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Carta dello schieramento italiano sul Don

di ingoiare l'ordine se il nemico mi sorprendeva. Una volta dovevo raggiungere il battaglione e avendo paura che la tormenta di neve cancellasse le traccia per il ritorno ruppi ogni tanto qualche ramoscello per poi lasciarlo appeso a qualche siepe. Una volta essendo in due e non avendo riparo stendemmo un telo sotto e uno sopra di noi con l'accordo di scrollarlo a turno perché la neve non ci ricoprisse: ci svegliò a notte fonda un sergente per darci un pacchetto. Credevamo fossero viveri ed invece erano due bombe "Balilla" e un pacchetto da medicazione nel caso fossimo stati feriti.

Il rancio? Era una chimera. Solo un pasto al giorno e di notte, perché le cucine erano nelle retrovie. Veniva portato a dorso di mulo ed il conducente se sentiva sparare tagliava il sottopancia, tutto a terra e scappava di corsa: poiché per lui se gli colpivano il mulo voleva dire venire in prima linea. Ed era allora che col buio, individuare le casse di cottura, scoperchiarle, e buttata dentro la gavetta, servirsi, beati i primi arrivati. Eravamo ormai abituati ad un pasto al giorno come i cani. La fase più pericolosa per me? Allorquando portando un ordine mi scoprirono, era una zona scoperta, non mi spararono, ma pensando fosse una colonna mi mandarono una bomba a "shrapnel" che lancia tante scheggie. La fortuna e le preghiere di Mamma mi salvarono ma caddi a terra tramortito dal rumore. Riparto e scopro che ormai siamo decimati quando arriviamo in val Bencia (Bençë, N.d.I.) a formare colà un unico battaglione, camicie nere comprese, col nome del maggiore comandante, Leone, e sostammo snervati dalla guerra di ripiegamento, che quasi ogni notte facevamo, tristi di dover lasciare indietro materiale e soldati morti disseppeliti, nonché feriti gravi impossibilitati a seguirci. Era il Natale del 1940 quando approffittando della tregua concessaci dal nemico ci spidocchiamo e togliamo per la prima volta la divisa. Andammo poi fino a Lekdushai250 ed in quel

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250 Il 12 dicembre 1941 «...la situazione si stava facendo plumbea: il freddo intenso e la bufera notturna, le perdite del 42° - tutti i quattro comandanti di compagnia del II btg. erano caduti sulle posizioni - rese ancor più forti dai numerosi congelati e dai morti per assideramento...(il 13 sera)...tutti i comandandanti di battaglione del reggimento erano caduti. I militari colpiti da congelamento di 1° grado non venivano sgombrati per non

periodo (12 febbraio 1941) un'incursione aerea mitragliò l'amato colonnello Giuseppe Scalamandré. Ci giunsero poi dall'Italia calze e guanti di lana nonché passamontagna. Andiamo di rincalzo alla divisione "Brennero" giunta dall'Italia. Tacevano in quel periodo cannoni e mitragliatrici ma infuriavano i bombardamenti aerei. Il 14 aprile, lunedì di Pasqua, ci confessarono in massa e partimmo per l'avanzata: Granisopoli prima e Giannina poi, entusiasta la marcia di avanzata. Mi rimane impressa la scena di una tenda di militari greci con colpiti in pieno gli occupanti, con uno ancora con penna in mano e foglio sullo zaino: forse stava scrivendo alla Mamma che non avrebbe più vista. Fu da quel quadro che mi prese un po' di nostalgia di casa mia - vita ormai offuscata dalle brutalità della guerra. Paesi vuoti. Solo la presenza di qualche "papas", prete ortodosso, a guardia che non saccheggiassimo quel poco che era rimasto dal passaggio della guerra. Incapaci noi di saccheggiare pure i soldati morti con ancora visibili orologi, ori. Erano morti anche loro, come i nostri, senza odio, e forse senza neppure sapere il perché, ma solo ligi e subordinati al dovere. E' da lì che capii che la Guerra non è questione né di abilità né di altro ma solo basata sulla disgrazia e sulla fortuna quantoché con tutto rispetto per chi non è più tornato, non furono solo loro gli eroi e noi tornati i fuggiaschi o renitenti al dovere, ma furono loro più sfortunati di noi. 20 giorni a Granisopoli per riordinarci un po' e poi quel che rimase del mio Regg.nto destinazione Prevesa con il Comando in città e noi accantonati in grosse scuderie sul mare. Qui ricevemmo i nostri strumenti musicali e quando andavamo in piazza per l'alza o l'ammaina bandiera suonavamo. Commovente il primo giorno allorquando ammainammo la Bandiera Greca per issare la nostra Italiana, poiché tale era considerata la Grecia da noi vinta. E qui finisce il periodo di guerra per iniziare quello di presidio in Grecia».

La testimonianza di Nucci Punta è coerente con quanto pubblicato da Bedeschi251: “(...) dalla pianura indietreggiammo combattendo

polverizzare la linea...», MONTANARI (1991) pag. 383. Secondo quest'ultimo, pag. 804, la "Modena" ebbe 577 morti, 1.176 feriti, 1.043 dispersi. 251 BEDESCHI (1977) pag. 569.

sporadicamente fino ad Argirocastro e poi a Tepeleni. Ricordo gli attacchi terrorizzanti dei soldati greci: il baccano, il vocio, le trombe. Era il loro modo di combattere sulle montagne.

A Tepeleni resistemmo fino all'arrivo dei primi rinforzi; ma avevamo subito gravissime perdite, fra le quali la morte del colonnello comandante il 42°, Scalamandré, ucciso da una bomba d'aereo. Avevamo cercato scampo e lui se ne stava lì, dritto, impalato, quasi a sfidare la morte. E perse purtroppo la sfida (...) ci giungevano pochi viveri e poche munizioni. Quando arrivava qualche mulo con la marmitta della minestra, pareva un evento (...)”.

Armando Zuccarino, dopo la Francia, ripercorre le stesse tappe di Punta ma con un epilogo diverso:

«Partiamo per Vittorio Veneto e a Isola le mie sorelle hanno aspettato ore al passaggio a livello per veder passare il mio treno. Il reggimento va poi a Belluno per le manovre: è la miglior vita che ho fatto a militare. La gente, che aveva parenti richiamati, ci dava la pastasciutta e il vino bianco e noi davamo loro il nostro rancio. Che vino bianco! Poi a Bari dove per tre mesi siamo stati alla Fiera del Levante e infine in Albania. Il 30 dicembre 1940 sono stato catturato dai greci. I fanti ci sono rimasti tutti! Ci hanno fatto spogliare, solo pantaloncini e camicia, senza scarpe, ce le siamo fatte con le pezze e per sette giorni niente cibo, solo camminare. Siamo passati per Corinto e Atene, trattati peggio dei cavalli. Una volta eravamo in una trentina in una stanza e dall'alto ci hanno buttato del granturco, me ne saranno toccati sei o sette chicchi. Che fame! Siamo arrivati all'isola di Creta e in una pianura montiamo le tende: ci facevano la guardia gli inglesi. Un bombardamento ce le ha bruciate tutte. Ogni tenda aveva 25 o 30 persone; si doveva dormire sempre sullo stesso fianco altrimenti non ci stavamo, mi fa ancora male adesso. Da mangiare una pagnotta al giorno per sei o sette persone e brodo di pecora, sempre pecora. Ci hanno liberato i tedeschi che si sono paracadutati sull'isola. Gli inglesi che prima facevano i prepotenti con noi, adesso ci chiedevano del riso da mangiare. Ritorno in nave a Brindisi e vado a Belluno dove arrivo il 10 luglio 1941: ero 35-40 chili e avevo una barba lunghissima! Con una licenza torno a casa e mi presento ad

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