di Trapani, detta appunto la Colombaia 10• AIJa velocità media di una sessantina di km/h, il mite volatile è capace di percorrere in una giornata anche 1000 km, orientandosi perfettamente in modo da rientrare alla sua abituale colombaia. Nei paraggi di P ompei sono affiorate varie piastre di terracotta di tali colombaie mobili, verosimilmente usate anche dai privati. Va ricordato che l'impiego dei colombi in ambito militare ha toccato il suo apice nelle prima e nella seconda guerra mondiale, per cui fino a pochi decenni or sono occorreva un apposito permesso per allevarli! Al riguardo cfr. F Russo, La difesa costiera del regno di Sicilia dal XVI al XIX secolo, Roma 1994, voi.II, pp. 340. Così dal manoscritto del Villabianca della fine del XVTII secolo: "Torre fortezza sopra una isolella o più tosto scoglio che stà sulla bocca del Porto di Trapani pel mezzo di ella è di di fabbrico ottangolare rotondo e di tonta antichità ricolma quanto che credesi struttura de lontani Trjani venuti con Enea in Sicilia. Altri però la vogliono edificata da Cartaginesi... " 10
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Sopra: reperto di colombaia militare portatile di epoca romana, Pompei. Sotto: la torre Colombaia, Trapani. Nella pagina a fianco: ricostruzione virtuale di una colombaia portotlte
di epoca romana e ricostruzione di un modello della I Guerra Mondiale.
Riscontri indiretti Oltre alle torrette semaforiche sulla Colonna Traiana ed alla testimonianza di Plinio, vi sono proprio all'interno del golfo di Napoli delle strane allusioni toponomastiche alle stesse: che siano una confeima esplicita è forse eccessivo, ma che siano in qualche modo connesse con la questione appare verosinule. Una di queste, potrebbe ravvisarsi nella curiosa vicenda del nome della città del corallo. Ubicata alle falde del Vesuvio, quasi di fron te a Capri, tra Ercolano e Pompei, Torre del Greco fu più volte devastata dalla lava. Ma, per la salubrità dell'aria e 1a fei.tilità del suolo, venne sempre riedificata nel medesimo luogo, recuperando quanto risparmiato dalla furia del vulcano. Non ultimo Io stesso terreno che, estratto da sotto la coltre rocciosa, ancora calda, si spargeva al di sopra per ripristinare le coltivazioni. Calzante, pertanto, il suo motto che recita Post Fata Resurgo, come del resto l'emblema, una torre, dal momento che proprio ad una tunù fanno concordemente riferin1ento le prime menzioni storiche. La più antica citazione relativa ad LU1 abitato sito nel luogo rimonta al 1018. Si tratta di una pei.·gan1ena che così tramanda: "quella turre che si dice da octa-ba... "11• Circa un secolo dopo, per l'esattezza nel 1129, in un secondo documento si legge tum's de octavo12 ed in w1 altro nel 1267 Torre de Octaval 3 , come pure 11
Da E. DE GAeTANO, Torre de! Greco nella tradizione e nella storia. Le antiche denominc1zioni di '.forre del Greco, Torre del Greco 1978, p. 157. 12 Da B. C APASSO, lvlonumenta ad neapolitani ducatus historiam pertinentia, Napoli 1881, voi.Il, parte II, p.159. JJ De Gaecano riprese la citazione da D. A. Ci-nARITO, Commento istorico critico dzi1lomatico sulla costituzione de istrumentis confaciendts per curia/es dell'imperador Federico 11, Napoli 1782, p. 139.
nel 1324 Turrzs oclave ed infine nel 1390 Turrzs Octavael 4 • Nell'arco di quasi quattro secoli la definizione del toponimo scade da nominale a numerale, quasi che dissoltasi il riferimento storico lo si sia sostituito con uno tecnico assonante. Pertanto si volle ravvisare la spiegaiione nell'ottava torre costiera da Napoli, o in una torre, sempre costiera, ma sita all'ottavo miglio da Napoli. Dal momento che le prime torri vennero erette in epoca angioina, dopo il 1284 15, e che furono designate con un preciso nome e mai con un numero progressivo, come avverrà con le vicereali rinascimentali'6, non ve ne fu mai alcuna detta Ottava perché tale o perché all'ottavo mig]jo! Tralasciando rinvii ad improbabili torri alto-medievali, la definizione della torre è un genitivo di proprietà o di appartenenza. La torre, cioè, sarebbe stata di un O ttavio, o per meglio dire di un Ottaviano. Non risapendosi di torri edificate in zona prima del XIII secolo, quella in questione dovrebbe perciò ascriversi all'ambito della famiglia imperiale. Ad una identica conclusione, per tutt'altra via, giunse pure il noto storico locale, Vincenzo Di Donna 17• A suo parere la famosa torre, o torretta che fosse, altro non fu che una pertinenza di un lussuoso edificio romano: una grande villa, forse blandamente fortifica ta, impiantata sulla sommità dell'altura a picco sul porticciolo della città, laddove al presente si erge il palazzo baronale, già castello. Anche un altro celebre storico locale, Camilla Balzano, pervenne ad una similare supposizione: per lui la turrù, però, fu soltanto una modesta fortificazione fatta erigere o dall'imperatore Ottaviano o dalla sua famiglia. Entrambe le supposizioni, concludono altri studiosi, sebbene non in contrasto fra loro, potrebbero però collimare perfettamente: "nel caso che la 'torre'... [fosse stata] /atta costruire da Ottaviano non già per difendere il 14
Da E. DE GAETANO, Torre del Greco ..., cit., p. 158. 15 Cfr. L. S,\NTORO, Castelli angioini e aragonesi nel regno di Napoli, Segrate 1982, pp. 9.3 - 95. 16 Cfr. F. Russo, Le torri anticorsare vicereali, Picdimonte Matese 2001, pp. 97 e sgg.; Torri Costiere. La fron-
tiera marittima del regno di Napoli contro i Pirati; Napoli 2009. 17 Cfr. V D1 DoNNA, Vocabolarietto delle denominazioni locali di Torre de! Greco, Torre del Greco 1925, p.66. A fianco: Il Costello Baronale di1òrre del Greco e Copn; Leonardo Ma:a.a, 1928.
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79 D. C. RO T TA SU POM l' hl
litorale, ma per suo uso famigliare ... "18 . Ma di quale torre difensiva avrebbe avuto bi.sogno Ottaviano Augusto al centro del golfo di Napoli, a ridosso dalla grande base di Miseno? Dal canto suo il Reddé ricorda lungo le coste britanniche delle torri costiere, il cui impiego: "e non della. flotta, costituùce un espediente cla.ssù.;o: Plinio le ricorda nella guerra d'Annibale; Cicerone in quella della Sicilia di Verre; Appiano nella lotta di Ottaviano contro Pompeo, nell'Italia del sud. Le torri permettevano mediante la trasmissione dei segnali di/umo d'avvertire le /orze terrestri, di/antena o di cavalleria, d'interdire gli sbarchi nemici o, per lo meno, di limitarne i danni. La tattica è più conveniente dell'impiego di' un flotta, che non può essere lasciata perennemente sul mare... Il vecchio impiego delle torri costiere, lo si vede, non era pertanto caduto in disuso sotto l'Impero, malgrado la superiorità della flotta romana nelle acque britanniche" 19. Nella citazione appare chiaro che le torri assolvevano, anche e soprattutto, al ruolo di stazioni semaforiche. Nonostante ciò, molti studiosi locali restano del parere che il toponimo turrù non si possa prescindere da una remoCfr. C. BALZANO, Torre del Greco nei ricordi classici, Torre del Greco 193 7, pp. 157-158. La citazione è tratta da E. D E GAETANO, 'forre del Greco ... , cit., p. 183. 19 Da M. REDDÉ, Mare nostrtmz ... , cit. p. 424. 18
In alto: ruderi di una villa romana, in località Ponte di Rivieccio, in un dipinto di M. Asciane del 1914.
ta fortificazione. Eppure, con lo stesso termine i Romani indicavano qualsiasi costruzione a prevalente sviluppo verticale, dalle colonne piezometriche ai fori. Ricordando le Turris Hannibalù della linea semaforica spagnola, quelle di. una linea fatta costruire per la vi.lla di Ottaviano a Capri sarebbero state definite Tu.rris Oc.tavianz; o turris octaviae riferendosi. all'intera famiglia. Torrette che sarebbero state impiantate sulle eminenze o sugli isolotti costieri, indipendentemente dalla loro proprietà, essendo necessarie al servizio di Stato. Probabile, allora, che una di quelle, gestita dal personale della marina ed ubicata in qualche tenuta patrizia, sarebbe stata designata come turris octaviae ad villa.m... se all'interno di una vi.lla rustica, o turrù octavzae ad praedium... se in podere agricolo, con l'aggiunta del nome del proprietario dell'una o deU.'altro, specificazione indispensabile per la sua identificazione topografica. Solo molto dopo l'abbandono, sarebbe divenuta una semplice tum's octavae! Ed è senza dubbio significativo constatare che una torre di epoca romana venne effettivamente scoperta, nel senso letterale della parola, rilevata e fotografata: stava prima della sua vandalica demolizione, a ridosso di una grandiosa villa marittima. Questa, le cui tùtime tracce ancora sono visibili a ridosso della spiaggia in località Ponte di Ri.vieccio, affiorò iJ.1 una campagna di scavo del XIX secolo, durante la quale vennero alla luce oltre a cospicue sue struttme anche accessori delle stesse, come i supporti bronzei figurati della balaustra, altan1ente significativi per la loro stretta affinità con quelli delle navi di NenlÌ.
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PARTE SECONDA - ASPET T I O PERATI V I D ELLA FLOTTA
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La villa, i cui ruderi si trovano attualmente in contrada Bassanc2°, toponimo che non ha alctma altra possibile spiegazione se non quella del suffisso ano che designava le antiche proprietà romane, sarebbe stata per facile deduzione, di un Basso: non però il poeta Cesio Basso, di scarsa potenzialità economica, ma di Sesto Lucilio Basso, che una lezione abbastanza confusa della prima lettera di Plinio il Giovane a Tacito, lascia supporre marito della nobildonna Rectina, alla cui drammatica richiesta di aiuto viene attribuita la missione di soccorso navale condotta da Plinio il Vecchio.
° Cfr. G. Rlccwmr, Diario del monte Vesuvio, Napoli 2010, vol. I. Circa le caratteristiche della villa, a lungo ritenuta erroneamente il rudere di una temrn-gim1asio sono interessami le ricerche condotte da M. PAGANO. 2
In alto a sinistra: ermelta bifronte, rinvenuta a Torre del Greco e custodita nel Museo Archeologico di Berlino.
In alto a destra: ennetta bifronte recuperata sulle navi di Caligola. A fianco: ricostnJzione slhemalica del montaggio su di una balaustra. o
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LA GRANDE VILLA ROMANA IN LOCALIT~ PONTE RIVIECCIO A TORRE DEL GRECO di Mario Pagano''
Contigua all'altra gigantesca villa marittima romana di contrada Sora, dalla quale era separata da uno dei tanti valloni percorsi da rivi stagionali nascenti dalle ripide pendici del Vesuvio, si trovava un'altra notevolissima villa, oggi visibile, dopo i lavori di scavo e di recupero del 1992 e 1994, solo in piccola parte, sia per l'erosione della costa, che per l'impossibilità di scavare la parte esistente al di là della ferrovia, cui in parte si sovrappone la colata lavica del 1805. L'estremità della villa era visibile nell'alta falesia costiera già nel Seicento, come testimonia la descrizione del Balzano. A differenza di villa Sora, dove l'inizio degli scavi risale già alla prima metà del Settecento, le prime scoperte avvennero solo al momento della costruzione della ferro via Napoli-Nocera-Salerno, nel 1841., quando furono rinvenuti alcune sculture decorative da giardino e una vasca di marmo !!,»... r ,#.uuuia.b con protome bacchica, e resti r~"'·~ · di strutture murarie decorate con affreschi, dei quali fu staccata e trasportata al Museo di Napoli una scena con un tripode presso il quale sta un giovane toro. Si scoprì anche l'estremità superiore della scala che scendeva alla terrazza inferiore, descritta da Carlo Bonucci
in una breve relazione. Il Soprintendente Francesco Maria Avellino, insigne studioso, che si recò sul posto, suppose che gli imponenti resti fossero riferibili alla villa, sita sul litorale ercolanese, che Seneca (de z"ra III 21) riferisce essere stata diroccata per ordine di Caligola in quanto vi era stata relegata la madre. Solo nel 1880-81 le esplorazioni ripresero in modo sistematico da parte del colonnello di artiglieria Giuseppe Novi, singolare figura di appassionato di archeologia e di tecnologia, amico del Fiorelli, che pubblicò due fondamentali relazioni corredate da piante e rilievi. Gli oggetti rinvenuti furono purtroppo donati o venduti, e sono dispersi in vari musei italiani e stranieri. Degli scavi del 1881 possediamo anche un giornale, redatto dal soprastante Carlo Fraja.
·.J(Jt4 •.
• Dirigente archeologo lvlIBAC, Sovrintendente Archeologo Perugia. Autore degli tùtimi scavi condotti in località Ponte di Rivieccio di Torre del Greco. A fianco: Torre del Greco, loc. Ponte di Rivieccio. Planilnetria degli scavi del Novi; 1898. lo
PAR l"E SECONDA - ASPETT J O PER,\TIVI !)E l.LA f- LOT fA
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Completano la documentazione una incisione in acciaio tratta da una foto, un acquerello di E nrico Taverna (1890) e un quadro ad olio del 1914 del pittore G. Ascione, conservato nel Municipio di Torre del Greco. Il corpo principale della villa, ancora quasi del tutto inesplorato, si estendeva sulla sommità della falesia e comprendeva, come si è visto, un giardino decorato da sculture (una colomba di bronzo, parte di un'altra scultura, fu rinvenuta in tempi recenti sulla spiaggia), una cisterna cui si sovrappose parzialmente nel II secolo d. C. il belvedere circolare di una nuova villa marittima, distrutto forse da un terremoto in età severiana, •., ... un ambiente termale e, soprattutto, un imponente belvedere turri forme a pianta rettangolare, dal quale la vista spaziava per tutto l'arco del golfo di Napoli. In una fase successiva al terremoto del 62 d.C. furono realizzate, rivestendo la falesia, con diverso orientamento, 4 successive terrazze sor-
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79 [) , C. RO I I A SU l'OM l'l ·. I
rette da solidi muri in reticolato. La larga terrazza prospiciente il mare, nella quale il Novi riconosceva uno stadio, era protetta verso mare da un basso muro in opera vinata articolato da nicchie alternatamente rettangolari e curve, ed era costituita da una massicciata di terra e cocci; la linea di costa, prima dell'eruzione, correva 4 m. più in basso, e quindi doveva estendersi davanti alla massicciata una più larga piattaforma costiera. Un tubo di piombo conduceva l'acqua in una delle nicchie. Verso monte si innalza un monumentale muro in reticolato, articolato da nicchie arc uate, altern atamente più grandi e più piccole. Il suo andamento a cremagliera serviva a meglio contrastare .la spinta del terreno retrostante. La terrazza sostenuta da questo muro, larga rn. 4,50 era pavimentata in cocciopesto, interamente rimosso daJ Novi. Nel riempimento sottostante, fra il pavimento e
In alto: località Ponte Rivieccio, oro demolito. Sotto: Torre del Greco, /oc. Ponte di Rivieccio. Pianta dell'esedra cù
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colare ciel II-III secolo d. C.(A) e della preesistente cisterna rettangolare (13). Disegno U. Pastore. Cfi'. per l'esedra circolare la pianta degli scavi del Nov1; margine destro, sotto !a f errovia.
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il banco di cenere pre-79 d.C., si rinvenne abbondantissimo materiale proveniente dalla demo.lizione di sontuose costruzioni: tela, frammenti di cornici di legno anche dipinto, tessere di mosaico, affreschi, grappe di bronzo e di ferro, tessere di mosaico di pasta vitrea, sectile marmoreo di vari colori, frammenti di cornicette e di lastre di rivestimento di marmo, calcinacci, tegole e coppi, legname, ceramica databile a partire dall'etĂ repubblicana. L'estremitĂ di questa terrazza si raccordava ad un corpo, probabilmente p iĂš antico e con diverso orientamento, sporgente verso il mare, cui si sovrappose dopo l'eruzione un serbatoio di mattoni, alimentato da un acquedotto e rivestito di spesso e durissimo cocciopesto, coperto a volta e che era accessibile attraverso una scaletta di discesa. La terrazza era dotata di una elegantissima e costosa balaust ra bronzea sostenuta da ermette bifronti decorate ad agemina, le cui basi modanate erano profondamente inserite col piombo nella pavimentazione. Questo tipo di balaustra trova stringenti confronti, ad esempio con quello della nave di Ca-
ligola recuperata nel lago di Nemi. La cronologia delle etmette bronzee e dei materiali del riempimento, la perfetta conservazione dello splendido e accurato intonaco bianco di rivestimento, la mancanza di qualsiasi traccia di interventi di riparazione successivi, fan no pensare che l'edificio doveva essere stato completato in una data assai prossima alla fa tale eru zione del 79 d.C. Il muro di fondo di questa prima terrazza, lunga almeno m. 41, 70 era articolato da nicchie rettangolari poco profonde. Dall'alto, una lunga scala scendeva a questa e alla sovrastante terrazza intermedia. Il prospetto a terrazze, di grande effetto scenografico, doveva essere spettacolare visto dal mare. In questa pagina: l'area archeologica in localitĂ Ponte di Rivieccio durante gli ultimi scavi e oggi.
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P;\RTE SECONDA - ,\ SPETTI Ol' icR,ITI V I DEL LA FLOT TA
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Sesto Luciolo Basso apparteneva alla gens Lucilia, una ricca famiglia patrizia di rango senatorio, di origine centro italica, che risulta attestata a Pompei, Ostia, Tivoli ed anche nell'Italia settentrionale. Alguanto movimentati gli ultimi anni della sua carriera: passato intorno al 69 durante l'anno dei quattro imperatori da Galba a Vitellio, fu da questi posto a capo delle flotte di Miseno e di Classe -praefectus classz's- riunendole di fatto ai suoi ordini, insediandosi forse proprio in quegli anni nella villa suddetta, appena ricostruita con straordinario sfarzo dopo il terremoto catastrofico del 62. Poco dopo abbandonò anche Vitellio per passare con Vespasiano, ottenendone la nomina a senatore e la conferma del grado 111a per la sola flotta orientale, la classz's Ravennatis, essendo posto a capo di quella di Miseno il fedele Gaio Plinio Secondo, suo parigrado ma di rango militare preminente. Basso di .lì a breve, lasciò la splendida villa e la moglie, essendo incaricato di domare gli ultimi focolai di resistenza in Giudea al comando della X Fretensis. E proprio durante l'epico assedio di Masada nel 73 perse la vita, sostituito da Lucio Flavio Silva Nonio Basso, forse un suo parente, che concluse la vicenda. La vedova, verosimilmente ancora giovane e ricchissima, non
dovette tardare molto a consolarsi, tanto più che il vicino collega del marito non dovette fargli mancare il suo conforto! Si sviluppò forse così quella famigliarità fra i due che giustificherà la tragica richiesta di soccorso della donna e, ancor di più l'impavido tentativo dell'uomo di s,ùvarla. In base a quanto ipotizzato, alquante torrette si sarebbero perciò susseguite da Miseno fino alla Punta della Campanella, separata da uno stretto braccio di mare da Capri. Di certo a concludere la linea, sulle propaggini di monte San Costanzo, avrebbe provveduto un grosso faro. Ed infatti, proprio lì:
"sulla spianata che si allarga al termine del sentiero, si notano chiaramente molti resti di strutture di età romana, pertinenti con ogni probabilità ad una villa che, data la posizione- la villa ]ovis di Capri è proprio di fronte- non possiamo non ritenere di proprietà imperiale, e forse sede di un distaccamento militare di servizio presso un faro per comunicazioni... "21 21
Da S. DE CARO, A.
GRECO,
Campania ... , cit., p. 106.
Sotto e nella pagina a fianco: Punta Campanella, Massa Lubrense, il sito dove sorgeva il faro romano ed i ruderi dello stesso.
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di approdare nel porto di Stabia per recare aiuto agli abitanti delle diverse città costiere minacciate dall'eruzione vesuviana, doveva essere derivata proprio dalla presenza nel porto di Stabiae di un distaccamento della flotta" 22 .
Ovviamente il telegrafo a dispaccio fisso non richiedeva l'impiego di tutte le suddette stazioni, per cui soltanto nelle torri dei porticcioli se ne disponeva. Rivestendo tra questi un ruolo preminente quello di Torre del Greco, ideale per la presenza di un'abbondante sorgente d'acqua dolce, ne risulta scontata la disponibilità. Del resto per moJri storici, proprio in virtù di ciò, si deve immaginare nei suoi paraggi Lma stazione dei classiari, i marinai della flotta militare, non lontano dalla descritta villa marittima, forse di proprietà di una certa Rectina, patrizia e latifondista romana, amica di Plinio il Vecchio. Quanto alla presenza dei classiari l'ipotesi non é affatto destituita di fondamento, poiché: "sebbene
quasi il 70% dei veterani e i classiari: a noi noti; siano attestati a Misenum, non mancano dalle fonti letterarie e da quelle epigrafiche testimonianze di stationes periferiche della flotta del Tirreno .. . Fra queste stationes di rifornimento e ricovero per i navigli della /lotta deve essere sicura·mente annoverata anche Stabiae con le sue strutture portuali. Già nel 1894 Otto Fiebige1~ in un suo studio sulle flotte romane in Italia, esaminando le basi nel Tirreno della flotta misenata, sostenne che Stabiae avesse ospitato nel suo porto uno di questi' approdi secondari; dove erano di stanza pochi marinai impiegati nel controllo dello scalo. Due anni dopo Vietar Chapot, nel suo lz'bro dedicato alla flotta di Miseno, riprendeva l'idea di un piccolo distaccamento della classis a Stabiae. Inoltre egli sosteneva che la decisione di Plinio ...
Dando per scontata la presenza di tali stazioni, per quanto in precedenza delineato~ la trasmissione di un qualsiasi loro dispaccio sarebbe stata immediatamente etichettata come proveniente dai Classiari Stabiae o dai Classiari Rectinae, precisandosi così il luogo di provenienza e non certo la dipendenza dell'impianto dalla cittadina o dalla matrona. Del resto la macchinosità delle trasmissioni lascia presumere che solo per motivi di effettiva necessità ed urgenza, le stazioni intermedie si collegassero direttamente con Nliseno, essendo più che sufficiente per il disbrigo delle mansioni correnti i soli.ti corrieri, per terra e per mare.
Praetoria Classis Misenensis Come in precedenza evidenziato, la flotta voluta da Augusto era in grado di colpire qualsiasi punto dell'impero in brevissimo tempo. In quanto tale potrebbe definirsi con terminologia moderna, una forza di proiezione rapida alla sua diretta dipendenza, criterio informatore che finì per trasformare la base di Miseno in una sorta di stato nello stato, con una giurisdizione del tutto autonoma. Una concezione di tipo feudale, rafforzata ulteriormente da ogni nuovo imperatore, al punto da condizionare il potere stesso di Roma. Ad esaltare tanta acritica fedeltà cooperavano astute e prodighe elargizioni agli uomini della flotta, non discriminati neppure socialmente dalla rigida distinzione che vigeva nelle legioni. Emblematica, al riguardo, la presenza nei ranghi della marina di ex schiavi di recentissima Da A. PARMA, Stabiae e la Classis Misenensis, in Stabiae 1749-1999, Atti del Convegno, p.185-188.
22
In alto: la presenza di acqua dolce nel porto di Torre del Greco è confermata dalla colonia di papere che vi prospera.
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affrancazione, e di liberti ai suoi massimi gradi, situazioni inconcepibili nell'esercito. Nonostante ciò, dal punto di vista amministrativo-militare sin quasi dalla ricostituzione di Agrippa, ogni nave, quale che fosse la sua importanza ed entità, venne equiparata ad una centuria dell'esercito e, per conseguenza, il suo comandante ad un centurione. Più complesse le distinzioni gerarchiche superiori: sappiamo, con sufficiente certezza, che a capo delle due flotte pretorie si trovavano due alti ufficiali appartenenti all'ordine equestre, con supremazia di quello di Miseno. Sappiamo pure che nel I sec. d.C. percepivano un compenso annuo di 100.000 sesterzi, raddoppiatosi nel secolo successivo, cifra rilevante ma non ingentissima. Più confusamente, da dopo la morte di Nerone, si è individuata la presenza di loro aiutanti, quali un sottoprefetto e di un praepositus reliquationi, verosimilmente un capo deposito, o capo della riserva. Altrettanto incerta la gerarchia appena inferiore: forse il navarco deve considerarsi un comandante
di divisione, mentre il comandante di unità, propriamente detto trierarco, un sorta di ufficiale inferiore. Quanto ai marinai, dopo l'epoca di Augusto: "erano in
maggioranza dei non-cittadini che ricevevano la qualità di Latini alla fine del periodo di servizio: prevalevano, ma di poco, i peregrini: su una minoranza di liberti e di uomini che avevano lo statuto di Egiziani~ un grado ancora inferiore nella scala dei valori antichi, prossimo al livello servile. In epoca flavia (69-96), tutti questi soldati possiedono i tria nomina e i 'dzz>lomi' concessi loro al momento del congedo conferùcono loro la qualità di Romani... "23 Per molti aspetti quella particolare diversificazione sociale era stata ereditata da un remoto passato. Nell'antichi23
Da M. REDDÉ, Mare Nostrum ... , cit., p . 129. Traduzione dell'A.
Sotto: Bireme romana in un bassorilievo conservato a Roma nei Musei Vaticani. La fanteria è schierata sul ponte.
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tà, infatti: "l'equipaggio di una nave da guerra era suddiviso in quattro categorie: gli ufficiali; i tecnici; i rematori e la fanteria marittima. A questo proposito non esistono grandi differenze fra la /lotta greca e quella romana, in qualunque momento delta loro storia. In una trireme ateniese il trierarco, che nella maggior parte dei casi aveva scarsa competenza sia nautica che militare, veniva assistito in mare da vari ufficiali dell'equipaggio che sorvegliavano il buon funzionamento del servizio... A questi ufficiali si aggiungevano dei tecnici; in vario numero a seconda dell'importanza della nave... Anche i fanti marittimi erano di numero variabile, ma soprattutto in funzione delle concezioni tattiche del momento... I} unica 1nodifica di rilievo introdotta dai romani si ebbe sotto l'Impero, quando alla organizzazione navale venne sovrapposta una struttura militare, per cui ogni equipaggio... costituì ormai una centuria, dotata di un suo proprio personale amministrativo... " 24 Circa i rematori le sole indicazioni attendibili di cui disponiamo sono che: "le bocche per i remi non si trovavano tutte alla stessa altezza e che, sernpre nell'equipaggio di una trireme, si distinguevano tre categorie di rematori: i tranili [del banco più elevato] gli zigiti e i talamili che sommati facevano circa 170 uomini... "25 Dal p unto di vista storico, tuttavia, si coglie una netta divergenza tra la concezione della marina da guerra greca e quella romana. Infatti: "mentre il greco per molto tempo aveva saputo prendere risolutamente il remo per difendere la patria, il cittadino romano, invece, tenderà sempre a mantenere come prerogativa il fatto di evitare il servizio sul mare, tranne che nelle file della fanteria marittima. Il suo legittimo posto era nella legione, e non quello di preda su una galera. Marinai e rematori quindi; al tempo della Repubblica, andavano reclutati tra gli elementi margz·nali della cittadinanza: a rigore i cittadini delle colonie marittime, più normalmente gli a/francati e soprattutto, in proporzione crescente, gli alleati- sia che servissero direttamente nella flotta romana o che dovessero fornire squadre ausiliarie. .. [e non di rado però si dovette] ricorrere agli schiavi. Iden tica situazione sotto l'Impero, almeno finché non venne promulgata la costituzione antonina nel 212, che estese assai il diritto di cittadinanza, privandolo del suo significato essenziale. È certo bene non esagerare il numero degli affran24
25
Da Y. GARLAN, Guerra e màetà nel mondo antico, Imola 1985, p. 203 . Da Y. GARLAN, Guerra ... , cit. , p. 194.
A fianco: diplomi di concedo dei legionari di Mùeno (sopra) e di Ravenna (sotto).
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cati che all'inizio del princzJJato entrarono nella marina romana, e non ammettervi la presenza degli schiavi... Nella scala dei valori militari e civici: fra il marinaio e il legionario vi era più che una differenza di grado: era una differenza di natura che faceva del primo un elemento accessorio e marginale della comunità in armi... "26 Innegabile, però, la grande cura riservata ag]j uomini della flo tta. Ad una più attenta analisi quelle concessioni, quelle tolleranze, quelle sommarie equiparazioni non possono non riconoscersi funzionali all'arma ed alla sua ottimizzazione operativa. La diversità etnica, infatti, vigente tra i marinai non solo era accettata ma veniva considerata molto favorevolmente, corrispondendo alle tan te provenienze geografiche altrettante differenti conoscenze nautiche di porti, scali, coste, fondaU, corsi d'acqua ecc. Quegli uomini raccolti e accolti da tutto il perimetro marittimo del Mediterraneo costituivano una sorta di cartografia vivente, un portolano empirico e dettagliato, un insieme di dati idrografici di ogni più sperduto angolo dello stesso bacino. In qualsiasi momento e per qualsiasi circostanza quelle competenze potevano tornare utili se non indispensabili, senza alcuna preclusione, diffidenza o limitazione. Costituivano pure, per le loro disparate provenienze, altrettante fonti di notizie, di relazioni umane, formando perciò un antesignano servizio di informazione a beneficio della marina e delle sue operazioni. La diversità divenne perciò un criterio quaUficante della marina imperiale, un valore aggiunto delle sue tradizionali peculiarità. Senza contare che quella sorta di crogiolo etnico permise di verificare tutti gli eventuali problemi derivanti dall'integrazione di popoli e tradizioni tanto diversi. Dallo studio delle lapidi sono infatti emersi i nomi e le origini di un gran numero di suoi marinai: africani, alessan drini, egiziani, corsi, frigi, cilici, dalmati ed ancora campani, sardi, pontici. In pratica, come accennato, da qualsiasi angolo del Mediterraneo provenivano gli equipaggi e gli ufficiali e forse anche le maestranze destinate alle costruzioni delle navi, dei loro armamenti e delle loro attrezzature. Da stime e ricerche attendibili sulla componente militare propriamente detta, almeno w1 terzo era originario dell'Africa, in particolare di Alessandria. Quanto ai tecnici, nella quasi totaUtà, provenivano dalla Grecia, ed a loro deve ascriversi l'altissimo livello tecnologico delle navi da guerra.
26
Da Y. Garlan, Guerra ..., cit., p. 205.
A fianco : stele funebre di Publio Longidieno /aber navalis, Ravenna Museo nazionale. )>
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I militi di Miseno Dal punto di vista squisitamente militare i soldati della flotta di Miseno erano i legionari della Prima Legio Auditrix, mentre quelli di Ravenna della Secunda Legio Auditrix. Questo almeno in fase prodromica poiché, trascorso poco tempo, ritroviamo quelle stesse unità dislocate altrove. Dai relativi stati di servizio, infatti, si ricava che la Legio I Adiutrix, fu istitu.ita da Nerone: "nel 68 d.C., trasformando in legionari i marinai della flotta di Miseno.
Durante l'anarchia degli anni 69-70 si dichiarò per S. Otone e per lui combatté e fu sconfitta a Bedriatico dalle forze di A .Vitellio. Inviata subito dopo in Spagna non esitò a dichiararsi per Vespasiano. Successivamente, in breve tempo, cambiò più volte la sede: nel 70 fu a Mogontiaticum (Magonza), mentre intorno all'85 venne destinala al Jrontè danubiano. Fu coz·nvolta nella sconfitta di Domiziano operata dai Dac( ma combatté poi contro lo stesso popolo nelle due guerre di Traiano: da questo imperatore ricevette l'epiteto di Pia Fidelis. Sempre per Traiano combatté probabilmente in oriente contro i Parti. Adriano la destinò alla provincia pannonica, con il castrum a Brigetio (Szony, Ungheria). Durante le guerre di Marco Aurelio combattè valorosamente, tanto da riconquistare nel 171 il Norico e la Rezia che erano cadute in mano ai Marcomanni. Si schierò con Settùnz'o Severo, fu in oriente con Caracalla, Alessandro Severo e Giordano III ed in Dacia con Massimino. Risultò fedele a Gallz'eno. Agli' inizi del III secolo era sempre stanziata nella Pannonia inferiore. In età dioclezianea formò una legione comitatense ed una limitanea ... " 27 Quanto alla Legio II Adiutrix sappiamo che nel: "70 d.C. il prefetto (ammiraglz'o) Sesto Licinio Basso, comandante della flotta di Ravenna, tradì la causa di A. Vùellio ed aderz' al partito di Vespasiano. Con i classiarii venne formata una legione che fu appunto chiamata Il Adiutrix. Venne immediatamente inviata alla frontiera renana, ove, agli ordini di Petilio Ceri'ale, combattè fino al 71 per reprimere la rivolta batava di Civile. Nello stesso periodo la legione ebbe l'appellativo di Pia Fidelis. Fu quindi stanziata in Britannia, con base forse a Lindum (Lincoln) e, dall'85, al confine danubiano, ove latrovz·amo presente, nella provinàa mesica, in epoca domizianea. Per Domiziano combatté su questo fronte contro Dacz; Serbi e Sarmati. Molto probabilmente partecipò anche alle 27
Da A. M.
L IBERATI,
F.
S1LVERIO,
guerre daciche di Traiano. Dagli inizi del II secolo pose il campo ad Aquincum (Budapest), che divenne la sua sede permanente. La sua storia successiva è segnata da un susseguirsi di campagne militari: durante il regno di Antonino Pio inviò reparti in Mauretania; con Marco Aurelio e Carczcolla combatté in oriente contro i Partz:· con Massimino contro i Dczci; durante l'impero di Giordano III si misurò con i Persiani; con i quali si era già battuta anche al tempo di Alessandro Severo. Claudio il Gotico le diede l'appellativo di Constans. La Notitia Dignitatum la indica ancora con base ad Aquincum, ma con numerosi· distaccamenti sparsi in tulta la provincia confinaria della Valeria (suddivisione dioclezianea ... della Pannonia inferiore)... Ancora in questo periodo si/armarono due legioni comitatensz: originate dalla Il Adiutrix: una in Pannonia ed una in Britannia" 28 • iR
Da A. M . LrnER,'I.TI, F. STLVEJUO, Legio ... , cit., p. 132.
Legzò ... , cit., p. 141.
A fianco: una pagina della Notitia Dignitatuin.
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Essendo impensabile che nel frattempo a Miseno ed a Ravenna la flotta non avesse più militi, si deve concludere che le unità suddette fossero avvicendate da altre in formazione di pari organici. Si spiegherebbe, così, il ruolo e l'esigenza della Scola annatorum, o Scola militum -il cui estremo e controverso retaggio toponomastico, già in precedenza evidenziato, è Minùcola- dove i futuri fanti di marina si addestravano al combattimento navale. Il rapporto fra questi soldati è l'Imperatore, al pari di quanto osservato per i marinai, era di gran lunga più stretto e fidato di quello tradizionale di qualsiasi altra grande unità dell'esercito. Ad accentuarlo ulteriormente contribuiva la stretta adiacenza tra la base navale ed il palazzo imperiale. Il grandioso edificio, distante appena 3 chilometri dalla base, si estendeva da Baia a Lucrino ed ospitò, per tre secoli, gli imperatori durante lunghi periodi estivi. Con Nerone l'affiatamento e la complicità divennero ancora più stretti ed articolati, al punto che una parte della
fastosa dimora venne destinata agli ufficiali ed ai soldati della flotta. In seguito, lo stesso imperatore si fece carico di costruire, e sempre per i militi di Miseno, un singolare complesso, un antesignano centro svaghi, ricordato col termine greco Ebeterion, e quindi un Odeion, dove si tenevano spettacoli di canto di danza e di recitazione. Fatti segno di tanta benevolenza, sia pure non disinteressata, gli uomini della flotta, militi e marinai, manifestavano a loro volta un attaccamento quasi fanatico alla persona dell'imperatore. Si trattava, per la verità, di un attaccamento certamente interessato, ma non per questo meno efficace agli effetti concreti. Nessuna meraviglia, quindi, che a Miseno e nelle altre cittadine del golfo di Napoli, tra le quali soprattutto Ercolano, il culto della persona dell'imperatore come vera divinità venisse vistosamente praticato già nel corso delle sua vita terrena, a differenza di qualsiasi altra Sotto: Jan Styka, Nerone a Baia, 1900 ca. Sullo sfondo il Vesuvio.
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parte dell'Impero ad eccezione, forse, delle province d'Oriente. Allo scopo provvedeva un apposito collegio sacerdotale, detto appunto degli Augusta/es, dei quali è stata rinvenuta la sede del collegio di Miseno con un annesso sacello, tra punta Sterpareila e punta Terone. Quale fosse l'esatta connotazione di tale istituzione è difficile accertarlo con esattezza, ma è per lo meno significativo che molte notizie in merito sono state ricavate dal Satyn·con di Petronio. Il suo protagonista, Trimalchione, viene descritto, infatti, come uno dei massimi esponenti del collegio. Lecito dedurne, allora, quali req uisiti fon damentali per l'appartenenza, una vistosa ascesa economica e sociale, tipica dei mercanti e dei trafficanti che m ogni tempi p roprio dal mare e dalle navi hanno tratto la loro fortu na.
Onorificenze e ricompense militari romane Una società ed una economia tanto dinamica fu rono, per molti aspetti, il risultato del criterio informatore della stessa base navale, almeno di quella voluta da Augusto e realizzata da Agrippa. E che il secondo avesse tradotto in pratica, scrupolosamente, i desideri del primo lo conferma il suo significativo mserimento nella stessa famiglia imperiale. Augusto, mfatti, voile che Agrippa sposasse m terze nozze sua fi glia Giulia, fondendo i loro destini. Quel ma-
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trimonio fu, senza dubbio, la massima attestazione di stima e di gratitudine delle innumerevoli di cui il fondatore deUa marina imperiale s.i vide insignito. D ifficile anche volerne sommariamente delineare l'entità: è sufficiente ricordare che il drappo a:aurro , forse u no stendardo blu scuro, donatogli da Augusto come pegno di gratitudine per la vittoria nelle acque di Azio, da quel momento divenne il distintivo degli ammiragli in comando in quasi tutte le marine militari del mondo. Persino più prestigiosa l'altra altissima onorificenza, ricevuta poch.i anni prima, per l'esattezza nel 36 a.C., dopo la vittoriosa conclusione della guerra Sicula: la corona navale. In pratica una sorta di diadema aureo ornato con la riproduzione dei rostri delle navi da guerra, onorificenza che soltanto Caio Attilio nelle prima guerra pu nica e Marco Varrone contro i pirati fino ad allora avevano ricevuta, e pochi altri ancora riceveranno nei secoli successivi dell'Impero. Per comprendere a pieno il valore di quelle ricompense, però, bisogna ricordare che Augusto, come anche i suoi successori: "per motivi di opportunità, non amava eccedere nella concessione delle onorificenze militari. «Come ricompense militari dava più facilmente falere e coUane e oggetti d'oro o d'argento che non corone castrensi o murali, che erano onore assai più segnalato; queste eran da lui conferite con la più grande parsimonia ...» 29 Inoltre: "«gli attribuì la corona rostrata ... perché aveva vinto la battaglia navale ...» di Nau-
loco, assicurandogli nel contempo la facoltà clifregzarsene permanentemente nelle occasioni ufficiali: «affinché egli potesse ornarsi di questo trofeo per Ja vittoria navale tutte le volte che i trionfatori portano la corona d'alloro, fece confermare in seguito questa sua volontà con un decreto» del Senato"30. Per approfondimenti al riguardo cfr. D. CARRO, Classica ... , cit., voi. VIll, pp. 202-03 . 30 Da D. CARRO, Classica ... , cit., vol.VIII, pp. 138-40. 29
In alto: ruderi del sacello degli Augustali a Baia. Nella pagina a fianco: bassorilievo di epoca romana imperiale raffigu-
rante le varie onoreficenze militari.
decorato per il suo coraggio (ob virtutes [sic]) di falere, di collari e di braccialetti» (si chiamavano falere delle placche abbastanza simili alte nostre medaglie moderne). Inoltre, i semplici soldati non possono ottenere... che le tre ricompense elencate nell'iscrizione appena citata... In via eccezionale, potevano ottenere delle distinzioni riservate in linea di principio a personaggi di rango più alto, delle corone.. . Gli u//icialz~ invece, non sono normalmente ricompensati per il loro coraggio, ma semplicemente per la loro partecipazione alla campagna (anche le guerre civili permettono loro, almeno in certi casi, di ottenere delle decorazioni). Essi hanno diritto a corone, a lance pure e a stendardi di cavalleria il cui numero, mai /issato rigidamente, varia essenzialmente in funzione di tre criteri. Prima di tutto si tiene conto del posto del beneficiario nella gerarchia: più è in alto per rango, più onori otterrà. Poi; sembra si possano distinguere due livelli~ per ogni grado, e qui conta probabilmente il merito personale. Infine bisogna stabdire delle distinzioni cronologiche, poiché alcuni imperatori; come Traiano, erano più generosi di altri; come Marco Aurelio"31.
Per concludere con le onorificenze militari va ancora precisato che non venivano concesse indiscriminatamente ai militari, distintisi in azioni particolarmente brillanti od eroiche. Tutti gli imperatori, perfettamente consapevoli della rilevante differenza che esisteva tra una ricompensa al valore ed una di puro omaggio alla fedeltà o alla nobiltà, non confusero mai le due categorie. Pertanto: "le decorazioni
presentano una grande varietà. La distinzione fondamentale contrappone quelle assegnate a militari non graduc1ti e quelle destinate agli ufficiali. Le prime, in effetti~ sono normalmente accordate solo come ricompensa per un'impresa particolare (ob virtutem), come ricorda un'iscrizione trovata nei pressi di Torino e incisa in onore di· «Lucio Celio, figlio di Quinto,
In ultima analisi si può ritenere che mentre le onorificenze fossero simili alle nostre decorazioni al valore, ed in quanto tali premiavano chi si era distinto sul campo di battaglia, le ricompense fos sero, invece, delle mere testimonianze di servizio un po' come gli attuali nastrini da apporre sull'uniforme. Sebbene entrambe apprezzate ed ambite, soltanto le prime notificavano un comportamento militare eroico,
Da Y. L E BOT-TEC, J.; esercito romano. Le armi imperiali da Augusto alta fine del terzo secolo, Urbino 2001, p. 80. 31
In alto: rilievo del monumento funebre del centurione lvJarcus Caelius. Ben evidenti le onoreficenze militari, phalerae, disposte sulla corazza. Nella pagina a fianco: phalerae di epoca romana imperiale.
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suscitando stima ed ammirazione. Sappiamo, infatti, che alcuni imperatori che ne vennero insigniti, con quanto merito è difficile accertare, giunsero a farle riprodurre sui loro palazzi residenziali! Ben diverse le seconde, prive di implicito valore militare ma per contro ricche di valore venale, trattandosi in genere di pesanti monili d'oro e d'argento. Piastre d'oro, armille d'oro e catene d'oro, di peso e rilevanza variabili testimoniavano la generosità del relativo in1peratore e l'importanza sociale dell'insignito. Questi, ovviamente, le sfoggiava nelle cerimonie ufficiali nonché in circostanze particolari, quando doveva ostentare tutto il suo potere. Va, infine, ricordato che proprio per essere ricompense di valore economico proporzionale al rango e al grado dell'insignito finirono per sottolinearlo o, addirittura, per indicarlo. Pertanto, vanità ai nostri occhi ridicola, gli altissimi ufficiali in grande uniforme sarebbero apparsi con intorno al collo più giri di pesanti catene d'oro e con bracciali a forma di serpenti, sempre d'oro, avvolti in più spire intorno ai polsi. Quanto agli anelli, almeno ufficialmente, quelli d'oro, abbastanza pesanti e vistosi, costituivano una prerogativa, quasi un segno di esclusiva distinzione, della classe equestre! Una tale abbondanza di monili d'oro, a quànti non avessero din1estichezza con siffatte decorazioni ~d o~orificenze, avrebbe fatto somigliare i vertici militari, spesso depilati e imbellettati, a buffe soubrette d' avanspettacolo, giudizio quanto mai errato e superficiale! Del resto è probabile che proprio da quelle auree spire ai polsi derivino le odierne fettucce dorate sulle maniche delle uniformi, come già dalle catene i tanti collari degli ordini cavallereschi, per non parlare degli anelli, tipici di alcune prestigiose accademie militari! ....
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che ma, persino, da un preciso percorso gerarchico. Non a caso è stato stigmatizzato che troppe: "volte si è detto che il
Sebbene presso i Romani ctùtura ed attività militare non furono mai inconciliabili, ritrovare un naturalista quale Plinio il Vecchio al comando della flotta di Miseno suscita qualche perplessità sulla sensatezza della collocazione. Nella fattispecie si trattò di una scelta puramente occasionale ed accidentale o non piuttosto del vertice di una prassi consolidata? Le sfaccettate conoscenze di Plinio vanno considerate un valore aggiunto alle competenze indispensabili per l'alto incarico o non piuttosto una fortuita coincidenza, bastando una preparazione di gran lunga minore? Plinio v_a riguardato come un ufficiale di vasta cultura scientifica o invece come un intellettuale con discrete competenze militari, temporaneamente incaricato di dirigere la flotta? Osservando, per inciso, che lo stesso Agrippa dimostrò di possedere una indubbia competenza geografica, la questione può generalizzarsi in un preciso quesito: l'accesso agli alti comandi della marina imperiale implicava una discreta preparazione culturale, naturalistica, geografica e fisica, o per i casi in questione si trattò di mere coincidenze? In prima approssimazione la risposta sembrerebbe ovvia e scontata, risapendosi che la carriera della dirigenza militare romana era, tradizionalmente, una vicenda politica del tutto avulsa non solo dalle effettive competenze tecni-
valore dell'esercito romano poggiava sull'efjì'c:acia dei soldati e dei centurzònz~ una qualz'tà spesso esaltata in contrapposizione alla mediocrità dei quadri superiori, che sarebbero stati invece dei dilettanti incompetenti: le vittorie sarebbero state conseguite dalla truppa, in un certo senso nonostante la presenza dei superiori. È un cliché, questo, che va respinto. Ogni figlio di senatore o cavaliere possedeva nella sua biblioteca trattati consacrati alt'arte della guerra, e si dedicava regolarmente alt'esercizio.. . Siccome la tecnica militare del tempo non presentava una complessità eccessiva, poche settimane di tirocinio nel c01nando effettivo bastavano per assimilare l'essenziale ..."32
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Il ragionamento, senza dubbio ineccepibile per l'esercito, non è altrettanto valido per la marina. Questa, infatti, essendo un'arma basata su mezzi capaci di spostarsi a '
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Da Y. LE Bo1-rEc, !;esercito romano... ,cit. , p. 50.
In basso a sinistra: gemma della collezione Cades con profilo di Plinio. Sotto: busto di Agnppa, 24-25 a.C., da Gabù; Roma.
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lungo raggio, di per sé complessi e delicati, destinati per giunta ad operare e combattere in un ambiente difficile, implicava conoscenze esulanti dalle normali discipline formative. È certamente emblematico che Marco Agrippa progettò, o comunque approvò il progetto, del più grande edificio voltato della storia e redasse la prima carta geografica dell'Impero scientificamente levata. Come pure inventò una nuova arma, l' atpax, una sorta di grande fiocina per catturare le navi nemiche e trascinarle fino alla distanza utile per abbordarle. In ogni caso competenze tecniche variegate e diversificate indispensabili per comprendere costruzioni ed armamenti come pure viaggi e navigazioni. Sotto: panoramica esterna del Pantheon, Roma. A fianco: scorcio interno delta cupola del Pantheon. Nelle pagine successive: la Tavola Peutingeriana, copia del XII-XII sec. basata sulla mappa del mondo realizzata da Agrippa.
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Al di là dell'apparenza, tra la concezione architettonica del Pantheon, quella topografica della grande carta e quella balistica dell'a17;ax non sussistono inconciliabili competenze: tutte le realizzazioni possono riguardarsi come w1a sfida tecnica correttamente impostata e perciò validamente superata. Una testimonianza esplicita della medesima mentalità razionale, quella che sarà precipua, molti secoli dopo, degli ingegneri. Comandare, magari in subordine, una legione nei prin1i secoli dell'età imperiale, un'unità cioè sostanzialmente sedentaria nei suoi confortevoli ed immensi accampamenti, richiedeva, a tempo pieno, delle capacità amministrative e politiche e solo sporadicamente militari, peraltro di tipo tattico. Tanto le prime quanto le seconde rientravano nella tipica cultura e nella quotidiana prassi di ogni romano di buona famiglia. Amministrare un latifondo, od una grande azienda agricola a conduzione servile3', evitando sprechi di risorse e di mano d'opera, era un impegno frequente e non molto dissimile dalla gestione di un campo legionario. 33 In merito, per ulteriori ragguagli dr. V. I. Kuz1sC1N, La grande proprietà agraria nell'Italia romana, Roma ·'1.984, pp. 80- 142
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Discorso molto diverso per dirigere operazioni navali o impianti della marina, attività che in1plicavano al di là di una vasta preparazione specifica anche delle assodate competenze tecniche, ricavabili esclusivamente dal tirocinio in mare. Tratteggiando, sia pure per sommi capi, i diversi sistemi di telecomunicazioni impiegati dai Romani in generale e dalla loro marina da guerra in particolare, è iniziata ad emergere la rilevanza del supporto tecnologico utilizzato dall'arma. Sotto questo aspetto, sensibilmente superiore a quello già avanzato dell'esercito, la marina si collocava all'avanguardia. Anzi a voler essere più espliciti, fu proprio per funzionare nel 'suo ambito, che molti congegni dell'antichità vennero elaborati, perfezionati ed ottimizzati. Pertanto, pur ammettendo per assurdo la sufficienza di una tradizionale preparazione militare, per comandare la prin1a flotta imperiale, anche soltanto Sotto: h'iremi davanti all'imboccatura di un porto con molo a ponte, torri e palazzi (particolare). Dal Tempio di Iside a Pompei, ora nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. 8527). Nella pagina a fianco: ricostruzione delt'a17,ax e della balista utilizzata per il suo lancio dalla prua delle navi militari.
politicamente, un personaggio onesto come Plinio doveva, in qualche modo, anche sentirsene all'altezza. Un uomo di cultura, uno studioso ponderato, un ufficiale responsabile della sua levatura, solo facendosi immediatamente carico di acquisire le necessarie competenze tecniche per ottemperare adeguatamente all'incarico, lo avrebbe concretamente assunto! In tale verosimile caso, nel giro di qualche anno sarebbe stato non solo in grado di comprendere l'intero comparto ma anche di migliorarlo e razionalizzarlo, padroneggiando pienamente l'arma e le sue potenzialità. Del resto per quale altra ragione si sarebbe dovuto vedere spessissimo, quasi quotidianamente, con l'imperatore non essendoci alcuna campagna navale in corso? Augusto nel 5 d.C. si vantò che la sua: ''flotta [«dassis mea»J navigò [«navigavib>] per l'Oceano dalla. foce del Reno verso atiente fino ai territori dà Cimbr~ dove né per terra né per mare [«neque terra neque mari»] alcun Romano prima di allora si era mai spinto... "34. Come credere che per operare ai confini del mondo conosciuto non fosse tm titolo preferenziale disporre di conoscenze geografiche approfondite o almeno reputate tali ali'epoca? Come supporre che per ordinare ai cantieri nuove costruzioni navali fosse irrilevante una sperimentata competenza sulle essenze e sulle loro connotazioni ideali? Ritenere, pertanto, che la designazione di Plinio ,ù comando della flotta di Miseno, che giova sottolinearlo era la prima dell'Impero, costituisse una mera scelta opportunistica appare quanto meno riduttivo. Per meglio valutare la sensatezza di tale destinazione e la congruità della scelta, occorre tratteggiare sia pure per sommi capi i livelli tecnologici attinti dai mezzi della marina e la complessità dei loro armamenti, molti dei quali progettati, come accennato, per esclusivo impiego navale senza alcun equivalente terrestre. Digressione che ci consentirà di comprendere meglio il comportamento di Plinio e giudicarne le estreme decisioni operative.
tempo un supporto logistico ali' esercito, trasportando intere w1ità da un punto ali' altro del Mediterraneo. Prestazione che per conformazione anulare dell'Impero, intorno ad un mare chiuso tra le terre (medium terraneum), costituiva non solo la maniera più rapida di spostarsi ma, di gran lunga, .la più sicura e comoda. Non caso: "a proposito dei Romani si è
già osservato giustamente che «cercavano di domi'nare il mare mediante il controllo delle coste»; che «la loro politica navale mirava a evitare di averne una» e che raggiunsero il loro scopo «quando il Mediterraneo fu trasformato non in mare, ma in un lago romano»" 35 . Una possibile emergenza di dover affrontare all'improvviso una qualunque flotta nemica, non ebbe alcun credito per l'intera durata dell'Impero. Certamente i pirati disponevano di imbarcazioni, ma si trattava di battelli, relativamente piccoli, destinati ad operare insidiosamente per catturare inermi prede, e non certo per confrontarsi con unità da guerra. In generale va precisato che organizzare delle piccole flotte private, simili cioè ai tanti piccoli eserciti personali di cui molti latifondisti all'occorrenza disponevano armando i loro servi, si dimostrò sempre assurdo per una insormontabile ragione. Le navi da guerra, a differenza del naviglio mercantile, in fase di combattimento o di navigazione bellica erano propulse tassativamente a forza di remi, 35 Da Y. GARLAN, Guerra..., cit., p. 191. Circa la visione strategica sottesa all'impiego della marina da guerra in epoca imperiale cfr. RA. PRESTON, S. F. \XfrsE, Storia sociale de#a guerra, Verona 1973, pp. 61-62.
Sotto: bassorilievo Lenormant, raffigurante fiancata di triremi e dùposi-
zione remarori. 410 a. C., Acropoli di Atene. Nella pagina a fianco: la trireme Olympias, delta 1',Iarina Militare Greca. Costruita tra il 1985 e il 1987, rappresenta uno dei ra,i esempi di archeologia lperimentale in ambito navale.
Il motore della flotta: vogatori e remi La volontà di Ottaviano Augusto di dotare l'impero di una efficace marina da guerra, scaturiva dalla razionale comprensione del ruolo strategico del Mediterraneo. Come la diretta esperienza gli aveva perfettamente dimostrato, solo dopo essersene garantito l'assoluto controllo aveva potuto concretamente governare Roma. Ovvio, pertanto, che l'iniziativa fosse volta ad eliminare qualsiasi potenziale avversario stù mare, includendo nell'ambito anche la pirateria. La marina infatti, come già osservato, si prodigò per contrastare la criminalità navale organizzata, fornendo al con34
La citazione è tratta da D. CARRO, Classica ..., cir., vol. VIII, p. 242.
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riservando le vele quadre di cui disponevano alle crociere di trasferimento. Il disporre di un motore le affrancava dalla variabilità meteorologica rendendole, ah11eno sotto questo aspetto, molto simili alle attuali. Essendo evidente la proporzione diretta fra n umero di remi e velocità, a parità di altre condizioni, le unità da guerra ne impiegarono fino ad alcune centinaia. Essendo ,Ùtrettanto evidente che più uomini riuscivano a manovrare più celermente lo stesso remo, l'entità dei vogatori crebbe a dismisura. Pertanto, se la lunghezza della nave ristùtava funzione del numero dei banchi di voga, la larghezza dipendeva invece da guanti uomini sedevano sullo stesso banco. Discorso identic0, quando i banchi stavano disposti su più ordini sfalsati verticahnente. Ciascun banco implicava struttunùmente almeno un metro e mezzo di fiancata, per cui uno scafo di 45 m ne poteva contenere una trentina al massimo. A sua volta ogni vogatore richiedeva tmo spazio stÙ banéo di circa un metro, comprendendo anche gli inevitabili interstizi. Prendendo in esame la nave da guerra per antonomasia, la trireme con tre vogatori per remo o per tre d istinti remi più piccoli, disposti
Sopra: Due monete di epoca imperiale a soggetto navale. Sotto e nella pagina a fianco: mosaici raffiguranti delle triremi in na-
vigazione. Tunisia, I-II sec. d.C
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simmetricamente rispetto ali' asse longitudinale, richiedeva comunque una larghezza dello scafo di quasi 6 m. Poiché una corsia centrale era necessaria per il loro controllo, onde evitare di accrescere tùteriormente la dimensione, si collocarono gli ordini di voga superiori quasi fuori bordo, mediante una apposita struttura a sbalzo detta posticcio. In definitiva una' sola trireme richiedeva per la manovra dei suoi remi, ovvero come motore principale, ben 31 rematori nei banchi superiori e 27 per ciascuno dei due inferiori, logicamente per entrambe le fiancate: un totale, quindi, di 170 uomini! Nesstm ricco possidente poteva, pertanto, permettersi cli assoldare tanti vogatori per un impiego tanto saltuario. Anche disporre di tanti schiavi, idonei alla massacrante fatica, si dimostrava non solo improbo da attuare ma quasi in1possibile da gestire adeguatamente e custodire con sicurezza nelle lun-
ghe pause operative: In tal caso è facile immaginare, infatti, l'in1mensa compagine cli sorveglianti ed aguzzini che avrebbero richiesto. Pertanto armare una modestissin1a squadra navale cozzava contro difficoltà insormontabili, senza contare che non disponendo di porti e cli basi d'appoggio il suo eventuale raggio operativo si sarebbe dimostrato insignificante. Certamente esistevano in età imperiale grandi latifondi con migliaia di schiavi ma questi erano cli disparatissima connotazione fisica, competenza e dislocazione. In pratica mai se ne sarebbe potuto ricavare tm contingente fisicamente omogeneo e congruo alla voga, anche per poche unità. Logi.co concludere che nessun capitalista privato, nessun ricco possidente poteva pem1ettersi una sia pur minima flotta, dal momento che solo una istituzione statuale cli grande respiro poteva sopperire al relativo personale, evitando peraltro il ricorso agli schiavi.
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Distinzioni tipologiche e strutturali La flotta di Miseno era composta di circa un centinaio di unità, stando almeno a quanto si è riusciti a valutare dalle fon ti con un attento lavoro d'indagine 36. Le navi non erano, ovviamente, tutte identiche, come del resto non lo sono neppure oggi in una qualsiasi flotta, ma risultavano ampiamente differenziate in relazione all'impiego previsto. In linea di larga massima le navi più grandi erano, e peraltro sono ancora, le più potenti. In alcuni casi, tuttavia, le dimensioni minori derivavano dal[' esigenza di r idurre il rapporto peso-potenza a beneficio della velocità. Scopo e.be in particolari circostanze veniva pure perseguito raddoppiando gli uomini di ogni remo. Stando ai memorialisti coevi le unità romane da combattimento, e prima di loro quelle greche, si distinguevano in base agli ordini di remi, al loro numero ed a quello dei vogatori per ciascun remo. Le ultime due connotazioni, almeno fino ad un certo momento, possono ritenersi equivalenti. Alcune recenti ricerche hanno dimostrato che nell'età classica vigeva anche un sistema ibrido per cui, mentre il numero totale degli ordini di remi non superò mai il tre, gli uomini ad essi destinati arrivarono finanche a sedici, secondo particolari suddivisioni. Navi tanto leggere e sottili con tanti uomini ai remi, riuscivano a raggiungere velocità sorprendenti, che però potevano mantenere per pochissimi minuti. Studi accurati ed attendibili forniscono valori prossimi agli 11.5 nodi, pari a circa 21 km/h. Velocità che poteva, sia pur di poco, accrescersi ancora spalmando di grasso l'opera viva, in maniera da ridurne sensibilmente la resistenza idrodinamica, e forse utilizzando insieme le vele ed i remi. Essendo comunque la velocità funzione del numero dei vogatori, appare ovvio che la basilare suddivisione del naviglio militare derivasse dal loro numero e magari dalla loro distribuzione per ciascun remo, piuttosto che dagli ordini di remi. Tenendo conto di ciò è interessante osservare che così è stata ricostruita la suddivisione tipologica della flotta di Miseno ai giorni di Plinio. La flotta di Nliseno, per quanto è stato possibile dedurre dai riferimenti storici, contava almeno un centinaio di unità che andavano dalle liburne a due soli ordini di remi alle esaremi. Dopo una certosina ed analitica indagine sulle epigrafi e sulle fonti letterarie ed iconiche, di buona parte delle unità operative nel I secolo, si è individuato il nome e la classe3i. 36
Al riguardo cfr. D. CARRO, Classica ..., cic., voi. XI, pp. 191 e sgg. 37 Le indicazioni sulla tipologia e sui nomi delle unità romane sono state tratte da a G . RAcE, J..:Impero sommerso, Bacoli 1983.
Questo l'organigramma relativo:
CLASSE
CONSISTENZA
LIBURNE
11
TRIREMI
50
QUADRIREMI
8
PENTJ\REMT
1
ESAREMT
l
Fide.\ Vesta, lvf.inerva, Daàcus, Fortuna, Annona, Libertas, Olivus
Volendone precisare meglio la suddivisione tipologica, le
liburne, mosse da un duplice ordine di remi, erano le più leggere e semplici, una sorta di cacciatorpediniere dell'epoca, copiate da quelle usate dai Liburni, antica popolazione dell'Illiria, stanziata in origine lungo l'intera costa adriatica orientale, dedita con le sue sottile e veloci imbarcazioni alla pirateria. Per larga massima la liburna era lunga una trentina di metri circa e larga poco più di quattro, con un dislocaIn alto: epigrafe citante la trireme Fortuna. Museo Nazionale A rcheologico di Civitavecchia. Nella pagina a fianco: piani di costruzione di una triremi e disposizione dei rematori sulle varie unità.
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mento presunto di circa 150 t. Il suo equipaggio doveva aggirarsi intorno ai 170 uomini, dei quali 150 tra ufficiali evogatori ed i restanti soldati. Per quanto si è potuto calcolare la sua velocità doveva toccare i 10 nodi, se non di più, sia pure per pochi minuti, restando comunque la nave da guerra più rapida. Di esse a Miseno se ne sono individuate una dozzina. Quanto alle triremi, che costituivano il nerbo della flotta, derivavano la loro forma e struttura dai precedenti archetipi greci, appena snelliti ed alleggeriti. In pratica la nave misurava circa 40 m di lunghezza e 5.5 mdi larghezza, dimensioni sostanzialmente identiche a quelle delle galere di età moderna, a loro volta lunghe circa 50 me larghe 4.5 m. Il suo pescaggio era estremamente ridotto, forse di poco p[ù di un metro, all'incirca lo stesso valore dell'altezza della coperta sul galleggiamento. La sua dislocazione pertanto oscillava tra le 240 e le 250 tonnellate con un equipaggio di 230 uomini dei quali circa 170 addetti ai remi, una ventina tra ufficiali e marinai ed i restanti soldati. Al comando dell'unità stava un trierarca, grado correntemente equiparato a quello di centurione nelle legioni. Stando alla solita puntigliosa analisi delle fonti, il numero delle triremi della flotta di Miseno deve stimarsi compreso fra la sessantina ed il centinaio di unità. Venivano poi le quadriremi il cui mm1ero non doveva eccedere al massimo la dozzina, di cui otto sicuramente operative. Da un punto di vista strettamente strutturale non sappiamo con assoluta precisione come fossero disposti i rematori a bordo delle quadriremi romane, ma appare plausibile, come già delineato, che vi fossero soltanto due ordini di remi con due vogatori per remo. Rilevante perciò la potenza motrice disponibile e la maggiore stabilità derivante dal maggior peso e pescaggio. Caratteristiche che oltre a rendere la tipologia ideale come trasporto, l'avrebbero confermata come la più resistente in condizioni di mare perturbato. Navi quindi idonee a manovrare anche in circostanze critiche, quali ad esempio quelle di sbarco su coste nemiche o, al contrario, di evacuazione. Si spiegherebbe così il loro contenuto numero, appena una decina, a fronte delle oltre 50 triremi. Troppe poche se unità da battaglia maggiorate ma decisamente sufficienti come trasporti, dotate forse proprio perché tali di un discreto armamento balistico. Quanto all'unica quinqueremi, o pentaremi, ed ali'altrettanto unica esaremi vanno considerate delle unità di rappresentanza di scarsissimo impiego militare.
A fianco: ricostruzione di ltburna in navigazione.
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POMPF, I
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PARTE TERZA
L'AMMIRAGLIO GAIO PLINIO CECILIO SECONDO
Il militare e f intellettuale Da un punto di vista biografico, l'esistenza di Gaio Plinio Cecilio Secondo fino al giorno prima della sua morte, non tradisce alcunché di straordinario o di peculiare. Nulla, insomma, di diverso dalla tradizionale carriera di tanti suoi contemporanei di buona estrazione sociale e di discreta agiatezza familiare. Esattamente come per un gran numero di ufficiali superiori, anche per lui l'attività militare s'intrecciò inestricabilmente con quella di letterato. Le sue specifiche competenze tecniche di soldato si dovettero, in qualche modo, fondere con quelle più variegate di scienziato, nel significato classico deJla definizione. Ne scaturì un uomo coraggioso, metodico e forse pure pedante, ma divorato dalla curiosità per ogni singolarità della natura e spinto dail' esigenza di fornirne se non la spiegazione almeno la testimonianza. In realtà: "l'inesauribile curiosità da lui dimostrata per ife-
celebri figure di intellettuali militari. Anzi, osservando l'intima connessione tra la vicenda biografica e quella letteraria di Giulio Cesare, Plinio sembra confermare per l'ennesima volta che il descrivere, il ricordare e il rievocare situazioni ed eventi, è precipua incombenza di tm alto ufficiale romano. Significativamente, per strano che possa sembrare, una figura tanto preminente in ogni ambito dello scibile non appariva tale ai suoi giorni. La sua immagine esterna sembra essere stata piuttosto quella di w1 integerrimo funzionario, di un infaticabile comandante, di uno scrupoloso indagatore ma non per questo di ricercato ospite. Un uomo, cioè, pignolo, afflitto dall'inguaribile curiosità dei bambini ed ossessionato del proficuo utilizzo del tempo a disposizione. In definitiva un personaggio stimato per le sue vaste competenze, apprezzato per la sua spiccata onestà professionale, ma al contempo emarginato per il suo insopportabile in1pegno in un mondo che ambiva alle sregolatezze ed ai piaceri materiali. Eppure ben di rado la storia ci ha tramandato una più calzante aderenza tra compiti istituzionali e conoscenze personali!
nomeni naturali ha indotto molti a giudicarlo uno splendido esempio di antico ricercatore scientifico: ma quanti a/fermano che egli" possedeva una mentalità scientifica dimenticano di applicare i criteri rigorosi imposti ........ C ANS- PLYNIVS SECVNDVS NovotoMENSIS DCMITIANO dalt'accezione moderna di questa parola ..."1 . Limite che, ridimensionandolo P-"R=A=E=F=A= Tc.....10=.= ===--= == ====tl sul piano meramente scientifico, lo colloc~ a giusto diritto a fianco delle più
Da W H. STAI-CL, La scienza dei Romani, Bari 1974, pp. 141-60.
1
A fianco: particolare da un'edizione del XVI
sec. della Naturalis Historiae di .Plinio. Nella pagina a fianco: Plinio il Vecchio presenta la sua opera a Ve!>pasiano -particolare da miniatura della Naturalù Hùtoria dall'Abbazia di Saint Vincent a Le 1\tlans, XII secolo.
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uicium cama:nis quiririum tuoru.m opus nacum apud mc pro_xima fcecura liccnriore epul:ola nar/ . rarecon{hru1 ttbi iucundilfimcimperator. S1r.n. I h~c rui pr.:efacio uerillìma:dum maxfo cofenefoc i' in patte. Nag1 tu fo!ebas putare ei:re aliqd meas nugasiut obiicere moliar Cacullum conrerraneii meum.Agnofcis & hoc caftréfe uerbum. 1lle cni uc fcis:permutacis prionbus fyllab1s duriufculti t fefecic:q u_o lebat cx1ftimaria ue~amhs cuis:& ,.", .,,:;;..~ ~ fam'-'.l!S. S~ul ut hac mca pecul:ma fiar:qu od . _ prox1meno fi:en queftus es:i alia procaci cp1ll:o/ .!. noCl:ra:ut m qua:dam a& excat. Sc1anrq1 omnes :èj_ cxa,q uo tecum uiuatimoium.
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PARTE TERZi\ • L'MvlMI RA<;1.10 GA IO PLIN IO CECJLIO Si,CO:-SDO
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L'antichità, infatti, non: "ha conosciuto la diffusione sùtematica dei documenti scritti: ma tutti coloro che furono famosi per il loro sapere fecero lunghi viaggi. Pare che Talete importasse in Grecia dall'Egitto i fondamenti della vera geometria, che sembra avesse imparato dai sacerdoti egiziani. Quest'esempio dimostra che il contatto tra i popoli era una condizione essenziale dello sviluppo delle conoscenze... Anche Pitagora ... [avrebbe] raggiunto le rive del Gang e... Platone viaggiò in Egitto e si recò in Italia ... Arùtotele accompagnò Alessandro in molte sue spedizioni e percorse tutto il mondo antico"2 • Diviene perciò estremamente logico, persino funzionale, in un contesto del genere dove gli eruditi prima ancora di divenire tali furono sempre dei grandi viaggiatori, ritrovare un erudito quale Plinio a capo della componente militare mobile per antonomasia! 2
Ben diversa, invece, la sua sorte di scrittore, trattandosi, questa sì, di un caso muco, assolutamente eccezionale. A differenza di qualsiasi altra opera, indipendentemente dalla rinomanza dell'autore, l'ìnunenso compendio naturalistico di Plinio, distribuito in 37 libri, ci è giunto non solo intatto ma anche in più copie, distinte in vari codici. In patticolare da: "qualunque punto di' viYta la si esamini, la poderosa enciclopedia delle scienze naturali scritta da Plinio zl Vecchio ... è una delle opere più straordinarie che ci siano pervenute dall'antichità... i trentasette libri della sua Storia natmale ci sono pervenuti integralmente, insieme ad alcune delle numerose rzduzionz' 3. In nesstm momento, dalla sua morte ad oggi, quale che fosse il contesto storico vigente, se ne perse mai la esatta e completa disponibilità. La sua Naturalù- Hù-toria, w1 po' come il Pantheon, non solo non conobbe mai l'abbandono, la devastazione, la mutilazione o la trasformazione, ma restò sempre integra, immutata in ogni suo dettaglio e persino nello scopo!
Da M. DAUMAS, Storia della scienza, Bari 1969, p. 45.ù
In alto: antica mappa del mondo basata sul modello di Tolomeo.
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> Da \Y.1. H. STA.HL, La scienza ... , cit., p. 135.
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Secolo dopo secolo, ogni generazione di studiosi ha percepito quell'opera come appena scritta. trasformandola in una sorta di vangelo della natura, di summa scientifica, di archivio delle anomalie planetarie. E, fenomeno singolare, senza alcuna riserva della Chiesa! Del resto ancora oggi, continua ad essere tm imprescindibile riferimento per scandagliare le conoscenze culturali in età classica, un livello nozionistico che non si può ignorare, esatto od errato che sia. Dal che tm personaggio reputato di volta in volta scienziato, geografo, fisico, ma anche metafisico, filosofo e letterato nonché, sebbene accidentalmente e marginah11ente, quasi per evidenziare i meriti di studioso-lavoratore, comandante in capo della flotta di l\tliseno. Relativamente alle in dicazioni biografiche di Plinio tutte le fonti possono ridursi a due tipologie. Da un lato la sua stessa opera principale, dall'altro alcune notizie ricavabili dalle epistole del nipote, e dai frammenti della biografia di Svetonio, inclusa nella sezione De historicis del De viribus illustn'bus. In entrambi i casi si tratta di riferimenti non sistematici, per un verso o per l'altro, apologetici e comunque eccessivamente frammentati per fornirci una dettagliata e credibile sequenza umana. Ad ogni buon conto in base alle suddette notizie emerge, innanzitutto, la non disprezzabile carriera di un cavaliere traspadano, dipanatasi per lunghi anni nell'esercito e nell'amministrazione imperiale. Prestazione che rapportata alla durata della sua vita ne copre quasi un terzo, intervallo fin troppo ampio per non aver lasciato un'irreversibile impronta nel suo modus vivendi. In definitiva, come già evidenziato, Plinio fu soprattutto un militare romano, con i relati.vi limiti e pregi. Anomala, se mai, l'entità della sua curiosità supportata, e forse amplificata, da una visione filosofica dell'universo, peraltro all'epoca abbastanza diffusa presso l'alta borghesia. A questa basilare formazione si devono ricondurre il suo senso del dovere, spinto fino ali'estremo limite, la lineare logica operativa, la prontezza decisionale e l'autorità per mantenerla in qualsiasi contesto. In termini moderni si parlerebbe di attitudine al comando e di sperimentata idoneità psico-fisica ad esercitarlo anche ai massimi livelli nei momenti più critici. In dettaglio Gaio Plinio Cecilio Secondo nacque a Como verosimilmente il 23 o, al massimo, il 24 d.C. da agiata famiglia equestre. Stando al nipote, i Plinii ebbero un fortissimo attaccamento alla località, tant'é che lui stesso vi possedette due ville, che denominò l'una Comoedia per la sua collocazione felice sulla baia di Diana a Lenno e l'altra Tragedia, per il sito tetro ali' estremità del promontorio di Bellagio. Queste costruzioni, di cui si rinvengono resti architettonici ed epigrafici indiscutibili, lasciano propendere per altre loro residenze più antiche nei paraggi, in una delle quali dovette trascorrere i suoi primi anni Plinio il Vecchio.
~ --~\11num ,.,m()(n1s quinc111m ruo r u• .... i C'JmfnMmn ., purlrnt: pl'O:,(.trn,'t fom1ra 1,«urior.,. cptflola, nllrrtlr'- co1'1(\,1t u,, t fttcundt01rne" nnprr., co,:~Stt ,mm h.te _ w , p;-cfat1~ u mffim;a.ai nm :Tut<uno c5~~
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Sopra: pagina di un codice medievale illustrato della Hùtoria Naturalis.
Come tutti i rampolli della buona borghesia, la sua giovinezza si dipanò in ambito militare, nella fattispecie nella militia equestris. In base alle notizie disponibili fu destinato a reparti di cavalleria di stanza in Germania, dove restò per un periodo di ben 12 anni, intervallato da alquante pause, tra il 46 ed il 58. Fonti più accurate lo indicano dapprima presso la Germania Inferiore, non lontano dalle cosiddette Bocche del Reno, poi in quella Superiore, agli ordini di Pomponio Secondo. L' alto ufficiale, ulteriore rappresentante della tipologia innanzi delineata di militare di carriera e di scrittore, più che un insigne letterato spiccava come un erudito tragediografo, connotazioni e qualifiche per nulla frequenti negli accampamenti germanici. O vvi.o, pertanto, supporne un sensibile fascino intellettuale sul giovane subordinato e forse la materializzazione di un modello da imitare.
PART I: T l'IVA - L' AMM IRAGLIO GAIO PLIN IO CECI I.I O SECO:-JDO
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Sopra: bassorilievo raffigurante scena di battaglia contro i Germani. ,
Durante quel ltmgo servizio militare, senza dubbio stimolante per la sua formazione ctùturale ed umana, Plinio ebbe un secondo contatto fondamentale ai fini della sua esistenza. Con buona probabilità, tra il 57 ed il 58, suo compagno di tenda -rapporto che dava origine invariabilmente ad amicizie molto intense e durature- fu un altro rampollo di illustre origine: Tito, figlio di Vespasiano, che a sua volta diverrà imperatore nel luglio del 69. Come accennato, nel corso del servizio, prassi non solo consentita ma addirittura incoraggiata nei giovani ufficiali di cavalleria di stanza nelle province settentrionali, anche Plinio godette di ampie licenze di studio. Per molti aspetti. possono considerarsi la prima manifestazione della sua sete di conoscere, che di anno in anno sembra incrementarsi. Nel frattempo la sua carriera prosegue con i relativi avanzamenti di grado: diviene così praefectus alae, in pratica comandante di uno squadrone di cavalleria. Il compito gli offre il destro di approfondire le nozioni sulla tattica d'impiego della specialità esponendola in un breve saggio. Che sia stato qualcosa in più di un semplice componimento
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giovanile, di un mero esercizio didattico lo conferma l' argomento prescelto, ovvero la modalità ottin1ale per il tiro in corsa, De iaculatione equestri. Con terminologia attuale potremmo definirlo un manuale di balistica, una raccolta di istruzioni per il tiro da un mezzo in moto. Per quanto settoriale e specifica l'opera dovette riscuotere un discreto successo, tant'è che Plinio non disdegnò in seguito diannoverarla fra i suoi lavori, anche quando ormai godeva di ben altra reputazione scientifico-mili.tare. Disgraziatamente Pomponio Secondo, valoroso comandante ed apprezzato artista, non visse abbastanza da poter indirizzare o agevolare il suo giovane ammiratore. Di lui resta un evidente rimpianto in un'altra opera di Plinio, il De vita Pomponzi Secundi. Facile arguirne l'impianto letterario, essendo ovvio supporla tesa ad onorare la memoria dello stimato comandante. Ma la circostanza è colta per esporre alquante osservazioni e deduzioni circa la conciliabilità del servizio, con l' esigenze intellettuali. Iniziano così a trasparire i prodromi del divaricarsi dell'interesse scientifico dall'attività mili.tare di Plinio, duplicità di ambiti che però non riteneva inevitabilmente antitetici. Anzi, dalle sue parole e dai suoi concetti, parrebbe quasi che dall'an-
o 79 D. C:. R0 I I A SU POMPE]
(.7
tinomia fra intellettuale e soldato scaturisse un reciproco completamento: una maggiore concretezza culturale per il primo ed una superiore motivazione istituzionale per il secondo. In ultima analisi una sorta d'incremento di credito e di stima: non più un imbelle saccente e non più un brutale combattente!
Lo storico e il dissidente Gaio Plinio Cecilio Secondo iniziò ad esporre esplicitamente i suoi interessi storici e naturalistici a partire da un'altra opera, anch'essa redatta durante i lunghi anni di servizio in Germania, il Bella Germanz'ae. Si tratta di tma composizione di discreta mo.le, ben venti libri, neila quale l'autore fornisce un esauriente quadro del conflitto di cui, sia pur marginalmente, era staro protagonista. Stando al nipote, Plinio ne attribuiva l'ispirazione alla visita fattagli: "in sogno
da Druso, zl coraggioso generale di molte campagne germaniche: l'apparizione gli chiedeva di salvare dalla dimenticanza le proprie imprese. 1-:opera doveva avere un taglio molto ampio, e notevoli ambizioni letterarie: era protratta forse dalle guerre cimbriche o dai tempi di Cesare, sino alle campagne del 47 d. C., e offriva un vasto materiale agli storici successivi... Il /atto che i due principali eroi delle guerre germaniche, Druso e Germanico, fossero rispettivamente padre e fratello maggiore dell'imperatore Claudio, si presta d'altra parte a qualche induzione di carattere politico" 4 • Per molti studiosi, infatti, sembra poco probabile che quel doppio riferimento sia stato una semplice casualità, una mera coincidenza. Di gran lunga più plausibile che celasse, invece, un qualche compromesso con il potere mirante ad un riconoscimento. Esito che poi non si dovette manifestare o, al contrario, non Io si reputò adeguato all'impegno ed alle aspettative a1 punto da non meritare alcuna menzione. Al riguardo è certamente emblematico che Plinio godé presso i suoi contemporanei la fama di eminente storico, talmente reputato da guadagnarsi l'inserimento fra i più stimati nell' opera di Svetonio. Quanto al suo impegno di naturalista non sembra altrettanto apprezzato, vuoi perché non del tutto originale, vuoi forse perché scambiato, con quanta aderenza alla realtà non lo sapremo mai, con una fuga dalle responsabilità politiche. Il darsi alle indagini scientifiche, ancorché consono alla sua curiosità, dovette apparirgli, e forse anche apparire, un onorevole allontanamento dai rischi che l'attività di steri-
Da A. M\RCHESI, C. PRuGONl, G. RANUCCI, Nota bibliografica, in Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, Torino 1982, voi. I, p. L.
4
In alto a destra: busto di Nerone, Musei Capitolini; Roma.
co poteva procurare, in un momento tanto critico e pericoloso. Del resto la sua carriera militare e politica sembra bruscamente arrestarsi all'indomani della scomparsa di Claudio. Sotto Nerone, infatti, Plinio non ebbe modo di espletare nessuna carica e nessun incarico degno di nota. Fu emarginato, o si emarginò volontariamente, non apprezzando la nuova dirigenza imperiale o, magari, temendo più gravi conseguenze: improbo appurar.lo. Di certo la pressoché assoluta assenza di sue tracce ci induce, motivatamente, a supporre che quel vuoto fosse riempito con prestazioni professiona.li occasionali, vuoi come oratore, vuoi come legale, vuoi come constùente. Una maniera dignitosa per non uscire completamente dalla scena pubblica di Roma, senza esporsi più del necessario. Dal pw1to vista letterario, quella sorta di disimpegno si riscontra persino nelle tematiche affrontate, come ad esempio nel trattato Studiosus, ammesso che tale fosse esattamente il titolo. In esso Plinio si cimenta ad esporre elementi e nozioni di retorica e di eloquenza: argomenti neutri, opachi e privi
PARTI' Tl:IU:\ - 1.',\M MI RA<,I.I O GAIO Pl.li': 10 Cl,CJl,I() S!,CQl':D()
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di conseguenze, ideali per passare il tempo ma non per passare alla storia! Segue ancora un altro trattato di otto libri, Dubius senno, nel quale continua a destreggiarsi nei meandri della lingua e del suo corretto impiego da parte degli oratori, ulteriore esempio d'impegno intellettuale del tutto avtùso dall'impegno politico. Considerando, comunque, che gli ultimi anni dell'impero di Nerone furono anche i più tragici e sanguinari, senza distinzioni e senza immunità per nessuno, esporsi inutilmente significava, con buona probabilità, rimetterci la vita. Ed é proprio il nipote, Plinio il Giovane, a non farne mistero nelle sue lettere precisando che l'avvento degli inte~essi: "letterari ed eruditi nello zio è collegato ... con l'atmm/era tesa e pericolosa degli ultimi anni di Nerone; è fa-
cTle pensare che anche la storiografia risultasse in quel periodo, un rifugio poco neutrale ed esposto a so5petti"5. Rischi che crescevano esponenzialmente con la rinomanza dell'autore e di cui, sebbene non disponiamo di riscontri certi dell'avversità di Plinio nei confronti di Nerone, si scorgono inequivocabili tracce proprio nella Naturalis Historia. ·
Il rientro sotto Vespasiano Con la tragica morte del disprezzato in1peratore, la vita politica romana sembra riesplodere prepotentemente in ogni settore. Inmun erevoli emarginati, sopravvissuti fortunosamente alle eliminazioni sommarie, potettero risorgere dalla loro prolungata morte civile. Tra loro forse lo stesso Plinio che, non a caso, tornò subito alla sua carriera equestre, abbandonata da quasi un ventennio. Tuttavia, non essendo più abbastanza giovane per il gravoso incarico, appare verosimile che il celebre studioso, favorito in qualche modo da Vespasiano, agli scomodi castra abbia preferito il cursus procurationes, ovvero la prestigiosa attività di procuratore. Una serie di concomitanze, infatti, lasciano supporre che Plinio si sia trovato a fianco di Vespasiano, non per nulla padre dell'ex commilitone Tito, già diverso tempo prima della sua effettiva ascesa ad imperatore. Forse, come alcuni studiosi suppongono, proprio nel tragico contesto del tristemente celebre anno dei quattro ùnperatori. Senza contare che Vespasiano prima, e suo figlio Tito poi, erano i primi rappresentanti di quel: "ceto di equites fattisi strada attraverso la carriera militare... con Vespasiano ... [si] dimostrava l' e-
sistenza di un orientamento ormai· definito nel ceto mzli'tare, e soprattutto nell1uffi,dalità equestre, perché il potere andasse nelle mani di quanti ne detenevano realmente i più importanti· strumenti; e quello che sembrava troppo audace [pochi decenni prima]. .. si era realizzato con Vespasiano, anche perché, 5
Da A. MARCHESI, C.
[04
FRUGONI,
G. R1\NUCCI, Nota... , cit., p. LI.
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con quest'ultimo, la scelta di un militare di carriera equestre veniva anche a corri5pondere a una presa di' posizione nella vecchia lotta degli ambienti provinciali d,Oriente per accrescere la loro effettiva partecipazione al potere esecutivo. In ogni modo l'avvento di Vespasiano era un fatto rivoluzionario, il più sostanziale fatto rivoluzionario avvenuto nella storia di Roma da molto tempo, e quindi occorreva dare la prova che si sarebbe restaurato l'ordine e la sicurezza nel governo e si sarebbe fondata la legalità e il prestigio del nuovo principato sulla legalità e il prestigio dello stato stesso ... La concomitanza di un'energica azione per la disciplina militare con una oculata politica legislativa e costituzionale e con una politica finanziaria ispirata a principi· di parsimonia... raf)J)resentò il complesso delle condizioni atte a realizzare il felice avvento di una nuova casata al potere supremo. I provvedimenti militari sono noti: punizione esemplare alle legioni più dimentiche della disciplina" 6• Dunque il contesto socio-politico, istauratosi con l'avvento di Vespasiano, sembra ideale per favorire le ambizioni e le aspettative di Plinio, sia dal punto di vista militare che di carriera in generale, come di quello culturale e letterario in particolare. Non stupiscono tante inedite po6
Da M. A.
L EVI,
!.;impero romano ... , cit., vol. I, p. 345.
Tn alto: busto di Vespasiano, Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo i'vlassimo alle Terme.
e
tenzialità se si tiene conto della sostanziale omogeneità sociale e, forse, persino etica di entrambi. Vespasiano ostenta inoltre un: "così .1piccato senso di equilibrio, ma anche una
menta della guerra civile: si arriva così al secondo momento del programma politico di Vespasiano, che è quello di ridare forza e autorità al potere impenale" 7• Quale migliore opportunità
cosz' rara capacità di dominare gli avvenimenti e di imporre ad essi il sigillo della propria personalità, portandoli nell'alveo del proprio disegno politico, ora con mano ferma e decisa, ora con una taltica degna del più abile psicologo. Vien /atto di pensare, talvolta, nella deù"neazione della figura del primo imperatore /!avio, alla 'virtù' in senso machiavellico, della quale sarebbe stato un precursore di eccezione sul piano della prassi... Se perciò, il nuovo imperatore appariva... un homo novus, sul seggio di Roma imperiale, e nessun legame di sangue lo univa alla caduta monarchia giulio-c:laudia, «la benevola preferenza divina che si manifestava mùteriosamente con elementi soprannaturali~ proprio intorno alla sua persona, costituiva un singolare e potentùsimo elemento di privilegio per lui e la sua gente nuova». Dal prestigio della sua persona, si doveva, poi irradiare il prestigio del Principato e di Roma, entrambi scossi dalle fonda-
per quanti appartenenti alla sua cerchia e da lui stimati! Stando alle incerte notizie di Svetonio, ma mai come in questo caso plausibili, Plinio tra il 70 ed il 75, ricoprì incari chi prestigiosi, amministrando in modo ininterrotto procui-e di notevole rilevanza e ricchezza, prin1a fra tutte quella della Spagna Tarragonese con le sue miniere d'oro, di cui si colgono significativi riferimenti tecnici originali nelle sue pagine, in particolare nella descrizione del ruina montium, sistema di. coltivazione minerari.a ad abbattimento progressivo d'intere e cospicue fette di colline medi.ante la forza dell'acqua. Da G . VANELLA, L:adventus di Vespasiano, nei suoi aspetti mistico-religiosi e giuridico-costituzionali, Napoli 1965, pp. 57-58. 7
Sotto: panoramica del!'altipiano di Las Medula5~ in Spagna, devastato
dal ruina montium.
PA RTE Tl, RZA - L ' AMM JR,1(; 1.10 GA IO PL IN IO CliCII.IO SECONDO
] ()
5
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79 D.C. ROTTA SU P0.\1PEI
Come dubitare che tanto successo non fosse una qualche ricompensa per la sua contiguità alla nuova casata imperiale, in perfetta linea con l'ascesa del ceto equestre di estrazione militare, al quale tanto lui quanto l'imperatore appartenevano? Di certo con Vespasiano, Plinio tornò nel vivo della carriera al punto che è difficile tentare persino di definirne il dipanarsi. Infatti: "il numero, la cronologia e l'identificazio-
ne degli" incarichi sono fortemente discussi: e la localizzazione delle varie procuratele avrebbe anche conseguenze di rzHevo per l'interpretazione della Naturalis historia: si può ritenere sicuro un incarico nella Spagna Tarragonese e molto probabile- a coronamento della carriera procuratoria, perché era un posto importante e politicamente delicato- un incarico nella Belgica: altre collocazioni sono ipotizzabili ma meno certe. Il posto di procuratore comportava esperienza fi:nanziaria e organizzativa, una mentalità concreta, e si accompagnava bene, a quanto pare, con un interesse curioso per i caratteri peculiari di ogni territorio"8 . Ovviamente, come sempre accade in circostanze del genere, i suoi incarichi e la loro successione cronologica non trovano affatto concordi tutti gli storici del settore. Eppure ristùtano evidenti le conoscenze che solo dal servizio in alcune procure, potevano derivargli. Altrettanto comprovata la sua limpida onestà nell'amministrazione, dote fondamen tale quanto rara in un procuratore: Plinio la possedette in sommo grado, al punto che quando rientrò dagli incarichi non si era arricchito minimamente, a differenza di tanti suoi colleghi di dubbia reputazione.
Singolarità del metodo di Plinio Quel frequente viaggiare per servizio attraverso l'Impero sembrano ideali per appagare la curiosità di un geografo e per favorire le personali esperienze di un naturalista. Difficilmente, in realtà, un semplice studioso, per quanto facoltoso, avrebbe potuto intraprendere con analoga facilità e sicurezza ricognizioni tanto remote e durature. Eppure, paradossalmente, Plinio sembra sfruttare pochissimo tale straorçlinaria opportunità, reputandola quasi superflua se non offensiva nei confronti delle sue fonti. Infatti raramente: "rifJOrta fatti
testimoniati dalla sua propria e.1perienza diretta: <<ho visto di notte durante i turni di sentinella davanti alle trincee brillare delle luci aforma di stella sulle lance dei soldati» (II.1 O1); «durante il principato di Cla.udio, abbiamo vùto un centauro che 8
Da A. MARCHESI, C. FRUGONI, G.
R ANUCCI,
Nota ... , cit., p. LI.
Nella pagina a fianco: altre panoramiche dell'altopiano di Las Medulas. In alto, a destra: creature fantastiche nell'opera di Plinio.
eglz'/ece venire dall'Egitto conservato nel miele» (VII.35) «io stesso ho vùto in Africa un cittadino di Ti'sdro, trasformato da femmina in maschio il giorno delle nozze>> (VII.36). Afa per un ricercatore c01ne luz; protomartire della scienza sperimentale, che doveva morire asfissiato dalle esalazioni del Vesuvio in eruzione, le osservazioni diret'le occupano un posto minimo nella sua opera, e contano né più né meno delle notizie lette nei libri; tanto più autorevoli quanto più antichi" 9 • Tuttavia se i suddetti viaggi non vennero spesi per verifiche dirette, gli fornirono però l'opportunità di conoscere e contattare inmunerevoli personaggi. Questi, per la modestia della loro condizione, non godranno di alcuna citazione nella sua opera sebbene avessero fornito un'in1mensa quantità d'indicazioni, senza dubbio le più fantastiche e chimeriche. La ragione del curioso comportamento deriva dalla logica stessa della sua ricerca che non può, semplicisticamente, equipararsi alla omonima attuale, perché rigidamente subordinata ad un'aprioristica visione filosofica. I..:approccio con la realtà naturale, infatti, non era mai finalizzato a scoprirne le leggi universali rna soltanto a metterne in discussione la certezza dei limiti attraverso le estrinsecazioni più aberranti, attraverso l'enunciazione dei fenomeni più anomali, concreti. o immaginari che fossero. Una sorta, quindi, di antesignano Guiness Book of Records, privo però di. un'altrettanta scrupolosa verifica dei primati.! Una raccolta dove la-sensatezza scientifica di molte spiegazioni fa da credenziale per .l'irrazionalità più assurda di tante affermazioni. Un miscuglio inestricabile di verità, verosimiglianza, credulità e superstizione: connotazione ideale per la sua fortuna nel contesto ignorante, fanatico, superstizioso ed, al contempo, assetato di conoscenza del Medioevo. 9
Da I.
Il àelo, l'uomo, l'elefante, prefazione in Gaio PlZ-
CALVINO,
nio... , cit., p. XI.
0
PARTE Tl:llZi\ - L AMMI RAGLIO GA IO PI.IN l e) ClòC ILI O SECON D O
l Q7
Si spiega così il rapido avvicendarsi di notizie immaginarie, raccolte senza un evidente discernimento, ad altre di notevole accuratezza e precisione. Osservazioni ed informazioni scrupolose, debitamente riscontrate e verificate che rendono la stessa opera, apprezzata dai ctùtori dell'esoterismo ed imprescindibile per una quaJsiasi seria indagine storica. Ancor'oggi quindi l'evidente dualismo di Plinio, continua a proporsi in tutta la sua portata.
Spiegazioni ed interpretazioni Come in precedenza osservato per i Romani in genere, e per Plinio in particolare, un qualsiasi fenomeno naturale costituiva un indicatore di eventi umani. Una vistosa premessa fornita dalla natura stessa: per cui ogni sua manifestazione, nota o ignota, ostentava una grandiosità, o un'aberrazione dalla normalità, direttamente proporzionale ali' avvenimento che preconizzava. Non è, perciò, casuale che persino la Natività di Crsito ebbe in una stella di grandezza anomala,
J O8
forse una cometa o una supernova o anche tma congiunzione planetaria, la sua segnalazione fenomenica! Quando Vespasiano divenne imperatore fu diffusa la diceria che un:
"albero secco era tornato a rifiorire... proprio nello stesso momento in cui... [lui] aveva visto la luce, e questo non era che uno di tutta una serie di portenti e prodigi relativi ad animali, piante e cose inanùnate" 10. In particolare, tutta: "quella serie di portenta, espressione significativa di propaganda intrisa di mùticismo parenetico ... si spiega... [con] l'intento di dissipare i timori di quanti; nel nuovo imperator, vedevano il trionfatore militare, l'uomo degli eserciti; incline ad imporre la sua volontà con la spada... Bisognava perciò presentare Vespasiano in una edizione diversa da quella reale, ed in certo senso straordinaria: u1·10
Da M. A. LEVl, I.:impero romano ... , cit., voi. I, p. 342.
In alto: i/Lustrazione di Giovanni Stradanus ispirata all'opera di Plinio. XVI-XVII sec.
o 79 D. C. R.O I T,1 SU POMPEI
geva un fondamento etz'co-religioso e perciò stesso l'aureola di quella auctoritas, che era garanzia per la libertas e per la salus rei publicae. E qui giova osservare come la visione che dell'imperatore flavio si andava curando, fosse ispirata in massima parte a certi canoni propri della speculazione greco-ellenistica" 11 . La curiosa e per tanti aspetti apparente ingenuità di vedere nei portenti un indicatore della volontà divina, asservendoli magari alla promozione di un nuovo imperatore, sortiva però da una concezione filosofica più remota, di origine orientale. E Plinio non solo condivide tale credenza ma la sua ossessiva ricerca delle anomalie naturali nasconde il tentativo di comprenderne la vera chiave per interpretare l'avvenire! I fenomeni naturali, pertanto, costituiscono un indicatore da decifrare per vagliare Ia storia e quando: "diventano i fatti culturali~ non sono solo condizionati casualmente, ma hanno anche dei significati: e per spiegare i fenomeni sz· devono appunto scoprire i signifi"cati. Se c'è una differenza tra scienze propriamente naturali e scienze umane, è che le prime sono interessate a scoprire le relazioni causali~ le seconde mirano appunto a rivelare i significati. La modalità appropriata per svolgere il primo compito è la spiegazione,· il secondo richiede i metodi dell'interpretazione, che è una procedura metodologica del tutto diversa. Plinio procede offrendo, quando può .. . la spiegazz'one dei fenomeni che tratta e che classifica; ma la concezione secondo cui è modellato il suo testo, lo porta a diri'gere i suoi sforzi piuttosto verso l'interpretazione dei· fatti" 12 . Disciplina in sostanza attualmente studiata come teoria della sincronicità. Per molti aspetti è la trasposizione sul piano teorico dell'abissale separazione che esisteva tra scienza e tecnica, tra filosofi meccanici ed ingegneri, vil meccanià, tra il pensiero ed il lavoro, in definitiva tra il corpo e l'anima. Ed è forse questa la vera essenza del suo curioso enciclopedismo apparentemente confuso tra immaginario e reale, assurdo e concreto, scienza e fantascienza, sapienza e superstizione. L'importante è attingere il senso degli eventi, la loro .ragione ultima che può considerarsi -e questo spiega il favore co~ cui la Chiesa vide sempre Plinio- la volontà divina. Per Plinio vi è un costante contrasto tra opposte tendenze, che non sono però il bene ed il male ma piuttosto: "antipatia e simpatia [che] reggono zl mondo animale, il regno vegetale e anche quello minerale: l'azione può consistere per esempio ~·n una /orza di attrazione (è il caso del magnete) o in u Da G. VAN ELLA, I.:adventus ... , cit., p. 62. 12 Da B. CONTE, I.:inventario del mondo, in Gaio Plinio ... , cit., p. XX,"'{VI.
una ripugnanza" 13 . Di una simile concezione non appare solo intimamente convinto ma perfino fervido sostenitore. In ultima analisi, per lui in ogni circostanza la realtà va considerata una sorta di risultante tra due componenti contrapposte, attrazione e repulsione, simpatia ed antipatia che diverranno, in ·altri filosofi, amore ed odio. Due infiniti, due eternità che si oppongono fra loro, simili ad un caduceo: una coppia di serpenti intrecciati fra loro con le teste affrontate, emblema non caso scelto sin dall'antichità classica per indicare la sapienza e la salute. Benessere del corpo e dello spirito: impossibile l'uno senza l'altro! li Jjmite delineato è stato da diversi studiosi evidenziato e rinrnrcato, facendone risaltare l'ampia diversità da un moderno atteggiamento scientifico. Infatti, per: "Plinio il n Da B. C ONTE, I.:inventario del mondo, in Gaio Plinio .. ., cit., p.
XXXVII.
In alto: anfora etrusca del VI sec. a.C.. Gli occhioni ed i se1penti af frontali sono apotropaici. I primi si trovano a prua delle navi ed i secondi nel Caduceo.
PARTE TERZA - 1.',1MMIR .\GLIO GAIO PLINIO CECILIO SECQNDO
109
mondo della natura, come il mondo dei libri, comprendeva centinaia di miglz"aia di fenomeni distinti; di cui soltanto poche migliaia erano abbastanza interessanti da indurlo a presceglierli: ben di rado esprime un giudizio sulla loro credibilz"tà ... teneva molto a segnalare i fenomeni più .1pettacolari e sorprendenti della natura. Provava per la natura un' ammirazione religiosa non molto diversa da quella di un bambino" 14 . Ed esattamente con l'avidità, l'entusiasmo ed, in molti casi, con l'ingenuità di un bambino Plinio si gettava nelle sue curiosità, per cui: "sarebbe un'ingiustizia nei suoi confronti
non ricordare l'impulso quasi ossessivo che spingeva Plinio a svolgere indagini personali sui fenomeni naturali" 15 • Se il suo entusiasmo traspare omogeneo per l'intera oper; , non altrettanto può dirsi per la competenza stille varie lo~alità descritte. Tanto per esemplificare, mentre: "pro-
cede nell'area del Mediterraneo occidentale, fino a quando raggiunge l'Istria, Plinio sfoggia con sicurezza la propria erudizione ... Quando giunge nel Mediterraneo orientale... p~rde buona parte della sua sicurezza e segue le fonti (o la sua fonte) limitandosi ad esprimere solo pochi'ssime volte le sue opinioni personali. .. La trattazione della Siria, 5J)roporzionatamente particolareggiata, ha indotto alcuni studiosi a formulare l'ipotesi· che fosse basata su esperienze dirette, acquisite da Plinio quando era stato procuratore in quella provincia,· ma per la verità era stato procuratore anche in Germania e in Gallia, eppure aveva preferito attenersi, per quei due paesi; alle informazioni dei compilatori... Qualche volta Plinio si serve di dati recenti: ottenuti durante compagne militari" 16• Quest'ultimo aspetto è forse il più emblematico per comprendere la sua mentalità e per valutare quanto lo spirito della Naturalis Historia sia lontano dall'odierna definizione di scienza. Sappiamo, infatti, che Augusto aveva fatto redigere da Agrippa un'ottima carta dell'Impero, dettagliata ed attendibile per distanze ed indicazioni, e proprio perché tale supporto ideale per qualsiasi trattazione geografica. Nessun dubbio, pertanto, che il: "lavoro di rilevamento
svolto da Agrippa avrebbe potuto offrire ai geografi' romani i datifondamentali per una rappresentazione esatta delle varie regioni e per un'i·mmagine piuttosto fedele del mondo allora conosciuto. Plinio il Vecchio ebbe la possibilità di consultare le carte e i dati: ma, sebbene apprezzasse la scrupolosità con cui il rilevamento era stato compiuto e 5pesso ne adottasse Le ci/re quando doveva z'ndicare qualche distanza, non si rese conto, neppure vagamente, del valore che avrebbe potuto avere come base per i testi geografici. Come agli altri geografi 14 15 16
Da \V/. H . STAHL, La scienza ... , cit., p. 141. lbid. , p. 142. Ibid., pp. 157-58.
1l O
79 D .C. RO I T.-\
su
POMPEI
romanz: a lui interessavano molto di più le qualità stilistiche che non l'attendibilità,· di conseguenza... si attenne al metodo antiquato del periplo, ideato dai greci quattro secoli prima" 17 •
Ammiraglio e martire della scienza Non è del tutto irreale immaginare Plinio, nei IW1ghi anni della sua carriera militare, prima, e della sua emarginazione politica, dopo, intento a compi.lare inmunerevoli schede. Ogni fenomeno curioso, ogni notizia strana, ogni informazione incredibile finiva su di una apposita scheda, che ne ricordava la fonte. Per incrementare quella maniacale raccolta, tutto nella sua vita era stato se non sacrificato, o per lo meno fottemente 17
Da \Y/. H. STAHL, La scienza. , cit., p . 114.
Sotto: rilievo della statua di Plinio il Vecchio realizzata nel 1494 ed
esposta nel Duomo di Como. Nella pagina a fianco: Plinio scrive nel suo studio, immerso in un fantastico scenario naturale. Miniatum da un'edizione del XV sec.
e
subordinato e condizionato. Per studiare si alzava ancora a notte fonda, limitando al massimo il tempo concesso al sonno, ritenuto quasi uno spreco. Durante il pranzo o la cena, peraltro sempre parchi e misurati, tm lettore continuava a fornirgli tÙteriori informazioni . Persino quando, sdraiato dopo il pasto, si concedeva un bagno di sole, non mancava di farsi leggere qualcosa, da cui owiamente trarre altre schede. Per la stessa ragione viaggiava sempre in lettiga con il segretario a fianco, in modo da potergli dettare osservazioni ed apptmti nei tempi morti degli spostamenti! Quale potesse essere la qualità umana di un'esistenza così impostata, è agevole concepirlo. Nessuna meraviglia, perciò, che alla fine degli anni 50, dopo circa un decennio d'indagini continue ed esasperate, Plinio si trovò a disporre di una raccolta impressionante di dati, ordinatamente catalogati e puntigliosamente classificati. Sarà quella la premessa della sua monumentale opera. Sebbene non abbiamo riscontri certi al riguardo, si ritiene cheìa composizione propriamente detta della Naturalis Historia sia iniziata intorno alla metà del decennio successivo, protraendosi fino alla sua morte. Sappiamo che essendo consapevole della taccia di servilismo che marchiava quanti approfittavano della contiguità con il potere, o solo gravitavano' intorno ai potenti pur senza avvantaggiarsene in alcun modo, onde evitare che la sua opera fosse diffamata dal suo rapporto con l'imperatore, sul finire della stesura, ne rinviò .la pubblicazione a dopo la sua morte. A suo giudizio solo
una pubblicazione postuma lo avrebbe posto al riparo di quel temuto oltraggio, per lui insopportabile: testimonianza di grande dignità di studioso ma anche di grande, e risaputa, amicizia con l'imperatore. Impossibile, tuttavia, stabilire in che data prefigurasse la sua dipartita, essendo ancora nel pieno delle forze al momento della tragica scomparsa, peraltro non naturale. Plausibile, perciò, supporre che Plinio ne posticipasse la pubblicazione per evitare quanto delineato ma, anche, perché contava di continuarne per molti anni ancora ad arricchirla, aggiungendovi ulteriori apporti. Plausibile, pure, credere che le anticipazioni di alcuni brani, lette magari al cospetto dell'imperatore, gli valsero la nomina ad ammiraglio della prima flotta imperiale: di certo l'opera ed il grado suggeriscono un rapporto causa-effetto con ruoli mutanti nel tempo. Ovvio, infatti, che ad un geografo di vastissin1a e condivisa reputazione venisse accordata, in virtù dei suoi non irrilevanti trascorsi militari, un comando navaJe che im plicava la conoscenza geografica e naturalistica come discipline basilari. Altrettanto ovvio che un comandante del genere potesse, approfittando delle crociere e dei rapporti dei tanti equipaggi, approfondire questioni geografiche in sospeso o non esaminate accuratamente come pure apprenderne di nuove. Ma, questa conclusione trova una parziale smentita in alcuni dettagli cronologici relativi proprio all'ultimo periodo della sua vita e, soprattutto, nella
PA RTE TF;R7.1\ - L ' AMMIRAGLIO GAIO PLl:--J IO O:C I Llù SEC:0:-:Do
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constatazione, per alcuni studiosi dirimente, che l'opera fosse in qualche modo già stata presentata a Tito, appunto tra il 77 -7 8. Infatti: "tutta l'opera è introdotta da una breve epistola dedicatoria, composta certamente al definitivo completamento del testo, quando Plinio decise di presentare la Naturalis historia con i dovuti omaggi al princeps Tito giunto al suo sesto consolato (nel 77 d.C. o l'anno successivo)" 18 • 18
Da A. M ARCHF.ST, C. FRUGONI, G . RANUCCI, Nota .. ., cit., p. LIV
In alto: statua di Tito, Ercolano.
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79 D.C. ROTTA
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POMPE I
Non sarebbe, tuttavia, assurdo supporre che quanto presentato a Tito, ad eccezione della dedica, non fosse ancora completo per la pubblicazione. Si sarebbe perciò trattato di una sorra di anteprima per verificare eventuali reazioni, riserve e gradimenti, in modo da poter eliminare qualsiasi contenzioso futuro, assicurandosi così l'indisturbata prosecuzione della raccolta. Del resto si è motivatamente supposto: "che l'enciclopedia pliniana, sia cresciuta gradualmente dalla prima metà degli anni 50 sino al 77-78, quando l'opera viene cerimoniosamente presentata all'ùnperatore Tito. Nessuna data menzionata nel testo (o avvenimento presupposto) conduce oltre quell'anno, e nessuna traccia di incompletezza costringe ad zjJotizzare una pubblicazi·one postuma. Negli anni della pubblicazione Plinio ha coronato la sua carriera procuratoria e svolge mansioni che lo mantengono molto vicino alla corte, tali da comportare quotidiani incontri con Vespasiano" 19• Plinio, ad ogni buon conto, dovette considerare l'assegnazione al comando navale di Miseno, prestigioso ma non di primaria rilevanza militare, una opportunità straordinaria ed irripetibile per arricchire le sue ricerche. Q uale che fosse la verità in merito, la pubblicazione dell'opera iniziò, effettivamente, all'indomani della sua morte, forse nello stesso 79, forse subito dopo, sull'onda emotiva della tragica ed al contempo coerente fine. Questo dettaglio sembra in netto contrasto col silenzio che, invece, circondò la vicenda. La scomparsa, infatti, non sembra che ebbe, o almeno non sappiamo che ebbe, la debita risonanza e la conseguente riconoscenza sia pubblica che privata. D'altro canto non si può ritenere la morte di Plinio, come per alcuni versi adombra Svetonio, men che onorevole. Con quale ardire, altrimenti, i suoi eredi si sarebbero azzardati a pubblicare quel colossale trattato, affrontando non solo una spesa ingente, e peraltro superflua, ma soprattutto lo scherno, le contumelie e le aspre critiche di quanti si sentivano in qualche modo offesi dal vile comportamento dell'uomo 19
Da A. MARCHESI, C. FRUGONI, G . RA.NUCCT, Nota. , cit., p. LIII.
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Sopra: Morte di Plinio il Vecchio, anonimo, litografia, 1888.
e dell'ammiraglio, prima, e dalla sfacciataggine degli eredi, poi. Quale imperatore avrebbe accettato la dedica di un'opera di un autore discusso e di un militare discutibile? Più verosimile, allora, che il supposto silenzio successivo al tragico evento sia tale soltanto per noi! Non può, perciò, escludersi che proprio la pubblicazione della Naturalzs Historia, all'indomani della morte, fosse la migliore celebrazione ufficiale dello scienziato, avvenuta magari a carico dello Stato. Quanto alla riconoscenza verso il soldato, non trattandosi di una morte in battaglia, quand'anche in soccorso pubblico, non rientrava nei canoni vigenti del valore militare, pur restando eroica. Il manifestarsi della riconoscenza, che il nipote sembra quasi rinfocolare nella riev~cazione a Tacito, se nell'immediato fu esternata dai salvati e dai loro diretti discendenti, si protrasse nel tempo solo per la notorietà dell'impresa. Plinio, pertanto, morì in maniera consona ad un soldato e ad uno scienziato, di sicuro tanto dignitosa e coerente da consentire l'edizione delle 'sue fatiche senza la benché minima riserva o remora, nonché una prestigiosissima carriera al nipote in costante rapporto con l'imperatore, entrambe altrimenti assurde per la risonanza della catastrofe pompeiana e per il gran
numero di personaggi di altissimo rango coinvolti. Constatazione che deve rischiarare positivamente una morte, per tanti aspetti tanto misteriosa. Restò nei ranghi della sua flotta, non sappiamo però quanto a lungo, il ricordo di un ammiraglio che in un pomeriggio d'inizio autunno, salpò con una squadra di quadriremi per dirigere laddove tutti tentavano di fuggire, incurante della furia di un vulcano scatenato. Il nipote lo vide allontanarsi, sprezzante del rischio sul ponte della sua Fortuna, che lentamente si perse nella riera caligine del Vesuvio. Sulla spiaggia di Stabia, nel mattino successivo, la sorte dell'ammiraglio e quella dello scienziato attinsero, contemporaneamente, l'acme della rilevanza. Proprio in quella terribile circostanza i:l dualismo di fondo che fu, per tanti aspetti, la costante connotazione della sua vita e del suo costante criterio d'indagine, si risolsero definitivamente. Le due opposte motivazioni, esattamente come i due serpenti del caduceo, si affrontarono per l'ultima volta. Per il militare fu la prova suprema del coraggio, per lo scienziato quella della verità. Su quella sabbia, sconvolta e tremante, finiva eroicamente la vita dell'ammiraglio che sfida la natura per salvare i suoi simili ed iniziò la leggenda dello scienziato che sfida la natura per carpirne i segreti!
PA RT E TERZA - L'.~ :'-1M IRt\G LIO GAIO PLI N IO CECILI O SECO N DO
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PARTE QUARTA
AI PIEDI DEL-VESUVIO
Ville e darsene Quale fosse stato fino ali' agosto del 79 l'aspetto del litorale tra N apoli e Sorrento non è difficile da immaginare, essendo un susseguirsi continuo di ville private e di costruzioni pubbliche di straordinaria bellezza. Il tipo edilizio adottato, infatti, teneva prioritario conto del panorama, per cui alla tradizionale abitazione romana chiusa, si era sostituita una variante con ampie aperture sul mare e con terrazzi e giardini degradanti stùla spiaggia. Non di rado completavano l'insieme vasche per l'allevamento di pesci e darsene per le imbarcazioni da diporto. Di tale suggestiva architettura, innumerevoli affreschi ci hanno tramandato un ampio repertorio, che in molti casi sembra ispirato proprio da costruzioni concrete. Non mancavano, a brevi intervalli, neppure dei porticcioli propriamente detti, utilizzati saJtuariamente dalle navi della flotta e sistematicamente dai pescatori locali: quello di Ercolano doveva essere di discreta grandezza e di apprezzabile qualità. Simile, e forse anche più riparato, quello più a sud alla base del promontorio di Torre del Greco, ed ancora più a sud l'insenatu ra di Punta Uncino, oggi qu~si insabbiata, quindi la foce del Sarno, con l'antistante isolotto di Rovigliano, e infine il porticciolo di Stabia, nell'area degli Nella pagina a fianco: Bacco e il
Vesuvio, affresco da Pompei. fa questa pagina: affreschi pom-
peiani raffiguranti ville marittirne.
PARTE QUART,\ - Al.I.E F.\LDE DEL V ESUV IO
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attuali cantieri navali. Altre insenature naturali trasformate in darsene private si susseguivano lungo il versante campano della penisola sorrentina, fino all'estremità di Punta della Campanella. Fra le piÚ note quella di Polli.o Felice, presso Massa Lubrense. Prescindendo dall'arretramento e dall'avanzamento della linea di costa, piÚ o meno ampi a seconda della precisa zona, la maggiore modifica della morfologia ambientale verificatasi dal I secolo ad oggi, è relativa alla foce del Samo. All'epoca l'intera contrada appariva come una piccola palude costiera, con acquitrini salmastri, intervallati da basse dtme affioranti. Formalmente, quell'insenatura, rientrando di quasi un chilometro rispetto all'attuale linea di costa, spingendosi quasi a ridosso delle mura di Pompei, originava una sorta di piccolo golfo al centro del golfo In alto: l'Isolotto di Rovigliano, poco distante dalla foce del Sarno, Torre Annunziata, Napoli. A fianco: l'area costiera di Portici; tra Napoli ed Ercolano. Nella pagina a fianco: veduta aerea dei ruderi della villa di Pallio Felice a Massa Lubrense.
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79 D.C. R0T IA SU POMPE I
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di Napoli. Costituendo un ancoraggio spazioso e riparato, una laguna particolarmente pescosa ed al contempo una comoda via d'acqua verso l'interno, essendo il corso del Sarno molto più largo dell'attuale e navigabile, appare probabile che un gran numero di abitazioni fosse insediato in quei paraggi, forse un vero e proprio borgo marinaro. Dalla sia pur schematica descrizione è facile immaginare la pletora d'imbarcazioni, dalla piccola barca alla grossa nave da trasporto, ormeggiata costantemente nei porticcioli tra Napoli e Stabia. E per conseguenza l'entità di quanti per pesca, commercio o svago le utilizzavano quotidianamente, per non parlare di guanti le costruivano e le riparavano nei diversi cantieri distribuiti lungo il golfo. Pertanto, anche trascurando i battelli mercantili, intenti ad un incessante andirivieni da quegli scali, innumerevoli legni a vela solcavano quel mare, costituendo un complemento immancabile delle ville patrizie, esattamente come oggi per le dimore residenziali lungo coste esclusive. In conclusione non faceva difetto alla popolazione della costa vesuviana, a qualsiasi livello sociale e per antitetiche ragioni, né la pratica con il mare né la disponibilità di imbarcazioni: si potrebbe anzi presumere che le vie del mare fossero di gran lunga più frequentate di quelle terrestri! Più complesso ricavare, dalla teoria delle ville marittime e dalla catena dei centri abitati con i relativi porticcioli,
una densità demografica media per l'intera fascia costiera vesuviana. Per Ercolano è stata supposta una popolazione compresa fra i 5.000 ed i 10.000 abitanti, entità appena più modesta di quella di Pompei. Quest'ultima, tuttavia, ritrovandosi alquanto più arretrata rispetto alla spiaggia, gravava meno strettamente sulla stessa, in pratica limitandosi a poco più della sua supposta borgata marittima. Q uanto ad Oplonti e Stabia trattandosi rispettivamente d'una grossa villa e di alcuni casali sparsi, non sembrano eccedere alcune centinaia di residenti in tutto. Una stima prudente, pertanto, farebbe ascendere il totale delle persone, stabilmente presenti tra le pendici del Vesuvio ed il mare, ad una dozzina di migliaia al massimo, distribuite su un arco di una quindicina di chilometri e profondo non più di un paio, da Ercolano e Stabia, attraversato da una strada principale parallela alla costa, come conferma la ]àbula Peuntigeriana1 il cui tracciato non si discostava sensibilmente dalla medievale Strada Regia delle Calabrie, tra Napoli e Per sintetici ragguagli sulla Tabula Peuntigeriana cfr. B. Roma e il suo impero, Bologna 1981, pp. 216-225. 1
In alto: stralcio della Tabula Peutingeriana relativo al Golfo di Napoli. Nella pagina a fianco: veduta aerea dell'area degli scavi di Ercolano.
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PARTE QUt\ RTA - A LLE FA LDE ll EL VESU V IO
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Castellammare di Stabia. Percorso agevole, privo di strozzature e di significative pendenze, capace perciò di assorbire un'ingente massa di traffico, canalizzandolo con w1a comoda e breve passeggiata, verso Sorrento o verso Napoli. In altre parole, partendo dal sito più esposto alle ire del Vesuvio, corrispondente all'odierna Torre del Greco, con due o tre ore di marcia al massimo, chiunque si sarebbe posto al sicuro, cioè al riparo da una catastrofe vulcanica quale quella del 79 !
La linea di costa romana Nel 1859, durante i lavori per la costruzione di un nuovo ponte sul Sarno, affiorarono dapprima alcun i reperti romani, quindi diversi ruderi, che divennero presto più consistenti2. Per una serie di motivazioni quelle scoperte indussero a ritenere che proprio lì, di fronte allo scoglio di Rovigliano, il fiume, prima di entrare in mare formasse un'insenatura, utilizzata come porticciolo di Pompei. Ma i Romani attribuivano la spiaggia in cui si apriva la foce, a Pompei o a Stabia? Di Stabia, come accennato, sappiamo con certezza che venne investita ed espugnata da Silla. Da quel momento decadde ad un gruppetto di casali. Lo stesso Plinio così la rievocava nella sua Naturalis Historiae:
Sebbene apparentemente irrilevante, ai fini dell'indagine è fondamentale stabilire che proiezione avessero quei casali stilla costa e, se possibile, le rispettive giurisdizioni. Un importantissin10 indicatore al riguardo può ravvisarsi nello scoglio di Rovigliano, il piccolo isolotto che si trova a poche centìnaia di metri al largo dell'attuale foce del Sarno, su cui, con assoluta certezza, i Romani prima della catastrofe eressero una qualche costruzione come testimoniano gli estremi lacerti murari in opera reticolata, ancora ben evidenti. In particolare, secondo la maggior parte degli studiosi, nelle sue rocce viene: "in genere identificata la Petra Herculis ricordata da Pli'nio presso Stabiae: l'identificazione rimane però incerta... Nella base della torre è inglobato un muro in accura-
ta opera reticolata di tu/o, inserito nella cortina della scarpata di base della torre di difesa costiera dal lato che guarda verso Sotto: elaborazione gradica della cartografia dell'Officio Topografico del
Regno di Napoli; 1817-19. foglio 82\57. Al di sotto della ricostruzione del profilo costiero antecedente l'eruzione del 79 (ricavato in base ad una sessantina di sondaggi e pubblicati in C. Malandrino, in Neapolis, Soprintendenza Archeologica di Pompei; vol. Il, p. 223 e sgg., Roma 1994) è possibile distinguere il corso e la foce del Sarno prima della rettifica.
"Poi nell'agro campano vi fu la città di Stabia fino al tempo che Gneo Pompeo e Lucio Catone erano consoli' al 30 aprile [dell'89 a.C.J, nel quale giorno Lucio Silla, delegato per la Guerra Sociale, la distrusse, e ora si è trasformata in varie ville"3. Per approfondimenti al riguardo cfr. A. P ESCE, Il polverificio borbonico di ~az/ati e la rettifica del basso corso del Sarno, Scafati 1996, pp. 51-96 ' Da G. PLJNlO S ECONDO, Naturalis historiae, lib. III, 9: "In campano autem agro Stabiae fuere usque ad Cn. Pompeium et L. Ca,honem Consules pridie Kalendas Maii quo die L. Silla legatus bello sociali id delevit quod nunc in villas abiit". 2
Nella pagina a fianco: veduta aerea dell'area archeologica di Pompei.
PARTE QUART,\ - ,\ I. LE F,\LDE lll:L VESUV IO
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Torre Annunziata, munito di una robusta fondazione in concreto con scaglie di pietre calcaree. Di esso è visibile anche lo spiccato di fondazione, a testimonianza dell'antico piano di calpestio, più alto dz· circa 2 metn: rùpetto alla scogliera naturale: il terreno fa evidentemente tagliato e regolarizzato per la costruzione delle opere militari~ che hanno sconvolto l'ùolotto. Nelle vicinanze del muro sono stati recuperati resti di intonaci dipinti. Lo scoglio fu dunque occupato da considerevoli strutture romane del I sec. d. C., distrutte dalla fatale eruzione del 79 d. C., forse pertinenti ad una vzlla" 4 . I.:identificazione dello scoglio con la Pietra d'Ercole e la sua collocazione all'interno di Stabia nasce, paradossalmente, proprio da tm altro brano di Plinio il Vecchio che così recita:
"A. Stabia della Campania, presso la Pietra d'Ercole, i pesci chiamati melanuri mangiano zl pane gettato in acqua e non si accostano a nessun cibo nel quale vi sia infisso un amo"5 .
Da M. PAGANO, Ricerche archeologiche subacquee lungo il litorale stabbiano, in Stabiae: storia e architettura 1749-1999, Convegno In-
In questa pagina: l'isolotto di Rovigliano, antica Pietra d'Ercole, con
La presenza dei pesci certifica la pietra come un grosso scoglio circondato daJ mare e, la sua adiacenza a Stabia, non lascia molti dubbi sulla correttezza della identificazione. Infatti in quel tratto di costa non esiste alcuna roccia sporgente nel mare, come del resto nell'intero golfo di Napoli non esiste un altro isolotto sin1ile, maggiore o minore. Quanto alle sovrastanti costruzioni di epoca romana, ci: "troviamo, evi-
un dettaglio della muratura di epoca romana inglobata nella torre di epoca vicereale.
dentemente, difronte al riutilizzo di materiale da costruzione pertinente ad un edificio di prima età imperiale che occupava
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ternazionale 25-27 marzo 2000, pp.163 -65.
Da G. PUN(O SECONDO, Naturalù. .., cit., .lib. XXIII, 8,17: "In Stabiano Campanie ad Herculls pelram me/anuri in mari abiectum rapiunt, idem ad nullam cibum, in quo hamus sit, accedunt". 5
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l'isolotto: sulla base del noto passo pliniano che n·corda la «petra herculis» nel gol/o stabiano, e di una notizia pubblz'cata in un manoscritto del 1599-1601, relativa al rinvenimento di una statuetta di Ercole, nel corso dei lavori per l'edz/icazi'one della torre vicereale (1564 circa), è possibile ipotizzare che l' edificio di età romana ospitato sull' isolotto di Rovigliano fosse un luogo di culto dedicato a Ercole: edificio in evidente /unzione di segnalazione per la navigazione costiera e di controllo dell'accesso all'area portuale di Pompei: e dunque riferibile territorialmente proprio alla città pompez'ana"6 •
In base ai dati forniti dai ritrovamenti archeologici ed alle diverse trivellazioni di sondaggio effettuate in zona\ si può affermare con discreta sicurezza che il Sarno disegnava, pri6 Da A. FERRARA, Note di topografia stabiana, in Stabiae: storia e architettura 1749-1999, Convegno Internazionale 25-27 marzo 2000, pp. 149. 7 Cfr. G. STEFANI, G. Dr MAJO, in Riv. Studi Pompeiani XIV, 2003, pp. 14.3 e sgg.
In alto: raffronto su foto satellitare del profilo di costa attuale con quello di epoca antecende al 79.
ma di guadagnare la foce, una serie di anse e di meandri, raggiungendo pigramente il mare8, dando perciò origine a ristagni e paludi laterali al corso principale. 9 In particolare:·" il tratto terminale del fi,'ume Sarno, a valle dell'ansa di
Resinaro, rùultava verosimilmente ben definito, infossato tra l'esteso e più antico cordone litoraneo di Bottaro!Pioppaino, oramai inattivo in epoca romana, ed un ulteriore cordone litoraneo di minor estensione ed altezza che, partendo dall'tfJOtizzato estuario del rio Gragnano, ostacolava il de/·initivo sboééo Così descriveva la zona L. A. SENECA, Nat. VI, 1: "Pompeios, celebrem Campaniae urbem, in quam ab altera parte Surrentium Stabiamque litus, ad altera Hen;:ulanense conveniunt et mare ex aperto reductum amoeno sinu c.ingunt..." "Ho udito che Pompei, rinomata città della Campania, verso la quale convergono da un versante la costa di Sor-
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rento e di Stabia, dall'altro quella Ercolanese chiudendo il mare, insinuatosi nella terraferma, con un magnifico golfo..." 9 Ricorda tale palude G. M. COLO!v!ELLI\, De re rustica, X, 133: "Quae du!cis Pompeia palus vicina salinzs Herculeis..." "la deliziosa palude di Pompei vicina alle saline di Ercole... [da intendersi come Orti di Schito] ".
PARTE QUART ,\ - AL LE FALDE DEL V ESUV IO
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del Sarno, deviandolo verso N /in quasi al!'area dei mulini di Bottaio... [dal che] due ipotesi di foce del fiume. La più settentrionale, corrispondente ancora una volta con un meandro del tracciato prerettifica, presenta in destra l'allineamento delle numerose costruziòni del c.d. pagus mariti.mm. !:andamento topografico ricostruito delineerebbe, invece, contrariamente a quanto ritenuto da Iacono, Sogliano ed altri, una tipica conformazione di porto fluviale sul!'estuario del /iurne. La seconda ipotesi presentata, che non esclude la precedente ma potrebbe succedersi ad essa, localizza l'estuario poco più a sud, dove, nonostante le profonde trasformazioni avvenute nettarea in epoca moderna e recente, l'andamento topografico tende ad evidenziare la presenza di probabili barre di foce. Tale soluzione implicherebbe una deviazione naturale o antropica (?) che avrebbe trasformato l'ultimo tratto del fiume in una darsena priva di apporti detritici: -/>antica linea di costa seguirebbe in modo più o meno fedele />attuale isoipsa dei 2.5 m s.l.m. e la relativa piatta/or-
ma di abrasione/ battigia si estenderebbe localmente fino a lambire l'isoipsa dei 4.0 m; -ad E del cordone litoraneo di Bottaro-Pioppaino in un'area depressa, potevano realizzarsi condizioni tali da determinare ristagni ed acquitrini stagionali con l'apporto di acque torrentizie dalla vicina collina di Pompei e dal settore antistante Villa dei Misteri- Villa di Diomede. Sabbie litoranee e successioni palustri consistentemente più antiche sono invece quelle rinvenute alla base della parete lavica del!'area archeologica compresa tra Porta Stabiana e Porta Marina" 10 • In conclusione, in base alle più recenti indagini geologiche sono state formulate alcune ipotesi che non diradano tutte le incertezze vigenti, per cui i lavori di indagine vennero ulteriormente approfonditi, fino a conseguire una più attendibile riformulazione delle linea di costa. 11 Alla fine risultò che si poteva ipotizzare: "un porto ma10
Da G. STEFANI, G . DI MAIO, in Riv. Studi..., ci.e., pp. 163 -67 .
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rittùno nella prima ansa del seno pompeiano nel quale approdavano le navi. Questo porto proprio in vicinanza della serie di magazzini-deposito scoperà nel 1899 era unito a Pompei; alle Saline Herculae, ad Oplon tis ed al territorio vesuviano da una rete stradale che assi·curava un agevole collegamento tra le diverse località ed il porto" 12 • 11 Da Nuovi contributi all'identificazione del litorale antico di Pompei, a, cura di E . FURNARI, in Neapolis temi progettuali; Roma 1999, voi. II, pp, 245-258. 12 Da Nuovi contributi all'identi/icazione... , cit., p. 254, A. C INQUE, F Russo, La linea di costa del 79 d. C f ra Oplonti e Stabia nel quadro dell'evoluzione olocenica della Piana del Sarno (Campania), in Boft_ Soc. Geol. l t. 105, p.111 -121.
In questa e nella pagina precedente: ricostruzione grafica della fauna e della flora alla foce del Sarno. Opere di Patrizio Paoli e Leonardo Finocchi; esposte presso il lvfuseo Archeologico di Boscotrecase, Napoli.
Le avvisaglie della tragedia Come tutti oggi sa.ppiamo perfettamente, e come invece nessuno ali' epoca dei Romani sapeva affatto, un vulcano non si attiva senza una serie di fenomeni prodromici abbastanza espliciti: in particolare sciami sismici prolungati e, progressivamente, sempre più rilevanti e terrifici. Si potrebbe, anzi, affermare che quest'ultimi crescono per intensità ed entità in maniera esponenziale, con l'avvicinarsi dell'evento eruttivo, Nell'imminenza della crisi sono ormai talmente frequenti e violenti da non lasciare adito a dubbi neppure ai meno esperti in materia, costringendo, indipendentemente dalla cognizione della loro origine, una gran parte dei residenti ad allontanarsi dalla zona. Essendo il quadro sintomatologico una costante del vulcanesimo, sia pure con diverse varianti marginali, è lecito ritenere che anche nel 79 a.C. quelle sinistre premesse fossero in sostanza onorate dal Vesuvio. Peraltro trattandosi nella
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Sopra: il Vesuvio visto dagli scavi di Pompei. Nella pagina a fianco: veduta satellitare del Vesuvio.
diversa, dal momento 'c.he il suo cono si sarebbe: "formato solo in seguito alt'eruzione del 79 e che perciò quando gli' scrit-
circostanza, più che di una vera eruzione, di una catastrofe vtÙcanica, di un'esplosione di inimmaginabile violenza, la .loro magnitudo dovette risultare, se mai, persino maggiore e più duratura. Assurdo, pertanto, credere che nessuno fosse intimorito da quel crescendo sismico, che nessuno ne percepisse, se non i.l sinistro suggerimento, per lo meno la generica quanto terribile minaccia! Si obietta, generalmente, che il Vesuvio da moltissimi secoli giaceva, coperto da tma lussureggiante vegetazione, in una fase di assoluta quiescenza, per cui anche morfologicamente non ricordava minin1amente un vulcano, ammesso che qualcuno sapesse pure cosa fosse un vulcano. Un aspetto che noi non possiamo in alcun modo immaginarci, essendo drasticamente diverso dall' odierno. Quanto c'è, però, di esatto in queste affermazioni? Come accennato, si è da più parti affermato che prima della catastrofe la co1motazione del Vesuvio fosse radicalmente
tori più antichi parlano del Vesuvzò, intendono riferirsi al Somma. Quanto questo punto di vista si fondi su basi geologiche, qui ovviamente non·può essere indagato. Tuttavia i geologi notoriamente sono per lo più /in troppo disposti a trarre dai passi controversi degli antichi, conclusioni di ampia portata e a riferire ad età storica mutamenti della crosta terrestre che risalgono a tempi di gran lunga anterzòri ad ogni tradizione storica. Contro siffatta tendenza non si può mai ribadire con la necessaria energia che nelle descrizioni del Vesuvio che l'antichità c1: ha tramandato, e particolarmente nelle notizie sulla prima eruzione del 79, non si trova proprio nulla che possa autorizzarci a supporre un così radicale mutamento nella natura del monte. Immaginiamoci inesistente il cono del Vesuvio: la fisionomia del paesaggio del golfo di Napoli si muterà fino ad essere irriconoscibile. E proprio questo particolare avrebbero omesso di menzionare gli antichi~ e specialrnente Plinio che ci ha descritto la prima eruzione con tanta fedeltà? Prescinden-
PMU E QUARTA - ALLE FALDE DEL VESlJ\'lù
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do poi del tutto dal /atto che la descrizi!)ne del monte in Strabone... presuppone comunque la presenza di un cono di cenere. Probabilmente l'eruzione del 79 non è neppure la prima dell'éra storica; tutto /a supporre piuttosto che zl Vesuvio era già attivo quando i Greci posero piede sulla costa della Campania. Diodoro narra, in/attz; rifacendosi a Timeo, che la Pianura Campana si chiamava (Phlegraea' dal 'monte oggi detto Vesuvio e che un tempo ha vomitato un gran fiume di fuoco come l'Etna in Sicilia; e ancora oggi esso conserva molte tracce dell'antico incendio... "13 Strabone, dal canto suo, compose una descrizione del sito prima del 79, ricordando che: "tra Pompei ed Hercolaneum si trova il Vesuvio, tutt'intorno rnagnzficamente coltivato ad eccezione della vetta... in gran parte spianata ... del tutto sterile come un campo di cenere, e presenta caverne di pietre, simili a voragini; di colore fuligginoso come se fossero corrose dal fuoco. Quindi si può giustamente concludere che il monte in un primo tempo ha bruciato ed ha avuto un cratere attivo che poi si è spento quando il materiale igneo si è esaurito. Forse è proprio questa la causa della fertilità dei terreni circostanti, come a Catania la cenere decomposta dell'Etna ... "14 3 ' J. BELOCH, Campania. Storia e topografia della Napoli antica e dei suoi dintorni, ristampa Napoli 1989, p. 245. 14 Da J. B ELOCH, Campania ... , cir., p. 250.
In alto: Vesuvio prima dell'eruzione del 79 d.C visto da occidente. I..:affresco originale, trovato a Ercolano, è sparito. È riprodotto in una incisione del 1799 nell'opera "Le pitture di Ercolano e dintorni", Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, Napoli.
Le navi della flotta, che continuamente solcavano il golfo di Napoli, avranno pur avuto tra i loro tanti marinai qualche siciliano, originario delle falde dell'Etna in grado di ravvisare in quel curioso cono un fratello minore del Mongibello ! In base alla recente esperienza, il protrarsi di appena un secolo della quiescenza eruttiva del Vesuvio, è più che sufficiente a farne ricoprire le pendici da una fitta vegetazione che cancella, quasi del tutto, le rossastre lave solidificate. Nessuna difficoltà ad immaginare quanto lussureggiante fosse divenuta la copertura boschiva del Vesuvio negli oltre quattro secoli d'inattività precedenti la catastrofe del 79. Ma quella tinteggiatura verde non poteva alterarne l'inconfondibile profilo vulcanico! Logico concludere, quindi, che almeno alcw1i eruditi immaginassero la malcelata tipologia orogenetica alle spalle della strana configurazione del Vesuvio che, come certificano alcuni affreschi di Pompei, non differiva molto dall'odierno profilo. E se l'inesatta identificazione della natura della montagna potrebbe ammettere qualche attenuante, non così un'eruzione ben nota anche all'epoca. Plinio, per la sua inesauribile curiosità, più e meglio degli altri doveva sapere e conoscere, con sufficiente completezza, le caratteristiche deUe eruzioni vtùcaniche. La conclusione, paradossalmente, appare perciò di sconcertante modernità: molti, allora come ora, sapevano cosa fosse un vulcano e che il Vesuvio fosse appunto tale, ma non ne temevano i furori reputandolo spento definitivamente o quiescente a tempo indeterminato! Discorso alquanto più articolato e complesso per i segni premonitori. Sappiamo da un racconto di Seneca che la
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e
zona vesuviana fu devastata da un terribile terremoto nel 62 d.C. L'evento di per sé non appare eccezionale, essendo l'intera regione fortemente sismica. Potrebbe, perciò, tranquillamente rientrare in uno dei tanti terremoti di origine tettonica, che si succedono con una ricorrenza approssi mativamente trentennale, se non fosse per un singolare ed anomalo dettaglio. Dunque stando a Seneca:
"alcune ville, sz: sono crollate; altre, qua e là, hanno avvertito la scossa, ma senza subire danni. A ciò si aggiun-
gano queste altre conseguenze: un gregge di numerosissime pecore morto asfissiato... "15 I crolli delle costruzioni sono lo scenario estrinsecativo precipuo dei sismi: la morte di intere greggi, sicuramente 15 La citazione è tratta da L. A. SENECA, Nat. quest, VI, 1, traduzione di A.Traglia. Da M. CAROTENUTO, Ercolano e la, sua storia, Napoli 1984, p. 20.
In alto: bassorilievi rinvenuti a Pompei ed illustranti il sisma del 62 d. C.
P:\RTI; QU,\ llTA - A LLE FA LDE DEL VESUVJO
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all'aperto, per intossicazione da gas venefici, invece, non lo sono affatto. La manifestazione è tipicamente vulcanica ed in quanto tale riconduce al Vesuvio anche il terremoto. E questo evento, tramandatoci soltanto per la sua eccezionale violenza, fu perciò senza dubbio iJ primo e forse il maggiore sintomo che .la pressione interna stava crescendo poderosamente già da quasi un ventennio. Impossibile, tuttavia, recepirlo all'epoca nella sua giusta valenza prodromica. Di recente, tuttavia, è stato osservato che ancora nel 79 Pompei appariva come un immenso cantiere edile, attività che difficilmente però può relazionarsi al citato si' sma. Infatti: "in tal caso si dovrebbe ammettere che Pompei;
città ricchissima, fosse stata incapace per cosi' tanti anni di trovare le risorse oltre che la volontà per far fronte all'opera di ricostruzione, lasciando quindi in completa rovina il tessuto socio-econornico della città. Risulta inoltre alquanto singolare che, dopo anni di apatia e stasi; atl'ùnprovviso moltissimi privati in diverse parti delta città abbiano dato inizz'o contemporaneamente ai lavori di restauro relativi ad un evento di tanti anni prima. Di recente, un'analisi tecnica condotta su vari edifici di Pompei ha permesso di riconoscere, nelle murature e nei decon; tutta una serie di restauri non collegabili' ad un unico evento s{11nico, quello del 62 d.C., ma ad un'attività sismica successiva e già da molto tempo frequente e intensa, che difatti era diventata un deterrente alt'avvio di una rapida e organizzata ricostruzione della città." 16 Al riguardo vi è da osservare che non può essere casuale l'introduzione nella tecnica edilizia pompeiana ed ercolanese delle intelaiature in legno nei muri portanti, opus craticium, soluzione che, col nome di case baraccate1i, verrà reintrodotta dapprima in Portogallo dopo il terrificante terremoto del 1755 e poi prospettata nel regolamento edilizio borbonico del 1783, e riconosciuta come discretamente antisismica per le costruzioni di modesta altezza. Quanto agli sciami sismici, che precedono un'eruzione, sappiamo proprio dalla seconda lettera di Plinio il Giovane che, almeno nel corso della settimana precedente la catastrofe, se ne percepirono anche a Miseno, cioè a quasi 30 km dal cratere del Vesuvio, con crescente frequenza. Logico supporre che alle sue pendici la loro percezione fosse ancora più netta e terrificante: difficile resistere a lungo a tale supplizio, soprattutto laddove, n1eno di venti anni prima, l'abitato era stato devastato con innumerevoli morti e feriti. Non a 16
Da G . RrccrARDI, Diario del ì\!lonle Vesuvio, venti secoli di ùnmagini e cronache di un vulcano nella città, Napoli 2009, voi. I, p. 32. 17 Cfr. F. Russo, A prova di scossa, in ARCHEO 296, pp. 106-113. A fianco: mura intelaiate in opus craticiuin, ad Ercolano e Pompei. Nella pagina a fianco: affresco con nave onenaria a vela.
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caso Plinio il Giovane ricorda, nella sua prima lettera, che tm certo Pomponiano, la cui villa si trovava nei pressi di Stabia forse addirittura non lontano della foce del Sarno, aveva già caricato quanto di più prezioso possedeva su alcune sue navi. Essendo a vela attendeva, con comprensibile ansia, il vento propizio per allontanarsi dalla paventata minaccia. Spesso, in seguito ad un evento sismico, la gente fugge dalla propria abitazione, soggiornando nei paraggi per qualche giorno ali'aperto, in attesa del ritorno della nonnalità. Se, però, oltre a fuggire si porta dietro gli oggetti di valore, come accade ad esempio nelle traversie belliche, significa che ha maturato la motivata certezza di una incombente catastrofe irreversibile. Pomponiano 11011 reagì istericamente alle continue scosse, né tradì una sua debolezza psicologica, né meno che mai presagì. la tragedia: si limitò a valutarne la devastante potenzialità in base alle eloquenti premesse e si regolò di conseguenza. Come lui tanti altri attinsero la medesima conclu sione, ma diversamente da lui non avendo granché da salvare e non avendo proprie imbarcazioni, si allontanarono a piedi. È verosimile stimare che una ril~vante aliquota di abitanti il 24 agosto del 79 fosse già abbastanza lontana dal Vesuvio, forse rifugiata sui prospicienti monti Lattari, forse sfollata verso N apoli o Sorrento, in ogni caso a distanza di sicurezza . Una valutazione prudente indurrebbe a ritenere i rimasti meno della metà degli
PARTE QUARTA - ALLE FALDE DEL \'ES U\ ' 10
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abituali residenti, percentualmente di più a Pompei che ad Ercolano, essendo la seconda una cittadina di vacanza. 18 In conclusione poche migliaia di persone in tutto, che non vollero o non potettero abbandonare per tempo le loro abitazioni perché troppo ricchi per volerlo fare o perché troppo poveri per poterlo fare: ricchi patrizi e miseri schiavi!
Il principio della fine Alcune decine di anni dopo la morte di Gaio Plinio Secondo, Tae::ito chiese al nipote una rievocazione di prima mano sulla fine del suo illustre parente, che la riassunse in-due lettere dando prova di una lucidissima memoria. O, più probabilmente, di disporre di un minuzioso diario nel-quale erano confluite, oltre alla sua personale testin10nianza, anche quelle di quanti, a vario titolo, condivisero le ultime ore di vita dell'ammiraglio ed, in particolare del suo segretario che scriveva costantemente quello che lui gli dettava. In quale altro modo avrebbe potuto sapere, così dettagliatamente, cosa aveva fatto lo zio dopo la partenza da Miseno, senza attendibili e puntuali rievocazioni da parte 18
Circa .l e aspetti urbanistici e residenziali di Ercolano dr. M. PAGli scavi di Ercolano, Napoli 2004, pp. 4-15 .
GANO,
Sotto: calco in gesso dei resti di uno schiavo in catene. Ercolano.
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di chi gli era stato a fianco fino alla morte? Anche ammettendo che l'intera narrazione fosse stata inventata di sana pianta dal nipote, uno storico come Tacito sarebbe stato talmente ingenuo da crederla ciecamente, senza neppure domandare la fonte delle notizie? Richiesta oltremodo legittima per l'entità delle vittime! Dunque, la prima lettera di Plinio il Giovane non solo ripercorre, quasi istante per istante, l'intera operazione di soccorso, ma implicitamente accredita la salvezza di molte persone proprio grazie ad essa! Come credere allora che, con tanti testimoni oculari ancora in vita, una immeritata esaltazione del ruolo sostenuto dallo zio, o peggio un suo millantato comportamento eroico; sarebbero passati incontestati? Del resto, già l'interesse di Tacito costituisce una conferma della gloria che circondava la memoria dell'Ammiraglio. Quale storico, altrimenti, avrebbe sollecitato un illustre personaggio a rievocare un'azione vile di un suo consanguineo che, da tempo, per ovvie ragioni cercava invece di cancellare o di far dimenticare completamente? Senza dubbio: "le let-
tere di Plinio zl Giovane sono un piccolo capolavoro letterario, cosciente com'era di passare alla storia e all'eternità con la sua narrazione. Purtroppo, non sono molto precùe. Molti/atti storici sono stati raccontati apposta imprecisi, o enfatizzando solo certi a.spetti giudicati più degni di essere tramandali. La recente critica delle lettere pliniane sull'eruzione vesuviana... ha evidenziato questo a.spetto quasi sacrificale di certe verità per znsi-
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stere su altre prmpettive che dovevano rendere la figura dello zio un vero eroe, oltre che vittima delta sàagura" 19 . La critica, in ultima analisi, è la medesima che si eleva ad un qualsiasi reportage, tacciato, sistematicamente, di alterare la realtà in funzione della spettacolarità, della ideologia o dell'interesse. I fatti, però, a differenza delle motivazioni e delle intenzioni, nella loro essenzialità non possono essere stravolti, soprattutto quando sono ancora vivi molti dei protagonisti. Plinio il Giovane non accenna alla sorte di Ercolano e di Pompei, né a quanti effettivamente vennero salvati grazie al sacrificio dello zio, né spreca una parola sulle sue eventuali onoranze funebri, forse perché aspetti della vicenda ben noti. Ciò che gli preme rievocare è l'eroica con clusione di un'esistenza straordinaria, la magnanimità del protagonista ed il suo grande altruismo, connotazioni che, invece, fino ad allora pochi conoscevano. Premise perciò all'esposizione questo breve ringraziamento:
"Caio Plinio saluta il suo caro Tacito Tu vuoi ch'io ti narri la morte di mio zio per tramandarla più veridicamente ai posteri. 'lè ne sono grato; ben so in/atti che, divulgata da te, la sua morte avrà gloria imperitura. Benché egli sia perito in quella rovina di sz' splendide contrade, e sia per ciò destinato a perpetua memoria come le popolazioni e come le città dùtrulte in quel memorando disastro, e benché abbia egli stesso composto gran numero di opere che resteranno, pure molto aggi·ungerà alla futura sua gloria l'eternità degli scritti tuoi. Fortunati io credo coloro ai quali gli" Dei hanno concesso il dono o di compiere cose degne d'essere raccontate o di scnvere cose degne di essere lette; ma più assaiJòrtunati quelli che ebbero l'uno e l'altro dono. Nel novero di questi sarà mio zio per i suoi libri e per i tuoi. Più di buon grado per ciò accetto, ed anzi sollecito da te ciò che mi domandi'JJ.0. Esaurita la premessa, che adombra il criterio informatore della rievocazione tesa alla celebrazione dell'eroismo dello zio, evitando narrazioni risapute, inizia l'esposizione con un taglio da inviato special.e.
'"Sz· trovava a Miseno ed esercitava il comando della flotta. Il nono giorno innanzi alle calende di settembre21, verso l'ora settima, mia madre gli indicò un nembo che 19 Da C. A w TSATI, Plinio il Vecchio. il mistero dello scheletro scoperto sulla Marina di Pompei Antica, Ercolano 2001, p . II. 20 Da G. VITAU, La lettemtura di Roma, Milano 1961, voi. II J..:età imperiale, p. 6.39. Epist., VI, 16. 21
Fino a pochi anni or sono la data della catastrofica eruzione era
era apparso, di grandezza e dz· aspetto straordinario. Egli: dopo avere preso un bagno di sole e poi uno freddo, aveva preso a letto un breve pasto e stava studiando; si fa portare i calzari e ascende su di un luogo da cui si poteva osservare pet/eltamente l'eccezionale spettacolo. Si innalzava una nube (non si capiva bene, guardando da lontano, da quale monte, e si seppe poi che era il Vesuvzò)2 2, della quale nessun altro albero meglio del pino avrebbe reso Za forma e l'a!ipetto. Infatti; drizzandosi in su come con un lunghissimo tronco, si allargava poi rarm/t:Cando: credo perché, spinta dapprima in alto stabilita nel 24 agos to, ma una serie di riscontri recenti, tutti altamente probanti, hanno fatto posticipare l'evento collocandolo tra la metà di ottobre ed i primi di novembre. Oltre cale epoca l'uscita delle quadriremi sarebbe risultata impossibile essendo già state tirate in secco per la pausa del mare clausum che andava clall' 11 di novembre al 9 di marzo. Cfr. F. R. V EGEZJO, J..:arte della guerra, IV, .39. 22 Essendo poco credibile che l'unica montagna sovrastante il centro del golfo di Napoli, avesse un nome ignow agli abitanti di Miseno, ed in particolare agli ufficiali della flotta si deve propendere per un'altra interpretazione. I..:esplosione freatomagmatica che segna l'inizio del fenomeno , determina il formarsi di una densa e spessa nube che nasconde completamente iJ Vesuvio e le aree limitrofe. Pertanto, quando subiw dopo si ebbe l'emissione dell'altissima colonna di vapore, fu impossibile stabilire da dove esattamente scaturiva, cosa che avverrà solo in un secondo momento dopo il diradarsi della nube.
In alto: ritratto di Plinio il Giovane.
PARTE Q l ;J\R IA - ALI.le h\LDE DE I. \'bSU\'10
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da un soffio impetuoso e poi dallo scemare di questo abbandonata a sé stessa oppure vinta dal proprio peso, sfumava allargandosi: talora candida, talora torbida e chiazzata, secondo che avesse sollevato terra o cenere. Nella sua profonda passione per la scienza, stimò che si trattasse di un fenomeno molto importante e meritevole di essere studialo più da vicino. Ordina che gli si prepari una liburna e mi offre la possibilità di andare con lui~ se lo desiderassi. Gli ri.\posi che preferivo attendere ai miei studi e, per caso, proprio lui mi aveva assegnato un lavoro da svolgere per z'scritto. Mentre usciva dall'abitazione, è raggiunto da un messaggio di Rettina (o Rectina), atterrita dall'imminente pericolo. Effettivamente, la sua villa era sotto il monte e l'unica via di scampo erano le navi. La preghiera era salvami dal rischio estremo. Egli cambia idea: all,ansia dello scienziato subentra lo spirito del!' eroe. Fa uscire
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o.e. ROT TA su
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in mare delle quadriremi23 e vi sale egli stesso, per venire in soccorso non solo di Rettina ma di molta gente, poiché quel litorale in grazia della sua bellezza, era fittamente abitato. Si a/fretta colà donde gli altri fuggono e punta la rotta e il timone proprio nel cuore del pericolo, così immune dalla paura da dettare e da annotare tutte le evoluzi·oni e tutte le configurazioni di quel cataclisma, come riusciva a coglierle successivamente con lo sguardo. Le quadriremi contrariamente a quanto il nome sembra suggerire, non avevano quattro ordini di remi, ma i soliti tre. Avevano invece quattro uomini alla loro manovra, forse due per quello superiore con remi più hmghi. Pertanto le dimensioni delle quadriremi erano identiche a quelle delle triremi, per cui .la scelta deve attribuirsi alla maggiore potenza, fornita da alu-i 60 uomini, dettaglio che conferma l'opinata scelta di Plinio in relazione alle condizioni d'impiego e marittime.
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In alto: affresco con matrone. Vi/La di Arianna, Stabia.
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Ormai; quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano anche pomici e pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco, e si era creato un bassofondo ùnprovvùo e una /rana della montagna impediva di accostarsi al litorale. Dopo una breve esitazione, se dovesse ripiegare all'indietro, al pi'lota che gli suggeriva quell'alternativa, tosto replicò: <<La fortuna aiuta i prodi, dirigi sulla dimora di Pomponiano»24 . Questz· si trovava a Stabia; dalla parte opposta del golfo (giacché il mare si inoltra nella dolce insenatura forma ta dalle coste arcuate a semicerchio); colà, quantunque il pericolo non fosse ancora vicino, siccome però lo si poteva scorgere bene, ci si rendeva conto che, nel suo espandersi era ormai imminente. Pomponiano aveva trasportato sulle navi le sue masserizie25, determinato a fuggire non appena si fosse calmato il vento contrario. Per mio zio invece questo era allora pienamente favorevole, cosi che vi giunge, lo abbraccia tutto spaventato com'era, lo con/orta, gli fa animo, per smorzare la sua paura con la propria serenità, si fa calare nel bagno: terminata la pulizia prende posto a tavola e consuma la sua cena con un fare gioviale o, cosa che presuppone 24
La frase é la citazione, dell'esortazione che Turno rivolge ai suoi uomini spronandoli ad attaccare Enea, V1RGJLIO, Eneide, X, 284. Evidente quindi che Plinio gioca sul nome della nave per incoraggiare l'equipaggio, risultando altrimenti fuori luogo quel motto! 25 Dal momento che il decidere di porre in salvo sulle navi gli oggetti preziosi e l'attuarlo, richiedono un discreto lasso di tempo, si deve concludere che almeno da uno o due giorni i prodromi della catastrofe erano non solo evidenti ma anche eloquenti!
In alto: affresco con triremi in forma zione. Pompei.
una grandezza non inferiore, recitando la parte delt'uomo gioviale. Nel frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime strisce di fuoco e degli z·ncendi che emettevano alte vampate, i cui bagliori e la cui luce erano messi in risalto dal buio delta notte. Egli, per sedare lo sgomento, insisteva nel dire che si trattava di fuochi lasciati accesi dai contadini nell'affanno di mettersi in salvo e di ville abbandonate che bruciavano nella campagna. Poi si abbandonò al riposo e riposò di un sonno certamente genuino. In/atti il suo respiro, a causa della sua corpulenza, era piuttosto profondo e rumoroso, veniva percepito da coloro che andavano avanti e indietro sulla soglia. Sennonché il cortile da cui si accedeva alla sua stanza, riempiendosi di ce~eri miste a pomice, aveva onnai innalzato tanto il livello che, se mio zio avesse indugiato nella sua camera, non avrebbe più avuto la possibilùà di uscirne. Svegliato, viene fuori e si ricongiunge al gruppo di Pomponiano e di tutti gli altri; i quali erano rimasti desti fino a quel momento. Insieme esaminano se sia preferibile starsene al coperto o andare alla ventura allo scoperto. Infatti; sotto l'azione di frequenti ed enormiscosse, i caseggiati traballavano e, come se fossero stati sbarbicati dalle loro fonda1nenta, lasciavano l'impresszòne di sbandare ora da una parte ora dall'altra e poi di ritornare in sesto. D'altronde all'aperto cielo c'era da temere la caduta di pomici; anche se erano leggere e corrose,· tuttavia il confronto fra questi due pericoli indusse a scegliere quest'ultimo. In mio zio una ragione predominò sull'altra, nei suoi compagni una paura s'impose sull'altra. Si pongono sul capo dei cuscini e lz' fissano con dei capi di biancheria,· questa era la loro difesa contro tutto ciò che cadeva dall'alto ...
PA RTE QUA RTA - ;\ I.LE FA LDE DEL VESUVIO
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Altrove era già giorno, là invece era una notte più nera e più fitta di qualsiasi notte, quantunque fosse mitigata da numerose fiaccole e da luci di varia provenienza. Si trovò conveniente di recarsi alla spiaggia ed osservare da vicino se fosse già possibile tentare il viaggio per mare; ma esso perdurava ancora sconvolto ed intransitabile. Colà, sdraiato su di un panno steso a terra, chiese a due riprese del!'acqua fresca e ne bevve. Poi delle fiamme ed un odore di· zolfo che preannunciava le fiamme spingono gli altri in fuga e lo ridestano. Sorreggendosi su due sempli'ci schiavi riusd a rimettersi in piedi; ma subito stramazzò, da quanto io posso argui"re, l'atmosfera troppo pregna di cenere gli soffocò la respirazione e gli otturò la gola, che era per costituzione malaticcia, gonfia e jpesso i'nfiammata. Quando riapparve la luce del sole (era il terzo giorno da quello che aveva viso per ultimo) il suo cadavere fa ritrovato intatto, illeso e rivestito degli stessi abiti che aveva indossati: la maniera con cui si presentava il corpo faceva pensare ad uno che dormisse e non ad un morto"26•
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Da G. Vitali, La letteratura ... , cit., pp. 640-4 1.
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7'l D.C . RO I I ,\ S lJ POMl'l·.l
ln alto: 22 Marzo 1944, veduta notturna del Vesuvio in eruzione: le chiazze luminose sono dovute alla ricaduta di lava incandescente (da A .Pesce, Vesuvio 1944, l'ultima eruzione, 1994). Sopra e nella pagina a fianco: lanterna ad olio portatile rinvenuta ad Ercolano, inv. 76630 e relativa ricostruzione virtuale.
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I TEMPI DELLA CATASTROFE di Giovanni P Ricciardi'
·-La ricostruzione delle sequenze stratigrafiche di vari siti attorno al vulcano, supportata dalle fonti scritte che ci sono pervenute, ha permesso una ricostruzione di dettaglio delle tre fasi principali delle otto unità eruttive (EU) e dei tempi di deposizione dei prodotti della catastrofe del 79. L'inizio dell'eruzione, intorno a mezzogiorno di una data autunnale, compresa tra il 24 ottobre e l'l novembre, è caratterizzato da forti esplosioni freatomagmatiche dovute all'interazione del magma in risalita con 1' acquifero superficiale. Questa fase di apertura del condotto, a livello stratigrafico, produce un'unità eruttiva (EUl) composta da ceneri sottili molto umide da caduta, che si disperdono a est del vulcano (secondo i venti dominanti di bassa quota) e da flussi scorsi lungo le pendici meridionali del vulcano. Per la particolare conformazione geomorfologica di Ercolano, un promontorio lin1itato da entrambi i lati da due fiumi, i flussi piroclastici della prima unità eruttiva vengono canalizzati in questi alvei defluendo così verso la fascia costiera senza interessare il centro abitato. A questo punto, per i residui abitanti della città, Ia fuga verso Napoli è praticamente preclusa e l'unico modo di salvarsi è via mare. Intorno alle ore 13, inizia la fase pliniana dell'eruzione con una colonna eruttiva sostenuta, alta oltre 20 km, che deposita al suolo ceneri e pomici bianche (deposito EU2f), principalmente verso ESE, secondo la direzione dei venti dominanti di alta quota. In conseguenza della dispersione, questa unità eruttiva è presente in tutti i siti archeologici escluso Ercolano. L'ammiraglio Plinio, dopo aver ricevuto una segnalazione semaforica urgente di aiuto, con le quadriremi della flotta fa rotta verso i porti vesuviani per condurre gli abitanti a bordo delle navi militari (a vela e remi), le uniche in grado di poter • Geofisico dell'Osservatorio Vesuviano-INGV Nella pagina a fianco : cmve isopache della ricaduta di materiale piroclastico dell'eruzione del 79 d.C., in base ai sedimenti riscontrati.
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navigare contro vento e capaci, con le lance di salvataggio, di atterrare sulle spiagge rese inaccessibili probabilmente dalle deformazioni dei fondali e dai detriti. Nel tardo pomeriggio inizia l'imbarco dei rimanenti abitanti, rifugiatisi al coperto: ma sul far della sera l'eruzione evolve nella sua fase più drammatica. Per una variazione nella composizione chimico-fisica del magma arrivato in superficie, alcune parti più dense della colonna eruttiva cominciano a collassare e formano correnti piroclastiche che scorrono, radiahnente, lungo le pendici del vulcano ad alta velocità e con temperature comprese tra 200°- 300° C. L'opera di salvataggio é perciò bruscamente interrotta: le quadriremi con gli scampati sui ponti di coperta si ritirano, lasciando lungo la riva centinaia di morti. L'ammiraglio PJjnio, invece, é ormai nei pressi di Stabia, dove si trova l'abitazione dell'amico Pomponiano. Questo flusso piroclastico (deposito EU2/3 pf) segna l' inizio della seconda fase dell'eruzione, caratterizzata dall' emissione di pomici grigie e ceneri con una colonna pliniana sostenuta che supera i 30 km. Pomici e ceneri continuano a cadere per tutta la notte fino all'alba del giorno successivo, con asse di dispersione verso sud-est. Oplonti, Pompei e Stabia sono le città più colpite e numerosi sono i morti (394 vittime ritrovate) per il crollo di tetti e muri per l'aumento di carico e per la forte attività sismica. Questa fase dell'eruzione è riconoscibile con un livello da caduta (deposito EU3f), formato da pomici grigie, a cui sono intercalati depositi da corrente piroclastica (EU3pf), prodotte dai continui collassi della colonna eruttiva che, per tutta la notte, scorrono lungo le pendici del VlÙcano distruggendo le ville rustiche e gli abitati attorno al Vesuvio. Durante la mattinata, la colonna eruttiva collassa completamente e l'ultima di queste correnti piroclastiche, raggiunge anche Pompei devastandola. Quest'ultima fase eruttiva determina il significativo svuotamento del condotto e della camera magmatica con conseguente allargamento della caldera e diminuzione dell'at-
tività eruttiva e sismica per alcune ore. M.olti sopravvissuti di Pompei e Stabia, rimasti chiusi in luoghi fino ad allora sicuri, cominciano a vagare per la città e per i campi, nel tentativo di un'estrema fuga; rnm1erosi di essi presentano gravi ustioni e grosse difficoltà respiratorie per l'alta concentrazione di ceneri nell'aria. La cessazione di questo stadio a carattere prevalentemente magmatico segna un drastico cambiamento nello stile e nella modalità dell'eruzione. Infatti i depositi delle successive unità eruttive (da EU4 a EU8) suggeriscono che sia avvenuto l'ingresso di acqua dal mare o dall'acquifero nel condotto, per la decompressione da svuotamento della camera niagmatica, con conseguente innesco di esplosioni freatomagmatiche e forte attività sismica. Si generano una serie di correnti piroclastiche diluite e turbolente, che scorrendo radialmente seguono la nuova morfologia del terreno e inglobano oggetti e depositi presenti lungo il cammino. Le prime di queste correnti (deposito EU4), emesse nella tarda mattinata del secondo giorno dell'eruzione, si spingono oltre Pompei uccidendo i numerosi abitanti (650 vittime ritrovate) , ancora presenti in città e lo stesso Plinio accampato lungo la cost,1 tra Pompei e Stabia. Le ultime fasi dell'eruzione e le numerose colate di fango post eruttive sigillano sotto alcuni metri le città vesuviane per molti secoli.
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79 D. C. RQTT.-1 SU POMPEI
EU 8
Esplosioni freatoma~mauche fmali Nubi di cenere a bassa cnc1grn, con (L!Spers1one p1evalentememe meridionale
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_....,.....,,,."""-Flusso piroclastico ad alta energi~ lungo i settori rned· dionale e orientale del vulcano. 1, 1ubi cli cenere hanno _probabilmente raggiunto miseno.
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Fase 2
Flusso piroclastico turbolento incana latosi lungo i versami del vulcano. Inizio del collasso calderico. Flusso piroclasrico lllr· bolcnto a dispersione pressocché rad iale. Distruzione totale dell area di Pompei e Stabia. Dense nùbi di cenere raggiungono lvliseno. f ase di colonna pliniana sostenurn. Pomici grisie da caduta con asse di dispersione orientato a SE, che hanno in parte sepolro in sediamenti a sud del vulcano, intercalate a depositi da flusso piroclastico generati dal collasso p arziale della colonna che hanno raggiunto e seppellito Ercolano. La fosc si conclude con il collasso totale della colonna.
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Fase l
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Sopra: Stratigrafia generale dei depositi dell'attività eruttiva dell' eruzione del 79 d.C. (Cloni et. 1992) con cronologia modificata. Sotto: ricostruzione virtuale. /.:operazione di Plinio vista da Miseno.
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Ricostruzione virtuale di un'eruzione pliniana con DEM del Vesuvio attuale. Da V De Novellis e G. Di Donna, Terno secco al Vesuvio, Napoli 2006.
PAIU E QL:A RTA - ALLE FALDE DEL VESUVIO
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SCANSIONE CRONOLOGICA DEL 24-25 AGOSTO SECONDO LA RIEVOCAZIONE DI PLINIO IL GIOVANE: A - Avvistamento del fenomeno e ordine di armare una liburna. B - Trasmissione di richiesta di aiuto e uscita detle quadriremi. C - ImpossibilitĂ di atterrttggio ad Ercolano.
D - Decisione di scaglionare la squadra e raggiungere Stabia. E - Il primo surge del Vesuvio raggiunge Ercolano uccidendone gli abitant/ F - La nube di cenere si propaga nel golfo. Plinio muore a Stabia.
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PARTE QUINTA
L'OPERAZIONE DI SOCCORSO
Quel mattino d) autunno di Plinio Dunque, stando alle più recenti e accurate analisi vulcanologiche ed alle indagini geo-archeologiche degli tùtimi anni, la catastrofe del 79 se non fu del tutto improvvisa, si estrinsecò in una maniera che possiamo ritenere, per l'epoca, subitanea e scarsamente prevedibile. Per l'epoca non significa affatto che oggi il fenomeno ha assunto un andamento più lento, divenendo perciò meno pericoloso, ma soltanto che gli attuali strumenti scientifici permettono di percepirne ed identificarne per tali anche le fasi prodromiche embrionali1. Perché allorquando le manifestazioni eruttive divengono tmrnnamente sensibili, il tempo residuo per l'evacuazione scade a pochissimi giorni, forse persino meno, ora come allora. È questo, in definitiva, il vantaggio di cui noi godiamo nella previsione di tm' eruzione rispetto ai Romani: un po' di tempo in più per fuggire e la certezza di doverlo fare! Come accennato, molti vesuviani nei giorni appena precedenti e, magari, nella stessa mattinata dell'evento, intensificandosi le crisi sismiche erano già fuggiti dalla zona. Del resto nessun ostacolo materiale impediva l'esodo di quanti preferivano attendere la fine delle scosse all'aperto, lontano dalle pericolose città. Le strade, infatti, erano ancora perfettamente integre, i ponti ben saldi e la viabilità non intasata da macerie: discorso alquanto diverso per il mare. Da alcuni giorni, infatti, soffiava un forte vento da sud-ovest che ne increspava fastidiosamente la superficie, imp~dendo perciò alle piccole barche a remi di allontanarsi per la pesca e a quelle più grandi a vela, fra cui quelle di Pomponiano, di uscire dal porto. Su questo scenario, dopo 1 Circa il rischio vulcanico e la sorveglianza relatvii al Vesuvio cfr. A. PESCE, G. Rou,NDI, Vesuvio 1944. f;ultùna eruzione, San Sebastiano al Vesuvio 1994, pp. 52-60.
A fianco: "Pompei, 79 d.C. ", Alfred E/more, seconda metà XIX sec.
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una notte travagliata dal parossismo sismico, con scosse incessanti e frequentissimi sordi boati, spuntò l'alba della fatale giornata. In un cielo limpido, ma non particolarmente terso, il sole iniziò a sorgere dietro l'orizzonte. Alla latitudine di circa 40° agli inizi dell'autunno il sole sorge intorno alle 6.05, per tramontare alle ore 17 .55, dopo una giornata di circa 11 ore e 50 minuti. Per i Romani ne conseguiva una durata dell'ora diurna appena inferiore all'attuale e dell' ora notturna appena superiore2. Premessa questa puntualizzazione astronomica, la giornata dell'ammiraglio, per le sua abitudinaria esistenza, inizia, in quel fatale mattino autunnale, esattamente come tutte le altre. Svegliatosi sul far dell'alba, dopo una breve esposizione al sole, seguita da un bagno, tÙteriore indizio che siamo agli injzi deU' autunno, e da una parca colazione intorno alle sette è già immerso negli impegni di lavoro. A quel punto anche a Miseno, nonostante la sua distanza, si percepiscono sempre più distintamente i tremori provocati dal Vesuvio. Non abbiamo notizie che il fenomeno impressionasse particolarmente: proprio lì simili scuotimenti reiterati, specialmente per i più anziani abitanti, non costituivano un evento eccezionale, quindi allarmante o temuto, essendo ricorrenti ed innocui. Plinio, perfettamente a conoscenza di tale peculiarità geologica, non se ne cura dedicandosi alle sue mansio2
Una meticolosa ricostruzione redatta in base a tutte le fon ti disponibili di quella fatale giornate si legge in G. RJ.cc1ARD1, Dial'io
del Monte Vesuvio, venti secoli di immagini e cronache di un vulcano nella città, Napoli 2009, voi. I , pp. 36-87.
ni con il solito scrupolo3. Dopo circa quattro ore passate ad esaminare i tanti rapporti, viene raggiunto dalla sorella che gli annuncia la stranissima nube che sovrasta il centro del golfo. Il dettaglio, confermato pure dall'essere ancora scalzo, lascia presumere che Plinio si trovi, in quel preciso momento, all'interno della sua residenza privata, dove il boato dell'esplosione vulcanica, attutito dal vento contrario e dalla distanza, se pme giunse non lo allarmò. Esce all'aperto e tma semplice occhiata, gli conferma la singolarità e la grandiosità del fenomeno. Senza perdere tm minuto si reca in un luogo elevato, forse sulla torre di controllo dell'ammiragliato o forse addirittura stilla specola del faro, da dove può scorgere perfettamente la prospiciente costa e la misteriosa colonna biancastra che si innalza al suo centro. Impossibile stabilire con certezza da dove scaturisca, essendo il suo piede celato da una densa e larga nube che nasconde anche il Vesuvio. Nel giro di pochi minuti, dinanzi ai suoi occhi avidi, lo scenario inizia velocemente a mutare. L'immensa colonna biancastra, striata dì grigio e solcata da violenti fulmini, in una continua terrificante successione In merito alla biografia ed alle abitudini di Plinio il Vecchio cfr. A. G . &\NUCCI, C. FRuGONl, La vita di Plinio il Vecchio, in Plinio Storia Naturale, Torino 1982, vol. I, pp. IL-LXVI.
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BARCHIESI,
In alto: "Veduta a volo d'uccello del territorio sollevato dalle esplosioni vulcaniche e che gli Antichi comprendevano sotto il nome di Campi Phlegraei", tavola di Pietro Fabris per il volume di William Hamilton. Nella pagina a fianco: "1-:eruzione del Vesuvio vista da Napoli; Ottobre 1822" da V Day & Son. In G. Julzus Poullet Scrope, Masson, 1864.
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79 D.C. ROTTA SU PO MPE I
~IJ~JlJJ!fJiìD®~ ®W ~~~~-JJ~ùt1ll~ a$ s een. from Ha~les , Oct0-1Jc::1,r, 1824.
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di riverberi rossastri, i cui soffocati boati si percepiscono con discreto ritardo, continua inarrestabile la sua ascesa verso il cielo. La bassa nube, invece, si è d~ssolta lasciando vedere che si sprigiona proprio dalla sommità del Vesuvio! Alla solitudine dei primi istanti subentra intorno a lui una frenetica agitazione: mai come in quei terribili istanti tutti lo cercano per la sua notoria competenza scientifica e per il suo grado. Una spiegazione tranquillizzante e un ordine stÙ da farsi! Appoggiato al parapetto, con il vento che gli agita la tunica scompigliandogli i radi capelli bianchi, realizza abbastanza rapidamente la natura e l'origine del fenomeno. Si tratta senza dubbio di un violentissimo evento vtùcanico, forse un'eruzione, ma di entità inimmaginabile, fuoriuscendo per giunta dalla sommità di una montagna ritenuta fino a quel momento del tutto normale o, al massimo, un vulcano ormai spento da tempo immemorabile. L'evento, perciò, è straordinariamente raro, quasi prodigioso nella sua terribile grandiosità: in ogni caso da non perdere assolutamente, per tentare di carpirne, nella terrificante dinamica, le segrete indicazioni. La sorte gli offre, quasi come una ricompensa per i tanti anni spesi nello studio, l'opportunità eccezionale, insperata per qualsiasi studioso, di assistere direttamente all'insorgere di un'eruzione vulcanica di inusitata potenza! La ridda di supposizioni scientifiche e di interrogativi filosofici, di osservazioni e comparazioni, che agitano la sua mente non gli permette ancora di pensare alla sorte di quanti abita.no alle pendici del Vesuvio. Immobile con gli occhi fissi all'orizzonte, istante dopo istante, vede la mostruosa colonna che sovrasta il monte Vesuvio continuare a sollevarsi, confermando la congettura della sua natura vwcanica. Pur avendo osservato, personalmente, alcune eru-
zioni, non ha mai scorto nulla di lontanamente paragonabile a quanto sta avidamente contemplando. I bagliori rossastri dell'Etna4, quelli più luminosi dello Stromboli e di Vulcano, con le loro incandescenti colate di lave, che si perdevano fumando tra i flutti, non avevano quasi nulla di analogo. Che cosa vorrà preannunciare tanta anomala grandiosità? Per meglio percepirne ogni sia pur minima variazione, si convince che deve portarsi più vicino, proprio alle pendici del Vesuvio, là dove la costa sembra lambire il suo piede. Il rischio non manca, ma può definirsi calcolato ben sapendo che le eruzioni per quanto spettacolari non sono molto pericolose, a debita distanza. In ogni caso il gioco vale la candela! Dà ordine, perciò, di armare una liburna5 per salpare immediatamente alla volta di Ercolano: non può in1maginarlo ma, da quel preciso istante, inizia l'tùtima fase della sua carriera di scienziato e di ammiraglio. Mentre l'ordinanza lo precede più spedita, in modo da abbreviargli l'attesa sulla banchina, Plinio fa una breve sosta a casa per avvertire della decisione. Chiede al nipote se per caso vuole seguirlo, testimonianza implicita della sottovalutazione dei rischi o, più probabilmente, del disegno di tenersene a distanza di sicurezza. Ad ogni buon conto prende ed indossa le insegne del grado, paventando forse di doverle ostentare nel malaugurato caso d'insubordinazione dettata dalla paura. Il nipote, vuoi perché non nuovo ad inviti del Una attenta descrizione di un'ascensione sull'Etna ci è stata tramandata da L. A. SENECA, Lettere a Lucilio, IX, 79, che verosimilmente anche Plinio il Vecchio ebbe occasione di leggere. 5 La liburna, o libmica, era una nave da guerra, munita perciò di sperone a prua, molto sottile ed allungata, a due ordini di remi, capace perciò di ril.evru1te velocità. Potrebbe assimilarsi ad una modema cacciatorpeclin.iera, o ad un incrociatore leggero, ideale per ricognizioni e collegamenti rapidi, ma assolutrum~nte inadatta al trasporto di uomini e mezzi. La scelta di Plinio, pertru1to, confenna la sua detem1inazione a porre in salvo quanta più gente possibile utilizzando le unità più potenti. Cfr. M. A. BRAGADJN, Le navi e le loro strutture e attrem1ture nell'Alto lv!edioevo, in Rivista l\.farittima, 1877.
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In alto: veduta aerea dell'isola di Stromboli. Nella pagina a fianco: Angelica Kauffman (1741 -1809), Plinio considera gli eventi che si susseguono nel!'eruzione del Vesuvio. Olio su tela, 35,5 x 46 cm.
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genere, sempre più o meno faticosi, vuoi perché angosciato dall'idea di lasciare del tutto sola la madre, vuoi infine perché intento allo studio, declina l'offerta. Nessuna apprensione per l'iniziativa dello zio e scarso interesse per l'evento. I.:ammiraglio si dirige, quindi, con la prestezza consentitagli dal.la corporatura e dall'età, grossa la prin1a quanto avanzata la ,seconda, verso la banchina dove l'wutà, con l'armamento ai remi, è già in attesa. Mentre si accinge a salirvi a bordo, si sente invocare a gran voce. Si volta e un trafelato portaordini, appena raggiuntolo, gli porge un laconico e drammatico dispaccio, ricevuto da poclu istanti. Legge ed immediatamente il suo volto sbianca: il messaggio proviene dalla villa di Rectina, non lontana da Ercolano, e sollecita il suo urgente aiuto, non restandogli altra via di fuga se non con le grosse navi da guerra. Fermo sulla banchina valuta il da farsi, avendo compreso, perfettamente, la logica della richiesta.
Enigmatica richiesta) enigmatica mittente Tornando alle falde del Vesuvio, a questo punto della ricostruzione ci preme stabilire chi realmente sollecitò l'aiuto dell'ammiraglio e, soprattutto, in che modo. La lettera-di Plinio il Giovane menziona una matrona, col suo semplice cognome Rectina, semplificazione che può ·attribuirsi, altrettanto motivatamente, o alla sua notorietà o alla sua irrilevanza. Nella seconda ipotesi, però, poteva realmente una tal matrona, patrizia ed amica che fosse, indurre il comandante in capo della prima flotta imperiale a venirla a prendere, organizzando una missione tanto complessa e rischiosa, mettendo a repentaglio, oltre alla sua, la vita di tanti uomini? Nella prima, invece, perché mai Rectina non si allontanò dal pericolo incombente, che così la terrorizzava, con i suoi mezzi via terra o via mare? Se reputava che un
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suo messaggero fosse in grado di raggiungere l'ammiraglio a Miseno, via terra o via mare, come concordemente tutti gli studiosi ritengono sia effettivamente avvenuto, perché non fece lei, direttamente e personalmente, la stessa cosa? Perché attendere ipotetici soccorsi navali, macerandosi nel mortale dubbio per mezza giornata, e non fuggire subito concretamente? E se, infine, non fosse fuggila per gli eccessivi rischi che quel viaggio ormai comportava, q uale speranza avrebbe potuto nutrire sulle navi? La questione comunque la s'imposti mta sempre contro la medesima incongruenza: in che modo pervenne la richiesta a Plinio? Essendo, come ricordato, parere comune dei vulcanologi che l'esplosione del Vesuvio iniziò con l'in1provviso erompere della colom1a cli vapore e cenere intorno alle ore 13, quale che ne fosse l'iniziale entità e connotazione, come si spiega il brevissimo intetvallo tra l'immane esplosione e la ricezione della richiesra di aiuto? Ammettendo che dalla villa cli Rectina si realizzò nel giro di qualche ora da quel terribile manifestarsi la gravità della situazione, al punto da far inviare il tragico dispaccio, è fuor di dubbio che questo venne ricevuto da Plinio pochi istanti prima di salire a bordo della liburna. Cioè, anche in questo caso, qualcbe o ra dopo l'esplosione, al massimo, teIn alto e a fian co: bassorilievi di epoca rowcma ùnperùrle raffiguranti dei com· per il trasporto di persone. Nelle pagine successive: ricostruzioni virtuali di carri romani.
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nendo conto della distanza tra la torre dell'ammiragliato, o il generico luogo elevato, e la banchina, nonché del tempo speso per salutare i congiw1ti e di quello strettamente indispensabile per salpare. Fatte tutte le debite compensazioni il dispaccio venne ricevuto qualche minuto dopo l'inoltro: come coprì in quei brevi istanti i quasi 25 km che separano Ercolano da l\!liseno? Attualmente grazie all'autostrada ed alla tangenziale, anche in condizioni ideali di traffico ed a discreta velocità occorre circa un'ora: con l'aliscafo persino di più. Con il mare sconvolto, con le poche strade intasate dalla folla terrorizzata e dalle macerie della case crollate, con quale mezzo avrebbe potuto viaggiare tanto rapidamente quella richiesta? Una sensata obiezione potrebbe far partire il messaggero di Rectina nelle prime ore della mattina, quando iniziarono le manifestazioni più intense e significative. Ma in tal caso si capirebbe ancor meno la sua asserzione sull'impossibilità di fuggire, se non per mare e su una nave da guerra. Chi o cosa, infatti, le avrebbe impedito di allontanarsi dalla minaccia senza indugi e per la medesima via del messaggero? Per paradossale che possa sembrare questo basilare dettaglio non è mai stato preso seriamente in considerazione dagli storici e dagli archeologici. Intere generazioni di studiosi, invece, si sono prodotte in un\Ùtrasecolare diatriba sul senso da dare al termine che segue Rectina nella lettera di Plinio il Giovane. Le trascrizioni pervenuteci nei diversi codici non sono mai le stesse, oscillando fra Bassi; Casa; Tascz; Castr~ Classiar~ ecc. Per molti autori si tratta del genitivo di un nome proprio maschile, senza dubbio perciò, non essendo una schiava\
quello del marito. Pertanto il dispaccio sarebbe stato di Rectina moglie di Cascio, di Tascio, di Cesio o di Basso finendo per ravvisare nel supposto consorte, di volta in volta, o un illustre poeta, quale Cesio Basso, o un altissimo ufficiale, quale Basso: precisazione comunque necessaria per giustificarne l'assenza, essendone all'epoca nota la ragione, e comprendere !'altrimenti inconcepibile sfrontatezza di una nobildonna che scavalca il marito al suo fianco, per chiamare direttamente l'amico, nonché comandante in capo della prima flotta imperiale!
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Sotto: bassorilievo di epoc4 romanci imperiale con bireme. Roma, nei Musei Vaticani.
In una conferenza stampa del 22. 12. 2010 la Soprintendenza archeologica dell'Abruzzo ha annunciato il ritrovamento di un anello
Sulla banchina ai piedi del Vesuvio L'ipotesi perciò più convincente è quella a suo tempo accennata, cioè che Retcina fosse la moglie di Sesto Lucilio Basso, già comandante della flotta di Classe, quindi collega di Plinio e morto nel 73. Il che spiegherebbe in modo logico e la familiarità della matrona con Plinio e il suo agire in prima persona, essendo vedova. Ma spiegherebbe pure implicitamente il sistema con il quale il dispaccio venne inviato, essendo inglobata nella sua supposta villa, nell'attuale contrada Bassano, una torretta belvedere, sopravvissuta sigillare d'oro del IV secolo d.C., con inciso PETRONI RECTINA, ovvero Rectina schiava di Petronio. Pur essendo la formula simile a Rectina Bassi, l'identificazione con una schiava nel nostro caso cozza col suo rivolgersi direttamente ad un altissimo ufficiale in servizio, lasciando così presumere che potesse essere soltantO Ja vedova cli Basso.
PART E QUINTA - L' O PER,\ZIONE DI SOCCORSO
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al terremoto del 62 e alla catastrofe del 79 o, forse, sempre prontamente ricostruita per la sua importante funzione. Non sopravvisse, invece, alla barbarie ed all'incuria moderna tant'è che pur avendone le foto non ne abbiamo più i ruderi! Quanto alla villa, penoso parlarne. Accettando perciò l'ipotesi, poco dopo l'esplosione Rectina scorge proprio da quel belvedere la mostruosa colonna che sovrasta l'intero abitato, mentre la sua casa è scossa violentemente da un continuo terremoto. Realizza agevolmente l'imminenza di un grande cataclisma, e l'urgenza di allontanarsi il più rapidamente possibile con qualsiasi mezzo. Forse prova a scappare ma le strade sono ormai sconvolte ed interrotte dalle macerie degli edifici crollati: una fiumana di fuggiaschi, pazzi di terrore, le intasa completamente. Ultima speranza allontanarsi via mare: si precipita, allora, alla darsena, o alla vicina stazione dei classiari, per imbarcarsi su qualche gozzo fra i tanti abitualmente ormeggiati, o su qualche robusto battello militare. Vede però, con stupore, che pescatori e marinai stanno inerti e in preda allo sconforto: in terrogati le spiegano che il forte vento contrario e il mare sconvolto, non permettono di prendere il largo. Solo le grosse triremi e le potenti quadriremi della flotta potrebbero farlo, e non senza ri-
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schi. Ma chi potrebbe chiamarle, cbi potrebbe convincere l'ammiraglio a farle salpare? Q uello cbe per quegli umili uomini è impensabile a lei forse non è preduso, grazie ai suoi ottimi rapporti proprio con l'ammiraglio, ben più stretti di quan to s'immagini. Con brevi parole convince gli uomini, peraltro già pienamente convinti, a inoltrare a Miseno un'esplicita richiesta di aiuto a suo nome, magari appoggiandola col segnale di emergenza per l'evacuazione immediata. N on improbabile che quella richiesta partendo dalla torre ubicata nella sua p roprietà non abbia avuto nep pure bisogno del suo nome: proveniva dalla torre dell a villa d i Reclina di Basso. Altrettanto plausibile che nella circostanza la richiesta di aiuto sia stata affidata a rutti i colombi disponibili per il collegamento con la base, pron ram ente liberati. Da quel momento anche per lei, inizia la snervante attesa delle navi, che tenta di scorgere magari appoggiandosi alla splendida balaustra di bronzo della sua villa . In alto: affresco con villa, Pompei. A fianco : particolare del volto di Era, affresco dalla Casa del Poeta
Tragico, Pompei. Museo Archeologico Nazionale, Napoli.
Sulla banchina a Miseno Il dispaccio, non dissimile dal nostro S.O.S., per la sua laconicità si presta alla trasmissione codificata. Il lampo dell'eliografo, intorno alle 14-15 ancora perfettamente funzionante da e per Miseno, oltre a sollecitare .l'apertura del collegamento, notifica senza equivoci di sorta la stazione di partenza, essendo inconfondibile la sua direttrice. Discorso sostanzialmente analogo anche nel caso che i vettori fossero stati dei piccioni: il volo dalla costa vesuviana a Miseno avrebbe richiesto, al massimo, una mezz'ora, intervallo congruo al dipanarsi della vicenda. Quale che sia stata la modalità di trasmissione del dispaccio, non appena giunto fu trascritto su di una tavoletta cerata, o su un listello di papiro, dall'addetto alla ricezione, come prassi, con la precisazione del mittente: dalla torre di Rectina. A quel punto a Plinio non occorse uno sforzo di fantasia per immaginare, dietro quella scarna richiesta, la catastrofe che si stava per abbattere di fronte a lui.
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Fermo sulla banchina, rigirando fra le mani la tavoletta del dispaccio, l'ammiraglio valuta perfettamente il dramma: dinanzi ai suoi occhi, oltre a Rectina, sfilano le imm agini dei suoi tanti amici, dei tanti militi della sua flotta e dei tanti notabili cari all'imperatore, che abitano Ja costa vesuviana. Non esistono precedenti in materia, ma l'idea di impiegare le unità da guerra per una missione di soccorso in grande stile gli sembra, più che sensata anche doverosa. A differenza delle tante imbarcazioni, immobilizzate lungo la costa vesuviana dal vento contrario, le sue navi impiegano i remi e possono navigare in qualsiasi condizione. Per giunta quello stesso vento per lui sarebbe stato favorevole nella fase di avvicinamento, e gli avrebbe consentito, accoppiando la spinta dei remi a quella delle vele, velocità eccezionali. QuanSotto: navi da guerra romane in due tavole tratte da "Le case ed i mom11nenti di Pompei. Disegnati e descritti." di Fausto e Felice Niccoli111; opera del .1854. È ipotizzabile che raffigurino le, base navale di Miseno. Nella pagina a fianco: cartina archeologica della Campania da Beloch.
to alle navi la scelta della decina di quadriremi gli parve obbligata, essendo le più potenti a dispos1z10ne, non a caso utilizzate come trasporti nelle operazioni anfibie. Spesso, infatti, il loro vasto ponte ha ospitato un paio di centurie di legionari di marina, fatti atterrare grazie alla carena quasi piatta, praticamente sulla spiaggia. Navi come quelle, idoISCJJLA. nee allo sbarco dicentinaia di uomini impacciati dall'armamento, per le stesse ragioni avrebl'fff1l1Nl'.USS,\ t-: bero potuto usarsi alla scn J\l·nnt·i.\. rovescia, per l'evacuare centinaia di persone impacciate dal terrore! Un breve ragionamento, ed w1 più breve calcolo, gli fanno supporre che siano da sgombrare, stando alla situazione descritta dal dispaccio, almeno un migliaio di disgraziati vesuviani, circa duecento per quadriremi. Portandole a poche bracciate dalla riva, con tm po' di fo1tuna, di quella moltitudine la maggior pa1te avrebbe potuto essere tratta in salvo! Non c'è più un istante da perdere.
I:ultimo viaggio di Plinio La priorità di evacuazione, rispecchia ovviamente la differenza sociale vigente, per cui i primi a salire a bordo saranno i ricchi patrizi, relativamente pochi, poi i benestanti, mercanti ed artigiapi, comunque liberi, i più munerosi ed in6ne i loro servi. Possibile pertanto, dirigendo le nave verso ogni ancoraggio, porticciolo, o darsena della costa, espletare positivan1ente la missione. Ali' estremità dell'arco litoraneo è la spiaggia di Stabia, al momento la meno pericolosa e perciò non contemplata per la nave ammiraglia, che avrebbe, invece, puntato direttamente su Ercolano. Qualora, però, le perturbate condizioni del mare non avessero permesso l'attracco, le unità accorse si sarebbero dovute ancorare a distanza di sicurezza dalla riva, effettuando il prelievo dei fuggiaschi con le scialuppe
o con le lance, per poi trasbordarli sulle navi. E tale risoluzione, sebbene non esente da rischi, si confermerà, poche ore dopo, l'unica att~abile nel precipitare degli eventi. Formulato quella sorta di piano operativo e comunicatolo ai vari navarchi, Plinio ha ormai drasticamente mutato la semplice ricognizione scientifica in una massiccia missione umanitaria. Con secchi comandi dispone l'immediata uscita delle quadriremi: in poco meno di un'ora le navi lasciano gli ormeggi e scapolano il faro, filando una dietro l'altra con i tanti remi in moto e le grandi vele gonfiate dal vento. L'ammiraglio forse per ragioni scaramantiche, sebbene nulla lo comprovi, si imbarca verosimilmente sulla Fortuna: la rossa insegna sulla sua asta lo notifica all'intera squadra. A voga regolare occorrono quasi quattro ore per raggiungere la prospiciente costa vesuviana, ormai oscurata da una tenebrosa nube, molto meno spiegando anche le grandi vele, tanto più che un vento impetuoso favorisce chi naviga in quella direzione. Nel frattempo l'immensa colonna grigiastra ha assunto la forma di un mostruoso cavolfiore, le cui dense volute sono di tanto in tanto illuminate da una sorta di rossastro riverbero interno e solcate in continuazione da vividi fulmini azzurrini.
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Se non proprio la notizia del convergere delle navi di Miseno, certamente la loro vista all'orizzonte, ha suggerito, già da quakhe ora, ad una grande quantità di disperati Ercolanesi di recarsi sulla spiaggia. Per ripararsi dalla continua caduta di cenere si accalcano e si rannicchiano sotto i fornici delle mura a mare della città, spiando con trepidazione l'avvicinarsi deHe grosse quadriremi. Del resto, che senso avrebbe avuto altrimenti rifugiarsi in quegli anfratti senza scampo? Non certo la speranza di prendere il largo in un'improbabile schiarita della tempesta, non esistendo barche sufficienti per tanta gente. L'unica ed ultima speranza è tutta in quelle navi che avanzano così lentamente: bisogna aspettare sotto quelle massicce strutture tentando, magari, di far addormentare i bambini. A prua, con il braccio avvinto ad una gomena, collocazione atipica per un ammiraglio ma fin troppo logica per uno scienziato divorato dalla curiosità, P linio non cessa di dettare al suo atterrito segretario ogni più piccola mutazione, ogni
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sia pur minimo dettaglio del fenomeno che si dipana dinanzi ai suoi occhi. In vista della costa le navi mutano formazione, aprendosi a ventaglio, dirigendosi ciascuna verso il settore di atterraggio prestabilito. La Fortuna insieme ad alcune altre quadriremi, punta laddove il rischio appare maggiore, la spiaggia più vicina al vulcano, tra la cittadina di Ercolano e la villa di Oplonti, dove si trova anche la villa di Basso. Il mare, sempre più agitato e torbido, obbliga ad un'estrema prudenza: le vele vengono ammainate e solo per caso, non potendosi scandagliare in continuazione, si evitano secche mai rilevate prima, formatasi quasi dinanzi alla costa, senza dubbio in conseguenza del cataclisma. Le quadriremi non possono avvicinarsi ulteriormente, senza correre il rischio di arenarsi e, gettate le ancore a diverse centinaia di metri dalla spiaggia mandano a riva le lance, avviando .l'imbarco dei vesuviani. In alto e nella pagina a fianco: scorci degli scavi di Ercolano.
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Plinio, invece, costatando che verso Pompei il cielo é ancora più scuro da ordine di farvi rotta, ritenendo che proprio lì vi siano molti altri disperati: dopo poco sul ponte della sua nave iniziano a cadere, via via più fitte e più grosse, pietre di pomice incandescenti. Il rumoroso grandinare dei lapilli stù ponte di coperta e gli ordini frenetici di bagnarle continuamente per evitarne l'incendio, sono percepiti con crescente apprensione sui sottostanti banchi di voga. Sempre più spesso, tra il cadenzato ritmo dei remi si avverte qualche cupo boato lontano. Vicinissin10, invece, e senza interruzione lo sfrigolio emesso dalla grandine rovente che si spegne nell'acqua. I navarchi ed i piloti guardano l'orribile evolversi della nube con evidente terrore e preoccupazione crescenti, interrogandosi sulla sensatezza della missione. Qualcuno, alla fine, osa suggerire ali' ammiraglio, che sempre più assorto non cessa di dettare appunti, se non sia più saggio rinunciare all'impresa ed invertire la rotta finché si è ancora in tempo per farlo. La proposta è subito respinta, come in seguito tutti i presenti testimonieranno: rivelando, però, un'insospettata dote di umanità, dettata forse dalla consapevolezza che quegli uomini stanno compiendo molto più del loro dovere, Plinio li rincuora, quasi scherzando, rammentandogli che la Fortuna aiuta gli audaci! L'ufficiale comprende il gioco di parole, per cui non replica ma si limita a sperare che il dotto comandante abbia ragione a fare affidamento sulla buona sorte della nave. Esegue l'ordine, sperando di sottrarsi presto alla micidiale grandine.
Sulla spiaggia di Stabia Mentre ad Ercolano l'evacuazione, pur con le intuibili difficoltà procede, Plinio naviga verso Stabia. Probabilmente dirige verso il porticciolo di Pompei, o, per meglio dire, verso il suo porto canale, collocato alla foce del Sarno, di fronte alla Pietra d'Ercole in territorio di Stabia. Tenta di
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entravi, contando sul!' aiuto dei marinai del presidio, ma la manovra si dimostra impraticabile per cui anche le sue unità sono costrette ad ormeggiarsi al largo, al riparo della Pietra d'Ercole. Il sole sta ormai tramontando dietro Miseno. Con la lancia e su di un mare sconvolto, Plinio guadagna Ja terraferma, dirigendosi subito presso l'abitazione del suo amico Pomponiano, sita nei paraggi. Lo trova in preda a un'evidente crisi di panico circondato dai suoi familiari, nonché da una piccola folla di vicini e di servi, in condizioni persino peggiori. Da lui, infatti, si erano raccolti molti abitanti di Pompei, contando forse sulle sue navi per fuggire, e sempre da lui si erano rifugiati diversi abitanti del borgo marinaro, fidando nel suo parere. Da giorni, tutti aspettano che il vento muti per fuggire con le barche di cui dispongono: la salvezza è a poche miglia di distanza, verso Sorrento, solo che si riesca a salpare.
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Sdrammatizzare la situazione è la prima incombenza dell'ammiraglio. Non cessa perciò di ripetere a quanti si stringono al suo fianco che il fenomeno non è grave, che è più vistoso che pericoloso e che, in ogni caso, le sue navi possono navigare senza prob lemi portando via quanti lo vorranno. Meglio mangiare qualcosa, attendendo che il mare si calmi, per iniziare l'evacuazione con le lance. Ostentando un'indifferenza nei confronti della situazione che, in realtà, è ben lungi dal possedere, conforta i presenti e finge di aver fame, sedendosi a cenare, dopo di che se ne va addirittura a schiacciare un pisoJjno. Nessuno sa della sua capacità di prendere immediatamente sonno in qualsiasi circostanza e tanta noncuranza rincuora, per un po', i disperati. Dopo un breve riposo, però, lo fanno svegliare temendo che finisca sigillato nella sua stanza per il continuo innalzarsi dello strato dei lapilli e della cenere! Un breve conciliabolo, un rapido scambio di opinioni e, forse, la constatazione di un lieve attenuarsi delle ricadu-
In alto: camera da letto romana in stile imperiale, rinvenuta a Boscoreale negli scavi De Prisco del 1900 e ricostruita nel Metropolitan Museum di New York. Forse fu in una camera come questa che Plinio trascorse la sua ultima notte. Nella pagina a fianco: ondate ardenti che scorrono lungo le pendici dei vulcani e sul mare. Molto probabilmente t'equipaggio delle quadriremi dovette assistere ad un fenomeno simile.
te, inducono nella mattinata ad abbandonare la casa per attendere sulla banchina del porto, sotto la grande tettoia antistante ai magazzini, che un ulteriore miglioramento conceda di guadagnare le navi. Il sole é sorto da tempo, ma per la densa coltre di cenere che lo nasconde, alla foce del Sarno regnano le più fitte tenebre e, all'incerta luce delle lucerne, tra gemiti e pianti, la mesta processione si avvia, riparandosi la testa con dei cuscini. La relativa tregua presto svanisce, riprendendo la terra a tremare, tra boati e rossastri bagliori.
PARTE QU INTA - L'OPERAZIONE Dl SOCCORSO
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Fuoco ed acqua Il collasso della colonna eruttiva produce nuove ondate ardenti che rotolano giù, lungo i fianchi del vulcano, perfezionando la distruzione e la strage delle precedenti analoghe. La prima corrente piroclastica si era manifestata durante la notte, uccidendo ad Ercolano quanti ancora in attesa del turno d'imbarco al riparo nei fornici sulla spiaggia, ponendo così tragicamente fine al salvataggio. Circa le vittime: "gli scheletri all'interno deifornici occupano tutto lo spazio disponibile ed il modo in cui giacciono riflette la loro posizione originaria al momento dell'impatto con la nube ardente del primo surge. Lo studio delle relazioni spaziati delle ossa dei singoli' individui· e degli individui tra loro mostra che la maggior parte di essi era seduta prima In alto e a fianco: ifornici di Ercolano, immedùltamente a ndosso della spiaggia nel 79 d. C.. È possibile ancora scorgere degli scheletri dicoloro che erano in attesa delle scialuppe per raggiungere le quadriremi. Nelle pagine successive: sd:,eletri rinvenuti nei/ornici delle mura a mare di Ercolano. Si presentano su più strati srwrapposti con le ossa ancora in connessione anatomica, ùt alcuni casi abbracciati fra loro. Ben evidente, dalla colorazione delle ossa e dalle loro fratture, l'esposizione ad una fortissima temperatura che provocò l'evaponwzione istantanea dei tessuti. Nella foto in basso si scorge una lucerna in bronzo, testimonianza che l'attesa avvenne nelle ore della notte e comunque in un'oscurità assolute,.
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di morire, mentre alcuni -per lo più bambini- erano distesi sulla sabbia presente sul fondo degli ambienti e solo pochi altri stavano in piedi... Ad un'analisi pz'ù dettagliata, sia gli scheletri rinvenuti nei fornici che sulla spiaggia appaiono integri e in connessione fisiologica, il che suggerisce che i corpi non furono esposti ad un violento shock meccanico. Le ossa mostrano una serie di caratteristiche che sono indicative di· una esposizione ad elevata temperatura. La maggior parte dei crani presenta numerose fratture e annerimenti della superficie interna ed esterna... colorazioni [che] suggeriscono un'esposizione a temperature di 400-500°. Del resto anche la particolare contrazione riscontrala per le mani e i piedi della maggior parte degli individui... dà indicazioni dello stesso genere ... la popolazione di Ercolano, una volta inglobata nella nube ardente del surge, è morta istantaneamente a causa dello shock termico" 7 . In meno di cinque minuti è tutto finito: nessun segno di vita si scorge più, lungo gli oltre sei chilometri di costa. I cadaveri con le vesti bruciate giacciono scomposti in queU'estrerna, inutile attesa, mentre la cenere che continua a cadere copre rapidamente i corpi sulla spiaggia. Il mare dal canto suo, più furioso che mai, ha ributtato a riva le ; Da G . MASTROLORENZO, P. P. P ETRONE, Studi scientifici sul!'eruzione e i suoi effetti, in Gli antichi..., cit., p. 56.
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ultime barche che hanno tentato di allontanarsi a qualsiasi costo: sotto i loro scafi giacciono altri cadaveri. Quanti non direttamente investiti sopravvissero ancora alcuni minuti, giusto il tempo impiegato dai gas tossici per soffocarli, bruciandogli i polmoni. In diversi pLmti della costa da dove era più agevole imbarcarsi, al riparo di una qualsiasi struttura, sono riaffiorati così centinaia di scheletri, tutti con le stesse caratteristiche, frammisti a quelli di animali che, impazziti dal terrore, li avevano seguiti. Le vittime ritrovate per lo più accovacciate o sedute per terra, con molte lanterne fra loro, erano in gran parte donne e bambini. Ed è significativo osservare che delle 296 accertate: "solo 20 indossavano o portavano con sé monili di vario
tipo, in gran parte anelli in ferro, argento e oro, permellendoci cosi' di ipotizzare che quanti si erano rifugiati sulla marina dovevano appartenere ai ceti medio-bassi della popolazione ercolanese salvo alcune eccezioni" 8•
terminata proprio dal mare. I flussi ardenti, infatti, appena a contatto con l'acqua ne provocano l'istantanea evaporazione di un'enorme quantità, sollevando così una densa cortina di vapore, consumando così gran parte della loro energia termica e cinetica. Sulle navi, come sulle barche in mare, pertanto, arrivò nella peggiore delle circostanze una sbafata di aria calda, magari torrida ma insufficiente ad innescarne la combustione o ad uccidere quanti ormai imbarcati.
La barca di Ercolano A una breve digressione obbliga lo straordinario rinvenimento della menzionata barca, nell'agosto del 1982, le cui caratteristiche sono state in seguito accuratamente indagate. Si tratta di: "uno scafo di dimensioni reali stimabili
L'appartenenza della stragrande maggioranza delle vittime ritrovate al ceto sociale più basso costituisce un dettaglio che sembra confermare, piuttosto che smentirla, l'ipotesi dell'evacuazione via mare. Come accennato l'ordine di priorità d'imbarco rispecchiava senza dubbio quello sociale, per cui l'omogeneità del gruppo testimonia che l'operazione era ormai prossima alla conclusione, quando cioè i notabili erano già stati imbarcati e restavano ancora da prendere i plebei e gli schiavi. Assurdo credere che tutti i possidenti si fossero allontanati il giorno prima, ad eccezione di Rectinal Altri flussi nelle ore seguenti rotolarono lungo le pendici del vulcano, raggiungendo la costa, con temperature comprese fra i 200° ed i 300° C: ovviamente non si arrestarono sulla spiaggia ma si spinsero, per centinaia di metri, sul mare dando però origine ad un ulteriore singolare fenomeno. Correndo sulla sua superficie inyochi istanti raggiunsero i ponti delle navi, gremiti di derelitti, senza però trasformarle in altrettante p ire: la pesante barca ritrovata sulla spiaggia, capovolta e incombusta, conferma la mutazione de8
Da M. P 1\GI\NO, Gli scavi di... , cit., p. 78.
A fianco: resti della barca rinvenuta sulla spiaggia di Ercolano.
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intorno ai 10 metri di lunghezza massima, circa 2.20 'metri di larghezza massima per un,altezza massima di circa .l metro, dalla chiglia al bordo. Uno scafo molto s/inato, dunque, con una tipica struttura a gozzo marinaro, armato con due serie di tre scalmiere per bordo distanziate di circa 30 cm l'una dal!'altra, a partire d.a circa 4 metri· dalla ruota di poppa. Il bordo esterno verso prua è rialzato da un corso difasciame di circa 18 cm di larghezza, cosz' che la zona riservata ai rematori potesse risultare più prossima alla linea di galleggiamento. Nella zona di poppa del tutto integri risultano gli aposticci del timone, nonché le ordinate alle quali essi sono collegati. Il sistema di timoneria a remo esterno risulta particolarmente interessante, sia perché è l'unico esempio antico conservato in tutta la sua integrità, sia per le particolari/unzioni che gli potevano essere attribuite. Le ordinate, in questo punto Nella pagina a fianco: scheletro di mz1itare rinvenuto sulla spiaggia di Ercolano nelle immediate vicinanza della barca. Alfianco si scorge il gladio. In alto: la struttum utilizzata per il restauro cleZ resti della barca. Nelle pagine successive: la barca di Ercolano dopo il restauro. Dettagli della chiodatura e del doppio fasciame.
di sezione rettangolare di cm 5 x 7 circa, sono sporgenti dal bordo per un,altezza ,d i circa .Z5 cm e dovevano assolvere ad una /unzione dz' bitta d'ormeggio, visto che sul!'ordinata di dritta è ancora presente una cima a tre trefoli; che avvolge il legno in un nodo parlato. Le due ordinate sono mantenute distanziate dall'apostz'ccio superiore, ad esse collegato mediante chiodatura ~zeta/fica) pur essendo incastrato sul bordo superiore della barca. I.:aposticcio sporge dal bordo esterno per circa 25 cm. per parte ed è raddoppiato, inferiormente, da un elemento parallelo d'identiche dimensioni; che nella sua parte aggettante dalla fiancata, diverge leggermente dal!' elemento superiore, quasi a formare una V acuta. La·particolare disposizione favoriva l'inserimento del remo timone, tenuto in posto da una cimetta di circa 8-10 mm. di diametro. Lo sca/o esterno è costituito da tavole di quercia dello spessore di circa 3 cm., collegate tra loro mediante il sùtema delle mortase e dei tenoni; bloccati al fasciame con cavie-chi di legno. Analogamente, con cavicchi di legno, è reali'zzata la giunzione con le ordinate, anche se queste connessioni sono state raddoppiate da chiodi di rame a testa bombata, forse in un intervento successivo di restauro del!' ùnbarcazione.
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Le .1pecie utilizzate sono tutte mediterranee (quercia, noce, pino) e questo confermerebbe una tradizione locale di costruzioni navali. All'interno era presente un sfrtema continuo, parzialmente dissestato nel corso della sommersone con il fango piroclastico, di serrette, àoè di tavole di/asciame interno poste a contatto delle ordinate fino a 40 cm. dal bordo superiore... "9• Dalla descrizione emerge una imbarcazione non solo di notevole finezza, ma anche di notevole potenza impiegando almeno sei vogatori. Poco plausibile, pertanto, supporla un semplice gozzo marinaro, che difficilmente avrebbe potuto disporre di un così numeroso equipaggio! P iù logico e coerente rawisarvi, invece, una lancia, magari una di quelle in dotazione alle quadriremi. È certamente significativo osservare che proprio un battello del genere, a tre remi per lato e timone a remo esterno, compaia sul bassorilievo, della necropoli dell'Isola Sacra, in funzione di rimorchiatore nel porto. Compito assolto proficuamente Da A. M. FERRONI, C. MEUCC!, Prime osservazioni sulla Barca di Ercolano: il recupero e la costrnzione navale, in Il restauro del legno,
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I, Atei del Convegno, Firenze 1989, p.111 . Per approfondimenti cfr.
J. R. STEffY, The Herculaneum Boat: prelùni-nary notes on hall construction, in American ]urna! o/ Archaeology, 89, 1985, pp. 519-21.
In alro: bassorilievo di epoca mmana imperiale con barca a tre ordini di remi per lato utilizzata come Lancia e rimorchiatore per le manovre in porto. Nella pagina a fianco: a//fesco con strutture portuali da villa San Marco, Castellammare di Stabia, Napoli.
proprio dalle lance delle navi da guerra, le uniche in grado di reperire senza difficoltà sei vogatori ed un timoniere. Ad alcune decine di metri dalla barca nel corso degli stessi scavi, affiorò pure lo scheletro di un militare, con cinturone e gladio in discrete condizioni di conservazione. Forse un ufficiale della flotta, sbarcato dal battello per regolare l'evacuazione!
Sulla spiaggia di Stabia Anche nel gruppo di Plinio, dopo i prinù trasferimenti, si attendeva con ansia il ritorno della barca, ma lì furono i gas tossici forse emessi dagli stessi lapilli, forse piombati giù dal vulcano insieme alle nubi ardenti ad uccidere quanti vennero raggiunti . Si trattò di una fine molto meno atroce: in quanto tipica del!'ossido di carbonio corrispose ad una sorta di torpore irreversibile. Nella tarda mattinata del giorno successivo all'inizio della catastrofe, lungo l'intera costa alle falde del Vesuvio non vi fu più nessuno in vita, nesstmo più da evacuare. Le navi, una dopo l'altra, rientrarono mestamente a Miseno con il loro carico di sopravvissuti, distrutti nell'animo e compromessi nel corpo. Fra loro anche Rectina e molti degli aiutanti dell'ammiraglio di cui pmtroppo era stata riscontrata la morte. Tutti poterono perciò testimoniarne il coraggio del 1T1ilitare, la grandezza d'animo dell'uomo e la sete di sapere dello scienziato. Poterono, forse, anche fornire mùndicazione precisa su dove era stato visto per l'ultima volta, nonché del suo sonno sereno al cospetto del mare. o
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Qualche tentativo di recuperarne la salma nei giorni successivi fu senza dubbio tentato, ma i luoghi non erano più gli stessi e nessun elemento consentiva di identificare con sufficiente certezza il punto esatto. La coltre di cenere accumulatasi ed il crollo delle strutture sotto il suo peso e sotto le sollecitazioni sismiche, come pure lo str,aripamento del Sarno, per la massa di fango e detriti trasportati dalla sua corrente, avevano devastato e som merso ogni costruzione. Brandelli di mura emergevano dalle desolata distesa melmosa, senza che però fosse possibile stabilire di quale edificio avessero fatto parte. Inutile ogni ulteriore ricerca. Del resto anche avventurarsi in quei paraggi tentando di rimuovere quelle macerie, quei lapilli, quella cenere per trovare quaÌcosa o qualcuno significava, come innumerevoli casi dimostrarono, trovare quasi sempre la morte.
Da quel momento una sinistra palude si stabilì nella zona un tempo ridente borgo marinaro: il Sarno pigramente vi si aprì un nuovo letto serpeggiante fino al mare, la cui riva si era notevolmente allontanata. Viste dall'alto, quella serie di anse sembravano ricordare la sinuosa coda di un Dragone. Ci sarebbero voluti quasi diciotto secoli da quei giorni per porre fine a quell'inutile serpeggiare dell'acqua, recuperando con una razionale rettifica sia il fertilissin10 terreno sia una comoda via d'acqua ed un'utile forza motrice. Ma quest'ultima vicenda segna l'avvio dell'epilogo della nostra ricerca. Nella pagina a fianco, in alto: planimetria di Villa Arianna di epoca borbonica. Castellammare di Stabia, Napoli. Nella pagina a fianco, in basso: affresco con villa marittima. Villa San Marco, Castellammare di Stabia, Napoli. In alto: "La morte di Plinio il Vecchio", dipinto di P.H. de Valencienne (1813).
PARTE QU I NTA - 1.'0Pf!RAZJONE DI SOCCORSO
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EPILOGO
Gli scavi delt ing. 1\1.atrone Sul finire degli anni '50 del XIX secolo, Lma serie di importanti lavori vennero intrapresi in prossimità della foce del Sarno. Scopo dell'iniziativa era quello di regolamentare il corso del fiume, che dalla tragedia del '79 continuava a serpeggiare pigramente in una vasta area formando acquitrini malsani, quand'anche fertilissimi dal punto di vista agricolo. L'intervento previsto comportava la rettifica dell'ultimo tratto del suo letto, la bonifica dei terreni adiacenti e delle ex anse, il loro appoderamento e l'utilizzo, tramite un ingegnoso sistema di canali della forza motrice del corso d'acqua per attivare i macchinari di un nuovo polverificio. Non ultimo mirava alla formazione di una via d'acqua navigabile tramite la quale, con opportune chiuse e conche, si potesse risalendone la corrente, accedere comodamente e sicuramente al suddetto stabilimento 1. La costruzione di un nuovo ponte, ufficialmente chiamato Ponte Nuovo e volgarmente Ponte delle Figliole, in virtù di quattro statue di ghisa raffiguranti due coppie di sirene poste alle sue estremità, costituì
l'intervento più appariscente dell'intero progetto. Il manufatto, non privo di una certa estetica, ottenuta con i contrasti cromatici fra il grigio della pietra vesuviana ed il rosso dei mattoni, ostentava la classica connotazione borbonica. Distrutto nel corso dell\ùtimo conflitto, fu successivamente ricostruito nello stesso punto, secondo il medesimo disegno e con gli stessi materiali, per cui quello che attualmente si può osservare, soffocato dai cumuli di rifiuti e di spazzatura, può a giusta ragione ritenersi identico. Nel corso della realizzazione originaria gli sterratori s'imbatterono in alquanti resti di opere romane, recuperando tra l'altro delle grosse anfore di terracotta, propriamente dette dolii, usate per lo stoccaggio delle merci incoerenti nei porti. I più anziani operai non si stupirono affatto per quei ritrovamenti, poiché da tempo circolavano
1 SL1U'argoment0 dr. A. P ESCE, il Polverificio Borbonico di Scafati e la rettifica del basso corso del Sarno, Scafati 1994.
A fianco: magazzino con dolii interrati nel caseggiato dei Dolii; Ostia antica, Roma. Nella pagina a fianco: una delle rare foto scattate durante gli scavi condotti dall'ing. Matrone.
EPILOGO
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voci sulla presenza di strutture e resti. romani in zona, e da sempre circolavano pure reperti più o meno preziosi, fortunosamente rinvenuti dai contadini in quei campi, adiacenti al canale Bottaro. Per l'esattezza i: "primi rinvenimenti archeologici nell'a-
rea di Bottaro risalgono al Settecento. A seguito di un rinvenimento casuale, vennero consegnati il 9 gennaio 1765 a Francesco La Vega una serie di reperti... È dunque probabile che il rinvenimento sia avvenuto in un alto morfologico della zona di Bouaro, probabilmente nella collinetta immediatamente a t?Ord dei mulini che danno il nome alla località ed al canale che li' alimenta ... Un documento conservato presso f'.jlrchivio di Stato di Napoli/a cenno al rinvenimento di alcuni ruderi~ segnalati dall'architetto Camilla Ranià~ presso i mulini di Bottaro ed il Sarno nel 1838... Nessuna possibilità... di localizzare meglio il sito... Durante i lavori di rettifica del fiume Samo ... secondo quanto riferito da Lorenzo Schiappa, ingegnere che partecipò ai lavori di reuzfica, ai piedi del ponte di fabbrica sul Sarno, il cosiddetto Ponte Nuovo, costruito in gran parte nel 1858, e presso il Mulino De Rosa, vennero alla luce «due ordini di antichi magazzini disposti quasi in fila con dentro molte anfore, pezzi di quercia, alcune monete e un'ancora» della quale il Ruggiero pubblicò anche il disegno" 2 • Di quella tornata di lavori ci restano almeno due eccezionali foto che ritraggono il cantiere, ancora intento aJla costruzione delle spalle del ponte. In entrambi le immagini appaiono ben evidenti alcuni dei suddetti grandi vasi, apDa G. STEFANI, G. Dr MAIO, Cfr. G. STEFANT, G. D1 MA10, in Riv. Studi Pompeiani... , pp. 145 e sgg. 1
C?oslellammare di Stabia - fiume S arno
BOTTARO
PIOPPAINO
In alto: ubicazione sulla carta paleografica dei rinvenimenti archeologici di epoca preromana e romana: 1 -Stipe Bottaro (VT sec. a.C. - Il sec a.C); 2 - "Aedes Neptuni", loc. Bottaro; 3 - Complesso non meglio precirato di edifici rustici; 4 - Villa pseudo-urbana; 5 - Rinvenimento di sedici tabemae; 6 - Edificio di M. Cellus A/riccmus; 7 - Strutture romane al lato del canale di scarico del Mulino Fienga; 8 - Edificio con orientamento diverso dal precedente sull'altro lato del lvJulino Fienga, 9 -Rinveminento di anfore ad ovest del Mulino Fienga; 10 -Idem, a sud. anfore, magazzini su due piani; 11 -Strutture non meglio qualificate; 12 - Strutture non meglio precisate; 13 - Strutture varie e sepoltura con lapide; 14 -Ipotetica "mansio" o ponte sul Sarno; 15 - Villa in prop. Liguori; 16 - Villa in zwp. lvfalerba; 17 - Villa in prop. Cascane; 18 - Santuario extra-urbano nel fondo Io:aino; 19 - Frammento di brocca dell'età del bronzo; 20 -Strutture ad est del Mulino de Rosa; 21 -Strutture ad est del Mulino de Rosa. Da C. Albane Livadie, D. Barra, G. Bonaduce, L. Brancaccio, A. Cinque, F Ortolani; S Pagliuca e F Russo, Evoluzione geomoifologica, neotettonica e vulcanica della piana costiera del fiume Sarno (Campania) in relazione agli insediamenti anteriori all'eruzione del 79 d.C., Pact 25-13. Rielaborazione grafica. Fortuna Falanga. A fianco: antica cartolina del Ponte Nuovo, presso Castellammare di Stabia. Nella pagina a fianco: un'altra immagine degli scavi Matrone.
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poggiati provvisoriamente sul terreno di risulta in attesa di essere trasportati in qualche museo. In base al progetto di rettifica e di sfruttamento energetico del corso del fiume, degli imprenditori locali videro l'occasione propizia per impiantare mulini più moderni e potenti. Pertanto, fu proprio a: "seguito di una nuova concessione del 4 settembre 1858, [che] l'imprenditore Raf /aele De Rosa costrid un grande mulino immediatamente a valle del Ponte Nuovo ... [e già] nello scavare le fondazioni del mulino si rinvennero reperti archeologici: in particolare un'ancora, ora conservata presso gli scavi di Pompei. Successivamente, nel 1893, si ebbero ulteriori rinvenimenti· dz· cui resta traccia in un documento ... Forse al medesimo rinvenimento fa riferimento lo Iacono quando riferisce che nel 1895 (sic), scavandosi le fondazioni· per una turbina, alla profondità di circa 50 cm sotto l'attuale livello del mare si rinvenne uno strato di sabbia ('spiaggetta') su cui erano deposte, capovolte, numerose anfore in doppia fila" 3 . ' Idem, p. 143.
Di gran lunga più importanti per i risultati conseguiti, sebbene attribuibili sempre alle medesime informazioni sulla stessa ristretta area, furono, come accennato nel prologo, gli scavi dell'ingegner M.a trone. È plausibile ritenere che lo stimolo ad avviare tale ricerca nella sua proprietà, e forse anche ad acquistarla per scavarvi più liberamente sulla base delle voci circolanti, gli siano pervenute nell'ambiente delle costruzioni. Di certo a: "circa 300 ma sud-est dal deposito votivo fu scoperto, durante scavi eseguiti tra il 1899 ed il 1902, un importante complesso di edifici nel fondo allora di proprietà di Gennaro Matrone. Si tratta di un peristilio, rzferzhile probabilmente ad una villa residenziale, rinvenuto immediatamente a nord di una serie di .I 7 tabernae allineate per una lunghezza complessiva di 70 m, secondo un asse NNWISSE parallelo, quindi, all'antica linea di riva da cui distavano, stando alla nostra ricostruzione un centinaio di metri. Le tabernae, costruite prevalentemente in opera reticolata, presentavano una pianta quadrangolare con ingresso sul lato ovest e dimensioni medie di m 5-5.80.
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I resti delle strutture architettoniche testimoniano l' esistenza di un piano superiore. La facciata del complesso era resa monumentale grazie ad un portico sostenuto da colonne, comprese tra pilastri di laterizio rivestiti di stucco, alcuni dei quali con iscrizioni graffite. In una sola delle tabernae, le pareti erano affrescate con decorazioni raffiguranti diversi soggetti iconografici: quadretti con xenia, animali, festoni di fiori, candelabri. Sulla parete orientale era raffigurata l'ùnmagz·ne del fiume Sarno, come Penate, rappresentato come un dio barbuto, coronato di canne e seduto all'ombra di un albero sacro" 4 . 4
Da Nuovi contributi all'identificazione .., cit., p, 242.
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La funzione di questa taverna, anomala per le decorazioni, doveva essere quella di termopolio, come del resto certifica il tipico banco di vendita rivestito di marmi. In un altro ambiente si rinvennero diverse decine di anfore, nonché un paio di ancore di ferro ed uno scalpello da carpentiere. Altri strumenti ed attrezzi, sempre relativi ad attività navali, si rinvennero anche negli altri locali, tra cui pesi di piombo, innumerevoli ami di bronzo ed ancore e supporti per reti da pesca. Ma affiorarono anche altri oggetti meno usuali: "tra i quali un mortaio di marmo rosso antico, due tavolette in pietra, una bilancina, cinque astucci di bronzo, di cui alcuni contenenti strumenti chirurgici, che f ecero ritenere uno degli ambienti la bottega di un farmacista.
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Se il sito fosse sulla costa o sulla foce del fiume è stato lungamente dibattuto anche se gli studiosi propendono finora più per la prima delle due ipotesi·. Il carattere delle strutture, di deposito o di vendita presso un importante snodo connesso con il fiume e con il mare e con i relativi mezzi di tra.1porto è confermato dagli altri importanti rinvenimenti avvenuti nello scavo: 81 individui (uomini~ donne e bambini; a piccoli gruppi verosimilmente corrispondenti a nuclei jàmzlz'arz), che avevano cercato temporaneo rifugio alla pioggia di lapilli sotto il portico e nelle botteghe e che recavano con sé i propri averi (monete, gioielli; vasellame d,argento), trovarono la morte durante l' eruzione"5 . Questo significativo rinvenimento è ripreso e dettagliato anche da altri studiosi che così relazionano al riguardo, precisando che un dato: "interessante ... è costituito dal rinvenimento di... scheletri presso i quali si trovavano diversi oggetti preziosi; tra cui alcuni gioielli d,oro, che i Pompeiani in fuga verso il mare portavano con sé. Molto numerose le monete recuperate, ben 45 d'oro, 795 d'argento e 1322 di bronzo, databili tra la tarda età repubblz'cana e l'impero di Domiziano. Una situazione analoga, per il caraltere dei rinvenimenti e per la posizione topografica nelle immediate vicinanze dell,antica riva, è stata recentemente individuata ad Ercolano, nel!'area delle Terme Suburbane. Sia in quest1ultimo sùo che nel corso degli edifici scavati in località Bottaio è quindi testimoniato il fallito tentativo di una fuga verso il mare al momento dell' eruzione" 6. La descrizione, sostanzialmente puntuale, è condivisibile interamente ad eccezione delle conclusione: la fin troppo evidente analogia tra gli scheletri di Ercolano e quelli della foce del Sarno renderebbe quei miseri reperti delle chiare testimonianze del fallimen to dell'evacuazione via mare. In effetti quegli scheletri testimoniano di sicuro che molti fuggiaschi avevano perfettamente compreso che non si trattava affatto della fine del mondo, essendo in tal caso assurdo portarsi appresso monete e preziosi, ma solo di una catastrofe naturale, dalla quale si poteva con opportuni .mezzi fuggire e salvarsi. Per cui, in definitiva, siamo di fronte
' Da G. STEFANJ, G. D1 MAro, Cfr. G. STEFANI, G. Dr .i'v!Aro, in Riv. Studi Pompeiani... , p. 150. 6 Da Nuovi contributi all'identificazione ..., cit. 243 . 5
In alto a destra: ermette bifronte in bronzo e pietra, provenienti dagli scavi Matrone in località Boltaro e custodite al Museum o/ Fine Art di Boston. Nella pagina a fianco: planimetria degli scavi 1vlatrone e sovrapposizione alle condizioni attuali del sito, a ridosso del casello di Castellammare. Nelle pagine successive: particolari di affreschi provenienti dagli scavi Matrone e custoditi al Museum of Fine Art di Boston.
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alla testimonianza, sia ad Ercolano che alla foce del Sarno, di una evacuazione in atto, stÙ cui esito complessivo non abbiamo purtroppo sufficienti riscontri. Cosa avrebbero, infatti, aspettato tante persone sulla spiaggia se non un mezzo per allontanarsene, un mezzo che non poteva essere una semplice barca a vela, di cui ve ne dovevano essere in abbondanza in quei porticcioli? Se mai si osservano molte persone radunate ad una fermata di autobus non è perché questi non circolano, come durante degli scioperi, ma per il contrario! In pratica quando il numero e la frequenza dei vettori è scarso rispetto a quello dei viaggiatori, che tuttavia sapendo della loro circolazione, attendono pazientemente. Gli scavi del Matrone portarono alla luce, immediatamente adiacente alla fila di tabernae una lussuosa villa resi-
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EPILOGO
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denziale. La dimora: "incentrata su di un grande peristilio di
trenta colonne in laterizio rivestite d'intonaco dipinto di· rosso... era cost#uita da una serie di ambienti: non tutti adeguatamente esplorati e purtroppo non sufficientemente documentali. Non si conoscono gli ambienti del settore occidentale dove era verosimilmente l'ingresso e dove si intuisce la presenza di almeno tre grandi ambienti e di corridoi di disimpegno ... Chi fosse il proprietario di tale z·mportante villa marillima che sorgeva presso o sul litorale pompeiano, è una questione irrisolta e irrisolvibile. Una ipotesi fantasiosa, sostenuta tenacemente dal Matrone, attribuiva tale villa a Rectina, l'amica di Plinzò il Vecchio, e al marz'to Caesius Bassus. Egli volle riconoscere in uno degli individui rinvenuti sotto il portico del complesso cmnmerciale, proprio Plinzò il Vecchio" 7• Ovviamente un'identificazione del genere è certamente risibile in quanto priva di qualsiasi riscontro: anche Schilmann quando pretese di aver ritrovato il tesoro di Priamo cadde, per eccesso di entusiasmo in un simile abbaglio, ma ciò non toglie che quei monili, strato più strato meno, si trovassero pur sempre nei ruderi di Troia, città che fino ad allora nessuno avrebbe giurato fosse mai esistita! Negli anni successivi nei delineati scavi, complice il disinteresse per i rinvenimenti archeologici in generale e per la questione in particolare, l'acqua dapprima ed i detriti in seguito colmarono la cavità cancellandone ogni residua memoria. 7
Da G. STEFANI, G. D1 lvL\Io, Cfr. G.
Studi Pompeiani... , p . 151.
STEFANI,
G. Dr lvLvo, in Riv.
Gli scheletri dal canto loro erano gia stati rinterrati in un angolo dell'edificio scoperto, ad eccezione dei pochi crani conservati per ricordo e documentazione. Oggi è difficile persino immaginare che giusto tre metri sotto il casello di Castellammare di Stabia e della pletora di costruzioni circostanti, per lo più abusive e di pessima qualità, giacciano quei tanti resti. Unica certezza, verificata da una nutrita serie di sondaggi è la presenza, proprio lì, del porticciolo di Pompei, costituito da una: "insenatura a Sud della dttà ... [di] dimensioni e
caralleristiche tali da consentire un sicuro rifugio per le navi... [che in guanto] porto marittimo avrebbe offerto caratteristiche funzionali decisamente più interessanti di quelle di un porto lagunare o fluviale" 8. E fu forse proprio quel porticciolo la destin azione alternativa indicata al pilota da Plinio.
Ipotesi assurda o identificazione incerta? Stando così le cose il gruppo di scheletri fra cui quello con collana, armille, anelli e gladio non doveva trovarsi a molta distanza dal supposto luogo dove ufficialmente si è 8
Da Nuovi contributi all'identificazione..., cir. 254-5.5.
In alto: foto aerea obliqua dell'area compresa fra il casello autostradale di Castellammare di Stabia e il mare, definita località Bottaro. Sullo sfondo lo scoglio di R.ovigliano. Nella pagina a fianco: gli scavi Matrone in una foto del 1901.
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sempre immaginata la morte di Plinio: forse a meno di un chilometro. Così ne rievocò il ritrovamento lo stesso Matrone, in una sua pubblicazione in francese: "il 20 settem 0
bre .1900... furono ritrovati diversi scheletri sotto la lunga tettoia antistante i magazzini. Uno di essi comparso in una posizione più elevata, era diste__so, con la testa addossata ad un pilastro... Era lo scheletro di un anziano, sdraiato sul dorso, al di sopra del lapillo. Portava intorno al collo un collare d'oro di 75 maglie formante tre girz; del peso di 400 grammi e sulle ossa di ciascun braccio una armilla d'oro rappresentante due vipere maschio e femmina in triplice giro; il peso dà due bracciali era di circa 665 grammi;- alle dita della ·,nano sinistra, aveva tre anelli d'oro massiccio, di cui uno pesante 36 grammi; rappresentante due serpenti affrontati; al suo fianco un gladio ed una brocca d'argilla; nessuna moneta di qualsiasi specie gli venne rinvenu-
ta indosso ... In direzione Nord, a due metri di distanza dal gruppo, si rinven;ero le ossa di un gigante di 2 metri e 10 centimetri di altezza, avente una grossa lampada di bronzo in mano a jòrma di testa di cavallo. Nel corso di queste scoperte, non mancai difar osservare ai funzionari del!' amministrazione dei Musei che lo scheletro dell'anziano poteva essere quello di un impòrtante personaggio,· quei signori non condivùero l'importanza e non s'interessarono dell'evento. Nel frattempo io rni convinsi che poteva trattarsi di un qualche magistrato di Pompei. I:amminis-trazione mi lasciò la libertà di disporre degli oggetti trovati; ed abbandonai pure io la supposizione che potesse trattarsi di un personaggio notevole, e non ne parlai più: conservai zl cranio dello scheletro come ricordo di tutti gli oggetti d'oro che mi aveva regalato, e le ossa furono sepolte nuovamente in un angolo del muro vicino...
l :PILOGO
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Un giorno, vidi arrivare sugli scavi, il Console onorario e Vice Console di Francia a Castellammare di Stabia, Signor Eduard ]ammy, Presidente della Commissione Agricola locale, il quale... sollevò il dubbio che lo scheletro doveva essere quello di PHnio il Vecchio ... [come del resto] poco prima aveva pubblicato sul Corriere di Napoli' del 16 novembre del .I901 in un articolo tale ipotesi. Dopo quel giorno cominciai ad approfondire questa idea ... ed il risultato di tali studi induce senza alcun dubbio all'affermazione della scoperta dello scheletro di Plinio il Vecchio ... All'arrivo del Signor Com. E. Jammy io avevo già venduto i due bracciali (artmlle) e il collare dell'anziano come pure i bracciali e le collane dei suoi compagni. Conservavo e conservo ancora l'anello d'oro dell'anziano ed una parte dei bracciali d'oro e delle collane dei suoi compagni: l'argenteria, il gladio ed altri oggetti. Io ho pulito il gladio ed ho visto, sul!'estremùà di bronzo del fodero, che si distingue un decoro fortnato con dei molluschi e tre conchiglie marine in rilievo; l' efra e la guardia sono in avorio; zl fodero è in legno sottile che si conserva ancora ...
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Corne sarebbe stato possibile dedurre che stava disteso su di un drappo, la testa più in alto, i piedi più in basso, con la brocca ed il gladio abbandonati al suo fianco, gladio che dimostrava il suo rango di ammiraglio? Le impronte sul drappo erano impresse nelle cenere solz'di/icata. La cenere caduta dopo la pioggia di lapilli era allo stato di fango fluido,· si insinuò in tutte i vuoti e colmò tutte la cavità; col tempo, si solidificò acquisendo la durezza delta pietra tenera [tasso]. La cenere che fu rimossa subito s'indurì di meno; quella che fu rimossa più tardi si rompe i·n pezzi; e non forma più una unica roccia. Il cadavere di Plinio fu ritrovato dinanzi alle stanze 5" e 6(1 a ovest della stanza 7°, o termopolio e presso la bottega del farmacista. Le tracce delle travi rimaste sul muro indicano che doveva esservi un tetto ad Est del n° 7 ed io vi feci eseguire uno scavo, perché il letto di cenere sembrava intatto e scendeva persino più in basso, cosa che lasciava supporre che il tetto essendo vuoto zl peso della cenere al di sopra l'aveva fatto crollare e la cenere stessa aveva riempito quel vuoto; dovetti però rinunciare a proseguire lo scavo, poiché m'accorsi che le pietre che si trovavano sotto la cenere erano state rimone e che questo saggio era stato praticato subito dopo il disastro,· la cenere era stata rigettata di nuovo, ed aveva acquistato la consistenza abituale come se non fosse mai stata toccata: queste ceneri sono nettamente distinte dallo strato superiore di terra che si è formato molto tempo dopo, tant'è che nei siti di scavo molto più tardi le terra e la cenere si sono mescolate. Abbandonai perciò quel lavoro e tutto rimase come io vi ho indicato. Chi ha dunque potuto compiere uno scavo subito dopo il disastro? ... Lo scavo circolare aveva un diametro di 15 metri; prova evidente che vzfurono delle ricerche allo scopo [di ritrovare il corpo di Plinio il Vecchio]. Che cosa successe in seguito? Nessuno può saperlo... la cavità fu di nuovo riempita. Questa terra era diventata un immenso deserto e non si tentò più alcun'altra ricerca" 9 • La memoria del Matrone, puntigliosa e non esente da una evidente delusione, si dilunga nell'esposizione degli altri rinvenimenti di quella campagna di scavi. A suo dire tutti sembravano ulteriormente convalidare la straordinaria identificazione, non priva peraltro di sostenitori. Da J. MATRONE, Précfr historique sur les Jouzlles exécuté par M. r l'ingenieur]. Matrone pres de l'ancienne bourgade de la marine de Pompei, Napoli 1909, pp.7 e sgg.
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fa alt0: i resti del gladio (parazonium) ritrovato al fianco dello scheletro attribuito a Plinio dall'ing. Matrone.
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STUDIO ANTROPOLOGICO PRELIMINARE DEL PRESUNTO TESCHIO DI PLINIO di Pier Paolo Petrone"
I reperti osteologici umani analizzati si presentano in buono stato di conse1vazione per ciò che riguarda le parti prese1vatesi, la calotta cranica e la mandibola, ma è assente gran parte dello splancnocranio (facciale e mascellare superiore) e si conserva solo parte della base. Queste ossa, in genere, sono le più fragili e quelle che in modo minore si conservano, almeno per intero. La morfologia generale appare quella di un adulto, con caratteristiche sessuali secondarie piuttosto marcate in senso maschile. Particolarmente robusti appaiono la glabeUa, i tori sovraorbitari e le orbite, la mastoide e tutta la mandibola, che presenta un mento molto pronunciato e condili voluminosi (Ferembach et al, 1979). L'analisi macroscopica del cranio e dei denti non permette una definizione particolarmente accurata deU'età alla morte dell'individuo, soprattutto tenendo conto dell'impossibilità di un confronto con altri caratteri morfologici dello scheletro post-craniale, in genere maggiormente significativi. Il grado di sinostosi delle suture esocraniche (Meincll e Lovejoy, 1985), solo parzialmente obliterate, e l'usura dentaria (Lovejoy, 1985) permettono di stimare un'età di circa di 38 anni, nel primo caso, e di circa 41 anni, nel secondo, considerando in entrambi i casi un range di almeno ± 5 anni. Il mascellare inferiore presenta un'omogenea abrasione delle cuspidi degli elementi dentari sia anteriori che posteriori, una discreta retrazione alveolare, che diventa notevole nella parte anteriore in seguito alla perdita intra-vitam dei due incisivi centrali ed al riassorbimento alveolare successivo, con tracce ancora evidenti di alterazione del tessuto osseo da ascessi periapicali. Il secondo premolare di sinistra è abraso sin quasi al colletto, quale probabile esito di una carie penetrante e conseguente sfaldamento della corona. Il canino di destra appare fratturato post-mortem.
Antropologo fisico. Università degli Scudi di Napoli "Federico II". Centro Musei delle Scienze Naturali. Museo di Antropologia.
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Da un punto di vista esclusivamente qualitativo, l'omogeneità con la quale i denti sono usurati e la bassa incidenza sia di patologie parodonrali che delle carie sembrano deporre per una dieta diversificata e, presumibilmente, ricca in fibre e proteine, dmique piuttosto equilibrata. La retrazione alveolare rilevata potrebbe essere con.seguenza di una igiene della bocca non particolarmente aç1enta, come è facile rilevare per epoche storiche, anche recenti. I.:analisi di possibili lesioni ossee non ha evidenziato la presenza stili'esterno della ecùotta né di traumi di particolare rilievo, né di tracce di iperostosi porotica e neanche di cribra orbitalia sul tetto delle orbite. Questi ultimi due tipi di lesioni del cranio sono in genere dovute ad wùperplasia del midollo conseguente a stati anemici da carenza di ferro, per lo più rìconducibili a malnutrizione e malattie infettive sofferte nel corso dell'accrescimento e, soprattutto nelle donne, alle gravidanze e ai parti. Per inciso, le caratteristiche rilevate per il cranio e la mandibola in questione sembrano confermare l'appartenenza di entrambi allo stesso individuo. In conclusione, il cranio oggetto di studio deve essere appartenuto ad un uomo adulto, dalle caratteristiche del volto piuttosto mascoline, di età matura - forse compresa tra i 35 ed i 45 anni - e, per quel poco che ci è dato di indagare, in presumibile buono stato di salute. I risultati di tale studio potranno trovare conferma ed eventuale approfondimento in future e più dettagliate indagini di laboratorio.
Bibliografia D. Ferembach, I. Schwidetzky, M. Stloukal, 1979. Recommandations pour déterminer l'age et le sexe sur le squelette, Bulletin et Mémoires de la Société d'Anthropologie de Paris, 6, 7-45 . C.O. Lovejoy, 1985. Dentat wear in Libben population: its/unctional pattern and role in the determination o/aduli skeletal age at the death, AmericanJournal of Physical Anthropology, 68, 47-56. R.S. Meindl, C. O. Lovejoy, 1985. Ectocranial suture closure: a revùed method /or the determination o/age at death based on the lateral-anterior sutures, American J ournal of Physical Anthropology 68, 57- 66.
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Tra questi spicca un certo Mariano Cannizzaro, anch'egli ingegnere che nel 1901 pubblicò a Londra un piccolo saggio dal titolo: Il Cranio di Plinio, breve nota su alcuni nuovi
scavi presso la foce del Sarno con illustrazioni· tratte da fotografie di G. Ruffo, principe di S. Antimo. Il tecnico, pur lasciando ampio spazio ai dubbi, reputò l'identificazione molto probabile e per conseguenza la scoperta estremamente significativa. Per contro numerosi e preparati gli oppositori, fra i quali l'archeologo Giuseppe Cosenza che pubblicò nel 1902 un altro saggio dal titolo: Intorno alla pretesa scoperta di Plinio il Naturalista. Uno dei suoi argomenti principe per demolire le pretese del Matrone consisteva nel ritenere assurdo intorno ad un ammiraglio un codazzo di donne e bambini e non già di alti ufficiali! E poi perché mai avrebbe dovuto portare indosso tanti monili d'oro, che a suo dire l'avrebbe fatto somigliare più ad una ballerina da avanspettacolo che ad un ammiraglio in ca po! Ad un identico ironico rigetto pervennero o si adeguarono negli anni immediatamente successivi una schiera di giornalisti, letterati e poeti, accomunati soltanto dalla derisione deUa presunta scoperta. I loro scritti non di rado attinsero al riguardo vertici di stupidità, degni di miglior causa, come quando Ferdinando Russo nel 1901. giunse a scrivere: "lo scavo del!' ingegner M·alrone è certamente con-
siderevole... ha dato oggetti singolarmente pregevoli... tra gli altri... pure una casseruola, una bella brocca ed alcune forme di· pasticceria. Vorremmo ora sol per questo giurare che Plinio era un ghiottone e che. .. [le] trascinava appresso... per farsi fare quando gliene veniva la voglia le sfogliatelle... "10. Da allora: "sullo scheletro di Plinio e sul suo presunto ritrovamento, sembra che sia stato steso un telo spesso e impenetrabile. Solo Antonio Scherillo, Ordinario di· Mineralogia all'Università di Napo!( in occasione di un convegno del!' Accademia Nazionale dei Lincei (relatori assieme al cattedratico furono Ettore Paratore, Giorgio Nebbia e Giuseppe Montalenti) che si tenne a Roma nella ricorrenza del XIX Centenario della eruzione del Vesuvio e della morte di Plinzò il Vecchio ricordò i fatti di Bottaro e si espresse, seppur CO?:, molta cautela, in favore di una benché remota possibilità che lo scheletro fosse realmente appartenuto allo scienziato e ammiraglz'o romano" 11 •
In conclusione tutte le successive scoperte archeologiche nell'area vesuviana, notevoli e numerose, non sembra10
La cirnzione è tratta da C. AvVISAI'I, Plinio ..., cit., p. 55.
Il
lhid.
In alto, a destra: l'ing Gennaro Matrone.
no aver trovato nulla di assurdo nella interpretazione del sito alJa foce del Sarno, né delle sue costruzioni, purtroppo scandalosamente risepolte. Non è certamente una prova a favore dell'identificazione, ma costituisce pur sempre un significativo indizio. Le tecniche di scavo nel frattem po sono mutate e quelle d'indagine in merito all'identificazione appaiono addirittura inconfrontabili: basti solo pensare alle possibilità offerte dall'esame del DNA . N el caso in questione, come già ricordato, tale metodica non è applicabile, ma ne esistono altre che potrebbero fornire dei basilari risu.ltati. Dirimenti, una volta per tutte, come ad esempio quella relativa agli isotopi contenuti nei denti. Da essa potrebbe ricavarsi l'indicazione deUa località nella quale il soggetto visse i suoi primi anni. Si avrebbe così la certezza che lo scheletro trovato oltre cento anni fa, di fronte allo scoglio di Rovigliano, è effettivamente quello di P linio il Vecchio, deceduto nel corso della prima missione di protezione civile della storia intrapresa da una forza armata regolare. Missione che molto probabilmente riuscì a strappare un gran numero di disgraziati vesuviani dal loro tragico destino: fra essi forse la stessa Rectina.
EPILOGO
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Un) altra coincidenza? Ad un più attento esame il piedistallo della croce di legno co!Jocata, sin dal 1854, dinanzi alla chiesa di Casalpiano a Morrone del Sannio, rivela di non essere una semplice pietra ma una antica ara sacrificale di epoca romana. Per l'esattezza si tratta di un blocco parallelepipedo di calcare che misura meno di un metro di altezza per mezzo di larghezza, con uno specchio per l'epigrafe alto a sua volta cm 38. L'insieme appare fortemente degradato, diviso verticalme_n te in due parti da una vistosa lesione ma sempre coeso, ad eccezione di un grosso frammen to in alto a _9estra, scomparso in epoca imprecisata. Superiormente ed inferiormente sulla faccia destra e sinistra una modanatura con rozzi bassorilievi rappresentanti una Patera ed un Orcesus. Un foro di circa 13 cm di diametro serve da incastro per la colonnina che sorreggeva la suddetta croce. Dopo il restauro del 1989 riesce agevole leggere la sua incisione, peraltro integra, che recita: C[aius] SALVIUS
EUTICUS LAR[ibus] CAS[anicis]
OB REDIT[um] RECTINAE N[ostrae] V[otum] S[olvit]
CAIO SALVO EUTICO SCIOLSE IL VOTO AI LARI DI CASA PER IL RITORNO DELLA NOSTRA RECTINA La datazione dell'ara rimonta al I secolo d.C. e l'estrema rarità del cognome Rectina, lasciano motivatamente supporre che la matrona in questione fosse proprio quella che invocò l'aiuto di Plinio. Si spiegherebbe così, in maniera convincente, il perché dell'ex voto per il suo ritorno. Va, tuttavia, ricordato che si conosce la menzione di un'altra Rectina, su di una lapide mortuaria rinvenuta nella Spagna Tarragonese, relativa ad una Popitla Rectina, deceduta a 18 anni, figlia di un certo Lucio e moglie di Voconio Romano, amico di entrambi i Plinio. Secondo alcuni studiosi Papilla sarebbe stata la figlia della Rectina coinvolta nell' eruzione del 79, sposatasi in seguito con quel loro amico (N) Rectina, perciò verosimilmente fu salvata e tornò di tanto in tanto nella sua grande villa nei pressi di Larino, una delle mo.lte proprietà che possedeva nella II Regio. Un'altra, infatti, sembrerebbe esser stata presso Canosa, dove non a caso si ritrova una seconda
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79 D.C. ROTTA SU POMPE I
Sopra e in basso: l'ara con la dedica a Rectina. Nella pagina a fianco: la chiesa di Casalpiano, Campobasso, e i ruderi
dell'abbazia.
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stele votiva in cui SAL [vius] è associato a REC [tina]
(CIL. IX 322). Di lei, più ancora dell'ammiraglio si perse il ricordo nello stesso frangente in cui nasceva il mito dello scienziato che, con i gradi di ammiraglio in capo ben in mostra per la gravità del momento, andò a morire in un tiepido pomeriggio d'autunno per cercare di capire e per tentare di salvare tanti suoi simili. Nessuno allora, e per quasi due millenni, comprese che la sua intelligenza magari non aveva capito la dinamica esatta del vulcanesimo, come del resto di molti altri fenomeni naturali, ma aveva perfettamente intuito che solo una forza militare tornava idonea a portare rapidamente soccorso, in maniera diretta ed org;nizzara, alle vittime di una catastrofe. Il solo supporre che l'istituzione preposta alla distruzione ed alla violenza sistematica potesse trasformarsi, in caso di necessità, in una compagine finalizzata alla ricostruzione delle infrastrutture ed al soccorso umanitario appariva paradossale. Qualcosa che per la logica dell'epoca trovava un equiva-
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D.C. ROTTA SU POMPEI
.lente soltanto nell'altrettanta assurda idea di amare persino il proprio nemico! Eppure al di là della sua carriera, al di là delle sue opere fu proprio questa sua intuizione, subito concretizzata a costo della sua stessa vita, che lo collocherebbe a buon diritto tra i benefattori dell\m1anità: fosse solo per lei meriterebbe una riconoscente memoria, magari come ideatore, se non fondatore, della Protezione Civile. Senza alcuna retorica temerarietà e senza alcuna pavida indecisione, ma con una bonaria battuta di spirito sulle labbra, puntò la dove tutti cercavano di fuggire e confortò,. al di là del verosimile, quanti non speravano più alcuno scampo. Morì serenamente, di fronte al mare, forse con il capo appoggiato ad un pilastro sul quale era inciso 'al marinaio'. Sotto: veduta dello Scoglio di Rovigliano al tramonto. Nella pagine successive: si ripropone, in appendice, la traduzione completa del volume realizzato nel 1903 dall'ing. Matrone per illustrare glZ scavi di Bottaro ed i relativi ritrovamenti.
BOSCOTR ECASE ( PRÈS DE N APLEs)
PRECIS Hr··srORIOUE "" .
sur · les fou illes e.xècutèes
par )Yl.r r ingénieur
J. )Yifl-C1ic:J.1Ye
PRÈS DE L' ANCIENNE BOURGADE DE LA MARINE
DE POMPEI
CASTELLAMMARE DI STABIA Tipografia. Di Martino -- Pi112za Municipio, 28 1903. ·
APPENDICE
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Lo scheletro di Plinio In prosecuzione della pubblicazione sugli scavi archeologici che io ho intrapreso a Bottaro (presso Torre Annunziata), intitolata Preàsazioni storiche sugli scavi effettuati
dal sig. ingegnere Gennaro Matrone sul sito dell'antico borgo rnarinaro di Pompez; ho reputato necessario la presente pubblicazione, finalizzata a far luce su di una disputa archeologica di notevole interesse, allo scopo di fugare le obiezioni che ha generato. Il 20 Settembre 1900, alla presenza degli operai, i fratelli Agostino e Generoso Fioretti, figli di Giovanni di Boscotrecase; Giuseppe Matrone di Giuseppe di Bottaro; Pietro Coraggio, originario di Boscoreale; Vincenzo di Pietro e Luigi Sorrentino d'Alfonso; Sabato Izzo, tutti e tre di Boscoreale; Gaetano Esposito di Rocco di Bottaro ed altri; delle due guardie sorveglianti gli scavi, Pasquale Sullo e Angelo Russo, numerosi scheletri furono rinvenuti sotto una lunga tettoia o calcidico. Uno di essi apparve in una posizione più elevata, era sdraiato, con la testa appoggiata a uno dei pilastri del colcidico. Questo scheletro era di un anziano, disteso sul dorso, con la testa, quasi interamente nella cenere indurita, al di sotto del lapillo. Portava intorno al collo una collana d'oro di 75 maglie in tre giri del peso di 400 grammi; sulle ossa di ciascun braccio un bracciale (armille) d'oro rappresentati due vipere maschio e femmina in tre spire, con un peso complessivo di 665 grammi; alle dita della mano destra portava tre anelli in oro massiccio dei guaii uno pesava 36 grammi, a forma di serpenti che si affrontano: al suo fianco stava un gladio (parazonio) ed una brocca d'argilla; non recava con alcuna moneta di qualsiasi tipo. Il cranio era interamente nello strato di cenere indurita , mentre il resto dello scheletro nella cenere e nel lapillo. A poca distanza ed intorno a questo scheletro, in direzione sud, si rinvennero parecchi altri scheletri dei quali un certo numero portava dei bracciali (armille) ai polsi, quasi tutti a forma di serpente,nonché diverse collane delle quali alcune ai fianchi; avevano pure delle argenterie da tavola; uno tra loro portava una sacchetta piena di monete d'oro, altri invece dei sacchetti di monete d'argento o di bronzo. Presso di loro, si rinvenne uno scheletro con dei tubi di bronzo contenenti dei medicinali e degli strumenti chirurNella pagina a fianco: statua in bronzo di Ercole rinvenuta durante gli scavi dell'ing. Matrone. Opera ellenistica di pregevole fattura, fu acquistata dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli; dove è attualmente esposta con l'etichetta "Ercole Matrone".
gici, che dimostravano trattarsi di un medico; è da rimarcare che in questo luogo fu ritrovata un grosso bracciale (armilla) di circa 25 centimetri di diametro in foggia sempre di serpente attorcigliato, non ché una testa di leone. La posizione esatta dei cadaveri e degli oggetti non potette essere fotografata a causa dell'acqua che invadedeva la base degli scavi nelle quale gli scheletri erano immersi. Solo lo scheletro del vegliardo aveva la testa ed il torace fuori dall'acqua, in una posiziona reclinata con la testa in alto ed i piedi più in basso. Sul pilastro, fuori dal livello dell'acqua, apparve un grafito con la parola Naute. Nella direzione nord, a due metri di distanza di questo gruppo, si rinvennero le ossa di un gigante, di 2 metri e 10 centimetri di altezza, con una grossa lanterna di bronzo in mano a forma di testa di cavallo. Nel corso di questi ritrovamenti, non mancai di rendere noti agli ufficiali dell'amministrazione dei Musei che quello scheletro del vegliardo poteva appartenere ad un cospicuo personaggio; quei signori non compresero però l'importanza né si occuparono più del ritrovamento. Stando così le cose, io maturai la convinzione che si trattasse, e poteva esserlo, di un qualche magistrato di Pompei,e l'amministrazione non dimostrò alcun interesse a questi sca vi, al punto di non chiedere neppure la pulizia del gladio coperto di fango indurito, e non riscontrando alcuna importanza scientifica, mi lasciò libero di disporre degli oggetti ritrovati per cui abbandonai anch'io l'idea che quello scheletro potesse essere di un grande personaggio e non parlai più; io ho conservato il cranio di quello scheletro come ricordo di tutti gli oggetti che egli mi aveva donato, e le ossa furono sepolte nuovamente ali'angolo di un vicino muro. L'anno seguente, ripresi gli scavi verso nord del sito, ed a tre o quattro metri di distanza dal quel gruppo di scheletri, sotto la tettoia del calcidico, rinvenni i resti di una lettiga, con le estremità delle stanghe di bronzo, un busto di Minerva su base quadrata che sembrava aver ornato la testata della lettiga e dei pezzi di bronzo verosimiJmen te destinati a fungere da sostegno per le sue tavole quando poggiate a terra. Un altro busto di Minerva fissato pure al legno fu rinvenuto in una camera adiacente il calcidico, indicata nella planimetria con la lettera a in mezzo alle ossa. Non è senza interesse ricordare che i lapilli s'innalzavano fino a 3,15 metri dei quali 1,90 metri sotto l'acqua che invade ad oggi il pavimento; lo strato di cenere indurita era di 1,35 metri in mezzo a quella di lapilli; lo strato di terra vegetale sopra quello di cenere era di 0,70 metri, per un totale ad oggi di metri 5,20.
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Pre:aòsi rinvenuti negli scavi dell'ing. Matron e, estratti dal catalogo d'asta "Objets Antiques - Collectzòn de lv!. Guilhou, déscrits par ArthurSambon", del .1905, voci 160-165, p. 27. A) Collana in oro. Grossa catena intrecciata con fermaglio a disco in forma di scudo; pendente, una conchiglia (pettinide) avente al centro una raffigurazione delta Fortuna. Lungh. 44 cm B) Collana in oro. Catena a grosse maglie a forme di 00; fermaglio a disco in forma di scudo; pendente in forma di cornetto rovesciato, con le punte arrotondate a sfera. Lungh. 38 cm C) Due braccialetti in oro abbinati. Doppio filo d'oro /issato e piegato a spirali, terminante con una doppia spirale fissata a un dùco in forma di scudo. D) Pariglia di orecchini aventi la forma di uno spicchio di aglio. Sono muniti postenòrmente di un fermaglio /i'ssato a doppia !,pira, che ha
fatto pensare a Fontenay, a causa di analoghi orecchini trovati a Pompei, che potrebbero enere degli ornamenti per cavallo. E) Altro paio dello stesso tipo, sormontati dallo stesso disco nel quale è incastonata una pasta di vetro. F) Altro patò a forma di corimbo, sormontata da un piccolo disco nel quale è incastonato un impasto di vetro. Questi gioielli provengono dagli scavi dell'ing. Matrone di Boscoreale. Una leggenda molto affascinante si è formata intorno a questi preziosi monili: sarebbero i gioielli delle persone che /armavano il seguito di Plinio il Vecchio, poiché sono stati trovati nello stesso luogo, presso il Sarno, dove morì soffocato il grande Naturalista. Questa leggenda ha suggerito le belle pagine del celebre romanziere Gustave 'l'oudouze, nell'opera intolata "La Venere dei Sepolcri".
Un poco più a nord degli scavi, presso qualche casamen to più recente, fu scoperta una villa sontuosa della quale ogni frammento costituiva un opera d'arte. Un giorno vidi arrivare sugli scavi il Console onorario, Vice Console di Francia a Castellammare di Stabia, sig. Edouard Jammy, Presidente del Comitato Agricolo del circondario, il quale per vecchie informazioni, sapeva che a un centinaio di metri dai miei scavi, sull'antica spiaggia era stata scoperta nel 1858 una lz'burnica romana nel corso dello scavo di fondazione del mulino che vi si trova oggi, e poneva il problema che lo scheletro doveva essere quello di Plinio il Vecchio, insigne naturalista, ammiraglio della flotta romana di Miseno; qualche tempo dopo pubblicò questa sua ipotesi in un articolo inserito nel Corriere di Napoli del 16 Novembre del 1901. Dopo quel giorno io iniziai ad approfondire questa ipotesi, che gli era così passata nell'animo, da spingere i miei studi con l'assistenza disinteressata del cavalier Ed. Jammy, ed il risultato di tali ricerche portò senza alcun dubbio ad affermare la scoperta dello scheletro di Plinio il vecchio.
II Nelle lettere a Tacito, Plinio il giovane racconta che si trovava a Miseno con sua madre e suo zio Plinio il Vecchio, quando gli apparve una nuvola spettacolare ed inusitata; S'innalzava e si distendeva nel cielo; si seppre più tardi che proveniva dal Vesuvio. Suo zio decise subito che quel fenomeno era meritevole di essere osservato da vicino; fece armare una Luburnica e permise al nipote di seguirlo; ma quello preferì restare a Miseno con sua madre per poter studiare. Nell'istante in cui Plinio il Vecchio esce dalla sua casa, riceve una lettera da una amica, Rectina, che lo sollecita ad andare a liberarla da un incombente pericolo, visto che abitava in una villa posta proprio sotto il Vesuvio da dove ormai non si poteva più fuggire se non per mare. Pensando allora alla necessità di correre al soccorso di molti altri, esposti allo stesso pericolo,, cambiò parere e fa '
uscire le quadriremi, su cui sale e salpa. Ma non potendo atterrare in alcun punto fa fermare le sue navi e resta incerto se deve proseguire il suo viaggio o tornare indietro; quindi ordina di dirigere verso Stabia alla villa di Pomponiano, situata sull'altra estremità del golfo. Appena giunto, trova il suo amico, terrorizzato, avendo già caricato i suoi bagagli su delle barche attendendo un vento favorevole alla sua fuga. L'abbraccia, l'incoraggia, si fa condurre nel bagno; cena e si mette a letto e dorme profondamente. Verso l'aurora, quelli che vegliano lo chiamano, Io svegliano di soprassalto, perché le pietre pomici e la cenere avevano già coperto il cortile dalla quale si raggiungeva quella stanza al punto che se avesse atteso ancora, gli sarebbe stato improbo uscire. Si decise allora di andare fuori e di incamminarsi verso la spiaggia. Lì Plinio stanco si sdraia sul mantello e chiede più volte da bere. Ma mentre attendono ancora sulla spiaggia, il furore dell'eruzione aumenta, e quelli che stavano intorno a lui presero la fuga; lui stesso si appoggiò a due giovani schiavi per sollevarsi ma cadde morto. Tre giorni dopo, fu ritrovato il corpo vestito ancora com'era ed il suo viso sembrava quello di un uomo che dorma placidamente. Oggi, sia per lo studio dei documenti, sia per esclusione, si può ricercare la verità. All'arrivo del signor cavaliere E. Jammy, avevo già venduto i due bracciali (armille) e la collana dell'anziano come pure i bracciali e le collane dei suoi compagni, poiché a parere dei superiori del Museo, non rivestivano alcuna im portanza scientifica; avevo però conservato e conservo ancora gli anelli d'oro dell'anziano ed una parte dei bracciali e delle collane dei suoi compagni, le argenterie, i bronzi della lettiga ed altri oggetti. Pulii il gladio che custodisco ancora; sull'estremità in bronzo del fodero si distingue un ornamento costituito da molluschi e da tre conchiglie marine a sbalzo; l'impugnatura e la guardia sono d'avario; il fodero è in legno sottile che ancora si conserva. Sotto: gladio da parata (parazoràum) rinvenuto a Bottaro.
Continuai gli scavi delle lussuosa villa che occupava una superficie di circa 400 metri quadrati, senza riportarla completamente alla luce e della quale la pianta allegata dimostra l'importanza. Molto tempo dopo l'eruzione, gli abitanti ripresero a coltivare le terre; innalzarono in questo luogo un caseggiato rurale che impiantarono sul lato occidentale della villa, distruggendone l'atrio, il tablino e l'ingresso, lasciando intatti il peristilio, le sale di ricevimento in fondo al peristilio, i bagni e gli alloggi degli schiavi. Ad ovest della villa, ritrovammo gli scheletri dei suoi residenti; le loro ossa erano riunite, lasciandoci supporre perciò che gli oggetti preziosi vicino ai cadaveri fossero stati rubati quando si costruì l'edificio agricolo, visto che i cadaveri sembrano ammucchiarsi presso le porte della villa aperte verso ovest su la strada per la marina, costeggiante il mare, come si è osservato nelle case di Pompei. A sud di detta villa e sulla stessa strada presso il mare si trovava la lunga tettoia, o calcidico, davanti ad una fila di magazzini due dei quali erano pieni di anfore; uno conteneva un gran numero di fiale e di prodotti farmaceutici, un altro degli utensili da carpentiere marittimo, ecc. Una strada stretta separa questa tettoia e questi magazzini dalla nobile residenza adiacente. Cos'è questa villa? I pavimenti, le decorazioni, gli affreschi dimostrano che questa villa è più antica del caseggiato rurale vicino, più antica persino della maggior parte delle case pompeiane. Doveva essere la residenza di un patrizio che, in seguito, utilizzò a proprio vantaggio l'emporio e gli altri fabbricati, servendogli per lo sbarco delle mercanzie che giungevano via mare alla volta di Pompei e dei paesi limitrofi. Essendo una località posizionata sull'antica marina, poteva appartenere sia al territorio di Stabia che di Pompei. Questa questione sarà risolta allorquando il vecchio corso del Sarno che divide nettamente il territorio di Pompei da quello di Stabia sarà stato determinato. Se il Sarno passava a nord di queste costruzioni, queste appartenevano a Stabia, se passava a sud appartenevano al territorio di Pompei. Certo è che queste costruzioni si ritrovano di fronte dell'isolotto denominato Pietra d'Ercole, oggi Rovigliano, dove iniziano le acque di Stabia, di fronte alla foce del Sarno. A chi apparteneva questa villa? La villa, la ctù pianta è qui allegata, fu distrutta nella sua parte occidentéÙe dagli abitanti che ripopolarono le terre pompeiane, allorquando per edificare un nuovo fabbricato rurale ne spianarono l'atrio, il tablino, .l'ingresso e le stanze, lasciando intatti il peristilio, il triclinio, e le camere di ricevimento, i bagni e molti locali di servizio per la casa e per gli schiavi.
Nel triclinio e nelle sale di ricevimento furono rinvenuti sui muri dei disegni e degli affreschi, delicate opere che l' acqua non aveva minimamente alterato. li livello dell'acqua che era anticamente all'incirca un metro al di sotto delle fondazioni si è oggi molto sollevato, a causa del mancato drenaggio provocato dall'accumulo della terra che fa indietreggiare il mare. I caseggiati agricoli , inondati e persino lesionati, furono abbandonati al tempo dell'imperatore Costantino del quale si sono trovate alcune monete di bronzo. Nelle migliori stanze, si è rinvenuta una statuetta di bronzo rappresentante un Amorino alato di buona fattura~ in atto di spiccare il volo, il piede appoggiato sopra uno zoccolo rotondo di bronzo ornato di bassorilievi. Ha il volto sorridente, il braccio sinistro steso ed innalzato, sostenente un tubo per la fiamma. L'insieme infatti forma una lampada; l'olio versato nella testa, passando nel petto e le braccia vuote, alimenta la miccia che fuoriesce dal tubo della fiamma. La statuetta è alta 58 centimetri senza lo zoccolo; era a pezzi e non utilizzata per l'ossidazione del bronzo. Fu trovata anche in queste stanze una statua di marmo che rappresenta un'agile figura nuda di sesso maschile con dei seni femminili che bisogna considerare come una Venere ermafrodita. Sulla spalla destra, ha un mantello la cui estremità che copre parte di un seno va a poggiarsi sull' avambraccio sinistro che, leggermente disteso, porta nel palmo della mano un Amorino, Cupido, al quale manca la metà superiore del corpo rivettata sulla metà restante. La testa della statua è coperta da una sorta di berretto con dei bordi che cadono e di cui uno è rotto. L'opera è realizzato nel bel marmo di Paros, dal delicato movimento e di aspetto grazioso; è ben conse1vata. Vicino al fianco destro della gamba s'innalza un tronco d'albero senza niente di particolare. L'altezza con il berretto è di............................... 0.920 m u senza ................................ 0.8.35 m Nel superbo peristilio, si è trovato, al centro della fontana, una statua-cariatide in ginocchio sostenente una vasca decorata d'ovuli e ghirlande a globi; vi si vedono due anse fuoriuscenti orizzontalmente, decorate con piccole palme sulle quali stanno diametralmente opposte delle maniglie cilindriche e divise che si riuniscono alle anse. È un po' corrosa ed è poggiata su di una basamento di nero antico. La sua fattura artistica è buona. Si sono trovate ancora delle colonnette con doppia testa agli angoli di un tavolo di marmo che sostenevano; un Nella pagina a fianco: statua di ermafrodita ,-invenuta clall'ing. Matrone negli scavi della villa romana.
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ri di loto e con fori trapanati, di una esecuzione inferiore a quella dei monopodi; il tutto è ben conservato. A due lati del peristilio, si è trovata la statua in bronzo che si suppone di Ercole al riposo, opera di Lisippo o della sua scuola, d'eccellente esecuzione, rappresentando Ercole nudo e con la barba che si riposa, seduto su di roccia di pietra di Nocera; il piede destro in parte appoggiato su una sporgenza di roccia grezza, il piede sinistro parzialmente disteso e girato verso destra. E rcole regge nella sua mano destra una coppa per bere. La mano sinistra tiene un nodoso bastone, la parte più spessa in basso, con la sua testa inghirlandata di pampini. L'altezza della statua seduta è di 0.75 m; sviluppandosi ne avrebbe 0.95; l'altezza della roccia è di 0.38 m. Gli scavi di questa villa ad oggi non sono ancora terminati. Potrebbe darsi che si trovi qualche bell'oggetto che indichi chiaramente il nome del suo padrone. Quando l'eruzione ebbe luogo, raggiungendo tutte le case pompeiane, gli oggetti furono ammucchiati presso le uscite, in modo da poterli trasportare nella fuga, ragion per cui si sono trovati molti pochi oggetti minuti. Tuttavia, sul fondo, ornata da due leggere ghirlande, di un vaso di vetro dal bordo molto ricurvo, si distingue intorno alla base di solo la metà fu ritrovata, le lettere romane: EIP CESSI Che la rottura interruppe. Volendo ricostruire il fondo del vaso, si avrebbe: REIP CESSI BASSI i
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Sopra: colonnetta con doppia testa di Dionùio e di bambino, rinvenu-
ta dall'ing. Matrone negli scavi della villa romana. Attualmente custodita al Musettm o/Fine Art di Boston.
altro tavolo di marmo bianco e due monopodi quadrati, in marmo di Paros, di cui uno porta la doppia figura di un ippogrifo; l'altra, ugualmente doppia, rappresenta un mostro barbuto con una cresta, come i leggendari dragoni, con la zampa di un leone. Non sembra affatto che sia stata trovata ugualmente a Pompei. Nelle figure principali si vedono dei bei meandri in basso rilievo, al centro dei quali due capre cozzano le loro fronti. Gli zoccoli dei monopodi della suddetta tavola sono realizzati in un pezzo di marmo grigio. Essi sono ornati da piccoli semicerchi con triglifi, di grandi cerchi, con fio-
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la parola reipus (Facciolati, totius latinz'tatis lexicon) vorrebbe significare dono di nozze. La villa potrebbe dunque a giusta ragione essere quella di Rectina, moglie di Cesio Basso situata ai piedi del Vesuvio secondo P]jnio, la quale gli aveva inviato il messaggio affinché venisse a salvarla, non potendo fuggire via terra.
III Prima di stabilire perciò chi poteva essere il proprietario di questa villa, esaminiamo come si sviluppò l'eruzione. Dapprima cadde una pioggia di lapilli non troppo violenta e gli abitanti si prodigarono a sgombrare i tetti e le terrazze, tant'è che trovano dei cumuli di lapilli ai piedi delle mura. Successivamente la pioggia di lapilli divenne più intensa, unita a delle pietre; gli abitanti dovettero tralasciare quel
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lavoro ed accumulare i loro oggetti per fuggire, dal momento che l'altezza del lapillo era arrivata a tre metri in questi luoghi, minacciando di far crollare i tetti e le terrazze delle case delle quali i muri si lesionavano. Preceduta da vapori asfissianti e da bagliori di fuoco, la pioggia di cenere sopraggiunse ricoprendo tutto; ogni essere vivente, che lei raggiungeva, soccombeva inchiodato, per così dire, laddove la nube di cenere l'aveva sorpreso. L'eruzione fu più o meno violenta a seconda delle diverse località ed il capriccio del vento; deve esservi stato un certo intervallo tra la pioggia di lapilli e quella della cenere, sia perché la separazione tra i due strati è netta e precisa, sia perché la maggior parte dei pompeiani ebbe il tempo di uscire dal raggio d'azione del vulcano; quelli che tardarono furono i soli a perire; l'intervallo tra le due piogge dovette essere, probabilmente, di diverse ore. Plinio il Vecchio, secondo la lettera di suo nipote, desiderava studiare il fenomeno e chiamato da Rectina moglie di Cesio Basso, venne da Miseno sul suo naviglio, ma non potette sbarcare alla foce del fiume Sarno, presso la villa di Rectina a causa dei lapilli trasportati dallo stesso Sarno che ne ostruivano la foce e il mare adiacente, ed anche per la pioggia di pietre pomici. Si spostò allora più a sud, sulla spiaggia di Stabia, presso la villa di Pomponiano; dopo essersi riposato ed aver dormito, fu risvegliato, la pioggia di lapilli cadeva in piccola quantità; credendo che il fenomeno fosse prossimo ad esaurirsi, volle andare da Rectina a poca distanza dalia villa di Pomponiano; dovette recarvisi in lettiga, perché il naviglio che doveva reimbarcarlo insieme a Rectina non poteva farlo se non nei pressi della villa. È da presumere che Plinio fu accompagnato dai suoi famigliari, forse dallo stesso Pomponiano, portando qualche argenteria da tavola, dal momento che i patrizi avevano l'abitudine di servirsi di stoviglie personali per i loro pasti; infatti, l'argento ritrovato non si compone che di piatti, tazze, coppe, cucchiai e forchette. Rectina e suo marito, indossati i loro migliori oggetti cl' oro, sono andati a ricevere Plinio sotto il calcidico a 50 metri dalla villa. Là, a tre metri dalia scheletro di Plinio, si é rin venuto uno scheletro di donna ornata di due collane cl'oro, l'ima più grande dell'altra, dei bracciali, degli orecchini con perle, degli anelli, dei monili d'oro,, etc; al suo fianco due scheletri di bambini, probabilmente i suoi. Plinio, anziano ed asmatico, arrivò là, e si sentì male ai primi vapori della pioggia di cenere; lo si estrae dalia lettiga, lo si fa stendere su un drappo sopra un mucchio di lapilli, la testa appoggiata a un pilastro, come sarà poi ritrovato; gli si da da bere e la brocca è stata rinvenuta a fianco allo scheletro. Plinio il Vecchio morì in quel luogo, e mentre i suoi amici, Rectina e il suo sposo e forse Pomponiano discutevano
su ciò che dovevano fare, la nube di cenere li raggiunse, li soffocò e li fece cadere morti intorno a Plinio e li seppellì sotto le macerie del calcidico. Nessuno ha potuto sollevare delle serie obiezioni a questa ricostruzione degli eventi; soltanto gli ufficiali della direzione del Museo, invidiosi di non aver fatto loro stessi questa scoperta e formulato una tale ipotesi, si sono sforzati di dimostrare il contrario, sia pubblicando delle critiche sui giornali, sia in una pubblicazione di un ispettore onorario, allora, del Museo, il signor dottor Giuseppe Cosenza, ristampando il suo articolo della Rassegna Italiana. Ma non possono facilmente confutare con i loro cavilli per via dei fatti e dell'osservazione.
IV Essi pretendono che risultava impossibile al vecchio Plinio percorrere i 2500 metri tra la villa di Pomponiano che doveva trovarsi non lontano dalla cattedrale dell'attuale Castellammare, e gli scavi del signor Matrone, dove si trovava la villa di Rectina. La storia racconta che Stabia dopo la distruzione di Silla, non era altro che un territorio cosparso di ville e di casali. La villa di Pompon.i.ano si trovava ali'estremità della cmva del golfo e questa estremità comprende tutta la curva del!' antica spiaggia dopo gli scavi fino alla cattedrale. Su questa spaiggia, si sono trovate i resti sepolti di amiche ville e case. Gli scavi di fondazione della cattedrale, ingrandita recentemente, non hanno restituito alcuna traccia della villa sontuosa come doveva essere quella di Pomponiano, ma delle tombe e di qualche rudere di casa rurale o di pescatori. È dunque facile rendersi conto che la villa di Rectina non essendo troppo lontana da quella di Pomponiano, Pliniio avrebbe voluto andarvi spinto dal desiderio di studiare il fenomeno più da vicino, così come la storia lo racconta, e che egli ha potuto percorre tale distanza, tra uno e due chilometri in lettiga; gli scavi futuri, lungo l'antica spiaggia, faranno senza dubbio ritrovare la villa di Pompon.i.ano. L'altra obiezione è che il nipote racconta fino agli ultimi istanti le circostanze della morte di Plinio, circostanze che egli non poteva conoscere essendo morto lo zio sotto il calcidico con tutti quelli che lo accompagnavano. Ma Plinio è morto dinanzi ai suoi compagni e prima delle pioggia di cenere. Uno schiavo da lui fuggito ha dovuto alterare gli eventi per non aggravare la sua colpa di aver abbandonato il padrone. Noi abbiamo dimostrato che Plinio soffocò per l'asma e fu trasportato allora stilla sua lettiga e fatto distendere su
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di un drappo (linteum) posto sopra i lapilli, poiché il suo cranio e parte del torace erano in questa posizione. Volle bere e la brocca d'argilla è stata trovata al suo fianco, e l'acqua pulita non poteva attingersi che in una vicinanza coperta. L ui morto e i suoi compagni lo circondano e discutono sul da farsi. Lo schiavo o colui che porta la notizia di questa morte a Plinio il Giovane, preso dalla paura alla morte del suo padrone, fugge e si nasconde. Gli altri sorpresi dalla pioggia di cenere, sono tutti immediatamente soffocati. Lo schiavo, in presenza di Plinio il Giovane, al fine di non subire la pena o il supplizio inflitto a quanti abbandonavano il loro padrone, racconta che tutti intorno allo zio erano morti e che Plinio il Vecchio volendo anche fuggire era caduto morto, come se un nobile romano di un rango così elevato, persino dinanzi ad una imminente morte avesse potuto correre dietro ai suoi amici ed ai suoi schiavi che l'abbandonavano. Come avrebbe potuto essere ritrovato disteso su di un drappo, la testa più in alto e i piedi più in basso, con la brocca ed il gladio al fianco, gladio che ostentava il suo grado di ammiraglio? La terza obiezione ricavata dalla lettera di Plinio il Giovane, vuole che il corpo dell'ammiraglio fosse ritrovato dopo tre giorni ancora vestito come scava, sembra rilevante e distruggere la nostra dimostrazione, ma gli scavi praticati illuminano questo punto conformemente alla nostra asserzione. La cenere caduta dopo la pioggia di lapilli era allo stato di fango molle; essa si insinuava in tutte le cavità riempiendo tutti i vuoti; con il tempo, si solidificò acquistando pressappoco la durezza della pietra tenera (tasso). La cenere che fu subito rimossa si solidificò alla stessa maniera; quella che si rimosse più tardi, si solidificò ugualmente, ma si rompe in pezzi ed è meno compatta. Il cadavere di Plinio fu trovato dinanzi agli ambienti 5° e 6° ed est di quello numero 7 o termopolio. Le tracce dei travi rimaste sui muri indicano che dovevano aver avuto un tetto ad est del numero 7 e io lì feci eseguire uno scavo, perché lo strato di cenere sembrava intatto e scendeva molto in profondità, il che faceva supporre -che il tetto essendo vuoto al di sotto, il peso della cenere l'aveva fatto crollare e la cenere aveva colmato quel vuoto; ma dovetti rinunciare a proseguire lo scavo, poiché mi accorsi che le pietre che si trovavano sotto la cenere, erano state rimosse in precedenza e che i paraggi erano stati già scavati dopo la catastrofe; la cenere vi era stata gettata di nuovo, ed aveva acquistato la consistenza naturale come se non fosse mai stata toccata; queste ceneri sono distinNella pagina a fianco: lucerna rinvenuta negli scavi dell'ing. Matrone.
tamente separate dallo strato superiore di terra che si è formato molto tempo dopo, infatti nei siti scavati molto più tardi la terra e le ceneri sono mischiate. Io abbandonai allora questo .lavoro e tutto restò come vi ho descritto. Chi dunque potette fare uno scavo in un periodo molto vicino al disastro? È logico credere che Plinio il Giovane incaricò chi gli aveva recato la notizia della morte di suo zio di condurre delle persone incaricate a ritrovarne il corpo, per compierne il funerale. Il punto preciso dove si trovava il corpo non poteva essere riconosciuto; si scavò a fianco, presso l' ambi~nte numero 7. Lo scavo circolare aveva un diametro di 25 metri, prova evidente che si trattava di ricerche destinate allo scopo. Che cosa è successo dopo? Nessuno può saperlo. Porrebbe darsi che fu trovato un cadavere qualsiasi; gli operai avranno creduto trattarsi di quello di Plinio e hanno inviato a suo nipote la notizia del ritrovamento: Plinio il G iovane scrisse perciò la prima lettera a Tacito; ma le persone inviate sul luogo per recuperare la salma e rendergli le onoranze funebri riconobbero l'errore e la cavità fu di nuovo riempita. Quelle terre erano diventate un immenso deserto e non si tentarono più altre ricerche. È certo che Plinio il Giovane nelle altre lettere non parla più del cadavere di suo zio e non conferma che sia stato ritrovato. I funzionari consolari inviati dall'imperatore Tito per soccorrere le popolazioni rovinate non dicono nulla del ritrovamento del cadavere di Plinio (Suétone, Tz'tus cap. VIII) Dopo aver scartato queste obiezioni, noi non vogliamo dimenticare di rettificare qualche inesattezza della pubblicazione del signor G .Cosenza, introdotte al fine di rafforzare le obiezioni dei nostri avversari. In questa pubblicazione, si afferma che un certo numero di scheletri furono trovati in qual.che ambiente, mentre furono tutti trovati sotto il calcidico, eccetto due, dei quali uno dianzi all'ambiente n° 6 e l'altro nell'ambiente n° 7. r.: anno successivo, fu trovato un altro ammasso di scheletri nella casa n° a, dietro le stanze 5 e 6, ma questa abitazione non aveva alcuna comunicazione diretta con il calcidico ed era una famiglia parte di abitanti del caseggiato vicino, che si erano rifugiati in una sorta di caverna. Tutti i circa 73 scheletri erano sotto il calcidico. I più ricchi, con dei gioielli di oro al collo o alle braccia, stavano attorno al cadavere dell'anziano. Più lontano si trovavano quelli che portavano l' argenterie, i sacchetti di monete d'argento e di bronzo e qualche bracciale d'oro o d'argento, sia sul corpo che nelle tasche, perché ho trovato questi ultimi a terra ed i primi sulle ossa. Presso questi scheletri fu trovato l'enorme bracciale a forma di serpente con la testa di leone, che avrebbe potuto
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essere l'estremità di una insegna. A qualche distanza affiorarono molti scheletri di povere gente, perché non avevano niente su di loro e così di seguito fino al bordo del caseggiato rurale, che si sulla mia proprietà verso sud. La disposizione di questi scheletri, tra i quali si trovava pure un medico è dunque ben chiara; i gioielli in oro, come pretenderebbe la pubblicazione, di poco valore, ma tutti massicci, di oro fino, di buon lavoro e con delle pietre preziose. I gioielli più ordinari furono trovati nel 2° e nel 3° gruppo di scheletri. La pubblicazione afferma ancora che i pezzi di bronzo della lettiga furono rinvenuti in diversi paraggi, e che uno dei due busti di Minerva nel locale a lontano dali' ambiente n ° 3, mentre le quattro estremità delle stanghe, i pezzi di sostegno ed il busto di Minerva a base quadrata furono trovati all'interno dell'ambiente 11° 3; un busto di Minerva fu trovato nel locale a in mezzo agli scheletri. L'ambiente n° 3 è il portone del caseggiato rurale di cui fa parte il locale a. Gli abitanti, vedendo la lettiga presso il portine, hanno potuto strappare la Minerva e portarla con loro nel .locale a per invocarla nel grande pericolo. Può darsi che la lettiga non aveva che una sola Minerva e che l'altra ritrovata presso i cadaveri non gli appartenesse; ciò nulla aggiunge e nulla toglie alla nostra tesi. La pubblicazione aggiunge che il gladio è un gladio comune da centurione, mentre, al contrario, questo gladio, che si può osservare è una spada da comandante o meglio da distinzione, molto finemente lavorata, con tre conchiglie ed altri ornamenti sul bordo in bordo del fodero, l'impugnatura è d'avorio che non è tipica di un gladio da combattimento di un centurione. Un'altra ipotesi è che questi scheletri dai ricchi ornamenti cl' oro, facendo parte di un gruppo di convitati, sorpresi dalla pioggia di lapilli nel termopolio n° 7, non potettero essere ammessi perché troppo numerosi per entrare in quella stanza, anche perché arrivarono dopo la pioggia di lapilli, dal momento che se ne trovarono gli scheletri sui lapilli, ma come spiegare questa spada in mezzo a dei convitati? Se questa spada apparteneva ad tm semplice milite, si sarebbero dovuti trovare pure un elmo e una corazza; la spada elegante e fine era un distintivo del grado di ammiraglio, messa al suo fianco dopo la morte. Dopo aver così rintuzzato .le obiezioni, rettificato le inesattezze, noi crediamo aver dimostrato come l'evento ebbe luogo, in conformità alle lettere di Plinio il giovane; gli scavi ulteriori proveranno quanto abbiamo sostenuto, ovA fianco: statuetta di Mercurio rinvenuta daft'ing. Matrone negli scavi della villa romana.
202
79 D.C. ROTTA SU PO M Plci
vero, a chi apparteneva la villa? L'edificio era in territorio di Stabia? Qual'era esattamente il corso del fiume? Dove si trovava il borgo marinaro di Pompei? Ma noi crediamo di potere affermare che la villa in questione è di Rectina e di Cesio Basso; che Plinio vi si recò in lettiga per soccorrere Rectina e per studiare il fenomeno più da vicino; la librunica che l'aveva sbarcato presso Pomponiano lo seguì per mare fino alla villa di Rectina; questa nave fu ritrovata nel 1858 scavando le fondazioni dell'attuale mulino a 170 metri dalla villa. Prime che essi avessero potuto imbarcarsi la pioggia di cenere li fece tÙtti immediatamente perire. Noi non mancheremo di portare l'ulteriore risultato degli scavi alla conoscenza del mondos scientifico.
lng.
GENNARO N.lATRONE
e
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79 D.C . ROTT,\ .SU l'OMl'l:I
e
INDICE
PRESENTAZIONE PREMESSA
7 11
PROLOGO 79: alba di mezz' autunno alla foce del Sarno 1900: mattino di fine estate, in contrada Bottaro 2001: pomeriggio di primavera nel Museo dell'Arte Sanitaria, in Roma
13 14 16
PARTE PRIMA
LA FLOTTA PRETORIA DI MISENO Criteri d'impiego della marina imperiale Dislocazione della marina imperiale La penisola di Miseno
19
Il Portus Iuhus
22 23 26
Il porto di Miseno
31
Da riparo per barche a prima base navale Dov'era l'abitazione di Plinio? La Piscina Mirabilis Il faro di Miseno
33 37 42
47
P ARTE SECOND A
ASPETTI OPERATIVI DELLA FLOTTA Le telecomunicazioni, un'esigenza della navigazione Torrette semaforiche Telegrafo ad asta Telegrafo ad acqua Posta aerea Riscontri indiretti La grande villa romana in localitĂ Ponte Rivieccio a Torre del G reco, di Mario Pagano
53 58 60 62
Praetoria Classis Misenensis
74
I militi di Miseno
78
64
66 69
fNl)fC: I'
205
Onorificenze e ricompense militari romane Tecnologia navale Il motore deUa flotta: vogatori e remi Distinzioni tipologiche e strutturali
80 84 90 94
PARTE TERZA L'AMMIRAGLIO GAIO PLINIO CECILIO SECONDO Il militare e l'intellettuale Lo storico e il dissidente Il rientro sotto Vespasiano Singolarità del metodo di Plinio Spiegazioni ed interpretazioni Ammiraglio e martire della scienza
99 103 104 107 108 llO
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PARTE QUARTA AI PIEDI DEL VESUVIO Ville e darsene La linea di costa romana Le avvisaglie della tragedia Il principio della fine I tempi della catastrofe, di Giovanni P. Ricciardi
ll5 121 125 132 138
p ARTE QUINTA L'OPERAZIONE DI SOCCORSO Quel mattino d 'autunno di Plinio Enigmatica richiesta, enigmatica mittente Sulla banchina ai piedi del Vesuvio Sulla banchin a a Miseno L'ultimo viaggio di Plinio Stilla spiaggia di Stabia Fuoco ed acqua La barca di Ercolano Sulla spiaggia di Stabia
143 147
151 154 155 158 160 163 168
EPILOGO Gli scavi dell'ing. Matrone Ipotesi assurda o identificazione incerta? Studio antropologico preliminare del presunto teschio di Plinio, di Pier Paolo Petrone Un'altra coincidenza?
173 180 183
Precis Historique sur les fouilles exècutèes par M.r l'ingénieur J. Matrone
189
BIBLIOGRAFIA
203
186
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6
79 D.C. ROTTA SU POMPEI
e
N OTE BIOGRAFICHE
Flavio Russo , nato a Torre del Greco, Napoli, nel 1947, è ingegnere e giornalista pubblicista. Si è dedicato alla ricerca sull'architettura e la tecnologia nella storia militare, con tma specializzazione nel campo dell'architettura fortificata. Ha tenuto vari cicli di seminari presso le Università del Molise, Federico II di Napoli e Salerno. Collabora da oltre vent'anni con l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e con munerose riviste italiane di storia, tecnologia e archeologia. Di recente è stato nominato ispettore onorario del J\tlinistero per i Beni e le Attività Culturali Oltre a numerose pubblicazioni, è autore dei seguenti volumi: La d1/esa costiera del Regno di Napoli dal X\11 al XIX secolo, Roma, 1989. Dai sanniti all'Esercito Italiano: fa regione fortificata del Matese, Roma 1991. La difesa costiera del Regno diSanlegna dal XVI al XIX secolo, Roma 1992. Pestung Europa, 6 giugno 1944, Roma 1994, (coautore). La difesa costiera del Regno di Sicilia dal XV[ al XIX secolo, Roma 1994. La difesa delegata, Roma 1995 . Guerra di Corsa, Roma 1996. .La difesa costiera dello Stato Pontificio dal XVI al XIX secolo, Roma 1999. La difesa dell'arco alpino, Roma 1999, (coautore). Trenta secoli diforti/icazioni in Campania, Piedimonte Matcse 1.999. Ingegno e paura Iì·enta secoli di Fortificazioni in Itt1lia, Roma 2006. Parole e Pensieri, Roma 2001, (coautore). La difesa costiera dello Stato dei Presidi, Roma 2002. Tormenta, venti secoli di artiglierie meccaniche, Roma 2002. Uartiglieria delle Legioni, Poligrafico dello Stato, Roma 2004. 79 d. C. Rotta su Pompei Indagine sulla scomparsa di ttn Ammiraglio, Roma 2004, (coautore). 89 4_ C. Assedio a Pompei. La dinamica e le tecnologie belliche della con-
quista sillana di Pompei, Pompei 2005 , (coautore). Indagine sulle Forche Caudine. Jrmnutabilttà dei principi dell'arte militare, Roma 2006, (coautore). Tormenta Navalia, Rivista 1v!arittima, Roma 2007, (coautore). I Fuoristrada, dal carro sumero alla Jeep Willys, Roma 2008, (coautore). Leonardo inventore? Uequivoco di un testimone del passato scambiato per un profeta del futuro, Napoli 2009. Ancient Engineers' Inventions. Precursors ofthe Present, New York, 2009. Techne, il ruolo trainante della cultura 1nilitare nell'evoluzione tecnologica, Età Classica, Età Medievale, Età Rinascimentale, Età 1vfoderna, Roma
Ferruccio Russo, nato a Napoli nel 1980, si occupa da diversi anni di grafica computerizzata, in particolare di rielaborazioni tridimensionali ad effetto fotografico e restituzioni virtuali di congegni meccanici, reperti archeologici e strutture architettoniche. È autore dei volumi: Tormenta, venti secoli di artiglieria meccanica, Tavole (Ufficio Storico, Stato Maggiore dell'Esercito, Roma 2001) e 1969 Rotta per l'Antartide, la prùna spedizione di Giovanni Ajrnone-Cat (Napoli 2009). Ha realizzato le tavole de I!A.rtiglieria delle Legiòni, edito dall'Istitu to Poligrafico e Zecca dello Stato. Ha curato la realizzazione dell'apparato iconografico d i svariati volumi, d i articoli apparsi su riviste nazionali ed internazionali e di diverse mostre documentarie e bibliografiche. Nel 2007 ha fondato la casa editrice "Edizioni Scientifiche e Artistiche" . Nel 2013 ha curato la prin1a traduzione gratuita, in ebook, del romanzo "Il grande Gatsby" di Francis Scott Fitzgerald . È coautore dei seguenti volumi: 79 d.C. Rotta su Pompei. Indagine .rulla scomparsa di un ammiraglio, Roma 2004. 89 d.C. Assedio a Pompei. La dinamica e le tecnologie belliche della con-
quista sillana di Pompei, Pompei 2005. Indagine sulle Forche Caudine. Immutabilità dei principi dell'arte militare, Ro ma 2006. Tormenta Navalia, Roma 2007. Pompei; la tecnologia dimentictJta. Cenni di tecnica tra le pagine di un Ammiraglio. Napoli 2008. !lncient Engineers' Inventions, precursors ofthe Present, New York 2009. Techne, il ruolo trainante della cultura militare nel!'evoluzione tecnologica, Età Classica, Età Medievale, Età Rinascimentale, Età Moderna, Roma 2009-2013.
2009-2013, (coautore).
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