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Le radici dell‟identificazione proiettiva
- Le radici dell‟identificazione proiettiva: i motivi dell‟ambizione
Era una forma mentis particolare. Il sentimento nazionale italiano era stato creazione di pensatori e scrittori e non aveva avuto, per troppo tempo il sostegno di una realtà politica concreta, com‟era successo a Francia e Inghilterra. Aveva quindi dovuto cibarsi esclusivamente di ricordi storici, fondare i suoi diritti soprattutto sui vincoli morali e spirituali, cioè sui vincoli creati dalla storia…; Il volgersi al passato era stato, per tanto tempo, l‟unico alimento atto a sostenere le speranze dell‟avvenire; e l‟esortazione foscoliana alle storie aveva fatto tutt‟uno con l‟esaltazione della santità della patria. Una forma mentis pervasa di letteratura, con i pregi e i difetti della letteratura: slancio spirituale, appello alle forme superiori, pensiero, arte, cultura… ma anche spesso vanità, orgoglio, determinazione dal tempo che fu e sproporzionato al tempo che è… mancanza di senso del limite e della misura, e predominio dal fantasma storico sulla conoscenza e sulla valutazione attenta della realtà effettuale delle cose. Qualche avanzo d‟idolatria verso l‟antico, misto ai sogni dorati di un lontanissimo avvenire; l‟attualità, il presente non mai104 .
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Perché gli italiani furono spesso tentati di porsi aspirazioni superiori a quelle che la realtà delle cose effettivamente consigliava? Come mai la passione sovrastava, spesso, così tanto il buon senso? Certo, la credenza covata durante tutto il processo risorgimentale che dalla somma di tanti piccoli stati non poteva non nascere che un grande stato, una grande potenza, aveva la sua influenza nel creare un errore di percezione sia in Italia che in Europa105. Tuttavia forze più intense e profonde lavoravano nell‟intimo dell‟animo italiano, determinando un particolare modo di valutare i problemi politici e morali, che spesso surrogava la mancanza di una consolidata tradizione di politica estera che fungesse da traccia. L‟idea di Roma ebbe in tal senso un‟influenza eccezionale106. Già la
semplice constatazione che la nuova capitale del Regno era stata la città di Cesare e di Pietro, spingeva l‟Italia ad assumere, anche nella comunità internazionale, un ruolo paragonabile a quello dell‟importanza storica della sua capitale. Il mito della città eterna, così intenso e carico di potenziali
104 Cfr. F. Chabod, Storia della politica estera, cit., p. 301. 105 Disse Pio IX (1861): “Sa cosa vuol dire l‟Unità d‟Italia? Significa una nazione di venticinque milioni di persone, con più talento, intelligenza ed energia d‟ogni altra nazione al mondo, con un esercito di trecentomila uomini ed una flotta di trecento navi. La storia dimostra l‟eminenza dei generali italiani, e i nostri ammiragli presto domineranno i mari. L‟Italia lasciata a se stessa sarebbe presto la prima tra le grandi potenze del mondo”. Cit. In F. Minniti, op. cit., p 36.
106 Per l‟argomento fondamentale resta F. Chabod, Storia della politica estera, cit., pp. 215-373.
significati, se da un lato faceva sì che tutti gli italiani “di alto sentire” (e non solo gli idealisti e i passionali come Mazzini e Crispi, ma anche persone più “moderate” come Cavour o Visconti-Venosta) avvertissero che il loro Paese era investito di una missione universale107, così come svolta, per secoli, dall‟Impero Romano e dalla Santa Sede, dall‟altro, stimolando in tutti gli osservatori (italiani e stranieri) inquietudini, attese, timori e l‟istinto al confronto fra la Roma capitale d‟Italia e la Roma del Papato e dell‟Impero, accentuava ulteriormente, nei nostri politici e nel Paese, una sorta di senso di inferiorità (rispetto al loro stesso passato) e la sensazione di vedersi continuamente sotto esame e di sentirsi obbligati a “legittimare” con un‟opera magnifica, universale, la loro presenza a Roma108. Solo in pochi, come il Balbo delle Speranze, si proclamavano allergici a tali richiami. Quindi un potentissimo stimolo, proveniente da dentro e da fuori che, coinvolgendo tutta la classe politica italiana da un estremo all‟altro, creava la base di partenza per elaborazioni ideali diversissime nelle direzioni e nei contenuti ma tutte accomunate nell‟universalità dell‟ambizione, qualunque essa fosse. Sia che si aspirasse (nelle idee della gran parte degli uomini della Destra) a fare dell‟Italia la terra della libertà, con una Chiesa libera in uno Stato libero in collaborazione reciproca per il raggiungimento di una nuova e più elevata morale, sia che si affermasse che il compito dello stato italiano era quello di giovare alla riforma della
107 In tale concezione confluivano molti elementi della cultura romantica, come l‟interesse per la storia greco-romana e per le idee di repubblica e libertà, ma soprattutto la diffusissima idea che ogni popolo, ogni nazione, avesse una missione di carattere universale: la Germania che proclamava di essere lo specchio più puro dell‟umanità, la Francia della Rivoluzione e della propagazione dei valori civili, l‟Inghilterra fondata sulle libertà proclamante ai tempi di Cromwell, la Russia, delle forze ancora vergini, delle terrificanti note di Mussorsgky, protettrice dei cristiani e dei fratelli slavi dei Balcani, la stessa Austria, ultimo baluardo della civiltà cristiana occidentale. 108 1) Mommsen: “Cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti: a Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti”; 2) Gregorovius: “L‟Urbe è discesa da centro morale dell‟umanità, da repubblica mondiale, a capitale di un regno di mediocre forza, messo su dalla fortuna e dalle vittorie tedesche, ma intimamente debole e impari ai doni della sorte”; 3) Crispi: “Chiunque entra in quella grande città vi trova la sintesi di due grandi epopee, l‟una più meravigliosa dell‟altra. I monumenti che celebrano queste epopee sono l‟orgoglio del mondo; sono per gl‟italiani un pungente ricordo dei loro doveri… Bisogna istaurare Roma ed innalzarvi anche noi i monumenti della civiltà, affinché i posteri possano dire che fummo grandi come i nostri padri”. Cfr. F. Chabod, Storia della politica estera italiana pp. 221, 297.
Chiesa109, sia che si proponesse (era la proposta di Sella e di molti della Sinistra) di rendere Roma un gigantesco centro scientifico per diffondere, sempre in modo universale, la verità scientifica in luogo di quella dogmatico–teologica, la nuova capitale imponeva una missione universale. Tuttavia, dice Chabod, l‟uno dopo l‟altro svanirono i miraggi110. Le opzioni della Destra si scontrarono contro la linea intransigente della Santa Sede, mentre quella di Sella naufragò anche per la giusta considerazione che, dopo il Venti settembre, non era il caso di gettare altra benzina sul fuoco. Così come inascoltati rimasero i moniti degli “antiromani” che consigliavano alla giovane Italia di trascurare le memorie dell‟antico mondo e adattarsi alla più modesta realtà. Ed allora, in sintonia con gli idola del tardo Ottocento (potenza militare, esasperazione espansionistica e nazionale, ambizione diplomatica) riapparve l‟idea della Roma dei Cesari, il ricordo del grande impero, il mito della potenza al quale anche l‟ultimo Mazzini, coi suoi sogni di un‟Italia insediata a Tunisi come potenza coloniale, sembrò inchinarsi. “Alla missione universale di natura culturale e civile si sovrappose il compito assai meno universale della grandezza politica del proprio paese”111 . Insomma, se Roma, astrattamente, conferì all‟Italia il rango di grande potenza, lo Zeitgeist di fine Ottocento ne definì pericolosamente il ruolo.
109 Secondo Ricasoli e secondo molti osservatori esterni, l‟Italia, impossessandosi di Roma, aveva iniziato la sua missione nazionale: stimolare il rinnovamento della Chiesa. Stando a questo filone, il potere temporale aveva corrotto il ruolo del Pontefice che doveva invece essere esclusivamente spirituale. L‟abbattimento dello Stato pontificio era il primo passo verso il compimento della missione universale della nazione italiana. Cfr. ivi, pp. 243-248. 110 Ivi, p. 289. 111Ivi, p. 293. In tutt‟Europa, con lo scorrere dell‟Ottocento, le “missioni nazionali” assumono caratteri sempre più aggressivi, e in Italia il patriottismo va lentamente trasformandosi in nazionalismo ed imperialismo. In tono con lo Zeitgeist in questione (la Germania dei pangermanisti, la Russia dei proclami panslavisti, l‟Inghilterra imperiale di Kipling, la Francia di Boulanger e del caso Dreyfus, l‟Austria del Drang nach Osten) si svolge il dibattito interno, in Italia, sul senso della “grande potenza”, sul senso della “missione” italiana, sul “ruolo” internazionale che una nazione deve svolgere per potersi definire tale. Fino alla caduta della Destra, Visconti-Venosta imposterà una “politica estera liberale”, tendente alla pace, e proprio grazie a questo programma si permetterà d‟affermare che l‟Italia sta conducendo una politica da grande potenza. Per Crispi, invece, una politica da grande potenza significherà conquiste, minacce, eserciti, rispetto. Diversi erano sì gli uomini e le loro anime, ma diversi erano anche i tempi; quindi diverse interpretazioni del rango, ma soprattutto del ruolo del Paese.
Questi concetti cominciarono ad apparire nelle dichiarazioni e nei gesti di Crispi, nella pubblicistica112e, addirittura nei programmi scolastici dell‟Italia di fine „800. Gli appelli alla potenza, alla grandezza, al prestigio politico e militare dell‟Italia risorta, si fusero con la rievocazione dell‟Italia medievale dei Comuni, delle repubbliche marinare, delle Crociate e della bandiera della Serenissima che fieramente sventolava in Oriente e in tutto il
Mediterraneo. La retorica sosteneva che la storia aveva da sempre e per sempre assegnato all‟Italia un ruolo guida anche nel Mediterraneo (Mare nostrum!)… e lo si vide quando le “aquile” tornarono in terra africana
113 .
Da Mazzini a Crispi, da Oriani a D‟Annunzio a Corradini, il mito di Roma costituì sempre un potente stimolo di politica estera ed un comodo e malleabile argomento per giustificare le scelte più diverse.
I fantasmi, una volta evocati, non si sarebbero più allontanati, e quei fantasmi parlavano soprattutto di gloria militare e politica, e a lasciarli aggirare fra i ruderi del Palatino e del Foro potevano sopravvenire giorni ne‟quali, situazione generale italiana ed europea permettendolo, il loro richiamo avrebbe riacquistato tutto il suo fascino114 .
Altri due grandi temi della cultura risorgimentale, strettamente collegati con l‟idea di Roma, ebbero influenza propulsiva nei riguardi della politica estera dello Stato unitario: l‟idea di Primato, di Gioberti, e quella mazziniana di Missione.
Nel Primato morale e civile degli italiani (vero e proprio best seller del periodo risorgimentale), Gioberti partendo dall‟assioma che il genio è sempre stato, in tutti i campi, una privativa italiana, sviluppava la tesi che la
112 Cfr. i due saggi (simili) di Enrico Serra (La Consulta, in AA. VV., Opinion publique, cit., pp. 197-204; La burocrazia della politica estera italiana, in S. Romano e R. J. B. Bosworth, op. cit., pp. 69-89) dove si analizza il modo in cui il Ministero degli esteri tentava di formare il consenso intorno ad una determinata politica estera, (grazie alla collaborazione/controllo della stampa, attraverso l‟agenzia Stefani), in particolar modo dopo l‟inizio del periodo crispino e la riforma Pisani-Dossi. 113 Durante l‟impresa di Tripoli notevole risalto e confusione ebbero, nei discorsi pubblici e nella stampa, i richiami al passato: riferimenti alle repubbliche marinare, alle crociate, alla battaglia di Lepanto e, su tutto, il mito di Roma conquistatrice e civilizzatrice. “Sentimmo in noi -scrive, in una lettera alla famiglia, un soldato italiano partito per la Libia- vibrare l‟anima remota degli antichi legionari, urlanti il nome di Roma, nel solco delle aquile vittoriose, ancora intatta e pronta al grande destino che l‟avvenire ci darà sicuramente”. Cit. in G. Belardelli, op. cit., pp. 17-18. 114 F. Chabod, Storia della politica estera, cit., p. 296.
storia, la cultura, la geografia, la divina provvidenza e l‟origine pelasgica della stirpe italiana avevano assegnato alla penisola una supremazia intellettuale e morale su tutte le nazioni. Se l‟Italia aveva perduto la sua supremazia era perché il suo popolo aveva smesso di esistere come popolo autonomo, ma continuava a custodire in sé, ancora, tutte le condizioni per risorgere moralmente e politicamente. Indipendentemente dalle immediate implicazioni politiche cui l‟opera di Gioberti mirava, preme sottolineare che questo sistema di idee, già proposto da Gianbattista Vico e poi rivisitato in chiave pre-nazionale da Vincenzo Cuoco, si basava su un‟idea di nazione vista come soggetto collettivo dotato di un proprio spirito e di un proprio carattere fondamentale fissato ab origine e condizionato, ma non deformato, dall‟azione della storia115. In tal caso, se la meta immediata del popolo italiano era la cacciata dello straniero e l‟unificazione della penisola, il fine ultimo del processo risorgimentale era comunque realizzare, una volta raggiunte la libertà e l‟unità, questo imprecisato primato nazionale
116 .
Mazzini proponeva invece l‟idea della “missione italiana del mondo”. Se durante l‟Ottocento ogni nazione europea si sentiva investita di una missione universale, l‟Italia, nelle idee dell‟apostolo, aveva la missione di promuovere, con l‟azione e l‟esempio, la nascita di una nuova comunità internazionale fondata sul principio di nazionalità; in essa, la pacifica convivenza fra le nazioni avrebbe sostituito la legge della forza e dell‟equilibrio di potenza117. Secondo Mazzini, era la storia ad aver assegnato all‟Italia il ruolo-guida che avrebbe portato tutte le nazioni del mondo a vivere nel regno della fratellanza.
115 “Una nazione ha un… contenuto essenziale dato fin dalle origini. Nel corso della sua storia, in forma ciclica, una nazione passa attraverso fasi diverse, che vanno dalla barbarie originaria fino al massimo perfezionamento possibile, per decadere poi di nuovo… e riattivare così il ciclo storico. Questo processo può essere condizionato da fattori diversi, come il clima, la natura del suolo, le guerre… ma non intacca lo spirito fondamentale che la natura- si badi bene, la natura- le ha assegnato”. Cfr. A. M. Banti, op. cit., pp. 112-119. 116 Per il percorso storico assunto da questi propositi teorici, cfr. F. Gaeta, Nazionalismo italiano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1965; F. Chabod, L‟idea di Nazione, Laterza, Bari 1961. 117 Cfr. S. Romano, La cultura, cit., p. 27.
Questa sacra terra, ove siederà il Concilio dei popoli liberi che dovrà sostituire la Santa alleanza dei Re, è sui colli romani. L‟Italia… è la sola terra che abbia due volte diffusa la parola unificatrice fra le nazioni disgiunte. E il Mazzini… chiama tutti i popoli: “Seguitemi, dove comincia la vasta campagna che fu, da tredici secoli, il convegno delle razze umane… Piegate il ginocchio e adorate… l‟Italia: là posa, eternamente solenne, Roma…”; “L‟Italia non può vivere se non vivendo per tutti… emanciparsi, emancipandosi. Le sorti d‟Italia sono le sorti del mondo... In Italia sta dunque il nodo della passione europea. Il popolo italiano è il popolo messia”118 .
Mazzini immagina un‟Italia con la funzione universale, assegnatale da Dio, di rigenerare l‟Europa e di guidare altri gruppi etnici a diventare nazioni e a raggiungere la libertà. Il patriottismo mistico di Mazzini è una religione civile fondata sul binomio nazionalità-umanità, un sentimento incentrato sulla volontà, sullo spirito e, se vogliamo, sui “buoni propositi”. Su questo Mazzini basava il suo antifrancesismo (affermando che la Francia, dopo il 1789, aveva perso la sua iniziativa emancipatrice e che questa dovesse ora passare all‟Italia119), su questo prospettava, come motivo fondamentale della politica estera italiana, l‟iniziativa “slavo-romanoellenica”, su questo basava il suo odio verso gli imperi ottomano, russo e asburgico e su questo arrivava addirittura a desiderare l‟attività colonizzatrice dell‟Italia verso la Tunisia e la Libia
120 .
Questi miti hanno nella storia italiana una doppia funzione. Concorrono… a formare la coscienza nazionale nel… risorgimento, e servono…, grazie alla loro vaghezza a ambivalenza, a legittimare la politica estera italiana nelle sue diverse manifestazioni. Sono forme capaci di accogliere in sé contenuti diversi. Possono avere carattere internazionalista e umanitario… e possono divenire nazionalisti e aggressivi… L‟ambiguità e l‟ambivalenza conferiscono ad essi efficacia e durata121 .
118 Cfr. Ettore Rota, Spiritualità ed economismo nel Risorgimento italiano, in AA. VV., Questioni di storia del Risorgimento e dell‟unità d‟Italia, Marzorati, Milano 1951, p. 232. 119 Nell‟antifrancesismo si ritrovano accomunati Gioberti e Mazzini. L‟idea di base, a prescindere dalle differenze fra i due, è che l‟influenza francese, straniera, ha un‟influenza nefasta sulla naturale evoluzione della nazione italiana, perché ne snatura i caratteri intrinseci. 120 È il caso della “Riforma” di Crispi che, “interpretando al passo coi tempi” i propositi mazziniani, affermava che il fatto di avere una missione, autorizzava a ricorrere ai criteri di potenza propri dei tempi di allora. Cfr. E. Decleva, Tra “Raccoglimento” e “Politica attiva”: La politica estera nella stampa liberale italiana (1870-1914), in AA. VV., Opinion publique, cit., pp. 427-471. “Anch‟egli [Mazzini], l‟europeo… l‟apostolo dell‟umanità come fine, non sfuggì alla tentazione dei problemi nazionali, nelle loro forme più di potenza, diplomatiche e militari; e come si compiacque del vecchio tema della civiltà italica anteriore alla greca, così vagheggiò non solo l‟Italia che aprisse la via alla civiltà moderna e iniziasse la nuova Epoca della storia umana, sì anche l‟Italia che, conseguiti i veri confini nazionali, s‟arrotondasse con domini coloniali e, insediata a Tunisi, tornasse a dominare il Mediterraneo, secondo avevan fatto, una volta, le aquile di Roma”. Cfr. F. Chabod, Storia della politica estera, cit., p. 225. 121 Cfr. S. Romano, La cultura, cit., pp. 27-28.