RIVISTA ONLINE 2015
N-12
Gioia Tauro (RC) 89013 RIVISTA ONLINE
Al Suono Delle Eolie
Al morir del suono delle Eolie Placa l’ira e dorme l’errante Odisseo. I Ciclopi dal Mongibello Lanciano incandescenti sassi, lapilli e sbuffano nubi nere, mentre le Sirene ammaliano i naviganti che osano varcare lo Stretto. Scilla e Cariddi Si guardano in cagnesco Nel tempo ,al pizzichìo delle Eolie, Omero canta, Vulcano e Stromboli chiamano il fratello Etna ed al risveglio trema Zancle e Rhegjon Soave tramonto al morir del suono delle Eolie! ROCCO GIUSEPPE TASSONE
INDICE
-TRACCE DI PRESENZA INDIGENA NELLA LUCANIA SETTENTRIONALE : L’ESEMPIO DI FERRANDINA
-LA FORTIFICAZIONE DI SANTO NICETO -IL CEDRO: TESORO VERDE DELLA TRADIZIONE CALABRA -IL TERRITORIO DELLA MOTTA SAN GIOVANNI TRA BIZANTINITA’ E LATINITA’
-BIBLIOGRAFIA DEGLI ARTICOLI -PARLANDO DI -UOMINI DI CULTURA-NOVOTA’ DAL.... -LIBRI -ITALIA CONCORSI -EVENTI -CESAR
Tracce di presenza indigena nella Lucania Settentrionale: l’esempio di Ferrandina
Introduzione Il comune di Ferrandina fu oggetto di ricerca a partire dagli anni ’30 del secolo scorso fino al 1966, nell’ambito delle attività, effettuate dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata, volte ad una migliore conoscenza delle aree interne, attraverso l’esplorazione sistematica del territorio. Il lavoro prevedeva, da un lato, la consultazione del Catasto del Noto, concentrandosi sull’analisi del territorio dal punto di vista storico, attraverso un attento spoglio delle fonti antiche, moderne e di tutta la bibliografia edita; inoltre fu condotto uno studio sui materiali provenienti dagli scavi archeologici e conservati presso il Museo Nazionale Domenico Ridola di Matera; dall’altro, furono effettuate una serie di ricognizioni sistematiche, utili alla comprensione del paesaggio antico. Inquadramento geografico e territoriale Il territorio del comune di Ferrandina si estende per 215,47 Kmq e confina con i comuni di Grottole, Miglionico, Pomarico, Pisticci, Crato, San Mauro Forte e Salandra. E’ costituito da una serie di rilievi collinari che costeggia la sponda destra della media Valle del Basento, la quale ne costituisce il confine nord-orientale. Su queste alture, facilmente difendibili, merito della loro naturale configurazione geomorfologica, sono dislocati diversi insediamenti che mostrano una frequentazione antica e continuativa nel tempo. Questa tipologia distributiva si ripete in tutta la Lucania sud-orientale, la quale è caratterizzata da rilievi collinari che dominano sterminate vallate; queste, scavate da fiumi che sfociano nel Mar Ionio, dopo aver percorso le zone più interne del Potentino e del Melfese, costituiscono, fin dalla preistoria, facili vie di comunicazione e di traffico. La presenza di corsi d’acqua, di varia portata, ha determinato, nel corso dei millenni, una morfologia estremamente articolata, caratterizzata da una serie di rilievi
e depressioni. Il terreno si presenta conformato in “calanchi argillosi”, soprattutto nei pressi dei torrenti Vella e Gruso: indicativo è il toponimo “La Cretagna” che ne riflette le caratteristiche morfologiche.l versante sul Basento conserva, in ampie zone, uno spesso strato di humus che permette la fiorente coltura di oliveti e vigneti. Lungo il torrente Salandra, vi sono ampie zone boschive che costituiscono le ultime propaggini della foresta di Gallipoli-Cognato. È possibile ipotizzare che gli attuali calanchi siano il risultato di continui disboscamenti e che quindi l’aspetto odierno del paesaggio sia completamente differente da quello antico. La viabilità antica La viabilità antica, nella Lucania sud-orientale, ricostruita da R. J. Buck, coinvolge solo marginalmente il territorio di Ferrandina, compreso tra le vallate del Basento e della Salandrella. In seguito ad una attento lavoro di analisi topografica, è stato possibile ricostruire, ipoteticamente, una rete viaria, interna e articolata, che ricopre un territorio caratterizzato da una forte presenza antropica.Nella pianta (Fig. 1), indicante la ricostruzione dell’ipotetica viabilità antica e utilizzando la cartografia I.G.M. in scala 1:100.000, sono stati rappresentati, in maniera schematica, i collegamenti di Ferrandina sia con la viabilità generale sia con gli attuali centri vicini, molti dei quali furono sede di abitati antichi;
Fig. 1. Ipotesi ricostruttiva della viabilità antica
lo studioso individuò alcuni tratturi, ancora in uso, la cui esistenza spiega la distribuzione delle aree di frequentazione antica. 1
Buck segnalò, inoltre, una strada antica che collegava Policoro a Grassano, passando attraverso Santa Maria D’Anglona, Craco, San Mauro Forte e Garaguso, e che lambiva a sudovest, il territorio di Ferrandina, costeggiando il corso del torrente Salandrella. E’ presumibile, che dalla stazione di Craco, la strada seguisse il corso del fiume Cavone fino alla costa Ionica, in corrispondenza dell’odierna masseria di Terzo Cavone ; questa costituiva una arteria, parallela alla strada che, seguendo il corso del Basento, partiva da Metaponto e giungeva a Tricarico, attraverso i centri di Bernalda, Pomarico, Miglionico, Grottole e Crassano. Si giungerebbe a ricostruire così, un sistema di strade che, partendo dalla costa Ionica, penetravano nel territorio lucano interno, collegando centri antichi, posti quasi tutti su alture difendibili. Si tratta di vie parallele ai fiumi, collegate tra loro da una fitta serie di percorsi stradali, che mettevano in comunicazione le vallate fluviali, scavalcando o aggirando i rilievi collinari intermedi. L’esistenza di una rete viaria così capillare può comprendersi, soltanto, se si pensa ad una antica attività agricola e pastorale intensa, in quanto, diverse zone, attualmente aride e costituite da calanchi argillosi, dovevano presentarsi, in epoca remota, fitte di boschi. Furono individuate quattro strade lungo le vallate fluviali, più o meno parallele al corso dei fiumi Salandrella, Gruso, Vella, che seguono, attualmente, i crinali delle colline che si alternano in mezzo alle grandi vallate.
I pochi oggetti, rinvenuti nel territorio di Ferrandina, non si discostano, per cronologia e tipologia, da quelli provenienti da Pisticci, Garaguso, Miglionico, Tricarico, Pomarico, Cozzo Presepe e Montescaglioso. Il primo scavo archeologico, nel centro di Ferrandina, si deve a V. Di Ciccio, che rinvenne, in Contrada Croce o Zamboglia, nel vigneto del sig. Vincenzo Gesualdi, numerosi frammenti ceramici attribuibili all’VIII e al IV secolo a.C., quasi a sottolineare, i due momenti più qualificanti e rappresentativi della frequentazione umana a Ferrandina nell’antichità. Le scoperte successive, più consistenti, si riferiscono agli interventi prodotti dall’edilizia pubblica, nel decennio compreso tra gli anni ‘30 e ‘40 del secolo scorso.I lavori, per la costruzione dell’edificio scolastico, portarono alla luce una serie di tombe costituite da grandi lastre; un primo gruppo di materiali, tra i quali un elmo corinzio di bronzo (Fig. 2), privo di indicazioni di provenienza e senza alcuna associazione di corredo, fu consegnato, nel luglio del 1934, alle autorità locali.
L’attività archeologica
Le evidenze archeologiche del sito di Ferrandina sono scarse e limitate. La continuità insediativa e il moderno sviluppo edilizio urbano hanno nettamente compromesso la conoscenza e la conservazione del paesaggio antico; bisogna aggiungere, inoltre, la casualità dei rinvenimenti, provocati quasi sempre da attività edilizia o da lavori agricoli, e per questo motivo poco attendibili per una valida e precisa ricostruzione delle frequentazione antica dell’area di Ferrandina.
Fig. 2. Elmo corinzio
Nel settembre dello stesso anno, la responsabile del Museo Ridola di Matera, la dottoressa E. Bracco, condusse una breve campagna di scavo, durante la quale portò alla luce quattro sepolture con corredo; Mi materiali raccolti erano da collocarsi, cronologicamente, tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo a. C., che permisero di ipotizzare una frequentazione continua del sito, in analogia con quanto documentato negli altri centri dello stesso comprensorio territoriale. 2
Nell’autunno del 1935, la Bracco intervenne in via Fratelli Bandiera e via Pisacane, per la scoperta fortuita di ulteriori sepolture, rinvenute durante i lavori della rete fognaria, e inquadrabili intorno alla fine del IV secolo a.C.; il ritrovamento di una sepoltura della fine dell’VIII secolo a.C., in via Pisacane, fece dedurre che tutto il quartiere Piana fu occupato da un nucleo indigeno dell’Età del Ferro, e che la necropoli, attualmente, coesista e insista sullo stesso pianoro. La segnalazione di un’altra tomba, con il rinvenimento di una oinochoe a figure rosse, si registrò nell’inverno del 1945, durante i lavori per la costruzione del muraglione di sostegno, nel rione Pizzofalcone, all’altezza di via Fratelli Bandiera; questa fu la conferma della destinazione funeraria dell’area e della ripresa demografica ed economica che caratterizzò il centro, nel corso del IV secolo a.C.Il primo vero programma di ricerca archeologica sistematica dell’area di Ferrandina ebbe inizio nel 1966, anno in cui furono rinvenute, durante gli scavi per la realizzazione della nuova caserma dei carabinieri, in piazza Mazzini, un gruppo di tombe. La più importante, per qualità di corredo, fu la cosiddetta Tomba n. 1 (Fig. 3); si trattava di una sepoltura femminile che esprimeva simbolicamente e materialmente, il ruolo di prestigio e potere economico della defunta, all’interno della comunità. La particolarità del corredo della Tomba n. 1 assume maggiore rilevanza se rapportata alla documentazione offerta da altri corredi nella stessa area, come, ad esempio, la cosiddetta Tomba n.1 bis, più recente cronologicamente, attribuibile ad un adulto maschio;nel corredo della tomba è fortemente sottolineato l’aspetto guerriero del defunto, connotato dalla presenza di una cuspide di lancia in ferro (Fig. 4). Nelle due sepolture si ravvisarono elementi di un’aristocrazia locale, dotata di potenti mezzi economici e, forse, sintomo di una trasformazione sociale in atto nelle comunità Enotrie tra la seconda metà dell’VIII secolo e la prima metà del VII secolo a.C. Una nuova indagine fu avviata nell’area di Croce Missionaria, attuale piazza De Gasperi. Le ricerche evidenziarono la presenza di un ricco e spesso deposito, con documenti materiali dell’VIII e del VII secolo a.C., riferibili a strutture dell’abitato e delle necropoli (Fig. 5).
Fig. 3. Ipotesi ricostruttiva della parure femminile della Tomba n.1
Fig. 4. Cuspide di lancia. Tomba 1 bis
Fig. 5. Planimetria dello scavo in località Croce Missionaria
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Due trincee, effettuate lungo i versanti settentrionale e meridionale della collina, portarono alla luce i resti considerevoli di una capanna (Fig. 6), delimitata da grosse scaglie di pietra, con focolare al centro e pavimentazione in ciottoli. Nelle immediate vicinanze, ma sempre sulla collinetta, furono individuate, e parzialmente scavate, 6 sepolture, alcune in lastre di arenaria, altre con copertura a ciottoli. I pochi elementi disponibili confermarono la posizione rannicchiata del defunto, la povertà del corredo e l’attribuzione cronologica al VII secolo a.C., soprattutto per la presenza di brocche a decorazione bicroma sub-geometrica. Di notevole interesse, per il rituale funerario, fu la Tomba n. 2, composta da frammenti di un grosso pithos contenente, molto probabilmente, i resti ossei del defunto, forse un bambino. L’uso di deporre i bambini all’interno dei vasi è attestato in età più recente a Satriano, Oppido, Matera e si riscontra in contesti coevi della Daunia, all’Incoronata di Pisticci, nella necropoli mista di Policoro, a Francavilla Marittima e ad Amendolara 13 . Purtroppo, lo scavo per la creazione di un parcheggio e dell’attuale Piazza De Gasperi, cancellò definitivamente l’intera cronologia stratigrafica della promettente area di Croce Missionaria, che poteva fornire ulteriori nuovi dati per la ricostruzione della topografia antica di Ferrandina. Sempre nel 1966, fu effettuato, dalla Soprintendenza, un saggio in località S. Francesco, nell’area antistante la chiesa omonima. L’intera zona risultò occupata da sepolture di epoca medievale che sconvolsero, in parte, la distribuzione delle tombe più antiche. I pochi elementi riscontrati sono ascrivibili ad una fase di utilizzo della necropoli nel VII secolo a.C.
Fig. 6. Ricostruzione della capanna in Località Croce Missionaria
Fig. 7. Statuette votive
Le evidenze archeologiche restituite dal territorio parrebbero indicare, in età arcaica, una fase di occupazione e di contatti con l’ambiente coloniale. Sicuramente più incerto è l’orizzonte cronologico tra il VI e il V secolo a.C.; si segnalano, da bibliografia edita, ritrovamenti di “vasi greci” e “statuette fittili sedute o panneggiate con polos” (Fig.7), provenienti da Contrada Croce e l’elmo di bronzo, di tipo corinzio, rinvenuto nel 1934, all’interno del centro urbano di Ferrandina, i quali indicherebbero la presenza di una élite enotria in fase di ellenizzazione. Rispetto a Pisticci, Ferrandina non ha riportato dati sufficienti tali da provare una continuità di vita tra l’Età del Ferro Tardo e l’epoca Lucana e i pochissimi elementi archeologici rinvenuti proverebbero,in età arcaica, una fase di occupazione con fattorie e impianti rurali. Più consistente, per Ferrandina, la documentazione riferibile al IV secolo a.C.; si tratta, anche in questo caso di tombe, provenienti da varie località del centro urbano, con corredi composti da vasi a figure rosse, unguentari, ceramica a vernice nera, che rimandano all’area Peuceta, Conclusioni come la ceramica di tradizione indigena a fasce e di stile misto. Siamo, dunque, in presenza di un grosso agglomerato indigeno che doveva Ferrandina, che dista da Pisticci circa 12 km, è nota da ritrovamenti fortuiti avvenuti tra l’inizio e essere sede, a partire dall’età del Ferro, di abigli anni ’50 del XX secolo, in occasione di lavori di tati organizzati per nuclei di capanne o di case edilizia urbana. L’abitato antico doveva estender- con le relative necropoli, all’interno del quale si si, fin dall’Età del Ferro, sulla collina posta presso distingue una élite che tende ad assorbire usi e costumi di matrice greca. la riva destra del Basento e occupata dal paese attuale. I materiali, relativi prevalentemente a tombe e contesti funerari, evidenziano come l’VIII e il IV secolo a.C. siano i momenti più rappresentativi della vita del sito, ma i pochi ritrovamenti di Davide Mastroianni VII, VI e V secolo a.C. sono indicatori di una continuità abitativa. 4
LA FORTIFICAZIONE DI SANTO NICETO
Fig. 1 _ Fortificazione di Santo Niceto _ vista sud – est
La fortificazione di Santo Niceto oggi nel territorio comunale di Motta San Giovanni in provincia di Reggio Calabria, a pochi chilometri dalla stessa città, è comunemente conosciuta con il termine “castello”, una definizione impropria per l’epoca in cui è stata fondata e per la sua tipologia architettonica, ciò è stato confermato dai numerosi studi eseguiti dell’arch. Francesca Martorano, docente presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Il termine castello è da attribuire al De Lorenzo, che basandosi sullo studio di documenti di età angioina aveva considerato che si trattasse di una fortificazione edificata nella prima metà del XIII secolo, identificandola come una delle motte fortificate del territorio limitrofo a Reggio, che contrastarono la sconfitta del capoluogo agli assedi degli Aragonesi. La presenza di Santo Niceto in cartografia si registra dalla fine del Settecento, quando era già in stato di rudere e nessun percorso lo collegava ai rari abitati presenti nell’area circostante; la sua presenza in cartografia da questo momento in poi è da attribuire alla sua posizione dominante su di una collina che si affaccia sullo Stretto di Messina; infatti, si ritrova segnato in alcune carte nautiche come riferimento ai naviganti. Con il nome di Santo Nicito, Santo Niceto, Santo Nuceto o Santo Nocito si ritrova non solo nella cartografia storica ma anche nei documenti storici dal 1145 a tutto il XVI sec. e nelle fonti greche dall’XI secolo persistendo sino al XIII secolo con il toponimo di Haghios Nikitas. I confini del territorio di Santo Niceto si estendevano tra Reggio, S. Agata e Tuccio, come si deduce da un Diploma di Carlo I d’Angiò, datato 1276 e che fa riferimento a un privilegio del 1090; pertanto i confini a nord erano delimitati dal torrente Valanidi mentre a sud dal torrente Sant’Elia, mantenendosi tali fino al XV secolo per poi ridursi dal 1506. Il regime di proprietà di Santo Niceto è appartenuto al demanio fino al Trecento con una breve parentesi che ha inizio nel 1269, quando nei documenti si ha che era diritto di una contessa Isabella per concessione dell’Imperatore Federico; mentre tra il 1269 e il 1327 dipendeva direttamente dalla regia Curia. Dalla fine del Trecento Santo Niceto è tra i possedimenti dei Ruffo di Calabria di ramo catanzarese e nei primi anni del Quattrocento il territorio è configurato come baronia. Nel 1506 Santo Niceto perde il territorio dell’attuale Montebello Ionico, quest’ultimo concesso come feudo autonomo a Ludovico Abenavoli; e nel 1507 la baronia di Santo Niceto e Motta San Giovanni fu venduta a Ferdinando d’Aragona, duca di Montalto. In seguito dopo varie vicende nel 1682 la baronia diviene principato con l’annessione alle terre dei Ruffo di Bagnara.
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L’abbandono della fortificazione di Santo Niceto con molta probabilità avvenne nella seconda metà del Quattrocento, quando si ridusse la sua importanza per la difesa del territorio e gli interessi territoriali ed economici si trasferirono verso il centro di Motta San Giovanni che era un’altra fortificazione presente sul territorio, su un’altura verso la costa; la cui espansione è documentata dal XV secolo.
Fig. 2 _ Ricostruzione ideale della Fortificazione di Santo Niceto (disegno del Prof. A. Marcianò - (Tav. a pag. 28 in F. ARILLOTTA, La storia della Motta San Giovanni e del suo territorio, Grafica ENOTRIA )
All’interno della fortificazione di Santo Niceto non rimangono tracce dell’abitato, ma ai suoi piedi sul versante meridionale, nei piccoli appezzamenti di terreno, probabilmente vi era un nucleo abitato, fatto annoverato dai ritrovamenti dei frammenti di ceramica acroma e dalla presenza dei ruderi di quattro chiesette edificate tra il IX e il XIV secolo. Quest’aggregato di abitazioni privo di mura di cinta, ai piedi di Santo Niceto, costituiva un casale che si sviluppò in seguito all’edificazione della stessa fortificazione e che continuo ad esistere anche quando essa era in stato di abbandono, come attestano i dati riportati dal De Lorenzo dell’uso della chiesa della S. Maria Annunziata come palmento e la presenza di una grande macina in pietra a ridosso delle strutture di S. Pantaleone.
Fig. 3 _ Santo Niceto. La fortificazione, l’area dell’abitato in giallo e le chiesette: 1. S. Nicola della Porta, 2. S. Maria Annunziata, 3. S. Antonio, 4. S.Pantaleone, 5. S. Niceto (Tav. a pag. 45 in F. MARTORANO, Santo Niceto. La storia e il restauro, Iiriti Editore)
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La fortificazione di Santo Niceto è stata edificata su una collina di circa 55 m di larghezza per 180 m di lunghezza a quota 670 m. s.l.m., dai crinali ripidi e scoscesi, tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo. Fu sfruttato l’elemento naturale per ottenere con il minimo dispendio di mezzi un ricovero fortificato per le popolazioni e i beni del territorio, e quindi a resistere a lunghi assedi e facilmente difendibile con un piccolo numero di uomini. Secondo studi ed analisi delle murature la fortificazione fu edificata in quattro fasi costruttive: la prima in età bizantina; la seconda riconducibile alle trasformazioni di età normanna e sveva; la terza alle trasformazioni della prima età angioina e la quarta riconducibile all’ultimo periodo di vita. Tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo fu costruita la cinta fortificata, il palazzo settentrionale e quello meridionale e quasi contemporaneamente il mastio - cisterna a pianta quadrangolare, come attesta la tecnica costruttiva che si presenta simile. Oggi del palazzo meridionale rimane soltanto un muro lungo 7,00 m e alto 6,00 m; il palazzo settentrionale i cui ruderi sono ancora visibili è a ridosso della cinta, sfruttandone di quest’ultimo un tratto lungo 37,33 m nel muro perimetrale esterno. Quest’ultimo palazzo a nord – est verso l’esterno aveva una torre a pianta trapezoidale, oggi crollata i cui ruderi fino a qualche anno fa e precisamente al 2011 rappresentavano la parte più consistente dell’edificio in elevazione. Il palazzo nord e la torre erano a due livelli con solaio ligneo, l’accesso al palazzo era sul lato sud, servito da una scala di grandi dimensioni che conduceva al primo piano, mentre nella torre il percorso verticale tra i due piani era costituito da una botola e una scala a pioli o di corda. Addossata al muro nord-est della torre è ancora leggibile una scala larga 85 cm composta da sette gradini e dal pianerottolo più basso di 68 cm che un tempo portava al camminamento della cinta muraria. Le dimensioni del palazzo e l’ubicazione con collegamento diretto a una torre di avvistamento fanno supporre che esso fosse destinato all’alloggio della guarnigione. Tra il XII e la prima metà del XIII secolo, in età normanna e sveva, furono costruiti il palazzo centrale, residenziale a due livelli, e il mastio – cisterna, a tre livelli per la raccolta delle acque meteoriche; in questa fase costruttiva fu eretto anche il muro tra il palazzo settentrionale e il mastio – cisterna, costituendo così un muro di sbarramento. In età angioina, nella seconda metà del XIII secolo si ha una ristrutturazione interna alla cinta e si realizza così un secondo settore difensivo, che inglobava tutti gli edifici residenziali e la chiesetta a navata unica oggi chiamata di Santo Niceto dal nome di tutta la località perché anonima. Questi interventi di ristrutturazione della fortificazione che si susseguirono per migliorare la difesa all’interno della cinta, crearono settori più difendibili autonomamente. L’origine di queste nuove opere di difesa è stata determinata probabilmente dal fatto che Santo Niceto era a guardia e a difesa dello Stretto e quindi risentiva dei riflessi della rivolta dei Vespri siciliani, scoppiati a Palermo il 31 marzo del 1282. Infatti, un Diploma del 1327 riporta la necessità di accrescere le riserve di munizioni e riparare la fortificazione. La configurazione finale della fortificazione di Santo Niceto si ha con l’ultima fase costruttiva che si può far coincidere con la metà del XIV secolo, nel periodo in cui si potenzia la difesa, si crea all’interno della cinta una terza area fortificata completamente chiusa e si rafforzano le strutture. A quest’ultima fase costruttiva si possono ricondurre anche gli interventi alla porta della cinta muraria con raddoppio della cortina e scarpe addossate alle torri. La tecnica costruttiva muraria è omogenea in tutta la fortificazione, e consiste in blocchetti di selce rozzamente squadrati con rare rinzeppature in frammenti laterizi, posti in opera con ricorsi regolari; invece, agli angoli delle strutture le ammorsature sono realizzate con blocchetti squadrati. La fortificazione di Santo Niceto pur essendo uno dei pochi esempi di architettura alto medievale calabrese fino al 2000 si presentava in cattivo stato di conservazione, con strutture in avanzato stato di degrado e crolli diffusi. Dopo cinque secoli di abbandono fu restaurato e recuperato grazie a due interventi di restauro: il primo terminato nel 2005 con il recupero conservativo della porta d’ingresso alla cinta e delle due torri quadrate che la fiancheggiavano e la proteggevano, mentre il secondo attuato nel periodo dal 2005 al 2007 ha interessato quasi completamente il recupero delle restanti strutture. Le murature nel loro tessuto si presentavano prive d’intonaco, che probabilmente era presente in origine. 7
Fig. 4 _ Ricostruzione delle fasi costruttive della Fortificazione di Santo Niceto _ (disegno di Vincenza Triolo)
Il paramento murario nei muri della cinta, nelle pareti del mastio cisterna e nella parte bassa della parete settentrionale del palazzo centrale è costituito da muratura listata mista a ricorsi regolari con intervalli di 50 – 60 cm. Invece, la tessitura muraria presente nelle pareti della scarpa del mastio cisterna, nel settore superiore delle pareti del palazzo centrale e nel muro che collegava questi ultimi due edifici, era realizzata con tecnica costruttiva differente, testimonianza dei vari rifacimenti e riparazioni che interessarono la fortificazione prima dell’abbandono. Nel restauro si sono conservate le parti in buono stato di conservazione, consolidate e recuperate le parti ammalorate e ricostruite le parti mancanti con l’utilizzo di materiali compatibili agli originali e l’utilizzo di una malta a base di calce idraulica naturale con granulometria simile a quella originale confezionata appositamente. Il progetto di restauro della fortificazione si è posto l’obiettivo di tutelare le tracce storiche applicando tecniche che permettono la leggibilità senza occultamento delle stesse. Il rilievo, il progetto e i lavori di restauro sono stati guidati dall’arch. Francesca Martorano, docente presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che ha eseguito innumerevoli studi su Santo Niceto e numerose pubblicazioni. In questo momento altri due interventi interessano Santo Niceto: il primo riguarda il progetto di conservazione e di consolidamento delle strutture superstiti del palazzo nord con torre annessa e chiesa; mentre il secondo prevede il recupero e il restauro delle chiesette ai piedi della fortificazione con la realizzazione di parcheggi e servizi per l’accesso ai diversamente abili. Anche se la fruizione è stata difficoltosa in questi anni per la mancanza di servizi, dal 2008 a oggi la fortificazione di Santo Niceto è stata più volte oggetto di manifestazioni culturali e visite guidate che ha portato un gran numero di visitatori.
Vincenza Triolo
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IL TERRITORIO DELLA MOTTA SAN GIOVANNI TRA BIZANTINITA’ E LATINITA’ Quella del territorio a sud della città di Reggio Calabria è una storia notevolmente ammaliante, unica e affascinante che se studiata con cura e con attenzione dei dettagli ci fornisce la visione animistica di quella bizantinità ancora presente, ben radicata e mai sopita che per molti secoli ha caratterizzato la civiltà di questi territori. Anche per Motta San Giovanni vale lo stesso discorso di Montebello Jonico, Bova, San Lorenzo e tutti gli altri paesi definiti “grecanici” di tutto il basso ionio reggino.Sotto il profilo religioso il territorio mottese rientra in quella parte della Diocesi di Reggio chiamata “greca”, perché come più volte esposto da tanti storici ,il rito praticato fu quello greco-ortodosso che in questi luoghi come non in altri si protrasse fino a tutto il XVIII° sec. segno evidente di una bizantinità che ha veramente superato i confini del tempo e che ancora oggi caratterizza la cultura di queste popolazioni definite “grecaniche”. I luoghi di culto divennero in questo lungo periodo luoghi di sviluppo, di produzione e di diffusione della cultura. Gli intellettuali attivi in questi territori sono tutti uomini di chiesa che con la loro opera pastorale contribuiscono alla diffusione della cultura. A Motta San Giovanni, il segno di questa suggestiva bizantinità grecoortodossa, è dato dai titoli delle due parrocchie principali : la protopapale di S. Michele Arcangelo e la ditte reale di S. Caterina. Le prime notizie certe circa la ritualità e circa la cultura bizantina e latina presente su questo territorio affacciato sul magico scenario dello Stretto, possiamo desumerle dalle “Visite Pastorali” di Monsignor Annibale D’Afflitto che visitò questo territorio ripetutamente durante la sua permanenza alla guida della chiesa reggina nel 1595, nel 1597, nel 1605, nel 1610, nel 1618, nel 1628 e nel 1632. Esaminando tale rilevante “documentazione storica” è possibile ricostruire alla perfezione l’evoluzione del rito e della cultura che caratterizzò la società mottese tra il XVI° e il XVII° sec. momento in cui, lentamente e quasi con estrema naturalezza,il rito greco-bizantino,
cedette definitivamente il passo al rito latino. Come precedentemente accennato le principali istituzioni religiose in questo periodo divennero anche luoghi di sviluppo, di produzione e di diffusione culturale. Infatti anche a Motta avvenne quanto accadde a partire dal sec. XI° nel resto delle istituzioni religiose presenti sul territorio reggino; si sviluppò cioè l’arte della scrittura e della conservazione dei testi. Prioritariamente si trattò di testi sacri o a carattere religioso. A conferma di ciò noi sappiamo, con dato ampiamente accertato e documentato, che presso il monastero di S. Giovanni Teologo, istituzione più antica della quale si ha notizia e attestata a Motta San Giovanni già a partire dal XI° sec. furono copiati da Nifone egumeno del monastero e valente calligrafo, importanti codici membranacei quali il Vat. Grec. 1595, il Vat. Grec. 1673 e un altro importante codice il codexTheol149 datato intorno al 1292 e oggi conservato a Vienna. 9
Il territorio mottese appare quindi contornato da una serie di istituzioni religiose principali come appunto il monastero di S. Giovanni Teologo, il monastero di S. Filippo di Argirò , il monastero di S. Antonio del Campo, la chiesa della Madonna del Leandro, e da una serie di istituzioni religiose minori come la chiesa di S. Michele Arcangelo,la chiesa di S. Caterina, la chiesa di S. Maria della terra, la chiesa di S. Nicola delli castelli, la chiesa di S. Basilio, la chiesa di S. Salvatore a li Gallici. Nella maggioranza di queste istituzioni sacre, la cultura e il rito praticati erano di natura greca. Sicuramente, a mio avviso, il lento ed evolutivo passaggio di questi territori dalla cultura grecoortodossa alla cultura latina è sicuramente legato alla storia e all’evoluzione delle istituzioni religiose del tempo poiché come si è potuto ben comprendere hanno svolto un ruolo basilare anche nell’educazione culturale delle masse popolari. Per meglio comprendere tale passaggio ,secondo me, vanno esaminati alcuni fenomeni storici di importanza rilevante. Il primo riguarda l’affermarsi dei decreti dogmatici promulgati dal Concilio di Trento che tra le numerose novità stabilite, imponeva, in riferimento alla lingua da usare nelle celebrazioni e nell’amministrazione dei sacramenti in genere, la scelta di conservare l’uso del latino, pur raccomandando ai sacerdoti di spiegare ai fedeli in volgare il senso dei riti ed il contenuto dei passi delle scritture lette, raccomandazione che comunque non ebbe molto seguito. In merito all’ educazione dei sacerdoti e del clero in genere il Concilio non ammise preti sposati. L’altro dato da esaminare è sicuramente la figura di Monsignor D’Afflitto che accogliendo in pieno le istanze del Concilio Tridentino poiché allevato in ambienti nobili e di fede cristiana non vedeva sicuramente di buon occhio la presenza di una situazione del genere in una Diocesi che ormai doveva adattarsi alle nuove normative dettate dal Concilio appena conclusosi. Celebri a tal proposito furono alcune sue prescrizioni rivolte ai suoi sacerdoti invitandoli ad indossare l’abito talare e a non condurre per mano i loro figli durante le processioni. E’ da questo preciso momento che progressivamente si assiste ad un lento e costante calo nella pratica del rito greco nel territorio mottese; diminuisce infatti il numero dei preti che celebrano in greco, diminuisce il numero dei diaconi e dei suddiaconi
presenti nelle chiese e si inizia a celebrare in latino praticamente in tutte le parrocchie. Esaminando alcuni atti notarili, a comprova di ciò, è emerso che nel 1634 a Motta venne celebrato, in rito latino, un matrimonio che precedentemente veniva celebrato secondo il rito greco-bizantino. A conclusione quindi possiamo dire che nel nostro territorio il lento ma progressivo passaggio dal culto e dalla cultura greca al culto ed alla cultura latina avvenne quasi per fatto generazionale in quanto man mano che morivano i vecchi preti celebranti in rito greco, i nuovi celebravano in rito latino ormai ampiamente diffuso ed affermato non solo in ambito religioso ma anche in ambito socio-culturale.
Saverio Verduci
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IL CEDRO: TESORO VERDE DELLA TRADIZIONE CALABRA
È uno dei tesori più belli della nostra terra la Calabria, un tesoro verde invidiato e conteso in tutto il mondo per le sue straordinarie qualità: è il cedro!Noto col nome scientifico di Citrus Medica, appartiene alla grande famiglia dei Citrus. Di provenienza asiatica, è originario dal territorio dell’odierno Buthan, successivamente, esportato e fatto conoscere anche al mondo occidentale. Un frutto non comune, decantato da poeti, scrittori, storiografi in differenti fasi storiche .Nella Historia Naturalis, Plinio il Vecchio, da dimostrazione di conoscere il cedro. Chiamato dai latini citrus e dai greci kedros, ma lo scrittore e storico latino lo cita con la definizione alternativa di “mela assira”. Va però precisato che nell’epoca in cui Plinio visse e operò il cedro non era annoverato tra gli alimenti, non soddisfacendo un bisogno primario,veniva piuttosto utilizzato per scopi secondari, ad esempio, come repellente per allontanare insetti molesti e nelle ore notturne estive specialmente le zanzare. Nell’area archeologica di San Pasquale di Bova Marina intorno alla quale è stata costruita il Parco Archeologico Archeoderi, col suo ben attrezzato Antiquarium,è custodito un bellissimo mosaico policromo, datato dagli esperti IV-VI secolo, raffigurante al centro una grande Menorah disegnata secondo i dettami biblici con altre icone tipiche della tradizione religiosa ebraica come lo yulav (il rametto di palma) e vicino ad essa un cedro, noto in ebraico come etrogh.Cedri, shofar, rametti di palma, nodi di salomone, sono icone tipiche che vengono comunemente e ciclicamente usate per le rappresentazioni sacre dell’arte ebraica, in sé povera di raffigurazione. La bellezza, la magnificenza del cedro, è stata esaltata anche dai grandi profeti d’Israele come Zaccaria ed Ezechiele; nella Torah (corrispondente al Pentateuco cristiano) è ricordato come il Perì etzadar, cioè “il frutto dell’albero di bell’aspetto”, indicato da Dio a Mosè per raccoglierlo e usarlo nel rendergli grazie ed intonare solenni canti di gioia. È questo il senso della Festa delle Capanne che nel calendario ebraico è conosciuta come Sukkot e cade nel mese di Tishri corrispondente ai mesi cristiani di settembre/ottobre. Annualmente, rabbini di comunità ebraiche sparse nel mondo, giungono in Calabria. La meta del loro viaggio è una vasta porzione territoriale calabrese, la Riviera dei cedri, comprendente paesi come Cetraro, Diamante, Santa Maria del cedro e Tortora. Una volta qui giunti selezionano i frutti migliori kasher o kosher (a seconda della pronuncia askenazita o sefardita) adatti all’uso liturgico.
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In realtà, il cedro è prodotto anche altrove: Stati Uniti, Brasile, India, Indonesia ed in Medio Oriente. In Medio Oriente eccelle il cedro del Libano, tuttavia, il cedro della Riviera dei cedri è unico al mondo e conosciuto dai più esperti come varietà a cipollina per la sua insolita forma che richiama l’idea di una piccola cipolla. Il suo colore verdastro e la sua buccia piuttosto ruvida sono altre caratteristiche peculiari. È un prodotto unico nel suo genere: il microclima, il terreno e le falde acquifere, conferiscono al cedro a cipollina proprietà davvero invidiabili. Innumerevoli sono i suoi impieghi: nel settore farmaceutico, nella profumeria, ma anche nell’industriadolciaria. A Reggio Calabria e nella provincia reggina numerose pasticcerie e bar sfornano deliziosi dolcetti, e liquori ravvivano le nostre tavole con un prodotto di spiccata valenza qualitativa.In passato, il cedro, veniva usato come offerta donata alle autorità civili o ecclesiastiche, soprattutto durante le festività cristiane.Una lettera datata Natale 1803, conferma questa usanza: il prof. Pietro Roscitano donò ad un ecclesiastico, il cui nome non è citato, un cesto traboccante di agrumi al cui centro primeggiava un grosso cedro dal considerevole peso di 3.200 Kg.Il nome dell’ecclesiastico non è citato nella missiva in questione, ma compare l’espressione di “esule candidato”. Per alcuni storici si tratta probabilmente di Mons. Matteo Madonna. Nel XVIII secolo, nel reggino, vi erano ovviamente molti terreni con cedri come attestano atti di proprietà e di compravendita.Uno di questi campi era a Santa Caterina del Trivio, indicato in un documento archivistico ed appartenente ad una ebrea forse discendente di neoconvertita.
Ecco il documento: REGIA CORTE DI REGGIO ANTONINO CILEA DE FICARA
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A FRANCESCA VAZZANA E DEMETRO MEDURI (400 cedri terreno in Santa Caterina del Trivio per la festa di Sukkot) Atti dell’obbligo incusato da D. Antonino Cileade Ficara della medesima, ci dice come sendovi per ordine di questa suddetta Regia Corte eseguita una casa di Demetrio Meduri, e Francesca Vazzana in contrada Santa Caterina del Trivio ad istanza del competente per la consegna non fatta del canape e dei cedri all’Ebrea come dell’obbligo incusatoe poiché preme al competente di essere rimborsato di ciò, che deve conseguire dà medesimi; perciò fa istanza spedirsi al mandato del terreno. Può essere della spesa soddisfatto. 15 settembre 1796 (Saluti…firmato Spinelli) Nella storia e nella tradizione calabra il cedro ha certamente rivestito e riveste tutt’oggi un ruolo di prim’ordine, e data l’attuale condizione di crisi economica, che imperversa in tutta la nazione, consiglierei di puntare sui prodotti come il cedro, il bergamotto ed altri rappresentanti un marchio di qualità certificata della nostra regione, che dà prestigio ad una terra spesso disprezzata, discriminata e oggetto di stereotipi negativi. Ricordiamoci nonostante tutto del nostro potenziale enorme e dei nostri tesori che se adeguatamente sfruttati consentiranno alla Calabria un sicurorilancio e un progresso futuro.
Felice Delfino
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BIBLIOGRAFIA DEGLI ARTICOLI
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Tracce di presenza indigena nella Lucania Settentrionale: l’esempio di Ferrandina-di davide mastroianni-
Barbone N., Lisanti F., Ferrandina. Recupero di una identità culturale, catalogo della mostra (Ferrandina, maggio-luglio 1987), Galatina (LE) 1987. Bottini A., L’attività archeologica in Basilicata nel 1991, in ACMG XXXI, Taranto 1992, pp. 382-398. Bottini A., L’attività archeologica in Basilicata, in ACMG XXXIII, Taranto 1994, pp. 695-709. Canosa M. G., Rinvenimenti archeologici nel territorio di Ferrandina, in Ferrandina 1987, pp. 21-25. Castoldi M., Nuove indagini archeologiche nel Metapontino, tra Pisticci e Ferrandina, in “Acme” 60, 1, 2007, pp. 249-60. De Siena A., Rinvenimenti archeologici a Ferrandina, in Ferrandina 1987, pp. 51-76. De Siena A., La documentazione archeologica di Ferrandina, in Palestina C., Ferrandina “Uggiano Vecchia”, Potenza 2004, p. 32. Lattanzi E., Ferrandina. Necropoli dall’Età del Ferro al IV secolo a.c. (Vetrine CVI, CVIII), in Il museo Nazionelae Ridola di Matera, Matera 1976, pag 146, Tav. LIV. Mastronuzzi G., Ferrandina - Caporre, in Repertorio dei contesti cultuali indigeni in Italia Meridionale, Volume 1, Età arcaica, BACT, Quaderni 4, Bari 2005, pp. 54-55. Osanna M., Guerra e religione tra mondo greco e mondo indigeno, in Genti in arme. Aristocrazie guerriere della Basilicata antica, Catalogo della Mostra, Roma 2001, pp. 63-67. Palestina C., Ferrandina V. Territorio, viabilità, platee, masserie, Venosa 1995.
LA FORTIFICAZIONE DI SANTO NICETO -DI vincenza triolo• G. CARIDI, Dal feudatario ai notabili, il principato di Motta San Giovanni dal Seicento agli inizi dell’Ottocento, Falzea ed., Reggio Calabria 1996. • DE LORENZO, Le quattro motte estinte presso Reggio di Calabria, Berbardibo ed., Siena 1891. • DE LORENZO, Un terzo manipolo di monografie e memorie reggine e calabresi, Berbardibo ed., Siena 1891. • F. MARTORANO, Santo Niceto. La storia e il restauro, Iiriti Editore, Reggio Calabria, 2013. • F. MARTORANO, Santo Niceto tra storia e progetto, “Quaderni del dipartimento patrimonio architettonico e urbanistico”, n. XIV, 27-28, 2005, pp. 248-252. • F. MARTORANO, Santo Niceto nella Calabria medievale. Storia, architettura, tecniche costruttive, “L’ERMA” BRETSCHNEIDER, Roma (ITA), 2002. FONTI ICONOGRAFICHE • Fig. 1 _ Immagine fotografica proprietà di Vincenza Triolo, anno di scatto 2015. • Fig. 2 _Disegno del Prof. A. Marcianò, Tav. pag. 28 in F. ARILLOTTA, La storia della Motta San Giovanni e del suo territorio, Grafica ENOTRIA, Reggio Calabria, 1999. • Fig. 3 _ Tav. pag 15 in F. MARTORANO, Santo Niceto. La storia e il restauro, Iiriti Editore, Reggio Calabria 2013, pag. 45. • Fig. 4 _ Disegno di Vincenza Triolo, Ricostruzione delle fasi costruttive della Fortificazione di Santo Niceto, anno 2015.
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IL CEDRO: TESORO VERDE DELLA TRADIZIONE CALABRA -DI FELICE DELFINO-
DELFINO FELICE, La presenza ebraica nella storia reggina,Disoblio Edizioni, Bagnara 2013. DE LORENZO ANTONIO, Monografie e Memorie Reggine e Calabresi, Laruffa Edizioni, Reggio Calabria 2011. Arsc. inv. 64, busta 11, n. 326 a 1796Busta n. 11 inv. 64.
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PARLANDO DI... VINCENZA TRIOLO Nata a Reggio Calabria nel 1980, consegue nel 2014 la laurea in Scienze dell’architettura e nel 2012 la laurea in Storia e Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali nella Facoltà di Architettura di Reggio Calabria. Nel 2001 collabora, con l’incarico di esperto esterno, al progetto PON per il recupero e la valorizzazione del centro storico di Motta San Giovanni. Nel suo iter universitario partecipa a numerosi stage: Fortificazione di Santo Niceto, rilievo e analisi di degradi e dissesti, Archeologia e cantieri di restauro nella Sicilia centrale, Studio di edilizie di base del paese di Armo Gallina (RC). Rilievo e analisi dei degradi e dissesti di Palazzo Spinelli di Motta San Giovanni (RC). Nel 2013 collabora a progetti di ricerca con il Dipartimento PUA presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria ed è stagista presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Nel 2014 collabora con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia con la qualifica di esperto esterno all’attività di catalogazione relativa all’uso del sistema informatico per i Cantieri di Restauro SICaR del MIBACT e all’uso del sistema informatico per la catalogazione relativa all’uso del sistema informatico per i Beni Culturali SIGEC/WEB del MIBACT. Nello stesso anno pubblica il saggio dal titolo: Il Quartiere Praci di Motta San Giovanni (RC). Storia, architettura e conservazione: linee guida per il recupero e il ripopolamento con la GB Editoria; e scrive in diverse riviste online che si occupano di Architettura, Storia e Conservazione dei Beni Culturali.
DAVIDE MASTROIANNI Nasce il 16/11/1984 a Lamezia Terme (CZ). Archeologo Classico e Topografo, esperto in fotointerpretazione aerea, ha studiato presso l’Università della Calabria, l’Università La Sapienza di Roma e l’Università del Salento. E’ vincitore di concorso della Scuola di Dottorato - XXIX° Ciclo - in “Architecture, Industrial Design and Cultural Heritage”, presso La Seconda Università di Napoli. Ha maturato esperienze pluriennali di scavo in Calabria, Lazio, Toscana e Emilia Romagna come archeologo e come l ibero professionista.
PARLANDO DI...
SAVERIO VERDUCI ( Melito Porto Salvo, 1979 )Storico e giornalista divulgatore si è laureato in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università degli Studi di Messina nel 2006 con una tesi di laurea dal titolo: “La Calabria nello spazio mediterraneo in epoca romana. Produzioni, rotte e commerci”. Nel 2007 ha conseguito presso la medesima facoltà il Perfezionamento post-laurea in storia e filologia: dall’antichità all’età moderna e contemporanea con una tesi dal titolo: “ I rapporti commerciali tra la Sicilia e le provincie orientali in epoca tardoantica”. Nel 2010 ha conseguito il Perfezionamento post-laurea in studi storico - religiosi e nel 2011 ha conseguito il Master di II Livello in Architettura e Archeologia della Citta Classica presso la Scuola di Alta Formazione in Architettura e Archeologia della Città Classica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria con una tesi dal titolo “ Rhegion fra Atene e Dionisio I ”. Studioso di storia antica e medievale si occupa della valorizzazione della plurimillenaria storia del territorio reggino e segue con particolare interesse la ricostruzione delle vicende storiche relative al territorio di Leucopetra ( Lazzaro) dove egli vive.Nel 2012 è stato nominato membro della giuria Premio Letterario “ Metauros ” sez. A – Libro edito di storia locale e nel 2013 sempre per il medesimo premio ne è stato nominato presidente di giuria della stessa sezione. Collabora inoltre con l’Istituto Comprensivo Motta San Giovanni ormai da alcuni anni in qualità di esperto e referente storico per i vari progetti di ricerca storica sul territorio lazzarese e mottese.Attualmente collabora con le riviste Costaviolaonline.it per la quale cura le pagine di approfondimento storico, con il portale Grecanica. com - voci dalla Calabria greca, con il sito Lazzaroturistica.it per il quale cura le pagine di storia e di archeologia, e con la rivista di studi storici Cesar.
FELICE DELFINO Nato il 04 Ottobre del 1979 a Oppido Mamertina (Rc), ha conseguito nel 2009 il Magistero presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Mons. Zoccali” di Reggio Calabria. Ha insegnato per due anni religione e cultura storico-sociale presso la Do.Mi. di Villa San Giovanni ed ha collaborato con alcune riviste storico-culturali locali pubblicando articoli religiosi per la rivista dell’Associazione Mariana “Amici di Fatima” di Rosalì (Rc), ma anche articoli e saggi storici con alcune riviste cartacee e online tra cui costaviola online. Appassionato da anni alla storia ebraica ha preso parte a diversi convegni incentrati sugli ebrei reggini (nel 2011 al Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, evento organizzato dalla Fi.da.pa di Rc, insieme con l’avv. Franco Arillotta e con lo storico Natale Zappalà; nel 2012 nella conferenza presso la sez.UNLA di Arghillà Gallico). Ha pubblicato nel 2013, con la casa editrice Disoblio di Bagnara Calabra, il libro “La presenza ebraica nella storia reggina”. Attualmente vive a Catona (Rc).
UOMINI DI CULTURA
CASSIODORO FLAVIO MAGNO AURELIO Cassiodoro, Flavio Magno Aurelio Uomo politico e letterato (Squillace, Catanzaro, 490 ca. - Vivario, Catanzaro, 580 ca.). nel 507 questore, nel 514 console, e nel 523 magister officiorum, ministro per la politica interna; divenne così l’appassionato animatore dell’ideale di fusione tra Romani e Goti. Fu consigliere prudente di Amalasunta, Teodato, Vitige, durante le burrascose vicende della successione del regno goto. Di questa sua attività lasciò memoria nella silloge (in 12 libri) intitolata Variae. Nel 540 Belisario fece prigioniero a Ravenna Vitige; facendo crollare così l’ideale di conciliazione tra romanità ed il germanesimo, da Cassiodoro perseguito. La politica gli apparve allora come dispersione funesta dal raccoglimento religioso. Nacque così il De anima , considerato da Cassiodoro il 13° libro delle Variae. Ritiratosi a Squillace, fondò nei dintorni, a Vivario, un monastero che, fornito di una ricca raccolta di codici e di uno scriptorium, divenne il prototipo dei centri culturali monastici del Medioevo. C. promosse qui una intensa attività di traduzione di opere greche tra cui la Historia ecclesiastica tripartita di Socrate, Sozomeno e Teodoreto tradotta da Epifanio, e scrisse, oltre a opere esegetiche e al De orthographia (composto a 92 anni, per i monaci), la sua opera più importante per l’influenza che esercitò sulla formazione della cultura medievale: le Institutiones divinarum et saecularium litterarum (trad. it. Le istituzioni). Fonti : Treccani enciclopedia
NOVOTA’ DAL...
SCOPERTA SENSAZIONALE SOTTO LA PIRAMIDE DI KUKULKAN
Un’immensa caverna è stata scoperta in Messico sotto uno dei maggiori monumenti precolombiani del paese: la Piramide di Kukulcan. I Maya avevano disegnato e scavato un pozzo sacro, di un diametro di 35 metri e una profondità di 20. L’antropologa Denisse Argote, ha spiegato il perché i Maya abbiano costruito questa piramide esattamente sulla penisola dello Yucatan, al sud est del paese: “Questo tipo di terreno carsico è circondato e attraversato da fiumi sotterranei. Bisogna legare il concetto della cavità materna con l’origine del mondo e l’acqua come fonte di vita. Elementi fondamentali nel mondo dei Maya”. Il prossimo ottobre un gruppo di esperti inizieranno una seconda tappa di indagini che avrà come obiettivo la ricostruzione dell’interno della piramide.
Fonte : http://it.euronews.com/2015/08/14/messico-scoperta-sensazionale-sotto-la-piramidedi-kukulkan/
...LIBRI
I ITALIA T A L I A
I CONCORSI T I A T L A I L A I A C O C N O C N O C R O S R I S
GustArti - Call for Artists http://www.giovaniartisti.it/concorsi/2015/08/31/ gustarti-call-artists “Fuoco sacro, la sacralità nel quotidiano” - Prima edizione del concorso fotografico http://www.giovaniartisti.it/concorsi/2015/06/10/ fuoco-sacro-la-sacralit%C3%A0-nel-quotidiano-prima-edizione-del-concorso-fotografico
C O N C O R S
Premio Themis 2015 - Scrittura http://www.giovaniartisti.it/concorsi/2015/02/17/ premio-themis-2015-scrittura
Premio Lettere, arte e scienza per l’Area dello Stretto http://www.concorsiletterari.it/ concorso,5220,Premio%20Lettere,%20arte%20 e%20scienza%20per%20l’Area%20dello%20Stretto%20-%20Dott.%20Domenico%20Smorto
Premio Internazionale di Poesia “Delia-Città di Bova Marina” http://www.concorsiletterari.it/ concorso,5239,Premio%20Internazionale%20 di%20Poesia%20%22Delia-Citt%C3%A0%20di%20 Bova%20Marina%22
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