RIVISTA ONLINE 2016
SPECIAL EDITION
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Gioia Tauro (RC) 89013 RIVISTA ONLINE
Al Suono Delle Eolie
Al morir del suono delle Eolie Placa l’ira e dorme l’errante Odisseo. I Ciclopi dal Mongibello Lanciano incandescenti sassi, lapilli e sbuffano nubi nere, mentre le Sirene ammaliano i naviganti che osano varcare lo Stretto. Scilla e Cariddi Si guardano in cagnesco Nel tempo ,al pizzichìo delle Eolie, Omero canta, Vulcano e Stromboli chiamano il fratello Etna ed al risveglio trema Zancle e Rhegjon Soave tramonto al morir del suono delle Eolie! ROCCO GIUSEPPE TASSONE
INDICE
- Acri (cs) “tra storia e mito” -Intervista ai membri dell’ ass. “Acri antica Pandosia”
Acri (CS) tra storia e il mito
Acri, cittadina situata nella media valle del Crati tra campagne coltivate e uliveti si presenta estesa su tre colli: Padìa, il borgo antico, con la sua torre civica detta “Rocca dei bruzi” e la chiesa di Santa Maria Maggiore, i quartieri Picitti (quartiere dei greci) e Odivella i quali si inerpicano fino alla cima del castello, antica fortezza posta a guardia della profonda valle nella quale scorrono i fiumi principali: il Mucone e il Chalamo. Altri corsi d’acqua minori che attraversano il territorio acrese sono: il Cieracò, il Duglia (fiume degli schiavi), il San Martino, il Coriglianeto (nel 1400 chiamato Lucifero), il Chàdamia, il Trionto (antico Trantes o Taetris), il Galatrella (nel medioevo detto Garlathio). Il territorio di Acri è altresì ricco di acque potabili e non a caso veniva chiamato dai Romani Idrusia, e cioè “La città delle acque”.La parte più consistente del territorio di Acri è dominata dalla Sila Greca, il quale era ricordato dal poeta e storico Norman Douglas e definito “Il Granaio della Calabria”. L’altra parte del territorio acrese, si sviluppa prevalentemente sui costoni della Presila e lungo tutta la vallata dei due fiumi maggiori. Nel paesaggio, i boschi di castagno lasciano ben presto il posto alle foreste di pino silvestre , pino mugo e pino nero calabro; molto varia è, nel suo insieme la flora montana.Una delle vette più alte e conosciute è quella che porta il nome di Scangiamoneta, ed ancora più in alto, a quota 1.481 metri, troviamo la cima del monte Paleparto (da Palepatos), un luogo di grande bellezza naturalistica fra i più apprezzati della Calabria per la sua purezza incontaminata.La città di Acri è situata a 720 metri sul livello del mare e il suo territorio si estende per oltre 20.000 ettari.Dopo aver collocato per sommi capi la cittadina di Acri nella sua naturale ubicazione, passiamo ad esaminare in breve quella che è la storia più remota, l’origine della città fin dai tempi più antichi.Come è noto, numerose e diversificate nel corso del tempo sono state le ipotesi sull’origine della città e sulla sua presunta assimilazione con la mitica città di Pandosia.Per maggiore sicurezza, facciamo affidamento dunque alle fonti scritte, grande bacino di informazioni, per ricostruire in qualche modo quella che è l’immagine di quest’area così promettente dal punto di vista archeologico.
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Come lo studio del territorio indica, tra l’Eneolitico e il Bronzo Finale, nel territorio dell’odierna Acri era presente un consistente insediamento umano. I reperti dimostrano che esso era popolato da quella che possiamo identificare con la prima popolazione giunta su quelle terre, gli Enotri, a cui succedettero sul territorio gli Osco-Umbri, i Sanniti, quindi i Lucani ed infine i Bruzi. Ciò è deducibile dalla presenza della cittadina di Acri nell’elenco delle località bruzie esistenti già nell’anno 1240 a.C. A ciò si aggiunge quel che lo storico Davide Andreotti Loria scrive in “Storia dei cosentini”, facendo un altro elenco di città: “Acrae, Albistria, Blanda, Besidie, Cerre, Lao, Nucria, Napezia, Tyllesion”. Ancora scrive sulle origini di Acri: “Acri e l’antica Aciris, che declinava come metabo, vale a dire: Aciris, Aceruntis, Acherontis”. Precisa poi che il nome non è di origine greca: « [...] Che Acri, adunque, fu l’antica Aciria o Acherontia lo prova uno de suoi fiumi detto ne’ tempi Osci Acherante ed Acironti, ne’ tempi greci Acheros, nei mezzani, Cironti, ed oggi Caramo e Calamo. Del resto essendo Acri antichissima abitazione dei primitivi coloni Osci, che prendeva denominazione da’ prossimi monti ove sorgeva, è chiaro che dovesse appellarsi Aciria ed Acherontia, quando il fiume che le scorreva presso, appellavasi Acironte ed Acheros». Lo stesso studioso, collegando e identificando le sorti della cittadina di Acri all’antica Pandosia bruzia spiega ancora: “Pandosia nei cui pressi trovò la morte Alessandro il Molosso era dunque posta sopra Cosenza. Non può ricercarsi in Castelfranco, odierna Castrolibero - come sostiene il Barrio e quanti ad esso si rifanno - perché non posta nella posizione indicata da Strabone. Questi vuole che Pandosia sorgesse sopra Cosenza - ma non si troverebbe sopra Cosenza se si ponesse in Castelfranco; perché al tempo che Strabone scrivea, Cosenza era tutta al di qua del Crati sui monti Gramazio, Venere e Triglio; e Castelfranco, in una postura che non sovrasta affatto Cosenza...>>. Quanto alla denominazione, alcuni studiosi affermano tuttora che il nome della cittadina non si rifaccia alla presenza di un fiume, bensì che derivi dal greco ἄκρα (Akra) che significa “sommità”. Ma vediamo altre opinioni di studiosi, riguardo all’ipotetica identificazione Acri/Pandosia: Francesco Grillo, a favore di questa identificazione, scrive: «Proprio in questa zona (Acri) ritengo si debba ricercare l’antichissima Pandosia, perché ad essa si riferiscono sostanzialmente i testi antichi ». Apprendiamo infatti chiaramente dagli scritti di Strabone che, circa nel 331 a.C., l’istmo Thurii-Cerilli, che misurava trecento stadi (circa 55 km), segnava il confine Bruzio-Lucano; che la metropoli dei Bruzi era Cosentia e che un poco a nord di Cosentia sorgeva Pandosia, notevole fortezza, cinta da difese naturali, presso la quale, vicino il fiume Acheronte, era stato ucciso Alessandro il Molosso. Anche Livio, riferisce l’episodio della morte del Molosso in uno dei suoi migliori codici sulla occupazione di varie città dell’Apulia, della Lucania e del Bruzio e delle città di Cosentia e di Acrentinam da parte dello stesso nel 326 a.C. Narra la sua sosta presso Pandosia, città del Bruzio, quasi al confine della Lucania e che tra essa città ed il fiume Acheronte, venne ucciso, che del suo cadavere tagliato in due, una metà fu mandata a Cosenza, mentre l’altra, fu oggetto di profanazione sul luogo stesso, ed i miseri resti mutilati vennero dunque gettati dai Bruzi nell’Acheronte e vennero in seguito devotamente raccolti dalle acque dai greci della Repubblica di Thurii per dare al malcapitato un’onorata sepoltura. Plinio non cita Pandosia, ma fornisce notizie sulla zona del fiume Acheronte e sulla comunità che viveva in sua prossimità. Tali nozioni fanno chiaramente intuire la vicinanza di Pandosia al fiume Acheronte (Moccone), poiché egli afferma: «Nella penisola del fiume Acheronte abitano gli Acherontini che ne derivano il nome... >>. Riprendendo questa affermazione di Plinio, Grillo così conclude: <<Pandosia città degli Acherontini, dunque, era probabilmente situata nella parte più alta dell’antica Acri, detta Pàdìa il cui nome evidentemente ricorda quello di Pandosia; e per Acherontini devonsi intendere le genti di Acrantinam, o Ocriculum, o di Acra che sono tutt’uno con l’attuale Acri». Il prof. Giuseppe Fiamma scrive sul periodico Confronto: «La posizione elevata in questo primo nucleo di Acri corrisponde all’attuale Padia, che, nell’etimologia del nome richiama la mitica Pandosia. A questo proposito, ricordo che il famoso archeologo Amedeo Maiuri, nella sua opera “Arte e civiltà nell’Italia antica”, ha inserito una cartina geografica della Magna Grecia, nella quale la città di Pandosia appare proprio qui situata.
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In un’altra cartina del 1200, da me rintracciata nell’Archivio dei Sanseverino, attualmente custodito nel grande Archivio di Stato di Napoli, il nome di Pandosia si trovava in Acri, perché in essa la contrada che oggi è chiamata con il toponimo di Pantano d’Olmo, veniva indicata con quello di Pandosia d’Olmo». Proseguendo con la nostra selezione di “voci dalla storia” ecco ciò che scrive il professor E.Greco sulla Guida Archeologica: «Pandosia bruzia è detta sede del re degli Enotri da Strabone e quindi dovette essere un centro importante tra l’Età del Bronzo antico e quella del Ferro. In epoca più recente è ricordata perché presso il fiume Acheronte, che era nelle sue vicinanze, fu assassinato il re d’Epiro Alessandro il Molosso (331 a. C)». Un ultimo ed ulteriore riferimento importante per una tentata localizzazione ed eventuale identificazione è la testimonianza di Aristotele, che ubicava la città di Pandosia a “sei ore di marcia a cavallo dalla costa nell’entroterra”. Dunque, rifacendoci ad un calcolo approssimativo, l’andatura media di un cavallo in buone condizioni è di circa 6–10 km/h, per cui la distanza citata da Aristotele equivale a circa 35 – 40 km, ossia all’incirca la distanza che separa Acri dal mare Ionio e poco più dal mare Tirreno, seguendo l’istmo delle vie fluviali del cosentino. Una volta inquadrate brevemente le origini di Acri e le varie ipotesi sulla sua identificazione con la Pandosia Bruzia, concludiamo la nostra presentazione passando in rassegna i più rilevanti ritrovamenti avvenuti sul territorio. Secondo la descrizione degli archeologi che hanno preso parte allo studio del territorio, nonché alla classificazione e datazione dei rinvenimenti, si può dedurre che l’area acrese, costituisce il primo abitato all’aperto della provincia di Cosenza risalente all’età del Bronzo Antico. Inoltre, ad un’attenta osservazione dei reperti rinvenuti nel corso del tempo, interessante si presenta il contesto culturale dell’area acrese nel suo complesso, il quale appare discretamente diverso dal modello di Sibari e della sua area di influenza, e, tuttavia, vi sono analogie e legami con il quadro culturale Campano, Lucano e Pugliese oltre che con quello delle Isole Eolie. Nel 1997 ricordiamo un ritrovamento di 14 monete: una greca da Crotone con tripode e Nike alata; due monete di Gallieno , Giulia Domna, Uranio Antonino e di Tiberio, una di Dyrrhachium (l’illirica Durazzo), due monete greche di Thurii ed altre, ancora da identificare, ma di quasi certa provenienza Alessandrina (Alessandria d’Egitto). Fu rinvenuto inoltre un reperto metallico (il quale pare facesse parte di una corazza bruzia), un anello digitale in oro giallo di forma serpeggiante, di epoca imprecisata e di probabile origine semitica. Ancora, attorno al 1998, un lavoro condotto dalla Soprintendenza archeologica della Calabria, in accordo con la cattedra di Protostoria Europea dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha portato alla luce i resti di un insediamento umano situato alle pendici del Colle Dogna, in prossimità del centro storico di Acri. Qui, sotto la direzione tecnica e scientifica di Silvana Luppino, sono stati effettuati dei saggi di scavo nell’area di un insediamento ubicato su di un terrazzo a mezza costa di un’altura. I reperti più antichi rinvenuti, sono stati datati all’inizio dell’Eneolitico (3500-2800 a.C.), con somiglianze alla facies di Laterza, mentre i più recenti sono risalenti all’Età del bronzo antico o del tardo eneolitico, quasi identici alle facies di Palma Campania.Nella parte inferiore della stratigrafia,di rilievo è stata l’individuazione di frammenti di pareti con la consueta decorazione a squame di tradizione eneolitica, frammenti con la caratteristica decorazione incisa a due file inferiori e delle peculiari anse a nastro con sopraelevazione a bottone. La parte più alta invece è costituita da forme ceramiche completamente diverse dalle precedenti nonché una serie di fogge carenate, dai boccaletti alle tazze con ansa a nastro verticale, con ciotole con due file superiori. Quanto a rinvenimenti posteriori, alcuni indizi porterebbero a 3
pensare a reperti di origine funeraria, ma, nonostante tale ipotesi, non può essere affatto esclusa l’appartenenza di tali indizi ad un contesto abitativo stabile. Nel 2002 infine, in località Policaretto (a circa 10 km dal centro storico acrese), un ennesimo sito di interesse archeologico è stato identificato a seguito di una segnalazione dell’Archeoclub d’Italia. Il sito in questione risulta composto di due insediamenti posizionati uno di fronte all’altro, sul pianoro che si estende a Sud-Ovest del fiume Mucone; l’estensione dell’insediamento doveva dunque essere assai elevata, in quanto esso andava ad interessare diverse cime collinari. A seguito della segnalazione, nel mese di luglio 2002, ha avuto inizio una campagna di scavi nelle località Policaretto e Gastia, resa possibile da una generosa donazione da parte della Fondazione culturale Vincenzo Padula. Durante gli interventi attuati sul territorio sono stati rinvenuti materiali identici a quelli già citati di Colle Dogna, in numero assai maggiore, e, soprattutto, ritenuti da alcuni studiosi addirittura più antichi.
Tra i rinvenimenti più interessanti, nei saggi di scavo, in particolare nelle frazioni di Piano del Barone, Policaretto, Gastia e Valle del Mucone, è segnalato il ritrovamento di forni per la lavorazione della ceramica, di vasellame di tipo bruzio e i resti di una villa romana, risalenti al II°-I° secolo a.C., oltre a punte di freccia in ossidiana e selce, frammenti di ceramiche locali, resti di ceramica greca arcaica (di tipo Kylix) a vernice nera in stile protogeometrico, oggetti in bronzo di piccole dimensioni e infine varie monete greche attualmente conservate al Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide. Dopo questa breve panoramica sui tre aspetti principali da considerare ai fini della nostra trattazione (geografico, storico e archeologico), entriamo nel vivo dell’argomento, andiamo “dritti al cuore” del discorso che si preannuncia ricco e appassionante. Passiamo dunque il testimone a chi questa cittadina la vive ogni giorno e soprattutto, a chi ne è appassionato, cediamo la parola a chi ad Acri lotta per portare avanti la “cultura della cultura”, a chi vi fa talvolta scoperte sorprendenti. Di seguito dunque ecco l’intervista a più voci proposta dalla redazione di CESAR, alla quale i nostri “ospiti di questo numero” hanno gentilmente collaborato.
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E’ un soleggiato pomeriggio di novembre, quando, i quattro delegati rappresentanti dell’Associazione culturale CESAR, intraprendono il piccolo viaggio che li porterà ad incontrare dei “colleghi di cultura” nella cittadina di Acri. E’ ancora presto quando il quartetto parte dalla città di Cosenza. Pian piano, in un clima generale di grande curiosità ed aspettativa per l’imminente incontro, la strada scorre sotto le ruote e la meta si approssima. L’entusiasmo è generale, l’eccitazione palpabile, ed i commenti si susseguono in serie di contraccolpi. Opinioni, progetti, ipotesi … L’imminente incontro infatti, con i rappresentanti dell’Associazione culturale Acri antica Pandosia, si preannuncia ricco di contenuti e molto allettante dal punto di vista culturale e storico.Una volta giunti ad Acri, i quatto di CESAR si fermano ad attendere il presidente dell’Associazione del luogo, il quale sosta poco accanto a loro.
Ad un tratto il passante che si rivela essere il Professor Vaccaro in persona (presidente di Acri antica Pandosia), finalmente, con una semplice domanda rompe il ghiaccio, e, una volta che tutti hanno riconosciuto tutti l’incontro può iniziare.E inizia brillantemente.La reciproca accoglienza, l’entusiasmo, la cordialità, la stima e l’interesse per i medesimi fatti fanno subito da collante tra le varie personalità in fase di conoscenza. Il gruppo si sposta dunque in un luogo più appropriato che la semplice via in cui è avvenuto il primo incontro, ed ecco che si aggiunge il dottor Fiorito, membro anch’egli dell’Associazione acrese. Non manca più nessuno e l’intervista tanto attesa può avere inizio.Introduce il dottor Fiorito, con qualche breve battuta iniziale.Innanzi tutto, bisogna precisare chi è il Dottor Fiorito. E’ un uomo corretto, che crede nell’autorità della Soprintendenza ai beni culturali (fede che si traduce in coerenti opere, poiché, una volta avvenuto il ritrovamento di cui ampiamente parleremo in seguito, egli ha prontamente avvisato le autorità competenti!); ma Fiorito è anche un grande appassionato di numismatica, un uomo di cultura, un infaticabile “investigatore dei luoghi e della storia”. Studioso dei testi di Capalbo, lettore accanito che, per documentarsi, tornaspesso nei luoghi interessati dai suoi studi per identificare e scovare ciò che di volta in volta cerca.Fiorito infatti, è il primo a scoprire e a mappare i siti interessanti dal punto di vista archeologico nel circondario: Colledogne, Mucone, Piano della Duchessa ecc. Dei dieci siti da Fiorito indicati, soltanto uno ad oggi è stato indagato a fondo. Le potenzialità del territorio tuttavia, sono alquanto interessanti e, aggiungeremmo noi, allettanti!Opera addirittura una cartina dei rinvenimenti (compresi oggetti in oro), per possedere un quadro chiaro e completo del suo lavoro appassionato.Setaccia così con cura le zone che sembrano più interessanti rinvenendo cocci (riconosciuti principalmente grazie all’esperienza, notando l’impasto non raffinato ecc). Il suo operato è metodico, costante, instancabile. Fino a che, la storia lo premia. E lo fa in modo magnanimo. A questo punto, ecco che gli inviati di CESAR, non resistono più. E’ il momento di chiedere a fondo per poter offrire ai nostri lettori la storia dei ritrovamenti di Acri passo dopo passo. Si procede dunque con la prima domanda.
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Saverio Modaffari: “Entriamo nel vivo della nostra intervista. Dottor Fiorito, sarebbe così gentile da raccontare a tutti i lettori di CESAR come è avvenuto il ritrovamento che ci ha portati qui oggi, in che circostanze, le modalità, ma anche la sua reazione, il suo modo di procedere nell’intera faccenda?” Angelo Fiorito: “Innanzi tutto è bene chiarire dal principio che il ritrovamento di cui parleremo è stato del tutto fortuito. Certo, la passione per l’archeologia e l’antichità in genere non manca, tuttavia questa scoperta è stata davvero una gran bella sorpresa. Il ritrovamento è avvenuto in pieno centro storico (lungo il versante meridionale della Torre Civica, ubicata nel Rione Castello), per la precisione nella parte apicale, vicino una struttura alto medievale in cui era già stato rinvenuto materiale d’epoca. Dopo un colpo d’occhio fortuito, avendo notato qualcosa di estremamente interessante, mi recai con Vaccaro per un servizio fotografico più accurato, ma pur sempre con molta discrezione, tentando di non dare nell’occhio, essendo la zona in questione molto abitata. In seguito tornai per indagare con più calma.Ciò che avevo avvistato, si rivelò essere un insieme composto da tre monete.Nella zona suddetta, oltre alle monete (più rare), si è trovato molto altro.Le monete erano conservate nel carbonato di calcio, materiale in cui le monete stesse erano “incastonate”. Le monete erano tre. Una di esse è tuttora in attesa di pulitura a causa del materiale accumulato attorno, in quanto racchiusa in un blocco di meno di 10 cm.Giorgia Gargano (archeologa) si sta interessando della classificazione a livello numismatico dei reperti, definendo bronzetti di Metaponto del IV secolo a.C le monete rinvenute, poiché portano impressa la scritta “Metaponto”e la civetta simbolo della città.In particolare la seconda moneta pare abbia l’iscrizione “Demetra”, ipotizzata di fattura locrese ma resta ancora incerta la sua provenienza reale. Quanto ai provvedimenti attuati subito dopo il rinvenimento, abbiamo chiamato l’archeologo il quale ha redatto il verbale di consegna (la zona in questione, non è nuova a reperti di tale tipo anche se oggi purtroppo è quasi interamente urbanizzata), l’area infatti, vide susseguirsi la presenza di diverse dominazioni come normanni, aragonesi ecc, ed è dunque densa di testimonianze del passato. Per quel che riguarda l’aspetto emotivo, ricordo la grande emozione, anzi le emozioni. Era il massimo, non si sapeva cosa fare, molte furono le chiamate (sempre contenute nei toni) per conoscere il passo successivo da operare con la consueta prudenza. Dopo aver comunicato l’accaduto alla sovrintendenza, infine sono stati contattati i giornali. I reperti (come tutti i ritrovamenti avvenuti in precedenza negli anni 1997-2002, sono stati denunciati ed i reperti consegnati alle autorità competenti, all’Ufficio scavi di Sibari, presso il Museo Archeologico Nazionale della sibaritide, presso Cassano allo Ionio).L’associazione ha voluto dimostrare nella consegna dei reperti allo Stato, che ciò che si trova deve essere consegnato, indipendentemente da tutto, per un senso di correttezza civica, di identità culturale, di utilità alla comunità”.
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Saverio Modaffari: “Bene Dottor Fiorito, grazie per la splendida testimonianza fornita ai nostri lettori, ci ha emozionati con il suo racconto, speriamo che i ritrovamenti di cui ci ha appena parlato, siano i primi di una lunga serie”. Dopo la prima domanda, si entra ancor più nella tematica del giorno, il dibattito si accende e si autoalimenta di opinioni, risposte e nuovi quesiti. Pare davvero che l’argomento non accenni ad esaurirsi, affatto. Anzi, più passa il tempo, più il tutto si arricchisce di dettagli, prende forma, attira, incuriosisce, ci si ripete, si sottolinea ciò che più colpisce, fino a che, non prende la parola (ora formalmente, ai fini della nostra intervista), il presidente dell’Associazione Acri antica Pandosia, il Professor Vaccaro. Incominciando il suo intervento, Vaccaro compie con commozione un breve excursus del “come” è effettivamente nata la realtà di “Acri Antica Pandosia”, sin dalle sue origini. Vaccaro: “La nostra esperienza ha avuto il suo inizio circa un anno e mezzo fa, sul web, grazie al vivo interesse assai dinamico e propositivo del signor Turano e del professor Di Salvatore, suo grande amico, per una grande comunanza di interessi sulla storia antica. I due amici aprirono un forum online chiamato “Pandosia bruzia”, pubblicandovi fotografie, copie e citazioni di opere classiche, arrivando ben presto a fare uso di tale forum con regolarità e intensità. Poco dopo il nome del forum venne modificato in “Acri Antica Pandosia città degli Enotri”, il quale a sua volta divenne “Acri Antica Pandosia Capitale degli Enotri”. I like su facebook aumentarono in fretta e numerosi iscritti si aggregarono al forum (circa 400 persone).Numeri assai buoni per quella che poco dopo divenne un’Associazione Culturale. Ad Agosto venne formalizzata a tutti gli effetti e risultò costituita da un nucleo iniziale di nove persone: Fiorito ed io, due donne, il sindaco, Pisarra, Di Salvatore e Turano e Rosanna Fiamma”. Dopo questa generale premessa, utile a porre un “quando” e un “chi” ben definiti al nostro percorso, l’intervista prosegue incalzante. Saverio Modaffari: “Grazie professor Vaccaro per la sua introduzione particolareggiata. Ora, se non le dispiace passiamo a discutere di qualcosa di più specifico: potrebbe parlarci degli obiettivi dell’Associazione di cui lei è presidente, degli scopi e delle motivazioni che spingono a perseguirli?”. Angelo Vaccaro: “Obiettivo primario, oserei dire che è quello non poco impegnativo e ambizioso di risvegliare l’interesse della città sulle ricerche archeologiche.Tengo per inciso a precisare che la denominazione dell’Associazione è scelta sulla base di un passato glorioso e remoto, non per rivendicare nulla, ma al fine di annoverare la città di Acri tra le “Pandosie presunte”, poiché studiosi come Fiamma, Capalbo, Douglas, Strabone e altri della stessa grande statura culturale, volevano indicare la collina di Acri come Pandosia, tuttavia, la denominazione prescelta lungi dal voler avere l’esclusiva resta un puro richiamo al passato, alla ricerca, a questa grande possibilità. Tornando a discutere di obiettivi, abbiamo parlato di risvegliare istinti culturali nella popolazione, rinnovare e incentivare l’interesse circa l’ambiente e il paesaggio locali e non solo. Uno dei nostri “strumenti” potremmo dire, per riportare la popolazione locale alla cultura del suo passato, è la presentazione di libri di Bevilacqua (libri sulla Calabria), i quali offrono una visione della nostra terra come “terra che si risveglia”, ed è facendo leva su quest’importante senso di appartenenza e identità che noi di “Acri Antica Pandosia” vogliamo procedere.Uno dei nostri scopi è dare il giusto peso, la giusta importanza e considerazione all’identità antica soprattutto, in quanto essa è secondo noi fondamentale per il presente e per il futuro.Basti dire che nel circondario sono stati rinvenuti reperti dell’età del bronzo, dell’età del ferro e di età romana, enotri e bretti. 7
Una terra la nostra, ricca di passato insomma, tutta da scoprire, da considerare, da indagare, da riconsiderare, non da lasciare nell’oblio.Bisogna pertanto fare leva sull’inizio, sulle origini. Ancora, l’associazione ha tra i suoi interessi anche la toponomastica. I toponimi da noi considerati sono tutti di origine greca, ad esempio località “Coraca”, vicino il luogo di rinvenimento delle monete, o ancora Mucone, da Mucon, Santa Maria di Padìa da Pandìa, Pandosia, e altre frazioni come Pandoccia.Ricordo infatti, a proposito dell’importanza della lingua greca per noi (la quale è presente infatti anche nei nostri dialetti) che al tempo in cui frequentavo il liceo classico, il prof Belsito Enrico di letteratura greca, faceva giocare noi suoi studenti a trovare toponimi e parole di derivazione greca e anche letture su Pandosia città degli Enotri. La mia passione perciò ha radici profondamente ancorate nel tempo. Vorrei infine porre l’accento su una questione che a mio avviso non è di poca importanza; forse esula dalla domanda che stiamo trattando però è bene notare che attorno ad Acri vi sono ben 159 frazioni, sulle montagne densamente abitate. Acri abita le sue montagne (Cerasello, Policaretto ecc). Comportamento questo tipicamente brettio ed enotrio, poiché anche essi abitarono le loro montagne, non le pianure. Detto questo non dilungo oltre la trattazione, procediamo con la domanda seguente, vorrei unicamente dire che non è finita qui, non ci fermeremo ai primi ritrovamenti, Acri ci riserva di certo molte altre sorprese e noi siamo qui per scoprirle!”.
Saverio Modaffari: “Che dire Professor Vaccaro, il trasporto con il quale lei esprime la sua esperienza, la sua opinione, le sue motivazioni sono veramente toccanti e genuine. Passiamo perciò adesso più oltre nella nostra intervista. Andiamo a parlare di fattori tecnici. Potrebbe illustrare ai nostri lettori, il ruolo che andrà a svolgere l’Associazione “Acri Antica Pandosia” nelle future operazioni di carattere archeologico?” Vaccaro: “Beh, da un punto di vista prettamente pratico, si è svolto a tal proposito un tavolo tecnico con l’Associazione ACRA (ricerca archeologica), assieme all’autorità comunale (nella persona del vicesindaco), con Taliano Grasso e Vanzetti della Sapienza e l’Associazione Padula di Acri. E’ stato così diffuso un comunicato stampa per dire che la nostra Associazione, qualora sia necessario, si è resa disponibile ad offrire supporto materiale, culturale, tecnico, logistico, aiuti in termini di persone e luoghi per conservare, aiuto nella sensibilizzazione della gente al fine di dare sviluppo ed impulso alle attività stesse. Personalmente ritengo che il nostro territorio sia come il Kwait. Lì buchi e trovi petrolio, qui scavi e trovi storia!
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Inoltre, sempre in ambito archeologico, un progetto che sta molto a cuore a tutti gli associati di “Acri Antica Pandosia” è quello riguardante il Museo che l’associazione vorrebbe allestire, il quale dovrebbe raccogliere materiale proveniente da Crotone, Sibari ecc, recuperando i reperti da Boston o anche dal British Museum di Londra se necessario. Il Museo a nostro avviso dovrebbe essere dedicato alla Dottoressa Luppino, la quale tanto si è battuta per la riqualificazione e la ricerca sul territorio di Acri. Un altro progetto che contiamo di realizzare, è la pubblicazione di un articolo su “Old Calabria”- il capolavoro di Douglas- nella ricorrenza del centenario dalla sua pubblicazione, da lanciare su varie riviste culturali. Inoltre salendo al castello di Acri, sarebbe molto bello porre una epigrafe in marmo su un muro, in cui starà scritto: “A Norman Douglas, mitico viaggiatore del grand tour”. Non su carta ma su pietra o materiale simile, duro, possente e robusto, come miliare dei 100 anni di ricorrenza. Una targa che possa divenire memoria storica intesa come risveglio, che possa risvegliare la curiosità e l’amore per un passato così ricco. (La targa in questione è stata effettivamente posta in loco nel dicembre 2015). Poiché, in ogni collaborazione offerta, in ogni evento organizzato, in ogni iniziativa presa, non bisogna perdere di vista l’obiettivo primario dell’Associazione, ossia sensibilizzare e riprendere ciò che va riscoperto. La Calabria di Alvaro e Repaci, ricca, va messa in condizione di sfruttare la sua risorsa principale: la storia”. Saverio Modaffari: “Grazie di tutto Professore, il suo intervento è stato estremamente esaustivo e ben chiaro. In conclusione della nostra intervista, colgo l’occasione per ringraziare da parte della redazione di CESAR e anche da parte dei nostri lettori lei e il Dottor Fiorito per il tempo a noi concesso”Subito dopo un dibattito così ampio e ricco, gli inviati di CESAR prendono congedo dal presidente e dal Dottor Fiorito. C’è molta soddisfazione da ambo le parti, ma anche una certa commozione, da parte nostra per aver udito tante notizie e tanto amore per la nostra terra, da parte dei fondatori di “Acri Antica Pandosia” per una forte sintonia e comunanza d’intenti riscontrata con gli inviati di CESAR, un feeling culturale molto vivace potremmo dire.Tuttavia, l’inchiesta sui fatti di Acri, non finisce qui. Non si è infatti esaurita l’indagine alla sola intervista dei testimoni diretti dei ritrovamenti, ma si è andati oltre, in un territorio che non è localizzato: il web. Il Professor Turano infatti, (creatore assieme a Di Salvatore del forum su Pandosia) ha cortesemente aderito alle nostre richieste di informazioni, fornendo la sua personale testimonianza riguardo ai fatti sopracitati (in particolare soffermandosi sull’origine della realtà virtuale del forum da lui creato). Ha così risposto ad una domanda di nostra formulazione mediante una e-mail inviata alla redazione di CESAR. Saverio Modaffari:“Cosa l’ha spinta a creare il forum “ACRI ANTICA PANDOSIA”? Ci indichi quanto si è evoluto il gruppo dalla sua costituzione fino ad oggi” Risposta di Giovanni Turano:“Caro Saverio,ti ringrazio e rispondo molto volentieri alla domanda su che cosa mi ha spinto a creare la pagina Facebook “Acri Pandosia Capitale degli Enotri”. La ragione principale è stata che un giorno la curiosità mi ha mosso alla ricerca delle mie origini calabresi, però man mano che consultavo nella rete le pagine sulla storia della Magna Grecia mai mi riusciva di trovare qualche discussione oppure testi antichi che parlassero del popolo degli Enotri e della loro Capitale Pandosia. Un giorno lavorando sulla pagina Facebook della mia libreria/agenzia di Como, ho pensato: perché non aprire anche su questo social network (che normalmente si occupa di relazioni tra persone anche se per lo più quasi tutte virtuali), una discussione specifica su questo periodo storico molto importante per la conoscenza dei primi 9
popoli italici ma poco cono iuto e discusso nei social network? Certamente una bella sfida su un tema e una materia che considerando appunto il periodo storico non è affatto di facile lettura e discussione .A questo punto bisognava creare una rete che insieme ai miei amici e compagni di viaggio tra cui il prof. Angelo Vaccaro, il dott. Salvatore Ferraro, il prof. Massimo Di Salvatore e il sig. Angelo Fiorito, in quasi due anni con pazienza e molto impegno siamo riusciti a realizzare, arrivando ad avere nel gruppo tra studiosi ed amanti della storia antica quasi 500 amici che ringrazio ancora tantissimo, anche perché con il loro indispensabile sostegno ci hanno permesso di raggiungere finora degli ottimi risultati. Dopo 7 anni dagli ultimi scavi, finalmente si pensa che a breve verrà firmata una convenzione tra il comune di Acri e la Soprintendenza su un progetto archeologico presentato dal prof. Taliano Grasso con la collaborazione del dott. Damiano Pisarra.Inoltre, in aggiunta al nostro gruppo Facebook da poco abbiamo anche creato un’associazione culturale (Acri Antica Pandosia) che collaborerà con gli archeologi su questo progetto. Insomma il viaggio è appena iniziato, ed a tutti i calabresi che vorranno aggregarsi dico che la porta della nostra associazione è aperta; se riusciremo a trovare l’ubicazione dell’antica Pandosia, forse troveremo anche le radici indigene della storia di tutti noi. Un caro saluto, Giovanni Turano”. Per finire, ultimo ma non da ultimo, la nostra inchiesta si completa e si arricchisce di nuovi dettagli grazie all’intervento particolareggiato del Professor Massimo Di Salvatore, il quale, con grande disponibilità pari a quella del Dottor Turano, ha collaborato tempestivamente all’arricchimento del puzzle che la nostra redazione sta costruendo per esporre con chiarezza i fatti di Acri, il suo grande potenziale storico, la presenza sul suo territorio di Associazioni culturali valide e determinate a far valere il principio dell’apprezzamento della cultura tra la popolazione.Come il Dottor Turano, anche Di Salvatore ci scrive via mail la sua testimonianza e il suo pensiero circa l’argomento trattato. L’intervista online stavolta si compone di tre domande alle quali il nostro interlocutore risponde con slancio e con grande dovizia di dettagli. Saverio Modaffari: “La configurazione geo-morfologica del territorio assolve, secondo lei, un ruolo fondamentale nella ricerca della perduta città dei Brettii? (se sì, indichi le particolarità che avvalorano tale ipotesi; inoltre, se lo desidera, può illustrare alcuni criteri mediante i quali le popolazioni locali decidevano di stanziarsi in una determinata area specificando le diverse modalità con cui questo avveniva)”. Massimo Di Salvatore: “Raccolgo dalla domanda una questione essenziale per l’impostazione degli studi e delle ricerche che ci interessano. Parliamo di una città antica presso Acri, perduta. Diciamo “perduta”, perché di essa non sembra essere rimasta alcuna traccia certa e univoca. Qualcuno si potrebbe chiedere se davvero vi esistette mai una città nei tempi antichi e se non si tratti solo di fantasie di eruditi e sognatori. Ma noi vogliamo agire in modo rigoroso, da scienziati, e sappiamo bene che il compito che ci attende è impegnativo. Siamo inoltre consapevoli che i risultati attesi potrebbero avere un impatto considerevole sulle conoscenze e interpretazioni relative alla più antica storia della Calabria e della Magna Grecia, andando a intaccare modelli interpretativi che si sono fissati nella oramai lunga tradizione degli studi. Preciso che qui dovrò limitarmi a considerazioni di ordine molto generale e orientative, senza potermi addentrare in discussioni specifiche sulla documentazione e sulla bibliografia.Nella sua opera del 1881, La Grande-Grèce, paysages et histoire, un allora famoso archeologo francese, François Lenormant, con grande acume e intuizione discuteva e respingeva ogni tentativo di localizzare l’antica Pandosia in altri luoghi che non fossero nella valle del Mucone, presso Acri. In occasione del suo viaggio in Calabria, Lenormant – come lui stesso dichiara – non ebbe modo di percorrere e visitare né la valle né la città ma, sulle sue orme e con le sue stesse convinzioni, si mosse e vi fece visita, agli inizi del ‘900, uno scrittore inglese, Norman Douglas, del cui libro, Old Calabria, recentemente gli Acritani hanno voluto celebrare il centenario della pubblicazione (1915). 10
Attraverso Lenormant e Douglas, e anche grazie alla preziosa documentazione di storici ed eruditi locali (V. Padula, G. Marchese, G. Abbruzzo, G. Fiamma), troviamo dunque accostato il nome della medievale e moderna Acri a quello della più antica Pandosia. Ma se di Pandosia si tratta, non possiamo in alcun modo parlare di una città dei Brettii, popolo che compare all’orizzonte della storia non prima della metà del IV sec. a.C. Come le sue bellissime monete confermano, Pandosia fu invece certamente una città organizzata sul modello greco, coeva della grande Sybaris. Ma qui risiede la questione essenziale e anche l’equivoco. Ben prima che i coloni greci, a partire dall’VIII sec. a.C., fondassero le loro pòleis sulla costa ionica e tirrenica e in Sicilia, Pandosia era stata e forse continuava a essere la sede regale, il basìleion (come ricorda Strabone, storico e geografo del tempo di Augusto, Geographikà, VI 1, 5, C 256), cioè la capitale di uno dei primi popoli italici noti alla tradizione, gli Enotri, il cui vasto territorio dovette comprendere, secondo le attestazioni antiche, l’attuale Calabria, la Lucania, parte della Campania e della PugliaFu solo dopo la sconfitta di Annibale (fine III sec. a.C.) che i Romani spostarono il centro di gravità politico e amministrativo su Cosenza (Consentia/Cosentia), definita dalle fonti, essa sì, metròpolis dei Brettii. E con questa operazione i Romani stessi cercheranno di reprimere nei fatti ogni forma di autonomia e iniziativa da parte delle popolazioni locali. Queste popolazioni, eredi in parte dell’antico ceppo indigeno enotrio e di quello greco, avevano sperato, alleandosi con il grande Cartaginese, di assicurarsi uno sviluppo politico ed economico autonomo e indipendente e non potevano non vedere allora in Pandosia il segno della loro antica nobiltà e libertà. Ma la repressione romana, com’è noto, fu dura e inesorabile, anche nei confronti delle memorie storico-culturali, dobbiamo supporre. Arrivo dunque al nodo della domanda, cioè alla configurazione geo-morfologica, ma anche storico-geografica, come fonte storica primaria. Vi ho lavorato per oltre un ventennio e ne ho testato l’efficacia nei lavori di ricerca archeologica, epigrafica e topografica che ho condotto in Grecia, nella Pelasgiòtis meridionale (Tessaglia), in stretta collaborazione con le soprintendenze archeologiche locali, il Ministero della Cultura e la Scuola Archeologica Italiana di Atene. Si tratta di individuare i modelli insediativi in vigore nelle diverse epoche e ricostruire, attorno ai siti individuati, il territorio con le risorse necessarie alla sussistenza delle comunità interessate, secondo i principi della cosiddetta archeologia dello spazio (spatial archaeology). Per le città greche, il modello teorico “du plus proche voisin”, proposto e testato negli anni ’80 assieme ai miei colleghi francesi Bruno Helly, 11
Jean-Claude Decourt, Gérard Lucas e Laurence Darmézin, parte dall’individuazione di “siti centrali”, e conduce all’elaborazione cartografica di “territori teorici medi” e “territori teorici individuali” (cfr. il volume collettivo del CNRS francese, Topographie antique et géographie historique en pays grec, Paris 1992, per la spiegazione dei presupposti teorici e alcune applicazioni pratiche, in Tessaglia e in Beozia). Questa elaborazione di modelli ‘insediamentali’ teorici, con altri approcci specialistici di studio del territorio (l’équipe del CNRS francese di cui ho fatto parte è stata ad esempio la prima ad applicare le immagini satellitari Landsat, di tipo elettromagnetico, all’archeologia, con risultati sorprendenti) ha guidato le nostre indagini sul campo, con esiti significativi per quanto attiene alla localizzazione di centri urbani scomparsi e dei loro territori, con insediamenti secondari, necropoli, strutture di controllo e difesa territoriale (fortificazioni), viabilità (cfr. il mio La storia proiettata sul territorio: il caso della città greca di Pherai, in Sviluppi recenti della ricerca antichistica, a cura di V. De Angelis, “Quaderni di Acme”, 54, Milano 2002, pp. 27-53, tav. 1-5). Di questi vari siti e città, prima delle nostre ricerche, si aveva notizia solo dalle fonti scritte, letterarie, epigrafiche e numismatiche; di alcuni, addirittura, si era persa nozione in quanto entità socio-politiche realmente esistite, dato che i loro nomi erano sopravvissuti quasi esclusivamente grazie ai racconti tradizionali del mito (altra fonte fondamentale e insostituibile, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare). Farò un solo nome, che rappresenta una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni: il palazzo miceneo di Iolkòs, presso il celebre sito neolitico di Dhimìni, nel territorio affidato dal governo greco alle mie ricerche.Per tornare al nostro tema, bisogna precisare che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, il sistema di occupazione dello spazio geografico degli Enotri, correlato certamente al loro sistema di organizzazione sociale, appare essere stato più esteso e frammentato rispetto a quello greco, ma è innegabile che esso sia stato in una certa fase e in un certo modo filtrato e riorganizzato, almeno in parte, secondo il modello greco. Si tratterebbe dunque di precisare sul campo un modello enotrio, più antico, con ‘al centro’ Pandosia ed eventuali altri siti, poi, dall’VIII-VII sec. a.C., un modello grecoenotrio che s’innesta nel precedente modificandolo almeno in parte, quindi un modello lucano e uno brettio che, forse già dal V e dal IV sec. a.C. rispettivamente, si sovrappongono a quello greco-enotrio, con ulteriori modifiche e in parte differenti distribuzionigeografiche. Ci troviamo così di fronte a un enorme e affascinante problema di continuità e discontinuità storiche. Un lavoro condotto sull’altopiano di Acri potrebbe davvero darci informazioni del tutto nuove e paradigmi efficaci per un’interpretazione meno ipotetica dei ritrovamenti in tutta la vasta regione enotria, che si doveva estendere, come già accennato, dalla punta di Reggio Calabria fino a parte della Campania e della Puglia. Il territorio di Acri, con la valle del Mucone, non è dunque solo una ‘porta’, un passaggio obbligato per l’approvvigionamento delle immense risorse della Sila (legname, pece ecc.), sfruttate in modi diversi per tutta l’antichità e oltre, ma è anche un bacino agricolo di primario interesse, grazie all’abbondanza di acqua e alla mitezza del suo clima, nonostante l’altitudine (oltre i 700 m) superiore a quella media degli insediamenti di età protostorica e storica conosciuti e indagati nella regione.Non è pensabile in alcun modo che all’epoca di Sybaris, ad esempio, questo territorio non ospitasse una o più comunità politiche organizzate, in rapporti di alleanza più o meno simmetrici, secondo le circostanze, prima con la potentissima e ricchissima città achea, Sybaris appunto, poi con la non meno potente Kroton. Fu una sola di queste comunità ancora a noi ignote della Sila Greca, o il loro insieme, Pandosia? A differenza di quanto comunemente si pensa, direi che non abbiamo bisogno di attendere, per accertarlo, la pretesa prova definitiva e ‘oggettiva’ dell’archeologia, intesa, in senso stretto, come scavo archeologico. Le stratigrafie, gli oggetti, i manufatti richiedono sempre un’interpretazione, contengono margini talvolta elevati di ambiguità, appartengono sì alla storia, ma non sempre sono in grado di descriverne da soli le dinamiche. Falsificazioni e falsi miti storiografici sono sempre in agguato, anche nel campo dell’archeologia! Io credo che occorrerebbe tentare di ricostruire la conformazione antica di questo territorio, la sua organizzazione nelle diverse epoche storiche, questo sì attraverso ricognizioni archeologiche estese, di tipo topografico, senza commettere l’errore di assolutizzare il significato e il valore dei dati provenienti da singoli siti a cui si è pervenuti a volte per puro caso e che si sono scavati per necessità impellente di tutela.
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Ad Acri, è questo il caso dell’unico sito noto, quello di Colle Dogna, che ci ha fornito e ci fornirà dati importantissimi, nuovi, ma che permane a tutt’oggi isolato, privo di un contesto storico-geografico entro il quale esso possa essere adeguatamente interpretato.Nostro compito, come ha insegnato un maestro di tutti noi storici del mondo antico, epigrafisti e archeologi, Louis Robert, non è sforzarci di assegnare nomi antichi ai luoghi che indaghiamo, di cui ci interessiamo, ma ricostruire con tutti i mezzi disponibili (osservazioni geomorfologiche e storico-geografiche, fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche, resti archeologici, cartografia, toponomastica, memorie locali, racconti tradizionali ecc.) luoghi antichi, territori organizzati a cui, solo successivamente, attribuire i nomi di cui la tradizione ci ha lasciato memoria.
Impegniamoci a ricostruire la strutturazione antica del territorio interno della Calabria e solo così potremo scoprire lo ‘spazio’ storico della nostra Pandosia e anche quello di altri siti e gruppi etnici, di minore rinomanza, ma che gli autori antichi conoscevano e ponevano per lo più nell’entroterra, come risulta ad esempio dai preziosi frammenti dell’opera perduta di Ecateo di Mileto (seconda metà del VI / inizio V sec. a.C.) o come attesta il controverso documento epigrafico sui misteriosi Serdaioi alleati di Sybaris. Riusciremo così a capire molto di più su ciò che è avvenuto con i Greci e prima dei Greci, sulle interazioni e sugli scambi, e quindi sui caratteri originali della più antica civiltà italica. Sono convinto che la formazione stessa della pòlis, anche nella madrepatria, abbia ricevuto un’impronta e un impulso fondamentale dal contatto dei coloni greci con le popolazioni indigene.Come ho già avuto modo di osservare introducendo un convegno organizzato nel 2000 presso l’Università degli Studi di Milano con la collega Federica Cordano, le testimonianze sempre crescenti che riguardano i contatti tra Greci e Italici (Siculi compresi), dovrebbero indurci ad abbandonare definitivamente modelli interpretativi che possiamo definire riduzionisti (in cui i Greci vengono visti come apportatori del nuovo che si innesta nel mondo indigeno e lo permea di sé) a favore di modelli analitici “in cui anche l’elemento indigeno funziona come motore e veicolo, rielabora stimoli e reagisce a spinte esterne e diverse da sé”, e produce nuove sintesi (cfr. Il guerriero di Castiglione di Ragusa. Greci e Siculi nella Sicilia sudorientale, “Hesperìa”, 16, Roma 2001, p. 10).Credo fermamente che attraverso un approccio sistemico e interdisciplinare al territorio come quello sopra descritto si possa sostenere anche un’efficace azione di tutela e valorizzazione, non solo dei resti antichi, ma anche e soprattutto della nostra vita attuale.
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Ci potremmo chiedere perché riusciamo sempre meno a preservare l’integrità e la bellezza dei luoghi che ospitano la nostra vita, degli spazi nei quali la nostra vita si svolge. Accanto a motivi ben noti, legati a certe dinamiche perverse della modernità, c’è una causa meno evidente, ma non per questo meno pericolosa: tali luoghi hanno perso o stanno perdendo ai nostri occhi, in modo impercettibile e quindi subdolo, il loro significato di spazi storici vissuti, tramandati con cura e a prezzo di sacrifici dai nostri avi nel corso di millenni”. Saverio Modaffari: “Quanti e quali sono gli indizi e i segnali che portano a supporre che l’ubicazione dell’antica Pandosia ricada all’interno del territorio acrese?(indichi pure i diversi rinvenimenti fortuiti,campagne di scavo, fonti storiche ecc.)”. Massimo Di Salvatore: “Prima di tutto, direi, le considerazioni di ordine geomorfologico e storico-geografico a cui ho accennato nella risposta precedente. Pandosia fu (o nel sito di Pandosia vi fu) una sede amministrativa di carattere politico-economico (e quindi anche religioso), anteriore al periodo delle colonie greche e riguardante l’intera comunità degli Enotri. Ce ne dà testimonianza Aristotele nella Politica (VII 10, 1329 b 5 - 23), quando parla dell’istituzione di syssìtia (“sissizi”) da parte del re enotrio Italòs, ben prima che i Greci li introducessero nei loro ordinamenti e li interpretassero, come ben sappiamo, con una valenza specialmente politico-militare, di tipo aristocratico. Pandosia, dunque, già testimone e simbolo, per così dire, di una delle più antiche riforme socio-politiche ed economiche che gli storici e i filosofi greci ricordino (quella di Italòs e dei “sissizi”), si trovò ad assistere, o forse anche a partecipare, alla fondazione di Sybaris, ne sopravvisse alla distruzione violenta del 510 a.C. e riuscì a mantenere una sua relativa autonomia, con uno statuto di pòlis, dobbiamo supporre, nei secoli successivi, almeno sino alla fine del III sec. a.C. Le testimonianze di cui disponiamo ci portano in effetti a ritenere che la capitale degli Enotri si dovette ristrutturare come entità politica autonoma o semi-autonoma rispetto agli Stati cittadini che i Greci andavano organizzando sulle coste. Questo m’induce a escludere che Pandosia possa essere localizzata presso uno dei tanti siti posti ai margini delle chòrai, “territori organizzati”, di pòleis coloniali. Per questi siti, i dati archeologici e topografici farebbero piuttosto propendere per comunità di villaggio (kòmai), santuari di confine o sedi di piccole comunità dipendenti. Meno ancora, a mio avviso, è sostenibile una localizzazione di Pandosia nelle immediate vicinanze di Cosenza, dove manca lo spazio (dal punto di vista dell’archeologia ‘spaziale’, cioè storico-geografico) per un’entità politica autonoma e distinta. Le fonti antiche distinguono sempre Pandosia da Cosenza e non risulta mai né in nessun modo che la seconda sia succeduta alla prima. La stessa espressione di Strabone (VII 6, 1, 5, C 256), che indica Pandosia “mikròn d’hypèr”, letteralmente “poco sopra” rispetto a Cosenza, non ha in realtà il valore che vorrebbero attribuirle i sostenitori di una localizzazione, per così dire, cosentina. Nei testi storici e geografici greci e in particolare in quello straboniano, che adotta come criterio organizzativo della sua descrizione la linea della costa, la preposizione hypèr riferita a un luogo indica prima di tutto una posizione più interna rispetto alla costa stessa e il criterio della vicinanza (“mikròn”, “poco più all’interno”) non si riferisce certo a nuclei urbanizzati circoscritti ma ai territori civici e ai loro confini, che non potevano che distare vari chilometri dai rispettivi centri.Insisto, dunque, occorre individuare spazi, cioè territori ricostruiti e delineati attraverso ritrovamenti che occorre interpretare in modo sistematico, cioè come emergenze di un sistema politico-sociale complesso e in evoluzione nel corso del tempo. E i ritrovamenti, nel territorio di Acri, non mancano né sono mancati. Ho già accennato al sito di Colle Dogna, l’unico a essere stato scavato, seppure in uno scavo di recupero e su di un settore parziale dell’insediamento antico. Colle Dogna ci attesta una presenza umana organizzata risalente, secondo i dati emersi, almeno al Bronzo antico, antecedente dunque rispetto alla fondazione delle colonie e ai resti di alcuni dei principali siti indigeni (o parzialmente tali) scoperti e studiati sui margini collinari della pianura costiera dove sfocia il grande fiume Crati. Ma quale fu la sua effettiva entità, a quale sistema politico-territoriale esso faceva riferimento? Ancora non lo sappiamo, ma questa dovrebbe essere la principale scommessa delle prossime ricerche sul territorio. Un programma è in effetti in fase di approvazione, grazie a un accordo del Comune di Acri (rappresentato dal suo assessore alla cultura dott. Salvatore Ferraro) con la Soprintendenza archeologica della Calabria Calabria (dott.ssa Adele Bonofiglio) e le Università di Roma (prof. Alessandro Vanzetti) e della Calabria (prof. Armando Taliano Grasso). 14
Nell’ambito di questo programma, l’Associazione Acri Antica Pandosia, con il gruppo Facebook da cui l’Associazione stessa è scaturita, ha rappresentato un forte e importante fattore di stimolo, di discussione e di partecipazione democratica. Un ruolo che, ne sono certo, l’Associazione è determinata a portare avanti con l’impegno del suo presidente, prof. Angelo Vaccaro e di tutti i soci. Fra questi, desidero personalmente ringraziare l’amico Giovanni Turano, per avermi avvicinato alle tematiche storicoarcheologiche di cui qui discutiamo e per avermi fatto conoscere, per così dire dal vivo, le meraviglie della sua terra d’origine. Ma oltre a Colle Dogna, innumerevoli sono stati in tempi più o meno recenti i ritrovamenti fortuiti di suppellettili, frammenti di ceramica e monete. Ne abbiamo notizia preziosissima nei lavori pubblicati da alcuni eminenti studiosi locali, a cui va tutta la nostra rispettosa gratitudine. Purtroppo, di oggetti e di strutture segnalate, in molti casi si è perduta ogni traccia. Urge davvero un piano di studio volto a recensire quanto segnalato e a ricercarne eventuali sopravvivenze, onde poterne eseguire una valutazione complessiva e metodologicamente aggiornata, ancorata il più possibile alla ricostruzione della loro provenienza territoriale. Vorrei fare un accenno particolare ai ritrovamenti numismatici fortuiti avvenuti nel territorio e di cui siamo a conoscenza soprattutto grazie alle segnalazioni e ad alcune consegne alla Soprintendenza fatte da un socio fondatore dell’Associazione Acri Antica Pandosia, un cittadino di Acri e cultore di storia locale e archeologia, il sig. Angelo Fiorito. Grazie alla sua iniziativa e al suo senso di responsabilità, è stata evitata la sparizione definitiva, irreparabile, di testimonianze fondamentali per la storia di Acri e del suo territorio. Già da sole, queste monete, ci prospettano l’ipotesi dell’esistenza di una comunità stabile, ben organizzata, capace di intrattenere rapporti stretti con entità politiche esterne, almeno a partire dal V sec. a.C. È auspicio e anche impegno dell’Associazione che si possano recuperare e raccogliere al più presto tali monete e altri reperti isolati conservati nei depositi della Soprintendenza, ai fini di un loro studio complessivo e di una loro adeguata presentazione al pubblico.Una breve considerazione finale sulle fonti storico-letterarie. Oltre al già citato Strabone, testimone importantissimo, sia per ancorare l’esistenza di Pandosia agli istituti politico-militari ed economici degli Enotri (i citati e celebri “sissizi”, ricordati da Aristotele come più antichi di quelli minoici, che a loro volta erano considerati dai Greci stessi come antichissimi), sia per escludere ogni identificazione di Pandosia con l’attuale Cosenza o con uno dei siti collocati nelle sue immediate vicinanze collinari, la fonte più dettagliata e topograficamente precisa è Tito Livio (VIII 24). Contemporaneo di Strabone, egli descrive nel dettaglio le ultime drammatiche fasi della campagna politico-militare del potente principe epirota, Alessandro I il Molosso, ucciso a tradimento da un esule lucano proprio mentre si accingeva a compiere il difficile attraversamento di un impetuoso fiume di nome Acheronte, affluente del Crati, come l’autore romano tiene a precisare. Occorre ancora indagare nel dettaglio l’informazione liviana – io stesso ho in programma di farlo, assieme ad altre valutazioni su altra non insignificante documentazione – ma credo sia molto difficile sottrarsi alla suggestione, sulla base di considerazioni geomorfologiche e idrografiche, che questo affluente con grande portata d’acqua sia proprio il Mucone e che proprio nei pressi di Acri siano da individuare anche le tre – ben tre! – distinte fortificazioni che il condottiero fece costruire sopra lo stesso fiume.Spesso non si considera con la dovuta attenzione il significato di questo evento, su cui Livio si sofferma così a lungo e con numerosi dettagli. Il nostro Alessandro, Alessandro I detto il Molosso, predecessore sul trono d’Epiro del più famoso, per noi, Pirro e zio e cognato dell’ancor più famoso Alessandro Magno (il Molosso era fratello minore di Olimpiade, sposata da Filippo II di Macedonia nel 357 a.C. ., e lui stesso sposò, nel corso di una grande cerimonia panellenica, nel 336, Cleopatra, la sorella di Alessandro Magno figlio di Filippo II), venne in Italia ufficialmente per portare soccorso a 15
soccorso a città greche che si sentivano sempre più minacciate nella loro autonomia e incolumità a causa dell’avanzare di popolazioni italiche vicine e meno vicine. Ma il suo intervento nascondeva mire ben più ambiziose, fra cui quella di costituire un ‘impero’ occidentale, analogo a quello che il giovane nipote e cognato macedone si apprestava con successo a instaurare nel continente asiatico. Le fonti antiche sono esplicite al riguardo. Roma stessa, ricordano sempre le fonti, si preoccupò di venire a patti con questo principe greco, che era anche un abile e valoroso capo militare. Bene, vale allora forse così poco che egli avesse deciso di collocare il caposaldo del suo ambizioso progetto proprio a Pandosia e che non per caso egli vi incontrasse la morte, a tradimento? In una delle varie discussioni portate avanti dal gruppo Facebook “Acri Pandosia Capitale degli Enotri”, ho lanciato una suggestione, quella d’interpretare il misterioso toponimo acritano “Pantano d’Olmo”, posto proprio sopra la valle del Mucone, come derivante da un ipotetico “Pandosianom dolom”, forma italica ricostruita che si riferirebbe alla celeberrima uccisione di Alessandro da parte di un traditore, il luogo dell’ “inganno di Pandosia”, appunto. Da lì, in effetti, proprio da Pandosia, tutta la nostra storia avrebbe potuto seguire un corso completamente diverso. E gli antichi ne furono consapevoli”. Saverio Modaffari: “Considerando quanto ha influito l’urbanizzazione nell’ostacolare l’individuazione di molti reperti, quale dovrebbe essere il futuro della ricerca archeologica nel territorio acrese?” Massimo Di Salvatore: “Credo di aver già in parte risposto a quest’ultima domanda. Non è il ritrovamento, pur sempre altamente auspicabile, di strutture o di oggetti che ci potrà fornire in modo automatico, consequenziale, risposte definitive. Si tratta piuttosto di ricostruire un quadro complessivo, che sia esteso alla parte di territorio non urbanizzata o meno urbanizzata. Ai fini di tale ricostruzione, potrebbero essere sufficienti ricognizioni di superficie, accompagnate da una ripresa critica e da una riconsiderazione dei dati emersi nel corso del tempo da scavi, ricognizioni, ritrovamenti fortuiti, segnalazioni. Solo in una seconda fase potrebbe essere individuato un sito significativo su cui eventualmente investire risorse per compiere indagini archeologiche più approfondite.D’altra parte, il già citato sito di Colle Dogna è emerso nel corso di lavori di scavo e costruzione, nei pressi del centro cittadino. Varie segnalazioni provengono da edifici civili e religiosi, ancora in uso o abbandonati, come il castello, nella parte più antica di Acri. Se riusciamo a inserire in un sistema coerente tutte queste informazioni, se evitiamo di disperderle o, peggio ancora, di celarle, possiamo vedere l’urbanizzazione medievale e moderna, paradossalmente, come un fattore di protezione, sul quale compiere, nei modi e nei tempi opportuni, interventi mirati e di recupero.Molto ci possiamo e, secondo me, ci dobbiamo attendere dalla vasta zona dell’altopiano attraversato dal Mucone e dai suoi più piccoli affluenti, come il Calamo e il Ceracò, ancora relativamente poco urbanizzata e particolarmente adatta per il rinvenimento e il riconoscimento di tracce, anche flebili ma significative, di occupazione e di uso del territorio nelle diverse epoche storiche.Importante è fare presto. Ci dobbiamo affidare al senso civico degli abitanti, all’orgoglio e al sentimento di appartenenza culturale alla terra dei loro avi, non meno che alla perizia degli specialisti che si recheranno sul territorio. E poi un grande compito educativo ci attende, inscindibile rispetto a quello della ricerca, contemporaneo ad essa. Per questo apprezzo molto il coinvolgimento così pronto, attento e sensibile dell’Amministrazione comunale, accanto e a sostegno delle iniziative di privati cittadini e delle associazioni. Mi auguro che le strutture statali di ricerca e di tutela, le soprintendenze, per intenderci, non vogliano, a fronte della scarsità delle risorse economiche, dedicare esclusiva attenzione a siti già da tempo noti e valorizzati, abbandonando a se stesso tutto il resto del territorio. Certo, occorre una strategia d’intervento e di tutela complessa, flessibile e anche, penso, innovativa. Ma la posta in gioco è troppo elevata. Oggi, molto più di ieri, c’è il rischio di una perdita irreparabile, quella delle tracce di una storia remota ancora poco nota o del tutto ignota, la storia della Calabria antica e di una delle più antiche civiltà del Mediterraneo”.Al termine di questa intervista a più voci, così ricca ed esaustiva, è doveroso ringraziare tutti coloro che hanno prestato il loro intervento e dato il loro valoroso contributo al nostro servizio per renderlo fruibile a tutti i lettori e fonte di raccolta di tutti i dati disponibili. Un caloroso ringraziamento va dunque a: Angelo Vaccaro, Angelo Fiorito, Giovanni Turano e Massimo Di Salvatore. 16
Bibliografia •Istituto italiano di Preistoria e Protostoria, Atti della XXXVII Riunione scientifica Firenze 2002 settembre-ottobre, Editore Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, pag.889 pag. illustrate b. n. volumi II Roma 2004 (Libreria Editrice Romano Monumenti e Arte L’erma di Bretschneider Roma 2004) •Casetta I.; Castagna M. A.; Ferranti F.; Levi S. T.; Luppino S.; Peroni Renato; Schiappelli A.; Vanzetti A.; Atti del XXXIX convegno di studi della Magna Grecia anno 2000, Broglio di Trebisacce, Città Vetere di Saracena, Colle Dogna di (Acri) •Paesaggi e Memorie (Gal, Sibari) edizione Fondazione Padula 2001 •Davide Andreotti Loria, Storia Dei Cosentini, Napoli 1869. •R. Capalbo, Memorie Storiche di Acri. •Marafioti. Cronache ed Antichità della Calabria, Padova 1601. •Jean Bérard, La Magna Grecia, storia delle colonie greche dell’Italia meridionale, Milano •Pier Giovanni Guzzo, Le città scomparse della magna Grecia Roma 1990. •Raul Marzario; A. Giuffrè, “Signori e Contadini della Calabria, dal XV al XIX sec. “ 1975 Università degli studi della Calabria. •Pasquale Attaniese, “Calabria Greca, monete greche della Calabria, santa severina “ Vol. I 1974, Volume II 1977, Volume III 1980. •Giuseppe Gioia, “Memorie Storiche e documenti sopra Lao, Laino, Sibari, Pandosia, Tebe Lucana” Napoli 1883, ristampa litografia F. A. R. A. P. S. Giovanni in Persiceto (BO) 1983. •J. De La Geniere, C. Sabbione, “Indizi della Macalla di Filottete” in “Atti e Memorie della Società Magna Grecia”, nuova serie XXIV-XXV, 1983-1984. •Giovanni Fiore, Della Calabria illustrata 1641, volume I pag.7; •Mario Barberio, I Luoghi della Memoria, delle stazioni litiche calabresi in Calabria, anno XXVII 1989 n°6-7-8 pag 19-21. •Domenico Maringola Pistoia, Cose Di Sibari, ricerche storiche, Edizioni Brenner, Cosenza, 1985. •Emanuele Greco. “Magna Grecia”
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