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Prefa z ion e
C'è una storia poco no ta, nell'epopea della Grande Guerra. È quella dei medici militari italiani prigionieri che prestarono servizio nei territori invasi dagli austriaci dopo Caporetto. Le fonti su questo argomento sono, purtroppo, assai scarse. Moltissimi documenti austriaci sono a ndati perduti nella battaglia di Vit torio Veneto e nella conseguen te precipitosa ritirata, mentre pressoché nulle sono le fonti italiane, visto che si trattava di territori occupati dal nemico. Un'eccezione straordinaria è rappresentata dal diario, correda to da documenti, fotografie e dati, scr itt o dall'allora tenente medico Dino Giannotti.
Il diario si presenta come un documento dattiloscritto, in volume wùco di dimensioni 290x310x35 mm, rilegato, con datazione espressa 1917-1918, in buono stato di conservazione. Di qu esto documento è stata fatta una trascrizione diplomatica, rispettando il più possibile il te sto originale, anche nell'uso delle maiuscole, s pesso liberamente usate dal Giannotti per e n fatizzare un nome co mun e, un grado militare, una parentela o un even to specifico. La precisione e l'accuratezza del testo non ha1mo richiesto che minimi interventi di normalizzazione. Sono invece stati aggiunti numerosi capoversi per aumentare la facilità e la scorrevolezza della lettura.
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Il presente lavoro, tuttavia, non è basato esclusivamente su questa fonte sc ritta. Infatti, insieme al diario l'autore ha conse rvato una serie di straordinari oggetti, fotografie, giornali, l e ttere e documenti di va rio genere. Attraverso lo studio di questo materiale, co ll ezio nato con il preciso scopo di esser tramandato, si intuisce chiaramente che il Gia1motti, medico ed uomo di alto profilo culturale, aveva la consapevolezza di sta r vivendo un momento storico unico e "memorabile". Tramite l'analisi combinata del diario e delle altre fonti si può tentare una ricostruzione a tutto tondo delle vicende di cui l'Autore è protagonis ta.
Per questo è s tato sce lto di inserire in nota le lettere ind irizza te al Giannotti nel momento in cui queste furono effettivamente ricevute. Questa ap p aren te diacronia, oltre che ri spetta r e l'esperienza dell'autore, aiuta a comp rendere il di agio vissu to dai prigionieri e dalle loro famiglie che, per la lentezza e l'incertezza de ll e comunicazioni, vivevano in costante apprensione per la mancanza di notizie sufficientemente aggiornate . li diari o di Dino Giannetti, inoltre, non è soltanto una cronaca giornaliera di avvenimenti stilata per esigenza personale, ma contiene numero se riflessioni di carattere medico, militare, sociale e politico. Moltissimi sono i riferimenti ad opere letterarie latine, italiane ed europee; numerosi altresì i riferimenti musicali - sia classici che moderni - e ad opere teatrali, grazie ai quali è possibile ricostruire un quadro strao rdin a riamente fedele del contesto culturale delle classi abbienti dei primi anni del ovecento.
Le fotografie consentono di vedere ciò che l'autore vedeva, ricreando un'esperienza storica unica. Inoltre le immagini permettono di avere un accesso privilegiato ad una memoria oramai quasi dimenticata, cioè quella dei campi di concentramento della prima g uerr a mondia le . Qu est i erano assai simi li a quelli più tristemente noti del se condo conflitto, sia nella denominazione - l'autore utilizza correntemente il termine "lager" - che nell 'as petto. È anche interessan t e nota re una coincidenza geografica fra i cam pi di prigionia militare e quelli successi v i, che talvolta furono collocati nel medesimo luogo. Un esempio fra tutti è quello di Mauthausen, sede di un campo di prigionia fra il 1914 ed il 1918 e divenuto poi terribilmente noto nel secondo conflitto mondiale.
L'autore adotta un linguaggio elevato ma, nonostante la gra nd e atte nzione d escrittiva, il diario non è un'opera di stile, e conserva una notevole freschezza e vivacità. li Giannetti osserva gli avvenimenti con uno sguardo ironico che rie sce a trovare sp w1ti di divertimento, l'immancabile nota comica, anche nelle situazioni più tragiche. on solo . L'autore, ben lontano dal descriversi come un eroe, affida alla cart a i numerosi momenti di debolezza, di paura e di sconforto per l a propri a situazione di prigioniero, per la lontananza dalla famiglia e per i pericoli a cui era continuamente esposto. Que to rende la sua testimonianza anco r più attendib ile ed il suo diario un'opera comp leta, coinvo lgente ed appassionante.
Di solito l'espressione "l' h o letto tu tt o d'un fiato" è retorica, compiacente e convenzionale : comungue insincera. Difa tti io, che di soli to non la uso, non me ne servirò nemmeno stavo lta. Al contrario: quel dattilo scritto d i 170 pagine e vari ettogrammi di peso - con la prospettiva di doverselo portare alcuni giorn i in borsa, ché queste l ett ure si fanno di solito in viaggio - mi ha fatto l ' effe tt o, alcune settimane fa, di una specie di tegola s ull a testa, anche perché pioveva in un moment o per m e d ensissimo d'impegni e di la v oro arretrato da consegnare. Come gli autori e gli edi t ori ben sanno, di solito il "Personaggio" (?!) a v vicinato e ri ch ies to di una Prefazione, o Introdu z ion e, o In v ito alla lettura se la cava protestandosi sovraobera t o, proponendo date d i consegna in un futuro lontano e nebuloso, oppure sparando una richies ta di cachet a tre zeri. In genere, il terzo espediente-deterrente si rivela effica ce . D'altronde, l'argomento del lavoro s embrava invitante - come può un professore di storia appena degno di tale q u al ifica non sen tirsi invoglia to d in anzi a un inedito diario d i g u erra e d i pr igionia? - ; chi me lo proponeva è serio e garbato nonché in rap p orti con un a delle tre o qua tt ro persone a l mondo alle quali non posso dire di no; e l'editore dispos to a pubbl icarlo è un amico. Infine, il fat to è che, come di sé d ic e il Don Giov anni di Mozar t, "io son per mia disgrazia uom d i buon cuore" .
Il che non toglie tuttavia che, appena ricevuto il plic o e scorsene le pr ime righe, mi sia se ntito "pe ttinato contropelo". Un Diario di prig io nia della prima guerra mondiale che reca come sot totito lo Hic sunt barbari et italica fortitudo e che fa presagire delle tirate contro il "secola re nemico" e magari qualche lode a "Sua Maestà il Re'' (ne l senso del tri s to Vittor io Emanu ele III) sembra scrit to apposta p er far perdere le s taffe a un devoto del principe di Metternich e del maresciallo Rade t zky quale io mi vanto di essere, a uno che non lascia mai passare un anno senza una devota visita alla Kapu z in erg ruft di Vienna dove dorme il suo imperatore Francesco Giuseppe. Insomma, uno che andrebbe del tutt o d'accordo co l do t tor Rubino, tenente medico dell'imperia lr egio esercito austroungarico, ch e - come impare r anno i lettori - è tanto disprezzato dall' Au- tore quanto ammirato e onorato da me (a parte qualche sua debolezza dell'ultim'ora, che lo costrinse a fingersi quasi irredentista ma a guanto sembra seppe redimersi ) .
Spero, con questa storia del tenente Rubino, di avervi messi in curiosità . Aggi ungerò che, se scartabellando il manoscritto avessi notato che l'Autore definisce "pavido sovrano" il santo imperatore Carlo d'Asburgo, avrei respinto con disgusto il plico al mittente. E avrei fatto male; e sarebbe stato (almeno per me) un pe cca to. Dal momento che, come dice Baudelaire, soltanto i superficiali non giudicano alla prima impressione. E a me, nonostante i suoi sottotitoli, il dottor Dino Gianno t ti era rimasto immediatamente, incomprensibilmente simpatico.
Certo, ci avevo notato un a visione del mondo degna della "Maestrina dalla Penna Rossa" dell'insopportabile Cuore deamicisiano. Il tenente dottor Dino Giannotti - classe 1889, laure ato venticinquenne in medicina nel l uglio 1914, a due passi dall'inizio della guerra - toscano di buon a famiglia, condiv ide va tutte le caratteristiche, i modi di pensare e i pregiudizi delle classi medie italiane del suo tempo. Buon patriota senza soverchi entusiasmi ma consapevole del suo dov ere, cattolico abbastanza conformista e forse interiormente agn ostico, ben attento al suo "particulare" (fin dalle prime pagine lo scopr iamo preoccupatissimo per la sua ca rri era di medico militare, con relativ e faccende di avanzamenti di grado e di destinazioni) ma al tempo s tesso disponibile con gli altri e generoso nell'esercizio della sua professione. Insomma, una "persona per bene 11 : e Dio sa se le "persone per bene" possono risultar odiose. Il tenen te dottor Giannotti apparteneva sia pur con un certo equilibrio alla razza di quelli che una canzone del fronte di quegli anni avrebbe clùamato "maledetti s ignori ufficiali - che la g uerra l'avete voluta - massacratori di carne vendu ta - e rovina della gioventù". È comprensibile che, in quella fine novembre del '17 nella quale egli fu preso prigioniero sulla linea d el Carso, nel corso di un terribile combattimento, egli s'indignasse e si desolasse udendo l e grida di "Viva gli austriaci!" proveni en ti da una vicina trinc ea italiana. Erano grida di disperazione e di sollievo: la prospettiva della prigionia nelle mani di un nemico avanzante e vittorioso non poteva non sorridere a tanti disgraziati che s'eran visti gettare a forza in quell'inferno senza nemmeno capirne - non diciamo condividerne - le pur pretestuose ragioni e che pensava no (a torto) che per loro la guerra finiva quel giorno. Ma il tenente Giannotti, convinto che quello fosse un conflitto "legittimo e necessario", inorridiva dinan z i a quelle invocazioni che gli parevano soltanto vili; così come riteneva - e lo diceva apertamente - che la disfatta del ' 17 non fosse da attribuire tanto ai "disgraziati" che avevano "gettato il fucile , illudendosi di aver salva la v i ta e che la gue rra sa rebbe ben presto cessata", quanto ''a quegli esseri immondi dei socia listi che in patria pugn alavano alla schiena, facendo propaganda di d isfattismo p erf ino in Parlamento"; giudicava "sacrileghi" i discorsi di Cl a udio Treves e "sporcaccioni" i s uoi compagni; e restava impietrito leggendo durante la prigionia i gio rnali soc ia listi h·iestini, s tam p a ti ovviamente in italiano, nei qu a li si lod ava l'impera t ore e si auspicava il trionfo d ell'esercito imperia lregio, secondo scelte che com'è n oto avevano caratterizzato il socialismo a u str iaco e tedesco, in ciò dist in g uendolo (con tutt e le deroghe del caso) da quello francese, italiano e russo . Ed ecco sca turir e dalla penna del t e n e nt e dottor G iannotti~n c h e la bal enan t e parola, " panciafichis ti ", cos ì gravida di futur o nazionali s ta e futuri s ta, già così presaga di un domani ricco di sviluppi politici ...
Questo il quadro concet tual e nel quale l'Autore si muove , tra frequent i rem ini sc enze classiche e risorgimentali e inevi tabili s uggestioni dannunziane - la pagina dedicata al " v olo su Vienna" è da manual e, accompagnandoci in un ca mmino che in qualche modo ricorda la tragedia greca: dal tri ste, lacrimevole inizio, a ll a fine che comporta il raggiungimen to a ttraverso la sofferenza della purificazione spirituale, la ca tarsi. E l'atto fina le, liberatorio, la prova della riacguisita se reni t à e del bisogno di comprovarla a se s tesso e agli altri s ta proprio q ui , in ques t o racconto avvi a to - è l' A utore stesso a dirc elo - il 17 n o vembre 1917, "scritto a ve ntotto anni, non ricordo quando datt ilografato" e quindi-per caso, a quanto se mbra, " rinvenuto . .. nel fondo di una casse tta milita re, a sessant'anni": il che ci conduce più o meno al 1955. Che cosa a cca dde al lora all'ormai anziano m e dico, ril eggendo quelle parole a dis tanza di oltre quarant 'anni, quei quaran t'anni? È lui s tesso a dircelo:
"Dop o gli inauditi orrori della seconda guerra mondial e, le infamie senza pari di feroci e dis umani bellig eranti nei t erritori invasi, nei campi di concentramento e di sterminio, il rileggere questo di ario mi fa sorridere e dolorosamente pensare!
Le brutalità di allora verso militari e c ivili null a so no a confronto dei misfatti e de lle carneficine recentemente compiute dal furore teutoni co e da quello s lavo!".
Oggi, a quasi al tri sessant'anni dal momento nel quale il dottor Giannotti ve rgava queste m es te, indi g nate paro le, v ien mes tament e da so rridere al legge rle. Ma for se nemmeno più con indignazione. Ci è v enuta meno perfino la forza d 'i ndignarci. Giannotti, come ri c hiama ripetutam e nte ne l s uo scri tto, mostra di cr e dere alla lettera alle infam i calunnie allora s pars e a piene mani dalla propaganda dell'Intesa a proposi to delle v iolen ze perpetrate dai tede sc hi n e l Belgio invaso. V'era, allora , una diffusa reto ri ca s ulla " barbarie teutonica", avv i a ta dalla letteratur a re vanscis t a francese dopo la guerra franco-prussi.ana del '70. V'era il Leitmotiv "di G ugli elmo il mentecatto" , della nazione tedesca g uidata da un folle ... Si tratta va in parte di esagerazioni, in p a rte di vere e proprie truci invenzioni. Ma non si deve m ai evocare il diavolo: c'è il ri sc hio che appaia: e quell o che non era accaduto tra '14 e ' 18 accadde, pegg iora t o, fra '39
Eppure abbiamo oggi tristemente co nstata to che al peggio non c'è mai fondo.
Il fatto è tuttavi a che l'imm ane trag e dia dell'imbarbarimento e dell a cresci t a esponenziale d e ll a v iolenza - accompagnata d ai refrnins dei diritti dell'uomo, della co n cordia tra i popoli , della tolleranza religiosa, d ei diritti um ani ... - si affacci ò con deci s ione proprio allora, nelle carneficine senza nome e senza ragion e della prima guerra mondial e Certo, ve n ' erano s tate avvi sag lie. Firmando per do ve re d ' ufficio, in quanto - come diceva lui" primo funzionari o dell 'i mpero" , l'ultimntum del ' 14 all a Serbia, il vecchio imperatore Francesco Giuseppe avrebb e avuto parole aspre e desolate co ntro quei giovani politici e militari che volevano la guerra perché (dulce be/111111 inexpertis) non la co noscevano : lui sì che l' avev a vista, nell 'orrore se n za n o me del cam po di b a ttaglia di Solferino. E il pe gg io doveva ancora venire.
Tutt o c iò potrebbe anche bastare, co me "invito a lla lettura". Ma forse qualche al tra osservazione non g uasterà.
Un a ola, is pirata alla cautela critica, a n zi tutto . Siamo da vve ro, e fino a che punt o, dinanzi a un diario " autentico"? Giannotti d ice di averne intrapreso la s te sura a guerra fini t a, cio è quando ve nn e preso prigioniero, e non c'è motiv o per n on credergli. Quello di cui non c'inform a è la gene s i dello sc ritto . D a quando c i pensava? Quali e quante "memorie", quali e quanti appunti aveva raccolto , e in che modo? I suo i sentimenti, a ll a descri z ione dei quali egli soven te indulge, e rano da vve ro tutti e fino in fondo quelli dettati d al momento o ppure quelli is pirati a posteriori dal decorso di eventi ult e riori , dal ricordo, dalla nostalgia, magari da qualche rimpianto e perfino da qualche rimorso?
Sì: perché qu es to lungo racco nto di g uerra e di prigi o nia racchiude, nell'anno c he attraversa - l 'ultimo della guerra - il resoconto d ' una din a mica spirituale , d'una his t oire de /'am e. Ben dec iso a pro seg uire la g uerra com e prigioniero, pur nell'ambito um an itario della sua profe ss ione, G ian.no tti s i trova per tempo dinanzi al problema di tutti i prigionieri di guerra dotati di una certa qualifi cazione: fin o a che punto, C onvenz ioni di Ginevra a p ar te, un a qualche condivis ione dei problemi del nem ico è legi ttim a, e da che punto in poi diventa collabora zi onismo ? Fin dov e è lecito sp ingere la "simpatia" e la "comprensione" per chi ve te un ' uniforme di ver s a dalla tu a e perse g ue uno scopo o pp os to al tuo?
Certo, legge nd o le vicis s itudini del prigioniero Giannotti tra Austri a e Friuli, e avendo presente quel ch'è poi a cca duto tra Auschwitz, Kolima e Guantanamo , ve n ' è pro prio dond e per abbandonar si a lla /audntio temporis ncti; e per lamentarsi di quanto rapida mente e re pentinamente le condizioni d e l present e abbiano abbandonato quella "misura d ' uomo" c he restava se mpre viva nel pur crudele passato. Qui s i assi s te alla v ita quotidiana di w1 prigioniero che lotta con la fame, le ri s trettezze del guardaro ba, l ' infes ta z ione di topi e di parassiti, le prepotenze d ei ca rcer ier i. Gia nn otti s'indigna, e n e ha tu t te le ragioni, p erché i pacchi che gli arrivano dall'Italia mo s trano evidenti segni di effrazione, e dal loro interno mancano tabacco e cioccolata : avessero potu to i n dig n a rs i allo s tesso modo non dico i poveri deportati di Auschwitz, ma anche gli s tessi militari "rego larm en te" prigionieri di guerra in Germania, in Russia , in India dove li aveva ammassati Sua Mae s tà Britannica! Qui, in un paesaggio austriaco o friulano ancora quasi inta t to e pacifico, salvi gli ultimi momenti, i prigionieri si vedono servire pasti q u as i decenti (dei qua l i si lamentano), passeggiano tranqu illi con le loro scorte, allacciano amicizie con i locali. C'è poco da mangiare: ma tut ta l'Au stria è in quelle condizioni, e per nutrire i suoi prigionieri si toglie lettera l mente il suo poco pane nero di bocca (diversa la condizione degli ung heresi, t ra i qua li spun tano talvol ta perfino dolci e liquori: e Gidotti ne approfi tta) . E la gente da curare - italiana, austriaca, unghere se, russa, militare o civile che sia - ha paura e soffre e spera e muo re allo stesso modo .
Così, quando un anno dopo il tenente medico rivive, rifle sse nel nemico che ormai fugge e si arrende, le paure, lo scoramento e le umiliazio n i sue e dei suoi di un anno prima, non riesce a con tenere un sentimen to forte e profondo di pietà e di solidarietà. Insomma, tanto per parafrasare De André, l e divise possono essere anche di un a ltro co lore : ma l'umore è lo s tesso, identico. E p o i ci sono anche le loro s peranz e, a loro volta "irredentiste" : come quella dell ' ufficiale sloveno che dopo aver fe delmente servi to l'impero auspica ora la n ascita di una nuova patria, veramente "s ua", la Jugo s lavia.
Intan to, dinanzi a i s u oi occhi di prigioniero che è tutta v ia avido d'informarsi, scorre la gra nde s to ri a : i bo lscevichi, la Rivo l uzione d'ottobre, l'assassi nio de ll a fam iglia imperiale russa, la rivoluzione k ema l is ta turca (i "soldati di Maometto" appena in t ra v isti), l'epidemia di spagnola . Anc he in c iò, questa fonte è preziosa per il s u o carat tere d i " presa diretta": e le riserve det ta te dalle prudenziali ques tioni di metodo storico non possono che esse re mo l to rela tive .
Al di là di ciò, la sco perta forse s toricamente m e no rile va nte - m a inattesa e graditissima sotto il profilo umano - è qu e lla di Dino Giaiu1o t ti. A nche lì, ci si può ch iedere: a che cosa ci s i trova davanti? Autobiografismo? Civetteria letteraria?
Non so quanto sia r il evante azzardare una risposta a que sto tipo di domande . Da part e mia, non lo è. Nella tragedia rievocata da un vento t tenne ch e a ppartiene a una di quelle genera z ioni condannate a por tar t roppo a lungo l'uniforme mili tare, nelle vicende rivi ss ute e fatalmente rivis i tate da un sessantenne che ormai ha v isto di tut to, pr ende pos to anche un v issu t o persona le che s i co lora di sensaz ioni e di se ntiment i. Il dottor Giannetti è se nza dubbio un onest' u omo, fedele all ' amicizia, come quella a l suo camerata napoleta n o Campagna dal prorompen te tu rpi loquio parte nopeo; ma anche u n bon v ivant e a suo dire un discreto tombeur de femmes. Ci scopriamo così un po' voyeuristicamen te in teressa t i a l suo epistolario amoroso; alla memoria innamorata di qu e lla Cecilia bresciana ch'egli aveva classicamente rib at tez zato Mete lla (dall a Cecilia Me tella consorte di Crasso, della qual e s i celebrava la sovrumana bellezza e ch'è sepolta nel grande mausoleo d e ll'Appi a Antica) e il possibile romanzo d'amore c he sa rebbe sta to troncato dall'epidemia di s pa g nola; alla sp iglia ta insin u ante silhouette de ll a giovaniss ima Lusieta alla q ua l e l'Au toreche ama sfogg iare la s u a peri zia dialettale -i rivolge talvo lta in veneto; e soprattutto alla si lenziosa devozione della fr i ulana Micaela, che ce rt o lo a m ava e ch'egli no n s i sentiva di ricambiare salvo poi forse penti rsi di quel suo riserbo che l'aveva fatta soffrire. E a Micaela appunto è dedicata la pagina forse più intensa sotto il profi lo sentimentale di tutto il Diario : un for tu ito incontro, "vent'anni dop o" (la fatidica mi s ura cronol ogic a dumasian a), con un'eterea ingioiellata signora accompagnata dai figli, e un rapido su ss urrare " mi asp e tt i", e le conf idenze di una "malmari tata" a un grossolano imprendi tore dì quelli che avevano fatto i soldi vend endo all'esercito m e rce scadente (u n " pescecan e", seco ndo il lessico socialista e anche fasci s ta dell ' i mmedia to d opogue rra). È una scena di Amarcord, una di quelle che Giannetti - discreto appass i ona to di musica - riviv e ogni volta che gli cap ita di ascoltare Come pioveva o Una signora di trent'anni fa . Non sappia m o se la Micaela del postumo incontro si a "rea le" o "immaginaria": m a, se no n è ve ra, è ben trovata. E spesso comunque tlie dreams that we dare to dream (come cantava Judy Garl and nel Ma go di Oz) son o p i ù forti de lla realt à.