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La geografia
- La geografia
L‟apparente ambiguità della politica estera dell‟Italia liberale deriva, per ciò che concerne le sue caratteristiche geografiche, in primo luogo dalla sua natura peninsulare, che vede un Nord protetto dalla catena montuosa delle Alpi ma contemporaneamente integrato nel Continente, e un CentroSud tutto proteso verso il Mediterraneo centrale in posizione apparentemente dominante. Con le risorse materiali e morali di una grande potenza il gioco sarebbe stato teoricamente semplice. Una grande flotta e un forte esercito avrebbero permesso di proteggere le lunghe coste e i confini settentrionali, e sostenuto una florida economia ed un saldo programma culturale a perseguire direttrici di sviluppo molteplici: integrazione nel Continente su un piede di parità con le altre potenze europee; penetrazione nei Balcani; controllo (o quasi) del bacino mediterraneo. Però, diceva Bismarck, “l‟Italia ha un grande appetito ma denti poco aguzzi”33. Non essendo mai stata una grande potenza34, si potrebbe concludere che l‟Italia liberale è stata costretta ad effettuare una sorta di scelta di campo. E invece, proprio la difficoltà di scegliere fra le “due nature” del Paese, quella insulare e quella continentale, ovvero la scelta se indirizzare la maggior parte delle energie nazionali verso il mare o verso il Continente, ha provocato, nella storia, oltre che un notevole spreco di risorse (che ha portato alla creazione di un esercito e di una marina militare entrambi mediocri; che ha visto penetrazioni economiche e culturali in più direzioni, dai Balcani all‟Africa all‟Europa centrale, ma nessuna delle quali di decente intensità), una fondamentale
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33 Cit. in Denis Mack Smith, Storia d‟Italia dal 1861 al 1997, Laterza, Roma-Bari 2003 (I ed. 1997), p. 218. 34 Sul fatto che l‟Italia sia una media potenza, o quantomeno lo sia stata nel periodo che intendiamo trattare, è d‟accordo la gran parte degli storici. Dopo l‟unificazione l‟Italia verrà universalmente considerata come la più piccola fra le grandi potenze e la più grande fra le piccole. Ciò deriva da un computo generale delle sue potenzialità economiche, demografiche, militari e produttive, nonché dal grado culturale e di nazionalizzazione della sua popolazione, in rapporto alle altre potenze continentali.
ambiguità nella strategia delle alleanze ed incoerenti oscillazioni nella definizione degli obiettivi35. Tutto ciò è dipeso sia dall‟oggettiva difficoltà di effettuare delle scelte, sia dal fatto, altrettanto degno di nota, che a tale ambivalenza oggettiva hanno corrisposto, in grossa approssimazione, due culture strategiche, due vocazioni contemporaneamente esistenti nel Paese le quali, sin dai tempi dell‟Unità, si sono rivelate sotto quest‟aspetto conflittuali e che, coinvolgendo anche l‟opinione pubblica, hanno frequentemente reso contraddittoria l‟opera della Consulta. Spesso anzi, molte decisioni che riguardano l‟argomento in questione vennero prese più per motivi d‟ordine interno che per coerenti ragioni di politica internazionale.
La linea “continentalista” spingeva il Paese a sviluppare una politica diretta verso l‟Europa continentale e privilegiava, ad esempio, le spese per l‟esercito e le intese con le potenze dell‟Europa centrale, mentre quella “navalista” tendeva a far sì che l‟Italia assumesse un ruolo-guida quantomeno nel Mediterraneo centrale, con conseguente penetrazione in Africa settentrionale, e forzava quindi la mano al governo affinché potenziasse la marina e approfondisse i rapporti con le potenze mediterranee. Alle due culture strategiche facevano rispettivamente capo, ovviamente, gruppi di pressione economici (i quali potevano avere interessi in una direzione piuttosto che in altre), militari (naturalmente i vertici della marina privilegiavano la linea navalista, mentre quelli dell‟esercito quella continentalista) e politico-culturali (partiti, giornali, intellettuali). In linea molto generale, si potrebbe addirittura arrivare ad affermare che le élite economiche, politiche e culturali del Mezzogiorno hanno storicamente, anche per motivi connessi all‟esperienza preunitaria, ma soprattutto per chiari motivi geografici, privilegiato la linea navalista, mentre le élite
35 Cfr. Carlo M. Santoro, La politica estera di una media potenza. L‟Italia dall‟unità ad oggi, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 54-70.
settentrionali, per motivi uguali e contrari, hanno sposato quella continentalista36 .
Le peculiarità geografiche italiane hanno inciso anche sulla strategia delle alleanze, che così tanto pesa ed ha pesato sul buon nome del Paese. Senza pretendere di esaurire in questa sede l‟argomento, si potrebbe in ogni caso tracciare un quadro generale riguardo la strategia italiana delle alleanze in rapporto al fattore geografico, e vedere come questo fattore di lungo periodo abbia contribuito a dare, almeno per il periodo che a noi interessa, a tale strategia un ulteriore connotato di ambiguità e machiavellismo37 .
A Nord, la pianura del Po occupava in passato una posizione chiave dal punto di vista militare e politico. I sovrani della Casa di Savoia prima e i governi nazionali italiani poi, sfruttarono questa posizione inserendosi nelle contese fra Francia, Austria e Prussia, alleandosi con una o con l‟altra a seconda delle circostanze, ed esercitando così un‟influenza sproporzionata rispetto alla propria forza. Così agendo, i nostri politici mutarono per più d‟una volta le sorti di eventi cruciali della storia europea (episodi esemplari sono le guerre prussiane del 1866 e del 1870), incidendo in notevoli proporzioni sull‟equilibrio delle forze nell‟Europa centrale, e ottenendo risultati altrimenti irraggiungibili. Guardando a sud, dire Italia significava dire Mediterraneo. Chi controllava il Mediterraneo controllava il commercio ed i rapporti delle potenze e dei popoli che si affacciavano su questo mare, e dopo l‟apertura
36 Cfr. F. Chabod, op. cit., pp. 217-218. 37 È chiaro che analizzare il modo in cui le peculiarità geografiche di un paese hanno inciso sulle sue scelte di politica estera, sarebbe senza senso se non si prendesse contemporaneamente in considerazione il contesto geopolitico all‟interno del quale esso si trova a gravitare. Durante il periodo che ci riguarda, l‟Italia era circondata, per terra (Germania, Austria-Ungheria, Francia) e per mare (Inghilterra e Francia), da potenze ben più grandi e forti di lei, con le quali essa era costretta ad entrare in contatto, e con le quali si trovava ad avere spesso non pochi argomenti di frizione. Questo argomento, combinato con la sua debolezza relativa, dovrebbe aiutarci a chiarire ulteriori motivi che stanno alla base dell‟atteggiamento italiano in politica estera, e, in particolare, della sua concezione dell‟equilibrio.
di Suez nel 1869, anche di potenze e di popoli non proprio mediterranei. Nel contesto da noi studiato, la posizione e l‟aiuto dell‟Italia, soprattutto in periodi di crisi internazionale (anche soltanto con una benevola neutralità, permettendo ad esempio lo sfruttamento delle sue basi navali), diventavano importantissimi. Roma fu sempre un fattore determinante nei rapporti fra le maggiori potenze del bacino, in primo luogo Francia e Gran Bretagna, obbligando queste ultime a prendere in considerazione il governo italiano in tutti i loro calcoli militari e diplomatici, e consentendo così all‟Italia di diventare, anche nel Mediterraneo, l‟ago della bilancia. Tuttavia il lato oscuro di una posizione a prima vista così favorevole, se si ragiona sulla vulnerabilità strategica italiana (frontiere terrestri aperte all‟invasione; costa molto lunga, esposta a sbarchi e facile bersaglio di pesanti bombardamenti), non è di difficile deduzione. Le parole di Gaetano Salvemini potranno aiutarci a concludere la discussione su quanto il fattore geografico abbia influenzato la politica estera italiana, quanto meno dall‟unificazione fino alla Grande guerra:
Tutte le Potenze, che circondano l‟Italia per terra e per mare, hanno interesse ad attirare il governo italiano dalla loro parte, e ad evitare che sia attirato dagli avversari. Gli offrono vantaggi… in cambio dell‟amicizia; gli minacciano… danni… se accenna a diventare ostile… e se desidera di rimanere neutrale. Così l‟Italia è continuamente trascinata nei problemi continentali dalla importanza militare della pianura del Po, e nei problemi mediterranei dalla importanza navale della penisola. Per questa ragione è assai malagevole ai governanti italiani rimanere neutrali in una grande crisi internazionale. Per difendere questa neutralità, essi debbono mantenere sotto le armi una forza militare altrettanto grande, e debbono usare una assai maggiore cautela, che se volessero schierarsi con una delle parti belligeranti… Derivano da questa condizione di cose le oscillazioni… le ambiguità della politica estera italiana. I non italiani spiegano generalmente queste ambiguità col così detto “machiavellismo” italiano. In realtà esse derivano quasi sempre da quella indecisione (talvolta è addirittura ottusità mentale) che è inevitabile, quando ci sono molte e incerte possibilità, e quando il paese non ha la fortuna di avere al timone un uomo di genio come il conte di Cavour38 .
38 Cfr. G. Salvemini, Storia della politica estera italiana dal 1871 al 1915, a cura di Augusto Torre, Feltrinelli, Milano 1970, pp. 142-143.
- Le continuità storiche
Troppo debole per dettare… le regole del gioco, non abbastanza rassegnata per accettare quelle altrui, ora disposta a prendere atto di margini ridotti di manovra… ora indotta… a rivendicare un ruolo di primo piano, incurante dei rischi e delle conseguenze. Non è stato… facile per l‟Italia unita determinare il proprio comportamento, definire la propria rotta, far accettare le proprie ragioni… non sono mai mancati nel vasto complesso di forze operanti al suo interno… dubbi, riserve, visioni profondamente diversificate o contrapposte circa la via da tenere e i compagni di strada con cui procedere39 .
Possiamo iniziare ad affrontare il problema in questi termini: l‟ambiguità della politica estera dell‟Italia liberale, in rapporto alle sue continuità storiche (ovvero quei comportamenti che, ripetuti nel tempo da parte dei gruppi dirigenti, penetrano nell‟inconscio collettivo e sono poi, nel tempo, soggetti a sedimentazione culturale e fattuale, diventando bagaglio comportamentale delle élite politiche, delle burocrazie professionali, delle credenze dell‟opinione pubblica), attiene in primo luogo al problema della collocazione dell‟Italia all‟interno della gerarchia di potenza fra i diversi attori del sistema internazionale, o anche, al problema dell‟individuazione comparata del suo ruolo rispetto agli altri stati. Ci riferiamo cioè, in parole più tecniche, al problema dell‟esatta determinazione del suo “rango” e del suo “ruolo”
40 .
Il “rango” di una potenza è definibile come il peso specifico che una potenza ha rispetto alle altre. Si tratta, in fin dei conti, della sua stazza, che deriva dal computo generale, comparato rispetto alle altre potenze, della sua forza nazionale (economica, politica, militare, culturale). La questione del rango può però essere collegata anche a questioni di prestigio e di percezione. Ed è proprio in questo passaggio che la posizione italiana diventa contorta e quindi i nodi possono non tardare a venire al pettine41 .
39 Cfr. Enrico Decleva, L‟incerto alleato. Ricerche sugli orientamenti internazionali dell‟Italia unita, Franco Angeli, Milano 1987, p. 7. 40 Cfr. C. M. Santoro, op. cit., pp. 72-76. 41 L‟‟illusione indotta negli avversari, negli alleati e nell‟opinione pubblica, è un fattore fondamentale per la conduzione della politica estera, “fino a che non viene smascherata, come nel caso di Crispi, Adua si incarica di fare. Come ogni sconfitta… si incarica di fare. Come persino
Deutsch sostiene che “in politica il prestigio sta al potere come [in economia] il credito sta al denaro in contanti”42. Dire ad alta voce, come faceva Mussolini, ostentando la coesione nazionale italiana e le virtù della razza latina, di avere a propria disposizione otto milioni di baionette (nascondendo le deficienze di carri armati) ed impettirsi con altisonanti dichiarazioni, o far passeggiare a braccetto Ciano e Von Ribbentrop per i giardini di Salisburgo43, soprattutto nel contesto degli anni „30, erano mosse che rendevano l‟Italia una grande potenza, almeno nella percezione interna ed internazionale del paese. Tuttavia, anche se con atti del genere l‟Italia fascista riusciva ad aumentare il suo peso politico nelle contese internazionali, sotto un altro aspetto, assumendo un ruolo ad essa materialmente superiore, si sarebbe ritrovata, all‟eventuale resa dei conti e a seconda delle circostanze, proprio a causa della sua debolezza materiale, o a lanciarsi in imprese disperate (ad esempio la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti e all‟Unione Sovietica), o a compiere azioni di facciata per dimostrare qualcosa al mondo e soddisfare parte dell‟opinione pubblica (imprese coloniali), oppure a ricorrere ad acrobazie verbali e giuridiche per tentare di salvare la faccia, e non solo quella, al Paese (la dichiarazione di non-belligeranza del 1939). In relazione al periodo che a noi interessa, possiamo riportare, a mo‟di spunto, una riflessione di Fortunato Minniti riguardante la campagna di Libia del 1911. Minniti osserva che di fronte alla situazione di stallo, creatasi dopo la veloce conquista delle principali città costiere della Tripolitania e della Cirenaica, il capo di stato maggiore Pollio comincia a pensare in grande e sogna soluzioni alternative (nell‟Egeo, nei Dardanelli,
una guerra vinta, seguita da una pace difficile almeno quanto quella guerra, comincia a fare nel 1919”. Cfr. Fortunato Minniti, Il sogno della grande potenza, in Luigi Goglia, Renato Moro, Leopoldo Nuti (a cura di), Guerra e pace nell‟Italia del Novecento. Politica estera, cultura politica e correnti dell‟opinione pubblica, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 51-52. Cfr. anche D. Mack Smith, La storia manipolata, Laterza, Roma-Bari 2000 (I ed. 1998), soprattutto pp. 3-4, 17. 42 K. W. Deutsch, op. cit., p. 75. 43 Cfr. Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Rizzoli, Milano 2000. Soprattutto il colloquio dell‟11 Agosto 1939 con Von Ribbentrop.