I SUCCESSI DI DUE MOTOSILURANTI TEDESCHE NEL 1943

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UNA STRAORDINARIA MISSIONE

I SUCCESSI DI DUE MOTOSILURANTI TEDESCHE NEL SETTEMBRE 1943 A TARANTO E IN ADRIATICO

FRANCESCO MATTESINI

ROMA

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Schnellboot in Action (14035) Paperback - by David Krakow
NOVEMBRE
2019

La situazione a Taranto la sera dell’8 Settembre 1943, il giorno dell’Armistizio dell’Italia con le Nazioni Unite

La sera dell’8 settembre 1943, mentre le Forze Navali da Battaglia dell’ammiraglio Carlo Bergamini stavano preparandosi a salpare per la destinazione di Malta, per rispettare i termini dell’armistizio stabilito dai rappresentanti del Governo italiano e da quelli del Comando Alleato, la loro partenza fu seguita da quella delle unità navali della 5a Divisione Navale dell’ammiraglio Alberto Da Zara, costituita dalle vecchie corazzate rimodernate Andrea Doria e Duilio, dagli incrociatori leggeri Luigi Cadorna e Pompeo Magno e dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco. Essa prese il mare per Malta verso le ore 16.30 del 9 settembre per giungere a destinazione alle 19.15 dell’indomani.1

La loro navigazione fu turbata soltanto da un attacco in picchiata di quattro cacciabombardieri tedeschi, sviluppatosi alle 18.55 del 9 al largo della costa orientale della Calabria. La Duilio, accostando rapidamente a sinistra con tutta la barra evitò due bombe, una caduta all’altezza della torre n. 1 e l’altra alla distanza di 20 metri dallo scafo. L’attacco non procurò alle navi alcun danno, e fu controbattuto dalle corazzate mentre gli aerei si allontanavano in direzione della Calabria con i cannoni da 135 e da 90 mm.2

Le ore che precedettero la partenza della 5a Divisione Navale per Malta, che noi abbiamo riportato nel libro La Marina e l’8 Settembre, furono caratterizzate da forti resistenze agli ordini conseguenti all’armistizio impartiti da Supermarina, l’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Marina, sia da parte dell’ammiraglio Da Zara, sia da parte del Comandante il Gruppo incrociatori, contrammiraglio Giovanni Galati. Quest’ultimo, che nell’apprendere la sera dell’8 la proclamazione dell’armistizio era scoppiato “in un pianto violento”, ottenne di poter sbarcare, non ritenendo sufficiente il fatto che nelle clausole di resa venisse esclusa la cessione delle navi e l’abbassamento della bandiera.3

Invece l’ammiraglio Da Zara, che pure concordava con il punto di vista del contrammiraglio Galati, fu convinto a partire del Comandante del Dipartimento di Taranto, ammiraglio di squadra Bruto Brivonesi, con la motivazione che in tutti doveva prevalere l’obbligo “dell’obbedienza agli ordini del Re e del Governo”.4

Questa considerazione, espressa nella sua opera ufficiale dall’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo (che all’epoca degli avvenimenti, con il grado di ammiraglio di divisione, era il diretto sottordine di Brivonesi, ricoprendo la carica di Comandante Militare Marittimo di Taranto), non da un’idea della violenta discussione che si

1 Francesco Mattesini, La Marina e l’8 settembre”, I Tomo, “Le ultime operazioni offensive della Regia Marina e il dramma della Forza Navale da Battaglia”; II Tomo, “Documenti” (in massima parte in fotocopia dall’originale), Ufficio Storico della Marina Militare, Roma, 2002.

2 Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (da ora in poi AUSMM), Diario Operativo della R. Marina dall’8 al 30 settembre 1943.

3 Alberto Da Zara, Pelle d’Ammiraglio, Milano, Mondadori, 1949, p. 418.

4 Giuseppe Fioravanzo, La Marina dall’8 settembre alla fine del conflitto, AUSMM, Roma, 1971, p. 40.

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sviluppo la sera dell’8 settembre. Essa si svolse presso la sede del Dipartimento Navale di Taranto, dove gli ammiragli Da Zara e Galati si erano recati per ricevere l’autorizzazione ad autoaffondare le proprie navi affermando che, “per chi aveva vissuto nel culto di un supremo sacrificio” quel gesto “rappresentava l’atto logico ed istintivo al quale si era preparato con serena consapevolezza”.5

L’ammiraglio di divisione Giuseppe Fioravanzo, a bordo della corazzata Vittorio Veneto, quando nel 1942 comandava la 9a Divisione Navale: corazzate Vittorio Veneto, Littorio (nave del Comandante in Capo della Squadra Navale) e Roma.

Da Zara scrisse nella sua autobiografia:6

Non furono di questo parere né Brivonesi né Fioravanzo; il raziocinio violento e appassionato del primo, l’argomento freddo e pacato del secondo non tardarono a far breccia nel vallo dei miei propositi. Galati rimaneva invece incrollabilmente fermo nella propria decisione. Giunse il testo integrale del messaggio del Ministro in cui era specificato in modo chiaro e preciso che il trasferimento a Malta non significava la consegna delle navi e l’ammainata della bandiera. Così, il mio nuovo orientamento fu rapido e deciso; nel telegramma avevo ritrovato lo spirito e lo stile di de Courten; sfumava tutta la fantasmagoria delle ipotesi assurde nate nel

6 Ibidem.

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5 Alberto Da Zara, Pelle d’Ammiraglio, cit., p. 419.

turbamento e nel disorientamento del momento e fra esse quella che mi aveva fatto supporre che il telegramma fosse apocrifo.

Alle 09.20 del 9 settembre, con messaggio n. 8956, arrivo l’ordine di partenza, che fu trasmesso da Supermarina direttamente al Comando della 5a Divisione Navale, con un messaggio compilato alle 06.42 e che fu ricevuto dall’ammiraglio Da Zara alle 10.05, in cui si specifica:7

SUPERMARINA n. 8956 – Decifrate da solo (alt) Partite subito per Malta con navi vostra dipendenza escluso SCIPIONE (alt)8 Regolatevi in modo arrivare ore diurne provenendo da levante (alt) Troverete pilota. Accettate commissione vigilanza a bordo (alt) Da clausole armistizio escluso cessione navi aut abbassamento bandiera (alt) Alzate grande pennello nero (alt) Mettere grandi dischi neri sui ponti (alt) Artiglierie lanciasiluri per chiglia (alt) Segnali riconoscimento notturni gamma alfa ripeto gamma alfa Caso incontro navi accendete fanali di via attenuati (alt) Assicurate – 064209.

L’arrivo a Malta della corazzata Andrea Doria.

7 Ibidem.

8 All’incrociatore Scipione era stato inviato il seguente ordine, compilato alle 07.00 del 9 e trasmesso alle 08.50: “SUPERMARINA – 19211 – Attivate subito et appena pronto uscite dal porto dirigendo per Pescara dove dovete imbarcare personaggi (alt) Assicurate”. Come si vede, con questo messaggio si ordinava allo Scipione di recarsi a Pescara per imbarcare Vittorio Emanuele III e il suo seguito. Questi personaggi, invece, di fronte all’urgenza di mettersi in salvo, salirono convulsamente a bordo della corvetta Baionetta, che poi prosegui per Brindisi scortata inizialmente dalla corvetta Scimitarra e poi raggiunta dallo Scipione

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L’ammiraglio Alberto Da Zara (destra) all’arrivo a Malta, con l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, Comandante in Capo delle Forze Navali Alleate. Dai loro volti si vede che c’è molta tensione e imbarazzo.

L’affondamento del posamine veloce britannico Abdiel

Mentre le navi della 5a Divisione Navale si preparavano a salpare per Malta, a Taranto si verificarono altri importanti avvenimenti. I circa duecentocinquanta soldati tedeschi che la sera dell’8 settembre si trovavano in quella base, chiesero ed ottennero dall’ammiraglio Brivonesi di poter ripiegare su Gimona, per raggiungere un loro reparto di paracadutisti. Il movimento si svolse senza dare origine ad alcun incidente con gli italiani.9

Nella rada di Taranto ormeggiate, a pacchetto, alla banchina della Caserma Farinati erano poi presenti le due motosiluranti tedesche (Schnellboot) della 3a Flottiglia: la S 54, al comando del sottotenente di vascello Klaus Degenhard-Schmit; e la S 61, al comando del capo nocchiere Friedel Blömker, che sostituiva il comandante titolare, sottotenente di vascello Axel von Gernet, in ospedale in Germania per una grave malattia. Vi era anche una terza unità sottile, la motozattera MFP 478 del tipo C.2, costruita nel 1942 nei Cantieri Riuniti di Palermo, che dopo aver sbarcato le sue ventidue mine al deposito del polverificio della Marina di

9 L’episodio che segue, fu decritto in modo esaustivo per la prima volta in Germania nel libro Die Afrika-Flottille. Der Einsatz del 3. Schnellbootflottille im Zweiten Weltkrieg. Chronik und Bilanz, dell’ex capitano di corvetta Fredrich Kemnade (all’epoca tenente di vascello Comandante della 3a Flottiglia Motosiluranti tedesca), edito a Stuttgart da Motorbuch Verlag, 1978, p. 454-456. Nel 1980 l’episodio é stato rielaborato, con la parte italiana, dall’Autore di questo saggio e stampato nel libro La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), di cui é coautore per la parte politica il Prof. Alberto Santoni. Questa conoscenza dei fatti, di cui pochi si erano soffermati, portò in Italia a molto scalpore.

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Buffoluto, situato a circa un miglio a nordest di Punta Penna, che separa il Mar Piccolo dal Mar Grande, al comando da un sottufficiale si trovava nell’arsenale in attesa di iniziare un ciclo di lavori.

Alle 19.42 dell’8 settembre, interrompendo i programmi serali, la radio italiana (EIAR) trasmise il proclama del Capo del Governo, maresciallo d’Italia Pietro Badogno, che annunciava l’armistizio dell’Italia che era stato chiesto agli Alleati. Immediatamente le strade di Taranto e i moli del porto si riunirono di gente, civili e militari esultanti, e pochi in quel momento si resero conto di quale sarebbe stata, da lì a poco, la reazione della Germania, contro quello che riteneva essere “un meschino tradimento”.

In questa situazione, in cui non ci furono incidenti tra italiani e tedeschi, il sottotenente di vascello Degenhard-Schmit, “Già un quarto d’ora l’inizio dei festeggiamenti” trasmise a Frascati, al Comando della Marina Tedesca in Italia (contrammiraglio Wilhelm Meendsen–Bohlken), “ore 20. Spari di gioia, ululati di sirene e suoni di campane su Taranto. Secondo dichiarazioni di soldati italiani concluso armistizio fra Italia e Inghilterra. Attendo ordini”.10

Alle ore 21.28, Degenhard-Schmit ricevette dal Comandante della 3a Flottiglia Motosiluranti, capitano di fregata Herbert Max Schultz, l’ordine “Fall Ernte” che 10

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La Spezia dicembre 1941. Ufficiali italiani con ufficiali tedeschi della 3a Flottiglia Motosiluranti. Dal quarto da sinistra sottotenenti di vascello Lüders, Haag, Stolzenburg, ufficiale italiano, tenente di vascello Weber, capitano di corvetta Kemnade in abito civile. Erminio Bagnasco, Corsari in Adriatico, 8-13 Settembre 1943, Mursia, Milano 206, p. 17.

significava di lasciare al più presto Taranto e ritirarsi verso l’Alto Adriatico, ma anche di impedire a tutti i costi alle navi italiane di uscire dal porto. Poco prima della mezzanotte il comandante Degenhard-Schmit chiese all’ammiraglio Bruto Brivonesi l’autorizzazione a far partire le tre navi in ore notturne per un porto della Grecia, motivandolo con il timone di trovare all’alba unità navali britanniche in prossimità della base. Richiesero anche il permesso di spostare le due motosiluranti dal Seno di Levante del Mar Piccolo, ove si trovavano decentrate, a “San Pietro per distruggere i congegni di accensione delle torpedini elettriche depositate in detta isola” dalla Marina germanica.11

Brivonesi, dopo aver ricevuto dall’ufficiale tedesco “l’assicurazione” che le motosiluranti “non avrebbero compiuto atti ostili entro le acque territoriali italiane”, acconsentì alle richieste, e riferisce di aver ordinato di accompagnare da motoscafi italiani le unità tedesche nei loro spostamenti.

Del clima di quella notte abbiamo la testimonianza del compianto Dottor Franco Bargoni (mio fraterno amico), che all’epoca, con il grado di guardiamarina, prestava servizio all’Ufficio Cifra della Segreteria del 4° Gruppo Sommergibili di Taranto. Poco dopo le ore 23.00 dell’8 settembre, fu inviato dal suo comandante, capitano di fregata Giulio Chialamberto, alla centrale operativa sotterranea protetta del Comando in Capo del Dipartimento di Taranto, perché al 4° Grupsom, per l’intasamento delle linee non interrotte dai bombardamenti aerei, non si riusciva ad avere comunicazione con il Ministero, presso il quale lo stesso Chialamberto era stato precedentemente convocato. Scrive Bargoni, e più volte, parlandone, me lo confermò

a voce:12

11 Archivio Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico (ASMEUS). “Relazione presentata dall’Ammiraglio di Squadra Bruto Brivonesi Comandante in Capo il dipartimento dello Jonio e Basso Adriatic sull’opera da lui svolta nei giorni dell’armistizio”, Discriminazione Ufficiali della Regia Marina, L 13, cartella n. 36.

12 Franco Bargoni Rubrica Discussione, “Per la Patria e per il Re”. Rivista Marittima, Giugno 2001, p. 136-137.

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Vi rimasi per molte ore; non riuscii ad avere la comunicazione con Roma, ma in compenso potei assistere alle scene indescrivibili che si verificarono quella notte. Telefoni che squillavano, telescriventi che sfornavano ordini e contrordini, ufficiali che andavano e venivano, discutevano concitatamente, ecc … In mezzo a quella confusione arrivò una telefonata dal deposito munizioni di Buffoluto, in cui si domandava come contenersi nei riguardi della motozattera germanica che con minacce pretendeva di reimbarcare le sue mine. Nessuno chiaramente li aveva avvisati del colloquio di Brivonesi con l’ufficiale tedesco. Il Capitano di Vascello di servizio, essendone evidentemente anche lui all’oscuro, chiamò qualcuno, chiaramente uno dei diretti superiori: o l’ammiraglio di divisione Fioravanzo, comandante della Base e quindi responsabile anche di Buffoluto, o l’ammiraglio Brivonesi capo del Dipartimento. Cosa gli abbiano risposto non lo so, ma il concetto era questo. E’ roba loro dategliele. Cosa ne abbiano fatto i tedeschi lo sappiamo.

Le motosiluranti S-54 e S-61 ultimarono il carico alle 04.00 del 9 settembre quando, avendo imbarcato trenta mine tipo TMA/B alla banchina del deposito Buffoluto (e non a San Pietro), attraversarono le ostruzioni, per poi mettere la rotta verso Gallipoli alla velocità di 9 nodi, che era la massima consentita dalla motozattera MFP 478 a causa dello stato dei suoi motori, alquanto cimentati.

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La motosilurante tedesca S 54.

La motosilurante tedesca S 61, con la “sirenetta” che la contraddistingueva. Apparteneva alla 3a Flottiglia arrivata nel Mediterraneo a La Spezia, attraverso i canale della Francia. Cominciò ad operare all’inizio di dicembre 1941 con basi operative Augusta e Porto Empedocle.

Anche le due motosiluranti non si trovavano in piena efficienza, perché essendo in grado di impiegare soltanto due dei tre motori di cui esse erano dotate, potevano raggiungere una velocità massima di appena 18 nodi. E difficile credere, come ha scritto nella sua relazione l’ammiraglio Brivonesi, che a sorvegliare i movimenti delle unità tedesche nei loro spostamenti fossero stati inviati dei motoscafi italiani. Se effettivamente essi erano presenti occorre dire che su quei natanti fu effettuata una scarsissima vigilanza, perché assolutamente non si accorsero degli atti ostili che le unità germaniche portarono a compimento nelle acque del Mar Grande di Taranto. Inoltre, sembra ancora più incredibile, secondo il Diario di Supermarina del 9 settembre 1943, 13 le mine consegnate al deposito Buffoluto risultavano soltanto otto, mentre altre dodici, la rimanenza, sarebbero state inutilizzate dal personale tedesco. Occorre ripetere, ma dov’era la vigilanza!

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13 AUSMM, Stato Maggiore della Regia Marina, Diario Operativo della R. Marina dall’8 al 30 Settembre 1943.
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Mine tedesche da fondo TMA/B da impiegare per la posa con motosiluranti.

Alle 01.15 del 9 le motosiluranti avevano ricevuto, per radio, di rendere esecutivo l’ordine di predisporre il “Fall Ernte” del piano “Achse”, che riguardava la neutralizzazione e cattura della Flotta italiana. Pertanto, dirigendo lungo il canale navigabile di uscita dalla rada verso la porta delle ostruzioni, appena passati riuscirono a calare in mare le mine magnetiche TMA/B da fondo (con attivazione ad influenza elettromagnetica e acustica e una carica di 420 chili di esplosivo), sulle quali, come vedremo, il mattino del 10 settembre andò perduto il posamine veloce britannico Abdiel carico di soldati. Due settimane più tardi, alle 13.50 del 22 settembre, affondò per l’esplosione di una mina il rimorchiatore italiano Sperone (capitano Elio Cesari), di 87 tsl, Esso trasportava 148 uomini, dei quali 97 decedettero mentre i superstiti, molti gravemente feriti, furono 51, compreso il comandante. La nave, infatti, era adibito al trasporto locale di persone, di materiali e di viveri da una parte all’altra del porto. Non appena conosciuta la minaccia, l’opera di bonifica subito iniziata portò alla distruzione di ventuno mine.

Una mina da fondo TMA viene calata in mare.

Il 24 settembre affondò anche il dragamine magnetico britannico MMS 70 (comandante Lionel Claude Evans), ma poiché ciò avvenne presso Gallipoli non può essere assegnato alla causa delle mine poste dalla motozattera MFP 478, come noi erroneamente avevamo fatto nella nostra opera del 1980, La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1943) E’ possibile che si sia trattato

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di una mina di uno sbarramento costiero italiano. Decedettero otto dei venti uomini dell’equipaggio.14

Il rimorchiatore Sperone.

La motozattera tedesca MFP 480, che era simile alla MFP 478 costruita nei cantieri di Palermo per conto della Germania, che forniva il materiale, compresi i motori.

14 Alberto Santoni e Francesco Mattesini; La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), cit., p. 502.

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L’operazione della posa delle mine si era svolta sotto la direzione del tenente di vascello Erns Winkler, del Comando Servizio Minamento della Marina Germanica, che aveva preso imbarco sulla MFP 478 e che quindi era uno specialista. Ma vediamo come si verificò l’affondamento dell’Abdiel, secondo la ricostruzione dell’Autore.

Mentre le motosiluranti tedesche si allontanavano da Taranto, verso le 13.30 del 9 settembre l’ammiraglio Bruto Brivonesi aveva ricevuto un maggiore della Regia Aeronautica, partito in volo da Pescara e atterrato a Grottaglie, che gli consegnò il seguente dispaccio del Comando Supremo n. 151001, compilato dal Capo di Stato Maggiore Generale, generale Vittorio Ambrosio:15

Disporre che a partire dalle ore 13 di oggi 9 settembre pilota si trovi in posizione 206° per 12 miglia da Faro S. Vito per guidare formazione navale britannica che deve sbarcare Taranto per appoggiare nostre truppe. Batterie costiere non dico non debbono aprire il fuoco. Per la eventualità che il presente non giunga

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Motozattera tedesca tipo A – C. Profilo e pianta della motosilurante S 38, simile alla S 54 e S 61. 15 AUSMM, Relazione dell’ammiraglio Bruto Brivonesi, Allegato n. 5.

al Comando M.M. di Taranto invito le Ecc. in indirizzo a provvedere per l’esecuzione. Ambrosio.

Come si vede si trattava di istruzioni fatte pervenire al Capo di Stato Maggiore Generale dal Comando anglo-americano, che certamente erano arrivate a Roma nel corso della notte sul 9 settembre.16

Mezz’ora più tardi, il viceammiraglio Power, Comandante della Forza Z imbarcato sulle corazzata Howe (capitano di vascello Charles Henry Lawrence Woodhouse), che era incaricato di appoggiare l’arrivo delle navi a Taranto con le truppe britanniche, trasmise un messaggio in chiaro per comunicare che il viceammiraglio britannico rappresentante il Comandante in Capo delle Marine Alleate, sarebbe arrivato a a Taranto per assicurarsi che i termini dell’armistizio fossero osservati, e richiedendo che sei piloti sicuramente qualificati fossero messi a disposizione delle navi britanniche. Erano poi richiesti 6 rimorchiatori e 12 bettoline pontate con equipaggi al completo, che dovevano essere subito inviati sottobordo alla corazzata Howe che alzava l’insegna di un viceammiraglio. Ricevuto il messaggio, l’ammiraglio Brivonesi aveva risposto che sarebbe stato fatto tutto il possibile per venire incontro alle necessità prospettate nei limiti dei mezzi disponibili, inviando sotto bordo alla Howe quattro piloti qualificati, cinque rimorchiatori e i necessari altri mezzi navali.

Poco dopo le 17.00, il Comando della 7a Armata ordinò a tutti i Comandi dell’Esercito e della Marina in Puglia di tenere i reparti pronti all’impiego, e di non opporsi agli sbarchi degli angloamericani per non provocare una reazione da parte delle truppe tedesche. Tuttavia le truppe italiane avrebbero dovuto reagire qualora i tedeschi avessero attaccato.17

Tra le navi britanniche messesi in movimento, il posamine Abdiel era una delle unità destinate a raggiungere Taranto. Esso partì da Malta la sera dell’8 settembre 1943 per partecipare all’operazione Slapstick, che consisteva nello sbarco a Taranto de contingente di truppe britanniche della 1a Divisione aviotrasportata (generale George Frederick Hopkinson), concordato al momento dell’armistizio dell’Italia con il governo del maresciallo Pietro Badoglio e con le autorità della Regia Marina. Le truppe si erano imbarcate a Biserta su cinque unità della Royal Navy, gli incrociatori della 12a Divisione Aurora (commodoro William Gladstone Agnew), Penelope, Sirius e Dido e sul il posamine veloce Abdiel, a cui si aggiunse l’incrociatore statunitense Boise. Per la loro copertura fu destinato un nucleo navale, denominato Forza Z, comprendente le moderne corazzate da 35.000 tonnellate Howe (vice ammiraglio Arthur Power) e King George V, salpate da Malta con la loro scorta di quattro cacciatorpediniere della 14a Flottiglia: Jervis; Panther, Pathfinder e Paladin.

16 Francesco Mattesini, La Marina e l’8 settembre”, I Tomo, “Le ultime operazioni offensive della Regia Marina e il dramma della Forza Navale da Battaglia, USMM, cit.

17 Giuseppe Fioravanzo, La Marina dall’8 settembre alla fine del conflitto, USMM, Roma, 1971, p. 243.

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La moderna corazzata britannica Howe in navigazione ripresa da un aereo, seguita da quattro cacciatorpediniere in linea di fila. Era la nave ammiraglia della Forza Z. La Howe e la gemella King George V, che ha accanto due cacciatorpediniere, mentre sullo sfondo vi è una portaerei.

Durante la navigazione verso Taranto le navi britanniche incontrarono le navi italiane che avevano lasciato il porto per raggiungere Malta, in conformità con le disposizioni armistiziali, e sulla base del famoso promemoria Dick, dal nome del commodoro Royer Dick, Capo di Stato Maggiore del Comandante della Forze Navali Alleate, ammiraglio della flotta Andrew Browne Cunningham. Si trattava, lo ricordiamo, delle corazzate della 5a Divisione Navale dell’ammiraglio Alberto Da Zara, la Andrea Doria e la Duilio, e degli incrociatori leggeri Luigi Cadorna e Pompeo Magno, e dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, che raggiunsero la loro destinazione l’indomani, trovandovi le unità del Tirreno, che nel corso della navigazione avevano perduto la corazzata nave ammiraglia Roma, affondata il pomeriggio del 9 settembre a nord dell’Asinara dai velivoli tedeschi Do.217 del 3° Gruppo del 100° Stormo Bombardamento, comandato dal maggiore Bernhard Jope, che impiegarono le nuove bombe perforanti plananti PC.1400/X.18

Nel pomeriggio del 9 settembre, ad iniziare dalle ore 17.00, gli incrociatori britannici della 12a Divisione cominciarono ad entrare nel Mar Grande di Taranto, e furono poi seguiti, mentre si portavano all’attracco nel porto mercantile per iniziare lo sbarco delle truppe, dalle corazzate del vice ammiraglio Power sulla Howe, che poi accolse l’ammiraglio Bruto Brivonesi per visita di cortesia, e presa di contatti

9-10 Settembre 1943. L’arrivo a Taranto delle navi britanniche. Nell’immagine l’incrociatore Dido ripreso da bordo della corazzata Howe, nave comando della Forza Z.

18 Francesco Mattesini, La Marina e l’8 settembre”, I Tomo, “Le ultime operazioni offensive della Regia Marina e il dramma della Forza Navale da Battaglia” , Ufficio Storico della Marina Militare, cit.; 8 Settembre. Il dramma della Flotta Italiana, nel sito collana Sism; La Marina e l’armistizio e il dramma delle Forze Navali da Battaglia, nel sito Academia Edu.

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Il motoscafo dell’ammiraglio di squadra Bruto Brivonesi, Comandante del Dipartimento Ionio e Basso Tirreno, si affianca alla corazzata Hove per visita al vice ammiraglio Power, Comandante della Forza Z.

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Sempre dalla Howe il Mar Grande di Taranto con le postazioni dell’artiglieria contraerea.

Il Vice Ammiraglio Arthur Power (a sinistra) e l’ammiraglio Bruto Brivonesi a bordo della nave da battaglia Howe, assieme al comandante della nave da battaglia, capitano di vascello Charles Henry Lawrence Woodhouse (a destra), e agli ufficiali presenti sul ponte di coperta.

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All’ammiraglio Bruto Brivonesi il saluto al momento si salire a bordo della corazzata Howe.

Verso le ore 24.00, l’Abdiel, comandato dal capitano di vascello David OrrEwing, che si era ancorato nel Mar Grande – a circa 700 metri per sud-sudovest dal castello aragonese e quindi all’entrata del canale che porta nel Mar Piccolo – stava sbarcando i suoi quattrocento soldati del 6° Battaglione paracadutisti “Royal Welsh” quando, ruotando sull’ancora, alle 00.15 del 9 settembre fece detonare una mina tipo G.S. con accensione magnetica.

L’esplosione, fortissima, fu udita in ogni angolo del porto, ed il posamine, con le paratie dello scafo squarciate, si spezzò in due tronconi e affondò in soli due minuti in lat. 40°29’N, long. 17°15’E. Con l’Abdiel si persero 48 uomini dell’equipaggio, inclusi 6 ufficiali, e 101 soldati. I feriti furono 126, tra cui 6 marinai, e 150 le tonnellate di materiale perduto, sotto forma di armi ed equipaggiamenti per le truppe, incluse 8 Jeeps, 76 cannoni controcarro e munizioni.

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Due belle immagini del posamine veloce britannico Abdiel.

Subito dopo l’esplosione della mina, fu inviata in soccorso dell’Abdiel la nave ospedale italiana Marechiaro (adibita a soccorso dei naufraghi nelle acque territoriali di Taranto). Essa recuperò parte dei superstiti del posamine, per poi trasferirli a terra dove ricevettero le prime cure. Nel corso delle operazioni svolte per realizzare sbarramenti minati, l’Abdiel aveva posato 2.209 mine, delle quali 1.883 di tipo offensivo. La perdita causata dalle mine delle tre unità tedesche non fu limitata a quella del solo Abdiel, dal momento che il 22 settembre, come detto, esse determinarono anche l’affondamento del rimorchiatore italiano Sperone.

La nave ospedale Marechiaro inviata a soccorrere i naufraghi del posamine veloce Abdiel.

Gli ammiragli Brivonesi e Power convennero che la causa dell’eplosione che aveva portato alla perdita dell’Abdiel fosse stata causata da una mina o da una bomba alleata a scoppio ritardato.19

Lasciato il porto di Taranto, e dirigendo verso il Canale d’Otranto per entrare in Adriatico, le due motosiluranti S 54 e S 61 e la motozattera MFP 478, navigando alla velocità di 9 nodi, incontrarono ad ovest di Gallipoli due motovelieri requisiti, adibiti al dragaggio. Di essi il Vulcania (R 240), di 91 tsl, in servizio di dragaggio, fu inseguito, affiancato e fermarono dalla S 54 che, fatto allontanare l’equipaggio di dodici uomini su una scialuppa di salvataggio e mandati a bordo propri uomini, lo affondò alle 12.45 con due cariche esplosive piazzate nella sala macchine e nelle stiva, ad un miglio e mezzo per 190 gradi dal faro del piccolo porto di Santa Maria di Leuca, in lat. 39°46’N, long. 18°22’E.

19 Francesco Mattesini, Cronologia delle perdite subite in Mediterraneo dalle Marine delle nazioni alleate durante la seconda guerra mondiale. Parte prima: Unità operanti sotto il controllo britannico; Parte seconda: Unità militari statunitensi, francesi, greche e iugoslave, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, in sette puntate trimestrali, dal Giugno 2001 al settembre 2002.

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9 settembre 1943, ore 12.00 circa. Sopra, la motosilurante S 54 dopo aver dato l’alt si avvicina al piccolo dragamine ausiliario Vulcania (R 240). Sotto. l’equipaggio si cala su una scialuppa allontanandosi prima dell’affondamento del Vulcania con cariche esplosive.

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L’esplosione generando allarme, fu seguita dalla la reazione delle batterie costiere italiane che spararono sulle motosiluranti, ma senza alcun esito, una trentina di proiettili.

Quando, alle ore 13.00 del 9, l’ammiraglio Brivonesi apprese che le due motosiluranti e la motozattera tedesca, violando i patti concordati, avevano affondato il Vulcania presso Gallipoli, si preoccupò di quello che poteva succedere se le unità germaniche avessero incontrato la corvetta Baionetta, in rotta da Ortona per Brindisi con a bordo il Re e i membri della corte e del Governo, fuggiti da Roma, e diretti a Brindisi.

Inizialmente l’ammiraglio Brivonesi pensò di ordinare l’uscita delle due torpediniere Clio e Sirio presenti a Taranto, ma poi, essendo l’incrociatore Scipione (capitano di fregata Ernesto Pellegrini) già in navigazione per assumere la scorta alla Baionetta, si limitò a “fargli giungere l’ordine di agire offensivamente contro le motosiluranti qualora le avesse avvistate” . 20

In effetti, verso le ore 14.00 del 9, trovandosi al largo di Capo d’Otranto, lo Scipione avvistò la S 54 e la S 61, le quali all’avvicinarsi dell’incrociatore, che manovrava alla velocità di 28 nodi, temendo fosse stato inviato al loro inseguimento, presero a bordo l’equipaggio della lenta motozattera MFP 478, che poi fu fatta saltare in aria con una carica esplosiva. Quindi le due motosiluranti si allontanarono con rotta sud alla velocità di 18 nodi che, come abbiamo detto era la massima consentita dai loro motori, e manovrarono coprendosi con cortine di nebbia artificiale per disturbare la regolazione del tiro da parte dell’unità italiana, che però non mostrò di voler intraprendere alcun’azione offensiva. Dallo Scipione fu vista la motozattera esplodere, ma poiché le motosiluranti non mostravano di assumere atteggiamenti aggressivi, l’incrociatore continuò la navigazione verso Pescara, senza deviare dalla sua rotta, essendo impegnato in ben altro compito.

Giunto al traverso di Pescara alle 00.10 del 10 settembre, poco dopo salì a bordo dello Scipione il comandante del porto per comunicare che gli alti personaggi si sono imbarcati ad Ortona sulla corvetta Baionetta (tenente di vascello Piero Pedemonti) e che per ordine del Ministro della Marina ammiraglio de Raffaele Courten, lo Scipione doveva raggiungere Brindisi. Alle ore 07.00 l’incrociatore procedendo a forte velocità si ricongiunse con la Baionetta, con la quale entrò a Brindisi, precedendola, alle 14.34. Arrivato a Brindisi, Vittorio Emanuele III indirizzò agli italiani il seguente proclama:21

Per il supremo bene della Patria, che è stato sempre il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell’intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici

20 ASMEUS, “Relazione presentata dall’Ammiraglio di Squadra Bruto Brivonesi Comandante in Capo il dipartimento dello Jonio e Basso Adriatico sull’opera da lui svolta nei giorni dell’armistizio”, Discriminazione Ufficiali della Regia Marina, L 13, cartella n. 36. Vedi anche Alberto Santoni - Francesco Mattesini, La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), cit., p. 502.

21 AUSMM, AUSMM, Stato Maggiore della Regia Marina, Diario Operativo della R. Marina dall’8 al 30 Settembre 1943

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ho autorizzato la richiesta d’armistizio. Italiani: per la salvezza della Capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, con il Governo e con le Autorità Militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. Italiani, faccio sicuro affidamento su di voi per ogni evento come voi potete contare sino all’estremo sacrificio sul vostro Re. Che Iddio assista lì’Italia in quest’ora grave della sua storia.

Durante la navigazione delle motosiluranti, la corvetta Baionetta transitò con rotta inversa lungo le coste della Puglia ad una distanza di sicurezza di circa 70 miglia dalle due motosiluranti tedesche. Invece, la corazzata Giulio Cesare e la nave appoggio aerei Giuseppe Miraglia, dopo aver schivato l’attacco delle motosiluranti tedesche S 30 e S 33 all’uscita dal porto di Pola, passarono con rotta sud a sole 20 miglia di distanza dalle motosiluranti S 54 e S 61, essendosi spostate dalle coste della Dalmazia verso quelle dell’Italia.

La corvetta Baionetta che raccolse ad Ortona la famiglia reale e i membri del Governo italiano fuggiti da Roma, portandoli a Brindisi (nell’immagine). Apparteneva alla classe “Gabbiano” le cui unità erano tra le migliore riuscite per la caccia ai sommergibili.

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L'incrociatore leggero Scipione Africano a Taranto verso la fine di settembre 1943. Le sue caratteristiche di velocità era simili a quelle del tipo “Abdiel”. Gli era però molto superiore in armamento, 8 cannoni da 133 mm contro 6 cannoni da 120 mm.

Le motosiluranti S 30 e S 33 a Pola.

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Immagine ravvicinata della S 30 a Pola.

Ritornando alla S 54 e S 61, le due motosiluranti attraversarono il Canale d’Otranto marciando sempre alla bassa velocità di 9 nodi con destinazione Valona, in Albania, allo scopo di rifornirsi di acqua per il sistema di raffreddamento dei motori surriscaldati. Ma quando intorno alle 17.00 vi arrivarono, il presidio italiano dell’isola Sasemo, all’entrata della Baia di Valona, rifiutò di farle entrare nel porto. Pertanto, i loro comandanti, Degenhard-Schmidt e Blömker, decisero di dirigere per Ragusa, ma durante la navigazione finirono sulle reti di uno sbarramento costiero, con i galleggianti cilindrici di sostegno semisommersi. Non avendo riportato danni alle eliche e ai timoni, per liberarsi dalle reti alcuni marinai dell’equipaggio dovettero calarsi in mare e lavorare sott’acqua con seghe e cesoie, riuscendo a tagliare i cavi d’acciaio che imprigionavano la parte inferiore dello scafo delle motosiluranti. Queste alle ore 21.00 di quel 9 settembre cominciarono a procedere a bassa velocità per ricercare un favorevole punto di approdo sottocosta, anche per dare riposo agli equipaggi che non dormivano da due giorni e per il lungo lavoro svolto erano sfiniti di forze.

Conseguentemente, dopo essersi consultati assieme al tenente di vascello Winkler, i comandanti Degenhard-Schmidt e Blömker decisero che la questione dell’acqua di raffreddamento era meno urgente, e che il problema poteva essere rimandato all’indomani. Avendo consultato la carta di navigazione per trovare un luogo sicuro per la sosta, essi scelsero la Baia di Vjosa, a nord di Valona, dove procedendo cautamente, per evitare eventuali ostacoli subacquei, entrarono alle ore 22.00. Alle prime luci del 10 settembre, dirigendo a nord costeggiarono, sempre a

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bassa velocità, il litorale dell’Albania e del Montenegro e, superato il porto montenegrino di Cattaro ancora controllato dagli italiani, nelle prime ore del pomeriggio le motosiluranti entrarono nel porto croato di Ragusa, dove fu necessario riparare immediatamente un guasto sulla S 61, per una perdita copiosa nel circuito di raffreddamento motori.

Ripreso il mare da Ragusa e risalendo l’Adriatico spostandosi dalla parte della penisola italiana, le due motosiluranti, dettero un eccezionale esempio di combattività e di iniziativa nei confronti delle navi italiane incontrate lungo la rotta. Alle 04.00 del’11 settembre, trovandosi a transitare a luci oscurate nelle acque al largo di Ancona, la S 54 e la S 61 incontrarono la grossa cannoniera italiana Aurora (ex Marechiaro, ex astro austriaca Nirvana, ex panfilo a ruoto Taurus), armata con due cannoni da 57/43 mm e alcune mitragliere, e che per dieci anni, dopo essere stata modificata, aveva servito come panfilo del Capo del Governo Benito Mussolini.

L’Aurora era salpata da Pola alle 22.00 del giorno 10 settembre al comando del tenente di vascello Attilio Gamaleri, ed era stata inseguita dal tiro di artiglierie di quattro carri armati tedeschi che si trovavano sulla banchina del porto, che però non raggiunsero il bersaglio, che invece fu colpito da alcuni proiettile di mitragliera. Navigando oscurata, la cannoniera fu avvistata dalla S 54, il cui comandante portatosi nei pressi della nave le ordinò di fermarsi. Non ricevendo risposta la S 54 lanciò due siluri da 533 mm uno dei quali raggiunse al centro lo scafo della cannoniera, ma

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La Regia Nave Aurora a Gaeta nel 1936.

senza esplodere. Subito dopo anche la S 61, che si trovava poco distante dalla S-54, attaccò lanciando da distanza due siluri da 533 mm, uno dei quali arrivò a segno all’altezza delle caldaie. Il capo nocchiere Blömker ebbe la soddisfazione di vedere la nave italiana affondare in fiamme in pochi minuti ad una decina di miglia dalla costa. Quindi, facendo luce in mare con il proiettore, le due motosiluranti ne recuperarono i superstiti, in tutto sessantadue degli ottantotto membri dell’equipaggio, compreso il comandante Gamaleri. Avendo le motosiluranti a bordo l’equipaggio dell’affondata motozattera MFP 478, i naufraghi italiani, aumentando l’affollamento, furono sistemati alla meglio nei locali dell’equipaggio e in coperta, dopo che la loro ricerca si era protratta fino all’alba.

L’Aurora, ex astro ungarica Nirvana, silurata e affondata il mattino dell’11 settembre dalla motosilurante tedesca S 61. Nell’immagine, alla Spezia nel 1935, prima di essere assegnata a compiti militari, era il panfilo del Duce.

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La cannoniera Aurora mimetizzata durante la guerra.

Alle 06.00 del giorno 11 settembre, percorrendo con rotta nord un tratto di mare in cui numerosissime navi italiane di tutti i tipi, avendo lasciato i porti dell’Adriatico settentrionale stavano dirigendo a sud per sottrarsi ai tedeschi, le due motosiluranti si separarono, pur mantenendosi vicine. Poco dopo la S 54, che aveva rotta nord, incontrò la modernissima motonave Leopardi, di 4.572 tsl, in servizio da pochi giorni e che partita da Fiume, con comandante militare il capitano Vittorio Barich, trasportava 700 civili e militari italiani, e anche parte delle loro famiglie. All’avvicinamento delle motosiluranti, riconosciute per tedesche, e all’ingiunzione di fermarsi trasmessa con lampeggiatore dalla S 54, la Leopardi si arrestò senza alcuna reazione, malgrado possedesse un ottimo armamento, con cannone e mitragliere in piazzole sopraelevate. Quindi il sottotenente di vascello Degenhard-Schmit, avendo constato che a bordo della motonave, dalle caratteristiche moderne, si trovavano molti civili, ordinò al comandante Barich di gettare in mare le armi, per poi avvicinarsi alla Leopardi e catturarla mandando a bordo, al comando del capitano di corvetta Winkler, una squadra di preda di dieci uomini già facenti parte dell'equipaggio della affondata motozattera MFP 478, a cui si aggiunsero i superstiti della cannoniera Aurora. Sulla S 54 restarono come ostaggi il comandante Gamaleri, il sue secondo sottotenente Francesco Toscani (comandante in seconda del cacciatorpediniere Pigafetta immobilizzato a Fiume per lavori), e il capitano Barich.

Leopardi

le altre furono tutte affondate fra il 1942 e il 1944, essa fu varata nel 1946 per la Società Tirrenia, e demolita nel 1978. La Leopardi, di 4.572 tsl al suo primo viaggio, fu catturata presso Ancona dalla motosilurante S 54. I tedeschi le cambiarono

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La Giosuè Borsi, fu la più fortunata tra le undici motonavi della classe “Poeti”, cui apparteneva la , perché, mentre in nome il Leda, e fu affondata il 2 febbraio 1944 da aerei britannici.

ll sottotenente di vascello Klaus Degenhardd Schmidt, comandante della motosilurante S 54. A destra bene una tazza di tè assieme ad un altro ufficiale tedesco in Africa Settentrionale nell’estate 1942.

Poco dopo fu la volta del piroscafo Sabaudia, di 1.800 tsl, ad essere avvistato e catturato dalla S 61, che catturò anche il piroscafo Albatros, di 1.590 tsl. Quest’ultimo, come il Sabaudia; era diretto verso la Puglia con un carico di

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Altra immagine della motosilurante S-54.

passeggeri e di militari. Al comandante dell’Albatros fu ordinato di non effettuare alcuna manovra di fuga se non voleva essere affondato.

Poi, sempre lo stesso giorno 11, la S-54 si impossesso del vecchio piroscafo Pontinia, di 715 tsl, incontrato 30 miglia a sud di Venezia, e la cui facile cattura fu considerata “un gioco da ragazzi”. Poco dopo la S-54 avvistò il cacciatorpediniere Quintino Sella (capitano di corvetta Corrado Cini), di 1.279 tonnellate, che era salpato alle 15.30 non in piena efficienza da Venezia dove si trovava per grandi lavori, avendo a bordo il bagaglio del Duca di Genova, partito con l’idrovolante Cant.Z.506 due ore prima diretto a Taranto. Anche il Sella, la cui velocità massima per avaria alla caldaia n. 2 non superava i 15 nodi, a sua volta avvistò il Pontinia, che aveva a bordo due ufficiali tedeschi come drappello di preda, per poi accorgersi troppo tardi della motosilurante che si trovava a ridosso del piroscafo, sul lato sinistro.

In una foto degli anni Trenta il vecchio piroscafo Pontinia.

La S-54, attaccò lanciando due siluri dalla distanza di circa 400 metri, ma il comandante del cacciatorpediniere si accorse “immediatamente del lancio” e come scrisse nella sua relazione il capitano di corvetta Cini, egli ordinò di “aprire il fuoco contro l’unità attaccante, il che fu eseguito istantaneamente da tutte le mitragliere di sinistra”. Nel frattempo il comandante Cini cercò di manovrare per evitare i siluri, ma a causa di “un’avaria in caldaia non ancora riparata che non permise alle macchine di rispondere alla manovra, il timone si incatastò e non fu potuto accostare. I due siluri raggiunsero il SELLA all’altezza della plancia e della caldaia n. 1”.22 Erano all’incirca le ore 17.45 e il Sella, che si trovava a 4 miglia dalla Pagoda e a 25 miglia dall’imboccatura del Passo di Lido, affondo rapidamente, spezzato in due tronconi,

22 Giuseppe Fioravanzo, La Marina dall’8 Settembre 1943 alla fine del conflitto,USMM, Roma 1971, p. 72-73; USMM, Navi Militari perdute, Volume II della collana La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale, Roma, 1975, p. 115.

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con quello di prua che si inabissò quasi subito mentre quello di poppa, per l’abbrivio, scomparve ad un centinaio di metri di distanza dal primo troncone.23 Decedettero ventisette uomini dell’equipaggio, tra i quali quattro ufficiali. I superstiti compreso il comandante Cino che era gravemente ferito ad una gamba, furono recuperati dal piroscafo Pontinia, sotto il controllo della S-54.

All'affondamento del Sella aveva assistito il nuovo sommergibile italiano Nautilo, che trasferitosi a Venezia il 9 settembre dal cantiere di Monfalcone dove stava ultimando l’approntamento, era salpato per un porto dell’Italia meridionale non ancora essendo pronto all’impiego operativo. Dopo l’episodio del Sella a causa di sopraggiunte avarie dovette rientrare a Venezia, dove fu catturato dai tedeschi che però non lo impiegarono mai nelle loro operazioni belliche

Il siluro di una motosilurante tedesca, in questo caso della S 35.

Il tenente di vascello Galameri, che come detto si trovava a bordo della S 54, assistette all’attacco della motosilurante al Sella e scrisse nel suo rapporto che verso le ore 16.00 dell’11 settembre, non appena fu avvistato il cacciatorpediniere Sella, “la motosilurante dirottò la LEOPARDI verso levante e manovrò in modo da tenersi occultata dalla predetta motonave rispetto alla nave da guerra avvistata. Verso le 17 venne raggiunto un piroscafo nazionale di piccolo tonnellaggio [Pontina]che, all’intimazione, fermò le macchine. La motosilurante gli si affiancò sul lato sinistro,

23 ll troncone di prua del Sella, lungo 25 metri , è appoggiato sul lato sinistro dello scafo ad una profondità di circa 25 metri, mentre il troncone di poppa, lungo 60 metri, si trova in assetto piatto a circa 100 metri di distanza dalla prua del primo troncone.

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prora a ponente. Il tenente di vascello comandante la motosilurante [DegenhardSchmit], accompagnato da tre uomini armati, salì sul piroscafo e prese posto sull’ala sinistra del ponte di comando … Dopo circa 15 minuti il tenente di vascello tedesco diede il segnale di “attenzione” ai tubi di lancio della motosilurante, seguito a breve intervallo dal “fuori … ad una distanza di 3-400 metri”. Colpito in pieno il cacciatorpediniere Sella affondò, dopo di ché il comandante della S 54 ritornò a bordo del suo sommergibile.24

L’affondamento del cacciatorpediniere italiano Quintino Sella. Da grafico dell’USMM, in La Marina dall’8 Settembre 1943 alla fine del conflitto, p. 73.

24 Giuseppe Fioravanzo, La Marina dall’8 Settembre 1943 alla fine del conflitto,USMM, cit., p. 75-76.

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Il cacciatorpediniere italiano Quintino Sella. Sopra nella sua configurazione originale dopo l’entrata in servizio nel 1926. Sotto (foto di Aldo Fraccaroli), mimetizzato, al Pireo nell’estate 1942. Fu silurato ed affondato l’11 settembre 1943 a sud di Venezia dal motosilurante tedesca S-54.

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Rispetto alla cartina disegnata da mio padre, Antonio Mattesini, e pubblicata nel mio libro La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), p. 503, le motosiluranti tedesche prima di raggiungere Venezia andarono a rifornirsi a Ragusa. Naturalmente, l’errore è dell’Autore, che allora non aveva idea di quali fossero stati i reali movimenti delle motosiluranti, che sono riportati nella cartina che segue, di Erminio Bagnasco.

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Le rotte delle motosiluranti S 54 e S 61, da Taranto a Venezia. Da Erminio Bagnasco, Corsari in Adriatico, p. 51.

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L’attacco delle motosiluranti S 30 e S 30 alla corazzata GIULIO

CESARE nelle acque di Pola

Subito dopo l’affondamento del Sella, il sottotenente di vascello DegenhardSchmidt, sapendo che a Pola si trovavano le motosiluranti S 30 e S 33 trasmise “Venite” e la sua posizione, riferendo che aveva con se due piroscafi catturati, uno dei quali con la S 54; e con questa sua richiesta invitava le due unità a partecipare alla fruttifera caccia delle navi italiane in un settore favorevolissimo. Ma come già detto le due motosiluranti non si mossero perché nel frattempo erano state impegnate per altri motivo, che riportiamo di seguito.

La loro attenzione, trovandosi a Pola, era rivolta alla corazzata italiana Giulio Cesare, che pur appartenendo alla 5a Divisione Navale dell’ammiraglio Da Zara, al momento dell’armistizio si trovava distaccata nella base di Pola, impegnata in lavori di ristrutturazione alquanto complessi, che riguardavano anche la sostituzione dell’armamento contraereo con cannoni di maggiore calibro (120 mm); ed era in stato di efficienza non perfetto per il personale ridotto e formato in parte da allievi.

Già la sera del 7 settembre, conoscendo a Roma che la dichiarazione dell’Armistizio con gli Alleati sarebbe avvenuta l’indomani, il comandante della Cesare, capitano di fregata Vittore Carminati, aveva ricevuto da Supermarina l’ordine di rifornirsi di nafta e di acqua, per passare pronto a muovere in sei ore. Successivamente, alle ore 09.00 del 9 settembre l’ammiraglio Da Zara gli trasmise l’ordine di raggiungerlo a Malta. la Cesare (salpò alle 16.00 da Pola scortata dalla torpediniera Sagittario e dalla corvetta Urania, con istruzioni, impartite dal locale Comando di Marina, di fare scalo a Cattaro per rifornirsi di combustibile.

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La corazzata Giulio Cesare.

Nel frattempo, la sera dell’8 settembre, le due motosiluranti germaniche S.33 e S.30, anch’esse della 3a Flottiglia, erano salpate da Pola per portarsi in agguato notturno al largo del porto. Lo scopo, tentare di fermare la nave da battaglia italiana. La S.33, comandata dal sottotenente di vascello Gùnther Brauns, individuato il suo obiettivo riuscì a portarsi in vista della Cesare, per poi raggiungere la distanza di lancio. Ma il siluri, diretto contro la corazzata, risultò impreciso e non causò nella formazione italiana alcun allarme, passando inosservato.25 Nel porto di Pola si trovava per lavori anche il sommergibile tedesco U 407 (tenente di vascello Ernst-Ulrich Brüller), che nel corso delle operazioni in Sicilia, il 23 luglio, aveva silurato e danneggiato l’incrociatore britannico Newfoundland a sudest di Siracusa, e che alla successiva missione, il 28 novembre avrebbe silurato e danneggiato anche l’incrociatore Birmingham ad ovest di Derna. Ma secondo quanto è riportato nel Diario della SKL, avendo la Giulio Cesare aperto il fuoco con le mitragliere, per le raffiche sparate nella sua direzione l’U 407 non fu in grado di muovere e portarsi all’attacco. Poi, la partenza delle due motosiluranti e del sommergibile “fu disturbata dagli italiani”, che sorvegliavano il porto con corvette, per cui si riteneva che le tre unità avrebbero potuto salpare soltanto ricevendo l’aiuto dell’Esercito, Ne conseguì che soltanto alle 02.10 del 12 settembre, dopo l’arrivo delle truppe tedesche, le due motosiluranti poterono lasciare il porto di Pola, e si portarono a nordovest dell’Isola di Brioni, rimanendovi in agguato senza aver avuto occasioni d’attacco. Rientrate a Pola, il 14 settembre ripresero il mare per raggiungere Venezia.

Tornando alle navi italiane, la navigazione della Cesare verso Malta fu tormentata anche da un quasi ammutinamento, dal momento che parte dell’equipaggio, per il solito motivo di coscienza, non intendeva andare a consegnarsi agli Alleati. In conseguenza di disordini a bordo, alle 01.00 del 10 la Cesare fu dirottata verso Pescara, ma poi, alle 04.30, ristabilita la calma, riprese la navigazione verso Cattero.

Alle 07.00 del 10 settembre un velivolo da ricognizione tedesco apparve in vista e seguì per qualche tempo la Giulio Cesare che, poco dopo mezzogiorno, avvistò la nave appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia, anch’essa diretta a Cattaro. E poiché che il suo Comandante, capitano di vascello Gaetano Correale, era l’ufficiale più elevato in grado, questi assunse il comando della formazione. In seguito all’avvistamento del ricognitore, come risulta dal Diario della SKL, fu fatta decollare una formazione di dieci Ju.88 per attaccare le navi italiane, ma soltanto cinque raggiunsero l’obiettivo.

Essi sopraggiunsero alle 13.45, e concentrarono la loro azione offensiva sulla Cesare senza però riuscire a colpirla, anche per la tempestiva reazione delle unità italiane, che si sviluppò con la manovra e con un nutrito fuoco delle armi contraeree.

25 F. Kemnade, Die Afrika-Flottille. Der Einsatz del 3. Schnellbootflottille im Zweiten Weltkrieg. Chronik und Bilanz, cit., p. 456.

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Quindi, per ordine di Supermarina, confermato alle 16.55 da Marina Brindisi, le quattro navi dirette a Cattaro furono deviate su Taranto, ove giunsero alle 14.00 dell’11 settembre.

Ventiquattrore più tardi, nel pomeriggio del 12, la Giulio Cesare e la Giuseppe Miraglia ripresero il mare, salpando per Malta. Inizialmente scortate da quattro idrovolanti Cant. Z. 501, arrivarono a destinazione alla Valletta alle ore 07.25 del 13 settembre, dopo aver incontrato al mattino dello stesso giorno, presso Capo Passero, una formazione navale britannica, costituita dalla corazzata Warspite e da quattro cacciatorpediniere.

L’arrivo a Venezia della S 54 e della S 61

Mentre le motosiluranti si avvicinavano ancora a Venezia, con la S 54 che era assieme ai piroscafo Pontinia e Leopardi (poi tedesco Leda), che era la preda più

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La nave appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia nel 1936.

ambita, 26 la S 61 era rimasta arretrata e con un solo siluro. Essa fermò la nave appoggio della Scuola Sommergibili italiana Quarnarolo, ex jugoslava Hvar, a cui il nocchiere Blömker ordinò di seguire la sua unità se non voleva essere affondato. Ma ciò non avvenne in quanto il Quarnarolo raggiunse Brindisi portandovi tutto il personale della Scuola, per poi proseguire per Taranto.27

Non contenti degli esaltanti successi conseguiti, verso le 19.00 i due piccoli scafi tedeschi, che erano rimasti soltanto con il siluro della S 61 ed erano entrambe a corto di benzina, entrarono per rifornirsi nello stesso porto di Venezia, dove sbarcarono gli italiani prigionieri, alcuni dei quali feriti e bisognosi di urgenti cure in ospedale, mentre invece mantennero il resto come ostaggi fino al 13 settembre, in condizioni in cui scarseggiava anche il cibo.

Poiché il sottotenente Degenhard-Schmit non si era fidato delle dichiarazioni dei prigionieri italiani, che riferirono, in modo del tutto falso, che Venezia era nelle mani dei tedeschi, egli entrò per primo in porto, seguendo i piroscafi Leopardi e Pontinia, in linea nell’ordine, dopo aver camuffato la sua motosilurante S 54, senza esporre la bandiera e con gli uomini con indumenti civili, ed entrò nella laguna, dopo che a sua richiesta gli italiani avevano aperto le ostruzioni forse scambiando la S 54 per una loro motosilurante (nella relazione dell’ammiraglio Emilio Brenta è scritto che una delle motosiluranti innalzava bandiera italiana) e riconoscendo i due piroscafi. E ciò avvenne anche senza alcun disturbo da parte delle batterie della difesa, sebbene le sua unità fosse stata chiaramente illuminate dal chiarore della luna, e quindi riconoscibile. Dopo di ché la S 54 andò ad ormeggiarsi con i due piroscafi vicino a San Nicola del Lido, ad una certa distanza dalla terra, mantenendo uno stato di vigilanza nel caso gli italiani avessero tentato di attaccarla e catturarla. Successivamente, poco dopo le ore 21.00, arrivò anche la S 61 che con le sue prede, i due piroscafi Sabaudia e Albatros, raggiunse Venezia anch’essa indisturbata. Nulla accadde perché in città si respirava ormai un aria di resa, come appurò lo stesso Degenhard-Schmit, scendendo a terra alle 21.00 alla ricerca di un comando tedesco, assieme al tenente di vascello Winkler, due sottufficiali e due marinai, tutti armati per evitare sorprese. Ma di autorità militari tedesche non ve erano, e pertanto l’indomani l’ufficiale, che aveva disponibili soltanto una quarantina di uomini delle sue motosiluranti, decise di andare al consolato germanico di Venezia a parlare con il console.

Il feldmaresciallo Albert Kesselring, Comandante Superiore del Sud (OBS) era stato informato che la S 54 e la S 61 erano entrate a Venezia, e per radio nomino come proprio delegato per la città il sottotenente di vascello Degenhard-Schmit.

26 Il 2 febbraio 1944 la motonave Leda (ex Leopardi), che in Egeo era in navigazione da Samos a Kerakion, scortata dalle torpediniere T 14 e T 15 fu attaccato in da aerei della RAF e colpita, essendo carica di munizioni, esplose e affondò presso l’Isola Amorgos (Cicladi). Dell’equipaggio vi furono tre morti: Alcune fonti erroneamente riportano che trasportasse prigionieri italiani, 780 dei quali deceduti. Evidentemente, tante di queste errate notizie, con ricostruzioni a volte completamente false, facevano parte del clima di odio del dopoguerra.

27 Giuseppe Fioravanzo, La Marina dall’8 Settembre 1943 alla fine del conflitto,USMM, cit., p. 196.

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Questi nel frattempo si era recato al consolato tedesco, dove assieme al console dottor Köster trovò un ufficiale, il maggiore Schmidt Neudorf, arrivato in treno la sera precedente con personale specializzato ferroviario tedesco, e che stava per recarsi a conferire con il locale comandante del Dipartimento Navale italiano, ammiraglio Emilio Brenta, ex Capo del Reparto Operazioni di Supermarina.

L’ammiraglio di divisione Emilio Brenta. Oltre ad essere stato nel 1940-1941 Capo Reparto Operazioni di Supermarina, poi ammalatosi di esaurimento, era riconosciuto anche un grande tecnico di artiglierie navali. Assunse il Comando in Capo dell’Alto Adriatico, dopo la partenza, per ordine del Re Vittorio Emanuele III, del principe Ferdinando di Savoia Genova. Tutti i principi e duca di Savoia aveva abbandonato la loro sede di Comando, lasciando le responsabilità, di opporsi ai tedeschi, ai loro ufficiali dipendenti.

Il colloquio tra Neudorf e Brenta ebbe inizio alle 09.00 al Comando all’Arsenale, e di fronte alle richieste dell’ufficiale tedesco, “designato ad assumere il Comando della Piazza di Venezia” l’ammiraglio Brenta, che era accompagnato dal contrammiraglio Franco Zannoni, addetto al Comando in Capo Marina Militare della Piazza, e che nella notte aveva già provveduto “a far distruggere gli archivi segreti”, fu convinto ad arrendersi con l’intera guarnigione di 16.000 uomini; e ciò avvenne nel corso di una riunione allargata, iniziata alle ore 11.00, a cui parteciparono altri

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ufficiali, tra cui da parte tedesca il console Köster e il comandante DegenhardSchmit.28

Tralasciando quelli che furono i dettagli degli accordi stabiliti per la resa per non appesantire il racconto al lettore, occorre dire che il mattino del 9 settembre l’ammiraglio Brenta aveva ricevuto dal Comandante dell’8a Armata, generale Italo Gariboldi, l’ordine di resistere a eventuali atti di forza tedeschi, ma senza provocare “eccessivo spargimento di sangue”.29

Inoltre la città, dove in quel momento non vi erano soldati tedeschi, a causa dei suoi importantissimo monumenti era, come Roma, il terreno meno adatto a combattere, per i frastornati ufficiali e soldati italiani, tanto che le stesse batterie contraeree avevano ricevuto l’ordine di non sparare sugli aerei tedeschi, i quali inizialmente si erano limitati a lanciare “numerosi volantini a mezzo dei quali sono minacciate gravi rappresaglie alla città e alla popolazione in caso di atti di sabotaggio”.30 Tutto quello che era stato fatto per non restare completamente inerti fu quello di far partire da Venezia il maggior numero di navi che si trovavano in porto, per trasferirle nei porti meridionali italiani dell’Adriatico. Sfuggendo agli attacchi aerei della Luftwaffe quattordici vi riuscirono, e tra queste, oltre alla nave appoggio idrovolanti Miraglia e alla nave appoggio della scuola sommergibili Quarnarolo, salparono i grandi piroscafi passeggeri Saturnia e Vulcania, che però, essendo andate a Brioni e Pola invece che a Sud, furono poi catturate dai tedeschi. Tutto il resto del naviglio rimasto in porto, o che si trovava in costruzione nei cantieri fu catturato dai tedeschi.

28 Archivio Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico, “Relazione presentata dall’Ammiraglio di Squadra Bruto Brivonesi Comandante in Capo il dipartimento dello Jonio e Basso Adriatico sull’opera da lui svolta nei giorni dell’armistizio”, Discriminazione Ufficiali della Regia Marina, L 13, cartella n. 36; AUSMM, Ammiraglio di Divisione Emilio Brenta, Relazione circa l’attività svolta dopo l’8 Settembre 1943. Diario degli Avvenimenti. * L’ammiraglio Brenta il 9 settembre era divenuto il nuovo Comandante in capo del Dipartimento Alto Adriatico, sostituendo l’ammiraglio Ferdinando di Savoia-Genova, che aveva ricevuto dal Re d’Italia l’ordine di trasferirsi nell’Italia meridionale. Brenta era assistito nel comando della piazza dal contrammiraglio Franco Zannoni. Ferdinando di Savoia, principe di Udine, partì verso le puglie con la vecchia torpediniera Audace, che però dovette rientrare a Venezia per avarie a tutti i turbo-ventilatori, e di conseguenza l’ammiraglio dovette ripiegare su un idrovolante Cant.Z.506 che decollato alle 13.30 dell’11 settembre lo trasportò a Brindisi, dove trovò la sua famiglia al seguito del Re. Un bell’esempio di allontanamento dal suo Comando in un momento militare difficile della reazione tedesca, giustificato, come lo fu per gli altri Savoia tra cui il principe Umberto, Comandante del Gruppo di Armate C, e l’ammiraglio Aimone, Comandante del Dipartimento Marittimo dell’Alto Tirreno, dal dovere di obbedire all’ordine di Vittorio Emanuele III.

29 AUSMM, Ammiraglio di Divisione Emilio Brenta, “Relazione circa l’attività svolta dopo l’8 Settembre 1943. Diario degli Avvenimenti; Erminio Bagnasco, Corsari in Adriatico, cit., p. 93.

30 Ibidem, Relazione dell’ammiraglio Brenta.

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Le motosiluranti S 54 (sopra) e S 61 (sotto) l’11 settembre 1943 davanti al Palazzo Ducale di Venezia.

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Caddero nelle loro mani varie unità navali tra cui nel porto il cacciatorpediniere ex jugoslavo Sebenico, la torpediniera Audace, i sommergibili Nautilo e CM-1, nonché le numerose unità che si trovavano in costruzione nei cantieri navali di Breda, incluse le sei corvette della classe “Gabbiano” Bombarda, Carabina, Scure, Spingarda, Zagaglia e Clava, e gli otto dragamine da 100 tonnellate RD 127 – RD 134.31

Il sommergibile Nautilo in costruzione a Monfalcone. L’8 settembre si era trasferito a Venezia poco prima dell’armistizio. Partito per raggiungere un porto dell’Italia meridionale, assistette all’affondamento del cacciatorpediniere Sella, ma per un’avaria dovette tornare a Venezia dove fu catturato dai tedeschi che lo ribattezzarono U. IT 9.

Avendo compiuto una serie di imprese che sarebbero divenute leggendarie, le motosiluranti S 54 e S 61 poterono finalmente dedicarsi a realizzare quei lavori di revisione generale di cui avevano tanto bisogno, e che le riportarono in piena efficienza. Nel frattempo, il 17 settembre il Comando in Capo della Wehrmacht (OKW), che non conosceva l’affondamento con le mine del posamine veloce Abdiel, in un comunicato rese noto che due motosiluranti avevano compito in Adriatico una grande impresa affondando quattro navi, un cacciatorpediniere, due dragamine e una vedetta [in realtà un cacciatorpediniere, un dragamine e una cannoniera], e catturato quattro piroscafi, tra cui il Leopardi al suo primo viaggio con 1.000 soldati [sic] italiani a bordo, per poi arrivare alla seguente conclusione: “Dopo essere giunte in un

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31 USMM, Navi Militari perdute”, cit.

grande porto adriatico hanno costretto il comandante della piazza marittima e il prefetto a cedere le armi”.32

L’indomani, 18 settembre, il ventiquattrenne sottotenente di vascello Klaus Degenhard-Schmit e il capo nocchiere Friedel Blömker ricevettero la Croce d’Oro tedesca, e il 23 dicembre, per il suo valore e l’abilità dimostrati nel corso della vittoriosa missione in Adriatico, Degenhard-Schmit, nato a Kiel il 3 gennaio 1918 e con soli sei anni di servizio nella Kriegsmarine, fu insignito da Hitler della Ritterkreuz, l’ambita onorificenza della Croce di Cavaliere dell’Ordine della Croce di Ferro.

Passato il 1° aprile 1944 al comando della motosilurante S-185 della 10a Flottiglia che operava nel Canale della Manica, e di cui era vice comandante, Degenhard-Schmit decedette a Dunkerque il 22 dicembre dello stesso anno, durante un combattimento con motosiluranti britanniche. Fu promosso postumo tenente di vascello con data di anzianità 1° dicembre 1944.33

La S-54, passata ad un altro comandante, dopo aver urtato una mina il 23 aprile 1944, concluse la sua attività il successivo 31 ottobre, quando all’abbandono della città greca di Salonicco, non potendo muovere, fu autoaffondata con cariche esplosive. Invece, la S 61, che in seguito ad una collisione con la sezionaria S 36 era stata rimorchiata nel porto di Pola, completate le riparazioni, il 3 maggio 1945, a guerra appena finita in Italia, raggiunse Ancona consegnandosi, assieme ad altre motosiluranti superstiti della 3a e 10a Flottiglia, alla Royal Navy. Fu poi demolita.

Riepilogando, delle tre piccole unità tedesche che parteciparono a quell’avventura, i maggiori successi, con conseguenti alte perdite di vite umane, furono indubbiamente conseguiti dalla motozattera MFP 478 che con le mine affondo il posamine veloce britannico Abdiel, certamente la nave più importante, e il rimorchiatore militare italiano Sperone. Alla motosilurante S 54 vanno assegnati l’affondamento del cacciatorpediniere italiano Sella e del motoveliero requisito Vulcania, e la cattura della motonave Leopardi e del piroscafo Pontinia, mentre la motosilurante S 61 affondò la cannoniera italiana Aurora e catturò i piroscafi Sabaudia e Albatros.

32 Erminio Bagnasco, Corsari in Adriatico, cit., p. 110; Vedi anche Diario di Guerra della SKL del 16 settembre 1943.

33 F. Kemnade, Die Africa-Flottille. Der Einsatz del 3. Schnellbootflottille in Zwei Weltkrieg. Chronik und Bilanz, Stuttgardt, Motorbuch Verlag, 1978, p. 450-455; A. Santoni-F. Mattesini, La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo (1940-1945), cit., p. 502-503; Emilio Bagnasco e Fulvio Petronio, Una incredibile crociera di guerra in Adriatico, periodico Storia Militare, gennaio 1994.

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La motosiluranti tedesche in Adriatico consegnate ai britannici alla fine della guerra, il 3 maggio 1945 ad Ancona. Sono la S 30, S 36 e S 61 della 3a Flottiglia e S 151, S 152, S 155 e S 156 della 7a Flottiglia. La S 61 portata a La Valletta (Malta) da un equipaggio britannico.

Gli

attacchi aerei tedeschi alle navi italiane in Adriatico

Ma in quei giorni tra l’8 e il 12 settembre la guerra in Adriatico fu fatta anche dagli aerei della Luftwaffe. La sera del 10 bombardieri in picchiata tedeschi Ju.87, che agivano dalla Croazia, danneggiarono gravemente all’entrata delle Bocche di Cattaro, la grossa cisterna Ardor di 8.960 tsl, che poi, andando alla deriva, fu ancora bombardata e affondata due giorni più" tardi assieme alla nave caserma San Giorgio (ex Principessa Giovanna), poi recuperata e impiegata dai tedeschi.

La Luftwaffe ottenne peraltro maggiori successi nella giornata dell'11 nella zona di Venezia, dove nel pomeriggio, per l’attacco di Ju.87, fu colpito nell’avamporto di Chioggia il piroscafo ex jugoslavo Dubrovnik (capitano Antonio Mesanovic), di 996 tsl., arrivato da Fiume, assieme al piroscafo Scarpanto trasportante personale dell’intendenza della 2a Armata con le loro famiglie. La nave, che si trovava nell’avamporto di Chioggia, colpita dalle bombe intorno alle 17.00 si capovolse e si adagiò su un fondale di 20 metri, a ponente del forte San Felice. Vi furono circa cento morti.

Ma il danno maggiore fu fatto a Venezia, dove per l’attacco di sei Ju.87 intorno alle ore 17.00 dell’11 settembre venne colpito e incendiato, andando totalmente perduto, il lussuoso transatlantico Conte di Savoia, di 48.502 tsl,, senza che le batterie contraeree del porto, per ordine ricevuto, intervenissero.34

Dal momento che si svolgevano a Venezia le discussioni per arrivare ad una resa, l’ammiraglio Emilio Brenta protestò con i rappresentanti i tedeschi per l’attacco al Conte di Savoia che, ormeggiato in disarmo nel Canale Malamocco della Laguna, era preda delle fiamme causate dalle bombe, e chiese la sospensione degli attacchi aerei. I tedeschi ammisero essere stato uno sbaglio, ma intanto il danno era fatto. Invece, secondo il Diario della SKL l’attacco avvenne per impedire al Conte di Savoia di salpare, quindi non vi fu nessun errore.

Non bisogna infatti dimenticare che in seguito all’ordine dell’ammiraglio Brenta del mattino del 9 settembre, tutte le navi in grado di prendere il mare (sei unità da guerra, 14 navi mercantili e venti motovelieri) doveva lasciare il porto di Venezia e dirigere verso sud, e tra queste navi raggiunse Taranto la nave appoggio idrovolanti Miraglia. I transatlantici Saturnia e Vulcania, che avevano lasciato Venezia, andando a Brioni e Pola invece che nelle Puglie, furono catturati dai tedeschi.

34 Vi erano nei Balcani in quel periodo dell’estate 1943 due Stormi di Ju.87 “Stuka”. Il 3° Stormo (St.G.3) in Grecia, e il 151° Stormo (St.G.151) del colonnello Karl Christ, con quattro Gruppi in Serbia per la lotta contro i partigiani di Tito. Lo St.G.151, con i Gruppi I. e II./St.G.151, si trovava a Agram, il IV/St.G.151 a Pancevo, mentre il III./St.G.151 era in Grecia nell’aeroporto di Tatoi, presso Atene, inglobato nello St.G.3. Poiché in Italia non vi erano reparti con velivoli Ju.87, e quindi é da ritenere che mentre i Gruppi dello St.G.3 e del III./St.151 erano impegnati nell’Egeo e nella zona di Corfù e Cefalonia, gli altri tre Gruppi dello St.G.151, della cui attività bellica non si sa quasi nulla, operava nell’Adriatico Settentrionale, fino a Venezia. Il giorno 7 settembre un velivolo Ju.87 della 3a Squadriglia del II./St.G.151, con pilota il sottufficiale Engelbert Schall, era stato abbattuto dai partigiani.

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La nave cisterna Ardor nel 1942. (foto da Fulvo Petronio) Il piroscafo Principessa Giovanna, poi nave caserma San Giorgio (Foto da Augusto De Toro).

Infatti, i tedeschi avevano intercettato un messaggio in codice in era riportato "il volo della Savoia". Ma venne erroneamente interpretato poiché, in effetti, si riferiva alla partenza da Roma della famiglia reale per la loro fuga, anche con la motivazione di risparmiarla dai combattimenti. Quindi il grande transatlantico fu attaccato ritenendo che avesse ricevuto l’ordine di partire da Venezia, come in effetti stavano facendo le moltissime navi che si trovavano in porto. La nave, pur equipaggio ridotto, sarebbe stata in grado di muovere, ma quando il proseguimento dell’attacco aereo fu annullato, era troppo tardi perché bruciava da prora e poppa.

Quarant’otto ore dopo essere stato colpito, quando con molta fatica l’incendio fu spento, il Conte di Savoia, secondo per tonnellaggio soltanto al mitico Rex, era ridotto ad un rottame fumante, che restò semi-affondato per il resto della guerra.

Anche il viaggio finale dei resti di questa famosa nave fu oggetto di aspre controversie. Recuperato il 16 ottobre 1945 e venduto come rottame da demolizione, il Conte di Savoia, dopo discussioni per la convenienza di poterlo riparare e riportare in servizio spendendo molto denaro e manifestazioni di operai che, invece, volevano che la nave fosse smantellata a Marghera, e in cui i giornali parlarono di "una battaglia dei poveri", la demolizione si concluse solo nell'aprile del 1950 a Monfalcone. Parti dei resti della nave furono utilizzati nello stesso cantiere come acconto della costruzione della prima nave della Linea Italiana del dopoguerra, la motonave Giulio Cesare, molto più piccola, di 27.694 tsl.

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Il piroscafo San Giorgio (foto da Fulvo Petronio).

Il meraviglioso transatlantico Conte di Savoia, di 48.502 tsl, una delle navi orgoglio della cantieristica italiana. Trovandosi l’11 settembre 1943 ormeggiato a Venezia fu volutamente attaccato da sei bombardieri in picchiata tedeschi Ju.87. Colpito ed incendiato irreparabilmente fu poi smantellato nel 1950-1951.

Lo stesso giorno dell’episodio dell’attacco al Conte di Savoia, 11 settembre, fu colpito da bombe e affondato nei pressi del porto di Spalato il piroscafo Nicola Martini, di 634 tsl, e fece la stessa fine la piccola torpediniera T-8 (tenente di vascello Marcello Bosio), ex jugoslava, attaccata a una ventina di miglia a nordovest di Ragusa (Dalmazia), tra l’isola di Mezzo e l’isolotto di Olipa, da una formazione di nove velivoli Ju.87. Colpita in corrispondenza delle caldaie, la torpediniera si inabisso in un fondale di 64 metri.

Nei giorni successivi, mentre i tedeschi potevano ormai esercitare il controllò su tutti i porti italiani a nord di Bari e Salerno, la Marina italiana cercò di portare aiuto alle guarnigioni dell'Esercito che ancora resistevano lungo la costa greca e soprattutto a Cefaloria e Corfù, pagando in questo compito un forte tributo a causa degli Ju.87 del II./St.G.3 (capitano Theodor Nordmann) dislocati ad Argos, in Grecia. Le torpediniere del 3° Gruppo Missori e Stocco, inviate nella zona dei combattimenti per contribuire con le loro armi alla difesa del porto di Corfù, furono attaccate dai bombardieri tedeschi il mattino del 14 settembre e la Giuseppe Missori (capitano di corvetta Wolfango Mandini), colpita dalle bombe dagli “Stuka”, fu portata ad incagliare e fu abbandonata.

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La torpediniera T 8 (ex astro-ungarica e ex jugoslava Tb 97F). La torpediniera Giuseppe Sirtori che fu affondata a Corfu dagli Ju.87 del II./St.G.3.

A conclusione di questo saggio non si può non rimanere quasi increduli che due piccole motosiluranti e una motozattera posamine, con un numero esiguo di uomini d’equipaggio, ma che avevano ricevuto ordini precisi ed erano animati da tanta determinazione e aggressività, abbiano potuto portare a termine per sei giorni nei mari Ionio e Adriatico, e con straordinario successo, un’impresa come quella compiuta dalla S 54, dalla S 51 e dalla MFP 478. Piccole navi alle quali di solito le principali marine non assegnano un nome ma soltanto una sigla. Nel caso specifico una S che stava per Schnellboot o motosilurante, e una MFP per motozattera.

Occorre però dire che le piccole unità tedesche furono agevolate da un’incredibile serie di lacune da parte della Regia Marina, i cui comandi o comandanti a bordo delle navi, trovandosi a dover combattere con coloro che poche ore prima erano considerati a tutti gli effetti degli alleati (e non degli invasori), non sapevano come comportarsi, tanto che nessuna delle numerose navi incontrate non ve ne fu una da cui fu fatto partire un colpo di pistola.

Contribuì a questa situazione anche il fatto che le navi incontrate dalle motosiluranti, comprese le unità militari che furono affondate, trasportavano un gran numero di soldati e civili che andavano al sud; e questo scoraggiò, indubbiamente, i comandanti dei piroscafi armati, in cui si trovavano, a reagire per evitare un massacro che si sarebbe verificato in caso di siluramento. Inoltre, nello sfascio delle Forze Armate italiane dell’8 settembre, non esisteva più in quei giorni alcuna sorveglianza in mare né di esplorazione ed intervento aereo, il che facilitò enormemente il compito delle unità tedesche che portarono a termine la loro impresa senza essere state minimamente disturbate.

FRANCESCO MATTESINI

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