MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE TRENTINI NEL MONDO onlus ADERENTE ALLA F.U.S.I.E
9-10/2020
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Trento - Taxe Percue
anno 63°
Il Circolo trentino del Colorado (Stati Uniti) ha organizzato un pranzo a base di polenta e spezzatino in versione «drive through» (articolo alle pagine 18-19).
CIRCOLI, DELEGAZIONI E FEDERAZIONI/COORDINAMENTI DI CIRCOLI dell’Associazione Trentini nel Mondo - onlus
Coordinamenti Argentina, Australia, Benelux, Bosnia, Brasile, Canada, Germania, Messico, Paraguay, Stati Uniti e Uruguay Argentina - 57 circoli - 1 delegazione Alta Gracia, Avellaneda, Azul, Bahia Blanca, Bariloche, Buenos Aires, Catamarca, Chajarì, Chilecito, Colonia Tirolesa, Concepción del Uruguay, Concordia, Cordoba, Cordoba Sud, Corrientes, Corzuela, Cruz del Eje, Formosa, General Roca, General San Martín, La Carlotta, La Plata, La Toma, Lanteri, Las Breñas, Machagai Plaza, Makallè, Malabrigo, Malagueño, Mar del Plata, Mendoza, Olavarria, Pampa del Infierno, Presidente Roque Sáenz Peña, Puerto Tirol, Quitilipi, Reconquista, Resistencia, Río Cuarto, Romang, Rosario, Salta, San Jaime, Sampacho, San José (Depto. Colon), San Nicolas de los Arroyos, Santa Fé, Santa Rosa de la Pampa, Tandil, Tucuman, Venado Tuerto, Viedma, Villa Carlos Paz, Villa General Belgrano, Villa Ocampo, Villa Regina, Zárate - Comodoro Rivadavia
Canada - 5 circoli Alberta, Montreal, Toronto, Vancouver, Windsor & Detroit
Australia - 8 circoli - 2 delegazioni Adelaide, Canberra, Mackay, Melbourne, Myrtleford, Perth, Sydney, Wollongong Tasmania, Townsville
Germania - 6 circoli - 3 delegazioni Colonia, Dortmund, Reno Neckar, Stoccarda – Berlino, Monaco, Norimberga
Belgio - 4 circoli - 2 delegazioni Centre du Borinage,Charleroi, La Louviére, Liegi – Limburgo, Bruxelles Bolivia - 1 circolo La Paz Bosnia - 4 circoli Banja Luka, Sarajevo, Stivor, Tuzla
Cile - 3 circoli Copiapò, La Serena, Santiago Colombia - 1 circolo Bogotá Danimarca - 1 circolo Copenaghen Ex emigrati - 3 circoli Australia, Stivor (BIH), Svizzera Francia - 3 circoli Grenoble, Lorena, Parigi
Gran Bretagna - 2 circolo Londra, Trentini UK-Irlanda Italia - 13 circoli Biella; Borgosesia; Brescia; Bresciani amici del Trentino; Como; Famiglia Trentina di Roma; Friuli; Milano; Pontino; Predazzani nel Mondo; Roma; Società Americana di Storo; Trieste Lussemburgo - 1 circolo Lussemburgo
Brasile - 61 circoli Ascurra, Belo Horizonte, Bento Gonçalves, Blumenau, Brusque, Caxias do Sul, Colatina, Coronel Pilar, Corupà, Curitiba, Divino di Laranjeiras, Encantado, Erexim, Florianopolis, Garibaldi, Gasparin, Gramado, Guaramirim, Indaial, Jahú, Jaraguà do Sul, Joinville, Jundiaì, Laurentino, Londrina, Luzerna, Nereu Ramos, Nova Brescia, Nova Trento, Ouro Fino, Passo Fundo, Piracicaba, Porto Alegre, Presidente Getulio, Rio de Janeiro, Rio do Oeste, Rio do Sul, Rio dos Cedros, Rodeio, Salete, Salvador, São Paulo, Sananduva, Santa María, Santa Olímpia, Santa Teresa, Santa Tereza do Rio Taquarì, São Bento do Sul, São João Batista, São Miguel do Oeste,São Sepe, São Valentim do Sul, Taiò, Tapejara, Trentin, Três de Maio, Tucunduva, Venda Nova do Emigrante, Veranòpolis, Vitoria, Xanxerè
Federazioni ITTONA (Canada e Stati Uniti) Messico - 13 circoli - 1 delegazione Aguas Calientes, Citlatepetl, Città del Messico, Colonia Manuel Gonzalez, Colonia Diez Gutierrez, Cordoba, Huatusco, Monterrey, Puebla, San Luis de Potosí, Tijuana, Veracruz, Xalapa - Cuernavaca Paraguay - 10 circoli Asunción, Atyrà, Caacupé, Caaguazù, Concepción, Fernando de la Mora, Lambaré, Luque, Paso Barreto, San Pedro Ycuamandiyù Peru - 1 circolo Lima Portogallo - 1 circolo Portogallo Romania - 1 circolo Romania Serbia - 1 circolo Indija Stati Uniti - 21 circoli Alliance, Chicago, Cleveland, Denver, Hazleton, Milwaukee, Minnesota, New England, New York, Norway, Ogden, Pittsburgh, Readsboro, San Francisco, Seattle, Solvay, South Alabama, South East Pennsylvania, Seattle, Southern California, Washington, Wyoming Sud Africa - 2 delegazioni Pretoria, Cape Town Svizzera - 6 circoli - 1 delegazione Amriswil, Basilea, Ticino, Winterthur, Zofingen Sciaffusa Uruguay - 5 circoli Carmelo, Cerro Largo, Colonia del Sacramento, Montevideo, Rivera (S. Ana do Livramento - BR) Venezuela - 1 circolo Caracas
editoriale IN QUESTO NUMERO Pagine 2-7 AGENDA Pagine 8-9 ATTUALITÀ Pagine 10-12 GENTE E FATTI Pagine 13-16 DOSSIER: DUE TRENTINE NEGLI U.S.A. DEL COVID Pagine 17-23 CIRCOLI Pagine 24-25 BIOGRAFIE: LA STORIA DI GIOVANNI CLAZZER Pagina 26 60 ANNI D'EUROPA Pagina 27 TRENTINO HISTORY Pagina 28 DAL TRENTINO
ASSOCIAZIONE TRENTINI NEL MONDO O.n.l.u.s.
Presidente Direttore Alberto Tafner Francesco Bocchetti TRENTINI NEL MONDO Mensile dell’Associazione Trentini nel Mondo aderente alla F.U.S.I.E
Direzione, amministrazione e redazione Via Malfatti, 21 - 38122 TRENTO Tel. 0461/234379 - Fax 0461/230840 sito: www.trentininelmondo.it e-mail:info@trentininelmondo.it Direttore responsabile Maurizio Tomasi Comitato editoriale G. Bacca, C. Barbacovi, B. Cesconi, C. Ciola, M. Dallapè, A. Degaudenz, M. Fia, B. Fronza, L. Imperadori, H. La Nave, E. Lenzi, E. Lorenzini, A. Maistri, G. Michelon, F. Pisoni, P. Rizzolli, V. Rodaro, P. Rossi, M. Setti, P. Svaldi, A. Tafner, R. Tommasi, V. Triches, G. Zorzi Hanno collaborato: R. Barchiesi - S. Corradini - G. Degasperi F. Bocchetti - M. Grazzi Autorizzazione del Tribunale di Trento n. 62 - 6 febbraio 1958 STAMPA: Grafiche Dalpiaz srl Ravina di Trento (TN) Per ricevere il giornale: Dal 2020 il giornale dell’Associazione cambia il rapporto con i propri lettori: non più solo abbonati ma soci della Trentini nel mondo. A pagina 29 il modulo per la richiesta di adesione in qualità di socio. N. 9/10 - 2020 - Stampato il 2 DICEMBRE 2020 Le affermazioni e le opinioni espresse negli articoli firmati rispecchiano le posizioni degli autori.
SEMPRE PIÙ NECESSARI PER CONSERVARE E TRAMANDARE LA STORIA DELLE MIGRAZIONI
C'è un grande bisogno di musei e biblioteche I n questi tempi di problematico e a volte drammatico isolamento forzato, prescritto o autoimposto dalla diffusione virulenta del Covid 19, l’unica via d’uscita per non perdere i contatti con il mondo e per rimanere collegati con le altre persone è quella che porta all’uso sempre più abituale dei più aggiornati sistemi di comunicazione. Fortunatamente la Trentini nel Mondo, con lungimiranza, si è dotata da tempo degli strumenti necessari per mantenere i contatti con i Circoli, i soci , le istituzioni e con tutti i trentini che hanno necessità o desiderio di interloquire. Attraverso le apposite piattaforme è però possibile continuare anche a lavorare in comunione con le altre Associazioni di emigranti per confrontarsi su problemi comuni, per approfondire argomenti di reciproca utilità e per disegnare progetti che potranno avere uno sviluppo concreto non appena arriveranno tempi migliori. Perché l’importante è non abbandonare mai la speranza e guardare sempre avanti. È in quest’ottica ad esempio che si è recentemente tenuto un incontro di coordinamento - virtuale ma estremamente efficace - tra la Trentini nel Mondo e le analoghe Associazioni della Lombardia e del Veneto, con la partecipazione dei Siracusani e dei rappresentanti del Ministero degli Esteri e del Museo Nazionale dell’Emigrazione in fase di allestimento a Genova. Uno dei principali argomenti in discussione è stato quello dell’adesione al protocollo di collaborazione con il Museo Nazionale dell’emigrazione con l’intento, tra l’altro, di arrivare a realizzare una rete tra musei e biblioteche che si occupano di emigrazione.
Sta prendendo corpo l'idea di realizzare un sistema che metta «in rete» i patrimoni delle varie associazioni del settore La Trentini nel mondo in effetti possiede una tra le più ampie biblioteche dedicate a questo argomento, che viene visitata da molte persone ed è usata in gran parte per consultazioni, studio e approfondimento da parte di studenti universitari impegnati nelle tesi di laurea. Da tempo in Associazione – in particolare dopo il lavoro di catalogazione dei volumi effettuato da Francesco Ober e il riordinamento dell’archivio fotografico svolto da Thomas Capone - entrambi hanno fatto Servizio Civile presso la nostra associazione - si sta riflettendo sulla possibilità e sull’opportunità di rendere questo patrimonio di storia e di memoria sempre più disponibile e facilmente accessibile. Ma si sta analizzando anche la possibilità di collegare la biblioteca ad uno spazio museale che dovrebbe venir realizzato secondo le opportunità fornite dalla tecnologia più moderna.
Si sta pensando quindi ad uno spazio che non risulti un semplice contenitore di testimonianze ed una raccolta di articoli ed oggetti legati al mondo dell’emigrazione, bensì ad un luogo che risponda davvero all’antico nome greco del museo e cioè “luogo sacro alle Muse”. Nella letteratura il significato che si dà alle Muse, oltre alle custodi dell’arte, è anche quello delle custodi della memoria che diventa così deposito della verità. E noi, in quest’epoca tremendamente confusa, abbiamo più che mai bisogno di conservare, analizzare e approfondire la memoria sia per non ripetere gli errori compiuti negli anni trascorsi, sia perché abbiamo bisogno di sviluppare una visione del futuro che solo la conoscenza del passato ci può dare. E tanto più è necessario coltivare la memoria, quanto più l’emigrazione sta tornando prepotentemente alla ribalta. Ecco dunque che durante l’ultimo incontro da remoto avvenuto tra le regioni Lombardia, Veneto e Trentino è emersa la possibilità di collaborare per arrivare alla realizzazione di un sistema che comprenda i musei e le biblioteche (sia che operino in maniera fisica o virtuale) che fanno capo alle singole Associazioni e che abbiano nel Museo nazionale dell’Emigrazione di Genova un punto di riferimento in grado di coniugare la realtà fluida dell’emigrazione moderna con l’esperienza di quella storica. In sostanza si starebbe pensando di realizzare una rete nazionale ed internazionale dove le singole Associazioni abbiano un ruolo da protagoniste in uno dei settori fondamentali della vita e dello sviluppo della società. Alberto Tafner
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Diretta sul web per il progett
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etrina importante per il progetto «Dal Trentino al Mondo: storie di emigrazioni», protagonista venerdì 13 novembre della diretta Instagram di Civico 13. Civico13 è lo sportello giovani unico, un servizio nato dalla collaborazione tra gli uffici delle Politiche giovanili del Comune di Trento e della Provincia autonoma di Trento che si propone come un luogo d'incontro, di orientamento, dove trovare tutte le possibilità e le opportunità che il territorio mette in campo dedicate ai più giovani. È uno sportello fisico, che si trova nella centralissima via Belenzani a Trento, ma anche un luogo che si muove con decisione sul web. Ed in questo particolare periodo
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di restrizioni dovute all'emergenza sanitaria sono proprio i canali social a diventare strumento privilegiato per mantenere i contatti con il mondo giovanile e non fermare l'attività dello sportello. È in particolare alle 18.13 (ora italiana) che Civico13 promuove progetti e proposte attraverso delle dirette sui suoi canali web, con analisi e racconti di ciò che il territorio offre, e l'opportunità di incontrare direttamente i promotori dei diversi progetti. Venerdì 13 novembre l'attenzione è stata puntata dunque sul progetto di raccolta e diffusione di storie di emigrazione dell'Associazione Trentini nel Mondo. Dopo la presentazione ufficiale del pro-
getto con una confernza stampa che si era svolta presso il Comune di Trento, il riconoscimento della storia della migrazione trentina come patrimonio culturale della comunità trentina e come un bene comune da valorizzare, il
progetto trova ora nello sportello e nei giovani gli interlocutori più appropriati per trasmettere e tutelare questa ricchezza. Civico 13 sta ospitando nella sua sede il distributore di storie, un totem espositivo (nella foto a fianco) dedicato alla promozione del progetto. Ma il progetto è presente anche sul web, attraverso un blog che si sta arricchendo di contributi di giorno in giorno. E sul web è stato raccontato nel dettaglio. In collegamento con la sede dell'Associazione, Stella Gelmini, coordinatrice di Civico 13, ha incontrato Francesco Bocchetti e Giada Degasperi, della Trentini nel Mondo, e Cathy Librandi, tra i curatori del progetto. A Francesco Bocchetti, direttore della Trentini nel Mondo, è toccato il compito di riassumere la storia dell'associazione, ricordarne le motivazioni della nascita e il
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to «Dal Trentino al mondo» valore ancora attuale dell'offrire appoggio e supporto ai trentini “in partenza”. Sono circa duecento i Circoli trentini nel mondo, presenti in trenta paesi. Ed è importante sottolineare come di emigrazione non si possa parlare solo guardando al passato, anzi. «Ad oggi – ha sottolineato il direttore – il numero di trentini espatriati è superiore a quello degli stranieri presenti sul nostro territorio. Siamo la provincia italiana che conta il maggior numero, in percentuale ai residenti, di emigranti». Una storia fatta di tante situazioni diverse, come sottolinea anche Giada Degasperi che nel suo intervento si avvale del supporto di tre oggetti «simbolo» di altrettante realtà. Su tutti l'elmetto e la lampada dei minatori a raccontare delle tante partenze nei secoli scorsi verso le miniere, del ferro in Francia o del carbone in Belgio, ma anche quelle della Pennsylvania o del Colorado negli Stati Uniti. Poi una targa automobilistica brasiliana, della città di Nova Trento: emigrazione decisamente
diversa. Nel sud del Brasile tra il 1875 e il 1914 i trentini arrivarono in zone disabitate e fondarono e costruirono intere città. E poi una bottiglia di vino, che può raccontare tante storie e tanti paesi. La coltivazione della vite è un'arte e un sapere che i trentini hanno portato con sé ovunque: California, Australia, Cile, Uruguay, Argentina, Brasile e Messico. “In occasione della festa provinciale dell'emigrazione del 2018, che si è svolta nel comune di Altavalle, fu allestita una mostra – evidenzia Giada Degasperi – dedicata ai viticoltori, in cui
abbiamo presentato i prodotti di 24 cantine nel mondo fondate da trentini o discendenti di trentini.” Storie di ieri dunque, ma anche di oggi, quelle che possiamo trovare nel “distributore di storie”. Le grandi migrazioni dell'800 e del 900, ma anche viaggi e partenze più recenti. Situazioni ed esigenze diverse alla base della decisione di partire, forse però con le stesse paure, sicuramente con le stesse aspettative. Sono e saranno sempre più racconti che spazieranno nel tempo, comprendendo più secoli e toccando ogni parte del mondo. Una ricchezza che vuole arrivare e diffondersi il più possibile. A presentare il blog e lanciare un invito tutt'altro che velato è Cathy Librandi: “sul sito www. daltrentinoalmondo.wordpress. com ci sono già dei racconti, si possono leggere, ma soprattutto
www.daltrentinoalmondo.wordpress.com
si possono proporre i propri. Vogliamo coinvolgere chiunque abbia voglia di condividere una sua esperienza o quella sentita raccontare magari dai nonni. L'obiettivo è mantenere viva la memoria di questi ricordi di emigrazione e le storie scritte in prima persona da chi le ha vissute sono le più sentite. Per questo noi cerchiamo di non mettere mano troppo ai racconti che arrivano. È bello che chi scrive possa immaginarsi che il proprio vissuto entri così a far parte del bene di una comunità, patrimonio di tutti.” Cathy chiude poi il suo contributo leggendo l'ultimo racconto arrivato in redazione. È una storia di oggi, attualissima. Ed una particolare storia di doppia emigrazione: Matteo Kluc ha ripercorso la strada già affrontata dai nonni. Ma per conoscere la vicenda vi rimandiamo su questa stessa rivista a pagina 20. Per scoprire invece come è stata raccontata nelle lettere dal Trentino al Mondo: storie di emigrazioni ovviamente vi invitiamo a sfogliare il blog (qui a fianco l'indirizzo e la home page). Michela Grazzi
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agenda IL LIBRO È STATO PRESENTATO NELLA SEDE DELLA TRENTINI NEL MONDO ALLA PRESENZA DELL'AUTORE, DELIO MIORANDI
«Antonio», romanzo che racconta l'emigrazione italiana in Germania
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omeriggio letterario nella sede dell'Associazione Trentini del Mondo, che ha ospitato la presentazione dell'edizione italiana del libro «Antonio – dalla mulattiera al miracolo economico» di Delio Miorandi (editrice Grafiche Stile - Roverto). Nella Sala intitolata a Rino Zandonai erano presenti l'autore e pochi fortunati che hanno potuto prenotare i posti a disposizione. L'evento è stato trasmesso online attraverso il web per permettere una maggior partecipazione. A moderare l'incontro Maurizio Tomasi, direttore responsabile del periodico «Trentini nel mondo», che ha chiacchierato con Miorandi di storia dell'emigrazione italiana ma anche dell'esperienza personale dell'autore, trentino trapiantato in Germania. Una vicenda personale che è strettamente legata al romanzo, nato dai racconti e dalle esperienze di vita dei tanti lavoratori del Sud Italia che raggiungevano la Germania, nella regione del Reno-Meno, in cerca di un futuro migliore e che Miorandi incontrava ed aiutava per lavoro, in veste di assistente sociale.
Un diario crudo, genuino, emozionante Il romanzo di Delio Miorandi è un diario, emozionante, genuino, crudo, romantico, come solo la vita della gente comune sa essere. La narrazione copre un periodo di 50 anni partendo dagli anni dell’ultimo dopoguerra; senza pretendere di essere un romanzo storico a tutto tondo, diventa contributo importante alla storia sociale di due nazioni, quella te-
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di padri, mogli, famiglie abbandonati, di interi villaggi polverosi e morenti lasciati alla mercé di gente senza scrupoli nelle regioni più povere d’Italia, per andare incontro ad una vita migliore ma pur tuttavia soggetta a forme di sfruttamento nuovo, forse meno aggressivo ma più subdolo: quello del lavoro duro e malsano e della produzione esasperata, disciplinata da regole talvolta selvagge spesso col beneplacito di sindacati e Chiesa, pur di procurarsi quel pezzo di pane che "a casa propria" sembrava pura illusione.
Scrivere il libro è stata una necessità desca e quella italiana, uscite dilaniate e smarrite da un conflitto senza precedenti. Una storia vista dal basso, dalle vicissitudini di povera gente del Sud costretta a lasciare, portando con sé un bagaglio di poche cose e di tante speranze, le proprie case, i propri affetti, le pro-
prie tradizioni e, non ultima, la propria lingua per raggiungere il miraggio di un lavoro in terre sovente ostili, tra quei tedeschi che almeno in parte continuavano a considerare quella fetta di umanità povera e umiliata l’espressione di un’Italia traditrice. L’autore non ha dovuto far ricorso ad invenzioni narrative perché nulla può essere più suggestivo della realtà. Anche per questo ha attinto ad un linguaggio semplice e popolare, per arrivare al cuore di tutti coloro che sanno riconoscere la sofferenza
Editore: GRAFICHE STILE Pagine: 272 Formato: 14×21 Pubblicazione: 26/11/2019 ISBN: 9788885681231 www.newbookedizioni.it
È stato lo stesso Miorandi durante l'incontro a spiegare da dove nasce la necessità di scrivere questo libro. «Andai in Germania solamente per motivi di studio. Ma poi incontrai i primi lavoratori immigrati dall’Italia. Mi trovai con loro durante la mia attività di studente in diverse ditte della regione. Erano già in molti a quel tempo e stabilii subito dei contatti. A suscitare il mio interesse furono le loro tragiche storie, i motivi per cui avevano lasciato la loro casa, le loro condizioni sul luogo di lavoro, i posti in cui abitavano. Li andai a trovare nei loro alloggi. Per un giovane studente che viveva in una casa decorosa si trattò di uno shock, poiché la maggior parte di questa gente viveva in baracche primitive. Su alcune pareti c’erano ancora delle scritte di prigionieri del periodo nazista: alcune in lingua polacca, altre in lingua ebraica che io non capivo. Ma quel richiamo alle tragiche
agenda Il volume, che rappresenta un valido contributo alla comprensione della storia sociale italiana e tedesca, per l'autore è anche «un inchino davanti a quegli uomini che per necessità lasciarono la loro terra e in Germania contribuirono al miracolo economico»
vicende del passato, mi “disse” a sufficienza. Era una condizione irritante ed indegna per delle persone e capii che era necessario raccontare per iscritto le mie impressioni. E così cominciai a tenere un diario, che si riempì in fretta di tragici avvenimenti, di conflitti, di amare sorprese e, qualche volta, anche di cose piacevoli. Misi per iscritto i racconti della povera gente che si era liberata dai lacci dei latifondisti, trasformandosi in emigranti, spesso “illegali”. Venni a conoscenza anche di quegli intrallazzatori che in Italia ed in Germania cercavano di guadagnare, approfittando delle necessità della povera gente. Due anni dopo aver raccolto materiale vario, durante una visita a Rovereto, mio paese natale incastona-
to tra le Alpi, decisi di riportare tutto in un libro, un libro per non dimenticare. Compresi però che il mio compito era da svolgere in Germania. Così ritornai nella Repubblica Federale e lì maturai la mia identità europeista. Misi su famiglia e diventai assistente sociale per i miei connazionali, continuando a tenere il mio diario per oltre quarant’ anni, da cui sono nati i miei due libri. Il primo è quello che sto presentando: “Antonio - dalla mulattiera al miracolo economico”, il secondo, una prosecuzione della storia. Antonio è il protagonista, il personaggio principale. La sua storia è il filo rosso che ci guida attraverso i vari capitoli. Ma ci sono molti Antonio nell’emigrazione e tutti hanno contribuito, anche inconsapevolmente, a scrivere
Delio Miorandi è nato a Rovereto nel 1938. Nel 1959 si è trasferito in Germania per motivi di studio, ha frequentato la facoltà di Sociologia presso l’Università di Francoforte ed ha conseguito il diploma di Assistente Sociale a Friburgo. Iniziatore di numerose associazioni di lavoratori immigrati, nel 1970 ha fondato il centro culturale dei lavoratori stranieri in Germania e ne è diventato Presidente. Dal 1971 al 1974 ha ideato ed è stato editore della “Gazzetta Europa” in lingua italiana, spagnola e portoghese. Nel 1977 è stato eletto nel COM.IT.ES di Francoforte sul Meno. Nel 1983 è stato eletto Presidente dell’Associa-
quella che è anche la loro storia. Il libro vuole essere un romanzo, ma si basa sulla dura realtà. A dire il vero molti nomi sono stati cambiati. Non sarà comunque difficile riconoscere, dietro gli pseudonimi, città, ditte, e personaggi politici. Devo ringraziare molte persone che mi hanno aiutato a scrivere questo libro, partendo dagli appunti di un diario. Uno che non dimenticherò mai è Monsignor Karl-Heinz Beichert, che si è sempre battuto per la causa dei lavoratori immigrati, al quale sono legato da profonda amicizia. Mi hanno spronato a realizzare il progetto anche il prelato Dr. Georg Huessler ed il cardinale Hermann Volk.
«Mi auguro venga considerato un testo storico» Un ringraziamento particolare va però al mio amico, il giornalista Claus Langkammer, che conosce bene la lingua e la cultura italiana ed è riuscito magistralmente ad esprimere letterariamente le mie idee ed i miei sentimenti nella versione in tedesco.
Dedico questo libro alla mia cara moglie Elfriede, che mi ha accompagnato e sostenuto per più di cinquant’anni. Ha avuto un ruolo importante nella realizzazione di quest’opera. La mia dedica va pure ai miei figli Andreas, Silvia, Markus, Verena ed ai miei quattro nipoti. Mi auguro che questo libro non venga considerato solamente come una piacevole lettura, ma stimoli anche delle riflessioni e venga considerato addirittura come testo storico. E serva anche come inchino davanti a quegli uomini, che per necessità lasciarono la loro terra e in Germania, contribuirono al miracolo economico». L'introduzione del libro porta la firma di Petra Roth, sindaco di Francoforte quando il libro fu presentato nell'edizione in lingua tedesca, che scrive: «Delio Miorandi ha scritto una storia vera, svoltasi nell’arco di cinquant’anni, che rappresenta un valido contributo alla comprensione della storia sociale italiana e tedesca. Per questo ci troviamo di fronte ad una lettura appassionante, che ci invita a riflettere sulle nostre responsabilità future».
zione degli Assistenti Sociali per l’emigrazione. Nel 1991 riconoscimento con la Stella del Lavoro “Pro Merito”, da parte dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Nel 2003 ha ricevuto la croce al merito per la sua carriera lavorativa consegnata dal Presidente Federale Johannes Rau. Nel 2012 medaglia “Pro Merito” da parte di Thomas Mann, presidente della sua regione e parlamentare europeo. Nel 2016 (nella foto) ha ricevuto il «Deutscher Bürgerpreis» per il suo impegno a favore dell’integrazione. Nel 2017 il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, gli ha conferito l’onorificenza di Commendatore.
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agenda LA TRENTINI NEL MONDO HA ORGANIZZATO UNA PRESENTAZIONE CHE SI È SVOLTA PRESSO IL MUSE IL 15 SETTEMBRE
«Le due apocalissi», l'ultimo libro dello storico Renzo Maria Grosselli
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stata la Sala Conferenze del Muse ad ospitare lo scorso 15 settembre la presentazione del libro di Renzo Maria Grosselli «Le due apocalissi, gli ultimi. Ciò che rimane dei 30.000 trentino-tirolesi partiti per il Brasile» (Curcu Genovese editore), sull'emigrazione trentina in Brasile. Un fenomeno importante: ancora oggi sono sessanta in Brasile i Circoli legati alla Trentini nel Mondo, eredità di una migrazione numericamente rilevante che avvenne tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. L'evento, organizzato dalla Trentini nel mondo, è stato proposto anche in diretta web e seguito in particolar modo proprio da quelle comunità brasiliane che Grosselli ha incontrato e conosciuto in questi anni di ricerca attenta ed approfondita. «Le due apocalissi» è un'opera che ripropone le conversazioni avute dall'autore con anziani contadini, ormai brasiliani da generazioni ma con comportamenti, valori e riferimenti culturali che molte volte provengono dalla terra di origine degli avi. Tradizioni che riportano alla vita nel Tirolo
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La prima è l'apocalisse da cui decisero di fuggire, la miseria estrema da cui scappavano. Al loro arrivo i contadini avrebbero dovuto ricevere dallo stato brasiliano la terra, ma prima hanno dovuto sopportare la vita nelle colonie. E questa fu la loro seconda apocalisse italiano dell'800 e che oramai anche in Trentino sono sparite. “Sono una persona che per quasi 40 anni ha frequentato quelle comunità, quelle culture, e ne ha seguito, con l’occhio il più attento possibile e con gli strumenti di cui disponeva, l’evoluzione”: così si definisce Renzo Maria Grosselli nella prefazione del libro. Poeta, scrittore e storico dell'emigrazione, prestato anche al giornalismo, Grosselli ha studiato non solo l'emigrazione in Brasile, ma anche in Cile e a Rodi. Non è al suo primo libro sull'argomento e molte pubblicazioni hanno lasciato il segno: il primo libro «Vincere o morire», fu tradotto e pubblicato dall'Università Federale di Santa Catarina e il secondo, «Colonie imperiali nella terra
del caffè», fu prima tradotto in parte dall’Archivio dello Stato di Espírito Santo e poi pubblicato dal Senato Federale Brasiliano nel 2009. Quando fu promulgata la legge 379 del 2000, con la possibilità per i discendenti trentini di chiedere la cittadinanza italiana, altri suoi libri, furono riconosciuti come fonti attendibili per la documentazione richiesta, in quanto riportavano precise descrizioni dei lotti dati dal governo brasiliano agli immigrati. «Questo volume nasce da due momenti della mia vita di ricercatore – evidenzia l'autore ricostruendo il percorso cha ha portato al libro, sollecitato dalle domande di Maurizio Tomasi - e di viaggiatore. Il primo fu il 1986,
quando trascorsi molti mesi nello Stato del Paraná vivendo nella casa di Aristides Gaio, originario del Primiero. Da quella esperienza, ma anche da altri mesi di studio d’archivio, in Trentino e a Curitiba, la capitale del Paranà, nacque il volume «Dove cresce l’araucaria. Dal Primiero a Novo Tyrol». Ora ho deciso di riscrivere le sensazioni ed i fatti che mi sono rimasti impressi allora, quasi 35 anni dopo. Il secondo momento è nel 2018 quando avevo deciso di ripercorrere le tappe delle mie indagini storiografiche ed antropologiche in Brasile. Avevo acquistato i biglietti d’aereo, quando dall’Ufficio Emigrazione della Provincia autonoma di Trento mi fu proposto di realizzare in quella occasione una serie di conferenze sull’immigrazione trentina in Brasile. Decisi che quelle conferenze avrebbero dovuto “coprire” tutti gli Stati in cui era stata quantitativamente importante la presenza trentina: Espírito Santo, São Paulo, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, dove anco-
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Sette capitoli, altrettante storie «L'apocalisse e la resurrezione» è il titolo del primo capitolo del libro, nel quale l'autore ripercorre le principali tappe della storia dell'emigrazione trentina verso il Brasile, a cominciare dalle sue cause. Aristides Gaio e Margarida Stocco Gaio, insieme ad altri abitanti di Santa Maria do Novo Tirol (Paranà) sono i protagonisti del capitolo «I penultimi». Dorvalino Minati ed Odila Nicolodi sono i discendenti di emigrati trentini intervistati a Nova Trento (Santa Catarina). «I trentini della Serra Gaucha» incontrati da
ra esistono piccole o grandi comunità in maggioranza abitate da gente di origine trentina. In quei 40 e più giorni attraverso amici locali ho cercato coppie di vecchi nipoti o pronipoti di immigrati per mettere insieme cinque o sei registrazioni sonore che mi avrebbero aiutato a ricostruire i contenuti di una supposta “società contadina trentino-brasiliana” degli anni ‘40-’60 del ‘900, ricostruendo allo stesso tempo ciò che potevano essere state le comunità trentino-brasiliane anche nei decenni precedenti e, quindi, ciò che si poteva vedere nel Tirolo Italiano del 1874-1914.” Questo spiega la seconda parte del titolo “Gli ultimi. Ciò che rimane dei 30.000 trentino-tirolesi partiti per il Brasile”. Ma perché le due apocalissi? È ciò che hanno vissuto questi migranti. In effetti suona strano,
perché l'apocalisse è una sola, poi è tutto finito. Queste persone, questi contadini trentini invece vissero due momenti di tragedia, uno dietro l'altro. La prima è l'apocalisse da cui decisero di fuggire, la miseria estrema da cui scappavano. I primi tirolesi italiani, cioè noi trentini, sbarcarono in Brasile nel 1874, erano 386, quasi tutti valsuganotti. In totale furono appunto più di 30.000 dal 1870 fino alla seconda guerra mondiale. E finirono in due situazioni: nelle colonie pubbliche dove venivano distribuiti i lotti di terra e nelle fazendas di caffè. Lo stato brasiliano invitava all'immigrazione, aveva bisogno di manodopera perché stava finendo la schiavitù. Nel 1860 l'impero austro-ungarico impose l'imposta fondiaria. La proprietà media di terra di una famiglia trentina era di mezzo ettaro, sufficiente per la sussi-
Grosselli sono Luis Antonio Tomasi, OtiliaTomasi e Brigida Tomasi Cainelli. A Rio dos Cedros (Santa Catarina) i suoi interlocutori sono stati Venerando Berti Moser, Cecilia Berti Moser e Olivio Taffner, che ricordano che «facevano ingoiare l'olio di macchina a chi parlava talian». A Picaricaba (San Paulo) ha invece incontrato Giomar Vitti, Abrao Vitti ed Angelo Vitti. Petronilho Rasseli e Darcire Degasperi, di Santa Teresa (Espirito Santo) sono i protagonisti dell'ultimo capitolo.
stenza, non certo per fare soldi e pagare le tasse. Uscì poi una normativa che costringeva i comuni a sostenere chi non aveva di che sopravvivere. Ma i comuni, senza soldi, per riuscire a mantenere i più poveri aumentarono sempre più l'imposta fondiaria. Nessuno aveva più di che sopravvivere e i comuni stessi iniziarono ad aiutare i contadini ad andarsene. E qui subentra la seconda apocalisse. Al loro arrivo i contadini avrebbero dovuto ricevere dallo stato brasiliano la terra, ma prima hanno dovuto sopportare la vita nelle colonie: 2, 3, 6 mesi stipati in capannoni. Per poi partire, addentrandosi nella foresta prima di trovare 4 picchetti di legno che delimitavano la loro terra: un lotto di 200 metri per 1 km, ma senza casa e tutta da inventare, con la città più vicina a 20 km di distanza. Cosa rimane di “trentino” in
queste comunità a 150 anni dai primi sbarchi? Poco o nulla. Oramai davvero la storia dei tirolesi-Brasiliani è finita. Io credevo all'epoca del mio studio in Paranà, nel 1986, di essere di fronte agli ultimi testimoni di quella cultura tirolese italiana. Non conoscevano bene la lingua, se non in pochi, ma non mancavano molti di quegli usi, costumi e tradizioni che si erano portati i nonni dall’Europa. Parlavano il Talian, che era un misto dei tanti dialetti trentini con altri dialetti italiani ed il portoghese. Erano rimasti davvero in pochi a sapere il dialetto. Ma non erano gli ultimi: oggi so che erano i penultimi. Adesso però davvero è rimasto poco o nulla, come è normale che sia. Il territorio, la foresta, la cultura, il clima: tutto non poteva che influenzare sempre più queste comunità. Oggi sono brasiliani in tutto e per tutto.
La consegna del libro a Luis Antonio Tomasi La foto di copertina del libro «Le due apocalissi» ritrae Luis Antonio Tomasi, Otilia Tomasi e Brigida Tomasi Cainelli, nella loro casa di Tuiuty, nei pressi di Bento Gonçalves (Rio Grande do Sul). Sandro Giordani, segretario del Circolo trentino di Bento Gonçalves, insieme ad Elson Schneider, del Sindacato Rurale, è andato a fare visita a Luis Antonio e a sua sorella Brigida per portare una copia del libro. L'omaggio è stato particolarmente gradito e la coppia ha epresso la sua soddisfazione ed emozione per essere sulla copertina. Sandro Giordani, tra l'altro, si era collegato alla video conferenza di presentazione del libro, trasmessa dalla sede del Muse.
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attualità INIZIAMO IN QUESTO numero ad ospitare i PRINCIPALI DATI DEL RAPPORTO ITALIANi nel mondo
Oltre confine ci sono 5,5 milioni di italiani
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l 1° gennaio 2020 la popolazione residente in Italia è composta di 60.244.639. Alla stessa data gli iscritti all’AIRE sono 5.486.081, il 9,1%. In valore assoluto si registrano quasi 198 mila iscrizioni in più rispetto all’anno precedente (variazione 3,6%). Se a livello nazionale la popolazione residente si è ridotta di quasi 189 mila unità, gli iscritti all’AIRE sono aumentati nell’ultimo anno del 3,7% che diventa il 7,3% nell’ultimo triennio. Tutti i contesti regionali con due sole eccezioni (nel 2019 erano quattro) – la Lombardia e l’Emilia-Romagna – perdono abitanti mentre gli iscritti all’AIRE crescono in tutte le regioni. A spopolarsi è soprattutto il Sud – Sicilia (-35.409), Campania (-29.685) e Puglia (-22.727) – mentre gli iscritti all’AIRE crescono soprattutto nel Nord Italia. La presenza italiana nel mondo è soprattutto meridionale (2,6 milioni, 48,1%) di cui il 16,6% (poco più di 908 mila) delle Isole; quasi 2 milioni (36,2%) sono originari del Nord Italia e quasi 861 mila (15,7%) del Centro. Scendendo al dettaglio provinciale, il primo territorio che si contraddistingue, con 371.379 iscritti, è quello di Roma e, a seguire, due province “minori” – Cosenza (178.121) e Agrigento (157.709) – rispetto ai successivi luoghi che comprendono nuovamente le metropoli più grandi e, allo stesso tempo, i capoluoghi di regione come Milano (149 mila), Napoli (quasi 146 mila), Salerno (144 mila) e Torino (quasi 132 mila). Il dettaglio comunale, invece, riporta nelle prime posizioni per
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I dati dimostrano, in maniera inconfutabile, quanto la mobilità verso l’estero sia strutturale in Italia e quanto essa abbia inciso nel passato e incida ancora oggi fortemente nel connotare certamente i territori più grandi, ma soprattutto i piccoli centri, città e borghi dell’interno del nostro Paese numero di iscritti all’AIRE, solo le città italiane più grandi, tutte capoluoghi di regione: nell’ordine, Roma, Milano, Torino, Napoli, Genova e Palermo. Dal confronto tra gli iscritti all’AIRE e la popolazione residente emergono, ad esclusione di Roma (11,7%), incidenze al di sotto dell’8%. Analizzando, invece, le incidenze più significative, lo scenario cambia
ancora e si amplia a comprendere territori di diverse regioni di Italia che dimostrano, in maniera inconfutabile, quanto la mobilità verso l’estero sia strutturale in Italia e quanto essa abbia inciso nel passato e incida ancora oggi fortemente nel connotare certamente i territori più grandi, ma soprattutto i piccoli centri, città e borghi dell’interno del nostro
Paese. La presenza italiana nel mondo si conferma soprattutto europea. Il Vecchio Continente con il 54,4% degli iscritti AIRE, quasi 3 milioni – di questi, 2,2 milioni residenti nei paesi dell’UE 15 – registra i numeri più consistenti. A seguire, l’America con il 40,1% (oltre 2,2 milioni) e soprattutto l’America centro-meridionale (32,3%, oltre 1,7 milioni) mentre il 2,9% (158 mila) si colloca in Oceania. Infine, oltre 73 mila presenze si registrano in Asia e poco più di 70 mila in Africa (entrambe 1,3%). Le comunità più consistenti sono, nell’ordine, quella argentina (869.000), tedesca (785.088), svizzera (633.955), brasiliana (477.952), francese (434.085), inglese (359.995), statunitense (283.350) e belga (274.404). Seguono nazioni – Spagna, Australia, Canada, Venezuela e Uruguay – con comunità al di sotto delle 200 mila unità e, dal Cile in poi, paesi al di sotto delle 62 mila unità. Dei quasi 5,5 milioni di iscritti, le donne sono il 48,0% (oltre 2,6 milioni), i minori sono il 15% (oltre 824 mila) di cui il 6,8% ha meno di 10 anni. Il 22,3% (oltre 1,2 milioni) ha tra i 18 e i 34 anni e il 23,3% (1 milione 280 mila) ha tra i 35 e i 49 anni. Il 19,1% (oltre 1 milione) ha tra i 50 e i 64 anni e il 20,3% (oltre 1,1 milioni) ha dai 65 anni in su. In particolare, la comunità “anziana” è costituita da circa 523 mila iscritti tra i 65 e i 74 anni, quasi 358 mila tra i 75 e gli 84 anni e 231 mila over 85enni.
attualità
Nell’ultimo anno 131mila partenze per espatrio
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a gennaio a dicembre 2019 si sono iscritti all’AIRE 257.812 cittadini italiani (erano poco più di 242 mila l’anno prima) di cui il 50,8% per espatrio, il 35,5% per nascita, il 6,7% per reiscrizione da irreperibilità, il 3,6% per acquisizione di cittadinanza, lo 0,7% per trasferimento dall’AIRE di altro comune e, infine, il 2,7% per altri motivi. In valore assoluto, quindi, nel corso del 2019 hanno registrato la loro residenza fuori dei confini nazionali, per solo espatrio, 130.936 connazionali (+2.353 persone rispetto all’anno precedente). Il 55,3% (72.424 in valore assoluto) sono maschi, il 64,5% (84.392) celibi o nubili e il 30% circa (39.506) coniugati/e. Si tratta di partenze più maschili che femminili al contrario di quanto visto per la comunità generale degli iscritti all’AIRE dove la differenza di genere si sta sempre più assottigliando e di persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, partono non unite in matrimonio poiché soprattutto giovani (il 40,9% ha tra i 18 e il 34 anni), ma anche giovaniadulti (il 23,9% ha tra i 35 e i 49 anni). D’altra parte, però, i minori sono il 20,3% (26.557) e di questi l’11,9% ha meno di 10 anni: continuano, quindi, le partenze anche dei nuclei familiari con figli al seguito. Diminuisce il protagonismo degli anziani (il 4,8% del totale ha dai 65 anni in su), ma non quello dei migranti maturi (il 10,1% ha tra i 50 e i 64 anni). Rispetto all’anno precedente riscontriamo una crescita generale del +1,8% che diventa il 5,5% dal 2017. In soli 4 anni le peculiarità di chi
parte dall’Italia sono completamente cambiate più volte. Se dal 2017 al 2018 è stato riscontrato un certo protagonismo degli anziani, nell’arco degli ultimi quattro anni si rileva una crescita nelle partenze di minori dai 10 ai 14 anni (+11,6%) e di adolescenti dai 15 ai 17 anni (+5,4%), ai quali si uniscono i giovani (+9,3% dai 18 ai 34 anni) e gli adulti maturi (+9,2% dai 50 ai 64 anni). L’ultimo anno rispecchia la tendenza complessiva: l’Italia sta continuando a perdere le sue forze più giovani e vitali, capacità e competenze che vengono messe a disposizione di paesi altri che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori, quando cioè creatività e voglia di emergere sono ai livelli più alti per freschezza, genuinità e spirito di competizione. Il 72,9% dei quasi 131 mila iscritti all’AIRE da gennaio a dicembre 2019 si è iscritto in Europa e il 20,5% in America (di questi, il 14,3% in quella meridionale). Sono 186 le destinazioni scelte da chi ha deciso di risiedere all’estero nell’ultimo anno. Tra le prime 20 mete vi sono nazioni di quattro continenti diversi, ma ben 14 sono paesi europei. In quarta posizione troviamo il
9 Brasile che insieme all’Argentina (8° posto) e agli Stati Uniti (7° posto) rappresentano il continente americano che si completa dell’Oceania con l’Australia (9° posto), dell’Asia (Emirati Arabi, 19° posto) e dell’Africa (Tunisia, 23° posto). Nelle prime posizioni si fanno notare paesi di “storica” presenza migratoria italiana. Al primo posto, ormai da diversi anni, vi è il Regno Unito (quasi 25 mila iscrizioni, il 19,0% del totale) per il quale vale sia il discorso di effettive nuove iscrizioni sia quello di emersioni di connazionali da tempo presenti sul territorio A seguire la Germania (19.253,
L’Italia sta continuando a perdere le sue forze più giovani e vitali, capacità e competenze che vengono messe a disposizione di paesi altri che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori, quando cioè creatività e voglia di emergere sono ai livelli più alti per freschezza, genuinità e spirito di competizione
il 14,7%) e la Francia (14.196, il 10,8%), nazioni che continuano ad attirare italiani soprattutto legati a tradizioni migratorie di ricerca di lavori generici da una parte – si pensi a tutto il mondo della ristorazione e dell’edilizia – e specialistici dall’altra, legati al mondo accademico, al settore sanitario o a quello ingegneristico di area internazionale. La Lombardia continua ad essere oggi la regione principale per numero di partenze totali ma non si può parlare di aumento percentuale delle stesse (-3,8% nell’ultimo anno). Il discorso opposto vale, invece, per il Molise (+18,1%), la Campania (+13,9%), la Calabria (+13,6%) e il Veneto (+13,3%). In generale le regioni del Nord sono le più rappresentate, ma nel dettaglio viene naturale chiedersi quanti pur partendo oggi dalla Lombardia o dal Veneto sono, in realtà, figli di una prima migrazione per studio, lavoro o trasferimento della famiglia dal Sud al Nord Italia.
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gente e fatti cathy librandi FA PARTE DEL GRUPPO DI VOLONTARI DEL PROGETTO «DAL TRENTINO AL MONDO»
Trascrivere la storia di nonna Pia, un'esperienza emozionante e utile
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aterina Librandi fa parte del gruppo di volontari del progetto “dal Trentino al Mondo” e si è fatta rapire letteralmente dall'idea della macchina racconta storie. Ci è entrata in contatto quasi per caso, tramite la figlia Silvia che è stata tra i primi promotori. E subito, forse perché di storie di migrazione ne ha vissute parecchie in prima persona, ne è rimasta affascinata. “Inizialmente ho preferito stare in disparte – ci spiega – non volevo invadere lo spazio di mia figlia. Sono stata al mio posto. Quando però lei è dovuta partire per Verona ho desiderato fare la mia parte. Sempre in punta di piedi comunque, perché è un progetto ideato dai ragazzi e non volevo impossessarmene. Mi piace che siano i giovani a voler affrontare e parlare di questi temi.” Una realtà quella dell'emigrazione che conosce bene. Forse per questo la appassiona tanto il progetto? Sicuramente io ho la storia di mia nonna, emigrata negli anni 50 da Trento in Belgio, che mi ricorda chi sono. Ma anche quella di mio papà, una storia di emigrazione molto diversa: dalla Ca-
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labria alla Svizzera per lavorare, poi in Belgio dopo aver conosciuto mia mamma e infine il rientro in Italia. E poi ho la mia storia personale: anche io so quanto è difficile integrarsi. Sono arrivata in Italia a 8 anni e non parlavo una parola di italiano. A scuola alcuni bambini sono stati inizialmente piuttosto cattivi: mi vedevano e sentivano diversa e mi dicevano “sporca belga torna da dove sei venuta”. Sono certa che non fossero consapevoli, ma allora, da bimba, ci soffrivo molto. Il problema con la lingua è un vissuto che ho in comune con la nonna.
Per il progetto ha scritto anche in parte di queste esperienze. Una storia che troviamo nel blog è proprio quella di sua nonna, che già aveva raccolto in un libro. Sì. Tutto è nato quasi per caso: tre anni fa ho ritrovato e trascritto degli appunti che avevo preso nel 1988. Mia nonna, Pia Speranza, ricevette un questionario dalla Trentini nel Mondo in cui si chiedeva di raccontare la storia della migrazione del Trentino al Belgio. Io avevo 18 anni e stavo trascorrendo l'estate in Belgio. Mi chiese una mano e tutto quello che lei mi raccontò finì su un quaderno rosa che comprai appositamente. È rispuntato quando ho fatto dei lavori a casa: l’ho riletto e ho iniziato a trascrivere gli appunti sul computer perché non andassero persi. Una volta vista tutta la sua vita, i suoi ricordi, le emozioni, trascritte sul pc ho deciso di
farne un libro da regalare ai miei figli. Si intitola semplicemente “Speranza Pia, storia di un viaggio”. Mio nonno era partito prima, trovando lavoro come minatore a Maurage. Lei lo raggiunse da sola in treno con i tre figli. L'integrazione non fu per niente facile: non sapeva la lingua e per mesi non ha parlato. Ha iniziato a parlare solo una volta certa di pronunciare bene il francese. E solo quando ha iniziato a padroneggiare la lingua, mi disse, si è sentita finalmente parte della nazione e della comunità. Quella della sua famiglia è quindi la storia di più viaggi. Decisamente. Mia mamma è nata e vissuta in Belgio. Però è a Trento che ha conosciuto mio padre, calabrese che faceva il militare proprio qui. Sono stati qualche anno in Belgio, io sono nata lì, ma mio padre aveva molta nostalgia, voleva tornare. Io ho fatto in Belgio la prima e la seconda elementare e poi ho fatto il percor-
gente e fatti NELLE FOTO (da sinistra in senso orario): nonna Pia all’epoca (1988) in cui raccontava la sua storia a Cathy. La dedica alla nonna sul libro con i suoi racconti. Un primo piano della nonna. Una foto del 1972 con Cathy in braccio al papà, la nonna e la mamma. Una parte degli appunti.
«Sono racconti di ieri, ma anche di oggi. E rendere pubblico quello che è stato è un po' universalizzare ed attualizzare quanto è stato vissuto da molti. Può aiutarci a capire chi ora sta arrivando da noi. Se lo hai vissuto lo capisci, ti identifichi» so inverso dei miei nonni, perché ci siamo trasferiti in provincia di Brescia dove ho finito il mio percorso scolastico. Il cerchio poi si è chiuso perché mi sono innamorata di un trentino e sono tornata qui, a Trento, a casa. Dove ora vivono anche i miei. La nonna, che pure aveva Trento nel cuore, invece è rimasta in Belgio fino alla fine, così come i miei tre zii, i fratelli di mia mamma. Mentre la zia era rientrata molto prima di noi. La lingua non è più un proble-
ma. E ti senti italiana o belga? Italiana, decisamente. Anzi, anche trentina. Ma con mamma ancora oggi parlo francese. E mi suona strano se mi chiamano Caterina: per tutti sono Cathy, come mi chiamavano a Maurage. La Trentini nel Mondo l'ha conosciuta con questo progetto? No. Nonna era associata al Circolo trentino di Charleroi. Mi raccontava che nei primi periodi in Belgio, quando ancora in molti vivevano nelle baracche, il Circolo aveva inviato degli animatori: clown, giocolieri e acrobati erano arrivati per allietare per una settimana o due la popolazione trentina. E ogni famiglia ospitava un componente. Era una scusa per trovarsi assieme. E per mia nonna era un sollievo risentire la parlata trentina. Raccontare queste storie che valore può avere oggi? Sono racconti di ieri, ma anche di oggi. E rendere pubblico quello che è stato è un po' universalizzare ed attualizzare quan-
to è stato vissuto da molti. Può aiutarci a capire chi ora sta arrivando da noi. Se lo hai vissuto in automatico lo capisci, ti identifichi. Però io vedo le nuove generazioni più disponibili a capire e a confrontarsi. Forse anche perché molti dei nostri giovani stanno andando, partono. Credo stia cambiando l'atteggiamento e io ho grande fiducia in questi ragazzi. Michela Grazzi
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gente e fatti
Disponibili a rafforzare il ponte fra Trento e Santa Catarina
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ari amici della Trentini nel Mondo, sono molto lusingato dalla storia e dall'omaggio pubblicato sulla rubrica Gente e Fatti nell'ultimo numero della rivista Trentini Nel Mondo. Come un «mané» legittimo, cioè nato sull'isola di Santa Catarina, sono lieto di far conoscere e condividere il potenziale del settore nautico della nostra terra con partner da tutto il mondo. Così facendo mettiamo in evidenza il fascino naturale del nostro Stato ed invitiamo tutti i Trentini a farci visita e conoscere il nostro ecosistema, che è legato all'economia del mare. Dopotutto, a Santa Catarina la maggioranza della popolazione ha origini italiane! E ora i trentini stanno agendo sulle maree! Come presidente dell'Agenzia per lo sviluppo del turismo di Santa Catarina- SANTUR, e dell'ACATMAR (Associazione Nautica Brasiliana), lavoro per lo sviluppo dell'intera catena di produzione del settore, promuovendo il
La lettera inviata da Leandro Ferrari, dopo la pubblicazione dell'articolo sulla sua nomina a presidente dell'Agenzia di Sviluppo del Turismo di Santa Catarina (Brasile) turismo nautico, la sicurezza delle acque e la valorizzazione culturale e gastronomica del segmento, offrendo esperienze memorabili ai turisti, alla comunità locale e ai partner, in particolare ai nostri amici trentini. Si tratta di un settore in grado di generare occupazione e reddito, contribuendo allo sviluppo economico sostenibile del nostro popolo. Noi cerchiamo, in linea con le indicazioni dell'Agenda per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, di lavorare al meglio per conservare e promuovere l'uso sostenibile di oceani, mari e risorse marine. Crediamo fermamente
nel lavorare in partnership, coinvolgendo tutte le istituzioni, pubbliche e private. Insieme possiamo pianificare ed effettuare azioni che portino benefici al settore e alla società. Il nostro rapporto con l'Italia è speciale, molto forte, ed è per questo che apprezzo sempre più le mie origini trentine e l'eredità della mia famiglia, i Ferrari. Quindi, anche come Trentino, vi ringrazio nuovamente per la generosità e lo spazio dedicato al nostro lavoro. Saremo sempre disponibili a rafforzare il ponte tra Italia /Trento e Santa Catarina, ora capitanata da uno dei suoi discendenti: Leandro Ferrari. Grazie alla Trentini Nel Mondo e al Circolo Trentino di Florianopolis per incoraggiare e promuovere il lavoro dei suoi membri, valorizzando così la trentinità! Grazie mille! Leandro "Mané" Ferrari Presidente dell'Agenzia di Sviluppo del Turismo di Santa Catarina
La Campana dei caduti ha la sua «voce ufficiale» Novità importanti per la Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto, che interesseranno sicuramente anche i Circoli trentini, da tempo in contatto con questa istituzione e coinvolti di recente anche nell'iniziativa della notte blu. In occasione delle celebrazioni per il 75° anniversario dell'ONU la Campana si è collegata con alcuni Circoli, sottolineando e dando così valore e concretezza al loro ruolo di ambasciatori di Maria Dolens e del suo messaggio di pace. Ora la Campana ha la sua “voce ufficiale”. Da novembre è infatti online il primo numero del mensile «La voce di Maria Dolens», notiziario ufficiale della Fon-
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dazione Opera Campana dei Caduti, voluta dal nuovo reggente Marco Marsilli come primo simbolico segno del nuovo corso. Il mensile riporterà informazioni sulla vita della Campana e sui principali temi internazionali che la Fondazione dovrà e vorrà affrontare. In questo numero, oltre ad un articolo di presentazione del nuovo reggente, Marco Marsilli, spazio alla Repubblica d'Irlanda che aderisce al Memorandum di Pace e sarà la 99esima bandiera sul Colle di Miravalle. Un ricordo è poi dedicato ai 100 anni dalla scomparsa di Gianni Rodari. E c’è anche un resoconto della Notte Blu del 24 ottobre scorso.
dossier
Da ottobre anche negli Stati Uniti la «seconda ondata» di Coronavirus ha fatto registrare una crescita esponenziale. In novembre si sono registrati oltre centomila nuovi contagi giornalieri per più di dieci giorni consecutivi. Numeri che fanno degli Stati Uniti il paese più colpito al mondo: a fine novembre sono oltre 265.000 i decessi riconducibili all'infezione e più di 13 milioni il totale dei contagi da inizio pandemia.
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Dagli Stati Uniti ci sono arrivate le testimonianze e le riflessioni di due donne di origine trentina che sono state impegnate in prima linea nella lotta al Covid-19 durante la «prima ondata»: sono Kara Giovanna Segna, anestesista al Johns Hopkins Hospital di Baltimora (Maryland) e Carol Flaim, infermiera di terapia intensiva presso il Good Samaritan Hospital a West Islip (Connecticut). I loro articoli sono alle pagine 14 - 15 e 16. 9/10 - 2020
dossier Provincia di Trento: incidenza %; genere; età
la testimonianza di kara g. segna ANESTESISTA ALL'OSPEDALE JOHNS HOPKINS di baltimora, nel maryland
46.929 persone
Non serve indossare un mantello per essere un «super eroe» V 8,7% della popolazione provinciale
53,4% donne
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ivere durante la pandemia COVID-19 è una sfida per tutti, indipendentemente che tu sia stato in quarantena, che abbia lottato con l'isolamento, l'istruzione domestica o che abbia generalmente paura della malattia o della morte. Tuttavia, se sei un lavoratore essenziale in prima linea non solo devi affrontare queste sfide, ma devi anche scegliere di andare a lavorare dove la possibilità di ammalarti tu stesso è maggiore. Questo ha terrorizzato molti lavoratori sanitari in tutto il mondo. Dovremmo prenderci un momento per riconoscere e rispettare i sacrifici di tutti. Sono un medico di prima linea e sono specializzata in anestesia. Siamo i medici che hanno i contatti più diretti con i pazienti COVID-19, perché lavoriamo sui tubi dei respiratori e ventilatori, in condizioni di esposizione tra le più pericolose. Lo facciamo per cercare di guadagnare tempo per i pazienti malati, quando la lotta per la loro vita diventa disperata. L'assistenza a pazienti con infezioni da COVID-19 è stata particolarmente straziante per me, perché raramente la famiglia o gli amici hanno il permesso di visitarli. Il paziente trascorre molto tempo da solo, la sua famiglia non può vederlo, se muore non c'è il funerale. Spesso siamo noi, operatori sanitari, l'ultimo viso che qualcuno vedrà mai. Come la maggior parte delle persone inizialmente, nel gennaio 2020, non ho preso sul serio questa pandemia. Poi ho assistito a ciò che stava succedendo in Italia, ho letto articoli di medici italiani su come, a causa delle risorse limitate, sono stati costretti a scegliere chi salvare.
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Guardare ciò che stava accadendo a livello globale mi ha causato ansia e paura. Non sapevo cosa avrei fatto se avessi dovuto scegliere a chi dare una possibilità di sopravvivenza. L'idea era profondamente inquietante.
Quando il virus è arrivato è stato uno shock Quando il virus è arrivato negli Stati Uniti i medici sono entrati in uno stato di shock, compresa me. Le mie precedenti paure si sono
trasformate in attacchi di panico quotidiani e mi sono trovata a dover cercare informazioni nuove e non tradizionali su pratiche come disinfettare gli indumenti protettivi monouso. Ci sentivamo impotenti perché non comprendevamo appieno ciò che stavamo combattendo o come identificare rapidamente le persone infette. Ero preoccupata di come avrei protetto me stessa (chiedendomi se fosse possibile) e di cosa avrei dovuto fare con la mia famiglia, se dovevo prendere le distanze dal mio bambino. Alcuni operatori sanitari si sono isolati dalle loro
I suoi nonni, Alfredo e Giuseppina, erano di Salobbi, frazione di Brez, in Val di Non. l genitori si chiamano John e Laurie
famiglie per andare a lavorare, ma io no. Ho trovato il modo di stare attenta e di decontaminarmi in ospedale prima di tornare a casa. Mi hanno irritato molto le persone che si lamentavano di essere "annoiate a casa". Invece di "annoiarmi" io dovevo andare al lavoro ogni giorno, in preda al panico, e sperare di non morire o, peggio, diventare un portatore asintomatico ed essere magari la responsabile della morte di mio marito o di mio figlio di due anni. Non ho ancora contratto il virus, ma a volte sembra sia solo questione di tempo. Non ero preparata per questa pandemia. La mia formazione medica è stata dedicata pochissimo alle pandemie e alle crisi di massa. La mia ipotesi è che anche la maggior parte degli altri operatori sanitari abbia avuto poca istruzione o esperienza in questo campo. Quindi, sfortunatamente, abbiamo dovuto imparare facendo. Le informazioni su come trattare al meglio i pazienti proteggendo il nostro personale dall'esposizione cambiavano molto rapidamente (a volte quotidianamente). Tutto ciò ha portato a procedere per tentativi e a commettere errori molto frustranti.
È stato come ritrovarsi in un assurdo incubo Vivere e lavorare durante questa pandemia è stato come ritrovarsi in un assurdo incubo. Ero paralizzata dalla paura di toccare o vedere qualcuno, ma dovevo comunque fare il mio lavoro. Sapevo che se non l'avessi fatto le persone sarebbero morte: era
dossier «Vivere questa esperienza mi ha cambiato sotto diversi aspetti: apprezzo maggiormente ciò che ho nella mia vita, dò più valore a piccole cose come le passeggiate e la natura. Non voglio perdere il nostro mondo»
così semplice. Lentamente, con il passare delle settimane, abbiamo imparato di più sul virus e sono diventata meno timorosa. Il mio ospedale, il Johns Hopkins a Baltimora, nel Maryland, ha ricevuto un incredibile sostegno e ci ha potuto fornire tutto ciò di cui avevamo bisogno, dai dispositivi di protezione individuale (DPI) altamente specializzati alla terapia per la salute mentale. Se qualcuno aveva bisogno di un giorno libero, ci si aiutava. La "squadra" era, ed è tuttora, tutto. Sono molto orgogliosa di lavorare per il mio sistema ospedaliero e mi sono sentita eccezionalmente curata e protetta. So che altri operatori sanitari non sono stati così fortunati. I miei genitori avevano paura che contraessi il virus e li esponessi. Inizialmente ci siamo in-
contrati solo in spazi aperti, con le maschere e a dieci piedi di distanza (circa tre metri). Ora abbiamo allentato un po' queste regole, ma la paura è ancora reale. Mio marito ed io ci controlliamo costantemente la febbre e altri segni fisici di COVID-19. Mio figlio è all'asilo nido (per i bambini dei primi soccorritori) e sono rimasta impressionata dalle misure di controllo messe in atto. Sono fortunata perché il mio ospedale mi permette di effettuare il test tramite il dipartimento di medicina del lavoro, in caso di ogni minimo dubbio: finora i miei test sono stati tutti negativi.
I media sono stati confusi e contraddittori Sui media non ho seguito nulla di ciò che è stato pubblicato online o detto in televisione. Ho utilizzato solo le informazioni fornite direttamente dagli esperti della Johns Hopkins. I media erano confusi, contraddittori e, a mio parere, fonte di panico di massa. Hanno indirizzato le persone verso due opposte posizioni: nell'avere molta paura di contrarre il virus o nel credere che non ci fosse alcun virus, dif-
fondendo anche notizie che sostenevano l'esistenza di una cospirazione gigante. Al momento non conosco le circostanze reali che hanno portato alla genesi e alla diffusione del virus. Ignoro totalmente le teorie del complotto su cosa sia o da dove provenga. Quello che so è che COVID-19 è qui, ora. E tutto quello che posso fare è prendermi cura di me stessa, della mia famiglia e dei miei pazienti al meglio delle mie capacità. Mi fanno impazzire invece le persone che non indossano le mascherine o non rispettano il distanziamento. Mi arrabbio perché chi non crede alla gravità della pandemia corre dei rischi e può mettere in pericolo me e la mia famiglia. Ma io ho prestato giuramento e sono tenuta a curare i malati, indipendentemente dalle loro convinzioni o azioni incuranti. Io non esco mai senza la mia mascherina e a volte sono stata anche derisa da estranei per averla indossata. Un giorno nel mio ufficio ho ricevuto uno studente. Quando è entrato ho applicato la maschera e mantenuto la distanza (come faccio per tutti). Quello stesso studente poco dopo si è scoperto avere il COVID-19 ed è stato ammalato per quattordici giorni.
Mi sentivo come se "il nemico" (il virus, non l'incolpevole studente) avesse violato il mio spazio privato. Se non fossi stata vigile mi sarei potuta ammalare. Le persone che non credono esista il COVID-19 e non vogliono indossare le loro maschere o rispettare la distanza sociale, credo siano quelle che non conoscono nessuno che ha sofferto ed è morto di COVID-19, o nessun lavoratore in prima linea con una paura quotidiana di esposizione. Solo questo può non farti veramente capire quanto sia grave ignorare le precauzioni di sicurezza. Vivere questa esperienza mi ha cambiato sotto diversi aspetti: apprezzo maggiormente ciò che ho nella mia vita, dò più valore a piccole cose come le passeggiate e la natura, pratico una pulizia meticolosa, curo la mia serenità mentale e sostengo il sistema scolastico. Non voglio perdere il nostro mondo. Sono fortunata a non essermi ancora ammalata e nessuno dei miei parenti stretti o amici intimi è morto, ma per alcuni la loro vita non tornerà mai alla "normalità", qualcuno ha subito la perdita di una persona cara. Kara G. Segna
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dossier la testimonianza di carol flaim infermiera DI TERAPIA INTENSIVA NEONATALE IN UN OSPEDALE Del connecticut
Curare persone sofferenti e sole è stata un'esperienza travolgente
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ono infermiera di terapia intensiva neonatale da vent’anni. L'anno scorso, in attesa del 2020, ero entusiasta perché sarebbe stato l'«Anno dell'Infermiera» in onore di Florence Nightingale e non ci sarebbe momento migliore per celebrare questo mio traguardo. Non avrei mai potuto immaginare cosa avrebbe invece portato con sé. Ho studiato al Molloy College, dove ho conseguito la laurea in Scienze Infermieristiche nel gennaio del 2000. Ho quindi iniziato a lavorare nell'Unità di Terapia Intensiva Neonatale del North Shore University Hospital di Manhasset. Lì ho imparato a prendermi cura dei neonati prematuri e in condizioni critiche. Negli anni ho lavorato anche nella terapia intensiva neonatale dello Stamford Hospital nel Connecticut e attualmente, da tredici anni, sono impegnata al Good Samaritan Hospital di West Islip. Non mi sono preoccupata quando ho sentito parlare per la prima volta del Covid 19. Poi la scuola ha chiuso e oltre a lavorare sono
«Siamo stati aggregati alle unità Covid. Abbiamo lavorato in squadre formate da due, a volte tre, infermiere per ogni paziente. Ho pianto dopo ogni turno per ogni famiglia che ha perso una persona cara» diventata anche insegnante per i miei quattro figli. Mio marito ha avuto la fortuna di poter lavorare da casa. Io invece dovevo andare a lavorare. Le paure erano molte perché c'erano tante incognite. C'era così tanto da imparare su questo virus e mentre gli aggiornamenti al lavoro erano ormai giornalieri, i letti si riempivano velocemente ed aumentava il bisogno di ventilatori. Inizialmente ho pensato che essendo un'infermiera di terapia intensiva neonatale sarei stata al sicuro con i bambini. Ma la nostra unità praticamente non lavorava, avevamo il minor numero di bambini che avessi mai visto. E così siamo stati aggregati alle unità Covid, con dispositivi di protezione personale adeguati. Abbiamo lavorato in squadre formate da due, a volte tre, infermiere per
ogni paziente. Persone sofferenti e sole, senza i loro familiari lì a confortarli. È stata la sensazione più travolgente che abbia mai provato in questa professione. Ho pianto dopo ogni turno per ogni famiglia che ha perso una persona cara. Ero preoccupata anche di portare a casa questo virus e dopo ogni mio turno ho passato molto tempo a disinfettarmi. Non vedevo l'ora di abbracciare i miei figli, che hanno imparato rapidamente la regola di non toccare la mamma finché non avessi finito la disinfezione. Col passare del tempo, abbiamo iniziato a vedere i pazienti migliorare. Invece di ascoltare codici ogni cinque minuti, ascoltavamo canzoni edificanti. "Just Breathe" suonava ogni volta che un paziente era in grado di rimuovere
un tubo di respirazione. "Here Comes the Sun" veniva riprodotto ogni volta che un paziente Covid veniva dimesso. Fortunatamente, nessuno dei bambini nella mia terapia intensiva neonatale è risultato positivo, altrimenti avremmo dovuto metterli in isolamento fino a quando due tamponi Covid non fossero risultati negativi. Attualmente sono responsabile dell'invio dei dati per il registro nazionale per l'infezione da Covid 19 perinatale, oltre alle normali giornate in terapia intensiva neonatale. È interessante vedere cosa abbiamo imparato finora. Sono così grata a tutte le persone della mia vita che mi hanno aiutato a superare questi mesi difficili. Questa esperienza mi ha cambiato e l'amore e il supporto che ho ricevuto mi hanno riempito il cuore. La vita è davvero un dono. Non sappiamo cosa porterà il domani ma è importante godersi ogni momento. Carol Flaim
Carol con la famiglia. I suoi genitori sono entrambi emigrati negli Stati Uniti dalla Val di Non: il papà si chiama Umberto ed è di Tregiovo e la mamma si chiama Giuseppina ed è di Cloz .
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I Circoli del Messico hanno ricordato padre José Benigno Zilli Manica
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acerdote cattolico e dottore in filosofia José Benigno Zilli Manica, meglio conosciuto come Padre Beny, discendente di italiani arrivati in Messico nel XIX secolo – con radici anche in Trentino, come testimonia uno dei suoi cognomi, Manica - ha studiato in Italia, Spagna e Germania. È stato professore presso la Facoltà di Filosofia dell'Università di Veracruz e Direttore presso la Facoltà di Filosofia Rafael Guizar y Valencia a Xalapa, nello stato di Veracruz, Mexico. Ha scritto diversi libri, sei dei quali dedicati allo studio dell'immigrazione dei coloni italiani in Messico. Una ricerca estesa a tutta la storia di immigrazione italiana: dal 1858, al trionfo della rivoluzione di Ayutla, fino ai Trentini arrivati nel 1924 (Italiani in Messico, Zilli Mánica José B., 2002). José Benigno è una figura ed un personaggio immortale: la sua ricerca letteraria ha permesso di far conoscere la storia dei migranti italiani in Messico. Nella Colonia Manuel González c'è un museo che ospita bellissime fotografie, articoli che i nostri nonni portarono dall'Italia, libri e figure ritrovate in questa regione. È stato fondato da Rafael Petrilli Morales, discendente di migranti italiani e amante della storia italiana in Messico, che, grazie al suo impegno e alla perseveranza, è riuscito a creare questo importante spazio in cui la cultura italo-messicana può essere apprezzata. Il museo è intitolato proprio a José Benigno Zilli Mánica in segno di gratitudine per il lavoro da lui svolto. Nel 2014 José Benigno Zilli Mánica fu insignito dell'Aquila di San Venceslao. In occasione della festa organizzata dal Circolo
Trentino di Córdoba e dal suo presidente Jaime Crivelli per gli 80 anni di José Benigno, la Provincia di Trento e l'associazione Trentini nel Mondo consegnarono a padre Beny la più
alta onorificenza provinciale. José Benigno è mancato il 24 novembre 2016, lasciando un vuoto nel cuore di centinaia di persone. È stato uomo di valori che ha saputo coniugare religione cattolica, educazione, storia e amore per le proprie radici. Grazie alle sue ricerche abbiamo appreso la storia dell'immigrazione italiana in Messico. Le sue opere più rappresentative sono "Italians en México" e "Tierra y Libertad", scritto insieme a Renzo Tommasi. Domenica 21 novembre padre José Benigno Zilli Mánica è stato ricordato con la deposizione di una corona di bellissimi fiori alla base del monumento di Padre Benigno situato nel parco Huatusco. Erano presenti Jaime Crivelli, presidente del circolo trentino di Córdoba, Gabriela Parissi, presidente dell'Associazione Bellunesi del Mondo in Messico, Emilio Zilli, presidente dell'Associazione italiana in Messico e CVonsole onorario d'Itlia a Veracruz, Mónica Fadanelli coordinatrice dei circoli trentini in Messico, María Isabel Debernardi presidente della tavola rotonda panamericana di Huatusco, la famiglia e gli amici. Martedì 24 novembre a Colonia Manuel González si è celebrata una messa, officiata dal parroco Pablo, allievo di José Benigno che lo ha ricordato con affetto. E' stato un momento emozionante, condiviso con la famiglia e gli amici. I Circoli trentini di Colonia Manuel González, Xalapa e Córdoba, hanno prodotto una serie di video in cui esprimono l'affetto e l'ammirazione per José Benigno Zilli Mánica: un modo per sentirsi vicino anche da lontano. Mónica del Carmen Fadanelli Figueroa, Coordinatrice dei Circoli trentini in Messico
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circoli IL CIRCOLO NON HA VOLUTO RINUNCIARE AD UNO DEI PIÙ ATTESI E GRADITI APPUNTAMENTI DEL SUO CALENDARIO ANNUALE
A Denver, polenta e spezzatino in versione «drive-through» L’ ultimo numero del notiziario del Circolo trentino del Colorado (Stati Uniti) si apre con un incoraggiamento: in prima pagina c’è infatti un invito a non lasciarsi sopraffare dalla negatività del periodo. L'umorismo è essenziale nei tempi difficili – si legge in copertina – e studi recenti hanno dimostrato che una bella risata può aumentare i nostri livelli di dopamina e sostenere il nostro sistema immunitario. A queste affermazioni fanno seguito una serie di battute e giochi di parole per regalare sorrisi, in inglese, accompagnati da due frasi in italiano: “Le cose belle arrivano quando non le cerchi” e “La vita e come una fotografia, se sorridi, viene meglio.” A firma di Aldo Svaldi nella pagina successiva c'è il racconto di una delle poche iniziative che il Circolo ha potuto organizzare in questo periodo di restrizioni e rigide normative anticovid: la distribuzione di polenta e piatti tipici attraverso il drive- through, l'asporto con ritiro direttamente dalle auto e la possibilità di con-
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sumare il pasto su "tavolate" allestite nel parcheggio del "Lodge Sons of Italy", che ha ospitato l'iniziativa. Questo il resoconto: La pandemia ha causato la cancellazione di molti eventi quest'anno, tra cui l'annuale picnic estivo con polenta. Per non rinunciare completamente all'importante evento, il 17 ottobre il circolo in collaborazione con il Denver Lodge Sons of Italy (il club che riunisce i discendenti italiani, promuove il patrimonio italiano e offre agli italoamericani un luogo dove fare amicizia),
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ha organizzato il primo drivethrough della polenta nell'ambito del "Mese del patrimonio italoamericano". Era forte il dubbio di quante persone si sarebbero presentate, dato che la polenta non è certo la prima cosa che viene in mente per un pasto drive-through. Ottima invece la risposta: anche grazie al tempo che ha aiutato, al parcheggio del "Lodge Sons of Italy" a nord di Denver sono stati venduti più di 100 pasti. Un grazie va alla Tesoriera Anna Vann, per aver organizzato l'evento e preparato in anticipo molti dei piatti, compreso il buonissimo spezzatino. Marlene Archer e Maria Svaldi hanno aiutato Anna a realizzare i grostoli. Mario Heinbaugh, il re della polenta in carica, e il segretario Mike Falagrady hanno preparato la polenta. Marlene, Mike, Anna, Pat Rome e Aldo Svaldi hanno aiutato a servire il cibo. Tutto mettendo in primo piano la sicurezza, que-
stione chiave rispettata a dovere, con le mascherine indossate dagli organizzatori. Il tempismo era un'altra sfida. Era previsto che i pasti venissero serviti dalle 11 alle 15, ma c'è stato qualche ritardatario che richiedeva altra polenta. Per fortuna è stata utilizzata la farina di polenta a cottura rapida, nonostante la perplessità di alcuni puristi. Ma una volta assaggiata nessuno si è più lamentato.
Grazie a tutti i volontari e a tutti coloro che hanno acquistato un pasto. Il Circolo ha raccolto circa 600 dollari. Ed infine un ringraziamento speciale va ai Figli d'Italia del Denver Lodge, che hanno condiviso la loro cucina, il parcheggio ed hanno lavorato a stretto contatto con noi per rendere l'evento un successo. Un ultimo capitolo sul notiziario è dedicato al mese di novembre, momento importante dell'anno per ogni americano. È infatti il mese del “tacchino”, ovvero del Thanksgiving, della Festa del Ringraziamento, che quest'anno si celebra il 26 novembre. Ma, come sottolinea la ricerca effettuata dal Circolo, ogni giorno di novembre ricorda qualcosa di particolare: c'è il giorno dei Nachos, delle caramelle, della cioccolata con le mandorle, ma anche dell'espresso o del cappuccino, e la giornata di invito ad usare meno cose.
E per dessert «grostoli» con ricetta
Il notiziario riporta anche la ricetta dei grostoli e si precisa che è la stessa seguita per preparare quelli distribuiti durante il drive-through. Eccola 4 tazze di farina; 2 uova; 1 cucchiaio di zucchero +3/4 di tazza di vino bianco; un pizzico di sale; 3 cucchiai di olio vegetale Mescolare uova, zucchero, vino, sale e olio fino a ottenere un composto omogeneo. Aggiungere lentamente la farina mescolando continuamente. Impastare fintanto che la pasta non risulta più appiccicosa. Assottigliare con il mattarello o mettere le sezioni di pasta attraverso la sfogliatrice a circa 1/4 di pollice di spessore. Con una rotella tagliapasta, tagliare la pasta in strisce larghe 1-1,5 pollici e lunghe 5 pollici. Pizzicare l'impasto al centro, come per fare un papillon. Versare in una padella di olio caldo e cuocere fino a doratura. Lasciar raffreddare su carta assorbente per assorbire il grasso in eccesso. Quando è pronto per servire, spolverare con lo zucchero a velo. Conservare a temperatura ambiente o in un luogo più fresco per un massimo di due settimane.
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untualmente, ogni due settimane, il Circolo trentino di Toronto (Canada) dirama via mail la sua newsletter «All things Trentini», con la quale aggiorna i soci sull'attività del Circolo e li informa su cosa accade nella comunità. Qui di seguito riportiamo una sintesi delle principali notizie riportate negli ultimi due numeri. Viene ad esempio decritta l'insolita modalità con cui si potrà incontrare quest'anno Babbo Natale: anche “Santa” si adatta al momento e sarà il web a rendere possibile il tradizionale incontro. Domenica 6 dicembre alle 14 Babbo Natale in collegamento dal Polo Nord farà un saluto generale a tutti per poi dedicarsi ai più piccoli: ogni bimbo sotto i 12 anni avrà un incontro personalizzato di circa un minuto. C'è poi la presentazione della nuova edizione del Festival del Cinema Italiano Contemporaneo. In collaborazione con Rogers Communications e con il Toronto Film Festival, l'ICFF diventa «ICFF at Home». Presentato da IC Savings, dal 29 novembre all'8 dicembre 2020 il festival sarà online in tutto il Canada. Sulla piattaforma web ci saranno tutti i quindici film in programma, introduzioni dei registi ed eventi virtuali. Lo streaming è geo-
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bloccato in Canada, tutti i film saranno disponibili in italiano con sottotitoli in inglese e alcuni in francese per i telespettatori del Quebec.
La storia del nuovo socio Matteo Kluc Tra le novità importanti del Circolo c'è l'arrivo di un nuovo trentino: Matteo Kluc (foto qui sopra). «Atterrato» in Canada lo scorso
3 ottobre, Matteo si presenta e racconta perché ha deciso di ripercorrere la stessa strada intrapresa dai nonni che lasciarono Trento per il Canada negli anni 50. «Sono nato a Trento, 26 anni fa. I miei nonni materni Carla e Bruno De Luca - Segatta emigrarono in Canada da Trento nel 1955 e si stabilirono in Ashburnham Road, a Toronto. Dopo la nascita di mia madre decisero di tornare in Italia e si stabilirono a Trento. Io, dopo gli studi, stavo trovando difficoltà nell'avviare una carriera in Trentino ed ho iniziato a considerare l'emigrazione una buona possibilità, come tanti altri trentini. Ho collaborato con la Protezione Civile Trentino, come volontario e per 3 anni come Delegato del Nucleo Maxi Emergenze di Trento, partecipando a diverse missioni di soccorso, come l'alluvione di Lavagna (Genova) e il terremoto di Amatrice, per cui mi è stata conferita la medaglia "FIDELITAS" del Dipartimento di Protezione Civile della Provincia di Trento come cittadino modello. Attraverso queste esperienze ho scoperto che la mia vera vocazione è aiutare e salvare le persone. Per questo sto perseguendo l'arruolamento nella Marina canadese, preferibilmente in ricerca e soccorso, unendo le mie due passioni. Grazie alla Trentini nel Mondo sono riuscito a portare a termine tutte le pratiche burocratiche per ottenere la doppia cittadinanza, evento che mi ha portato davvero grande gioia e speranza! L'anno scorso ho organizzato
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News dal Circolo di Toronto
un viaggio esplorativo in Canada dove David Corazza e Ivo Finotti mi hanno introdotto a questa nuova realtà e mi hanno fornito un aiuto importante. Anche Alessandro Ruggera dell'Istituto Italiano di Cultura è stato una fonte inesauribile di informazioni. Abbiamo completato la documentazione per un numero SIN (previdenza sociale), siamo stati all'ufficio di collocamento del Durham College Community per esaminare le opportunità di lavoro a breve termine ed abbiamo incontrato un ufficiale di reclutamento della Marina canadese presso il centro di reclutamento di Yonge Street per esaminare il mio stato e pianificare la via da seguire. Tornato in Italia, ho organizzato la mia vita per facilitare il trasferimento all'estero ma purtroppo, l'attuale pandemia ha ritardato il trasferimento. Attualmente risiedo a Mississauga
fino al 3 dicembre, dopodiché mi piacerebbe avvicinarmi alla città di Toronto e ai trasporti pubblici. Non vedo l'ora che la situazione pandemica si risolva per abbracciare pienamente la comunità trentina in Ontario». Un divertente dizionario Covid-dialetto trentino introduce poi ad un viaggio vero e proprio dentro il territorio: si va a conoscere il paese di Cloz grazie ad un podcast, supplemento a un articolo pubblicato sul sito web di Trentino Genealogy chiamato "Cloz in Val di Non: storia, documenti parrocchiali, cognomi locali". Nel podcast Lynn Serafinn propone idee e suggerimenti per la ricerca genealogica, con esempi specifici tratti dalla sua ricerca nella parrocchia di Cloz. Una foto che ritrae Benny (Amo) Corazza nel giorno in cui ha compiuto 85 anni (il 6 novem-
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bre), offre lo spunto per rivolgergli tanti auguri di buon compleanno. Entrambe le newsletter si concludono con due storie, quella di Giuseppina Facinelli Fellin e quella della famiglia Agosti, «prese in prestito» dalla sezione «Family stories» del Circolo trentino di Seattle (USA): «Le storie
di famiglia dei nostri membri - si legge nella presentazione della sezione (che si può consultare a questo indirizzo https://seattletrentinoclub.org/family-stories/) - si intrecciano per formare il tessuto della nostra storia culturale di trentini e tirolesi americani. Sono un'importante testimonianza della nostra particolare storia di immigrati e di coloro che ci hanno preceduto. Le storie di famiglia qui presentate forniscono informazioni sul motivo per cui le persone sono partite, dove vivevano, quali occupazioni svolgevano, come hanno prosperato e quali valori hanno. Ci auguriamo che questa collezione possa servire come storia vivente del nostro patrimonio e dei nostri antenati.” A questo proposito, il Circolo di Toronto lancia un appello: «se qualcuno in Canada è interessato a scrivere sulla propria famiglia, saremo onorati di pubblicarlo».
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A Bento Gonçalves pranzo comunitario nel pieno rispetto delle regole anticovid
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Domenica scorsa il Circolo trentino di Bento Gonçalves (nel Rio Grande do Sul, in Brasile) ha organizzato un pranzo comunitario, in collaborazione con la Comunidade das Neves. Ovviamente si è trattato di un pranzo comunitario che ha rispettato tutte le disposizioni previste per prevenire il contagio da Coronavirus: gli oltre 160 partecipanti dovevano indossare mascherine,
rispettare la distanza interpersonale e igienizzarsi le mani. E il pranzo è stato servito con il sistema del drive-thru. Il menù prevedeva bigoli alla bolognese, pollo, maiale, insalata e sagù, un tipico dessert del sud del Brasile a base di tapioca, zucchero e vino rosso. Il pranzo è stato organizzato con diversi obiettivi: innanzitutto per continuare a coinvolgere la comunità locale in
iniziative di carattere sociale e poi per raccogliere fondi da destinare a pitturare le pareti esterne del Ponto de cutura Vale dos vinhedos, che è anche sede del Circolo trentino. È stata una giornata di sole du-
rante la quale la chiesa Nostra signora della neve, detta anche chiesa del vino, è rimasta aperta per tutta la giornata. È stata organizzata anche una lotteria, che ha molto rallegrato i presenti: fra i premi in palio c’era anche un carretto.
La Convention ITTONA si svolgerà dal 23 al 25 luglio 2021 La prossima convention dei Circoli trentini del Nord America si svolgerà dal 23 al 25 luglio dell’anno prossimo ad Albany, nello stato di New York (Stati Uniti): lo ha deliberato l’annuale riunione di Ittona, la federazione dei circoli trentini degli Stati Uniti e del Canada. La convention è una manifestazione che si svolge ogni due anni. Era programmata per l’estate scorsa ma la pandemia ha costretto gli organizzatori ad annullarla. Albany, che la ospiterà l’anno prossimo, era la città scelta come sede per l’edizione di quest’anno. Un'altra città nello stato di New York ha
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ospitato in passato una Convention: si tratta di Solvay, nel 2008: nella foto qui a fianco un momento di quella Convention. Alla riunione hanno partecipato i presidenti o loro rappresentanti, dei Circoli di Alliance, Seattle, New England, Utah, New York, San Francisco, Cleveland, Toronto, Montreal, e Vancouver. Nel fare un bilancio dell’attività di quest’anno, tutti i Circoli hanno riferito che la pandemia ha impedito di organizzare gli incontri che erano stati programmati. La riunione si è conclusa concordando la data della prossima, fissata per il 20 febbraio 2021.
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Le notizie i dai nostr tori Coordina
Caro Maurizio, ti inoltro questo articolo che mi hanno inviato dal Circolo Trentino di Malabrigo. Ti invio anche delle foto. Un forte abbraccio. Oscar Menapace
A Malabrigo i giardini più belli della città sono di tre soci del Circolo trentino
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Malabrigo (Santa Fe - Argentina), ogni anno, dal 1988, per celebrare l'arrivo della primavera, si tiene un concorso in cui vengono premiati i giardini più colorati e belli. In vista di questo evento la comunità si prepara anno dopo anno addobbando di fiori le proprie case. Così anche quest'anno al suo arrivo la primavera è stata accolta a Malabrigo da bellissimi giardini in tutte le case della città.
La cosa più sorprendente dell'edizione di quest'anno del concorso è che i primi tre posti sono stati ottenuti da soci del Circolo Trentino. I vincitori sono stati: • 1 ° Premio - Giardino della famiglia Ricardo Yoris ed Elba Magnago (foto in alto). • 2 ° Premio - Giardino delle famiglie Ricardo Moschén e Delia Magnago. • 3 ° Premio - Giardino della Famiglia Orlan-
do Alesso ed Elba Cattarozzi. Il premio consiste nell'esenzione dall'imposta sugli immobili. Il Circolo Trentino di Malabrigo si congratula con tutti i residenti che ogni anno abbelliscono la città e in particolare con i soci che quest'anno hanno vinto il concorso. Il loro impegno e la loro dedizione si riflettono nel colore dei nostri giardini. Circolo trentino di Malabrigo
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rinomati ćevapi sono presenti in tutta l’area dei cosiddetti paesi balcanici e sono conosciuti anche come ćevapčići. Ma tra la Bosnia ed Erzegovina ed un piatto di ćevapi esiste un legame che va ben oltre quello che si crea fra un territorio e il suo piatto tipico: è un vero e proprio retaggio culturale. Da sempre c’è in corso una silenziosa battaglia per essere i migliori nel prepararli. È diventata una questione di prestigio nell’arte culinaria. Lo è sia per la infinita competizione tra i maestri rosticcieri – ćevapdžije (ognuno con la propria ricetta segreta) per renderlo sempre più gustoso e più unico sia per dimostrare «chi fu il primo», cioè chi lo ha inventato e chi lo ha reso «più tradizionale del solito tradizionale». La Bosnia moderna ormai conosce quattro ricette ufficiali di ćevapi, quattro tipi, quattro modi di cottura e addirittura quattro diversi contorni) . Non mancano poi le peculiarità nei modi in cui vengono serviti in tavola. Se doveste visitare la Bosnia oggi le raccomandazioni su dove mangiare i ćevapi migliori in tutto il paese variano a seconda delle zone dove si viaggia. Così vi saranno caldamente consigliati quelli di Sarajevo oppure quelli di Travnik. Allontanandosi da quelle città il primato passerà a quelli di Tuzla oppure a quelli di Banja Luka. Quattro città e quattro ricette tradizionali. Mi soffermo sulla ricetta di Banja Luka per raccontare una storia molto interessante. Mentre nelle altre città bosniache, e non solo, la famosa pagnotta inzuppata (detta lepinja - lepigna), indispensabile quando si parla di questo piatto, viene riempita con salsicciotti “singoli”, a Banja Luka, apparentemente da sempre, nella pagnotta i salsicciotti vengono serviti in una “piastra da quattro”. Questi ćevapi di Banja Luka, particolari soprattutto per il fatto che non sono veri e propri salsicciotti ma piuttosto un quadrato composto da quattro ćevapi, diventati un vero brand locale, devono tutta la loro fama che li rende unici, sapore particolare incluso, ad un umile e quasi sconosciuto macellaio, ma grande inventore in questo caso, di origini trentine. Il suo nome è Giovanni Clazzer. Ho fatto la sua «conoscenza» grazie ad un commento postato su un forum di internet. A scrivere i propri ricordi e a nominare, per me per la prima volta, Giovanni Clazzer (Klaser nella grafia bosniaca) era il padre di una cara amica, Herbert Winkler-Kini: una persona che va annoverata fra coloro che erano l’anima di quella città forse per sempre perduta. Figlio di immigrati trentini, valsuganotti, Celestino e Katharina Holtmann, Giovanni
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Giovanni Clazzer, «inventore» dei ćevapi di Banja Luka
Clazzer nasce nel 1916 a Mahovljani (colonia tirolese dal 1883). Appartenevano quindi alla seconda generazione dei trentini bosniaci. A dodici anni si trasferisce nella vicina città di Banja Luka, centro amministrativo del governo austroungarico. Comincia a studiare per diventare macellaio, fin da subito con la precisa idea di diventare «ćevapdžija» ossia colui che prepara l’impasto per i ćevapi ma anche la
persona, rosticciere, che in grado di prepararli nel miglior modo. Tradizionalmente cuocendoli su una semplice griglia o piastra. Le testimonianze raccontano che era capitato da uno degli insegnati migliori, un ristoratore rinomato di quell’epoca di nome Jovo Dimitrijević. Fino alla fine della Seconda guerra mondiale Giovanni restò a lavorare sempre come dipendente, macellaio onesto e molto rispettato. Subito dopo decise di mettersi in proprio e aprire una rosticceria caratteristica di quell’epoca, chiamata come dappertutto semplicemente «ćevabdžinica», dove vendeva i ćevapi e altre prelibatezze di carne preparate e cucinate sempre con le sue mani. Non è rimasto imprenditore a lungo. Un giorno nella sua bottega si presentarono dei funzionari statali e gli comunicarono che dal giorno successivo avrebbe lavorato come capo nella macelleria del prestigioso, oggi come a quell’epoca, Hotel Bosna, nel centro storico di Banja Luka. Non erano i tempi i cui si poteva rifiutare un’«occasione» del genere. Fu costretto a “serar la botega”. Da quel giorno Giovanni Clazzer diventerà una persona molto importante per la città e per i suoi cittadini anche se effettivamente non lo saprà mai. Durante il suo servizio nella macelleria dell’Hotel Bosna, fino al 1970, Giovanni oltre ad avere tanta responsabilità nel rifornire di prodotti di qualità la cucina dell’albergo e altri tre ristoranti che facevano parte della catena, ebbe anche molte opportunità per sperimentare. Era nella sua indole cercare sempre qualche miglioria, per dare un tocco di originalità a quello che produceva, anche se non ce n’era la necessità. Infatti, in quel periodo a Banja Luka per i ristoranti della catena dell’Hotel Bosna non esisteva una vera concorrenza. La prima mossa che fece per migliorare la lavorazione della carne macinata mista neces-
Foto Elvir Padalovic
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saria per fare i ćevapi, fu modificare una vecchia tritacarne austriaca utilizzata per fare le salsicce. Grazie ad un apposito imbuto, da questo macchinario uscivano quattro identici filoncini di carne macinata lunghi circa un metro, preparati seguendo la sua ricetta, ovviamente. Poi i filoncini venivano tagliati per formare i salsiciotti/ćevapi singoli, lunghi circa otto centimetri. Come tali sarebbero stati il prodotto finale. Poi un giorno il «maestro Giovanni» decise, solo lui saprà perché, di lasciare attaccati i filoncini di carne macinata e tagliarli in modo da ottenere una specie di quadrato composto da quattro «ćevapi vecchio stile». Era un semplice trucco che li rendeva diversi visivamente ma anche nel sapore, perché diventavano molto più succosi. Una piccola rivoluzione. Non è un caso se sia la ricetta di Giovanni che la decisione di offrire un piatto tradizionale in una nuova veste, renderà famosi tanti altri rosticcieri usciti dalla sua scuola. Il modo di fare ćevapi creato da Giovanni sarà in poco tempo adottato da tutti i maestri – ćevapdžije della città che volevano essere al passo con i tempi. Fu addirittura artigianalmente realizzato un imbuto «da quattro» (nella foto a centro pagina) che permetteva di ottenere lo stesso risultato con un solo passaggio invece dei quattro prima necessari. A partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso a Banja
Figlio di immigrati trentini, valsuganotti, nasce nel 1916 in Bosnia Erzegovina a Mahovljani. Impara il mestiere di macellaio, lavora per rinomati ristoranti, elabora una sua personale e segreta ricetta per il più tradizionale dei piatti bosniaci e ne cambia la forma, subito imitato dagli altri rosticcieri che vogliono essere al passo con i tempi
Luka quasi tutti i ristoratori offrivano i ćevapi nell’aspetto inventato da Giovanni Clazzer. Tra di loro, uno dei tanti apprendisti, ci fu Mujo Djuzel, al quale Giovanni trasmise tutto il suo sapere, che renderà i ćevapi di Banja Luka famosi molto di più di quanto si possa immaginare, trattandosi di un piatto semplice ma molto versatile nel diventare così diverso grazie alle tante sfumature e ai trucchi di chi lo produce. La genialità di Mujo e la sua tenacia nel lasciare la sua impronta nello sconfinato ricettario dei «ćevapi migliori», hanno fatto sì che i buongu-
stai sia del resto della Bosnia che quelli delle altre repubbliche ex jugoslave affermassero all’unanimità che valeva la pena fare i chilometri necessari per ▬«assaggiare i ćevapi da Mujo». Per poi tornare sempre, una volta assaggiati! «Anche quando il sapore scompariva dalla bocca il profumo proveniente dalla rosticceria “Kod Muje” restava impresso nella memoria per tanti anni», si diceva. Non possiamo affermarlo con certezza ma probabilmente senza un geniale inventore trentino e un altrettanto geniale suo apprendista bosniaco, i ćevapi di Banja Luka oggi sarebbero come nel resto dell’area. Invece non lo sono. Questa è la storia e deve essere scritta e ricordata come tale. Dal 1970 al 1974, l’anno in cui andrà in pensione, Giovanni riaprirà di nuovo una piccola rosticceria nella località conosciuta come «paskulina ciglana» (fornace di Pascolo, dal nome di un altro imprenditore italiano che ha lasciato segni indelebili da quelle parti della Bosnia) i cui ruderi esistevano fino all’inizio degli anni Novanta. Sposato con Anna Steiner, Giovanni (scomparso nel 1977) ha avuto due figli. Il maggiore Emil perse la vita in un incidente stradale nel 1976 mentre il minore Bruno, anche lui molto apprezzato rosticciere-ćevapdžija, dopo l’esodo della popolazione non serba di Banja Luka e dei suoi dintorni, con la moglie Božana e la famiglia è emigrato in Australia, dove vive a Brisbane. A loro due, oltre ai tanti altri che mi hanno aiutato, come Predrag Čanak, Renata Stjepanović Vidović, Ado Hodžić e Vjeko KranjČić, i miei sinceri ringraziamenti per le fotografie private concesse e per la storia familiare che hanno molto volentieri condiviso con me. Edvard Cucek NELLE FOTO. In alto a destra una foto giovanile di Giovanni e, qui a fianco, la cevapdzinica aperta da Giovanni nel 1970 e chiusa nel 1974 quando è andato in pensione. Sulla pagina a fianco, Giovanni insieme alla moglie Anna Steiner, morta a Brisbane in Australia nel 2002, e ai due figli, Bruno ed Emil.
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60 anni d’Europa
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Trattati fondativi dell’Unione europea riconoscono il diritto di cittadine e cittadini ad essere informati su ciò che fanno le istituzioni europee. Il diritto alla trasparenza è richiamato in numerosi regolamenti europei e anche la partecipazione alle scelte è codificata con vari strumenti come questionari, forum, meeting. Oltre a ciò, per ampliare e rafforzare la comunicazione politica, è previsto da tempo che i partiti europei e le loro fondazioni (che sono regolamentati secondo norme europee) si impegnino in particolare su questo terreno che rappresenta una delle voci che motivano il loro finanziamento europeo. Il Parlamento europeo ha approvato il 3 maggio 2018 una risoluzione, relatrice Barbara Spinelli (figlia di Altiero, autore con Rossi e Colorni del Manifesto di Ventotene), una risoluzione sul pluralismo e la libertà dei media nell’ Unione europea. Ma nonostante l’impegno del Parlamento e della Commissione europea che ha istituito uno strumento scientifico, il “Media Pluralism Monitor”, che pubblica annualmente un rapporto sullo stato del pluralismo nei media europei, possiamo dire che ancora non si è pervenuti alla creazione di una effettiva opinione pubblica europea. Il dibattito politico avviene prevalentemente, se non esclusivamente, su base politica nazionale, mentre quello europeo è codificato secondo una sorta di logica binaria, “noi di Francia, Italia, ecc. e loro di Bruxelles”. Negli ultimi anni, osserva Roberto Musacchio, già parlamentare europeo, il dibattito ha subito una degenerazione in una sorta di derby tra populisti ed élite. Molteplici sono le cause di tale situazione, alcune connaturate al fatto che le istituzioni europee hanno un funzionamento sui generis, un misto di comunitarismo fortemente condizionato da logiche intergovernative saldamente in mano agli Stati membri, con un Parlamento che non ha poteri di iniziativa legislativa, non forma vere maggioranze politiche, non esprime né controlla normalmente il governo rappresentato dalla Commissione. La legislazione europea è molto tecnicizzata e, sostanzialmente, impermeabile alla politica. I soggetti politici e sociali, partiti, associazioni sindacali e imprenditoriali, non hanno una vera vita europea anche perché non sono previsti livelli nei quali essa venga esercitata “normalmente”. Non esiste una contrattazione sociale europea. Se è questo lo scenario europeo, molto sinte-
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Opinione pubblica europea cercasi Costruirne una non significa limitarsi a far sapere cosa fanno le sue istituzioni, ma decidere di realizzare un’Europa democratica fondata sulla cittadinanza
ticamente richiamato, si riescono a comprendere le tante difficoltà che si frappongono a una comprensione e a una gestione condivisa della pandemia da coronavirus. Dopo il sì di Consiglio e Parlamento al Fondo di 750 miliardi di euro per la ripresa, alcuni Paesi, Polonia e Ungheria in primis, ma non solo, pongono il veto all’approvazione del bilancio pluriennale UE. E ancora manca l’approvazione dei Parlamenti nazionali che non può ritenersi scontato, data la prossimità di elezioni politiche in alcuni Stati membri. Il nostro Paese, era facilmente prevedibile, si fa richiamare dalla Commissione per i ritardi accumulati nell’approccio al Recovery Fund. Come ha osservato il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, per «ritardo non si intende carenza di rispetto del calendario stabilito dalla Commissione europea bensì la differenza di velocità oramai evidente rispetto a Parigi e Berlino, che da almeno due settimane hanno già concordato cinque grandi temi - 5G, idrogeno, infrastrutture, ambiente e telecomunicazioni - su cui puntare per sviluppare progetti comuni capaci di risollevare l’intera Unione». Per riuscirci, il progetto di Francia e Germania ha bisogno del terzo grande partner europeo che è l’Italia ancora indecisa a far conoscere le sue priorità.
Pesano sul ritardo italiano le resistenza di una parte del Movimento Cinque Stelle sul ricorso al MES e alla sua riforma che viene percepita dalle capitali europee come atteggiamento anti-europeo di matrice populista che ha caratterizzato l’esperienza del primo governo Conte. Ne consegue che la posizione dell’Italia risulta indebolita nell’Unione europea perché riporta alla ribalta la presenza di elementi populisti nella coalizione di maggioranza che sono destinati a mettere il premier sotto pressione da parte dei partner più importanti, come lucidamente osserva il direttore di Repubblica. Si rischia un corto circuito che può produrre guasti imprevedibili nella coalizione di governo e all’interno della realtà produttiva e sociale del nostro Paese, le cui componenti di impresa e lavoro chiedono da tempo di essere coinvolte nella predisposizione dei progetti per la ripartenza. Ripartenza per la quale devono essere coinvolti anche i territori secondo le linee tracciate dalla Commissione europea e ribadite il 28 novembre dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen all’inaugurazione dell’Anno accademico alla Bocconi. Serve conoscenza puntuale e profonda delle priorità di cui ha bisogno il nostro Paese, visione strategica, abilità e determinazione politica, capacità di governance a livello centrale e periferico. Informazione, lucidità, sforzo di persuasione per raccogliere ogni energia possibile per animare speranza e voglia di fare per la ripresa. È fondamentale il ruolo che può svolgere un’opinione pubblica formata e orientata al sostegno di questi obiettivi e a questa scommessa per la quale un’attenzione particolare va rivolta alle giovani generazioni. Occorre fare presto e bene, ci sono energie che devono essere valorizzate a partire dai territori come giustamente ricorda il sindaco di Trento Ianeselli in un puntuale intervento ospitato recentemente dal giornale l’Adige e come giustamente e lucidamente richiamano le forze politiche di minoranza all’interno del Consiglio provinciale. Sono questi gli ingredienti sui quali lavorare per costruire e consolidare un’opinione pubblica informata sulle opportunità europee che dai territori dell’Unione possa progressivamente irradiarsi a livello nazionale ed europeo. Perché «costruire un’opinione pubblica europea non significa limitarsi a far sapere cosa fanno le sue istituzioni, ma vuol dire decidere di realizzare un’Europa democratica fondata sulla cittadinanza». Vittorino Rodaro 29 novembre 2020
IL MONUMENTO SI TROVA IN PIAZZA DANTE A TRENTO
Un serpente piumato per ricordare padre Kino
Foto: Adela Zotaj, 2020
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asseggiando per piazza Dante a Trento, sicuramente vi sarà capitato di notare un curioso monumento in pietra calcarea locale impropriamente definita marmo, che rappresenta un serpente piumato, simbolo della civiltà Maya, dedicato a Eusebio Francesco Chini missionario Trentino, conosciuto anche come Padre Kino. Nasce a Segno in Val di Non il 10 agosto del 1645, frequenta il Collegio dei Gesuiti di Trento, successivamente si trasferisce ad Hall nel Tirolo per gli studi liceali. Nel 1663 a seguito di una grave malattia e di una miracolosa guarigione, attribuita all’intercessione di San Francesco Saverio, entra nella compagnia di Gesù con il nome di Francesco Eusebio. Nel 1678 intraprende il viaggio che da Genova lo porterà in Spagna, e successivamente nel 1681, salpa da Cadice e dopo 96 giorni di navigazione arriva a Veracruz nel Messico, allora chiamato Nuova Spagna. Tra il 1681 e il 1686 compie varie esplorazioni, in qualità di cappellano e cosmografo regio (un precursore del moderno geografo) in cui ha modo di esplorare il territorio e di conoscere i nativi. Dal 1687 fino alla sua morte si dedica alla vita di missionario e all’opera di evangelizzazione delle tribù nella Pimerìa Alta, un’area tra il Messico settentrionale e l’Arizona. Fonda molte missioni e lavora insieme ai nativi, contribuendo al progresso economico e tecnologico delle popolazioni, portando avanti l’opera di evangelizzazione nel rispetto della persona e della dignità. Tutelò strenuamente gli interessi degli indiani contro
la prepotenza dei conquistatori; Padre Eusebio Chini fa valere il decreto reale, emanato da Carlo II di Spagna, in cui si ordinava che i neofiti ed i battezzati, fossero esentati per vent'anni dal pagare tributi ed esonerati dai lavori pesanti nelle miniere. Con l’aiuto di altri missionari introdusse la coltivazione di frutta e verdura quali uva, mele, cavoli e cipolle che erano sconosciute ai nativi del posto, così come pure la coltivazione del frumento invernale resistente alle basse temperature e alle gelate. Padre Chini introdusse tra gli indiani Pima l’allevamento del bestiame e la lavorazione del ferro, contribuendo allo sviluppo economico di una terra desertica, bruciata dal sole. I suoi studi e le sue esplorazioni furono molto importanti nel campo geografico, tanto che nel 1702 sfatò il mito introdotto nel terzo decennio del XVII secolo, secondo cui la California del Sud non sarebbe stata parte della terra ferma ma bensì una grande isola. Padre Eusebio Chini dedicò la sua missione al miglioramento delle condizioni di vita dei nativi in una terra difficile e colonizzata anche con metodi brutali. Morì il 15 marzo del 1711 a Magdalena in Messico, oggi conosciuta come Magdalena de Kino in suo onore. Il 14 Febbraio 1965, venne nominato rappresentante e fondatore dello stato dell’Arizona e gli fu dedicata una statua, all’interno del palazzo del Congresso degli Stati Uniti. Oggi Padre Eusebio Chini è ricordato in Messico, negli Stati Uniti e nella sua terra natale il Trentino. Daniele Cristofolini
BIBLIOGRAFIA. Padre Kino, L’avventura di Eusebio Francesco Chini, Marilena Defrancesco e Marco Viola, Arti Grafiche Manfrini, Calliano (TN), 1988.
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dal Trentino
Prestigioso riconoscimento internazionale alla Fondazione Mach di San Michele all'Adige per gli studi sugli aromi del Gewürztraminer 28
Nuovo importante riconoscimento internazionale per la ricerca enologica della Fondazione Edmund Mach. La Fondazione Rudolf Hermanns di Geisenheim (Germania), che da trent’anni valorizza i lavori che contribuiscono all'aggiornamento della conoscenza in ambito viticolo, enologico e orticolo, ha premiato l’attività di ricerca e innovazione condotta nel settore dell’enologia da Tomas Roman e Roberto Larcher, responsabili rispettivamente dell’Unità trasformazione e conservazione e del Dipartimento Alimenti e Trasformazione del Centro Trasferimento Tecnologico. Il premio internazionale è stato assegnato per la rilevanza scientifica dei risultati ottenuti nell’avanzamento delle conoscenze chimiche e tecnologiche utili al
miglioramento dell’espressione aromatica del vino Gewürztraminer. In particolare, i due ricercatori della Fondazione Mach, affiancandosi ai pochissimi italiani che in passato hanno ottenuto questo riconoscimento, vanno ad aggiungersi ai 55 premiati internazionali provenienti da 15 Paesi,
dalla Russia agli Stati Uniti, sommandosi in ambito vitienologico a quelli di Carbonneau, Dubourdieu, Schultz, Fregoni, Intrieri o Poni fra gli altri. Da 146 anni la Fondazione Edmund Mach rappresenta per la viti-enologia internazionale una realtà prestigiosa. E proprio in questo comparto ogni anno si
moltiplicano riconoscimenti sotto il profilo della formazione, della ricerca e del trasferimento tecnologico. La ricerca enologica sviluppata presso il Centro Trasferimento Tecnologico - dopo lo stesso riconoscimento ottenuto nel 2001 dal dr. Giorgio Nicolini – si conferma così di assoluto valore nel contesto internazionale per la qualità e la capacità di innovazione. I risultati premiati sono stati raggiunti grazie alle sinergie fra il laboratorio chimico e la cantina sperimentale e di microvinificazione, supportati dall’unità viticola e dal co-finanziamento alle attività di sperimentazione di CAVIT s.c. e della Cantina Roveré della Luna – Aichholz s.c.a, confermandosi di concreta utilità per il settore e per il territorio. Ufficio Stampa FEM
Scorcio dalla Paganella per la «Quarta di copertina in musica» Anche in questo numero del giornale sulla quarta di copertina compare un «QR Code», che consente di ascoltare una musica che, secondo la redazione, ben si presta a fare da «colonna sonora» alla fotografia pubblicata. Coloro che hanno un cellulare con l’applicazione che legge i QR Code, devono semplicemente inqua-
drare il codice e saranno indirizzati ad una pagina del sito internet della Trentini nel mondo, da dove, attraverso un successivo link, potranno ascoltare il brano scelto come «colonna sonora». Per tutti gli altri, basterà digitare sul cellulare o sul computer, l’indirizzo riportato qui sotto.
http://www.trentininelmondo.it/component/content/article/820.html 9/10 - 2020
MODULO PER LA RICHIESTA DI ADESIONE IN QUALITÀ DI SOCIO ASSOCIAZIONE TRENTINI NEL MONDO ONLUS VIA MALFATTI 21 - 38122 TRENTO
IL SOTTOSCRITTO/A NATO/A A
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RESIDENTE IN VIA
N.
CITTÁ
COD. POST.
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INDIRIZZO E-MAIL
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Autorizzo l’invio delle comunicazioni ufficiali tramite l’indirizzo di posta elettronica Avendo preso visione dello Statuto che regola l’Associazione (*) Condividendo la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative Essendo consapevole della gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti Essendo consapevole delle finalità di solidarietà sociale che l’Associazione promuove Avendo preso visione dell’informativa sui dati personali (*)
CHIEDE al fine di poter ricevere la rivista Trentini nel Mondo e partecipare alla vita dell’Associazione, di essere iscritto/a all’associazione di volontariato ASSOCIAZIONE TRENTINI NEL MONDO ONLUS in qualità di aderente Socio. Distinti saluti.
LUOGO E DATA
FIRMA
(*) Disponibili sul sito www.trentininelmondo.it 9/10 - 2020
Foto: Enzo Tomasi
Il QR Code consente di ascoltare la «colonna sonora» di questa fotografia scattata dalla Paganella: a pagina 28 tutte le informazioni sull’iniziativa.