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Italia non ne ha colpa ..... ......................... ........ ...................... , .. ........... . »
Parte I - Il primo dopoguerra e gli scritti sulla "Rivista Aeronautica'' (1945- l953)
meravigliarsi della inattesa pubblicazione e soprattut· to a chi a suo tempo vi appose la firma come respon· sabile ideatore e patrocinatore di quei concetti, che non da mc proviene tale pubblicità. Non che vi fosse alcunché di male nel render noto quello scritto, che anzi rivendica all'Aeronautica l'onore di aver saputo dire (modestia a parte, in buon italiano e attraverso la più alta personalità del!' Arma) cose piuttosto dure ma sostanzialmente veritiere. Talmente dure e veritiere che lo scritto (e qui mi decido a parlare io) andò a finire, dopo i consueti bofonchiamenti di rito, nel macero della segreteria dell'allora Capo del Governo.
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Quella relazione ufficiale (che è poi tutt'una, anche se il Captivus ce la presenta spezzata in una relazione propriamente detta e in un opuscolo di immaginario altro autore, felicemente connesse le due parti dalla elegante cliscorsa della «Vittoria di Samotracia»), quella relazione ufficiale - e questo è importantissimo e non può essere taciuto - rimonta ai primissimi mesi del 1942. Questa precisazione è oltremodo opportuna per l'apprezzamento che il Captivus fa e che i lettori sono indotti a fare sulle «Teste» che fino a quel giorno van considerate come responsabili della preparazione. Questa precisazione è altresì doverosa, perché non si persista, con comoda e semplicistica cocciutaggine, nel dire che nessun diretto collaboratore dell'ex duce, Capo del Governo e purtroppo delle forze armate, gli abbia mai svelato la verità. Una lunga lettera di accom· pagnamento, stilata di pugno dell'allora Capo di Stato Maggiore, conferiva una maggiore ed esplicita chiarezza alla conclusione che in definitiva affermava che, se la guerra non si fosse comunque risolta entro il 1942, doveva considerarsi, dal confronto numerico e potenziale delle aviazioni, pur tenendo conto del complesso tripartito, assolutamente compromessa per la primavera successiva ai nostri danni.
La relazione fu presentata in Africa, se non erro, in quell'infelicissimo momento nel quale la cromatissima spada dell'Islam urgeva al monumentale ornamento della candida cavalcatura del dominatore [cioè di Mussolini, che dopo l'avanzata di El Alamein avrebbe voluto entrare a cavallo in Alessandria d'Egitto N.d.C.]. La relazione trattava argomenti tutt'altro che trascurabili, ma ...
a che valea parlar di funerale in pieno carnevale?
Incoraggiato dal tono libero che sta prendendo e che vogliamo ardentemente augurare in avvenire alla Rivista Aeronautica (diversamente non sapremo che farcene), ho voluto dare in pasto agli amici lettori queste noterelle precise, che spero contribuiranno efficacemente, con il loro sostanziale significato, alla discriminazione, almeno mentale, delle responsabilità spettanti ad ognuno nel quadro delle nostre sciagure.
I punti fermi non debbono dispiacere nello sdrucciolevole, viscido sentiero nel quale siamo purtroppo costretti a marciare. Ci stiamo abituando a non mera· vigliarci che della nostra sola meraviglia e a tener per certo che il primo titolo di presentazione dei filibustieri di ieri è quello di benemerito della rivoluzione antifascista. La opinione pubblica ha peraltro eredita· . to dalla disonesta propaganda pseudo repubblicana un confusionismo sconcertante nella ripartizione delle responsabilità della disfatta. E il tormentoso processo che ha messo a soqquadro gli ambienti militari sembra spesso scivolare sul medesimo programma fascista, che era quello di dimostrare che la guerra si è perduta perché la si è fatta male e non piuttosto e precisamente e semplicemente perché non la si poteva e non la si doveva assolutamente fare. E si perde frequentemente anche di vista che le inevitabili disastrose conseguenze furono inasprite da una procedura armistiziale che, a distanza di quasi due anni, non ci ha ancora totalmente convinti.
Il sistema matematico delle approssimazioni successive dissiperà un giorno, vogliamo sperare, anche questo velo.
E la verità, che si identifica - almeno così ci dicono - con la giustizia, farà finalmente la sua trionfale e indileguabile apparizione.
I.:ITALIA NON NE HA COLPA
«L:idea che la formidabile arma fornita dall'aeroplano potesse risolvere rapidamente, con minore spreco di mezzi e di vite, e quindi, non ostante ogni atrocità, più umanamente un conflitto armato, era sorta e si diffuse già durante la precedente guerra mondiale, sotto l'impressione della lenta e sanguinosa lotta d'usura stabilitasi con l'irrigidirnento dei fronti: sernbrando che con l'aeroplano, capace di aggirarli verticalrnente, si fJotesse arrivare allo scopo di spezzare la resistenza nemica, risparmiandosi la fatica di sfondarli orizzontalmente». <<Troppo tardi per essere praticamente applicata, prima che la guerra 1914 -18 con i mezzi normali prendesse fine, l'idea di spostare l'azione cruenta dai campi di battaglia fra armati, al territorio nemico sulla t1opolazione inerme,
A. MECOZZI - Scritti scelti - Voi. II (1945-1970)
è stata provata a fondo nella guerra 1939-1945; dofJO che, nell'intervallo fra le due, era stata teoricamente vagliata a discussa da militari e profani attraverso una ricchissima letteratura, alla quale l'Italia contribuì in modo preminente, sostenendone generalmente, o meglio ufficialmente, la sua accettazione».
«Invero l'Italia, sia per il fatto d'aver col generale Giulio Douhet prodotto l'af)ostolo più appassionato ed il teorico più conseguenziario di questa dottrina di guerra aerea, che da lui prende appunto il nome, sia per il fatto d'aver col Governo fascista tale dottrina ufficialmente adottata per la propria Aviazione, porta forse più d'ogni altra nazione belligerante, la responsabilità morale per la creazione del clima psicologico, favorevole allo scatenamento del terrorismo aereo nell'attuale conflitto. E ciò, anche se poi, all'atto pratico, essa, che per bocca dei suoi rappresentanti ufficiali ed organi responsabili ne aveva auspicato e promossa la dottrina, vantandola un nuovo primato degli italiani, da aggiungere a qitelli a suo tempo elencati da Vincenzo Gioberti, nOIJ fu, effettivamente, per mancanza di mezzi, in grado di attuarlo. Al contrario, altri Paesi d'Europa e d'America, che per bocca dei rispettivi rappresentanti ufficiali ed organi responsabili l'avevano in precedenza solennemente defJrecata e condannata come indegna di loro stessi, finirono, trovandosi in ampio possesso dei mezzi suddetti, col metterla in t1ratica sulla più vasta scala. Ironie della storia!».
«Quando alla suddetta prova a fondo nell'attuale conflitto, essa, non ostante la sua ampiezza, non è riuscita. li terrorismo aereo si è dimostrato bensì fattore di atrocità, ma non di decisione; ragioni per cui è stato, rispettivamente, condannato alla coscienza morale cristiana e dalla condotta di guerra sovietica».
Le frasi che abbiamo riportato fin qui sono contenute sul foglio di presentazione editoriale di un libro recentissimo che è la maggiore opera sull'aviazione finora comparsa in Italia dopo la catastrofe, e che per il nome dell'Autore e ancor più per l'autorità dell'Ente che lo ha pubblicato è destinato ad avere una vasta risonanza: «Il terrorismo aereo, nella storia e nella realtà».
Proprio per queste ragioni, Sig. Direttore, le chiedo il permesso di contestare al presentatore del libro la legittimità della sua affermazione che l'Italia porti la responsabilità morale del terrorismo aereo. Non l'Italia, ma i megalomani che la governavano, ma i consiglieri «competenti», i «professionali» dell'aviazione che non contrastarono quella megalomania aviatoria, o perché la condividevano o perché vollero essere ossequienti; a loro spetta la responsabilità.
Tuttavia furono parecchi gli ufficiali, anche di alto grado, che contestarono: sia la realizzabilità del collasso per il solo effetto del terrorismo douhetiano; sia la possibilità per l'Italia di preparare una aviazione abbastanza potente da tentare l'attuazione di quei concetti; sia la opportunità per la nostra Nazione di farsi banditrice d'una teoria, le cui applicazioni sarebbero piombate sulle nostre città industrie comunicazioni, sui nostri porti arsenali impianti elettrici, esposti alle offese da ogni punto dell'orizzonte, impreparati a resistervi, indifesi nel giorno e nella notte; sia infine la convenienza morale di sottoscrivere a concezioni d'una implacabilità veramente «tedesca», d'una apparenza falsamente logica e d'una sostanza che le constatazioni sulla psicologia dei popoli hanno smentito.
Purtroppo è vero che fra tali contraddittori gli aviatori furono pochi, pochissimi; tra essi vi fu chi osò contrastare per iscritto, pertinacemente per tutto il ventennio, opponendo a quei concetti altri concetti, ossia non solamente tentando demolire ma anche costruire [cioè lo stesso M. -N.d.C.]; affermando che la tremenda efficacia dell'offesa aerea era convinzione di tutti gli aviatori non del solo Douhet, ma che alla tendenza ossidionale da lui propugnata contro le popolazioni e gli armamenti in potenza doveva sostituirsi la tendenza dell'assalto contro le forze armate in atto e le comunicazioni che le alimentano.
La risonanza ci fu: cominciò sui periodici francesi, seguitò su quelli russi, perdette per la strada il «nominativo» del promotore ma conservò quello di assalto, si sparse negli stati maggiori d'Europa come fa cenno Pi erre nel suo libro «Triumph of Treason» e in quelli cl' America, ma con scarso successo, perché la teoria douhetiana era più suggestiva, più apocalittica, più lusinghiera per la vanità professionale degli aviatori, meno legata alla dura realtà della guerra di terra e di mare. l Russi soltanto furono aderenti a un computo realistico sulle possibilità aviatorie della potenza propria e della resistenza del probabile nemico, realizzarono una armata aerea prevalentemente d'assalto, applicarono un metodo d'impiego che non metteva in bilancio il sacrificio deliberato delle popolazioni inermi e incolpevoli, appoggiarono l'avanzata delle loro forze terrestri con l'offesa aerea in modo da sfruttarne immediatamente il successo.
In quanto agli Americani, essi, nel progettare i propri velivoli ed il proprio ordinamento, avevano da tener conto delle proprie necessità oceaniche e crearono le
Parte I - Il primo dopoguerra e gli scritti sulla "Rivista Aeronautica" (1945-1953)
grandi flotte di grandi bombardieri. Oggi contro le isole giapponesi quelle flotte trionfano precedendo i grossi calibri delle navi e gli sciami dei mezzi da sbarco.
Anche ieri contro la Germania quelle flotte furono efficacissime, preziosissime, soprattutto contro le linee di comunicazione; ma non bastarono a radere al suolo le industrie; come ogni giorno alti funzionari, ufficiali, uomini politici cl' America constatano e scrivono in terra tedesca (e nell'Italia del Nord).
In quanto al bombardamento italiano, non bastò a far arrendere e neppure a neutralizzare l'isola di Malta, si disperse in digressioni sui lontanissimi obiettivi levantini, e invece mancò al bisogno quando la fiumana delle forze motocorazzare e le flotte delle navi da guerra e da trasporto traboccarono da Oriente e da Occidente nella Libia e nel suo mare.
Diremo anche noi con l'autore del libro di cui ci occupiamo: Ironie della storia!
Il libro di cui ho parlato ha 164 fitte pagine su due colonne ed è pubblicato in occasione del venticinquesimo della «Associazione Italiana di Aerotecnica» fondata, il 2 luglio 1920 in Roma, dallo stesso creatore dell'Aeronautica Italiana, gen_ erale }vlario Maurizio Moris, alla cui memoria è dedicato_ La «fJresentazione» sopra accennata infonna che l'autore, prof R. Giacomelli, libero docente di storia della meccanica nell'Università di Roma., redattore capo della rivista «!.:Aerotecnica», organo dell'Associazione, ha raccolto in questo studio, «con straordinaria diligenza e scrupolosa obbiettività», come avverte in una breve fJrefazione il direttore della rivista e presidente dell'Associazione Prof. E. Pistolesi dell'Università di Pisa, una vasta documentazione atta a lumeggiar.e nel suo sviluppo storico questa teoria di guerra aerea nota sotto il nome di Douhettismo o terrorismo aereo, di cui, durante il conflitto testé finito è stata fatta ampia apt1licazione al fronte occidentale, ma non, al contrario, su quello orientale, dove, dopo un primo momento, cessò il bombardamento aereo delle città.
La narrazione abbraccia un periodo di trent'anni: dal 4 dicembre 1914, in cui le prime bombe aeree caddero su una popolazione civile, al 6 giugno 1944, in cui, con lo sbarco degli anglo-americani in Francia e l'invasione, gli avversari vennero finalmente, anche sul fronte occidentale, fra loro a contatto sul terreno per la decisione, dopo che per tanto tempo si era dalle due parti vanamente parlato di decisione dall'aria.
In questo libro l'autore anche quando mette di fron te i protagonisti delle due parti nel loro appassionato scambio di accuse, minacce ed invettive, si astiene sempre rigorosamente da ogni personale intervento con apprezzamenti o commenti f1ropri. Salvo forse in un punto in cui non riesce a trattenere il suo sentimento, e questo è laddove, riferendo il discorso tenuto il 20 maggio 1944 dal Presidente dell'Unione Sud-Africana Smuts a Birmingham, non può fare a meno di dire che vi è un passo di questo discorso «che fece sussultare il cuore di tutti noi, buoni europei, alla visione d'un futuro stato di cose, che, riuscendo ad attuarsi alla fine di questa guen-a, potrebbe ripagarci di tutti i danni e dolori in essa sofferti».
Le parole del Maresciallo Smuts erano state le seguenti:
«La questione se l'Europa si risolleverà ovvero sia condanr.zata al tramonto, è per me la questione principale della presente situazione politica. /;Europa è il cuore della Terra; l'America non potrebbe sostituirla e l'Asia tanto meno. L;Europa è la culla spirituale dell'Occidente; essa non deve essere smembrata, né essere frantumata in un miserabile caos di frammenti. Al contrario, deve prendere una nuova solida struttura come Stati Uniti d'Europa, o Comunità di nazioni euro pee: una dignitosa sicura struttura, che nuovamente le consenta di essere la tutrice del diritto e della libertà».
Mencre mi riservo di chiedere ospitalità per una più ampia recensione, auguro al volume del prof. Giacomelli il successo amplissimo che merita.
Il volume costa trecento lire, può essere acquistato in tutte le librerie, oppure chiedendolo all'Associazione Italiana di Aerotecnica, Piazza San Bernardo n. 101 - Roma, o ali' Associazione Culturale Aeronautica, Via Ripense, 1 - Roma, che concedono lo sconto del 30% ai propri soci; aggiunge L. 5,40 per spese postali di raccomandazione.