Riv. Imprese n. I Aprile 2015

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Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali

Bimestrale

di divulgazione

giuridica ed economica. I° numero

15 Aprile 2015

Numero I/2015 Numero redatto con la collaborazione di: Lenzi Paolo Broker di Assicurazioni Srl Via Riva Reno 29/c – 40122 Bologna mail: info@lenzibroker.it www.lenzibroker.it


Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali Bimestrale di Divulgazione giuridica ed economica Autori Vari – AA.VV.

Riv. Depositata presso il Trib. di Bologna in data 08/04/2015. Autorizzazione n. 8380

Proprietario e Direttore: Avv. Francesco De Sanzuane Sede redazionale: Via Borghi Mamo 1 – 40137 - Bologna Contatti e Info: http://www.rivistadelleimprese.it inforivistadelleimprese@gmail.com info@rivistadelleimprese.it

Numero I/2015 2

Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali – Apr. 2015


Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali

Bimestrale

di divulgazione

giuridica ed economica. I° numero

Aprile 2015

All’interno 4

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L’estensione della confisca ex art. 19 D.lgs. 231/01 tra “responsabilità contratto” e “responsabilità in contratto”. Diritto Internazionale. Il contratto di agenzia nel diritto della Turchia. La definizione di prodotto difettoso: difetto di fabbricazione, mancanza di istruzioni.

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La cessione dei crediti scaturenti da attività professionale.

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La tutela del design in Giappone. Brevi note introduttive.

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Revisori e sindaci. Brevi riflessioni sui profili di responsabilità.

Reato ascrivibile alla società ex «231»? Si applica la confisca dell’utile netto conseguito. L’art. 19 del Decreto Legislativo 231/2001, che come noto ha introdotto la c.d. responsabilità amministrativa degli enti (e dunque anche le società di persone e di capitali), prevede l’applicazione dell’istituto della confisca dell’utile netto (o profitto) che l’azienda ha percepito in seguito al reato. Ma è la sentenza n. 53430/2014 della Corte di Cassazione che può chiarire i criteri da applicare per l’individuazione di detto utile. Per fornire la propria interpretazione, la Suprema Corte muove da quanto già enunciato con sentenza n. 26654/2008 Sez. Unite ove è statuito che, ferma l’assoggettabilità a confisca dell’intero vantaggio patrimoniale conseguito dai c.d. “reati contratto” – in cui il reato presupposto si sostanzia in un’attività integralmente illecita, come l’associazione a delinquere – nelle ipotesi di “reato in contratto” (continua a pag. 2)

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L’estensione della confisca ex art. 19 D.lgs. 231/01 tra “reato contratto” e “reato in contratto”.

Assoggettabilità del vantaggio patrimoniale ottenuto all’istituto della confisca (da pag. 1) – nel cui caso il fatto delittuoso è parte del momento contrattuale ed è da questo che l’ente ha poi tratto il profitto ingiusto, anche se l’esecuzione del contrato in sé è lecita – è sempre necessario effettuare una precisa distinzione tra il vantaggio direttamente conseguente al reato – e il cui profitto è dunque senz’altro confiscabile - e il profitto che deriva da una prestazione di per sé lecita, e non confiscabile. In altri termini, è stato precisato che per “determinare” il profitto sia necessario determinare l’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto con l’ente” (cfr. anche Cass. n. 35748/2010). Dunque, si deve evincere che innanzi ad un’ipotesi di “reato in contratto” il profitto confiscabile dovrà essere determinato tenendo in considerazione che, da un lato, potranno essere assoggettati tutti gli elementi economico-patrimoniale che effettivamente concorrono a comporre l’“incremento” reale del patrimonio dell’ente; tuttavia,

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dall’altro lato, pare che “non possa” essere oggetto di confisca il profitto conseguito per le prestazioni lecite effettivamente svolte a favore del contraente, ovvero le “utilitas” ottenute da controparte. Da ciò ne consegue che dal valore del contratto dovranno essere “sottratte” le somme riscosse dall’ente pari all’ “effettiva utilità conseguita dal danneggiato”, ovvero al valore della prestazione che esso ha ricevuto. Ma la determinazione del valore di tale “utilitas”, che può essere sottratta alla confisca, non è di immediata soluzione. Essa, come osservato, non può corrispondere al prezzo di contratto, ma neppure al mero valore di mercato della prestazione resa, perché comprensiva del margine di guadagno per l’ente, o utile, che si traduce, in caso di condotta illecita, in un illecito vantaggio economico. È dunque precisato che il valore che cerchiamo è commisurato ai soli “costi vivi”, concreti ed effettivi”, che l’impresa abbia sostenuto per dare esecuzione all’obbligazione contrattuale. Ed ancora una volta appare evidente la difficoltà di ricondurre un valore finale a detti “costi vivi”; per conseguire lo scopo, oltre agli accertamenti dell’autorità giudiziaria, l’interprete dovrà senza dubbio far ricorso alle risoluzioni di professionisti con alta specializzazione in materia di contabilità, gestione di impresa e, per semplificazione, di qualsiasi altro aspetto che si riveli, in sostanza, inutile rispetto all’economia e all’andamento del contratto e che ha, nei fatti, quale unico scopo quello di aumentare il prezzo del negozio. Nel caso di specie la Corte, chiamata a decidere in merito al comportamento di un membro di consiglio di amministrazione, aveva potuto accertare che l’intensità dell’operato posto in essere, pur se limitato alla situazione contabile della società, era invero più che sufficiente a provare la sua partecipazione attiva e consapevole alla gestione dell’impresa e, dunque, dell’andamento della stessa. Prendendo le mosse da tale premessa, è poi stato enunciato il principio oggetto della presente analisi, principio secondo il quale il componente del Consiglio di Amministrazione è imputabile del reato di bancarotta impropria, in concorso con il gestore e “vero” responsabile del reato, quando in esso è ravvisabile il dolo: “da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori”. Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali – Apr. 2015


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Diritto Internazionale. Il Contratto di agenzia nel diritto Turco. Autore

Francesco De Sanzuane La legge Turca richiede espressamente il principio dell’autonomia in capo all’agente (Acentelik) di commercio (art. 116, comma 1 c. comm.), pur dovendo egli agire in stretto ossequio alle istruzioni dettate dal preponente in una determinata zona o territorio. Dunque, e in linea di principio, similmente a quanto accade nel nostro ordinamento, l’agente è libero di stabilire l’intensità della prestazione offerta, le modalità di svolgiento e gli orari di lavoro. Egli può anche concludere contratti in nome del preponente se quest’ultimo lo ha espressamente autorizzato per iscritto (art. 121 c. comm.), ma non può prestare la propria attività per più preponenti dello stesso settore – sia esso monomandatario, plurimandatario, con esclusiva o senza. E, se non è richiesta forma scritta per la validità del contratto di agenzia, con eccezione dell’agente di assicurazioni il cui rapporto deve essere sottoposto a registrazione - l’eventuale procura concessa all’agente per la conclusione diretta di contratti in conto del preponente necessiterà, al contrario, della forma scritta e della pubblicità – tramite deposito – del documento originale presso il competente ufficio del Registro di Commercio, che tuttavia limiterà la pubblicità al contenuto della procura, omettendo il testo del contratto presupposto. È interessante notare che la legge Turca non si esprime sulla “natura” dell’agente né su quella del preponente e, dunque, è stato ritenuto di poter affermare che l’istituto di agenzia non distingue tra persone fisiche o persone giuridiche o tra cittadini di nazionalità Turca e stranieri. Parimenti, non esiste alcun obbligo di iscrizione ad Albi o Registri dedicati. Si può dunque affermare che l’attività di agente è liberamente esercitabile.

Il contratto di agenzia in Turchia è regolato dal Codice del Commercio (articoli da 116 a 134) e dal Codice delle Obbligazioni (artt. 108 e 126).

Diritto Internazionale

Quando dotato di procura, in capo all’agente di commercio sorgono ulteriori obblighi e responsabilità, quali ad esempio il dovere di trasmettere il testo del negozio, specificando diritti (continua)

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e i doveri dei contraenti e, inoltre, seguendo le direttive del preponente con specifica attenzione alla determinazione dei prezzi e dei termini di vendita dei prodotti. Nel caso in cui il preponente non abbia fornito indicazioni sufficienti ovvero quando vi sia pericolo che l’equilibrio economico dell’accordo penda in sfavore di questo, l’agente assume un ruolo più attivo e, agendo nell’interesse del preponente, ha facoltà di trattare proprio come se egli stesso fosse impegnato in prima persona, assumendo tutte le decisione ritenute necessarie. Solo se munito di procura, e solo per merci di cui ha effettuato la consegna, l’agente è anche autorizzato a ricevere somme di denaro che dovrà poi trasmettere al preponente nei termini pattuiti. In caso di liti relative a contratti conclusi per il suo intervento, l’Agente può essere convenuto e/o agire in giudizio in Turchia per conto del suo preponente estero.

dell’accordo.

Come è regolata l’ipotesi in cui l’agente abbia concluso un contratto in nome del preponente senza esservi autorizzato (falsus procurator)? In questi casi il preponente, se non intende dare esecuzione al contratto, è obbligato a comunicare il suo rifiuto al terzo non appena abbia avuto notizia della conclusione

Ciò precisato, osserviamo che i tribunali Turchi hanno assunto decisioni di segno opposto rispetto a quanto appena considerato in riferimento alla norma applicabile. Ovvero, hanno riconosciuto in capo all’agente il diritto a ricevere un giusto indennizzo – a volta considerato sotto la veste di risarcimento del danno – in casi in cui l’agente ha procurato al preponente nuovi clienti ampliandone sensibilmente il giro d’affari o, ancora, quando il profitto derivante dai nuovi clienti procurati sia continuo e permanente nel tempo. Altra condizione posta per il riconoscimento dell’indennità a favore dell’agente è che la risoluzione non sia dovuto a sua colpa. È concessa ai contraenti piena libertà nella scelta della legge applicabile al contratto, pur nel necessario rispetto delle norme di applicazione necessaria e dell’ordine pubblico. In mancanza di scelta, è applicabile la legge del luogo dove deve essere adempiuta l’obbligazione e, dunque, nella pressoché totalità dei casi, la legge turca. Eventuali clausole che derogano alla giurisdizione ordinaria o che introducono una clausola compromissoria sono considerate valide ed efficaci, a condizione che siano pattuite per iscritto.

In caso di liti relative a contratti conclusi per il suo intervento, l’Agente può essere convenuto e/o agire in giudizio in Turchia per conto del suo preponente estero.

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Il preponente è tenuto a pagare all’agente di commercio una provvigione e a rifondere le spese straordinarie che egli abbia affrontare per concludere l’affare – spese di marketing, spese per evitare danneggiamenti alla merce - per tutti i contratti conclusi con terzi e andati a buon fine. Altresì, il preponente dovrà riconoscere la provvigione quando abbia concluso direttamente affari con clienti o nella zona di esclusiva c dell’dell’agente. Nei rari casi in cui il contratto non dovesse fissare l’ammontare delle provvigioni, allora si farà ricorso agli usi commerciali, con riferimenti ai parametri normalmente applicati dagli agenti che operano nel medesimo settore merceologico. La normativa turca concede alle parti piena libertà nel decidere se porre un termine, o meno, alla validità del contratto. Nel caso questo sia stato stipulato a tempo indeterminato, entrambe hanno facoltà, art. 133 del cod. comm., di recedere con preavviso minimo obbligatorio di tre mesi. All’opposto, in caso di contratto a termine, il recesso può sì essere invocato in qualsiasi momento, ma solo in presenza di gravi e comprovati motivi tra i quali, tipicamente, sono ricompresi tra gli altri, il mancato pagamento delle provvigioni, l’insolvenza di una delle parti, la violazione del patto di non concorrenza e la perdita della capacità d’agire di una delle parti. Alla scadenza del contratto, ovvero al momento della sua risoluzione, non è garantito a favore dell’agente alcun diritto a ricevere un’indennità di fine rapporto. Ugualmente, anche nel caso in cui sia stato assunto dall’agente un accordo di non concorrenza post-contrattuale, al preponente non è fatto obbligo di riconoscergli alcun compenso.

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Il Prodotto Difettoso. La definizione di prodotto. Il difetto di fabbricazione. Il Codice del Consumo (C.d C) pone quale oggetto della tutela il danno provocato da un prodotto “difettoso”. Si tenga ben presente che non sono ricompresi i danni cagionati dal mero prestatore di servizi per cui, nel considerare la disciplina in esame, è necessario ricordare che destinatario del regime di responsabilità è il solo “produttore” il cui prodotto ha cagionato il danno (art. 114 C.d C.). Egli diventa soggetto responsabile nel momento in cui il prodotto è messo in circolazione (art. 119 C d C.). In linea di principio, si intende posto in circolazione il prodotto che sia stato consegnato all'acquirente, all'utilizzatore, o a un ausiliario di questi, anche nelle ipotesi di consegna per mera visione o prova. Importante è sottolineare che il regime di responsabilità si “attiva” quando il bene è consegnato al vettore o allo spedizioniere. Per meglio definire la portata della disciplina in esame, l’art. 115 C.d C. ci fornisce la definizione di prodotto, che è inteso quale un qualsiasi bene mobile, anche quando esso sia incorporato in altro bene, mobile o immobile. Rispetto al passato, la definizione di prodotto ora abbraccia anche categorie precedentemente escluse, ovvero i prodotti agricoli, dell’allevamento, della pesca della caccia che non abbiano subito trasformazioni (D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 25). Ciò specificato, possiamo considerarci al cospetto di un prodotto difettoso qualora il medesimo non offra la “sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze” (art. 117 C. d C.). Deve dunque essere osservato che la nozione di difetto non coincide con quella di vizio della cosa, poiché quest’ultimo non necessariamente nasconde condizioni che possano rendere il prodotto “pericolo” per l’utilizzatore. In altri termini, il difetto pone il proprio accento sulla mancanza del requisito della sicurezza; il vizio, di cui alla disciplina ex art. 1490 c.c., attiene invece alle qualità del prodotto.

Codice del consumo e tutela del consumatore.

Diritto Civile

La norma ha il merito di fornire una seria eterogenea, ma sufficientemente esaustiva, di parametri da utilizzare per (continua)

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poter giudicare difettoso un prodotto. Essi insistono principalmente su quegli elementi che sono idonei a modificare la rappresentazione che del prodotto potrebbe erroneamente fare il suo utilizzatore: le modalità con le quali il prodotto è stato messo in circolazione, la sua esibizione, le caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite. Anche l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, unitamente ai comportamenti che possono attendersi in relazione a tale uso, costituisce un importante parametro da considerare, che richiede di essere vagliato anche in relazione al tempo in cui è stato messo in circolazione.

Considerata l’importanza del bene protetto dalla norma, ossia l’integrità della persona che utilizzerà il bene o dei terzi che con esso potranno eventualmente entrare in contatto, grande importanza è altresì data alle avvertenze ed alle istruzioni che seguono il prodotto nella sua circolazione in commercio e che devono essere completate da una etichettatura completa, e da qualsiasi altra informazione necessaria a rendere l’utilizzatore più consapevole, tali da comprendono, ovviamente, anche l’avviso di idoneità del medesimo ad essere destinato a determinate categorie di utilizzatori (bambini, anziani).

Si evince, in definitiva, che il difetto è stato In definitiva, solo quando sono fissati legato dalla normativa al concetto di sicurezza parametri standard di sicurezza, è possibile in quanto esso implica una insidia, o addirittura valutare effettivamente le mancanze del un pericolo, per il soggetto prodotto e, dunque, che lo utilizza ovvero per giudicarne il grado si Il difetto implica un’insidia, qualsiasi persona che può sicurezza tenuto conto entrare in contatto con il un pericolo per chi ne fa uso dell’uso per il quale esso è prodotto. In altri termini, se – criterio del prodotto e per i terzi che destinato esso non offre la sicurezza oggettivo – e dei si trovano a contatto con che è naturale attendersi comportamenti che si esso. da altri della medesima possono ragionevolmente serie, il prodotto è difettoso. attendere dal bene, tenuto conto del futuro uso La nozione di prodotto difettoso è completata al quale è destinato e dei atteggiamenti che, dalla nozione di prodotto sicuro contenuta in relazione ad esso, si possono nell’art. 103 del C.d C.) e che stabilisce che ragionevolmente prevedere sia assunti – può considerarsi sicuro il prodotto che, in criteri soggettivi. condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, non presenti alcun rischio ovvero, Proprio rispetto a questi ultimi, è ormai presupponga rischi molto lievi e, comunque, pacifico e incontrovertibile che l'assenza, riconducibili alla natura stessa del prodotto e l’insufficienza o la carenza di istruzioni sempre contenuti entro limiti stringenti di pertinenti all'utilizzo di un qualsiasi prodotto osservanza delle norme e dei principi a tutela costituisce una netta ipotesi di mancato della saluta e della sicurezza delle persone. rispetto delle condizioni di sicurezza, come in precedenza richiesto dall'art. 5 d.P.R. n. 224 La nozione di prodotto sicuro impone dunque del 1988, ora trasferito nell’art. 117 C.d C. l’analisi di alcuni elementi che attengono alle caratteristiche intrinseche del prodotto – quali In questi casi ne consegue la responsabilità ad esempio la sua composizione o il suo del produttore per difetto di informazione. A meccanismo di funzionamento, ed estrinseche titolo di mero esempio, si riporta quanto – quali l’imballaggio, l’installazione e le deciso dal Tribunale di Vercelli (sentenza 7 modalità di manutenzione. aprile 2003) che ha condannato il produttore di una cuccuma al risarcimento dei danni Oltre a ciò, e nel rispetto di quanto previsto scaturiti dallo scoppio della stessa e la cui dall’art. 115 C.d C, sarà necessario valutare le colpa è stata rinvenuta nell’aver offerto, ripercussioni che il prodotto, per il suo uso e per proprio in merito alle circostanze che ne la sua destinazione finale, può avere su altri hanno causato l’esplosione, informazioni prodotti con i quali esso dovrà interagire. carenti e parziali.

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La Cessione di Crediti scaturenti da attività professionale. Autori: Dott. Comm. Stefano Foglia Avv. Francesco De Sanzuane

Cessione del credito ex art. 1260 c.c..

Diritto Civile

In un periodo di particolare difficoltà economica come quello in cui si è chiamati ad operare, l’utilizzo dello strumento della cessione dei crediti, in particolare di quelli che appaiono di difficile o comunque più complessa riscossione, potrebbe rivelarsi uno dei più vantaggiosi strumenti da utilizzare per risolvere posizioni difficoltose ed acquisire liquidità in tempi ragionevoli. Pur senza pretesa di esaustività, è necessario analizzare l’istituto della cessione del credito nelle sue caratteristiche principali. La cessione si realizza di norma con la stipula di un contratto, tra creditore originario e cessionario, e si perfeziona “anche senza il consenso del debitore” (art. 1260 c.c.). In altre parole non è necessario il consenso del debitore ai fini della piena validità del negozio anche se gli effetti propri della cessione stessa nei confronti del debitore sorgono, ex art. 1264 cod. civ., solo a seguito della sua accettazione, o della notificazione della cessione, termine che deve essere inteso nel senso più ampio, quale qualsiasi attività diretta a produrre nel destinatario la conoscenza del negozio concluso, in questo caso tra cedente e cessionario. A questo proposito, si aggiunge che, nel caso in cui il debitore sia comunque venuto a conoscenza della cessione (onere della prova a carico del cessionario), nel momento in cui pagasse decidesse di pagare quanto dovuto direttamente al cedente, egli non è liberato nei confronti del cessionario, che dunque ben potrebbe pretendere un ulteriore pagamento a proprio favore. Il contratto di cessione ha l’effetto di trasferire immediatamente la titolarità del diritto di credito, restando differito, eventualmente, il solo effetto della opponibilità al debitore, ricorrendo i presupposti di cui all’articolo 1264 c.c., di un trasferimento del diritto già perfezionatosi, considerazione dalla quale si può evincere che una volta trasferito al cessionario, questi ha a sua volta il diritto di trasferire anche il credito prima che la notifica giunga a conoscenza del debitore. Di particolare interesse è poi il caso di cessione di un credito futuro, nel quale il trasferimento si verifica in un momento successivo, essendo differito all’insorgenza del (continua)

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credito. In astratto, una tale ipotesi poco, ma nei fatti, la casistica potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso giurisprudenziale, al di fuori dei crediti in cui il professionista decidesse di cedere pecuniari, è limitata agli obblighi di un credito “futuro”, ma garantito dalla consegna o riconsegna di beni mobili o presenza di un incarico valido ed efficace immobili nascenti da contratti traslativi o di già sottoscritto dal committente. godimento. Come poc’anzi accennato, l’oggetto I divieti di cessione del credito sono quelli della cessione del credito disciplinata che assumono “carattere strettamente dagli articoli 1260 ss. c.c. è un diritto di personale, articolo 1260, comma 1, c.c. credito ed il principio generale sul quale è (obbligazioni cd. “intuitu personae”). In basato l’istituto è quello della cedibilità di questo caso, il divieto di cessione si fonda tutti i diritti di credito, fatti salvi i divieti alla sulla circostanza che la cessione si cessione posti dalla legge. perfeziona a prescindere dalla volontà del La conoscenza di questo principio risulta p debitore. Da questo ne deriva che la particolarmente utile per comprendere la natura, personale o meno, della natura dei crediti di si è titolari e la prestazione, va valutata sulla prestazione possibilità di sottoporti a cessione. Quindi, ricadente sul debitore per cui, ad esempio, è certamente possibile effettuare la non sono dunque trasferibili le obbligazioni cessione di crediti di natura pecuniaria, di facere infungibili: prestazioni di lavoro che possono derivare da rapporti di subordinato o autonomo/professionale, per natura negoziale (disciplinare d’incarico) le quali è ovviamente ovvero da altre fonti di necessario il consenso obbligazioni. Vari sono del prestatore d’opera, i gli esempi che possono I divieti di cessione del diritti legali di prelazione essere portati a credito sono quelli che su beni ereditari, ecc. fondamento di tale assumono “carattere La forma del ultima affermazione, contratto di cessione è, strettamente personale, concernenti crediti che derivano da norme di articolo 1260, comma 1, c.c. per regola generale, libera, tuttavia, legge, da atti unilaterali (obbligazioni cd. “intuitu incombendo in capo o molti altri ancora, e alle parti del contratto, personae ”) proprio scorta degli ed in particolare al esempi sopra riportati, cessionario, l’onere di non parendo esserci provare l’avvenuto norme speciali o perfezionamento della cessione, è sempre impedimenti di natura particolare, si è consigliabile provvedere alla stipula nelle condotti a concludere che anche i crediti forme dell’atto pubblico o della scrittura vantati da un professionista possano privata autentica, a prova dell’intervenuta essere oggetto di cessione, sempre fatte cessione nel processo. .Ovviamente, nel salve eccezioni dovute a norme speciali. caso in cui la cessione sia stata stipulata Dalle considerazioni sopra evidenziate, con scrittura privata semplice, acquista un avvallate dalla verifica effettuata che ha rilievo fondamentale il possesso dei trovato sul punto una giurisprudenza documenti inerenti l’insorgenza e la consolidata, si può trarre una ulteriore consistenza del credito (il contratto, considerazione: anche se il credito è in dichiarazioni scritte del debitore, ecc.). apparenza incerto, perché ad esempio È ora necessario compiere qualche cenno controverso nell’an o nel quantum alla garanzia dell’esistenza del credito al debeatur, esso può essere liberamente tempo della cessione (articolo 1266 cod. ceduto in quanto le eventuali eccezioni civ.), dovuta nel solo caso di cessione a relative all’esistenza del credito potranno titolo oneroso. Al contrario, nell’ipotesi di in effetti concretizzarsi solo in sede cessione a titolo gratuito, il cedente è processuale. In astratto, inoltre, è tenuto esclusivamente alla garanzia per ipotizzabile anche la cessione di diritti di evizione. credito non pecuniari, salvi gli specifici Dunque, per principio generale, se non è divieti dettati dalla legge di cui si dirà tra diversamente pattuito, il (continua) 10

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cedente non è tenuto a garantire la solvenza del debitore (cessione pro soluto) – art. 1267 c.c. mentre laddove sia prevista garantita la solvibilità del debitore (cessione pro solvendo), il cedente stesso ne risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, oltre agli interessi, al rimborso delle spese sostenute dal cessionario ed al risarcimento dell’eventuale danno patito da quest’ultimo. La garanzia prestata dal cedente, tuttavia, cessa se l’insolvenza del debitore è dipesa o è direttamente riconducibile alla negligenza del cessionario (il che potrebbe verificarsi nel caso un cui, ad esempio, il cessionario, per sua colpevole inerzia, ha lasciato prescrivere il credito oggetto di cessione). Di contro, nella cessione pro solvendo sempre a norma dell’art. 1267 cit., è stabilito che il creditore cedente ha la possibilità di scegliere di garantire, oltre all’esistenza ed alla validità del credito ceduto, anche la solvenza del debitore ceduto, assumendosi, in tal modo, un’ulteriore responsabilità. Questo contratto di cessione del credito, di norma, avviene a titolo oneroso e per un importo minore rispetto al credito ceduto. Chi trasferisce il credito ha il vantaggio immediato del pagamento, seppur parziale o minore, del credito vantato ed il prezzo viene stabilito in base alle possibilità di recupero del credito non ancora riscosso: minore è la possibilità che il debitore paghi, minore è il prezzo che il creditore cessionario paga per acquisire il credito di altri. Le due modalità di cessione del credito differiscono, pertanto, nei seguenti elementi: nella cessione pro soluto, il creditore che trasferisce il credito è responsabile della sola esistenza e validità dello stesso al momento della cessione e non è possibile l’azione di regresso; nella cessione pro solvendo, invece, il creditore che trasferisce il credito è responsabile non solo dell’esistenza e della validità dello stesso al momento della cessione, ma anche della solvibilità del debitore ceduto; infatti, nell’ipotesi in cui il debitore non paghi, totalmente o parzialmente, il debito al cessionario, questi può chiedere il pagamento, totale o parziale, al creditore che gli ha trasferito detto credito (azione di regresso). Con riferimento alla disciplina fiscale applicabile al contratti di cessione del credito, al fine di assoggettare l’operazione alla più corretta imposizione è necessario indagare sulla sua natura della stessa, al fine di determinare se l’operazione rientri, o meno, nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto o se, in virtù del principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro, sia o meno soggetta all’imposta di registro in misura proporzionale o fissa. Occorre, dunque, distinguere le cessioni a seconda della qualificazione dell’operazione complessivamente considerata tra: operazioni di natura finanziaria, rientranti nel campo applicativo dell’Iva anche se tra le operazioni esenti ex articolo 10, primo comma, n. 1), del Dpr 633/1972 (tra cui cessioni pro solvendo e pro soluto); operazioni di natura non finanziaria, escluse dal campo applicativo dell’Iva. Nello specifico, nelle ipotesi di fattispecie negoziali aventi a oggetto le cessioni di crediti di cui all’articolo 1260 cc, l’attrazione nel campo impositivo dell’Iva - anche se in regime

“Occorre, dunque,

distinguere tra operazioni di natura finanziaria, rientranti nel campo applicativo dell’Iva anche se tra le operazioni esenti ex articolo 10, primo comma, n. 1), del Dpr 633/1972 (tra cui cessioni pro solvendo e pro soluto); operazioni di natura non finanziaria, escluse dal campo applicativo dell’Iva”

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di esenzione è riservato alle sole operazioni società. Qualora invece l’operazione assuma finanziarie, restando invece escluse da carattere finanziario, rientrando nel campo imposta sul valore aggiunto le cessioni che d’applicazione dell’iva (seppur qualificata adempiono funzioni negoziali irrilevanti ai quale operazione esente), sarà assoggettata fini del tributo, quali, ad esempio, le ad imposta di registro in misura fissa in virtù cessioni di crediti effettuate a titolo di del richiamato principio di alternatività tra adempimento solutorio. imposta sul valore aggiunto e imposta di In proposito, la disciplina del Dpr 633/1972, registro statuita dall’art. 40, D.P.R. 131/86. articolo 3, secondo comma, n. 3, stabilisce L’Amministrazione Finanziaria ritiene, infatti, che sono considerate prestazioni di servizi, che la base imponibile sia sempre costituita ai fini Iva, se effettuati dietro corrispettivo, dal valore nominale del credito mentre la "...i prestiti di denaro e di titoli non dottrina ritiene che, in tali casi, la base rappresentativi di merci, comprese le imponibile debba essere costituita dal valore operazioni finanziarie mediante la di presumibile realizzo. negoziazione, anche a titolo di cessione Prima di occuparti del caso specifico della pro soluto, di crediti, cambiali o assegni. cessione del credito da parte di un libero Non sono considerati prestiti i depositi di professionista, è utile tracciare un quadro denaro presso aziende e istituti di credito o generale riguardante gli obblighi di presso amministrazioni statali …”. fatturazione in materia di Iva. Il professionista, Pertanto, in base all’attuale disciplina IVA, di regola, emette la parcella per le proprie l’area di esenzione si è notevolmente prestazioni al momento in cui incassa il ampliata ricomprendendo, oltre che le corrispettivo, considerandosi effettuata la cessioni di credito aventi carattere di prestazione di servizio al momento del finanziamento, anche: le pagamento. Tuttavia prestazioni di servizi ai fini dell’IVA se Dpr. 633/1972, all’art. 3, 2°comma, n. concernenti la concessione e emette la parcella 3, stabilisce che sono considerate la negoziazione di crediti e la prima del prestazioni di servizi, ai fini Iva, se loro gestione; - l’assunzione di pagamento, effettuati dietro corrispettivo, "... i impegni di natura finanziaria, l’operazione si prestiti di denaro e di titoli non di fideiussioni e di altre considera comunque rappresentativi di merci, comprese le garanzie, la gestione di effettuata con operazioni finanziarie mediante la garanzie di crediti da parte conseguente obbligo negoziazione, anche a titolo di dei concedenti; - le dilazioni al pagamento cessione pro soluto, di crediti, di pagamento; le dell’imposta. cambiali o assegni (…)” operazioni, compresa la Quest’ultima regola negoziazione, relative a generale subisce due fondi, conti correnti, eccezioni: le parcelle pagamenti, giroconti, crediti e ad assegni emesse nei confronti dello Stato e degli altri o altri effetti commerciali, ad eccezione enti pubblici, elencati nel comma 5 dell’art. 6 del recupero di crediti; - la gestione di fondi del DPR 633/72; le parcelle emesse da comuni di investimenti e le gestioni similari. professionisti con volume d’affari fino a Esiste poi una ulteriore ipotesi da valutare 200,000 euro ai sensi dell’art. 7 del D.L. con attenzione: se la cessione del credito 185/2008. In questi casi, benché, sia stata non riveste i caratteri di una operazione di emessa la parcella l’operazione si finanziamento, essa deve essere considererà effettuata ai fini Iva al momento assoggettata ad imposta di registro in dell’incasso. Nel caso di cui al n. 2 tuttavia misura proporzionale secondo l’aliquota anche in assenza di incasso comunque dello 0,50%, salvo che non avvenga l’operazione si considera effettuato decorso mediante scambio di corrispondenza un anno dall’emissione del documento. commerciale: in tal caso la cessione del Nelle due forme di cessione del credito, credito non è assoggettata all’imposta di appare evidente che il professionista per registro. Tipica operazione di cessione del rivolgersi all’istituto finanziatore debba credito che non riveste il carattere emettere la parcella che attesta il credito finanziario è quello di cessione vantato con conseguenze, in primo luogo debito/credito commerciale tra due connesse all’Iva ed in secondo luogo alla (continua)

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determinazione del reddito imponibile ai fini Irpef. Per quanto riguarda l’Iva, se il cliente non è ente pubblico e se il professionista ha un volume d’affari superiore a 200,000 euro, al momento dell’emissione del documento scatterà l’obbligo di versamento dell’imposta. Diversamente, nelle altre due ipotesi sopra indicate, l’obbligo di versamento dell’IVA sorgerà nel momento dell’effettivo pagamento da parte del debitore anche se il credito è stato ceduto. Dunque, nel valutare la convenienza alla cessione del credito bisogna considerare quali conseguenze comporta la cessione in termini di Iva. Per quanto riguarda le imposte sui redditi del professionista l’art.54 del TUIR prevede che il reddito è determinato facendo la somma algebrica dei corrispettivi percepiti e delle spese sostenute. Sotto questo profilo a seconda che la cessione del credito sia pro solvendo o pro soluto cambia il momento impositivo di riferimento. Nella cessione pro solvendo, infatti, ai fini delle imposte, il professionista non ha incassato il suo credito, ma ha ottenuto un finanziamento. Ciò in quanto, nella pratica, l’operazione si divide in due fasi specifiche caratterizzate da una prima anticipazione che il professionista riceve dall’istituto bancario o dalla società cessionaria e, poi, un secondo versamento corrispondente concomitante al momento in cui il debitore pagherà la somma residua. Ed è quest’ultimo il momento impositivo per il professionista, che rimane legato al credito originario fino al momento del suo incasso, in base al vincolo di regresso. Viceversa, nel caso della cessione pro soluto, non essendo previsto alcun obbligo di regresso, il professionista realizza il suo credito originario verso il cliente in via definitiva e pertanto il reddito si considera percepito nel momento in cui riceve il corrispettivo del credito da parte dell’istituto non dovendo garantire ad esso nulla con riferimento al buon fine dell’operazione. Come illustrato nel presente articolo per la corretta imposizione di un atto di cessione crediti è necessario indagare con attenzione circa la natura del negozio giuridico all’interno del quale la suddetta cessione si inserisce. È pertanto essenziale formulare le norme del contratto di cessione del credito in modo preciso e rispettoso degli accordi sottostanti, riuscendo a qualificare la cessione come 13

operazione finanziaria oppure, qualora non ne ricorrano i presupposti, come puro atto di compensazione di crediti (ed in tal caso soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale). Così come è necessario monitorare le cessioni ed i relativi esiti per riscontrare il momento impositivo ai fini dell’imposta sui redditi. Sotto questo punto di vista si può ricordare come è stato sostenuto che le forme di anticipazione mediante cessione pro soluto o pro solvendo di crediti costituiscono sempre operazioni di natura finanziaria e pertanto rientrano, seppure come operazioni esenti, nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Per quanto sin qui descritto, dunque, scaturisce la precisa necessità di inserire clausole contrattuali chiare e idonee a rappresentare l’esatta volontà delle parti.

Diritto Civile

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Diritto Internazionale La tutela del Design in Giappone. Brevi note introduttive. Il grande impulso che dal secondo dopoguerra ha caratterizzato l’economia e, in genere, la produzione industriale del Giappone, ha indotto ben presto il legislatore nipponico ad intervenire in materia di diritti di proprietà industriale, mosso dalla stringente necessità di regolamentare la condotta degli operatori impegnai nel proprio mercato interno.

Art. 2 del Japanese Design Act “qualsiasi tipo di caratteristica che possa essere percepita allo sguardo con connotazione <estetica>”

Diritto Internazionale

Sin dal primo intervento legislativo, costituito dalla legge n. 125 del 13 aprile 1959, <Japanese Design Act>, (oggetto di numerosi e successivi emendamenti, l'ultimo dei quali è la Legge n. 63/2011), il legislatore giapponese ha dato la dimostrazione di aver ben presente l'importanza del settore e ha provveduto a delineare una disciplina, tra le più complete ed efficaci. In materia di design, le caratteristiche caratterizzanti, che trovano accoglimento, e protezione, nella norma possono essere ricondotte alle seguenti categorie di specie: il colore, la forma, il disegno, la funzione (particolarità questa che si riferisce alla ipotesi in cui l'oggetto di design, oltre ad una propria connotazione estetica, presenti anche funzionalità speciali o innovative) e, in una definizione di stampo generico e di chiusura, qualsiasi tipo di caratteristica che possa essere percepita allo sguardo con connotazione “estetica” (art. 2). In sintesi, la protezione è concessa a quei design che, in possesso delle caratteristiche sopra indicate, risultano idonei a stimolare visivamente il senso estetico di chi osserva. Alla luce di quanto sopra descritto, dunque, appare possibile azzardare che prima ratio della norma giapponese sia quello di tutelare principalmente e squisitamente le qualità estetiche dell’oggetto, prescindendo, se non in casi particolari, dal suo concreto utilizzo o dalle eventuali applicazioni pratiche. Tale premessa di carattere generico può, tuttavia, lasciar spazio all’analisi di alcune disposizioni specifiche e di particolare interesse. Un primo esempio è costituito dall’art. 10, che prevede la possibilità di estendere, alle condizioni che tra poco saranno considerate, la tutela richiesta per il design (continua)

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oggetto di deposito anche ad altri design, naturalmente non già soggetti a protezione, che siano affini a quello depositato. In altre parole, si può ottenere di estendere la protezione anche ad altri design, analoghi a quello che definiremo “design principale”, che abbiano relazione allo stesso oggetto, ma a patte che la domanda di estensione sia contestuale alla domanda principale ovvero sia depositata pria della pubblicazione, da parte dell’Ufficio, della notizia della pubblicazione del design principale. A questo scopo è possibile richiedere all'ufficio competente il rilascio di una dichiarazione ufficiale, che attesti il grado (letteralmente nel testo normativo il "livello") di somiglianza del design che si desidera registrare rispetto all’altro design precedentemente registrato, ricorrendo ad una procedura di registrazione dedicata, la "registrazione di design similare". Diverso è il caso di cui all’art. 8, dove è invece prevista la possibilità di registrare, con una unica domanda, più design, parti di un <set> omogeneo di oggetti destinati ad essere utilizzati assieme. Gli esempi citati ci aiutano a comprendere il grado di estrema sofisticazione raggiunto dalla normativa giapponese, che ora può essere nuovamente analizzata considerandone i principi generali. In primo luogo, il design deve essere tale da poter essere riprodotto in serie, art. 3, sia nell'ambito di un processo industriale, sia artigianalmente. Tale criterio è ciò che viene definita <Idoneità alla Produzione Industriale> e può essere dedotto, in prima lettura, dall’art. 2, al punto 3, ove si definisce il concetto di utilizzo del design. Abbiamo già fatto cenno ad un altro criterio che potrebbe essere definito, traducendo direttamente dal testo in lingua originale, della <percezione (umana)> e che, dunque, si pone come limite in tutti i casi in cui l'elemento estetico non sia percepibile, effettivamente, dall'occhio umano (si può portare l’esempio di un disegno ornamentale talmente minuto da renderne impossibile il riconoscimento da parte dell'osservatore).

Sommariamente, possiamo affermare che qualsiasi design deve rispettare i criteri di novità, creatività, unicità ed idoneità (art. 3 e ss.). Il primo criterio non pone particolari problemi interpretativi: semplicemente, non deve esistere in commercio nessun oggetto identico o analogo al momento in cui viene presentata la domanda; in altri termini si deve trattare di un design assolutamente nuovo. Diversamente deve essere detto in merito al requisito della creatività, in quanto l'oggetto di design non può essere tutelato se privo di tale requisito, anche nel caso in cui esso possieda la caratteristica della novità, ma non è certo semplice individuare detta qualità che, dunque, in sede di deposito, sarà (continua)

Avverso le pratiche di plagio “parziali”, è consentita la registrazione anche solo di parti specifiche del design, e non necessariamente aventi carattere di indipendenza, rispetto all’oggetto in cui sono incorporate o, ancora, di particolari forme che ne rappresentano caratteristiche peculiari e ben distinguibili.

A questi criteri, di natura generale e che attengono all'idoneità potenziale dell'oggetto di incorporare un design degno di protezione, ne seguono altri che operano direttamente sul piano oggettivo. 15

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bene dimostrare tramite la precisa e dettagliata descrizione del processo creativo che ha condotto al risultato finale, ovvero il design. Il requisito della unicità si riferisce invece alla possibilità che esso risulti identico o simile ad altri oggetti, per i quali è già stata richiesta la registrazione, o che hanno già ottenuto la registrazione, o che sono già presenti in commercio. In tali casi, l'oggetto non può essere ovviamente considerato di nuova creazione e quindi non può essere né registrato, né tutelato. Infine, tornando al principio della idoneità, e tenendo fermo quanto detto in merito alla necessità che il design possa essere sfruttato per produzioni industriali o artigianali, esso può essere arricchito di un ulteriore valore: il design deve essere consono al principio di tutela dell'interesse pubblico. In altre parole, non sono pubblicabili oggetti di design che siano anche solo potenzialmente idonei a ledere l'ordine pubblico e la pubblica morale.

di design. Tale disposizione si applica quando si sia di fronte a più oggetti, fisicamente separati l'uno dall'altro, ma uniti sotto il profilo commerciale. In questo modo è possibile abbassare, ed in misura notevole, i costi relativi alla registrazione ed al rinnovo del diritto. Successivamente al criterio della separazione troviamo quello della priorità. Nel caso in cui siano state presentate più domande di registrazione per diversi tipi di oggetti di design identici o analoghi, l'avente diritto alla registrazione sarà colui che per primo ha presentato la domanda (art. 9). Su questo punto è interessante notare che, se è lo stesso soggetto richiedente a presentare più domande relative ad oggetti di design identici o analoghi, nel caso essi posseggano tute le caratteristiche richieste, solo uno di essi verrà considerato il design <originale>, mentre l'altro, o gli altri, verrà considerato design <derivato> e potrà godere della corrispondente tutela. Ovvero una tutela subordinata, nelle vicende, a quella del design originale.

Idoneità del design alla produzione industriale.

In ultimo, è appena il caso Il periodo di tutela che di aggiungere che non è viene riconosciuto agli possibile ottenere oggetti di design è più il design deve essere tale da esteso rispetto a quello in protezione per oggetti di poter essere riprodotto in design incompleti, ovvero materia di marchi. Infatti, presentati nella minima mentre per i marchi opera serie, sia nell'ambito di un forma considerata una tutela decennale processo industriale, sia necessaria per garantire la (naturalmente rinnovabile), artigianalmente. loro funzionalità teorica, in materia di oggetti di ma non effettiva e quegli design tale periodo oggetti di design che raggiunge i venti anni (art. possano creare confusione con altri già 21). A differenza di ciò che accade per i protetti e depositati. marchi, però, il titolare del diritto sull'oggetto di design è tenuto a versare annualmente Esistono poi altri criteri, di natura un'imposta, in caso contrario il diritto si regolamentare, che non attengono alle estingue. Il diritto si estingue comunque allo specifiche qualità dell'oggetto di design, scadere del termine indicato, a meno che bensì alle modalità di registrazione del l'oggetto, nel tempo, non abbia acquisito una medesimo. particolare notorietà. In tal caso, il titolare del A questo scopo vige, in prima istanza, il diritto di tutela sul design potrà, anche principio della separazione, vale a dire la successivamente alla scadenza del termine necessità di presentare una domanda, sopra indicato, usufruire di una particolare autonoma, per ciascun oggetto di design tutela di natura sussidiaria, che trova origine per il quale si desidera provvedere alla dalla normativa dedicata alla prevenzione registrazione con la sola dall’eccezione, già della concorrenza sleale. analizzata (art. 8), della registrazione di Il sistema giapponese sulla tutela del design design legati a set di oggetti che possano dimostra, inoltre, una notevole attenzione alle essere considerati parti di un unico oggetto dinamiche del commercio e tale attenzione si (continua)

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riverbera, in particolare, nella previsione, l’art. 14, che definisce il design segreto. Con tale norma, il legislatore, ha inserito una disposizione, senza dubbio innovativa, in forza della quale, quando un design viene registrato, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dedicata ai registro dei design non avviene automaticamente, come normalmente avviene negli altri casi, se il titolare del diritto si è riservata la concessa facoltà di decidere se procedere alla registrazione ufficiale, ovvero se continuare la procedura, pur mantenendo segreta tale registrazione. Si consideri anche che l’Ufficio, fatto salvo quando ricorrano obblighi di comunicazione, ad esempio per ordine della autorità giudiziaria, è legato ad un vero e proprio obbligo di riservatezza. Lo scopo di questo sistema è di proteggere i diritti del proprietario del design, che potrebbe avere interesse a registrare immediatamente l'oggetto, ma che potrebbe altresì desiderare maggior tempo per valutarne attentamente l’efficacia, in relazione alle tendenze del mercato ad esempio, al fine di poter sfruttare con maggior successo il proprio diritto. Da ultimo è possibile ricordare una disposizione che accomuna i marchi e i design non registrati (art. 29). Essi, infatti, anche nei casi in cui non si sia provveduto alla registrazione, sono comunque protetti e garantiti contro qualsiasi utilizzo illecito che ne abbia fatto un soggetto non avente diritto, traendo protezione dalle disposizioni della legge di prevenzione della concorrenza sleale. La tutela opera nell'ipotesi in cui, il design sia stato utilizzato ideato e utilizzato nella inconsapevolezza della possibilità di proteggerlo tramite deposito ovvero dell’esistenza di altro design simile e già protetto. Il diritto in parola, dunque, conosce il solo limite dell’estensione dell’uso che può esser fatto del design, che deve essere limitato alle attività normalmente espletate e, che, quindi, non può essere pubblicizzato o divulgato in nocumento al design che è stato invece correttamente depositato.

Design segreto. Se il titolare del diritto si è riservata la concessa facoltà di decidere se procedere alla registrazione ufficiale, ovvero se tenerla segreta l’Ufficio, fatto salvo quando ricorrano obblighi di comunicazione, ad esempio per ordine della autorità giudiziaria, è legato ad un vero e proprio obbligo di riservatezza.

Diritto Internazionale 17

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Revisori e sindaci. Brevi riflessioni sui profili di responsabilità. Tribunale di Milano. Sentenza 14 Marzo 2014 n. 3628.

I delicati aspetti attinenti le responsabilità, e le azioni che possono essere mosse nei confronti delle figure professionali di revisori e sindaci di società, sono stati recentemente affrontati dal Tribunale di Milano, che con Sentenza 14 marzo 2014 n. 3628 ha avuto occasione di fornire le proprie indicazioni in merito al calcolo dei termini di prescrizione legati all’esercizio di dette azioni di responsabilità. E nell’applicazione di tale principio, trovandosi di fronte al caso in cui è paventata con azione contrattuale la responsabilità nei confronti del revisore per un bilancio “certificato” nel 2001 – l’ordinario termine prescrizionale applicabile è quello decennale ex art. 2946 c.c. – non è possibile, in applicazione della disciplina introdotta dalla riforma del diritto societario (DLgs. 6/2003) e recante il più breve termine quinquennale “decorrente dalla cessazione dell’incarico” (art. 2409-sexies c.c.), reputarsi maturata la prescrizione rispetto ad un’azione esercitata nel 2009. Peraltro, per questa interpretazione fa propendere anche la disciplina introdotta dalla riforma del diritto societario, come modificata, e che prevede all’art. 15 comma 3 del DLgs. 39/2010, che il termine quinquennale di prescrizione dell’azione di risarcimento inizia a decorrere dalla data della relazione di revisione emessa – momento finale dell’attività oggetto dell’incarico al revisione e verso cui l’azione di responsabilità è rivolta.

Diritto delle Società

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Il Giudice si è dunque espresso in questi termini: “Deve innanzitutto reputarsi infondata in diritto la pretesa della convenuta (omissis) di invocare a proprio favore, rispetto alla azione contrattuale di responsabilità, il più breve termine quinquennale di prescrizione (in luogo dell’ordinario termine decennale previsto ex 2946 cc) “decorrente dalla cessazione dell’incarico”, quale introdotto dal D.Lgs 6/03, dunque con applicazione retroattiva della nuova disciplina a vicende pregresse – alla luce del consolidato orientamento della S.C. secondo cui: “il principio della irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua (continua)

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entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali future dello stesso. Lo stesso principio comporta invece che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore” (SS.UU 2926/67; Cass 2433/2000, 14073/02, 18618/06) L’applicazione dell’art. 2941 n. 7 c.c. alla figura professionale dei Revisori.

Il Tribunale di Milano ha poi il merito di occuparsi anche di precisare come calcolare i termini di prescrizione per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dei sindaci e optano per la seguente soluzione: anche ai sindaci si applicherebbe la sospensione della decorrenza fino alla permanenza in carica, sancita per gli amministratori dall’art. 2941 n. 7 c.c. (soluzione contraria, tuttavia, da quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione, in ultimo con sentenza n. 19051/2011). La questione è, in ogni caso, ancora incerta in quanto la riforma del diritto societario non ha fatto alcuna luce sul punto e, da un lato, nell’art. 2393 comma 4 c.c., relativo agli amministratori, ha recepito sia il termine quinquennale di cui all’art. 2949 c.c., che il principio di sospensione fino alla permanenza in carica, e dall’altro, nell’art. 2407 comma 3 c.c. ha lasciato il rinvio all’art. 2343 c.c., ma nei soli limiti dell’applicazione dei principi di compatibilità.

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